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ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

(si è visto che gli astronauti in assenza di gravità avevano un riassorbimento dell’osso)

Inoltre, si è visto che l’attività endocrina dell’osso è svolta dal fattore FGF23 (fibroblast grown factor 23)
prodotto a livello degli osteociti.

Questa immagine ci fa vedere la deposizione delle cellule in maturazione:

Se andiamo a fare una analisi genica


troveremo molte similitudini in queste
popolazioni, e l’espressione di marker sempre più specifici nelle varie popolazioni

• OSTEOCLASTA

È una cellula con azione erosiva, deriva dai progenitori monocito-macrofagici, è in grado di scivolare
lungo la superficie dell’osso, una volta attivata è in grado di riassorbire la matrice.

La formazione è mediata da una serie di fattori (es. MCSF, prodotto anche dagli osteoblasti e altri tipi
cellulari, favorisce la fusione dei singoli monocito-macrofagi nella formazione di una cellula
plurinucleata)

È una cellula plurinucleata, per poter essere in grado di svolgere la sua attività viene attivata da una
molecola prodotta dagli osteoblasti e da altre popolazioni, ovvero il RANKL (si legge rank-elle) cioè il
ligando per il rank, che è un recettore specifico di membrana degli osteoclasti.

Il riassorbimento è mediato da due ormoni: paratormone (stimola l’attività degli osteoclasti) calcitonina
(inibisce- prodotto dalle cellule C della tiroide). Il paratormone ha il recettore sugli osteoblasti, i quali
percepiranno la sua attività e stimoleranno l’osteoclasta attraverso il RANKL, invece l’inibizione è
un’attività diretta sull’osteoclasta (unica cellula che possiede il recettore per la calcitonina).

Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 7 di 22
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Queste sono immagini di osteoclasti.

Per svolgere l’attività erosiva gli osteoclasti hanno la necessità di legarsi strettamente con la superficie
dell’osso, lo fa attraverso contatti focali chiamati PODOSOMI (sfrutta le integrine della membrana
cellulare e i filamenti di actina, associandosi ad alcuni elementi della matrice) grazie a questi e altre
modificazioni del citoscheletro formano un anello sigillante (chiamato sealing zone) zona sigillante o
zona chiara, che fa in modo che l’osteoclasta aderisca sulla superficie dell’osso come una ventosa.

Una volta che mi si è formata la ventosa (ultima foto) la parte di membrana cellulare che si trova
all’interno della sealing zone comincia a rilevarsi e a formare un orletto striato, o ruffled border, con
estroflessioni di membrana plasmatica in cui si trovano vari vacuoli, granuli e vescicole. L’orletto
increspato mi serve per aumentare la superficie a contatto con la zona di erosione ed è coinvolto nei
processi di riassorbimento osseo.

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Immagini in microscopia ottica ed elettronica di osteoclasti:

Normalmente un osteoclasta ha dai 3 ai 10 nuclei

• Dissoluzione dell’osso

La lacuna di Howship (zona in basso più scura) è quella


che mi permetterà la dissoluzione della matrice
dell’osso, in maniera completa (organica e non).

Il processo inizia con l’abbassamento del pH all’interno


della zona di erosione, facilita così la rimozione della
componente inorganica e l’espulsione di elementi
organici. Ci sarà una anidrasi carbonica a livello
dell’orletto striato che genera acido carbonico a partire
da CO2 e H20 e le pompe di ioni H+ trasportano
attivamente protoni. A questo livello ci sono anche delle
pompe che pompano verso l’esterno lo ione cloro.

Come primo effetto l’abbassamento del pH (tra 4 e 5) ha la dissoluzione della componente minerale,
successivamente attraverso la formazione e l’espulsione delle idrolasi lisosomiali (l’osteoclasta è
ricchissimo di lisosomi), potrò distruggere la componente di proteoglicani e GAG e una serie di proteine
presenti a livello della superficie dell’osso, mentre avrò la produzione successiva di collagenasi.

L’enzima proteico che si occupa di sciogliere la componente non collagenica è la catepsina K, questa ci
servirà per attivare un enzima (TRAP-fosfatasi acida tartrato resistente) fondamentale per sciogliere le
componenti organiche.

L’osteoclasta libera inoltre l’attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA) il quale va ad attivare la
plasmina e, da qui, la collagenasi latente o procollagenasi che provvede alla digestione della ECM
dell’osso.

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Dopo che questi enzimi hanno svolto il loro lavoro, vengono espulse le collagenasi che vanno a rompere
gli elementi della matrice extracellulare.

Teniamo presente che tutto quello che viene sciolto a livello della lacuna di howship viene
immagazzinato da parte dell’osteoclasta e attraverso un meccanismo di transcitosi (soprattutto lo ione
calcio) viene messo a contatto con la componente vascolare.

Gli elementi riassorbiti vengono internalizzati nell’osteoclasta e in parte ridistribuiti (particolarmente


il calcio al sangue, ione che dobbiamo distribuire agli altri distretti) o riutilizzati.

La funzione osteoclastica è regolata da fattori ormonali e locali. In particolar modo sono le uniche cellule
dell’osso che possiedono i recettori per la calcitonina (ormone prodotto dalle cellule C della tiroide,
antagonista al paratormone).

La calcitonina determina il distacco degli osteoclasti dalla superficie dell’osso, la scomparsa dell’orletto
striato e si ha una riduzione del metabolismo cellulare. L’effetto è la diminuzione della concentrazione
ematica del calcio (calcemia). Questa cellula può scorrere sulla superficie, e potrà essere riattivata.

Gli osteoclasti non hanno invece i recettori per il paratormone (PTH), ma questa si esplica tramite
osteoblasti che liberano fattori solubili (RANKL) che agiscono sugli osteoclasti attivandoli e
promuovendo il riassorbimento osseo. Alcune citochine come IL-1, IL-6, TNF-alfa stimolano questo
riassorbimento, le prostaglandine invece lo inibiscono.

Immagini che fanno vedere un osteoclasta e la sua attivazione

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Abbiamo parlato di tutti gli elementi cellulari, ora andiamo a capire com’è fatta la matrice extracellulare
dell’osso, che abbiamo detto è costituita da una componente organica e da una componente inorganica,
e la componente inorganica normalmente la definiamo osteoide

LA MATRICE EXTRACELLULARE
Se io vado a considerare la matrice organica dell’osso, in realtà le classi di macromolecole che vanno a
costituirla sono per buona parte le altre classi di macromolecole che io ritrovavo negli altri tessuti
connettivi. Quindi io troverò fibre collageniche, troverò dei proteoglicani, troverò delle
glicoproteine, e in più a livello del tessuto osseo troverò un paio di classi di proteine che sono
abbastanza selettive del tessuto osseo, che sono le sialo- proteine, ovvero la Osteopontina e la BSP-II
e le cosiddette Proteine GLA, che sono l’Osteocalcina e un’altra proteina, la proteina GLA della
matrice, il cui ruolo è ancora poco conosciuto. Come vedete, la componente organica rappresenta il 25-
30%, la componente inorganica ne rappresenta la stragrande maggioranza. Solo una piccola parte della
matrice extracellulare dell’osso è rappresentata dall’acqua, mentre nella cartilagine, vi ricordate,
avevamo per la stragrande maggioranza l’acqua, e qui ne abbiamo molto poca.

Ma perché ne abbiamo molto poca? Perché a differenza di


quello che succedeva nel tessuto cartilagineo, se io vado a vedere la componente organica, è costituita
per la stragrande maggioranza da fibre collageniche, una piccola parte è costituita dagli altri elementi.
Un aspetto importante da tenere a mente è che però questi elementi, pur essendo così pochi da un punto
di vista percentuale, sono fondamentali per fare in modo che la matrice extracellulare sia una matrice di
tipo mineralizzato; cioè questi elementi mi servono a fare in modo che l’elemento minerale si leghi
chimicamente in maniera perfetta alla componente organica. I due elementi cioè devono essere
compenetrati gli uni agli altri, come le macchie su un tessuto: come se voi macchiaste di vino un tessuto,
e queste macchie rimanessero attaccate perfettamente, se non intervenite attraverso una acidificazione
(la varichina, ad esempio), questa componente minerale non si può eliminare. Non dovete quindi
pensare agli elementi minerali come un qualcosa di “appoggiato” alla matrice, ma è qualcosa che è
all’interno della matrice.

Le fibre collageniche
Per quanto riguarda le fibre connettivali, dirò poco, perché in realtà ne abbiamo già parlato a livello dei
tessuti connettivali e in parte a livello della cartilagine. Il collagene, che è presente a livello di un tessuto
connettivo, è un collagene di tipo I leggermente differente rispetto a quello che trovate ad esempio nel
derma perché qui ci sono un numero leggermente superiore di residui di idrossiprolina e idrossilisina,
quindi questo permette dei cross-linking più stabili a livello della formazione delle fibre collageniche. È
importante che nella formazione della fibra collagenica di tipo I venga rispettata questa struttura con
questa periodicità perché sarà proprio a livello di questa periodicità che noi avremo la possibilità di
andare a far legare la componente minerale con la componente collagenica. Quindi è estremamente

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importante che la struttura del collagene sia ben costituita con questa periodicità (periodo di 64-70 nm),
queste aperture, questo sfalsamento nella formazione, nell’unione degli elementi del tropocollagene.

I proteoglicani

Per quello che riguarda i proteoglicani (i proteoglicani, vi ricordo, come succedeva negli altri connettivi
succede anche qui) sono degli elementi che sono importanti per legare le molecole d’acqua, quindi sono
quegli elementi che servono al mio tessuto osseo ad avere possibilità di legare molecole d’acqua per
poter resistere ai fenomeni di compressione. Normalmente la componente fibrillare è una componente
che serve per le sollecitazioni in tensione, se io ho delle sollecitazioni in compressione (come nell’osso),
ho altri elementi macromolecolari che mi permettono di legare l’acqua che è la struttura che mi permette
di rispondere ai fenomeni di compressione. Per quello che riguarda i proteoglicani, a livello dell’osso ce
ne sono due particolari, che sono il Biglicano e la Decorina. Il Biglicano (PG-I) è costituito da due
molecole di condroitinsolfato, lo si trova sia nella componente mineralizzata che in quella non
mineralizzata, mentre la Decorina (PG-II) è quella che svolge un ruolo fondamentale nel favorire
l’interazione tra la componente minerale e la componente inorganica e serve proprio a favorire il
corretto orientamento delle molecole inorganiche che escono come una sorta di cristalli di idrossiapatite
in maniera da orientarli ed inserirli perfettamente all’interno di quelle aperture che avevamo visto a
livello del collagene. Normalmente la sua concentrazione aumenta enormemente a livello della
componente che sta mineralizzando. È abbastanza bassa la sua concentrazione a livello dell’osteoide.
Aumenta la sua concentrazione proprio nel punto in cui dobbiamo prevedere la mineralizzazione della
superficie delle molecole della matrice extracellulare dell’osso

Le glicoproteine

Per quello che riguarda le glicoproteine sicuramente la più importante è la fosfatasi alcalina. In linea
di principio tutte le glicoproteine giocano un ruolo importante nel processo della mineralizzazione. La
fosfatasi alcalina è un enzima che si trova associato sia alla membrana plasmatica, sia alla membrana
vera e propria che ha delle vescicole che possono gemmare dalla membrana ed è in grado di idrolizzare
i gruppi fosfato in un ambiente alcalino (ph 8-10) e quindi mettere a disposizione ioni fosfato per la
formazione dei cristalli minerali che fanno parte della componente inorganica dell’osso. È un enzima
fondamentale per tutti i meccanismi di mineralizzazione, di legare componente organica e componente
inorganica.

Un’altra glicoproteina importante è la Fibronectina. In realtà la fibronectina è una glicoproteina


ubiquitaria, la ritroviamo a livello di tutti i tessuti connettivi, ma è una molecola importante perché è
quella che media l’adesione di tutte le componenti cellulari alla componente di matrice extracellulare.
Anche in questo caso dovete sempre ricordare che matrice extracellulare e cellule devono avere la
possibilità di entrare in contatto reciproco tra di loro in maniera da far variare la composizione della
matrice in relazione alle informazioni che arrivano da parte della matrice a livello delle cellule. Quindi
la fibronectina attraverso le integrine è quella glicoproteina che mi serve proprio a favorire l’elemento
importante per la trasduzione del segnale in seguito alle variazioni di carico che arrivano a livello della
matrice extracellulare. Un’altra glicoproteina abbondante a livello dell’osso è l’osteonectina. Anche
l’osteonectina media, avendo una elevata affinità per il calcio, il processo di mineralizzazione perché
vedremo, nel processo di mineralizzazione dovremo arrivare alla necessità di avere un’alta
concentrazione di molecole che contengono lo ione calcio per favorire un fenomeno che è quello di
rottura delle vescicole che contengono la componente organica e favorire il suo legame con la
componente inorganica. In realtà, sembra che l’osteonectina che è presente sia nella matrice
mineralizzata che in quella non mineralizzata, se nella parte mineralizzata svolge questo ruolo nella

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precipitazione del fosfato di calcio in quel fenomeno che va sotto il nome di nucleazione, negli osteodi
sembra avere un ruolo anche nel processo di proliferazione degli osteoblasti andando ad avere una sorta
di attività in sinergia con i fattori di tipo insulino-simili.

Sialoproteine o BSP (bone sialoprotein) Le proteine più specifiche dell’osso sono le sialo-proteine e
le Proteine GLA. Le sialoproteine sono proteine che contengono una sequenza particolare che viene
normalmente definita con l’acronimo di RGD (sequenza di Arginina, Glicina e Acido Aspartico), che è
una sequenza fondamentale per l’adesione cellulare. Di queste soprattutto la BSPII è fondamentale per
favorire quel processo di ancoraggio degli osteoclasti, inoltre ha alta affinità per il calcio grazie alle
sequenze poliacidiche. Quindi delle Bone sialo proteins ne riconosciamo due, una è l’osteopontina che,
come dice il nome, media l’adesione delle cellule al collagene e poi del collagene alla componente
minerale, mentre la BSPII è fondamentale per seguire la formazione di quegli elementi che si chiamano
normalmente podosomi. La formazione dei podosomi da parte delle cellule osteoclastiche è legata alla
capacità degli osteoclasti di riconoscere sulla matrice extracellulare gli elementi di BSPII, quindi favorire
il legame tra le integrine specifiche dell’osteoclasto e di BSPII. La mancanza di BSPII non permette il
legame degli osteoclasti. Un altro esempio è la glicoproteina acida dell’osso (BAG-75).

Proteine GLA. Le ultime proteine sono le proteine GLA, che si chiamano così perché possiedono
all’interno un residuo di acido carbossiglutammico, che deriva dalla vitamina K e serve a queste
molecole ad agire come chelanti del calcio. Quindi queste molecole servono anch’esse a favorire il
processo di mineralizzazione. Durante le tappe di differenziamento l’osteocalcina è l’ultima molecola ad
essere prodotta da parte degli osteoclasti
osteoblasti (ricordiamo che gli osteoclasti
osteoblasti vanno incontro ad un processo
differenziativo che poi li porterà ad essere osteociti). Poco prima di diventare osteociti, gli osteoblasti
osteoclasti
producono calcina, la quale osteocalcina contribuisce a sequestrare il calcio e quindi a favorire il
meccanismo della mineralizzazione. È vero che l’osteocalcina favorisce il legame con il calcio e quindi
interviene nel processo di mineralizzazione, ma in realtà ha una attività regolatoria. Abbiamo detto che
l’attività di mineralizzazione della matrice ossea può avvenire per un 70%. Quando i livelli di
osteocalcina diventano particolarmente alti, questi livelli di osteocalcina mi bloccano il processo di
mineralizzazione per evitare che la componente che si lega alle fibre collageniche superi la quantità del
70%. Quindi ha una doppia funzione: di legare il calcio e favorire i processi di mineralizzazione, ma
quando i suoi livelli man mano che si differenziano, raggiungono un valore soglia, inibiscono il processo
di mineralizzazione per controllare la percentuale di quantità minerale che si lega con la componente
organica. Viene sintetizzata dalla vitamina D3, la sua valutazione del siero può dare informazioni sulla
formazione di nuovo tessuto osseo. Inoltre si comporta come un ormone stimolando la proliferazione e
la secrezione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas.

Matrix Vescicle. La matrice minerale dell’osso è rappresentata dal fosfato di calcio, carbonato di
calcio e carbonato di magnesio. Il fosfato di calcio prende il nome di cristalli di idrossiapatite. La
matrice inorganica dell’osso aumenta durante lo sviluppo e l’accrescimento fino a raggiungere un 67-
70% ed è presente prevalentemente sotto forma di Sali di fosfato di calcio che prende il nome di
idrossiapatite, ma è anche presente sotto forma di carbonato di calcio e di carbonato di magnesio. Come
avviene la mineralizzazione della matrice ossea? Abbiamo detto che l’aspetto importante è che dobbiamo
avere un legame chimico tra la componente organica e la componente inorganica. Da parte dei miei
osteoblasti, cioè la mineralizzazione della matrice ossea avviene da parte delle molecole che vengono
prodotte da parte degli osteoblasti, sia la componente organica che la componente inorganica, e
normalmente gli osteoblasti sono capaci di produrre delle vescicole di matrice che prendono il nome di
Matrix Vescicles.

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fig.1

fig.2

Queste Matrix Vescicles sono in grado di accrescersi e di liberare cristalli di idrossiapatite nella parte
non calcificata. Poi questi cristalli di idrossiapatite vanno incontro ad un fenomeno di unione formano
queste strutture aghiformi che si organizzano e si legano lungo le fibre di collagene immersi in una
sostanza fondamentale amorfa. Gli ioni superficiali di idrossiapatite sono idratati e intorno al cristallo si
forma uno strano di ioni e acqua detto guscio di isratazione. Le vescicole di Bonucci (matrix vescicle)
in realtà sono vescicole che vengono a formarsi da tutti i tessuti che sono in grado di fare calcificazione.
Quindi sono strutture che si formano fisiologicamente nei tessuti che possono calcificare, e quindi negli
osteoblasti. In realtà li troveremo anche nei condrociti nelle fasi in cui dovranno andare a dare un’origine
al tessuto osseo, negli odontoblasti, che sono le cellule responsabili della formazione della dentina, ma
anche in alcune sedi a livello dei vasi in cui può avvenire una calcificazione patologica. La calcificazione
patologica, è la formazione di indurimenti, calcificazioni ectopiche, cioè al di fuori della sede ordinaria,
che avvengono proprio perché le cellule sono in grado di andare a produrre queste vescicole della
matrice. Sono delle vescicole, come dice il nome, circondate dalla membrana che hanno un elevato
contenuto enzimatico e soprattutto contengono della fosfatasi alcalina. La fosfatasi alcalina è quella
glicoproteina che favorisce la formazione dei cristalli di idrossiapatite. Quindi la presenza di questo
enzima sulla superficie interna della membrana permette la generazione della componente minerale
della vescicola della matrice. La formazione di queste vescicole è mediata dall’attività dei mitocondri. I
mitocondri sono quegli elementi cellulare in grado di contenere al loro interno una enorme quantità di
ioni calcio e condividono la possibilità di mantenere ioni calcio attraverso il reticolo endoplasmatico
liscio. Le vescicole si possono caricare lo ione calcio all’interno della cellula, legano lo ione calcio, lo ione
calcio viene pompato all’interno delle vescicole, e all’interno delle vescicole, grazie alla fosfatasi alcalina,
abbiamo la possibilità di formare i cristalli di idrossiapatite e andarli a concentrare al loro interno.
L’accrescimento è dettato dal fatto che le vescicole aumentano la concentrazione di cristalli di
idrossiapatite, le vescicole vengono via via veicolate verso la superficie della cellula, vengono secrete,
fuoriescono mediante esocitosi dalla cellula. Mano a mano che fuoriescono dalla cellula la quantità di
elementi di idrossiapatite aumenta fino a far rompere la vescicola contenente cristalli di idrossiapatite
che vanno a precipitare all’interno delle fibre collageniche andando ad occupare quegli spazi liberi che
si trovano inframezzati nella matrice nella costituzione delle fibre collageniche. Non faccio altro che
aumentare la componente di cristalli di idrossiapatite, questi diventano sempre più grandi, vanno a
costituire dei veri e propri noduli di mineralizzazione, che vanno a colonizzare le fibre collageniche.
Questo avviene al di fuori della cellula. Vedete quindi che, se questo è l’osteoblasta, che produce le
vescicole della matrice che contengono calcio, secerno da parte degli osteoblasti gli elementi del
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collagene, i quali (tropocollagene) si dovranno associare fin a costituire gli elementi della fibra
collagenica vera e propria. Qui vado a formare le vescicole della matrice, le quali dovranno arrivare ad
avere la stessa concentrazione e a rompersi solo e unicamente dove avrò la conformazione corretta del
collagene. Quindi la sostanza osteoide in realtà ha comunque la componente minerale presente sotto
forma di vescicole di idrossiapatite, ma le vescicole di idrossiapatite sono in grado di liberare
idrossiapatite solo quando avrò la giusta concentrazione di ioni calcio, le vescicole saranno arrivate a
rompersi, avrò la giusta concentrazione di molecole di matrice extracellulare che mi favoriranno il loro
inserimento e la mia fibra collagenica avrà raggiunto la sua perfetta conformazione. L’osteoide è quindi
solo quella parte della matrice extracellulare in cui ho già tutti i componenti che mi serviranno alla
mineralizzazione, ma non sono ancora riuscita a metterli insieme per poter mineralizzare l’osso. Quindi
è questo il motivo per cui di fianco ad un osteoblasta avrò sempre una certa quantità di osteoide, perché
ottengo il tempo necessario per far arrivare tutti i componenti alla giusta concentrazione per andare a
formare la matrice dell’osso.

fig.3

Domanda: il calcio entra sia a livello cellulare sia a livello delle vescicole, quindi quando sono già a livello
extracellulare?

Esistono due teorie: secondo alcuni autori (in realtà sulle vescicole di matrice si sa ancora molto poco)
in realtà queste si formano solo a livello endocellulare e quindi tutti i meccanismi di formazione di
cristalli di idrossiapatite avvengono per meccanismi di ingresso di calcio all’interno della cellula;
secondo altri autori in realtà buona parte del calcio viene portato all’interno delle vescicole perché su
queste vescicole vengono mantenute delle pompe che pompano all’interno calcio, simili a quelle del
reticolo endoplasmatico liscio e dei mitocondri. Reticolo endoplasmatico liscio e mitocondri si toccano,
comunicano tra loro: secondo questi autori queste vescicole mantengono ancora le pompe esterne e
quindi il grosso del calcio viene a essere inglobato all’interno delle vescicole prendendolo dall’ambiente
extracellulare. Va da sé che una volta che io ho pompato calcio e ho ottenuto idrossiapatite, attraverso
la mediazione delle proteine non collageniche vado a far precipitare le strutture a livello delle fibre
collageniche. Quindi quello che si sa è che sicuramente queste strutture arrivano a livello delle fibre
collageniche e a questo livello rompono il loro contenuto e liberano idrossiapatite, che si lega. Ora, sulla
loro nascita in realtà ancora non si sa molto e questo è importante per andare a studiare le alterazioni
delle patologie a livello osseo, ma diventa estremamente importante perché ci sono anche altre
patologie in cui si hanno delle calcificazioni ectopiche, al di fuori, che vanno ad alterare la struttura

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dell’organo e quindi l’andare a comprendere come queste si possano formare e dove intervenire per
evitare che queste si formino, sicuramente rappresenta un target interessante da un punto di vista
terapeutico.

fig.4

È ovvio che tutto l’osso sia mineralizzato, ma la stragrande maggioranza del contenuto di calcio è
presente a livello dell’osso compatto corticale, quello più esterno, mentre meno calcio è presente a
livello dell’osso di tipo trabecolare. Quindi questa è la struttura che vi riporta a livello nanoscala a livello
macrometrico quella che è la struttura dell’osso. Noi abbiamo visto come è fatto il tessuto osseo da un
punto di vista macroscopico, abbiamo visto come viene fatta la struttura, come avviene la
mineralizzazione. Resta da capire come la struttura a livello nanometrico sia in grado di andare ad
influenzare quella che è la struttura a livello micrometrico.

fig.5

TESSUTO OSSEO LAMELLARE E NON LAMELLARE

Nell’individuo riconosciamo due tipi fondamentali di tessuto osseo: il tessuto osseo che si trova
nell’adulto, che è il tessuto osseo lamellare, e un tessuto osseo che vedremo essere il primo tessuto

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osseo che si forma, che è il tessuto osseo non lamellare. Il tessuto osseo lamellare, che è caratteristico
dell’adulto, prende questo nome perché all’interno dell’osso la matrice extracellulare, le fibre
collageniche, sono assemblate in modo da formare delle strutture che prendono il nome di lamelle.

