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1 P. Spriano, Torino operaia nella grande guerra (1914-1918), Torino, 1960; A. Mon
ticone, II socialismo torinese e i fatti dell'agosto 1917, in ? Rassegna storica del Ri
sorgimento ?, 1958, 1, pp. 51-96 (poi in Id, Gli italiani in uniforme 1915-1918,
Bari, 1972); D. Zucaro, La rivolta di Torino del 1917 nella sentenza del Tribunale
militare territoriale, in ? Rivista storica del socialismo ?, 1960, 10, pp. 437-469.
2 R. De Felice, Ordine pubblico e orientamenti delle masse popolari nella prima
meta del 1917, in ?Rivista storica del socialismo?, 1963, 20, pp. 467-504. Sulle
agitazioni al momento dell'intervento v. B. Vigezzi, Le ? radi?se giornate ? del
maggio 1915 nei rapporti dei prefetti, in ? Nuova rivista storica ?, 1959, 3, pp. 313-344;
1960, 1, pp. 54-111 (poi in Id, Da Giolitti a Salandra, Firenze, 1969).
3 Nei 1968 usci un saggio di R. Paci sulla struttura econ?mica, ma anche con im
portanti notazioni sulle condizioni di lavoro e le lotte (R. Paci, Le trasformazioni
ed innovazioni nella struttura econ?mica italiana, in Aa.Vv, II trauma dell'in
tervento: 1914-1919, Firenze, 1968, pp. 29-55); e nei fascicolo 32 della ?Rivista
storica del socialismo ?, uscito nei 1970, dedicato a II Psi e la grande guerra,
forn? notizie documentarle N. De Stefano, Moti popolari in Emilia-Romagna e To
scana 1915-1917, pp. 191-216; nello stesso numero della rivista vennero pubblicati,
a cura di P. Melograni, documenti sullo stato d'animo delle truppe nei 1918, con
tenenti per? anche riferimenti sulle condizioni dello spirito pubblico all'interno
(P. Melograni, Documenti sul ? morale delle truppe ? dopo Caporetto e conside
razioni sulla propaganda socialista, pp. 217-263). In questa sede terremo conto
solo del dissenso della popolazione civile, rimandando per quello delle truppe,
oltre al citato articolo di Melograni, alla sua Storia politica della grande guerra,
Bari, 1969, e a E. Forcella, A. Monticone, Plotone d'esecuzione. I processi della
prima guerra mondiale, Bari, 1968.
4 Cfr. R. De Felice, Ordine pubblico..., cit., pp. 468-477; Id., Mussolini il rivo
luzionario, 1883-1920, Torino, 1965, pp. 315 sgg., 332, 412 sgg.; P. Melograni,
Documenti..., cit., pp. 222-224; Id., Storia politica..., cit., pp. 294, 329-342, 470-474,
535-537; N. De Stefano, op. cit., passim; M. Mazzetti, L'industria italiana nella
grande guerra, Roma, 1979, pp. 95-98, 106-119. Anche secondo R. Vivarelli, Rivo
luzione e reazione in Italia negli anni 1918-1922, in Rivoluzione e reazione in
Europa 1917-1924. Convegno storico internazionale. Perugia 1978, II, Roma, 1978,
pp. 205-206, 224-238, la guerra ebbe ? carattere popolare ?, e solo nelle campagne
si verifico una forte politicizzazione in senso massimalista.
5 V. a proposito quanto osserva G. Rochat, LTtalia nella prima guerra mondiale.
Problemi di interpretazione e prospettive di ricerca, Milano, 1976, pp. 74-82.
Per le pubblicazioni sul Partito socialista e sul sindacato, si rimanda alia rassegna
critica di P. Alatri, La prima guerra mondiale nella storiografia italiana dell'ultimo
venticinquennio, in ? Belfagor ?, 1973, 1, pp. 57-62, e a quella curata da A. Agosti,
A. Andreasi, G. M. Bravo, D. Marucco, N. Negrotti, II movimento sindacale in
Italia in ? Annali della Fondazione Luigi Einaudi ?, III, Torino, 1970, pp. 37-62.