Da cosa sono fatte queste lamelle?

fig.6

Queste lamelle sono fatte da fibre collageniche che sono orientate nella stessa direzione (la direzione
solo in parte può dipendere dal carico). All’interno di queste fibre collageniche si trovano gli spazi per
ospitare gli osteociti. Se vado ad osservare il mio osso lamellare e vado a osservare l’osso lamellare
compatto, cioè quello che compone le parti più esterne delle diafisi e i tavolati a livello delle epifisi,
vedrò, soprattutto a livello delle ossa lunghe, che il mio osso lamellare è in grado di andare a costituire
quattro zone distinte. Troveremo delle lamelle più esterne sotto il periostio, che chiamiamo lamelle
circonferenziali esterne. Queste lamelle circonferenziali esterne fanno tutto il perimetro dell’osso e la
cosa interessante è che se io in una lamella ho delle fibre collageniche orientate in una direzione, nella
lamella adiacente le fibre collageniche sono sempre orientate nella stessa direzione, sono parallele
all’interno della lamella ma sono orientate di circa 90° rispetto alla lamella precedente. Quindi io vado
a costituire delle lamelle circonferenziali esterne che mi girano tutte le prime in una direzione, le
seconde mi fanno di nuovo tutte lo stesso perimetro, leggermente più stretto ma hanno anche un
orientamento diverso rispetto alle precedenti. Andando verso l’interno troverò delle strutture
piuttosto particolari che si chiamano osteoni, poi troverò delle strutture che sono questi (fig.7), poi
troverò delle strutture che si chiamano lamelle interstiziali e poi andando verso la cavità midollare,
quindi qui avrò l’endostio, (sopra avevo il periostio) andando verso l’interno troverò delle lamelle
circonferenziali interne, lamelle che non fanno altro che, analogamente a quello che succedeva sulla
periferia, andare a costituire delle circonferenze più piccole perché sono quelle che mi delineano la
cavità midollare. La struttura dell’osteone è in realtà l’unità funzionale dell’osso compatto,
soprattutto nei processi di rimodellamento, è un cilindro di lamelle che è costituito da delle lamelle
concentriche che partono da un canale centrale che è il canale di Havers, il tutto per questo viene
detto anche sistema Haversiano. Lo spessore delle lamelle varia dai 3 ai 7 micrometri.

Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 17 di 22
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fig.7

Il canale di Havers è un canale longitudinale rispetto all’osso costituito da endostio, che contiene vasi
e nervi, e a partire da questo canale si vanno a costituire gli osteoni. Questi osteoni sono costituiti da
una serie di lamelle concentriche che hanno il collagene orientato parallelamente all’interno della stessa
lamella ma più o meno perpendicolare nella lamella adiacente. La porzione più esterna dell’osteone
viene definita linea cimentante e in realtà rappresenta la prima lamella che viene formata. Questa linea
è attraversata da canalicoli ossei, contiene proteoglicani, poco collagene, e quindi risulta basofila. Il
canale di Havers ha un diametro che può variare tra i 20 e i 100 micron e in realtà il suo diametro può
minore sarà il diametro del canale di
variare in base all’età dell’osteone: tanto più è vecchio, tanto maggiore
Havers. L’osso longitudinalmente presenta questi canali di Havers, che comunicano trasversalmente con
altri canali, che sono i canali di Volkmann, anche questi rivestiti da endostio, sboccano sia sulla
superficie periostiale dell’osso che in quella endostale, affacciata sulla cavità midollare. Se vi ricordate,
vi avevo detto che all’interno dell’osso tutte le cellule comunicano attraverso gap junctions, e tutte le
cellule comunicano tra endostio e periostio. L’endostio si trova all’interno dei canali di Havers, quindi
all’interno di questa porzione di osso avrò la possibilità di far comunicare tra le cellule pre-
osteoblastiche dell’endostio tutti gli osteociti, tutta la porzione di osso è in grado di avere una
comunicazione attraverso gap junctions. Quindi di fronte a qualsiasi modificazione che mi può avvenire
a livello delle cellule che sono nel mio osteone, ad esempio se un osteocita si accorge che qualcosa non
funziona, l’osteocita è in grado di dare segnali a tutte le altre cellule e favorire le modificazioni e il
rimodellamento della struttura dell’osso. Questa (fig.8) è una immagine di un microscopio elettronico
a scansione dove voi avete il canale di Havers, le lacune in cui trovate gli osteociti (questo è un
ingrandimento della lacuna, quindi lo spazio occupato dal vostro osteocita) e all’interno trovate i
buchetti che vi indicano i canalicoli ossei che si vedono in realtà anche a questo livello perché è stato
tolto il periostio. Quindi la comunicazione è tra questo canale di Havers e tra tutte le cellule che si
trovano all’interno della nostra lamella.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

fig.8

In realtà quando vado a vedere le lamelle, queste non sono tutte uguali: ci sono due teorie. Secondo
alcuni c’è una variazione molto evidente della disposizione del collagene, secondo altri in realtà non è
così evidente. Quello che è vero invece è che ci sono delle lamelle molto più sottili, di circa 3 micron, che
sono più ricche in microfibrille e meno mineralizzate e sono quelle che mi servono anche per le
sollecitazioni in tensione e in torsione: se sono oppiofibrille sono quelle che servono per le sollecitazioni
in tensione. Ci sono invece delle lamelle più spesse, di circa 7 micron di diametro che sono quelle che
mi contengono al loro interno il corpo dell’osteocita (dobbiamo sempre mettere un osteocita dentro
questa struttura, perché è quello che poi permetterà la sua formazione) che sono invece quelle più
responsabili delle sollecitazioni in compressione. Quindi attraverso l’alternarsi di queste due strutture
riesco ad ottenere un osso lamellare, che è la struttura migliore da un punto di vista di performance per
la contrapposizione alle forze cui l’osso viene sottoposto. Ci tengo a sottolineare che la disposizione di
lamelle ricche in microfibrille e ricche in minerale la trovate sia nell’osteone quando io vado a
considerare le lamelle dell’osteone, le lamelle circonferenziali di tipo lamellare anche l’osso spugnoso,
con lamelle che non vanno a costituire osteoni, ma che vanno a costituire direttamente le trabecole.

Questo (fig.9) è di nuovo un osteone, quello posto centralmente è il canale di Havers, se voi osservate,
queste sono le lamelle, alcune sono blu, altre sono celesti. Questa diversa colorazione è legata alla
diversa disposizione delle fibre collageniche e alla diversa quantità delle fibre collageniche. Queste
strutture sono quelle che vi permettono di indicare: quella sorta di millepiedi non è altro che la lacuna
ossea con i vari canalicoli. Vedete in questa lamella c’è il corpo cellulare, mentre in questa si vedono solo
ed esclusivamente i canalicoli, quindi non in tutte le lamelle ci sono i corpi cellulari.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

fig.9

È molto probabile che le due teorie non siano due teorie contrapposte, ma in realtà siano due teorie che
si congiungono (quindi variazione dell’orientamento delle fibre collageniche ma alternanza di zone più
spesse e meno spesse con una componente minerale differente).

Queste sono le lamelle interstiziali, quindi quelli che voi vedete sono i vari osteoni. La formazione
dell’osteone avviene in maniera centripeta, cioè l’osteone comincia a formarsi dal canale di Havers, dalle
cellule pre-osteoblastiche del canale di Havers che producono matrice minerale. Questa matrice
minerale viene prodotta verso l’interno del canale di Havers e quindi man mano che produce l’osteone,
il canale di Havers si riduce.

Fateci caso, in questo avete che lo spessore dell’osteone è questo,

in bianco il diametro del canale di Havers.

Più piccola è la dimensione del canale di Havers, più è vecchio l’osteone. Le lamelle interstiziali derivano
dal rimodellamento dell’osteone, e quando si va a rimodellare, siccome i carichi durante il
rimodellamento in parte variano, non rimodellerò mai perfettamente un osteone, ne rimodello solo una
parte,e quindi la restante parte mi rimane come lamella interstiziale. La formazione del mio osteone
nasce il canale di Havers, il canale di Havers comincia la sua deposizione e vado a costituire il mio
osteone. Vedete questo mi si costituisce al di sopra di altri e questo mi determina la presenza delle
lamelle di tipo interstiziale.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

Quindi, andando a riassumere, quando andremo ad osservare un tessuto osseo in microscopia ottica,
gli elementi che riusciremo ad analizzare a seconda delle porzioni che vediamo sono rappresentate dal
periostio esternamente, lamelle circonferenziali esterne, osteoni, lamelle interstiziali, lamelle
circonferenziali interne, ovviamente tutte rivestite, le cavità: canale di Havers e canale di Volkmann
rivestite di endostio, lamelle circonferenziali interne, un sottile strato di osso spugnoso e la cavità
midollare. Osso spugnoso e cavità midollare sono sempre rivestite da endostio.

Quando vado ad osservare l’osso posso osservare sezioni non decalcificate, e quindi le ottengo per
usura, in questo caso vado a vedere gli spazi occupati dalle cellule, non vedo le cellule, quindi qui riesco
ad identificare l’osteone, riesco ad identificare non tanto l’osteocita ma lo spazio occupato dall’osteocita,
il canale haversiano e quindi i canalicoli ossei

Usando una sezione decalcificata, cioè elimino la componente minerale e tratto il tessuto come fosse
un qualsiasi tessuto, quindi la fissazione viene fatta uguale ma poi provvedo a decalcificare, eliminare
tutto il minerale e poi includo tutto normalmente, e quindi in questo caso, questo è l’osteone, avrò

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ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

effettivamente gli osteociti, un canale haversiano, un canale di Volkmann rivestiti da endostio.

In questa immagine abbiamo una colorazione di tipo tricromico, vedo il canale haversiano in blu, è
rappresentato proprio dall’endostio. In questo caso avrete solo la sezione non decalcificata e quindi
vedete tutto lo spazio occupato da quella che sarebbe la componente cellulare.

In questo caso questa è una ematossillina-eosina classica, queste invece sono delle sezioni non
decalcificate trattate con la china per far vedere quali sono gli spazi occupati dagli osteoni. Questo
osteone è ben evidente, questi sono tre osteoni e in mezzo ci passa un canale di Volkmann.

Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 22 di 22
ISTOLOGIA
“OSTEOGENESI”
ID lezione ISTO09 Modulo Isologia
Data lezione 29 Marzo 2021
Autore Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe
Lezione tenuta
da
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima

Argomento Ossificazione, rimodellamento osseo, riparo fratture, fattori coinvolti

Eventuali
Slide proiettate a lezione (lezione 19)
riferimenti

Il termine che normalmente si utilizza per parlare di formazione dell’osso è osteogenesi.


Questo non è un processo che nasce e si conclude durante il periodo embrionale o fetale, ma è un
processo che ci accompagna per tutto il periodo della nostra vita. Per cui abbiamo:
1. un’osteogenesi primaria che è quella che avviene durante il periodo embrio-fetale ed è quella che
dà origine alla formazione del tessuto osseo;
2. un’osteogenesi di tipo secondario che avviene nel tessuto osseo ancora immaturo ed è quel
meccanismo che ci permette di accrescerci in lunghezza e in dimensioni di osso;
3. un processo di rimodellamento dell'osso il quale è normalmente presente in parte durante la
formazione dell’osso ma marcatamente presente durante tutta la vita dell’individuo.

OSSIFICAZIONE
Partiamo dalla vera e propria formazione dell’osso, quindi da un meccanismo di comparsa del tessuto
osseo che può essere deEinito anche come ossi8icazione.
All’interno del nostro organismo noi abbiamo due possibilità di inizio di formazione dell’osso e questo
avviene a livello embrionale a partire dalla 6°/7° settimana. [vi ricordo che le prime otto settimane sono
periodo embrionale, dalla nona settimana in avanti parliamo di periodo fetale]
• Un tipo di ossiEicazione che viene deEinita diretta o intramembranosa perché prevede il
differenziamento di cellule mesenchimali (sono le cellule del primo connettivo che vi si forma) che
vanno direttamente a trasformarsi in cellule in grado di produrre matrice ossea.
• L’altro tipo di ossiEicazione viene normalmente deEinito ossiEicazione indiretta o endocontrale (all’
interno di una cartilagine) perché prevede un passaggio in più : prevede che le cellule mesenchimali
diano prima origine a un abbozzo cartilagineo e successivamente questo verrà sostituito da tessuto
osseo.
Il processo di ossiEicazione deve prevedere che ci sia un differenziamento delle cellule da cellule “più
staminali” a osteoblasti e prevede la produzione di tutta la matrice ossea organica e componente
minerale con la compenetrazione delle due delle due componenti.
Non è la crescita dell'osso perché il processo di crescita dell'osso lo vedremo poi successivamente alla
sua formazione; l’ossiEicazione è una crescita che è di tipo apposizionale in buona parte, oppure per
modi7icazione di tessuti soprattutto nell’ossiEicazione di tipo endocontrale.
TESSUTO OSSEO FIBROSO O PRIMARIO
Nei processi di ossiEicazione in realtà non vado a costituire il tessuto osseo lamellare che avevamo
descritto la volta precedente, ma vado a formare inizialmente un tessuto osseo in cui le mie Eibre
collageniche (5-10 μm di calibro) non sono distribuite in maniera cosı̀ ordinata, ma sono distribuite in
maniera più casuale senza un orientamento deEinito.
ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Queste Eibre collageniche vengono successivamente mineralizzate, per cui da un punto di vista
composizionale è effettivamente matrice ossea.
Questo tessuto viene formato perché conferisce
una resistenza meccanica e un immobilismo
importanti nella formazione del tessuto osseo
stesso, ma è un tessuto che da un punto di vista
meccanico non ha le stesse caratteristiche
strutturali e di resistenza del tessuto osseo di tipo
lamellare. Per cui il tessuto osseo Eibroso viene
deposto durante tutti i processi di formazione
dell’osso, ma poi viene sostituito e rimodellato per
fare in modo che gli osteoblasti siano in grado di
nuovo di produrre un tessuto osseo di tipo
lamellare.
Questo tipo di tessuto osseo quindi viene
comunemente risostituito se non viene sostituito
signiEica che noi avremo un osso più fragile.
Rimane solamente e unicamente: a livello dell'
inserzione dei tendini in piccola parte, ed anche a livello del cemento dentario nel legamento
parodontale che è quella struttura che permette di mantenere il dente inserito all'interno dell' alveolo
dentale (lo spazio di tessuto osseo più o meno spugnoso).

Queste sono due immagini che vi fanno vedere la


differenza tra un osso di tipo non lamellare (primario)
con distribuzione di Eibre collageniche disorganizzata o
un osso di tipo lamellare (secondario). In quest’ultimo
si vedono la struttura dell’osteone, una disposizione
ordinata delle Eibre collageniche e le lacune
osteocitarie.

OSSIFICAZIONE INTRAMEMBRANOSA (diretta)


Una piccola percentuale delle nostre ossa utilizza questo
processo di ossiEicazione: le ossa della volta cranica la
mandibola, anche se con un processo leggermente
differente, e la clavicola, la restante parte del nostro
scheletro ossiEica per ossiEicazioni di tipo indiretto.
Questa ossiEicazione avviene in tre step successivi che
sono in parte quelli che avevamo descritto l’altra volta.
Le cellule mesenchimali (sesta-settima settimana di vita
intrauterina) iniziano a modiEicare la loro morfologia, da
cellule con un aspetto stellato e con tanti prolungamenti
diventano cellule più tondeggianti, iniziano a produrre
delle molecole della matrice extracellulare che sono più
di pertinenza del tessuto osseo (continueranno a
produrre collagene di tipo I con più residui di
idrossiprolina e idrossilisina), producono anche
proteoglicani e glicoproteine importanti per il processo di mineralizzazione. Man a mano che
producono questa matrice entrano degli osteoblasti che rimangono intrappolati all’interno della
matrice e quindi si formano gli osteociti. Questa matrice mineralizzata con all’interno gli osteociti

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costituisce il centro primario di ossi8icazione, cioè il primo punto a livello del quale riesco a
riconoscere che le cellule sono in grado di andare incontro a un processo differenziativo e stanno
iniziando a produrre la matrice dell’osso.

1 Nel disegno a sinistra si vede (in rosso a sx) la prima lamella ossea che si sta formando circondata da
osteoblasti che stanno producendo la matrice; più esternamente si vede il connettivo denso che andrà
a costituire il periostio. Nell immagine istologica a destra la cellula più grande tondeggiante è un
osteoclasta (Oc) con delle cellule osteoblastiche (Ob) unite le une alle altre.


Nello stadio successivo (immagine in basso a sx) si iniziano a vedere gli osteociti che rimangono
intrappolati all’interno della matrice ossea che loro stessi avevano prodotto.
L’osso si espande in direzione centrifuga rispetto al centro di ossiEicazione formando estroElessioni
dette spicole. Questo osso che viene formato immediatamente è un osso di tipo non lamellare, quindi
produzione molto rapida di Eibre collageniche, mineralizzazione delle Eibre collageniche ma ancora un
osso di tipo non lamellare.

2 Una fase successiva è quella in cui dal


mio iniziale abbozzo osseo avrò all’interno
l’intrappolamento di vasi sanguigni che
vanno a vascolarizzare il tessuto osseo in
via di formazione, e il fatto di poter
racchiudere i vasi all’interno di queste
strutture mi permetterà poi la fase
successiva che è la fase di rimodellamento.
L a f a s e d i r i m o d e l l a m e n t o
nell’accrescimento dell’osso mi permetterà
di fare in modo che il tessuto osseo, da
tessuto osseo di tipo non lamellare possa
essere rimodellato per andare a formare
poi la struttura osteonica, nel caso in cui
stiamo parlando di tavolato esterno di un
osso compatto, o eventualmente andare a

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ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

costituire le lamelle del trabecolato se parliamo della parte interna di un osso piatto che è quello che
normalmente si chiama ladiplo.

Questa a sinistra è un’altra immagine che


vi fa vedere un osso all’interno del
t e s s u t o c o n n e t t i v o , q u i n d i
un’ossiEicazione di tipo diretto. Le cellule
connettivali che saranno in vicinanza dei
primi osteoblasti che producono una
matrice, andranno poi a differenziarsi e a
costituire quello che è poi il periostio,
ovviamente la parte di connettivo che
rimarrà intrappolata all’interno del mio
vaso sanguigno poi andrà a costituire
una parte di tessuto endostale. Quindi di
quel connettivo che deve andare a
rivestire tutte le superEici interne
presenti a livello dell’osso.

Quindi nell’ossiEicazione diretta abbiamo la


formazione del tessuto osteoide (componente
organica), la mineralizzazione con formazione di
tessuto osseo non lamellare a Eibre intrecciate
(trabecolato simile allo spugnoso), riassorbimento
di questo tessuto osseo (da parte degli osteoclasti)
non lamellare e nuova deposizione di tessuto
osseo non mineralizzato (osteoblasti), formazione
del tessuto di tipo lamellare e un continuo
rimodellamento, Eino a quando la struttura
scheletrica non viene completamente ad essere
costituita.

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OSSIFICAZIONE DIRETTA DELLA VOLTA CRANICA

Dicevamo che la formazione di tessuto


osseo (ossiEicazione di tipo diretto) è
un’ossiEicazione che avviene a livello
della volta cranica. A livello della volta
cranica voi non avete la formazione di
un unico centro di ossiEicazione
primario ma avete la formazione
c o n t e s t u a l e d i p i ù c e n t r i d i
ossiEicazione.




Più esattamente:
• 2 centri di ossiEicazione per l'osso frontale
• due centri di ossiEicazione per i parietali
• un unico centro di ossiEicazione per l’osso occipitale.
Questi centri di ossiEicazione partono grosso modo da una da una porzione geneticamente ben
identiEicata perché vengono stimolate le cellule in quella posizione e poi parte a raggiera, partendo a
raggiera ovviamente va a costituire le varie parti della vostra volta cranica.
L’ossiEicazione della volta cranica viene completata solo e unicamente dopo la nascita, questo
ovviamente per poter consentire al cranio del neonato (del feto e poi del neonato) di poter essere
compresso all'interno del canale vaginale e quindi permettere la fuoriuscita della testa del bambino
che ovviamente può permettere lo scorrimento dei tronconi ossei gli uni sugli altri durante la fase del
parto. Ee anche il motivo per il quale queste strutture cartilaginee andranno via via consolidarsi entro il
primo anno di età , quelle che normalmente si chiamano le fontanelle e sono quelle che permettono,
sotto stimolazione della pressione della massa cerebrale in accrescimento, di favorire il meccanismo di
ossiEicazione da parte della volta cranica. Tenete anche conto che la parte della volta cranica da un
punto di vista di accrescimento è quella che nelle fasi di sviluppo di accrescimento del nostro scheletro
proporzionalmente si accresce meno; cioè la nostra volta cranica ha delle dimensioni nettamente
superiori nel bambino rispetto alla restante parte dello scheletro che avrà uno sviluppo nell’
accrescimento molto più tardivo. Attorno ai 7/10 anni la vostra circonferenza cranica è grosso modo la
stessa che avete quando siete un individuo adulto, a 11 anni la volta cranica ha smesso completamente
di crescere e ci si augura che quello che all'interno
ovviamente subisca accrescimenti successivi
indipendentemente dalle dimensioni della volta
cranica. Questa è un'altra immagine che vi fa
vedere quali sono le ossa che vanno incontro a
ossiEicazione diretta.
Prevalentemente le ossa della volta cranica, meno
quelle della componente del maxillo facciale fatta
eccezione per i mascellari e mandibolari che però
vanno incontro a un processo di ossiEicazione di
tipo diretto ma leggermente differente.

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OSSIFICAZIONE MANTELLARE
La formazione della mandibola viene normalmente deEinita ossiEicazione mantellare, si chiama
ossiEicazione mantellare perché è un’ ossiEicazione che avviene in maniera diretta, cioè all'interno della
tessuto connettivale quindi all'interno del mesenchima. Avviene su induzione di un tessuto
cartilagineo particolare che si chiama cartilagine di Meckel; questa cartilagine di Meckel è una
cartilagine a forma più o meno di ferro di cavallo e sono due controlaterali, quindi una per la parte
destra e una per la parte sinistra che vanno a costituire appunto questa lamina di cartilagine la quale
non fa altro che andare a indurre le cellule connettivali che si trovano perifericamente rispetto al mio
tessuto connettivo ad andare incontro al processo di ossiEicazione (quindi alla produzione di matrice
organica e poi alla successiva mineralizzazione). La cartilagine non va incontro sostituzione se non per
la parte più centrale, quella che andrà a costituire il
forame mentoniero, quindi in questa posizione
centrale. Solo in questa piccola parte poi la cartilagine
verrà distrutta e sostituita da tessuto osseo, per il
resto l’osso si forma a forma di mantello attorno a
questo tessuto cartilagineo che poi andrà incontro ad
apoptosi e quindi verrà in realtà sostituito da altro
tessuto connettivale.
(Colorazione tricromica in cui vediamo la cartilagine
di Meckel di forma ovoidale. Distanziato rispetto a
questa vediamo anche l’osso in formazione. In rosso
sono evidenziati gli osteoblasti)

OSSIFICAZIONE ENCONDRALE (indiretta)


La stragrande maggioranza del nostro scheletro si forma per quella che normalmente si chiama
ossiEicazione indiretta o anche deEinita ossiEicazione encodrale o endocondrale, che signiEica
un’ossiEicazione all’interno della cartilagine. Si forma fondamentalmente un modello cartilagineo in
miniatura che comincia ad aumentare in volume e poi andrà incontro a un processo di tipo
degenerativo e verrà poi sostituito da osso. Le cellule dell’osso utilizzeranno la struttura cartilaginea
come supporto per la formazione del vero e proprio tessuto osseo.
Normalmente per descrivere questo tipo di processo si utilizza come esempio l’ossiEicazione di un osso
lungo e questo perché l’osso lungo è il modello più facile, avendo meno variabili. In realtà modelli
simili si hanno anche nelle ossa brevi come le vertebre però in quei casi il meccanismo è leggermente
più complicato.