6 Cfr. in particolare: V. Foa, Sindacati e lotte sociali, in Storia d'ltalia, V, I docu
menti, 2, Torino, 1973, pp. 1787-1808; E. Ragionieri, La storia politica e sociale,
ivi, IV, 3, Torino, 1976, pp. 2009-2041; G. Berta, Dalla manifattura al sistema
di fabbrica: razionalizzazione e conflit ti di lavoro, ivi, Annali, 1, Torino, 1978,
pp. 1110-1111; B. Bezza, Il sindacato di massa tra riorganizzazione capitalistica e
fascismo (1915-1925), in La Fiom dalle origini al fascismo, a cura di M. Antonioli
e B. Bezza, Bari, 1978, pp. 81-113; A. Camarda, S. Peli, L'altro esercito. La classe
operaia durante la prima guerra mondiale, Milano, 1980. Tra gli studi di storia
locale, per la mole documentarla e le acute osservazioni critiche, si rimanda so
prattutto a P. Ferraris, Sviluppo industr?ale e lot ta di classe nei Bielle se, Torino,
1972; A. Morelli, L. Tomassini, Socialismo e classe operaia a Pistoia durante la
prima guerra mondiale, Milano, 1976; A. Kelikian, Industria e sindacalismo a Brescia:
dalla mobilitazione industr?ale alla legge sindacale, in ? Annali della Fondazione
L. Einaudi?, IX, Torino, 1976, pp. 161-195; A. De Benedetti, La classe operaia
a Napoli nei primo dopoguerra, Napoli, 1976; G. Consonni, G. Tonon, Casa e lavoro
nell'area milanese. Dalla fine dell'Ottocento all'avvento del fascismo, in ? Classe ?,
1977, 14, pp. 165-259; S. Musso, L'operaio dell'auto a Torino. Struttura e lotta
dal periodo giolittiano alla fine della prima guerra mondiale, ivi, pp. 87-143 (ri
fuso poi in Id, Gli op?rai di Torino 1900-1920, Milano, 1980, donde citeremo) ;
L. Tomassini, Classe operaia e organizzazione sindacale durante la prima guerra
mondiale: la Camera del Lavoro di Firenze, 1915-1918, in ? Ricerche storiche ?,
1979, 2-3, pp. 259-374. Documenti sulle agitazioni del 1917 e 1918 sono anche
in R. Monteleone, Let tere al re, Roma, 1973.
pagne. Poiche 1'entit'a del dissenso non puo essere valutata senza tenere
conto dell'organizzazione repressiva messa in atto durante la guerra, fa
remo precedere all'esame delle agitazioni la descrizione delle leggi ecce
zionali di pubblica sicurezza, della legislazione piu specificamente atti
nente le fabbriche sottoposte alla Mobilitazione industriale, e dei criteri
e modi con cui tali norme furono applicate.
sulle << manifestazioni ostili alla guerra o lesive di interessi connessi (di
sfattismo) >>, noto come decreto Sacchi. Secondo l'art. 2 del decreto del
20-6-15, << chiunque [...] comunicando con piu persone riunite o anche
separate, da sull'ordine pubblico, sull'economia nazionale, o su altri
fatti di pubblico interesse, notizie non confacenti a verita, per le quali
possa essere turbata la tranquillita pubblica o altrimenti danneggiati pub
blici interessi, e punito con la detenzione sino a sei mesi, o con la multa
da lire 100 a lire 1.000 >> (con aggravanti se fosse stato individuato
il << fine di nuocere alla pubblica tranquillita o ai pubblici interessi >).
II decreto, quindi, non avrebbe dovuto riguardare i semplici commenti
o apprezzamenti, ma l'esposizione di notizie, e le notizie avrebbero dovuto
essere false, e infine avrebbe dovuto esistere il dolo: ma non sempre
nelle sentenze della Cassazione furono riconosciuti questi limiti9.
Tali garanzie scomparvero comunque con il decreto citato del 4 ottobre
1917, che all'art. 1 cosi suonava: << Chiunque con qualsiasi mezzo com
mette o istiga a commettere un fatto che puo deprimere lo spirito
pubblico o altrimenti diminuire la resistenza del paese o recar pre
giudizio agli interessi connessi con la guerra e con la situazione interna
od internazionale dello Stato, quando tal fatto non costituisca altro
reato previsto e represso dalla legge, sara punito con la reclusione sino
a cinque anni e con la multa sino a lire 5.000. Nei casi di maggiore
gravita, la reclusione potra estendersi fino a dieci anni e la multa sino
a lire 10.000 >>.
, ben nota la situazione che si venne a determinare nel paese in con
seguenza del decreto Sacchi. <<Con siffatti criteri - scrivera pochi
giorni dopo la fine della guerra V. Manzini nell'Appendice alla sua
Raccolta della legislazione penale di guerra -, degni del piu tirannico
Stato assoluto, qualunque sopraffazione, qualunque infamia rimane le
gittimata, purche sia ammantata col pretesto della guerra o del patriot
tismo >> 'O. Nonostante che la legislazione italiana non fosse stata parti
colarmente liberale negli anni precedenti, il decreto Sacchi opero una
svolta nel campo dei diritti dei cittadini, sancendo l'accettazione da parte
delle autoritia politiche dei desiderata delle forze militari e dell'interven
tismo piu fanatico, che premevano da tempo per una piu decisa azione
repressiva contro il ? disfattismo >> ". Del clima di caccia alle streghe
che si instauro in Italia sono testimonianza, come e noto, non solo gli
arresti dei capi politici socialisti, il sequestro dei giornali di opposizione,
e lo scioglimento di associazioni politiche e sindacali, ma anche e so
prattutto le centinaia di denunce, arresti, condanne di privati cittadini
per i piu futili motivi, dietro semplice segnalazione di chiunque volesse
erigersi a campione di patriottismo, ma assai spesso anche sulla base
di vendette politiche o personali.