Abbozzo cartilagineo
Dobbiamo ipotizzare che le cellule mesenchimali devono andare a costituire un abbozzo cartilagineo,
quindi le cellule mesenchimali presenti nelle strutture di mesoderma parassiale e laterale, cominciano
a andare incontro a un processo di condensazione e cominceranno a
condensarsi tra di loro per andare a produrre matrice cartilaginea,
smetteranno di produrre collagene di tipo I e andranno a produrre
collagene di tipo II.
La cartilagine da cui si sviluppa lo scheletro è una cartilagine ialina,
quindi il collagene è di tipo II. Viene costituito un modello cartilagineo
rivestito dal suo pericondrio, vengono prodotte delle molecole che
inibiscono la vascolarizzazione all’interno della struttura cartilaginea,
ad esempio il comp, quelli oligomeri peptidici che evitano la
formazione di componente vascolare e intorno al mio abbozzo
cartilagineo si sviluppa il pericondrio, è una cartilagine a tutti gli
effetti.

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 6 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

La forma dell’osso è in parte deEinita geneticamente a seconda della dislocazione ma in realtà poi
durante le fasi di accrescimento ci sarà un gioco di forze che modiEicherà la struttura iniziale Eino a
dare la forma deEinitiva dell’osso. Quindi la fase iniziale è la formazione dell’abbozzo cartilagineo. Se
stiamo parlando di un osso lungo avremo una zona centrale che è la diaEisi e due zone terminali che
rappresentano le epiEisi. DiaEisi e epiEisi del mio abbozzo saranno completamente rivestite dal tessuto
pericondriale (connettivo riccamente vascolarizzato).

La prima modiEicazione alla quale si assiste in un processo di
ossiEicazione indiretto è una modiEicazione che si visualizza al
centro della diaEisi. Al centro della diaEisi a un certo punto le
cellule condrocitarie diventano ipertro8iche, cominciano a
consumare glicogeno e a cambiare la loro secrezione da un punto
di vista di molecole della matrice extracellulare che cominciano a
produrre un particolare tipo di collagene, che è il collagene di
tipo X e secernono il VEGF (vascular endothelial growth factor),
che è un fattore che facilita l’ingresso della componente vascolare.
L’ingresso di una componente vascolare all’interno di un tessuto
cartilagineo è il segnale evidente del cambiamento delle
caratteristiche della cartilagine e della modiEicazione della
cartilagine verso il tessuto osseo.
Nel momento in cui i condrociti diventano ipertroEici molti di
questi, quasi contemporaneamente o poco dopo, cominciano ad
andare incontro a un fenomeno di apoptosi, andando incontro all’apoptosi fanno in modo che alcune
vescicole della matrice possano essere liberate all’interno della cartilagine. L’effetto di far calciEicare la
matrice cartilaginea è che le cellule di questo tessuto risentano ancora di più della mancanza di
vascolarizzazione, quindi tendono a diventare sempre più ipertroEiche e ad andare sempre più
incontro ad apoptosi, facendo degenerare il tessuto cartilagineo. Questo perchè diventando un
condrocita ipertroEico, inizio a secernere e cercare di richiamare molecole che possano portare
vascolarizzazione, contemporaneamente vado a ridurre la
caratteristica fondamentale della matrice extracellulare
cartilaginea che è quella di essere un gel altamente
diffusibile; se lo vado a mineralizzare questa mi porta alla
riduzione delle capacità di diffusione delle cellule. Quindi i
condrociti ipertroEici vanno incontro ad apoptosi e attraverso
questo sistema andrò a richiamare i vasi all’interno e farò
degenerare il tessuto cartilagineo. Questi due elementi
contemporaneamente mi identiEicano quello il centro
primario di ossiEicazione o centro di ossiEicazione primaria.
Questo è quello che succede all’interno della diaEisi: va
incontro a un processo degenerativo, diventa ipertroEica e
calciEica, produce molecole che richiamano vasi e produce
collagene di tipo 10.
Contemporaneamente a questo fenomeno che avviene al
centro della diaEisi, alla periferia della diaEisi, su quello che
era il periostio, le cellule periostali vanno incontro a un
processo di ossi8icazione diretta, perché direttamente le
cellule del pericondrio si differenziano in osteoblasti e vanno
a costituire una struttura che circonda tutta la diaEisi che
prende il nome di manicotto periostale. Il tessuto
connettivo che rimane al di fuori del manicotto periostale che
era parte del vecchio pericondrio lo chiamerò periostio
(anche se dal pdv istologico è identico al precedente, lo
chiamo periostio perchè ho formato un abbozzo di osso).

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ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Dal manicotto periostale attraverso la vascolarizzazione del periostio , due


popolazioni cellulari cominciano ad entrare verso l’interno della zona di
cartilagine che sta degenerando. Una è una popolazione di cellule della linea
mesenchimale che quindi porterà dei precursori delle cellule per formare
l’osso ma anche i monocito macrofagi; quindi avrò delle cellule che sono in
grado di andarsi a fondere tra di loro che formeranno delle grosse cellule
fagocitarie multinucleate, quindi dei condroclasti, che andranno a legarsi sulla
matrice mineralizzata della cartilagine e la andranno a distruggere. Quindi
all’interno della cartilagine arriva il vaso che mi porta le cellule che
cominceranno ad erodere la cartilagine verso le due epiEisi (a partire quindi
dal centro di ossiEicazione primaria). La zona centrale della diaEisi attraverso
questo processo di erosione e di deposizione di nuova matrice ossea andrà a
costituire la zona centrale che è la cavità midollare di un osso lungo.

Immagine a dx: periostio in verde, manicotto periostale in rosa, zona centrale
della diaEisi (quello che rimane del centro di ossiEicazione primario) in cui si
forma la cavità e questo processo porta via via alla degenerazione della
cartilagine verso la periferia.
La vascolarizzazione porta nel centro primario:
• condroclasti, che degradano la matrice calciEicata ampliandone gli spazi
(come gli osteoclasti ma degradano la cartilagine)
• cellule staminali emopoietiche perchè all’interno dell’osso spugnoso si avrà
la formazione del midollo osseo
• cellule osteoprogenitrici, le quali differenziando in osteoblasti, elaborano e
depongono matrice ossea (osteoide) sulla superEicie dei residui di matrice
cartilaginea calciEicata.
Dalla formazione del manicotto periostale
(soprattutto in un osso lungo ma in generale nelle ossa brevi) avremo la
formazione di tessuto osseo compatto, mentre l’osso spugnoso
trabecolare si forma solo dalla sostituzione del modello cartilagineo.
Quindi dalla encondrale vera e propria otterremo osso spugnoso, dalla
pericondrale (dall’ossiEicazione diretta del pericondrio) otterremo osso
compatto.
Immagine a sx: osso che si sta formando, quello più viola è la cartilagine,
quello più rosa invece è il tessuto osseo. Il tessuto osseo è più componente
Eibrillare e cambia la componente glucosamminoglicani e proteoglicani,
quindi varia la sua afEinità tintoriale. Dall’alto al basso: cartilagine in
degenerazione con formazione di osso.
Immagine a dx: fase più avanzata rispetto alla precedente, troviamo per la
maggior parte osso con cartilagine imprigionata.

COMPARSA DEI CENTRI DI OSSIFICAZIONE SECONDARI


Una volta cominciato a ossiEicare la diaEisi bisogna
preoccuparsi di ossiEicare anche l’epiEisi. I centri di
ossiEicazione che si instaurano a livello delle epiEisi si
chiamano centri di ossiEicazione secondaria (epiEisari),
nascono esattamente come nascevano i centri di
ossiEicazione primaria, quindi un meccanismo di ipertroEia
delle cellule cartilaginee, la produzione di collagene di tipo

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X, la produzione di VEGF che richiama i vasi a livello del pericondrio e la formazione di questo centro
che, a differenza di quello che succedeva nel centro della diaEisi, si distribuisce a raggiera, quindi dal
centro dell’epiEisi a raggio verso tutta l’epiEisi. I centri di ossiEicazione secondaria nascono nell’epiEisi
quasi tutti dopo la nascita, il primo a nascere è generalmente quello del femore e poi successivamente
compaiono tutti gli altri; normalmente il prossimale compare prima del distale (compaiono prima
quelli più vicini all’asse mediano dello scheletro).

Immagine a sx (dal basso verso l’alto): osso in via di


formazione che parte a livello del centro di ossiEicazione
primario; poi centor di ossiEicazione secondario,
rimarrà tra i due centri di ossiEicazione il disco
epiEisario o cartilagine di accrescimento che sarà quella
struttura che permetterà l’accrescimento in lunghezza
dello scheletro Eino al termine del periodo di
accrescimento ( nel maschio è considerato intorno ai 23
anni e nella donna tra i 18 e i 20 - dipende molto dalla
razza e da altri fattori).
Dell’abbozzo cartilagineo iniziale, rimane Eino
all’accrescimento tutta la cartilagine metaEisaria, che
non è altro che una cartilagine ialina modiEicata, ma per
buona parte della vita rimane la cartilagine articolare che
una volta iniziato il processo di ossiEicazione a livello del centro di ossiEicazione secondario, andrà a
perdere il pericondrio (per favorire la strutturazione deEinitiva della cartilagine con la comparsa della
lamina splendens e della superEicie lubriEicata da acido ialuronico ).

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 9 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Questo per riassumere gli step di un’ossiEicazione indiretta. Mentre nella diretta avevamo 3 step qui ne
abbiamo 6:
1. Comparsa dell’abbozzo cartilagineo
2. Comparsa della degenerazione, quindi inizio del centro di ossiEicazione primario con manicotto
periostale che sviluppa dal periostio
3. Ingresso dei vasi a livello della diaEisi con centro primario di ossiEicazione (molti autori fanno partire
il centro primario di ossiEicazione dal momento della vascolarizzazione, quindi dall’ingresso di
cellule competenti per la formazione dell’osso)
4. Prosecuzione del processo di ossiEicazione con la comparsa dei vari centri di ossiEicazione
5. Fase terminale, viene a terminare completamente anche l’ossiEicazione a livello dell’epiEisi e
l’accrescimento da parte della cartilagine di coniugazione (o epiEisaria o metaEisaria)

Centri di ossi8icazione primaria, comparsa temporale



I primi centri di ossiEicazione che compaiono solo quelli della clavicola (ossiEicazione diretta) e del
femore mentre quelli che ossiEicano più tardivamente solo a livello delle ossa della mano, quelle del
carpo soprattutto e delle falangi (sono quindi quelle che vengono utilizzate se devo andare a valutare
se il bambino sta crescendo in maniera ottimale o se ci sono dei ritardi o velocizzazioni a livello della
crescita dello scheletro).
Immagine in basso: si vede come aumenta all’aumentare del periodo fetale la quantità di
accrescimento da perte dello scheletro del feto ( a livello del piede nell’immagine di sx non c’è
ossiEicazione mentre a dx inizio a vedere un processo di ossiEicazione)

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 10 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Quando vado ad ossiEicare vado anche ad aumentare


la componente di tessuto osseo. L’ accrescimento di
tessuto osseo avviene apposizionalmente, per
aggiunta di tessuto osseo prevalentemente a livello
della componente periostale e in minima parte a
livello di quella endostale. A questo livello si iniziano
a f o r m a r e g l i o s t e o n i . V i r i c o r d o c h e
dall’ossiEicazione del periostio ottengo tessuto osseo
compatto quindi dovrò avere la formazione degli
osteoni.

Aumento di dimensioni dell’osso


Il diametro dell’osso si ottiene aumentando la
composizione, ovvero aumentando la quantità di
tessuto osseo. La crescita di tipo apposizionale è
prevalentemente ad opera del periostio, in piccola
parte ad opera dell’endostio, soprattutto per la parte
dell’osso trabecolare ma la parte dell’osso corticale si
accresce solo e unicamente per apposizione di tipo periostale. L’accrescimento in lunghezza continua
ad avvenire per sostituzione dell’abbozzo cartilagineo. Il tessuto cartilagineo sul lato epiEisario
continua ad accrescersi e permette l’accrescimento in lunghezza della struttura ossea.

Questo (in basso) è un esempio della formazione dell’osso, sono le falangi di un dito (ossiEicazione
tardiva). Nella zona di accrescimento posso far crescere l’osso in lunghezza, quindi signiEica
allontanare le epiEisi dal centro della diaEisi.
Il meccanismo che permette l’accrescimento in
lunghezza si basa appunto sul tessuto cartilagineo
(cartilagine ialina) che rimane intrappolato tra il
centro di ossiEicazione secondario e il centro di
ossiEicazione primario.
Se andassimo ad analizzare una sezione a livello
dell’articolazione del ginocchio, andando a
distinguere epiEisi e diaEisi vedremo come cambia
la struttura e la funzionalità delle cellule man mano
che mi sposto dalla zona di riposo vicino l’epiEisi
alla zona di proliferazione di tipo ipertroEico.



Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 11 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Questa ancora è un’immagine dove possiamo vedere la struttura e tutte le varie caratteristiche:
cartilagine di riserva in fase di ossiEicazione (ialina classica, collagene di tipo II, condrociti racchiusi
all’interno delle loro lacune cartilaginee, formazione di gruppi isogeni). Spostandoci più in basso
iniziamo a vedere l’inizio della zona di proliferazione dove le cellule iniziano ad andare incontro ad uno
stimolo proliferativo che tende a far mettere le cellule in maniera impilata tra loro. I gruppi isogeni
anzichè essere disposti in maniera casuale sono disposti in maniera ordinata. Nella zona ipertroEica
succede quello che succedeva al centro della diaEisi, le cellule si rigonEiano, iniziano a produrre
collagene di tipo X e VEGF, questo richiama i vasi sanguigni che iniziano a penetrare (inizia il
meccanismo di ossiEicazione). La possibilità di un accrescimento in lunghezza è legata alla
proliferazione della zona proliferativa, Eino a quando queste cellule rimarranno sensibili a fattori che
stimolano la loro proliferazione, l’osso si potrà accrescere in lunghezza, nel momento in cui viene a
perdersi in queste cellule (condrociti appiattiti disposti in colonne) la capacità di rispondere a stimoli
di accrescimento l’osso smette di accrescere. Se formo osso non cresco più , se ho la cartilagine che
prolifera, posso pensare che questa poi sarà sostituita da tessuto osseo. (Bambino 275 ossa, adulto
206)

IL RIMODELLAMENTO OSSEO
Quello del rimodellamento osseo è un fenomeno che avviene in più periodi della nostra vita; nello
speciEico è possibile individuare due fasi distinte di accrescimento dell’osso durante la vita di un essere
umano:
1. Una prima fase è quella che si ha quando si passa da tessuto osseo primario a tessuto osseo
secondario (e dunque da un tessuto osseo di tipo non lamellare ad un tessuto osseo di tipo
lamellare);
2. La seconda fase di accrescimento è ovviamente la fase in cui è necessario raggiungere la forma
deEinitiva e complessiva dell’osso (a livello di lunghezza e dimensione).
Oltretutto esiste un meccanismo di rimodellamento osseo che si veriEica durante la vita adulta che:
• Ha un ruolo 8isiologico, poiché il tessuto osseo è la principale sede di deposito di ioni calcio
(che, all’occorrenza, possono essere prelevati);
• Serve per rinnovare la matrice ossea, la quale (in seguito alle sollecitazioni a cui viene
sottoposta) può andare incontro a degenerazione e potrebbe risultare inefEiciente, e va perciò
sostituita;

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 12 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

• Serve inEine per l’adattamento del tessuto osseo ai vari carichi meccanici a cui lo scheletro può
essere sottoposto.
Il processo è regolato dalle stesse quattro popolazioni cellulari che avevamo visto regolare tutta
l’attività dell’osso; il processo di osteoclastogenesi è caratterizzato da un equilibrato alternarsi di
apposizione ed erosione di matrice ossea mineralizzata, ad opera degli osteoblasti (che producono la
matrice dell’osso) e degli osteoclasti (che vanno a riassorbire l’osso). L’attività di queste cellule è
regolato da stimoli di natura ormonale, meccanica e chimica.
I meccanismi di comunicazione che si instaurano tra osteoclasti e osteoblasti sono di 2 tipi:
1. Interazioni dirette: avvengono tramite contatti di tipo cellula-cellula, cioè mediante un sistema
ligando-recettore, o (come recentemente dimostrato) attraverso la presenza di un sistema di
gap junction non solo tra osteoblasto-osteoblasto, ma anche tra osteoblasto-osteoclasto;
2. Interazioni indirette: ovvero attraverso secrezione di molecole solubili come citochine, ormoni
e fattori di crescita che vanno a modiEicare il comportamento di osteoclasti o osteoblasti.
Il meccanismo di comunicazione osteoblasti-osteoclasti cambia a seconda di quale fase del
rimodellamento osseo si sta considerando.

Quando si parla della fase di formazione
dell’osso periostale (fase di “modelling”) e
cioè durante l’espansione dell’osso corticale,
gli osteoclasti e gli osteoblasti comunicano
quasi esclusivamente per via paracrina,
poiché si trovano e operano su superEici
differenti. Eo probabile (ma non è ancora
stato dimostrato) che gli osteociti in realtà
riescano in qualche maniera a comunicare
attraverso una rete con gli osteoclasti.





In una fase di allungamento dell’osso, la
comunicazione avviene più tra:
• i condrociti ipertroEici e gli osteoclasti
(proprio per favorire il riassorbimento)
• condrociti e osteoblasti;
• non c’è comunicazione diretta osteoblasti-
osteoclasti.

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 13 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Invece la comunicazione diretta tra OC e OB è tipica del meccanismo di rimodellamento che si trova
nell’individuo adulto. Le popolazioni cellulari sono sempre coinvolte nel meccanismo di
rimodellamento o formazione dell’osso, ma le modalità con cui possono andar a interagire tra loro
sono differenti; e questo si traduce in diverse “strategie” attuate dall’organismo per favorire la
formazione o l’erosione di matrice cellulare.
In quest’immagine c’è un esempio di processo di
rimodellamento osseo nell’accrescimento della volta
cranica. L’aumento della massa cerebrale all’interno
darà uno stimolo per favorire la deposizione di osso
sulla parte periferica e un riassorbimento dell’osso
sul tavolato interno; la pressione all’interno favorisce
la formazione di osso all’esterno; c’è dunque un
“gioco” di deposizione (che avviene soprattutto a
livello delle suture) e distruzione attraverso cui si
riesce a mantenere le curvature tipiche di questa
struttura ossea.

In questa seconda immagine è invece possibile


vedere come vengono rimodellati canali Haversiani;
si ha una sostituzione di un osteone con un osso di
tipo lamellare, passando dall’osso primario a quello
secondario.






Nel rimodellamento osseo dell’adulto ci sono differenze tra il rimodellamento a livello di osso
spugnoso e quello a livello dell’osso corticale:
• Nell’osso spugnoso il rimodellamento avviene a livello della super8icie della trabecola ossea;
• Nell’osso corticale il rimodellamento viene effettuato da una struttura all’interno della cavità
osteonica.

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 14 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Il rimodellamento deve prevedere (prevalentemente nelle fasi di accrescimento) che vengano


mantenute le curvature dell’osso; infatti l’osso cresce e dunque viene modellato in risposta forze cui è
sottoposto (peso, postura, stimolazione meccanica fornita dalla componente muscolare).
Nell’immagine è possibile vedere uno schema del meccanismo di accrescimento e rimodellamento
delle ossa lunghe. La fase di rimodellamento può essere immaginata come uno spostamento dell’epiEisi
rispetto alla sua posizione originaria;
d u n q u e l ’ e p i E i s i a u m e n t a d i
dimensioni per la crescita della
cartilagine e successiva sostituzione
con tessuto osseo.
La diaEisi invece si allunga perché la
cartilagine cresce e, sebbene sia
parzialmente sostituita dall’osso,
rimane comunque una parte di
c a r t i l a g i n e c h e è l a z o n a d i
proliferazione. Nella Eigura si può
inoltre notare anche i punti in cui
avviene riassorbimento di matrice
ossea e i punti in cui invece questa
v i e n e d e p o s i t a t a , a n d a n d o a
conferire all’osso la sua nuova forma.
IL CICLO DEL RIMODELLAMENTO OSSEO
Il ciclo di rimodellamento delle ossa avviene in delle strutture dette Unità di rimodellamento
multicellulare (BMU).
Quando si vanno a considerare i carichi (soprattutto
sull’osso compatto), poiché il riassorbimento avviene
all’interno dell’osteone, ogni volta che si riforma
l’osteone, questo non si riforma sulla posizione di
quello precedente, ma è leggermente spostato (per
un gioco di carichi). Questo è il motivo per cui si
hanno lamelle interstiziali tra un osteone e l’osteone
adiacente, poiché i residui parziali dei vecchi osteoni
non completamente riassorbiti vanno a formare i
sistemi interstiziali.
Indipendentemente dalla zona in cui avviene il
rimodellamento osseo, questo processo è continuo e
ciclico; questo permette dunque di andare a
rinnovare completamente lo scheletro (circa ogni 2-4
anni). In questo ciclo si possono individuare quattro
tappe:
1. L’innesco avviene con dei segnali che mobilitano gli osteoclasti (trasformando i pre-osteoclasti
in osteoclasti attivi) che riassorbono la matrice ossea. Svolgono un ruolo anche le cellule
mononucleate;
2. Una volta assorbita questa matrice c’è una fase di inversione in cui avviene un “recruitment” di
pre-osteoblasti;
3. Si forma dunque del nuovo tessuto osseo ad opera degli osteoblasti;
4. InEine si veriEica la mineralizzazione di questo tessuto (fase di quiescenza).

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 15 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Questo tipo di ciclo mi permette di immaginare che ci sia un meccanismo di comunicazione che va in
una direzione ben precisa e diversa nelle varie fasi che compongono questo processo:
• Dagli osteoblasti agli osteoclasti all’inizio;
• Dagli osteoclasti agli osteoblasti nella fase di inversione e in quella di terminazione.
N.B. Per riassorbire una parte della matrice dell’osso ci vogliono circa 3 settimane; invece per
ripristinare la stessa porzione di osso distrutta è necessario attendere 3 mesi; ne consegue che questo
meccanismo di interazione e di dialogo tra OC e OB sia Einemente regolato ed equilibrato in maniera
tale da evitare eccessi di demolizione o eccessi di formazione di tessuto osseo (più raramente).