La maggior parte dei processi indetti in applicazione del decreto Sacchi
non si svolsero davanti alla magistratura ordinaria. In base infatti al
D.Lt. 10-12-1917, n. 1964, la competenza per i reati previsti dall'art. 1
del decreto Sacchi fu demandata ai tribunali militari se l'accusato era
militare o borghese in concorso con militari (e militari erano buona parte
degli operai degli stabilimenti ausiliari). Di fronte alla magistratura mi
litare, inoltre, secondo lo stesso decreto, doveva essere giudicato chiunque
avesse compiuto << delitti contro la liberta di lavoro >>, previsti dagli articoli
165 e 166 del codice penale, a danno di stabilimenti militari e ausiliari.
Veniva cosi non solo affermata la illegittimit"a dello sciopero, ma ve
nivano puniti anche quanti, dall'esterno (ad esempio, manifestanti), im
pedissero lo svolgimento del lavoro; se poi fossero stati individuati << capi
o promotori >>, o se ci fosse stata << istigazione >> o << associazione a de
linquere >>, le pene previste erano molto piu severe (reclusione da tre a
dieci anni) 12
Si ha cosi, tra il 1915 e il 1918, anche per la legislazione vigente negli
stabilimenti sottoposti a Mobilitazione industriale, una quasi totale assenza
di giudicati della magistratura ordinaria in materia di sciopero 3.
La prevalenza assoluta del potere militare fu sancita infine per quelle zone
che furono dichiarate << in stato di guerra >>. La dichiarazione prevedeva
infatti che in tali zone i comandanti rnilitari potessero svolgere atti
vita legislativa mediante << bandi >>, e che ad essi facesse capo ogni
attivita politica e amministrativa; questa restava affidata agli organi
ordinari, ma in caso di << urgenza ?> l'autorita militare poteva prendere
disposizioni indifferibili di pubblica sicurezza 14.
Le zone dichiarate in << stato di guerra >>, oltre a quelle pi direttamente
erano stati prorogati a tre mesi dopo la fine del conflitto (D.Lt. 22-8-1915,
n. 1277), non potevano ne scioperare, ne dimettersi (formalmente neppure
essere licenziati, ma nei fatti cio avvenne ugualmente, sotto veste di Ii
cenziamento per punizione), ne passare ad altro stabilimento senza I'auto
rizzazione del Comitato regionale: 1'abbandono del lavoro veniva infatti
equiparato alla diserzione.
Tali norme furono applicate ne primi anni di guerra con estremo vigore.
Ma la difformita delle sentenze per reati analoghi, e soprattutto l'impos
sibilita pratica di colpire alcuni soggetti donne e ragazzi - con le pene
massime previste dal codice militare, portarono all'emanazione di un
nuovo decreto (D.Lt. 5-11-1916, n. 1684) che attenuo certi principi, come
l'applicazione del reato di diserzione, ma aggiunse contemporaneamente
nuove figure di reato, sempre soggette alla giurisdizione militare, con le
quali diveniva possibile colpire comportamenti che precedentemente sfug
givano all'azione repressiva. Si previdero cosi pene durissime, anche piui
dure di quelle del codice penale militare, per I'assenza ingiustificata dal
luogo di lavoro (<< abbandono del posto >>), per il rifiuto di obbedienza
verso i superiori nella gerarchia tecnica dello stabilimento, per l'insubor
dinazione, per il cosiddetto << abuso di autorita >> 18. Un ulteriore inaspri
mento si ebbe con il gia citato decreto del 10 dicembre 1917 nei con
fronti dei reati << contro la liberta del lavoro >>, e la loro attribuzione
alla giurisdizione militare. Attraverso iA complesso di tali norme le fab
briche vennero praticamente equiparate alle caserme.
Tale equiparazione, del resto, si era voluta sottolineare anche con la sud
divisione rigida delle maestranze degli stabilimenti sottoposti alla Mobi
litazione industriale in specifiche categorie, a seconda del loro rapporto
con il vincolo militare, e con la subordinazione del personale a un uf
ficiale distaccato dal Ministero della guerra per provvedere alla sorve
glianza disciplinare in ogni stabilimento. Le maestranze erano infatti o
non soggette a obblighi militari (anziani, donne, ragazzi, libici, stranieri,
prigionieri, condannati, ecc.), oppure soggette a tali obblighi. Queste
dimensioni. Gli stabilimenti con maestranza requisita erano quelli ehe, per la loro
limitata importanza, non potevano aspirare all'ausiliariet?, ma che, come gli ausiliari,
erano assoggettati ai Comitati.