MECCANISMI DI OSTEOCLASTOGENESI
Il meccanismo chiave del rimodellamento osseo si gioca sui meccanismi di formazione degli osteoclasti
e di come questi riescono a indurre il loro cross-talk con gli osteoblasti.
Gli osteoclasti si formano per fusione di cellule monocitarie del sangue (che possono essere o
circolanti o presenti nella cavità midollare, e dunque nell’osso spugnoso). Questa fusione si basa sulla
presenza di alcuni fattori di crescita; i monociti che vengono reclutati dal circolo sanguigno divengono
osteoclasti in presenza di:
1. M-CSF (macrophage colony-stimulating factor) che viene prodotto dagli osteoblasti ed è
necessario per la sopravvivenza delle cellule della linea osteoclasto-macrofagica e controlla la
migrazione e l’organizzazione citoscheletrica nei macrofagi e negli osteoclasti.
2. RANKL (Receptor Activator for Nuclear Factor k Ligand) che è una citochina che viene
prodotta da vari tipi di cellule, tra i quali le cellule osteoprogenitrici (cioè le MSC), gli
osteoblasti, i Eibroblasti della mebrana sinoviale ed i linfociti T attivati.
Ha un suo recettore speciEico (che si chiama RANK) espresso su cellule come osteoblasti,
osteoclasti o progenitori emopoietici di queste cellule, (ad esempio i monociti ematici).
L’interazione RANK/RANKL (il RANKL in
questa foto è prodotto da OB) porta al
cambiamento della morfologia dell’osteoclasto,
andando a formare i podosomi, elementi che
permettono l’adesione dell’osteoclasta alla
superEicie della matrice dell’osso. Si prepara
l’orletto striato e, attraverso questo sistema, si
formerà la lacuna di Howship con la cavità di
riassorbimento, conseguente acidiEicazione del
pH e la distruzione della matrice extracellulare
di tipo osseo (con recupero degli elementi
riutilizzabili come il calcio).

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 16 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

In realtà gli osteoblasti (ma anche cellule stromali) possono


produrre anche l’osteoprotegerina (OPG) che è
strutturalmente molto simile al RANK; mimando la struttura
del recettore (ed essendo una molecola circolante) ha la
capacità di intercettare il RANKL ed evitare che quest’ultimo
si vada a legare all’osteoclasta.
Appare dunque evidente che OPG è un inibitore dell’attività
degli osteoclasti maturi ed è proprio il rapporto RANKL/OPG
uno degli indicatori che indica quanto la osteoclastogenesi è
favorita o sfavorita.












In realtà c’è anche la sclerostina (un’altra delle glicoproteine prodotte dagli osteociti) che è un
inibitore della funzione degli osteoblasti.

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 17 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Tant’è che oggi per l’osteoporosi sono usati due farmaci:


1. Denosumab che è un anticorpo monoclonale che funge da omologo di OPG (e dunque
blocca RANKL) e riduce l’osteoclastogenesi.
2. Romosozumab che è un anticorpo monoclonale che blocca la sclerostina determinando un
aumento della formazione dell’osso nei pazienti con osteoporosi.
Nella Eigura della pagina precedente è possibile notare il complesso meccanismo di regolazione di
RANKL.

FATTORI CHE INFLUENZANO IL RIMODELLAMENTO OSSEO


Il rimodellamento dell’osso nell’adulto avviene in risposta a questi fenomeni:
1. Variazioni ormonali (i due ormoni che giocano un ruolo chiave sono il PTH, prodotto dalle
paratiroidi e la calcitonina);
2. Perdita di carico (in mancanza di carico è favorito il riassorbimento osseo rispetto alla sua
deposizione);
3. Formazione di microfratture a livello dell’osso;
4. Abbassamento della calcemia (che a sua volta va a regolare la produzione di PTH e
calcitonina);
Gli ultimi tre fattori (2,3,4) possono andare ad inEluire sul processo inEiammatorio e dunque sui livelli
di citochine inEiammatorie come TNF-α (tumor necrosis factor) e IL-1B (un’interleuchina); le quali, a
loro volta, sono direttamente coinvolte nell’interazione tra OB e OC.
Ad esempio, quando si hanno microfratture intervengono osteociti (OC) che, percependo questo
fenomeno, producono proprio quei fattori che modiEicano il processo di riassorbimento dell’osso, tra
cui:
• TGF-β che riduce la produzione di RANKL da parte degli osteoblasti;
• Ossido nitrico (NO) che previene l’inizio dell’osteoclastogenesi.
Eo lo stesso meccanismo attraverso cui gli osteociti, sentendo il carico fornito a livello dell’osso, vanno a
favorire o meno la sostituzione di matrice ossea per fare in modo che quella porzione ossea riesca a
rispondere correttamente alle sollecitazioni da carico.
Il momento critico nel processo di rimodellamento è il
passaggio tra l’attività degli osteoclasti, la loro
successiva apoptosi e la conseguente formazione della
matrice ossea; essendo infatti quest’ultima fase
estremamente lenta, è necessario che vengano attivati
sufEicienti OB per ripristinare correttamente la matrice
dell’osso.



Il meccanismo responsabile della transizione dalla fase di riassorbimento a quella di formazione
dell’osso all’interno di una BMU è detto coupling ed è dovuto al fatto che, quando gli OC iniziano ad
erodere la matrice ossea liberano fattori (TGF-β, IGF-2) che Eino a poco prima erano inglobati nella
ECM e che vanno a stimolare direttamente l’attività anabolica degli osteoblasti (aumenta la capacità di
produrre matrice extracellulare).

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 18 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

In realtà si è dimostrato che gli stessi osteoclasti


possono esprimere sulla loro stessa superEicie delle
molecole che vengono lette da recettori speciEici sulla
superEicie degli osteoblasti; anche in questo caso
queste molecole (tra cui HFG, PDGF BB e S1P) sono
capaci di aumentare l’attività degli osteoblasti.





In tutto questo sistema di contatto diretto cellula-
cellula, sembra che ci siano anche delle gap junction
che si instaurano tra OC e OB; si va cosı̀ a formare una
rete tridimensionale tra queste popolazioni cellulari,
necessaria per favorire un corretto mantenimento della
massa ossea attraverso un rapporto equilibrato tra
quantità di matrice depositata e quantità di matrice
riassorbita. Una qualsiasi alterazione a livello di queste
interazioni va ad alterare l’equilibrio dell’osso, che si
sposta più facilmente verso il riassorbimento che non
verso la deposizione di matrice ossea.

RIPARO DELLE FRATTURE


Questi processi di ossiEicazione, diretta e indiretta, sono gli stessi che si ritrovano nel momento in cui si
presenta una frattura ossea.
Mentre il tessuto cartilagineo non ha capacità rigenerativa, al contrario il tessuto osseo si può
rigenerare e dunque riparare (a patto che la lesione ossea non sia eccessivamente estesa e che non ci
sia scarso apporto vascolare). Il processo di riparazione delle fratture riElette la sequenza di eventi
della normale istogenesi dell’osso; ripercorre dunque il processo di ossiEicazione.
Le fasi di riparazione della frattura si distinguono:
1. La fase in8iammatoria precoce (che prevede la formazione dell’ematoma, inEiammazione e
angiogenesi) in cui c’è formazione di tessuto di granulazione.
2. Una fase riparativa (spesso considerata come unita a quella precedente) che è caratterizzata
dalla formazione del callo cartilagineo e osseo immaturo e, successivamente, dalla sostituzione
del callo con l’osso lamellare.
3. Una fase di rimodellamento tardiva che consente, nel tempo, di ripristinare la forma originale
dell’osso; il tessuto osseo diventa un tessuto osseo di tipo lamellare
Nell’immagine (pag successiva) è possibile vedere la suddivisione convenzionale del periodo di
guarigione da una generica frattura al tessuto osseo nelle tre fasi di cui si è precedentemente parlato.
La frattura mostrata in Eigura è una frattura classica composta, poiché i due monconi sono allineati
(qualora non lo fossero, si tratterebbe di frattura scomposta su cui bisognerebbe intervenire per
rimettere in asse le due estremità ).
In questo intervallo di tempo si deve mantenere una minima variazione di carichi all’interno
dell’osso, poiché , essendo le ossa molto sensibili alla variazione del carico, questo cambiamento si
ripecuoterebbe sulla conformazione dell’osso e perciò andrebbe a modiEicare permanentemente la
struttura dell’osso.

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 19 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

FASE INFIAMMATORIA
Il trauma determina l’interruzione dell’integrità scheletrica e si rompe anche la struttura vascolare;
questo comporta non solo un minor apporto di nutrienti al sito di lesione, ma anche la formazione di
un ematoma locale. L’ematoma è un’enorme riserva di fattori di crescita (VEGF, PDGF, FGF, MCSF), oltre
che di citochine (TNF-α, IL-1, IL-6, IL-11, IL-18); basti pensare al fatto che le piastrine, all’interno dei
loro granuli, hanno numerosissimi fattori di crescita, i quali, una volta liberati, richiamano tutte le
cellule periferiche. Si forma dunque un coagulo.
Successivamente questi fattori di crescita
agiscono a livello delle cellule mesenchimali e si
ha la formazione di quello che è un callo molle,
c h e s i s v i l u p p a p e r f o r m a z i o n e d i
Eibrocartilagine (si entra cosı̀ nella fase
riparativa 1).


FASE RIPARATIVA 1
I fattori di crescita agiscono a livello delle cellule
mesenchimali, si forma un primo coagulo e
un’iniziale callo molle. Il callo molle si sviluppa per
formazione di Eibrocartilagine e un iniziale osso
non lamellare da parte del periostio. Il tessuto di
granulazione (connettivo lasso) della fase
i n E i a m m a t o r i a d i v e n t a p i ù d e n s o e l a
8ibrocartilagine che si sviluppa attorno vanno a
costituire il callo molle; mentre il callo si forma le
cellule periostali danno origine a osteoblasti che
cominciano a depositare matrice ossea alla periferia della frattura.
FASE RIPARATIVA 2

Nella seconda parte della fase riparativa la Eibrocartilagine viene sostituita e rimodellata per andare a
formare il primo tessuto osseo non lamellare e quindi scarsamente responsivo dal pdv meccanico.

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 20 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

Questo tessuto osseo non lamellare viene sostituito successivamente per rimodellamento da tessuto
osseo di tipo lamellare.
Quindi abbiamo visto che in una fase di riparazione di una frattura si è veriEicata:
• l’ossiEicazione diretta legata alla presenza del periostio che va a formare un primo blocco per
fermare le due estremità dell’osso;
• si forma una Eibrocartilagine che costituisce il callo molle e che mantiene in asse i due tronconi;
• man a mano che questa Eibrocartilagine viene sostituita da osso a Eibre intrecciate si forma il callo
duro
• il callo duro viene sostituito da tessuto osseo lamellare (è ripristinata la struttura ossea)
L’ossiEicazione intramembranosa (periostale) ha inizio pochi giorni dopo il danno tissutale e forma una
sorta di blocco per fermare le due estremità ossee, mentre l’ossiEicazione endocondrale, che coinvolge i
tessuti adiacenti il sito della frattura, si sviluppa nell’arco di un mese circa.
Questi due tessuti che si sono formati a seguito dei due tipi di ossiEicazione crescono Eino ad unirsi, e
dopo circa 3 o 4 settimane si osserva un callo duro (ovvero una commistione tra cartilagine calciEicata,
utile per tenere in asse le due parti dell’osso, e nuovo osso non lamellare). Eo un tessuto osseo
scarsamente responsivo a livello meccanico.
Questo tessuto sarà inEine sostituito da tessuto osseo lamellare nella fase di rimodellamento.
FASE DI RIMODELLAMENTO


In questa fase gli OC e gli OB cooperano per convertire il callo della frattura in una struttura ossea
capace di sostenere i carichi meccanici Eisiologici. Si assiste dunque a una rimozione della parte
esterna dell’osso e ad una successiva apposizione sulla superEicie della parte intera precedentemente
danneggiata.

FATTORI CHE INFLUENZANO IL CORRETTO ACCRESCIMENTO E FUNZIONALITÀ DELLO


SCHELETRO:
• Genetici (ci sono diversità tra le varie etnie ma anche tra le stesse famiglie)
• Metabolici
• Vitaminici (dipendono cioè dalla vitamina C, D, K ed A)
• Ormonali (connessi agli ormoni GH, ormoni tiroidei, ormoni sessuali)
• Vascolari
• Meccanici
Per quanto riguarda i fattori di tipo vitaminico (ovvero vitamine la cui presenza/assenza può
inEluenzare lo sviluppo dell’osso), per la gran parte sono fattori che vanno a interferire con i tessuti
connettivi.
1. La vitamina C, ad esempio, serve a favorire la stabilità della tripla elica del collagene;
un’alterata strutturazione della tripla elica di questa proteina porta ad una struttura (in

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 21 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

termini di periodicità ) del collagene che ne compromette la corretta funzionalità e dunque la


corretta mineralizzazione dell’osso (che può avvenire solo per deposizione di Sali di fosfato di
calcio all’interno delle periodicità presenti a livello del tessuto osseo). In sua assenza riduce
l’idrossilazione della prolina e della lisina.
2. La vitamina D invece interviene nella sintesi di enzimi responsabili della produzione di
proteine associate al riassorbimento del calcio a livello intestinale (e dunque nei meccanismi di
mineralizzazione ossea). La sua assenza provoca rachitismo o l’osteomalcia.
3. La vitamina K partecipa attivamente alla Eissazione del calcio nelle ossa (attraverso la
produzione di proteine GLA, che sono le proteine della matrice ossea come, ad esempio,
l’osteocalcina). Le proteine GLA servono per favorire la corretta interazione tra la componente
minerale e quella organica, e soprattutto la corretta concentrazione relativa della componente
minerale rispetto a quella organica.
4. La vitamina A stimola l’attività osteoblastica. Ha un effetto contradditorio: la sua carenza
determina inadeguata formazione e crescita dell’osso; tuttavia bassi livelli di vitamina A hanno
un effetto positivo per quanto riguarda la quantità di osso. Infatti un eccesso accelera
l’ossiEicazione delle cartilagini di accrescimento determinando bassa statura (e dunque se le
estremità epiEisarie mineralizzano, l’individuo tende a non poter più crescere in altezza).

GLI ORMONI E LA LORO INFLUENZA SULL’OSSO


1. GH (ovvero l’ormone della crescita prodotto dall’ipoEisi) agisce sul fegato inducendo la
produzione di fattori di crescita detti somatomedine (IGF), i quali stimolano la crescita e il
metabolismo dei condrociti della cartilagine proliferante (troviamo i recettori di questi fattori
epatici su alcune cellule della metaEisi di alcune ossa). Appare evidente che il risultato sarà
dunque l’accrescimento dimensionale delle ossa.
2. T3 e T4 (ormoni tiroidei) sono capaci di promuovere il metabolismo cellulare degli
osteoblasti; in realtà quando sono ad un basso livello hanno un elevato effetto a livello della
cartilagine, bloccando l’accrescimento dell’osso (a differenza dei fattori insulino-simili).
3. PTH e CALCITONINA. Il PTH svolge la sua azione sugli osteoblasti, in quanto (se prodotto in
maniera intermittente) ne stimola la proliferazione, la sintesi e il differenziamento; dall’altro
però (se prodotto in modo continuativo e in concentrazioni elevate) induce la produzione di
fattori come RANKL, che inducono l’attivazione degli osteoclasti. La calcitonina ha un’azione
opposta rispetto a quella del paratormone.
4. Gli ormoni sessuali hanno una funzione regolativa positiva sul differenziamento e sull’attività
funzionale degli osteoblasti; e poiché hanno tutti un effetto anabolizzante, promuovono il
turn-over dell’osso, anche se in maniera differente. Infatti:
• Gli estrogeni inEluenzano lo sviluppo scheletrico in entrambi i sessi. Nella tarda
pubertà gli estrogeni tendono a diminuire il turn over osseo inibendo il riassorbimento
e sono essenziali nella chiusura deEinitiva delle cartilagini di coniugazione e l’arresto
dell’accrescimento osseo.
• Gli androgeni possono stimolare la formazione ossea sia direttamente che
indirettamente attraverso i loro effetti sulle cellule muscolari adiacenti.
FATTORI VASCOLARI
L’ossiEicazione è sempre associata con la comparsa di meccanismi di vascolarizzazione.
L’ossigeno molecolare e l’ossido nitrico (NO) sono fattori che favoriscono la deposizione di nuova
matrice ossea e, indirettamente, anche un bilancio positivo nel meccanismo di rimodellamento.

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 22 di 23


ISTOLOGIA – Istologia II IST09-OSTEOGENESI

• L’ossigeno molecolare è anche un fattore di stimolo sulle cellule ossee. Nel processo di
ossiEicazione il differenziamento delle cellule mesenchimali in osteoblasti è strettamente
correlato con l’angiogenesi (a causa dell’elevata pressione parziale dell’ossigeno nella sede di
osteogenesi).
• L’ossido nitrico (NO) è responsabile del differenziamento degli osteoblasti. Eo inoltre un
importante mediatore per quanto riguarda le modiEicazioni a carico dell’endotelio vasale
durante la formazione ossea.

FATTORI MECCANICI
Gli osteociti sono dei meccanosensori, e cioè percepiscono le variazioni di carico a livello della lacuna
osteocitaria. Infatti le cellule dell’osso vanno incontro ad un meccanismo di apoptosi legato alla
mancanza di carico; questo processo attraverso cui sentono i meccanismi di carico e sono in grado di
muoversi si chiama aptotassi.
Questo meccanismo è stato studiato grazie a esperimenti condotti nello spazio; infatti ci sono
numerosi studi in corso che si occupano di portare nell’ambiente extraterrestre delle cellule del
tessuto osseo per valutare le variazioni a livello di formazione del tessuto osseo.
Questi fattori meccanici sono importanti poiché ogni volta che si va a comprimere il tessuto, viene
impressa una forza meccanica che blocca l’accrescimento osseo; d’altro canto, se ci sono elementi che
trazionano l’osso, si tende a favorire l’allungamento dell’osso.
Dunque la forma di un osso è profondamente inEluenzata dagli stimoli meccanici; infatti un aumento
delle sollecitazioni meccaniche corrisponderà a una maggiore neodeposizione di tessuto osseo, e un
contemporaneo riassorbimento nelle parti non sottoposte a carico.
Questo avviene perché se la matrice ossea viene deformata produce correnti a basso voltaggio (per il
fenomeno del potere piezoelettrico) in grado di stimolare o di inibire l’attività degli osteoblasti o
osteoclasti. L’orientamento delle Eibre collagene sembra condizionato dalla direzione dei campi
elettrici che necessariamente si instaureranno nel luogo in cui compare la differenza di potenziale
elettrico.
Questo è uno di quei motivi per cui, durante la crescita, si tende a evitare tutti quegli sport che possano
accrescere in maniera eccessiva la massa muscolare; poiché , all’aumentare della massa muscolare,
quest’ultima (attraverso le articolazioni) applicherebbe una forza di compressione sempre maggiore
sulle epiEisi (e di conseguenza poi sulle diaEisi) delle ossa. Questo fenomeno di compressione viene
percepito come carico e dunque, a livello della cartilagine metaEisaria, si tende a ridurre la quantità
delle cellule che vanno in attiva proliferazione.

Autori: Eleonora Schiavon, Lorenzo Pietrella, Giulia Braccialarghe 23 di 23


ISTOLOGIA
“TESSUTO MUSCOLARE”
ID lezione IST10 Modulo Istologia II
Data lezione 06/04/2021
Autore Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Tessuto muscolare striato scheletrico
Eventuali
Slide proiettate a lezione e capitoli del libro.
riferimenti

IL TESSUTO MUSCOLARE
L’attività contrattile non è una attività limitata solo al tessuto muscolare perché negli organi e nei tessuti
esistono cellule che sfruttano gli elementi citoscheletrici che sono in grado di dare movimento
all’interno della cellula. Per esempio ricordiamo le cellule mioepiteliali che si trovano a livello del
parenchima ghiandolare (soprattutto nelle ghiandole esocrine) e che sfruttano il citoscheletro actinico
e la miosina per svolgere attività contrattile, i miofibrolasti (presenti prevalentemente nel tessuto
connettivo) importanti nelle fasi di guarigione delle f erite, in quanto servono per andare a ridurre il
margine di una lesione, infine i periciti che hanno anche loro attività contrattile e intervengono per
determinare la vasocostrizione di una lesione che coinvolge la componente vascolare. Ovviamente la
massima espressione dell’attività contrattile la ritroviamo nei tessuti muscolari, perché all’interno di
questi tessuti tutte le cellule sono in grado di svolgere la stessa funzione.

Quando consideriamo un tessuto muscolare dobbiamo considerare che le cellule che lo costituiscono
sono specializzate nel fenomeno di contrazione e che questo fenomeno di contrazione raggiunge il
massimo della sua espressione. Questo perchè il citoscheletro è disposto in maniera altamente ordinata
in modo da massimizzare l’effetto contrattile delle singole cellule e quindi dell’intero tessuto. Le cellule
ovviamente sono in grado di svolgere questa attività contrattile se hanno a disposizione energia, che
viene immagazzinata sotto forma di ATP. Quindi grazie all’idrolisi dell’ATP è permessa la contrazione.

I tessuti muscolari sono suddivisi in tessuto muscolare liscio e tessuti muscolari striati (che
comprendono lo striato scheletrico e lo striato cardiaco). Questi ultimi hanno una ordinata
disposizione delle componenti citoscheletriche. Se osserviamo una cellula muscolare in sezione
longitudinale possiamo notare una bandeggiatura tipica (ecco perché prende il nome di striato) che
invece non è osservabile nel tessuto muscolare liscio. Anche nelle cellule muscolari lisce il citoscheletro
è organizzato ma ha una organizzazione diversa che non permette di identificare la sequenza precisa
degli elementi citoscheletrici. La diversità morfologica dei tre tessuti riflette anche una diversa funzione.
Infatti il tessuto muscolare scheletrico permette i movimenti delle varie parti del corpo, il tessuto
muscolare cardiaco permette la contrazione delle cavità cardiache e il tessuto muscolare liscio consente
la contrazione degli organi interni favorendo la progressione del cibo a livello del tratto gastro
intestinale.
ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

È da sottolineare inoltre che il muscolo striato scheletrico è dotato di innervazione volontaria e infatti
permette il movimento volontario dei distretti anatomici, mentre la contrazione del tessuto cardiaco e
liscio è sotto il controllo del sistema nervoso autonomo vegetativo e quindi è indipendente dalla volontà.

Quando parliamo del tessuto muscolare, spesso si usa una diversa terminologia:

• Il sarcolemma è la membrana plasmatica della cellula muscolare


• Il sarcoplasma è il citoplasma della cellula muscolare
• Il reticolo sarcoplasmatico è il reticolo endoplasmatico liscio della cellula muscolare

TESSUTO MUSCOLARE STRIATO SCHELETRICO

Il tessuto muscolare scheletrico è il responsabile dei movimenti volontari dello scheletro, permette il
mantenimento della postura, è deputato al controllo volontario degli orifizi, mantiene al temperatura
corporea e protegge gli organi interni. Ricordiamo che gli organi vitali sono in parte protetti da strutture
scheletriche, come la gabbia toracica e la volta cranica, mentre a livello addominale è la massa muscolare
che ha la funzione di proteggere i visceri addominali.

Nel suo complesso il muscolo striato è un vero e proprio organo parenchimatoso, costituito
dall’associazione di numerose fibre (che decorrono in modo parallelo rispetto al muscolo), ed è rivestito
da un tessuto connettivale. Il tessuto connettivale forma delle guine che hanno diversa natura e
caratteristiche diverse a seconda della porzione che prendiamo in esame. Nella parte più esterna questa
guaina connettivale è costituita da tessuto connettivo denso a fasci paralleli di tipo regolare, il quale
tende a continuarsi con i tendini o le aponeurosi. La differenza tra il tendine e l’aponeurosi è che il
tendine è una struttura di connettivo denso a fasci paralleli che ha una forma fusata e si inserisce nel
periostio, mentre l’aponeurosi ha forma laminare. All’interno del tessuto connettivo si hanno recettori
sensoriali (fusi neuro-muscolari e organi muscolo-tendinei del Golgi) che servono a percepire il livello
di contrazione del muscolo e quindi a controllare la tonicità muscolare. Infine le guaine connettivali
presentano vasi e nervi e quindi permettono la vascolarizzazione e l’innervazione del muscolo, che
ricordiamo si contrae grazie a uno stimolo di natura nervosa.