18 Per stabilire la gravita delle mancanze o dei reati, fu stabilito l'obbligo del
l'affissione nelle fabbriche di uno specchio con tutta la maestranza in ordine ge
rarchico, secondo le cat?gorie del personale amministrativo (proprietari, dirigenti,
amministratori delegad, ecc), del personale t?cnico (direttori, ingegneri, capitecnici,
ecc.) e del personale operaio (capi op?rai, capireparto, capisquadra, op?rai). Cfr.
Comitato per la mobilitazione civile [S. ?nterlandi], La sorveglianza disciplinare
sul personale degli stabilimenti produttori di materiale bellico durante la grande
guerra (1915-1918), Roma, 1930, pp. 47 sgg. Secondo il decreto del 5 novembre 1916,
l'operaio che avesse rifiutato obbedienza agli ordini di un superiore nella gerarchia
t?cnica era punito col carcere militare. In an?loga pena incorreva chi fosse passato
ad altro stabilimento senza autorizzazione, o si fosse assentato anche per sole 24 ore
se l'autorit? di sorveglianza avesse deciso trattarsi di ? abbandono del posto ?.
Sanzioni pi? rigide erano previste se i reati erano commessi da tre o pi? individui.
35 A proposito del contrasto tra i due poteri, ? significativo quanto afferma il prefetto
di Genova (18 dicembre 1916) : ? La locale Divisione militare ritenendo che si
possa dalTAutorit? di Pubblica Sicurezza, con la stessa facilita ch'? possibile da
parte dell'Autorit? militare in confronto degli op?rai militari od esonerati, adottare
misure di rigore a carico di op?rai borghesi, anche quando manchino gli elementi
od indizi che confermino in modo tangibile il sospetto della loro opera di sobillazione,
pretende che siano allontanati dal luogo gli op?rai borghesi agitatori, anche se
nati od aventi cola il domicilio di soccorso ? (ACS, A5G, 50, 108, 13, 19). Da
questo contrasto scatur? la proposta di dichiarare la Liguria zona di guerra, per
sottoporla direttamente sottq_ il potere militare (su pressione dell'Ansaldo); ma ad
essa e ad altri drastici provvedimenti si era dichiarato contrario l'ispettore di
Pubblica sicurezza (ACS, A5G, b. 54A) e lo stesso Orlando (ibidem, 48, 108, 13, 3).
La richiesta verra accolta, corne ? noto, dopo le agitazioni dell'estate del 1917.
Un altro contrasto tra autorit? militare e politica, con successiva proposta da parte
della prima di dichiarare lo stato di guerra, si verifico a Milano nei maggio del
1917 (ACS, Presidenza, 19-6-5-24), a Terni nell'estate (ACS, Ministero per le
Ar mi e le Munizioni, Comitato Centrale di Mobilitazione Industriale, b. 67: da ora
ACS, CCMI).
36 La chiusura degli stabilimenti (non registrata nelle statistiche ufficiali sulle serrate
se era preceduta da sciopero) fu particularmente fr?quente a Napoli e in Liguria,
in genere dopo episodi di ostruzionismo o di scioperi di solidariet?.
37 Cfr. Ministero defl'economia nazionale, J conflitti del lavoro in Italia nei decennio
1914-1923, Roma, 1924. Tutti i dati da noi esposti sulla conflittualit? nell'industria
sono tratti da questa fonte.
Come si trae dalla tabella ', il numero degli scioperi diminui costante
mente (ma aumento, come vedremo, quello delle vertenze concordate
o decise dagli organi arbitrali della Mobilitazione industriale). Crebbe
pero, dopo una flessione nel 1916, il numero degli scioperanti e la
partecipazione media agli scioperi (scioperanti per sciopero) 3. Inoltre
nel corso della guerra vi fu un aumento delle giornate perse per sciopero,
con variazioni pero non eccessive delle giornate perse da ciascun operaio.
In genere gli scioperi furono piu brevi che nell'anteguerra: quelli in
feriori a 10 giorni costituirono l'80-90% del totale, con netta prevalenza
degli scioperi da due a cinque giorni (50%); analogo l'andamento delle
percentuali degli scioperanti 4.