Analizzando le tonache connettivali che rivestono il muscolo, partendo dalla parte più esterna del
muscolo ritroviamo:

• L’epimisio: è un tessuto connettivo denso che avvolge l’intero muscolo e quindi si continua con
il tendine.
• Il perimisio: è un tessuto connettivo lasso che avvolge un fascio di fibre del muscolo
• L’endomisio: è un tessuto connettivo lasso che avvolge una singola fibra muscolare, ed è ricco
di fibre reticolari e capillari sanguigni.

Quindi dall’epimisio si dipartono dei setti connettivali che vanno verso l’interno e avvolgono un fascio
di fibre del muscolo costituendo il perimisio. A sua volta dal perimisio si dipartono ulteriori setti
connettivali più sottili di connettivo sempre più lasso ricco di nervi e capillari che avvolge la singola fibra
muscolare.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 2 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

Abbiamo detto che la continuazione dell’epimisio è il tendine. Quindi partiamo da un connettivo denso
a fasci regolari sulla parte più esterna del muscolo che poi si continua in un connettivo denso a fasci
paralleli che permette di scaricare, in modo efficiente, la forza che viene prodotta dal muscolo sulla
struttura ossea. Quindi a livello della giunzione miotendinea c’è una interazione tra la componente
connettivale che deriva dall’epimisio e il periostio.

In questa colorazione vediamo la struttura tendinea e


quella muscolare. Notate la striatura tipica del muscolo
nella parte a sinistra dell’immagine.

Il movimento della cellula muscolare è legato alla


volontà. I nervi che si occupano di innervare i muscoli
scheletrici sono i motoneuroni (fanno parte del SNC) e
raggiungono le varie fibre muscolari attraverso le
tonache connettivali. Quindi raggiungono l’epimisio,
poi si ramificano a livello del perimisio e infine
giungono a livello dell’endomisio dove innervano ogni fibra muscolare.

L’unità motoria è l’insieme costituito dalle fibre muscolari e dal neurone con il suo prolungamento,
l’assone, che attraversa le varie guaine connettivali. Tanto più fine e preciso deve essere il controllo del
movimento del muscolo, tante meno fibre muscolari sono innervate dallo stesso assone (quindi si hanno
poche fibre per unità motoria), mentre se il movimento è più grossolano si hanno più fibre muscolari
per unità motoria (quindi lo stesso assone innerva molte fibre muscolari). L’innervazione del muscolo
non solo funge da “induttore” della contrazione ma ha anche un ruolo trofico. È stato dimostrato che i
neuroni nutrono anche le fibre muscolari con cui prendono contatti. Nel caso di lesione di un
motoneurone, la zona muscolare da lui innervata riduce la propria capacità contrattile e si ha anche una
riduzione della caratteristiche strutturali dello stesso muscolo e quindi una perdita di tonicità della
struttura muscolare.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 3 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

In questa immagine di nuovo vediamo la


struttura del muscolo con le varie guaine
connettivali.

In sezione trasversale vediamo che in natura esiste lo stesso tipo di struttura sia nella cellula muscolare,
che nella fetta di una arancia. Si ha quindi una tonaca esterna che è la buccia dell’arancia (corrisponde
all’epimisio), ciascuno spicchio è rivestito dal perimisio e le singole cellule sono rivestite da endomisio.

La cellula muscolare (o la fibra muscolare) è un sincizio plurinucleato di cellule. Durante lo sviluppo


embrionale, i mioblasti si fondono tra di loro e costituiscono delle strutture che si chiamano miotubi che
poi formano le vere e proprie fibre muscolari. Nella fase di fusione dei vari mioblasti i nuclei sono
disposti alla periferia. La cellula muscolare striata è una cellula di grandi dimensioni, può raggiungere
un diametro di 80 micron e una lunghezza fino a 10 cm. I mioblasti sono presenti anche nell’individuo
adulto sotto forma di cellule satelliti e sono in grado di favorire la rigenerazione del tessuto muscolare
in caso di piccole lesioni.

Questo è il tempo di formazione di una fibra


muscolare. Partendo da una cellula
embrionale, nel giro di 10 giorni si differenzia
in una cellula pluripotente commissionata
per originare le cellule muscolari, poi forma
le cellule satelliti primitive poi i mioblasti e
infine si formano i miotubi.

Il tessuto muscolare striato scheletrico si genera dalla struttura dei somiti, più precisamente dal
dermotomo presente a livello della formazione del somite. Ricordate che lo sclerotomo si localizza
intorno al tubo neurale e alla notocorda formando la colonna vertebrale, mentre nella parte dorso
laterale si forma il dermomiotomo e dal miotomo si formano i muscoli dello scheletro assile. Quindi il
somite inizia ad esprimere dei geni specifici per la formazione delle cellule muscolari, le cellule
mioblastiche che sono ancora delle cellule staminali (quindi si possono autorinnovare e differenziare)
si differenziano e si formano i miotubi e infine le fibre muscolari.

Se consideriamo la fibra muscolare in un individuo adulto vediamo che le cellule satelliti sono localizzate
a livello della membrana basale. La membrana basale è la stessa struttura che abbiamo studiato quando

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 4 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

abbiamo parlato delle cellule epiteliali e si forma tra il contatto della cellula muscolare e il tessuto
connettivo adiacente che in questo caso è l’endomisio.

Quindi noi abbiamo il sarcolemma, cioè la membrana della cellula muscolare, che ha affianco una lamina
basale e la lamina basale si associa alla lamina reticolare dell’endomisio (che appunto è costituito
prevalentemente da fibre reticolari). Questa struttura costituisce l’intera membrana basale al di sotto
della tonaca endomisiale in cui sono presenti le cellule satelliti.

Il sarcolemma circonda completamente la fibra muscolare e forma delle invaginazioni all’interno della
fibra muscolare, che prendono il nome di tubuli T, che si approfondano nel sarcoplasma e sono
estremamente importante nel meccanismo della contrazione muscolare. Inoltre le cellule muscolari
hanno un elevato sviluppo del reticolo sarcoplasmatico (cioè del REL) che presenta delle dilatazioni in
prossimità dei tubuli T, chiamate cisterne terminali. La presenza di un tubulo T e di due cisterne
terminali dà origine a una struttura che prende il nome di triade, anche questa importante nel
meccanismo di contrazione.

Nel sarcoplasma sono presenti numerosi mitocondri generalmente posizionati subito sotto al
sarcolemma. Inoltre è presente la mioglobina, proteina simile all’emoglobina, ha un atomo di ferro
centrale che lega le molecole di ossigeno. Sono presenti dei granuli di glicogeno e l’apparato di Golgi è
in posizione perinucleare. I nuclei sono piuttosto voluminosi e sono in posizione periferica.

In questa immagine abbiamo una cellula muscolare


scheletrica in sezione longitudinale. La riconosciamo
perché ha una striatura trasversale. Vediamo i nuclei
più chiari, eucromatinici che sono i nuclei della cellula
muscolare. I nuclei più scuri, più eterocromatinici
sono i nuclei dei fibroblasti dell’endomisio (sono i
nuclei al di sotto del puntatore).

In ultrastruttura il nucleolo è ben evidente e


l’eterocromatina è addossata alla lamina nucleare. Le
fibre muscolari non hanno la capacità di dividersi in
quanto sono cellule perenni, quindi possono solo aumentare di dimensioni (di massa) grazie
all’aumento della quantità di elementi citoscheletrici che la costituiscono e alla fusione con le cellule
satelliti. Terminata la fase di accrescimento la funzione delle cellule satelliti è quella di favorire la
rigenerazione dei tessuti.

La striatura della cellula muscolare è l’elemento caratterizzante di una cellula muscolare striata
scheletrica. All’interno della cellula sono presenti tutti gli organelli cellulari, ma il 60-70% del
sarcoplasma è occupato dai filamenti citoscheletrici che prendono il nome di miofibrille.

L’ordinata disposizione dei miofilamenti, che si dispongono in modo parallelo e in fasci, permette di
evidenziare la striatura trasversale delle cellule muscolari in sezione longitudinale

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 5 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

Questo è il tessuto muscolare in sezione


trasversale, in cui non osserviamo la
striatura perché è visibile solo in sezione
longitudinale. Vediamo un fascio
muscolare che è quindi una singola fibra
muscolare, quindi una singola cellula
muscolare, mentre osserviamo in
periferia i nuclei delle cellule (che sono
più scuri). Quindi in una sezione
trasversale noi riconosciamo una cellula
muscolare perché la posizione dei nuclei è
periferica. Gli spazi bianchi che vediamo
tra le cellule sono le tonache connettivali.
Qui si intravede una parte della tonaca
connettivale perimisiale con i vasi. E poi vediamo l’endomisio che circonda ogni fibra muscolare che è
un connettivo più lasso.

Osservando, in microscopia ottica, la cellula in sezione longitudinale vediamo l’alternanza di bande


chiare e bande scure che danno il pattern di striatura della miofibrilla. Le bande chiare si chiamano
bande I (da bande isotrope) e le bande scure si chiamano bande A (da bande anisotrope). Se però
osserviamo la stessa immagine usando il microscopio elettronico a trasmissione ci accorgiamo che la
banda chiara ha al suo interno una linea più scura e che la banda A ha al suo interno delle zone che hanno
una densità diversa

Attraverso delle indagini in microscopia


elettronica è stata identificata una struttura, che si
chiama sarcomero, che è la più piccola unità
contrattile del muscolo. Il sarcomero va dalla linea
più scura a metà della banda I, che prende il nome
di linea Z, fino alla linea Z presente sulla metà
della banda I successiva.

Il sarcomero è quindi l’unità funzionale, ovvero la più piccola unità contrattile che troviamo all’interno
del muscolo. È la contrazione di questa singola unità contrattile che permette la contrazione dell’intero
muscolo. Ha una lunghezza maggiore quando il muscolo è rilassato e si riduce a una lunghezza di un
massimo di 1 micron quando il muscolo è contratto.

La banda A inoltre ha al centro una zona più chiara che prende il nome di banda H e al centro della
banda AH c’è una linea che si chiama linea M. Quindi a metà della banda I c’è una linea che si chiama linea
Z che definisce l’inizio del sarcomero, mentre la linea M che si trova a metà della banda A corrisponde
alla metà del sarcomero.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 6 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

Questo è lo schema della struttura che si può osservare al microscopio elettronico a trasmissione e
questa struttura è legata al diverso posizionamento dei miofilamenti. I miofilamenti sono di due tipi: i
miofilamenti spessi e i miofilamenti sottili. Nella banda I ci sono solo i miofilamenti sottili (che è il
filamento in giallo), mentre nella banda A si ha la sovrapposizione dei filamenti sottili con i filamenti
spessi. In realtà questa sovrapposizione non è completa, infatti abbiamo una zona in cui non arrivano i
filamenti sottili e quindi abbiamo solo i filamenti spessi. La zona dove sono presenti solo i filamenti
spessi è la banda H.

I filamenti spessi sono i filamenti di


miosina, mentre i filamenti sottili sono
prevalentemente miofilamenti di actina.

I filamenti spessi sono costituiti da


strutture particolari che hanno la forma
di una sorta di mazza da golf che si
diparte a livello della linea M. Presentano
una porzione più lunga che si ritrova
prevalentemente a livello della banda H e
una porzione più globulare che si trova
sovrapposta ai miofilamenti sottili.

Ora vediamo più in dettaglio la


formazione dei filamenti spessi e sottili
per comprendere come l’interazione tra
questi due elementi possa permettere la
contrazione dell’intero sarcomero.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 7 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

MIOFILAMENTI SPESSI

I filamenti spessi sono costituiti da due catene pesanti e da due coppie di catene leggere. Le due catene
pesanti ad alpha elica si avvolgono tra loro a formare una struttura elicoidale, la coda della miosina. Al
termine della coda formano due teste globulari dove si associano le due catene leggere. Quindi è una
proteina che ha una struttura quaternaria.

In quest’immagine possiamo
osservare le due catene pesanti
che si avvolgono a formare la
coda della miosina e all’estremità
notiamo le teste globulari sulle
quali poggiano le 2 coppie di
catene leggere.

Le teste della miosina sono l’unità motoria della molecola, in quanto sono dotate di attività ATP-asica
(prevalentemente le catene leggere), quindi sono in grado di sfruttare l’energia accumulata sotto forma
di ATP per convertirla nel movimento della cellula muscolare.

Le singole molecole di miosina costituiscono i veri e propri filamenti spessi e si associano tra loro a
partire dalla linea M (ricordiamo che la linea M si trova al centro della banda H). La linea M è costituita
dalla creatinchinasi, un enzima che serve per favorire il meccanismo energetico, dalla miomesina e dalla
proteina M, proteine che servono proprio ad ancorare i filamenti spessi. Quindi i filamenti spessi
partono dalla linea M, dove hanno la coda, e portano le teste verso la linea Z. Le teste sono disposte a
360° ed in modo sfalsato tra loro. Attraverso questo sistema le teste della miosina prendono contatto
con i filamenti di actina.

Questo è il sarcomero,
quindi vediamo la linea Z
(o disco Z) e vediamo che
i miofilamenti spessi
sono ancorati a livello
della linea M attraverso
la miomesina. I
miofilamenti in realtà
sono ancorati anche a
livello della linea Z
attraverso la titina. La
titina è una proteina che
si estende dalla linea Z fino alla linea M e oltre a mantenere in asse i miofilamenti spessi, favorisce
l’accorciamento e l’allungamento del sarcomero. Infatti, ha una struttura particolare, ha la forma di una

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 8 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

molla e può quindi variare la sua lunghezza permettendo l’accorciamento del sarcomero durante la
contrazione.

MIOFILAMENTI SOTTILI

Sono costituiti prevalentemente dall’actina. L’actina nasce come actina globulare (G actina), costituisce
poi dei filamenti che si associano tra loro con una costruzione ad alpha elica e su questo filamento di
actina trovano capacità di legame altre due molecole importanti per la contrazione: la troponina e la
tropomiosina.

I filamenti di actina devono essere mantenuti costanti nella loro lunghezza. Se vi ricordate, quando
abbiamo parlato dell’actina citoscheletrica abbiamo detto che l’actina citoscheletrica ha sempre una
estremità negativa (che tende a depolimerizzare) e una estremità positiva (che tende a polimerizzare).
Chiaramente la struttura muscolare deve mantenere una lunghezza costante, quindi l’actina deve essere
bloccata nei suoi processi di polimerizzazione e di depolimerizzazione. L’estremità positiva dell’actina
è bloccata a livello della linea Z, mentre l’estremità negativa dell’actina è rivolta verso la linea M, quindi
verso il centro del sarcomero. A livello della linea Z troviamo la proteina cap Z che blocca l’accrescimento
del miofilamento di actina e media anche il legame tra il miofilamento di actina e la proteina della linea
Z che è l’alpha actinina. L’estremità negativa invece è bloccata nella possibilità di depolimerizzazione
dalla presenza della tropomodulina.

L’esatta lunghezza del miofilamento di actina viene


delimitato dalla proteina nebulina che si associa al
miofilamento di actina e ne determina la
lunghezza. Quindi vediamo che intervengono
molte proteine per mantenere in asse il
miofilamento di actina all’interno del sarcomero.

Al filamento di actina si associano la tropomiosina


e la troponina.

La tropomiosina è una proteina filamentosa


formata da due catene che si avvolgono ad alpha
elica e prende contatto con i filamenti di actina a
livello dei solchi che sono disegnati dall’actina.
Ogni molecola di tropomiosina copre circa 7
monomeri di G-actina.

La troponina è una proteina di tipo globulare


costituita da tre subunità: una subunità I
(inibitoria), una subunità C (che lega il calcio) e una
subunità T (che lega il complesso di troponina C e troponina I alla tropomiosina). Il ruolo di queste
proteine è quella di bloccare i siti di legame dell’actina per la miosina quando il muscolo è rilassato. La
miosina ha una alta affinità per l’actina, quindi se sono scoperti i siti di legame sulla molecola di actina
per la miosina, la miosina tende ad attaccarsi. La presenza quindi di queste molecole va a bloccare la
visualizzazione di questi siti da parte delle molecole della miosina, quindi actina e miosina non
interagiscono tra loro. Quando deve avvenire la contrazione questi siti saranno liberati e quindi actina
e miosina potranno interagire tra loro.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 9 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

L’organizzazione spaziale dei filamenti di actina e le distanze tra i filamenti actina-actina e miosina-
miosina, sono fondamentali per la corretta contrazione del sarcomero.

Quindi le proteine appena viste sono importanti per fare in modo che la distanza tra filamento spesso e
filamento spesso non superi 50 nm e che la distanza tra filamento sottile e filamento spesso non superi
i 20 nm e che ogni filamento spesso sia circondato da sei filamenti sottili. Attraverso questa struttura
altamente ordinata abbiamo la possibilità di attuare il fenomeno della contrazione.

Quindi per riassumere l’organizzazione spaziale delle miofibrille è legata a elementi che si trovano a
livello della linea Z del sarcomero. Tra questi la titina serve a mantenere in posizione i filamenti spessi,
mentre tutti gli altri servono per interagire con i filamenti sottili (cap Z con l’estremità positiva,
tropomodulina con l’estremità negativa, la nebulina per mantenere la corretta lunghezza). A livello della
linea M c’è solo la miomesina che serve per ancorare i miofilamenti spessi.

La contrazione del sarcomero deve essere portata all’intera fibra muscolare, quindi sono necessarie
altre molecole citoscheletriche diverse rispetto a quelle che costituiscono il sarcomero e la sua ordinata
organizzazione. Queste molecole faranno in modo che gli avvenimenti che originano a livello del
sarcomero vengano portati a livello del sarcolemma. Attraverso il sarcolemma poi questi vengono
portati a livello della lamina basale, quindi a livello dell’endomisio e poi dall’endomisio al perimisio,
all’epimisio e infine al tendine e al tessuto osseo.

Questi elementi che permettono di associare il movimento del sarcomero con il sarcolemma sono: la
desmina, la plectina e l’a-b cristallina.

• DESMINA: è una proteina che appartiene ai filamenti intermedi e forma delle reti che vanno a
circondare le miofibrille a livello della linea Z. La desmina si ancora poi in una zona particolare
del sarcolemma che prende il nome di costamero.
• PLECTINA: mantiene associati tra loro i filamenti di desmina.
• L’ALPHA BETA CRISTALLINA (heat shock protein): mantiene correttamente la struttura e
protegge da eccessivi stress meccanici.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 10 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

Quindi la desmina parte dal costamero e arriva fino all’involucro nucleare prendendo contatti e
ancorando i vari sarcomeri. Quindi tutto quello che succede a livello della ECM (dell’endomisio) è
connesso al nucleo. In sintesi, l’insieme di desmina, plectina e L’alpha beta cristallina, mantiene in
registro le linee Z di tutte le miofibrille; trasmette l’accorciamento delle miofibrille al sarcolemma e
infine protegge le miofibrille da stress meccanici.

C’è un meccanismo di comunicazione bidirezionale tra il connettivo e le attività che avvengono


all’interno della cellula: le informazioni del connettivo possono modificare l’attività di sintesi proteica
da parte della cellula e, allo stesso tempo, gli avvenimenti che originano nel sarcomero sono portati a
livello del tessuto connettivo. Se ho alterazioni a questo livello avrò una incapacità di trasmissione di
questi segnali sia a livello di membrana che a livello nucleare e di conseguenza si sviluppano delle
patologie che prendono il nome di miopatie.

Abbiamo detto che i sarcomeri si collegano a elementi del sarcolemma. Una struttura importante che
permette il collegamento tra il sarcomero e il sarcolemma è mediata dalla distrofina. La distrofina
connette i filamenti di actina a una struttura citosolica molto importante che si trova sulla faccia
citoplasmatica del sarcolemma. Questa struttura complessa è costituita da proteine che prendono il
nome di distroglicani e sarcoglicani. I sarcoglicani sono delle proteine trasmembrana e si associano ai
distroglicani. I distroglicani associano gli elementi del sarcolemma con la laminina che è uno dei
principali costituenti della lamina basale che circonda il sarcolemma della cellula. Quindi attraverso
questo tipo di connessione e attraverso la connessione che si attua tramite le molecole dette sopra si ha
la possibilità di coniugare la contrazione che avviene a livello del sarcomero con la membrana
plasmatica, poi con l’endomisio e in questo modo la contrazione dei singoli sarcomeri si ripercuote come
contrazione dell’intera cellula muscolare, e del muscolo nel suo insieme.

La distrofina serve per


trasmettere la forza contrattile
e per la prevenzione degli effetti
traumatici. Un’alterazione della
distrofina o delle molecole che
sono responsabili di trasdurre il
segnale di contrazione tra il
sarcomero e il sarcolemma
porta a delle alterazioni a livello
dell’intera struttura muscolare.

Ci sono delle patologie che


vanno sotto il nome di distrofie
muscolari. Tra queste, la prima
identificata è la distrofia muscolare di Douchenne, malattia genetica legata alla mancanza di distrofina.
Ci sono anche altre malattie genetiche legate alle alterazioni di questi complessi proteici che si trovano
sul sarcolemma che causano la riduzione dell’attività muscolare, in quanto non permettono la corretta
trasduzione del meccanismo di contrazione.

Se non si ha un corretto meccanismo di interazione tra sarcomero e membrana plasmatica, la cellula


muscolare non riesce a ricevere i segnali trofici da parte dei tessuti connettivi e quindi la cellula
muscolare va incontro al fenomeno del disuso, distruggendo e riducendo gli elementi citoscheletrici e
quindi la sua capacità contrattile.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 11 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

Contrazione muscolo scheletrico

Il muscolo scheletrico si contrae come risultato della distribuzione organizzata della actina e della
miosina. La contrazione muscolare comporta un accorciamento del sarcomero, legato allo scorrimento
dei filamenti di actina sopra i filamenti di miosina, quindi, quando il sarcomero si accorcia (con il
muscolo completamente contratto), sparisce la banda I e viene mantenuta la banda A. Il meccanismo di
accorciamento prevede dei cicli di contrazione e dei cicli in cui le teste della miosina si attaccano e
staccano ripetutamente sui filamenti di actina, trascinandoli verso il centro del sarcomero. Questi cicli
prevedono il rilascio delle teste della miosina, oltre al ripiegamento di esse, seguito dalla generazione di
una forza e di un nuovo attacco ed è con questo sistema che i filamenti sottili possono scorrere sui
filamenti spessi. Questo tipo di movimento è legato alla presenza di molecole di ATP, infatti, nel
momento in cui avviene l’idrolisi di ATP, la testa di miosina si riesce a legare al filamento di actina,
trascinandolo verso la zona interna del sarcomero. La molecola di ATP viene poi rilasciata e quando si
attacca una nuova molecola (di ATP), la testa della miosina è in grado di dissociarsi. quindi, per un ciclo
di attacco e stacco, vi è la necessita di avere due molecole di ATP. Il rigor Mortis, il meccanismo per il
quale il corpo tende a indurirsi in seguito al decesso, è legato alla mancanza della seconda molecola di
ATP, che comporta il mantenimento delle teste della miosina attaccate al filamento di actina e quindi
attraverso questo sistema, il sarcomero viene ad essere mantenuto contratto. Dopo un certo periodo di
tempo, il rigor Mortis viene a perdersi, perché il muscolo va incontro ad un fenomeno degenerativo e
viene ad essere rilasciato.

Ruolo del Calcio nella contrazione

Lo scorrimento è permesso grazie all’arrivo dello ione calcio, il quale è il moto motore che permette al
filamento di miosina di legarsi con il filamento di actina. Normalmente la Tropomiosina blocca i siti di
legame per la miosina sul filamento di actina. Nel momento in cui entra lo ione calcio, esso viene
riconosciuto dalla subunità C della troponina, che provvederà a legarlo. In seguito, dopo che è avvenuto
questo legame con lo ione calcio, vi è una modificazione conformazionale della troponina, la quale porta
dietro sé un cambiamento della subunità I e della subunità T così che quest’ ultima sposta la
Tropomiosina, liberando il sito di legame sull’actina per la miosina.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 12 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

Dov’è posizionato il calcio nel momento in cui la cellula muscolare è a riposo e dove può andare a finire
a livello della miofibrilla, nel momento in cui si verifica il fenomeno della contrazione?

La Triade sta ad indicare la struttura data dall’invaginazione del sarcolemma o tubulo T e dalla presenza
di due strutture dilatate del reticolo sarcoplasmatico, che prendono il nome di cisterne terminali. Questa
triade, in un muscolo striato scheletrico, si trova ai confini tra la banda A e la banda I, il che significa che
avremo due triadi per ogni sarcomero.

I ruoli di queste due strutture sono diversi, ma


entrambi importanti per il meccanismo di
contrazione muscolare. La funzione del tubulo T,
essendo un’invaginazione del sarcolemma, è quella
che ci permetterà di trasmettere il potenziale di
azione quindi percepire quella che è la
stimolazione nervosa nelle immediate vicinanze
del reticolo sarcoplasmatico. Attraverso questo
sistema, si favorirà il rilascio dello ione calcio che si
trova immagazzinato all’interno del reticolo
sarcoplasmatico in condizione di riposo.

In condizioni di rilassamento muscolare, il calcio viene a essere inglobato e mantenuto all’interno delle
cisterne (delle stanze), che vengono ad essere costituite dal reticolo sarcoplasmatico, attaccato a
proteine specifiche chiamate Calsequestrina (sequestratori di calcio) che mantengono all’interno il
calcio. Nel momento in cui arriverà una stimolazione nervosa, che porterà ad una variazione del
potenziale della membrana plasmatica, questo verrà percepito a livello della triade (il sistema di
comunicazione recettoriale tra il tubulo T e il reticolo sarcoplasmatico), in modo che il reticolo
sarcoplasmatico faccia fuoriuscire dalle sue cisterne lo ione calcio. In seguito, il calcio viene percepito
dalla troponina e di conseguenza si instaura il meccanismo di contrazione muscolare, a partire dalla
contrazione muscolare dei sarcomeri.

Per avere la contrazione muscolare, devo avere una Terminazione nervosa (un nervo neumotore), la
quale trasmette lo stimolo attraverso un mediatore chimico (nel muscolo è l’acetilcolina). Questo
recettore viene percepito da dei recettori specifici posti sul sarcolemma e porta alla depolarizzazione
della membrana sarcolemmatica. Questa depolarizzazione viene portata su tutto il sarcolemma, incluso
il tubulo T e la variazione di potenziale del tubulo T, porta all’apertura di canali specifici, che si
accorgono di questa variazione del potenziale a livello del reticolo sarcoplasmatico. Sulla membrana
del tubulo T, sono presenti dei recettori chiamati diidropiridinici mentre sulla membrana del reticolo
sarcoplasmatico vi sono recettori rianodinici, i quali, percependo questa variazione di potenziale,

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 13 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

favoriscono la fuoriuscita di ioni calcio dal reticolo sarcoplasmatico nel sarcoplasma e permettono la
contrazione muscolare.

Placca motrice o giunzione neuro muscolare

Il meccanismo che mi permette la contrazione parte dalla placca motrice, una giunzione che si ha tra
una cellula nervosa e una muscolare, la quale è costituita da fibre nervose che derivano da un nervo
motore. Sono fibre di tipo mielinico, costituite cioè da un rivestimento che velocizzerà la conduzione
dell’impulso nervoso. Queste fibre arriveranno nelle vicinanze della cellula muscolare e andranno a
costituire una estroflessione globosa, che rappresenta la vera e propria placca motrice.

Questo tipo di giunzione è fatta da una componente nervosa (componente presinaptica), una doccia
sinaptica (spazio intersinaptico) e una componente muscolare (post-sinaptica); quest’ultima non è una
componente lineare, ma è costituita da una serie di invaginazioni abbondanti, che servono ad aumentare
la quantità di superficie sarcolemmale, in grado di prendere contatto con la struttura sinaptica.

L’impulso nervoso cambia la carica della membrana plasmatica. Quando consideriamo il sarcolemma,
in qualsiasi cellula, la concentrazione ionica endocellulare è diversa da quella extracellulare (diversa
concentrazione degli ioni: più potassio all’interno, più sodio all’esterno)

e vi è un flusso di ioni che tende ad equiparare questo tipo


di differenza di concentrazione insieme alla pompa sodio
potassio ATPasi, che cerca di mantenere costante la
differenza di concentrazione ionica. La differente
concentrazione ionica, la presenza di ioni cloro e proteine
che hanno carica negativa, fanno sì che vi sia una differenza
di potenziale di circa -70 mV, quindi, se vado a misurare il
lato interno e quello esterno del doppio strato fosfolipidico,
scoprirò che il lato interno della membrana è carico
negativamente, mentre quello esterno è carico
positivamente. Questa differenza di potenziale viene chiamato potenziale di riposo, che è la situazione
in cui le cellule dei tessuti non sono eccitati. Nel momento in cui arriva uno stimolo nervoso, avrò una
variazione del mio potenziale di membrana che varia dalla sua situazione di negatività interna di -70mV,
a una situazione di +35 mV. L’instaurarsi di questo potenziale d’azione mi favorirà la conduzione
dell’impulso nervoso verso i vari distretti, quindi sarà questa variazione del mio potenziale che genererà
l’impulso nervoso.

Come faccio a far avvenire la mia contrazione? L’impulso nervoso (variazione di potenziale) viene
portato lungo il prolungamento della cellula nervosa chiamato assone, finché non arriviamo alla
porzione pre-sinaptica. Questa variazione di potenziale, quando arriviamo a livello del bottone

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 14 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

sinaptico, innesca l’ingresso di ioni calcio tramite canali del calcio voltaggio dipendenti (si aprono
perché si accorgono che il potenziale della membrana plasmatica è cambiato). L’ingresso dello ione
calcio fa sì che delle vescicole che contengono un mediatore chimico, che è l’acetilcolina, vengano
veicolate a livello della zona A della membrana plasmatica, verso lo spazio intersinaptico e venga
liberata l’acetilcolina nello spazio intersinaptico. Nella membrana della cellula muscolare, ci sono dei
recettori specifici per l’acetilcolina, la quale si legherà a questi recettori, che favoriranno l’ingresso dello
ione sodio a livello della cellula muscolare, facendo passare la membrana della cellula muscolare da -70
a +35 mv. Di conseguenza, il potenziale di azione arriva anche a livello della cellula muscolare, che aprirà
canali sodio voltaggio dipendenti lungo tutto il sarcolemma, non solo nel punto in cui avevo contatto con
la placca motrice. Questo perché il meccanismo si diffonde e verrà portato anche a livello del tubulo T,
dove si avrà una variazione del potenziale di membrana. Questa variazione viene percepita dal recettore
delle diidropiridine situato in stretto contatto con un recettore della rianodina, che si trova sulla
membrana del reticolo sarcoplasmatico. Quando viene attivato, questo recettore attiva il recettore della
rianodina che si apre e libera ione calcio a livello delle miofibrille, comportando la contrazione del
sarcomero.

Il meccanismo di contrazione, deve prevedere


anche un meccanismo di stop, infatti, nel momento
in cui l’acetilcolina ha aperto i canali per il sodio, si
stacca dai suoi recettori per azione dell’enzima
acetilcolinesterasi, che va a rompere l’acetilcolina e
la scinde in colina e acido acetico. Questi ultimi
vengono ricaptati dalla cellula nervosa e vanno a
mantenere un pool di vescicole, pronte per una
successiva contrazione muscolare.

Lo stimolo alla contrazione della cellula muscolare


avviene attraverso le membrane connettivali,
infatti, inizialmente avremo la contrazione del
sarcomero attraverso le proteine citoscheletriche,
successivamente lo stimolo sarà portato al
sarcolemma e da esso attraverso sarcoglicani e
distroglicani viene portato all’endomisio; Nell’endomisio vi è una connessione con gli elementi della
matrice extracellulare, verrà portato al perimisio, poi all’epimisio e in seguito a tutto quanto il muscolo.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 15 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

La contrazione richiede energia, legata alla possibilità di scindere notevoli quantità di molecole di ATP.
Abbiamo notevoli quantità di riserve lipidiche e di glicogeno, inoltre, vi è anche la proteina mioglobina,
che è importante perché permette di mantenere legato l’ossigeno attraverso l’atomo di ferro. Inoltre, se
si ha la necessita di una eccessiva produzione di ATP, questa viene prodotta attraverso la glicolisi
anaerobia, per questo si ha un accumulo di acido lattico.

Come detto precedentemente, la contrazione avviene di fibra in fibra e poi questo stimolo viene portato
attraverso le componenti connettivali, all’intero muscolo.

I nostri muscoli sono costituiti da fibre, che hanno


caratteristiche differenti. Le si può distinguere in
due gruppi principali: le fibre rosse o lente di tipo
1, le quali sono ricche di mitocondri e sono
soprattutto prevalenti a livello dei muscoli
posturali dato che sono fibre che si affaticano
difficilmente e ci permettono di mantenere la
postura e le Fibre bianche o veloci tipo 2 (a loro
volta possono essere distinte in 2a, e 2 b) che
utilizzano più glicogeno e possono dare origine
all’acido lattico.

All’interno di un muscolo non abbiamo la prevalenza di un solo tipo di fibre (solo fibre bianche o rosse),
ma abbiamo entrambi i tipi di fibre e a seconda del tipo di attività, avremo maggiore sviluppo di una
delle due. Infatti, in risposta ad uno sforzo fisico intenso, vi è una prima attivazione delle fibre più lente,
poi a mano a mano che l’intensità aumenta, si ha una contrazione maggiore delle fibre più veloci.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 16 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

Sensori attività muscolare

La corretta contrazione muscolare è regolata dalla presenza di elementi che sono misti tra componente
connettivale, muscolare e nervosa. I due principali sistemi che ci permettono di andare a percepire
quello che nella struttura è il fenomeno della contrazione, sono i fusi neuromuscolari (si trovano
all’interno della struttura muscolare), che sono in grado di valutare sia i cambiamenti della lunghezza
muscolare, sia la velocita di questi cambiamenti e gli organi tendinei del Golgi, che invece si trovano
tra tendine e muscolo a livello della giunzione miotendinea e controllano anche loro la velocita del
movimento.

Queste strutture, sono fatte da componenti che associano elementi sensitivi ad elementi motori, perciò
percepiscono il livello di stiramento del muscolo e fanno in modo che la fibra muscolare venga a
contrarsi in maniera corretta, attraverso un gioco di agonisti e antagonisti.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 17 di 18


ISTOLOGIA – Istologia II IST10 – TESSUTO MUSCOLARE

Un altro elemento importante a livello del tessuto muscolare e che si trova a livello delle articolazioni,
sono i recettori di Ruffini e di Pacini, che sono a livello della capsula articolare, servono come controllo
di senso e posizione e hanno un riflesso sulla componente muscolare che deve mantenere in asse la
articolazione.

Cellule satelliti e rigenerazione muscolare

Nell’adulto esistono delle cellule satelliti, quindi il nostro tessuto muscolare è in grado di andare
incontro a un fenomeno di rigenerazione che può avvenire se il danno muscolare è di lieve entità. Queste
cellule satelliti funzionano come cellule staminali, esistono in formato quiescente nella cellula muscolare
adulta, vengono attivate da segnali citochimici o segnali meccanici e nel momento in cui arriva la
segnalazione, passano ad uno stato di attivazione. Da ciò si generano due popolazioni cellulari differenti,
che da un lato vanno a fondersi tra di loro con le cellule preesistenti e generano dei mioblasti andando
a sostituire le parti danneggiate, dall’altro vanno incontro ad un fenomeno di autorinnovamento per
mantenere quello che è il pool di cellule satelliti, cellule che devono essere mantenute per continuare ad
avere questo fenomeno di autorigenerazione.

Durante questo fenomeno di Riattivazione vi è la


produzione di tutti i marcatori che si vedevano nella
formazione della cellula muscolare, perciò si sta
studiando molto per favorire i meccanismi di
rigenerazione di danno muscolare nelle grosse lesioni
ai fini di stimolare la produzione di queste molecole
che sono quei fattori trascrizionali essenziali per
favorire la rigenerazione cellula muscolare.

Autore: Natalia Maurizi, Gregorio Pierantoni, Stefano Salazar per Medicina08 18 di 18


Istologia – Istologia II IST 11-MUSCOLO CARDIACO E MUSCOLO LISCIO

ISTOLOGIA II
“MUSCOLO CARDIACO E MUSCOLO LISCIO”
ID lezione IST11 Modulo ISTOLOGIA II
Data lezione 26 Aprile 2021
Autore Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei
Lezione
Prof. Mattioli Belmonte Cima Monica
tenuta da
Argomento Muscolo cardiaco, muscolo liscio e rispettive tipologie di contrazioni.
Eventuali
Slide proiettate a lezione (lezione 21).
riferimenti

CUORE E TESSUTO MUSCOLARE CARDIACO


La professoressa decide di saltare la descrizione macroscopica del cuore perché già affrontata dal
professor Giordano in splancnologia.

Ricorda che i foglietti che rivestono la parete del cuore sono tre: foglietto più interno, l’endocardio,
che avrà un suo epitelio che è un endotelio, lo stesso che si trova nel letto vascolare, al di sotto ci sarà
un connettivo, poi ci sarà un grosso strato rappresentato dal miocardio, tessuto muscolare striato
cardiaco, esternamente ad esso abbiamo l’epicardio e infine il pericardio.

In realtà il pericardio è quella struttura che si forma quando io vado a costituire la mia cavità
celomatica interna ed è costituito da due foglietti: parietale, attaccato alle pareti della cavità toracica, e
il viscerale, attaccato alla struttura cardiaca. Il foglietto viscerale è normalmente chiamato epicardio. I
due foglietti sono separati l’uno dall’altro per dare spazio alla cavità pericardica, cioè quella struttura
che consente il movimento cardiaco, quindi la contrazione del cuore, e si uniscono alla base del cuore,
dove si ha l’inserzione dei vasi.

MIOCARDIO
Il miocardio è la componente muscolare del cuore, costituito da delle cellule che comunemente
prendono il nome di cardiomiociti. Di questi cardiomiociti dobbiamo tenere in conto una piccola
percentuale (circa l’1%) definiti cardiomiocita specifici, perché sono delle cellule capaci di contrazione

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 1 di 20


Istologia – Istologia II IST 11-MUSCOLO CARDIACO E MUSCOLO LISCIO

auto-ritmica e determinare la frequenza cardiaca e di determinare anche la corretta contrazione degli


atri e successivamente dei ventricoli. Attraverso questo sistema combinato il cuore è in grado di
riempire gli atri e poi svuotarli, riempire i ventricoli e poi svuotarli e modificare la frequenza cardiaca.

Le cellule cardiache di un individuo adulto sono cellule dotate di una forma particolare: si biforcano,
andando a costituire una rete tridimensionale che si anastomizza (si unisce) con le altre parti delle
cellule, facendo sì che il movimento della contrazione risulti essere una pompa: la capacità delle cellule
di unirsi le une alle altre attraverso dei sistemi giunzionali permette alla massa muscolare del cuore
esattamente come una pompa. Parlando della contrazione del muscolo scheletrico, avevamo visto che
quando il muscolo scheletrico si contrae si accorcia la fibra muscolare, anche in questo caso abbiamo
l’accorciamento della fibra muscolare, ma visto che quest’ultime si intersecano le une con le altre,
abbiamo un accorciamento complessivo che non è uno scorrimento in un’unica direzione, ma diventa
uno scorrimento in direzioni diverse che non dipendono dal sarcoma, ma dalla complessa morfologia
delle mie cellule del cuore.

Da un punto di vista di apporto ematico, il cuore ha una doppia circolazione: una è la circolazione che
serve al trofismo del cuore per mantenere il corretto funzionamento dei cardiomiociti e l’altra è il
complesso circolatorio dipendente dal fatto che il cuore è legato alla circolazione sistemica.

CARDIOMIOCITI
Le cellule cardiache sono delle cellule a nucleo singolo (uninucleate), raramente plurinucleate, con il
nucleo sempre in posizione centrale.

Qui abbiamo le cellule muscolari cardiache in sezione longitudinale.

Qui abbiamo un muscolo cardiaco in sezione trasversale.


Il nucleo è la parte viola che si può osservare. Gli spazi bianchi sono le
tonache connettivali che aiutano a tenere insieme tutte le mie cellule.
Il diametro è relativamente piccolo (rientra nei diametri classici di
una cellula del corpo umano): 15 micron. Può arrivare ad essere lunga

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 2 di 20


Istologia – Istologia II IST 11-MUSCOLO CARDIACO E MUSCOLO LISCIO

un’ottantina di micron, quindi non ha una lunghezza relativamente alta, ma rimane comunque una
cellula con buon allungamento.

Se vado a guardare come è costituito il mio cardiomiocita vedrò:

-il nucleo è in posizione centrale. Anche nelle immagini in microscopia ottica è possibile notare che
attorno al nucleo manca la componente fibrillare.

-la componente fibrillare nel muscolo cardiaco disposta in maniera ordinata, così come lo era nel
muscolo striato scheletrico. Per cui avremo la struttura a sarcomero, con l’alternanza, in microscopia
ottica, di bande chiare bande scure.

-attorno al nucleo una zona più chiara: zona di citoplasma in cui vengono mantenuti tutti quegli
organelli che sono fondamentali per la vita della cellula muscolare cardiaca, ma che non intervengono
nella contrazione.

-la cellula muscolare cardiaca molto ricca di mioglobina (la prof ricorda che la mioglobina è quella
proteina simile all’emoglobina, contenente anch’essa un gruppo prostetico con un atomo di ferro e che
serve a tenere legato l’ossigeno, fondamentale per il meccanismo della contrazione).

-la cellula muscolare cardiaca contiene anche altre riserve energetiche, come i granuli di glicogeno, che
servono per fare in modo che la cellula possa sfruttare al meglio i sistemi che riguardano i mitocondri,
cioè sistemi che necessitano dell’utilizzo dell’ossigeno per produrre elevate quantità di energia.

-ciascuna cellula circondata dall’endomisio presenta una ricca rete di capillari sanguigni, che
provvedono al fabbisogno di ossigeno necessario per le funzioni del cardiomiocita.

-presenza di miofilamenti che non formano miofibrille parallele e ordinate come nella fibra muscolare
ma organizzate in strutture compatte e continue tra le quali si individuano nucleo mitocondri e
porzioni di reticolo sarcoplasmatico.

-il sarcoplasma è molto abbondante e i mitocondri sono più numerosi, più grandi e con un maggior
numero di creste rispetto alla fibra scheletrica

-il reticolo sarcoplasmatico forma una rete di tubuli cisterne ma non formale cisterne terminali, sono
invece presenti piccole espansioni terminali discontinue aderente i tubuli Tdia che vanno a formare le
diadi.

Questo è un’immagine del muscolo in sezione


longitudinale e si può vedere la striatura
trasversale (che si osserva quindi solo nelle
sezioni longitudinali, in sezione trasversale
viene a perdersi). Si vede il nucleo in posizione

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 3 di 20


Istologia – Istologia II MUSCOLO CARDIACO E MUSCOLO LISCIO

centrale e i pallini rossi altro non sono che globuli rossi. La vascolarizzazione del miocardio è
elevatissima, abbiamo molti più vasi in un miocardio di quelli che abbiamo in un muscolo striato
scheletrico.

Questa è la forma della cellula muscolare: nucleo in posizione centrale e con l’aspetto più o meno
ramificato. Queste strutture si uniscono fra di loro tramite un sistema giunzionale, facendo in modo
che la contrazione funzioni come una pompa.

A destra possiamo osservare la sezione


longitudinale, a sinistra quella
trasversale. I nuclei sono in posizione
centrale. Nella sezione trasversale non si
vede la striatura.

Se osservo quanto detto in ultrastruttura, posso osservare meglio quella che è la componente fibrillare,
è possibile vedere la posizione del nucleo e vado a vedere che in mezzo alle strutture sarcomeriche
trovo un’enorme quantità di mitocondri. I mitocondri sono molto più numerosi a livello del muscolo
cardiaco, rispetto al numero di mitocondri che troviamo nella struttura del muscolo scheletrico. Non
solo, i mitocondri nel muscolo cardiaco presentano un numero di creste molto più alto rispetto a
quello che potevamo trovare a livello del muscolo striato.

In questa immagine possiamo


osservare una cellula
muscolare con il suo nucleo, la
striatura (cioè i sarcomeri con
le linee Z e la banda A). Tra un
sarcomero e l’altro in mezzo
abbiamo sempre i mitocondri.

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 4 di 20


Istologia – Istologia II IST 11-MUSCOLO CARDIACO E MUSCOLO LISCIO

Qui a destra possiamo osservare invece le fibre del


sarcomero

Mentre qui possiamo vedere i mitocondri e la loro sezione: notiamo


infatti un sacco di creste mitocondriali. Tanto più alto è il numero delle
creste mitocondriali, tanto più alta è l’energia che il mitocondrio è in
grado di produrre per favorire la contrazione della muscolatura
cardiaca.

All’interno della cellula muscolare devo prevedere di avere gli stessi elementi che avevo nel muscolo
striato scheletrico per far in modo che il segnale di contrazione possa essere portato a livello delle
miofibrille. Se ricordate, il fenomeno della contrazione avviene in maniera molto simile al tessuto
muscolare scheletrico e cioè quando si ha la liberazione degli ioni calcio. Devo fare in modo che gli ioni
calcio vengano portati a livello delle miofibrille del sarcomero. Per fare questo è necessario avere le
invaginazioni della membrana plasmatica, cioè quelle che abbiamo chiamato “tubuli T”, e dovrò fare in
modo che i tubuli T entrino a contatto con il sistema di stoccaggio dello ione calcio che è il reticolo
sarcoplasmatico. A differenza di quello che trovavamo nella cellula muscolare scheletrica, nella cellula
muscolare cardiaca il tubulo T è presente e il suo diametro è generalmente più grande, ma non
abbiamo le dilatazioni grandi di reticolo sarcoplasmatico: abbiamo solo piccole dilatazioni. Questa
struttura prende il nome di diade. Nel muscolo striato scheletrico avevamo la triade, nel muscolo
striato cardiaco abbiamo la diade. Il tubulo T è sempre presente cambia quella che è la struttura del
reticolo sarcoplasmatico.

Un’altra cosa che cambia è il posizionamento:

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 5 di 20


Istologia – Istologia II IST 11-MUSCOLO CARDIACO E MUSCOLO LISCIO

La triade si trova posizionata nel punto di passaggio tra le bande A e le bande I. Quindi nel muscolo
striato scheletrico noi abbiamo due triadi per ogni sarcomero. Nel caso del muscolo cardiaco, le diadi
sono localizzate a livello delle strie Z: quindi servono per dare attività e liberare ioni calcio al
sarcomero di destra e al sarcomero di sinistra. Se le dimensioni del reticolo sarcoplasmatico sono più
piccole in una cellula muscolare striata cardiaca significherà che la quantità di calcio che è stoccata al
suo interno è molto minore e quindi se serve calcio per la contrazione muscolare cardiaca,
quest’ultimo non sarà sicuramente endocellulare.

Questo è sempre il muscolo cardiaco in sezione


longitudinale. In quest’immagine si vede bene la striatura.
Parallelamente ad essa, ogni tanto, si vedono delle
strutture un po’ più spesse: i dischi intercalari o strie
intercalari, essi sono degli elementi evidenziabili
facilmente anche in microscopia ottica e sono dei punti più
spessi che hanno lo stesso andamento delle striature del
sarcomero, cioè le bande A e I (in microscopia ottica).