Il maggior numero di scioperi e di scioperanti si ebbe ovviamente nel
triangolo industriale, e in Toscana. La Lombardia fu sempre in testa
come numero di scioperi, di scioperanti e di giornate perdute. La se
guiva, a distanza il Piemonte, dove, come in Lombardia, il *numero
degli scioperanti e delle giornate perdute fu in ascesa a partire dal
1917; la percentuale media sul totale nazionale degli scioperi verifi
catisi dal 1915 al 1918 fu in Lombardia del 35,98% e in Piemonte del
13,7%; quella degli scioperanti rispettivamente del 45,33% e del 15,23%;
quella delle giornate perse del 37,7% e del 24,7%. La Lombardia
precedeva il Piemonte anche come numero medio di scioperanti per.
sciopero (media dei quattro anni 432); in Piemonte a ciascuno sciopero
38
41 Riguardo alla partecipazione agli scioperi, ? bene tenere pero presente che,
di fronte a un numero ridotto di essi (come si ebbe durante la guerra), poche
agitazioni di una certa entit? possono alterare molto la media. Cfr. le osservazioni
a proposito di A. Lay, D. Marucco, M. L. Pesante, Classe operaia e scioperi: ipotesi
per il periodo 1880-1923, in ?Quaderni storici?, 1973, 1, p. 112; A. Lay, L. Pesante,
Ciclo econ?mico e classe operaia in Europa 1880-1920, in ? Rivista di storia con
tempor?nea ?, 1974, 3, p. 390n.
42 Cfr. L. Bordogna, G. Provasi, J7 movimento degli scioperi in Italia (1900-1971), in
Il movimento degli scioperi nei XX sec?lo, a cura di G. P. Celia, Bologna, 1979,
p. 234. All'interno del settore siderurgico-metallurgico-meccanico-navale, quello che
presenta un maggior numero di scioperi e di scioperanti ? il meccanico (nei quale
il numero degli occupati ? pero maggiore) ; nei 1917 gli scioperanti e le giomate
perdute son? invece superiori nei metallurgico-siderurgico. Riguardo al rapporto tra
industrie tessili e siderurgiche-metalmeccaniche, nei 1918 la percentuale degli scio
peranti diviene pi? alta nelle seconde (43,98%; 32,9% nelle tessili). Se si consi
derano pero i soli mesi di guerra (escludendo cio? novembre e dicembre in cui si
ebbe una forte partecipazione agli scioperi dei metalmeccanici), la percentuale degli
scioperanti resta sempre superiore nei tessile. L'elevato livello di conflittualit? dei
due settori fu determinato ovviamente anche dall'alto numero degli occupati; questi
nei metalmeccanico crebbero enormemente, spesso per il trasferimento da altri settori
(costruzioni, artigianato, nei quali infatti la conflittualit? diminu? notevolmente).
Inoltre nei metalmeccanico entro durante la guerra un gran numero di mano d'opera
femminile (soprattutto nei meccanico), la quale d'altra parte costituiva la stragrande
maggioranza della maestranza tessile: e la percentuale delle donne sul totale
degli scioperanti aumento notevolmente durante la guerra (34,4% nei 1915, 43,9%
nei 1916, 64,2% nei 1917, 45,6% nei 1918). La mancata o tardiva dichiarazione
di ausiliariet? di molti stabilimenti tessili incise inoltre certamente sul loro maggior
livello di conflittualit?.
i?
Firenze 18 44 44
Roma 11 68
Cagliari 3 3
Napoli 19 7 31
Bari 1 1
Palermo 26 104 130
Totale 91 362 493 948
Torino ? 4 9 28 41 ? 8 8
Genova 5 7 22 37 71 21 19 40
Milano ? 8 66 104 176 29 38 67
Bologna
Venezia ? ?
_ ?
? 7
( 11
? ?( 4 3 7
( ? ?
Firenze ? i o l q 23 23 ( , 15 15
Roma - { 2 \ 8 12 22 ? 6 3 9
Cagliari ? ? ? ? ? ? ? ?
Napoli ? 3 5 7 15 4 3 7
Bari ________
Palermo ? ? 28 69 97 15 18 33
Totale 5 24 142 287 458 79 107 186
52 Cfr. [S. Interlandi], op. cit., p. 131; I conflitti..., cit. Le giornate di assenza
furono pi? numer?se negli stessi Comitati regionali dove maggiore fu la partecipazione
operaia aile vertenze composte o decise; in particolare si ebbero moite giornate
perse in collegamento con le grandi vertenze di Genova, Torino, Firenze: ulteriore
prova che la procedura arbitrale non imped?, nelle zone di maggiore conflittualit?,
il ricorso alio sciopero. Le assenze per motivi individuali non giustificati furono nello
stesso periodo 932.627, soprattutto nei mesi estivi, perci? imputabili a contadini
oper?i che si allontanavano per i raccolti. I dati sono forniti sempre dall'Interlandi,
op. cit., pp. 121-131.