In questa immagine, data da una colorazione completamente diversa, appaiono più in chiaro, cioè non
assorbono il colore, e la loro funzione è quella di tenere insieme le cellule. Quindi le strie o i dischi
intercalari non sono altro che “linee di confine” che permettono di mantenere unite le mie cellule.

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 6 di 20


Istologia – Istologia II IST 11-MUSCOLO CARDIACO E MUSCOLO LISCIO

Grazie a questi sistemi posso effettuare la contrazione del miocardio.

DISCHI O STRIE INTERCALARI O STRIE SCALARIFORMI


Le strie intercalari sono linee di confine intercellulare che appaiono come struttura non lineari, ma con
aspetto scala riforme e costituite da segmenti trasversali più o meno paralleli ai miofilamenti.

In realtà se in microscopia ottica li ho visti solo come delle barrette, zone più inspessite, che si
frappongono di tanto in tanto fra le strie del mio sarcomero, quando io li vado a vedere in
ultrastruttura, utilizzando una tecnica che mi permette di osservare meglio quella che è la struttura
endocellulare mi accorgerò che i dischi intercalari sono formati da:

-porzione trasversale, visibile anche in microscopia ottica;

-porzione longitudinale, non apprezzabile in microscopia ottica.

La porzione trasversale normalmente non è uniforme, ma in realtà è caratterizzata da un “zig-zag”,


dove troviamo le giunzioni ancoranti, cioè giunzioni di tipo desmosomiale o le fasce aderenti, cioè
giunzioni che utilizzano i filamenti di actina come gli elementi ancoranti del citoscheletro all’interno
della mia cellula.

I filamenti intermedi che vanno a giocare un


ruolo per quello che riguarda il desmosoma (la
prof ricorda che i desmosomi sono quelli che
utilizzano caderine come proteine d’aggancio ed
elementi dei filamenti intermedi come elementi
citoscheletrici, dove i filamenti intermedi sono
diversi in base alla popolazione cellulare che noi
andiamo a prendere). Nel caso della muscolatura
i desmosomi sono ancorati ai filamenti di
desmina. Nel caso delle giunzioni aderenti
abbiamo i filamenti di actina. Molte di queste
zone, soprattutto le giunzioni aderenti, hanno

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 7 di 20


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anche l’alfa actinina, che serve ad ancorare l’actina perfettamente. Secondo alcuni autori, le fasce
aderenti che troviamo a questo livello non sono delle vere e proprie fasce, come quelle che avevamo
descritto a livello delle cellule epiteliali (fascia aderente perché fa tutto il perimetro della cellula).
Quello che importa è che questa zona del disco intercalare serve come elemento ancorante che
mantiene insieme le cellule. Il fatto che non sia lineare serve per aumentare le due superfici di
membrana, in maniera da avere molta più membrana in cui posso andare a fare le giunzioni.

La porzione longitudinale è costituita da giunzioni gap o comunicanti, con i soliti connessoni, che
possono essere canali aperti o chiusi. Così esiste una comunicazione di tipo funzionale fra le cellule del
muscolo cardiaco, favorendo così la conduzione dell’impulso nervoso che determinerà poi la
contrazione della cellula muscolare. Tutto ciò è possibile, perché queste giunzioni costituiscono zone
di bassa resistenza elettrica permettendo la rapida diffusione dell’impulso.

Questa è un’immagine dove si vedono gli elementi del


citoscheletro. Sono visibili i desmosomi e nelle zone di
minore resistenza, cioè quelle in cui non viene scaricato il
meccanismo di contrazione, si hanno le giunzioni gap, dove
le membrane sono collegate le une alle altre e le proteine
sono proteine transmembrana, di comunicazione.

SINCIZIO FUNZIONALE
Qual è l’importanza delle strie intercalari? Il muscolo cardiaco funziona come un sincizio funzionale:
non è un sincizio da un punto di vista morfologico, cioè le cellule non sono fuse fra di loro, ma
funzionano tutte insieme nell’atto della contrazione.

TRASMISSIONE DELL’IMPULSO NEL MUSCOLO CARDIACO


La trasmissione dell’impulso di contrazione viene mandata lungo le cellule muscolari attraverso la
contrazione delle fibre del sarcomero e poi passata, attraverso le giunzioni gap e le giunzioni
meccaniche, da una cellula muscolare, alla cellula adiacente.
Il sistema di connessione delle cellule muscolari prevede la connessione del miocardio comune, cioè
quello che non ha la caratteristica di avere una capacità auto-ritmica, con le cellule autoritmiche
tramite giunzioni gap e desmosomiali, per fare in modo che tutto il muscolo cardiaco si contragga nel
modo corretto e appropriato,

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 8 di 20


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Il muscolo cardiaco è innervato dal sistema nervoso autonomo, orto e para simpatico, che varia la
capacità di contrazione del cuore.

SARCOMERO
Per quello che riguarda la contrazione vera e propria, cioè il meccanismo che sta alla base del
movimento di tutto il cuore, il sarcomero della cellula muscolare striata cardiaca è del tutto
sovrapponibile al sarcomero che avevamo nella cellula muscolare scheletrica: avremo filamenti spessi
e filamenti sottili, dove i filamenti spessi sono rappresentati dalle miosine, che hanno due teste
globulari e una coda filamentosa, che vengono a trovarsi a livello di una linea M e si portano verso una
linea Z, cioè gli inizi dei sarcomeri, mentre i filamenti sottili sono costituiti dai filamenti di actina con
troponina e tropomodulina. L’unica differenza sostanziale nella costituzione del sarcomero di una
cellula muscolare cardiaca è la presenza di una proteina particolare che prende il nome di proteina C.

La proteina C si trova localizzata a livello della banda A, dove ho l’inserzione dei filamenti spessi e dei
filamenti sottili, ed è una proteina che mi serve per mantenere ancora più in asse il sistema di filamenti
spessi e filamenti sottili, cioè è un ulteriore aggancio fra filamenti sottili e filamenti spessi. In questa
maniera facilita e mantiene ancora più ordinata quella che è la contrazione.

Quindi, per quanto riguarda le altre proteine basta rifarsi a quello che abbiamo già detto per il tessuto
muscolare scheletrico, in questo dobbiamo ricordare la presenza della proteina C.

CONTRAZIONE DEL CARDIOMIOCITO


La contrazione avviene per scorrimento dei filamenti sottili sui filamenti spessi. Essa avviene perché
viene liberato lo ione calcio: infatti all’interno del sarcoplasma si libera lo ione calcio, esso si legherà
alla troponina C, quest’ultima sposterà la tropomiosina e libererà il sito di attacco per la miosina e
quindi actina e miosina si legano e avviene la contrazione.
Tuttavia, qui osserviamo una differenza: la diversa costituzione della struttura del reticolo
sarcoplasmatico.
Quando io vado a far contrarre il mio muscolo, la depolarizzazione della membrana del muscolo,
perché comunque dovrò avere un impulso che mi determina la depolarizzazione della membrana, che
potrà essere una terminazione nervosa del sistema nervoso autonomo o all’arrivo di ioni calcio da
parte di una cellula che comunica con me attraverso le giunzioni gap, che fa entrare direttamente
dall’ambiente extracellulare lo ione calcio. Lo ione calcio entra, esso è positivo esattamente com’era
positivo lo ione sodio, quindi nel momento in cui faccio entrare lo ione calcio la membrana si
depolarizza e cambia il suo potenziale, da – 70mV (in realtà qui a -90mV) a +35mV. Man a mano che il
mio impulso, con l’ingresso dello ione calcio, mi arriva a livello del tubulo T, esso fa liberare, siccome
abbiamo dei canali calcio voltaggio- dipendenti, lo ione calcio anche dal reticolo sarcoplasmatico, si
tratta di un processo noto come “rilascio di calcio indotto dal calcio”
Lo ione calcio viene quindi liberato e mi porta alla contrazione del sarcomero. Una volta che l
contrazione è terminata, parte dello ione calcio viene rimandata all’interno del reticolo
sarcoplasmatico e in parte c’è uno scambio fra sodio e calcio, viene buttato fuori dalla membrana e
attraverso questo sistema la contrazione si blocca.

Il ciclo della contrazione è sovrapponibile al ciclo che avevamo nel sarcomero del muscolo scheletrico,
quindi abbiamo la presenza della molecola di ATP, che fa staccare la testa della miosina dal filamento

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 9 di 20


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di actina. L’idrolisi di ATP in ADP e fosfato me la fa riattaccare, mentre la liberazione di ADP e fosfato
mi genera il “colpo di frusta” con la testa legata. Quando arriva una nuova molecola di ATP la testa
della miosina si sposta e ricomincia un nuovo ciclo.

Quindi dal punto di vista sarcomerico non cambia nulla da quello che avevamo visto nel muscolo
scheletrico.

CARDIOMIOCITI
In realtà noi abbiamo 2 tipi di cardiomiociti:

• Comuni, che abbiamo sia negli atri, sia nei ventricoli;


• Specifici, che sono quelli che abbiamo nei sistemi atrio- ventricolare e seno- atriale.

Questi cardiomiociti specifici vanno a formare nel loro insieme quello che chiamiamo miocardio
specifico, quella parte del cuore specializzata nella generazione dell’impulso di contrazione ed è quello
che determina la frequenza di battito del cuore. E’ formato da cellule che sono leggermente diverse da
un punto di vista morfologico e di eccitabilità, rispetto ai cardiomiociti comuni. Inoltre, queste cellule
si raggruppano a formare strutture che possono essere a forma di nodi oppure sotto forma di fasci.
Attraverso questo meccanismo noi saremo capaci di far passare il meccanismo della contrazione dalla
componente atriale alla componente ventricolare. Hanno anche loro il sarcomero, ma sono in grado di
generare in maniera autonoma lo stimolo per la contrazione, quindi richiamano autonomamente calcio
e l’ingrasso di calcio porta alla contrazione di quella cellula muscolare. I cardiomiciti specifici sono
specializzati per assicurare la spontanea e ritmica insorgenze dell'impulso elettrico responsabile di
iniziare la contrazione e la rapida conduzione dell'impulso stesso nel miocardio.

Il punto da dove parte la contrazione del cuore è quella zona di miocardio specifico che si trova a
livello del nodo seno- atriale, la parte più vicina ai vasi a livello dell’atrio. Il sistema di conduzione del
miocardio specifico sarà costituito dal nodo seno- atriale, all’apice dell’atrio destro, e dal nodo atrio-
ventricolare. Poi da esso partono dei fasci, il fascio di His e le fibre di Purkinje, che inizialmente hanno
un decorso comune, ma poi si dividono a formare la branca di destra e la branca di sinistra.

Da un punto di vista morfologico queste cellule sono leggermente diverse da quelle che trovavamo
precedentemente. A livello dei nodi sono più piccoli e hanno più tessuto connettivo, cioè sono
maggiormente vascolarizzate, perché la loro necessità di fare partire l’impulso richiede una quantità di
energia sicuramente superiore alla restante parte. Le cellule dei fasci sono molto grandi, presentano il
nucleo in posizione centrale e hanno una scarsità o una totale assenza di tubuli T, perché a questo
livello la conduzione dell’impulso nervoso avviene solo ed esclusivamente presso le gap junctions che
mettono in contatto tutte quante le mie cellule.
Come funziona il sistema? Si genera l’impulso nervoso a livello del nodo seno-atriale, da esso c’è un
ritardo e poi viene portato al nodo atrio- ventricolare, da esso si ha inizialmente un fascio comuna e
dopodiché la divisione in branca destra e branca sinistra, con le fibre di Purkinje che risalgono lungo
tutto il ventricolo.

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 10 di 20


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Nel tessuto muscolare cardiaco mancano le placche motrici; tuttavia le terminazioni nervose
contraggono stretti rapporti funzionali con le cellule del miocardio che vanno a innervare, in quanto
contengono vescicole sinaptiche simili a quelle delle sinapsi
interneuroniche o delle giunzioni neuro-muscolari.

(visione di un video sulla contrazione)

ECG ATTIVAZIONE NORMALE


Attraverso l’auto- ritmicità, che può essere evidenziata anche
attraverso l’elettrocardiogramma, abbiamo la possibilità di
far contrarre il cuore. I picchi tengono conto dei tempi di
latenza che ci sono nel passaggio dello stimolo fra le varie
parti del sistema di conduzione, del completo svuotamento
degli atri, il riempimento dei ventricoli e il completo
svuotamento dei ventricoli.

FATTORE NATRIURETICO ATRIALE


A livello delle cellule dell’atrio, posizionati in vicinanza del nucleo, in quella zona che appariva più
chiara, dove ci sono tutti gli organelli della cellula, quindi anche il reticolo sarcoplasmatico rugoso e i
ribosomi, si trovano dei granuli, associati all’apparato del Golgi, che contengono un materiale
particolare che si chiama fattore natriuretico atriale o peptide natriuretico atriale, importante perché è
coinvolto nel mantenimento dell'equilibrio idrico-salino ai di di conseguenza nella regolazione della
pressione arteriosa. questo ormone e rilasciato nei capillari miocardici e agisce sul rene, determinando
vasodilatazione aumentata eliminazione del sodio e un aumento della diuresi.

TESSUTO MUSCOLARE LISCIO


L’ultimo argomento relativo al tessuto muscolare è il muscolo liscio, che viene definito tale perché la
distribuzione degli elementi contrattili non è così ordinata come abbiamo visto nei muscoli striati e
quindi osservandolo al microscopio ottico non è possibile identificare la striatura. Questo non significa
che non ci sia un apparato contrattile sufficientemente complicato anche all’interno della muscolatura
liscia. Il tessuto muscolare liscio è innervato dal sistema nervoso autonomo.
È presente nella formazione della tonaca muscolare della parete degli organi cavi degli apparati:
- digerente
- respiratorio
- urinario
- genitale
Si trova anche nella parete delle arterie, delle vene, di alcuni vasi linfatici e dei più grossi dotti
escretori delle ghiandole.

Le cellule muscolari lisce sono lunghi elementi di forma fusata; sono più voluminose nella zona
centrale, dove si trovano il nucleo ed alcuni organuli e si assottigliano all'estremità. Al microscopio
ottico mostrano un nucleo ben colorato ed un citoplasma uniformemente acidofilo. Le cellule
muscolari lisce hanno dimensioni molto diverse a seconda della sede anatomica, varia dai 20 μm ai

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 11 di 20


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200 μm. Il loro spessore è compreso tra i quattro e 20 μm. Si possono trovare isolate, ma solitamente si
trovano organizzate in strutture che si uniscono tra di loro e vanno a costituire delle tonache.
In queste strutture le cellule hanno normalmente un andamento a mosaico, perché sono abbastanza
allungate e si uniscono le une alle altre per fare in modo di andare a coprire l’intera tonaca all’interno
degli organi. Invece cellule di tipo muscolare liscio isolate
sono quelle che si trovano per esempio a livello degli
epiteli, le cellule mioepiteliali, che sono comunque cellule
muscolari lisce, ma sono singole.

Considerando la muscolatura liscia nel suo complesso,


questa si trova diversamente distribuita se si va a
considerare ad esempio la parete dei vasi sanguigni o degli
organi cavi.

Nel caso dei vasi sanguigni, al di sotto dell’endotelio, della tonaca connettivale, si trova normalmente
un unico strato di cellule muscolari lisce che decorrono trasversalmente rispetto all’andamento del
vaso, andando a formare un anello attorno al canale. La dimensione di questo strato di muscolatura
dipenderà dal calibro del vaso: tanto maggiore sarà il
calibro del vaso, tanto maggiore sarà la componente
muscolare. Questo risente della portata di quel vaso, la
quantità di flusso ematico che passa al suo interno.

Invece considerando gli organi cavi, soprattutto quelli


del tubo digerente, meno quelli dell’appartamento
respiratorio, all’interno del tubo digerente si ha non una
tonaca muscolare, ma due, che hanno andamento più o
meno perpendicolare tra loro: una tonaca ha un
andamento circolare, analogo a quello dei vasi
sanguigni, e nell’altra le cellule muscolari decorrono
parallelamente alla lunghezza dell’organo cavo.
All’interno di queste strutture in sezione sarà quindi
possibile identificare delle cellule muscolari lisce che
hanno decorso longitudinale e cellule che hanno sezione
trasversale, perché avendo due tonache perpendicolari
tra loro, in sezione una è longitudinale e l’altra è
trasversale.

Cellule muscolari lisce

Da un punto di vista morfologico, anche queste sono cellule


fusiformi, dove il nucleo è piuttosto voluminoso e sempre
posizionato centralmente. La dimensione di una cellula
muscolare liscia varia a seconda della zona dove si trova, perché a livello dei vasi ha un diametro

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 12 di 20


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attorno ai 20 µm, ma considerando ad esempio la parete dell’utero, la dimensione delle cellule


muscolari è nettamente superiore, circa 10 volte la dimensione di una cellula muscolare del vaso.

Il tessuto muscolare liscio presenta una tipica organizzazione detta mosaico, in quanto le singole
cellule si incastrano fra loro disponendo la porzione equatoriale fra le estremità più sottili delle cellule
adiacenti e viceversa.
Tutte le cellule muscolari lisce presentano una membrana basale (l'endomisio) che circonda in modo
continuo sarcolemma e che è costituita da una lamina basale, formata da una parte amorfa proteico-
polisaccaridica e da una trama di fibre reticolari, la lamina reticolare.

Strutture connettivali

Le strutture connettivali sono presenti anche a livello della muscolatura liscia: le tonache connettivali
sono presenti sempre perché sono quelle che portano vascolarizzazione e innervazione. Sono presenti
sia endomisio, che permette l’innervazione del sistema nervoso autonomo, che perimisio ed epimisio.
Sono tonache molto sviluppate, soprattutto la tonaca perimisiale, perché la forza di contrazione della
muscolatura liscia è molto maggiore rispetto alla striata scheletrica e deve essere mantenuta per un
tempo più prolungato, ad esempio considerando la peristalsi intestinale. Quindi si ha la necessità di
avere un tessuto connettivale che funga da forza meccanica per consentire questa contrazione.

Sezione di muscolo liscio

Queste sono immagini di muscolatura liscia in sezione longitudinale (SC) e trasversale (SL).

Longitudinalmente (a sinistra) si vedono i nuclei delle cellule muscolari lisce e anche in sezione
trasversale (a destra) la posizione del nucleo è
centrale. Gli spazi che si intravedono sono quelli
occupati dal connettivo, quindi quelli occupati
dalla presenza di endomisio e perimisio.

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 13 di 20


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Osservazione al TEM

Andando a guardare la cellula


muscolare liscia in microscopia
elettronica a trasmissione, si osserva
che il nucleo è grande e voluminoso,
tant’è che la cellula ha la zona centrale molto più alta rispetto alla periferia. Il nucleolo è sempre
evidente, la componente di organuli è normalmente localizzata ai due poli del nucleo, mentre la parte
periferica è occupata dalla componente citoscheletrica. Per esempio, in questa immagine si vede la
presenza dei mitocondri, ma anche delle cisterne del reticolo endoplasmatico e in parte dell’apparato
di Golgi e i lisosomi.
La peculiarità di queste due porzioni di citoplasma consiste nel fatto che questi organuli sono
equamente rappresentati vicino ad entrambi i poli assumendo una configurazione quasi speculare.

Avevamo visto che nel muscolo cardiaco la


componente fibrillare è posizionata
perifericamente e va a occupare la stragrande
maggioranza del citoplasma, perché la funzione
di questa cellula è quella di andarsi a contrarre;
in una cellula muscolare liscia la componente
citoscheletrica è localizzata più alla periferia,
mentre vicino al nucleo si trovano tutti gli
elementi che permettono di avere energia e di
fornire la sintesi proteica degli elementi del
citoscheletro.

Un altro aspetto importante è relativo al sarcolemma, cioè la membrana plasmatica della cellula
muscolare liscia. Il sarcolemma presenta delle invaginazioni dette caveole, che sono strutture che
svolgono un’azione probabilmente simile all’azione dei tubuli T, cioè a livello di queste invaginazioni si
può favorire la depolarizzazione della membrana e la cellula fa in modo che quando questo avviene sia
il più possibile a contatto con quelli che sono gli elementi endocellulari. La contrazione avviene grazie
agli elementi del citoscheletro dentro la cellula. Quindi è necessario che lo stimolo di contrazione, che è
sempre dato dalla presenza di ioni calcio, venga percepito a livello degli elementi del citoscheletro,
perciò la cellula acquisisce questo sistema delle invaginazioni per aumentare la quantità di membrana
che dà la possibilità di far entrare lo ione calcio all’interno della cellula.

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 14 di 20


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Anche nel caso della cellula muscolare liscia si hanno eventi di giunzione intercellulare, che fanno in
modo che, soprattutto in alcuni distretti, il muscolo liscio funzioni come un sincizio, così come
succedeva per il muscolo cardiaco. Non vale per tutta la muscolatura liscia, che non è tutta uguale
all’interno dell’organismo dal punto di vista del funzionamento, quindi nelle zone in cui si hanno grossi
sistemi di muscolatura, per esempio a livello dell’apparato digerente, le cellule devono essere messe
insieme sia dal punto di vista meccanico sia della comunicazione, attraverso desmosomi e giunzioni
gap.

Apparato contrattile

La grossa diversità che si ha nel muscolo liscio è relativa alla parte contrattile e alle modalità di
contrazione. L’apparato contrattile è costituito da diversi elementi:

• Placche dense e corpi densi, che sono fondamentalmente l’analogo delle strie Z del sarcomero.
• Filamenti sottili, prevalentemente costituiti da actina.
• Filamenti spessi, che sono costituiti da
miosina.
• Proteine associate ai filamenti contrattili.
• Proteine del citoscheletro che servono a
favorire la contrazione del muscolo liscio.
Quindi i protagonisti, in linea di principio, sono
sempre gli stessi, ma ci sono delle variazioni
perché si trovano distribuiti in maniera diversa.

Le placche dense (rappresentate in figura con *) e


i corpi densi (rappresentati in figura con →) sono
elementi costituiti da alfa-actinina e da talina e
sono gli analoghi delle strie Z. Si possono trovare dispersi all’interno del cistoplasma della cellula,
quindi parleremo di corpi densi, o associati al lato interno del sarcolemma o alla membrana esterna
dell’involucro nucleare, quindi parleremo di placche dense. Sono i punti su cui si vanno ad ancorare le
fibre di actina, ancorate sempre dal polo positivo proprio come nella stria Z. Questi elementi poi
prenderanno anche contatto con i filamenti intermedi di desmina.
Il ruolo dei filamenti intermedi desmina e di mediare la deformazione del sarcolemma durante le
modificazioni derivate dalla contrazione della componente miofilamentosa.
Queste sono le membrane di due cellule muscolari. Sotto il sarcolemma si trovano le placche dense,
quello all’interno è un corpo denso, e queste placche dense si trovano sia sul sarcolemma sia associate
alla membrana esterna dell’involucro nucleare.

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 15 di 20


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Un’altra differenza importante è legata alle caratteristiche dei filamenti sottili. I filamenti sottili sono
fatti di actina, con il polo positivo legato ai corpi densi o alle placche dense. È presente la
tropomiosina, che va a oscurare i siti di legame per la miosina sul filamento di actina. La posizione
della tropomiosina sul filamento sottile è regolata dalla fosforilazione delle teste della miosina. Ci sono
anche due proteine diverse, che sono la calponina e il caldesmone che non fanno altro che svolgere lo
stesso ruolo che svolgeva la troponina nei muscoli striati. Sono in grado di bloccare il sito di legame
dell’actina per la miosina e sono in grado di modificare la propria conformazione nel momento in cui la
miosina diventa in grado di andarsi a legare ai filamenti di actina. Infatti, quando è presente il calcio la
miosina viene fosforilata.