altre del settore: cosicche, soprattutto nelle industrie pi' piccole, gli
operai vennero pagati in misura molto minore rispetto a quelli di uguale
qualifica di altri stabilimenti. Differenze notevolissime si verificarono
tra maestranze dei maggiori centri industriali del nord e delle altre
zone d'Italia, nonche tra quelli delle fabbriche metalmeccaniche e degli
altri settori. Infine, gli aumenti salariali, oltre che sull'indennita caro
viveri (che il Comitato centrale di mobilitazione industriale delibero dover
essere piu bassa dell'aumento del costo della vita), avvennero soprattutto
sul cottimo e non sulla paga base, con la conseguenza che ad essi cor
rispose un maggiore sfruttamento. Riguardo ai ritmi di lavo;ro, e stato
notato che in Italia l'aumento della produttivita si ottenne nella maggior
parte delle lavorazioni - salvo che nel munizionamento, dove il lavoro
in serie trovo maggiore applicazione - non attraverso una razionaliz
zazione del processo produttivo, ma mediante l'intensificazione dei ritmi,
grazie appunto all'estensione massiccia del cottimo. Contemporaneamente
i turni - sospese le disposizioni sul lavoro festivo e notturnoi anche
per le donne e i fanciulli - furono portati, tra orario ordinario e straor
dinario obbligatorio, fino a 16-18 ore giornaliere. Indici diretti, quali
Ilaumento degli infortuni e delle malattie professionali - il lavoro av
veniva spesso in locali improvvisati, senza alcuna precauzione igienica -,
o indiretti, quali la crescita della mortalita infantile - conseguenza
dell'orario di lavoro femminile e in genere delle peggiorate condizioni di
vita - sono testimonianza della spaventosa condizione del proletariato,
dentro e fuori la fabbrica ".
Particolarmente difficile fu la situazione della nuova classe operaia, di
quella maestranza cioe precedentemente non impiegata, o occupata in
attivita entrate in crisi con la guerra, spesso di tipo artigianale, o pro
veniente dalle campagne, che afflui numerosissima in fabbrica. Il ricorso
alla mano d'opera non specializzata non era certamente fatto nuovo
nella storia italiana, ma il fenomeno non si era manifestato mai con
l'intensit'a del periodo di guerra. Sicche in questi anni si verifico un
vero e proprio sconvolgimento nella composizione della classe operaia.
con una netta prevalenza di lavoratori di nuova formazione.
Per costoro le condizioni di vita e di lavoro furono specialmente insop
portabili: sia perche non adusi al regime di fabbrica; sia perche co
stretti, soprattutto nei grandi centri, a lunghi percorsi per recarsi sul
54 Sul mutamento della composizione della classe operaia durante la guerra, grazie
soprattutto all'ingresso di mano d'opera femminile, v. in particolare A. Camarda,
S. Peli, op. cit., pp. 17-97, 108-109, 112-114; L. Tomassini, op. cit., pp. 272-279.
55 Cfr. M. Guarnieri, op. cit., p. 24; Relazione della commissione..., cit, p. 126.
59 Rispetto alla durata, gli scioperi salariali furono mediamente di 5-6 giorni, con
un leggero incremento nei 1918, mentre quelli per il monopolio del lavoro furono
pi? brevi, sui 3-4 giorni, con un aumento nei 1918 (5,6). Riguardo all'esito, la
percentuale di quelli m?nimamente favorevoli o sfavorevoli ? nettamente superiore,
in modo per? meno accentuato per quelli salariali. Nei 1918 la percentuale degli esiti
favorevoli aumenta. Purtroppo ? conflitti..., cit., non fomiscono dati sui motivi
degli scioperi per settore. Fino a tutto il 1916 il ? Bollettino dell'ufficio del
lavoro? mensile descrisse gli scioperi: rielaborando i dati forniti da questa fonte,
S. Muss? ha calcolato che nei 1915 e 1916 si ebbe nei settore metalmeccanico
una pi? alta percentuale, rispetto agli altri settori industriali, delle cause di
disciplina e regolamento. Queste diminuirono fortemente nei tessile, mentre si
mantennero alte quelle per l'organizzazione del lavoro (op. cit., pp. 155 sgg, 183).
su tali valutazioni influissero fattori surrettizi, tra cui quello di sollecitare provvedi
menti da parte dei vertid governativi: i quali pero condividevano tali opinioni; Orlando,
ministro degli Interni, il 12 aprile 1917 parlando con Malagodi delle agitazioni di
Torino e della Liguria, ne affermava 1'? evidente sostrato politico ? (O. Malagodi,
Conversazioni della guerra, a cura di B. Vigezzi, I, Napoli, 1960, p. 119); e Dallolio,
a proposito delle agitazioni nei Milanese, esortava a usare il massimo rigore verso gli
esonerati, poich? ? il movimento est politico contro guerra profittando disagio eco
n?mico ? (telegramma al ministro della Guerra del 5-5-1917, in ACS, Presidenza,
19.6.5.24).
65 Molti altri scioperi generali o quasi generali si svolsero in centri minori. Cfr, oltre
ai documenti pubblicati da De Felice e Monteleone, cit, ACS, Presidenza, Bollettino.
66 ACS, Presidenza, Bollettino; A5G, b. 53B (prefetto di Genova, 3-5-1917); A5G, 50,
108, 13, 19; v. anche R. Paci, op. cit., pp. 53-54.
67 A tali conclusioni giunge anche S. Musso, op. cit., pp. 168-182. Dove infatti il
sindacato era pi? forte e attivo, pi? di rado si giunse a situazioni di rottura.
68 Cfr. ACS, A5G, bb. 73A, 73B.
69 Cfr. R. De Felice, Ordine pubblico..., cit, p. 499. In verit?, corne ? stato giu
stamente notato (A. Camarda, S. Peli, op. cit., pp. 91-93), la protesta part? dai pi?
importan ti centri industriali a nord di Milano (Gallarate, Rho, Cornaredo, Sa
ronno, periferia di Milano, Busto Arsizio, Lecco) e ebbe come protagoniste donne
operaie (cfr. ACS, A5G, 103, 225, 2, 1; Carte Orlando, Misc., Manifestazioni 1?
maggio 1917, Milano; e gli stessi documenti riportati da De Felice); erano quelli
i comuni che si erano specialmente sviluppati da un punto di vista industr?ale
durante la guerra con l'immissione di un gran numero di mano d'opera nuova,
contadina e femminile: cfr. P. Bolchini, Milano 1915: il socialismo e la guerra, in
? Movimento operaio e socialista ?, 1970, 4, p. 263.
70 Cos? avvenne ad esempio a Bologna in aprile, dove le operaie degli stabilimenti
ausiliari tessili scioperarono per protesta contro la guerra, seguite da quelle della fon
deria Darracq-Parenti, e manifestarono insieme a donne venute dalla campagna (ACS,
CCMI, Comitato Regionale di Bologna, b. 67, 11). Episodi analoghi son? registrad
da prefetti e autorit? militari in moite altre province, a partir? daU'autunno 1916; a
Rivarolo Ligure, ad esempio, una manifestazione di notevole violenza unisce donne
della campagna e operaie; a Masone l'8 luglio 1917 una folla di con tadine manifesta
contro la guerra e per solidariet? con gli op?rai scioperanti di Sestri, molti dei quali
abitanti appunto a Masone (ACS, Presidenza, Bollettino; A5G, 49, 108, 13, 16). Si
noti che le donne della campagna non incitavano solo gli op?rai a scioperare, ma
anche gli stessi contadini a sospendere i lavori: cos? ad esempio nei Bolognese nei
1916, in provincia di Rovigo, di Ferrara e di Verona nei 1917 (A5G, 81, 162, 1).
71 Vi furono dei casi in cui fu la stessa commissione interna a decidere lo sciopero im
mediato delle donne e dei ragazzi e il ricorso degli uomini al Comitato regionale (ad
esempio alla Westinghouse di Vado: ACS, A5G, 108, 13, 2). Oltre che per incita
mento da parte socialista (secondo le testimonianze prefettizie) le donne venivano
talora indotte a scioperare da militari in licenza (ACS, Presidenza, Bollettino; N. De
Stefano, op. cit., p. 211). Tutto il problema della contrapposizione tra ? fanti conta
dini ? e ? op?rai imboscati ? ? su cui insistette la propaganda interventista e su cui,
come noto, sono tornati recentemente alcuni studiosi, in particolare il Melograni ?,
e in genere quello dell'antinomia tra citt? e campagna, dovrebbe essere riesaminato alla
luce dei mutamenti avvenuti nella composizione della classe operaia, e sulla base di una
analisi capillare dei fatti. Cfr. a proposito le osservazioni di A. Camarda, S. Peli, op.
cit., pp. 61 sgg.; G. Rochat, op. cit., pp. 76 sgg.
72 Cfr. I conflitti..., cit.; A. Serpieri, La guerra e le classi rurali italiane, Bari-New
Haven, 1930, pp. 266-267, 273, 284-285.
73 Su tali provvedimenti legislativi e in particolare sulla Mobilitazione agraria si veda
F. Piva, Mobilitazione agraria e tendenze dell'associazionismo padronale durante la
?grande guerra?, in ?Quaderni storici?, 1977, n. 35.
74 Cfr. A. Altobelli, Relazione morale e finanziaria 1911-1918. V Congresso nazionale
dei lavoratori della terra. Bologna, 13-15 giugno 1919, Bologna, s.d. (poi in Lotte
agrarie in Italia. La Federazione nazionale dei lavoratori della terra 1901-1926, a cura
di R. Zangheri, Milano, I960).
77 Cfr. ACS, b. 65B. Fondamentale fu nei marzo l'accordo per le zone risicole in
provincia di Pavia e Novara, tradotto in decreto il 14-3-1918, n. 350, con il quale i
sindacati ottenevano la regolamentazione org?nica del collocamento e la prevenzione
arbitrale dei conflitti: A. Serpieri, op. cit., p. 258. Per quanto riguarda il Lazio,
dove le lotte nei 1918 cessarono quasi del tutto,- si deve ricordare il D.Lt 1-10-1916,
n. 1257, con il quale le sentenze di sfratto pronunc?ate dopo l'entrata in guerra furono
sospese a sei mesi dopo la pace. Vedi, oltre a A. Caracciolo, Il movimento contadino
nei Lazio, Roma, 1952, pp. 149-154, A. Parisella, Le lotte dei contadini del Lazio
dalla guerra al fascismo (1914-1923), in ?Annali dell'Istituto Aleide Cervi?, I,
1979, pp. 201-214.
78 Cfr. 1 conflitti..., cit.; per quanto riguarda la percentuale degli scioperi diretti dalla
Fiom, v. B. Bezza, op. cit., pp. 85-86.
79 E. Ragionieri, op. cit., p. 1030; v. anche S. Caretti, La rivoluzione russa e il
socialismo italiano (1917-1921), Pisa, 1974, pp. 43-48.
la loro azione gia prima della guerra, essi infatti svolsero una intensa
opera di stimolo e di organizzazione, traducendo l'insofferenza dei lavo
ratori in lotte vaste e prolungate, dense di contenuti politici. A Piombino,
a Terni, tra i minatori di San Giovanni Valdarno e di Castelnuovo de'
Sabbioni, tra i fonditori milanesi, e soprattutto nelle agitazioni dei si
derurgici e metallurgici liguri, la loro presenza fu spesso determinante.
Tuttavia, se studi sulle situazioni locali potranno permettere di impo
stare in termini piu' rigorosi il rapporto tra spontaneita e organizzazione
delle lotte, ci sembra che si possa comunque affermare che la spinta alla
loro radicalizzazione provenne dalle stesse masse operaie, cui la guerra
fece rapidamente maturare una coscienza non solo sindacale, ma anche
politica. Se le condizioni di eccezionale sfruttamento e di repressione
condussero la classe operaia al rigetto di posizioni moderate ed econo
micistiche (di cui fanno testo i numerosi casi di insubordinazione alla
linea concordata dal sindacato confederale), contemporaneamente la pre
senza in fabbrica di esponenti dell'esercito, dai quali dipendeva il con
trollo del lavoro e la commissione delle pene disciplinari, il ricorso in
caso di controversie ad organi di Stato, resero evidente il nesso che
legava il potere economico al potere politico, e fecero acquisire alla classe
operaia la consapevolezza della necessit"a di una battagolia non solo contro
il sistema di sfruttamento in fabbrica, ma anche contro il regime po
litico che se ne faceva garante.
Un processo analogo maturo tra le masse contadine. I richiami alle armi,
con le loro lugubri conseguenze, la vessazione governativa praticata attra
verso prezzi d'imperio e requisizioni, rinnovarono nelle campagne non mai
sopiti sentimenti antistatali, le cui piui evidenti manifestazioni furono
gli assalti ai simboli del potere, municipi e prefetture. Ma la ribellione
contadina non si configurava piu come rivolta anarchica di stampo otto
centesco, lo Stato apparendo ora il baluardo di difesa della proprieta dei
<< signori >>, quella proprieta di cui le vicende di guerra stavano facendo
ridiscutere la distribuzione.
Lo spirito di rivolta fu nutrito anche dalla coscienza del proprio ruolo,
che la guerra maturo negli operai e nei contadini. Nelle fabbriche la
mancanza di mano d'opera - fenomeno inedito nella storia del paese -
rese consapevole la classe operaia della propria funzione indispensabile
all'interno della produzione; e sentimenti simili ispirarono i contadini,
alimentate dalla fitta propaganda che sublimava il sacrificio del fante,
posto a perno dell'epica nazionalpatriottica, e dalle promesse di una ri
compensa materiale, la terra.
II progetto di ricomposizione sociale, cui il conflitto, secondo gli in
tendimenti della classe dirigente italiana, avrebbe dovuto dar vita, si
poteva dire fallito: le esperienze di quei tristi anni avevano maturato al
contrario una piu diffusa e radicata coscienza dei propri diritti e dell'anta
gonismo sociale e politico. Su di essa si innester'a nel dopoguerra il mito
della rivoluzione che proveniva dalla Russia bolscevica.