In filamenti spessi contengono miosina II che formato da due catene pesanti quattro catene leggere. Le
molecole di miosina sono orientate per una porzione del filamento in una direzione, per l'altra
porzione nella direzione opposta; si viene a formare una disposizione antiparallela. I filamenti di
miosina delle cellule muscolari lisce hanno le teste disposte all'estremità e le code al centro. In
condizioni di riposo le due catene leggere di tipo regolatorio della miosina non sono fosfori latte e ciò
conferisce alla molecola di miosina due caratteristiche
importanti:
1. non ha una forma lineare, ma ripiegata su se stessa, così
che più molecole di miosina non possono aggregarsi tra loro per
formare filamenti.
2. Le teste della miosina non sono in grado di legarsi
all’actina.

Infine, mediante TEM è possibile osservare la presenza di


numerose giunzioni intercellulari, che sono sia di tipo aderente,
a macula o desmosomi, che garantiscono il mantenimento dei
contatti cellulari durante la contrazione, sia giunzioni
comunicanti o giunzioni gap, che permettono l'accoppiamento
elettrico e quindi la diffusione dell'onda di depolarizzazione a
tutte le cellule del tessuto

Inizialmente la coda della miosina è attorcigliata su sé stessa. Quando sta così non succede niente e in
questo modo il muscolo non si può contrarre. Nel momento in cui invece avviene un fenomeno di
fosforilazione, cioè di aggiunta
di gruppi fosfato alla testa della
miosina, la coda della miosina si
srotola ed è in grado di andare a
prendere contatto con altre
miosine e andare a costituire i
filamenti di miosina, costituiti
esattamente come quelli che si
trovano dentro il sarcomero,
quindi con tutte le teste di
miosina che sporgono lungo un
filamento lineare. Fino a
quando la miosina non arriva a essere fosforilata e a srotolarsi, non può prendere contatto con l’actina
e quindi il muscolo liscio
non si può contrarre.

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 16 di 20


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Come si fa in modo che si srotoli? Questo avviene


perché all’interno del muscolo liscio è presente un
sistema che è in grado di legare il calcio e nel
momento in cui lo lega è in grado di andare a far
fosforilare la miosina e quindi a facilitare il suo
srotolamento. Questo sistema si basa su due
proteine fondamentali:

• La calmodulina, che è in grado di legare lo


ione calcio.
• La chinasi delle catene leggere della
miosina. Le chinasi sono proteine che attaccano i
gruppi fosfato sulle molecole. La chinasi delle catene leggere della miosina è quella che ne
srotola la coda.

Il complesso di calmodulina e calcio è in grado di attivare il sistema della chinasi. La chinasi va a


srotolare la miosina che si associa con tutte le altre miosine attivate e si va ad attaccare al filamento di
actina. Attraverso questo sistema actina e miosina si legano e si può avere la contrazione.

Contrazione muscolare

Da cosa dipende la contrazione? Il muscolo liscio si può contrarre per stimolazioni diverse:
• Stimolazioni ormonali, che sono indotte da sostanze chimiche riconosciute da recettori sul
sarcolemma che fanno entrare il calcio all’interno della cellula. Il calcio si lega alla calmodulina
e la miosina si srotola.
• Stimolazioni meccaniche, come lo stiramento passivo di un vaso o la distensione della parete
dello stomaco, che vanno ad attivare canali meccano-sensibili. Anche in questo caso si vanno a
variare le aperture dei canali che fanno entrare il calcio.
• Stimolazioni elettriche, quindi delle placche motrici legate al sistema vegetativo che liberano il
mediatore chimico e causano la contrazione.
Quindi varia il meccanismo di attivazione e variano quelli che possono essere i vari stimoli che portano
alla contrazione.
Nel muscolo striato scheletrico c’è solo lo stimolo della placca motrice.
Nel muscolo cardiaco può essere uno stimolo legato al sistema nervoso autonomo, ma può essere
anche lo stimolo dato direttamente dal sistema di conduzione.
Nel muscolo liscio la situazione diventa ancora più complicata, perché la sua contrazione può essere
innescata da tanti fattori.

Qualsiasi sia lo stimolo, il risultato è esattamente lo stesso. Avviene l’ingresso dello ione calcio, che si
lega alla calmodulina. Il suo ingresso fa anche attivare canali voltaggio-dipendenti all’interno del
reticolo sarcoplasmatico, perché in realtà la quantità di ione calcio che entra dall’esterno non è
sufficiente alla contrazione. La calmodulina si lega alla chinasi per le catene leggere, che va a
fosforilare le catene leggere, per cui queste si allungano si associano tra di loro e vanno a costituire il
filamento di miosina. L’ingresso del calcio però porta anche al fatto che il caldesmone si accorga della
presenza di ione calcio e quindi vada a liberare il sito di attacco per la miosina sul filamento di actina.

Quindi avviene l’attacco dei filamenti. Grazie alla presenza di ATP i filamenti di actina vengono fatti
scorrere sui filamenti di miosina, esattamente come succedeva nel caso del sarcomero, ma la
differenza fondamentale è che i corpi densi e le placche dense sono distribuiti in posizione
completamente diversa. Quindi, attraverso questo sistema la cellula muscolare liscia viene trascinata
in tutte le direzioni. La contrazione avviene sulle placche dense sulla superficie, poi arriva al corpo

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 17 di 20


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denso e poi arriva fino alla placca densa che si trova localizzata sulla membrana del nucleo. Questo
comporta che si vada a modificare anche la struttura nucleare. Modificandosi la struttura nucleare,
significa che all’interno del nucleo si va a dare uno stimolo per far modificare quella che è l’attività di
sintesi della cellula. È quindi molto più impattante l’effetto della contrazione su tutta la struttura
cellulare rispetto a quanto abbiamo visto per gli altri sistemi.

Una volta che il sistema deve bloccarsi, c’è una proteina che si occupa di defosforilare la coda di
miosina e il meccanismo di contrazione va a scomparire, quindi la cellula va incontro a rilassamento.

La velocità di contrazione di un muscolo liscio è molto più lenta rispetto a quella che è la velocità di
contrazione sia del muscolo cardiaco sia scheletrico. Al contrario, la contrazione è molto più forte e
molto più duratura nel tempo, perché il sistema di fosforilazione e defosforilazione è molto lento.
Questo è utile soprattutto nei muscoli che devono mantenere il tono muscolare, quindi una
contrazione per un periodo di tempo piuttosto lungo.

La contrazione del muscolo liscio può essere di


due tipi:

• La contrazione ritmica è quella che si


ha nella peristalsi intestinale. Questa
viene facilitata dalla presenza di
giunzioni desmosomiali e giunzioni gap.
• La contrazione tonica avviene quando
il tono muscolare deve essere
mantenuto in un vaso. Un vaso non può
avere cellule rilassate, deve mantenere sempre un determinato livello minimo di contrazione,
che è quello necessario a contrastare la pressione del sangue che possa al suo interno.

Tipi di muscolatura liscia

L’ultimo aspetto della muscolatura liscia è che si può comportare come un tutt’uno o come cellule
singole. Si parla quindi di due tipi di muscolatura liscia:
• La muscolatura liscia unitaria o viscerale, come quella che si trova all’interno della parte
addominale. In questo caso si hanno poche giunzioni nervose, poca innervazione, ma tanti
contatti tra le cellule, tanto giunzioni gap e desmosomiali, che fanno sì che un solo stimolo
permetta la contrazione di un interno tratto di muscolatura.

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 18 di 20


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• La muscolatura liscia multiunitaria, che caratterizza muscoli lisci in cui il controllo deve
essere molto più sottile. In questo caso si hanno tante terminazioni nervose che vanno a
prendere contatto quasi esclusivamente con un un’unica cellula muscolare. In realtà si parla di
uno strato muscolare di cellule unite tra di loro tramite giunzioni. Questo controllo nervoso è
molto più fine e permette una contrazione totalmente diversa che dà la possibilità di far
contrarre il muscolo molto più rapidamente. Ad esempio, questo tipo si trova nel muscolo
accomodatore dell’occhio, che deve accomodare la visuale a seconda delle distanze, quindi in
questo caso c’è la necessità di avere un controllo molto più fine.

Rigenerazione del tessuto muscolare

Per quello che riguarda il muscolo striato scheletrico, al suo interno, al di sotto dell’endomisio, si
hanno delle cellule che ricordano i mioblasti e che quindi sono delle cellule staminali satelliti che sono
in grado di andare a rigenerare quella che è la struttura muscolare, andando a ripristinare la
continuità del citoscheletro. Queste cellule vanno incontro a un processo di differenziamento nel
momento in cui c’è un danno a livello vascolare vanno a ripercorrere tutte le tappe che portano alla
formazione dei una cellula muscolare. Le cellule muscolari nascono per unione di cellule dette
mioblasti, che formano i miotubuli e poi i questi formano le prime cellule muscolari. Quindi attraverso
questo sistema è possibile la rigenerazione del muscolo. Queste cellule possono essere indotte a
rigenerazione anche tramite fattori di crescita e sono in grado di andare a ripristinare l’integrità
muscolare se il danno muscolare non è particolarmente elevato.

Situazione completamente diversa per quello che riguarda il muscolo cardiaco. Nel muscolo cardiaco, il
cardiomiocita non ha capacità rigenerative. Normalmente le cellule vanno in apoptosi in seguito a un

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 19 di 20


Istologia – Istologia II MUSCOLO CARDIACO E MUSCOLO LISCIO

grave danno. In seguito a un danno dei fibroblasti, questi non hanno attività citoscheletrica, quindi non
sono in grado di andare a provocare attività contrattile. Esistono cellule staminali a livello del cuore, in
numero molto basso e molto probabilmente sono legate alla componente vascolare presente
all’interno del cuore.

Sempre legata alla componente vascolare presente all’interno del muscolo è la componente in grado di
far rigenerare la muscolatura liscia. La muscolatura liscia, a differenza degli altri muscoli, che sono
perenni e non vanno mai incontro a mitosi, è in grado di andare incontro a mitosi e subire
rigenerazione da parte dei periciti, che sono cellule abbastanza indifferenziate che si trovano attorno
a buona parte dei capillari in quasi tutti i distretti anatomici e quindi sono cellule che sono in grado di
differenziarsi in tanti tessuti, incluso il tessuto muscolare. Questi sono in grado di dare origine alle
cellule muscolari lisce, ma in parte anche al tessuto muscolare cardiaco.

Autore: Alessia Muccioli, Sara Rocchetta, Giulia Maffei per Medicina08 20 di 20


ISTOLOGIA II
“Tessuto nervoso”

ID lezione IST12 Modulo Istologia II

Data lezione 27 Aprile 2021

Autore Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili

Lezione
Prof. Monica Mattioli
tenuta da

Argomento Tessuto nervoso

Eventuali
Slide proiettate a lezione
riferimenti

TESSUTO NERVOSO
Il Tessuto Nervoso è un tipo di tessuto costituito da un numero
elevatissimo di cellule strettamente unite tra loro, alcune di queste cellule
sono direttamente specializzate nel meccanismo di conduzione
dell’impulso nervoso, altre hanno un’attività regolatoria o di
mantenimento della funzione delle cellule di tipo neuronale.

Funzioni del sistema nervoso


• Fornire sensazioni sull’ambiente interno ed esterno;

• Integrare le informazioni sensoriali;

• Coordinare le attività volontarie ed involontarie;

• Regolare e controllare le strutture e gli apparati periferici;

• Essere la sede delle cognizioni, delle emozioni e della memoria.

• Segnale di input(afferente): vengono percepite tutte le sensazioni provenienti dalla periferia


(è più corretto parlare di periferia piuttosto che di ambiente esterno poiché le sensazioni ci
arrivano sia dall’ ambiente circostante sia dall’interno del corpo).

• Integrazione ed elaborazione: l’input deve essere integrato ed elaborato in modo da dare una
risposta adeguata alla stimolazione.

• Output: controllo della contrazione delle


fibre e delle cellule muscolari, funzione delle
ghiandole ed altri vasi.
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

Suddivisione anatomica generale:

• Sistema Nervoso Centrale (SNC)


Comprende l’encefalo (cervello, cervelletto e tronco encefalico). È il responsabile dei meccanismi di
integrazione. A questo livello arriva l’informazione sensoriale.

• Sistema Nervoso Periferico (SNP)


Comprende i gangli cerebrospinali (localizzati lungo la colonna vertebrale) e i nervi cranici e spinali. È
implicato nel meccanismo di input e output.

TESSUTO NERVOSO
Localizzato a livello del sistema nervoso centrale, il tessuto nervoso è riccamente vascolarizzato, questo
perché le cellule per poter svolgere la loro funzione necessitano di una enorme quantità di apporto
metabolico.
Non contiene una matrice extracellulare (se noi la consideriamo come quella che si ha nel classico
tessuto connettivo), ma in realtà le cellule poggiano su una rete tridimensionale che permette loro di
essere mantenute nella corretta posizione e di avere interazioni cellula-cellula, quindi avranno
comunque quella piccola parte di matrice extracellulare che rende il materiale tra una cellula all’altra
sufficientemente fluido da favorire il passaggio di sostanze o avrà fibre reticolari o un po’ di collagene
di tipo IV che vanno a costituire i punti di aggancio per rimanere in una determinata posizione.

A livello cellulare il tessuto nevoso è costituito da:


▪ Cellule della glia/nevroglia: sono cellule NON NERVOSE, cioè non sono in grado di condurre
impulso nervoso, ma forniscono un sostegno strutturale e metabolico fondamentale per l’attività
delle cellule neuronali. Hanno una capacità di controllo sulle cellule neuronali per la
trasmissione dell’impulso nervoso.

▪ Neuroni: sono cellule terminalmente differenziate e perenni (cioè perdono la capacità di


dividersi). Dal punto di vista funzionale sono altamente polarizzate, quindi avranno un polo di
ricezione e un polo di trasmissione.

Cellule della Glia


Sono fondamentali per il corretto funzionamento del sistema nervoso e sono molto più numerose delle
cellule neuronali, infatti vi sono circa 10 cellule della glia per ogni neurone (rapporto 10:1). Vengono
facilmente identificate all’interno di una sezione di tessuto nervoso, perché hanno delle fibre al loro
interno con delle proteine che sono caratteristiche specifiche del tessuto gliale. Sono fondamentali per
il corretto posizionamento delle cellule durante lo sviluppo della massa cerebrale. Le cellule gliali
hanno mantenuto una discreta attività mitotica a differenza delle cellule neuronali che nono possono
dividersi. Le cellule della glia possono appartenere sia al SN centrale che al SN periferico.

Cellule della glia del sistema nervoso centrale

• Cellule ependimali;
• Macroglia (astrociti e oligodendrociti) di derivazione neuroectodermica;
• Microglia, di origine mesodermica.

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 2 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

Cellule della Glia del sistema nervoso periferico


• Cellule di Schwann;
• Cellule satelliti che si trovano a livello dei gangli periferici.

Queste cellule della glia derivano dalle creste neurali.

Cellule ependimali

Derivano dal rivestimento interno del tubo neurale. La morfologia di queste


cellule varia a seconda del distretto anatomico in cui si trovano, vanno a
costituire una sorta di epitelio di rivestimento e un’ependima generale
che va ad avvolgere la sostanza grigia e in parte la sostanza bianca, e un
ependima specializzato che va a produrre il liquido cefalorachidiano. Le
cellule che costituiscono la parte specializzata sono formate da epitelio
pseudostratficato di tipo ciliato, si mettono insieme tra di loro e hanno un
aspetto di epitelio pseudostratificato, anche se sono cellule con un’origine diversa; questo perché
devono fare in modo di ricoprire una cavità, in particolare devono far in modo che il liquido che viene
secreto debba rimanere dentro la cavità e sono ciliate perché il liquido deve muoversi nella cavità perché
serve per il nutrimento del tessuto nervoso.

Nei plessi coroidei anziché avere un epitelio ciliato pseudostratificato, si avrà un epitelio
pavimentoso. Qui non serve il movimento del liquido cefalorachidiano, ma una fase di apertura che
permette in piccola parte la sua fuoriuscita.

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 3 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

Astrociti
L’astrocita è una cellula di forma stellata molto grande e con
numerosi prolungamenti. Mette in comunicazione la componente
vascolare con la componente neuronale. Si connettono attraverso
una sorta di piedini, con il capillare da un lato, e dall’ altro con i
prolungamenti delle cellule neuronali. Ci sono due tipi diversi di
astrociti che hanno una morfologia differente:

- Astrociti protoplasmatici: si trovano a livello della sostanza grigia che è quella parte del
tessuto nervoso dove si trovano i corpi cellulari delle cellule nervose. Gli astrociti
protoplasmatici hanno dei piedini più larghi e dei prolungamenti più corti. La funzione di questo
tipo di Astrocita è quella di intervenire nel metabolismo.

- Astrociti fibrosi: si trovano a livello della sostanza bianca. Questi hanno dei prolungamenti
sottili e dei piedini più piccoli. La loro funzione è quella di costituire un contatto per la
vascolarizzazione.

Gli astrociti hanno una funzione trofica, in particolare costituiscono la barriera ematoencefalica che è
quella barriera tra la componente vascolare e la componente encefalica. La barriera ematoencefalica
serve per selezionare il trasporto di sostanze all’interno del tessuto nervoso. Gli astrociti hanno anche
la funzione di effettuare FAGOCITOSI di elementi di scarto o danneggiati che appartengono alle cellule
della glia o a piccole parti delle cellule neuronali (non lo fanno, però, nei confronti degli agenti patogeni
che potrebbero entrare nel caso in cui si dovesse rompere). Hanno un ruolo importante nel modulare la
comunicazione tra le cellule neuronali, infatti hanno la capacità di arrivare con i loro prolungamenti a
mediare lo scambio tra porzione presinaptica e postsinaptica del neurone (plasticità sinaptica).

Oligodendrociti
Sono responsabili della produzione della guaina mielinica, del rivestimento
mielinico a livello dei prolungamenti delle cellule nervose nel sistema nervoso
centrale. Vi sono due popolazioni di oligodendrociti:

- quella interfascicolare, che è direttamente responsabile della


produzione della guaina mielinica;
- quella dei satelliti, associata al corpo cellulare, la cui funzione non è del
tutto nota (è probabile che intervengano nella fase di formazione delle
cellule nel sistema nervoso centrale).

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 4 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

Microglia
Le cellule della microglia hanno una derivazione mesodermica.
Sono cellule che rappresentano la barriera di difesa del sistema
nervoso centrale, derivano, infatti, dal sistema monocito
macrofagico. Sono monociti embrionali che vanno a portarsi a
livello del sistema nervoso centrale e vanno a trasformarsi in cellule
della microglia. Le cellule della microglia, a differenza di quello che
avviene nei monociti macrofagi che si dividono poco, mantengono
una discreta attività mitotica. Cosi come i monociti macrofagi
possiedono due forme differenti, quelli attivi proinfiammatori e
quelli antinfiammatori che chiudono il fenomeno dell’infiammazione
quando la situazione è sotto controllo, anche nella cellule della
microglia sono state identificate popolazioni M1 e M2, quindi cellule
che vengono attivate e danno vita ad piccolo fenomeno
infiammatorio, quindi svolgono attività fagocitaria sia nei confronti
di piccoli batteri che possono essere entrati, ma anche nei confronti
di elementi che devono essere distrutti. Queste due popolazioni sono legate al meccanismo della
plasticità sinaptica (se io mi devo accrescere e ho fatto una sinapsi in un determinato punto ma il mio
neurone si sta accrescendo, quindi da quel punto si deve staccare, ci sono degli elementi che a quel livello
devono essere distrutti e questi vengono distrutti dalle cellule della microglia).

Cellula di Schwann

È responsabile dell’andare a formare le cellule della guaina mielinica a


livello del sistema nervoso periferico. La possibilità che la cellula ha di
prendere contatto con le cellule neuronali è differente, andando a costituire
le fibre nervose mieliniche in cui la cellula di Schwann si è attorcigliata
attorno al prolungamento della cellula nervosa o andando a costituire fibre
nervose amieliniche in cui il contatto tra cellula nervosa e cellula di
Schwann non è costituito dalla guaina mielinica e questa differenza di
contatto porterà ad una differenza funzionale a livello della cellula nervosa.

Cellule satelliti
Si trovano a livello dei gangli spinali del SN periferico e hanno
un ruolo trofico (svolto anche dagli astrociti protoplasmatici nel
SN centrale).

Neuroni
Cellule altamente specializzate che intervengono nella
conduzione dell’impulso nervoso. Questi hanno avuto origine nel periodo embriofetale e durante la vita
perdono la capacità di dividersi per mitosi, ma mantengono la capacità di modulare la struttura dei loro
prolungamenti. Il neurone è costituito da un corpo cellulare dove si trova il nucleo con il nucleolo; dal

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 5 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

corpo cellulare dipartono dei prolungamenti tra


cui i dendriti, che sono generalmente più
numerosi, e l’assone, che è il prolungamento più
lungo, il quale termina con delle espansioni a
bottoncino che prendono il nome di sinapsi.

Corpo cellulare
Il corpo cellulare (anche soma o pirenoforo) è di
morfologia variabile:

- A fiasco, triangolare nelle cellule del


Purkinje
- Tondeggiante nei gangli
- Stellata
- Piramidale
A seconda di questa morfologia, si può fare una diversa classificazione dei neuroni.

A livello del corpo cellulare ho:

▪ Il nucleo del neurone che sarà eucromatinico, poiché la cellula neuronale


ha una attività metabolica molto elevata, e ha un nucleolo ben evidente;
▪ Varie componenti citoplasmatiche che servono a una cellula per svolgere
l’attività metabolica (RER, poliribosomi, una componente citoscheletrica
rappresentata da filamenti di actina e neurofribille costituite da filamenti intermedi. Il
citoplasma del corpo cellulare è in continuità con i prolungamenti della cellula
neuronale, che sono tutti parte del citoplasma, sono tutti sotto la stessa membrana.
▪ Sostanza tigroide o di NISSL che comprende la componente relativa alla sintesi
proteica (ribosomi e RER) ed è identificabile perché si colora con coloranti basici.

Dal corpo cellulare si dipartono vari prolungamenti che hanno una funzione
diversa perché il flusso di informazioni può andare dalla periferia al centro (via
centripeta) o dal centro verso la periferia (via centrifuga). I prolungamenti che
svolgono l’azione di trasmissione di molecole dalla periferia verso il centro sono
i dendriti, mentre i prolungamenti che svolgono la funzione opposta sono gli
assoni.

ATTENZIONE: i dendriti possono essere uno, nessuno, centomila, l’assone è


soltanto uno.

Dendriti
I dendriti sono un’espansione del corpo cellulare, perché al loro interno
ritroviamo gli stessi elementi del citoplasma che si trovano all’ interno del corpo
cellulare ad eccezione dell’Apparato di Golgi e della coppia di Centrioli. Sulla
superficie dei dendriti ci sono degli elementi in delle zone di ispessimento che
si chiamano normalmente spine che non sono altro che il punto di contatto dove
potrà avvenire la conduzione dell’impulso nervoso.

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 6 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

Assone
L’Assone parte da una struttura priva di organuli che è denominata cono di emergenza ed è posizionato
davanti all’ Apparato di Golgi e ai Centrioli. Al suo interno non contiene mai elementi responsabili della
formazione di proteine, infatti, avrò mitocondri, ma non avrò mai ribosomi o parti di reticolo
endoplasmatico. Il grosso della struttura dell’assone è rappresentato dall’apparato citoscheletrico. Gli
assoni non si ramificano mai in stretta vicinanza del corpo cellulare, cosa che invece fanno i dendriti, ma
si ramificano ad una certa distanza. Le terminazioni dell’assone sono le sinapsi. Il citoscheletro è
formato dai neurofilamenti, cioè la quinta classe di filamenti intermedi, microfilamenti e infine
neurotubuli, cioè microtubuli che hanno un orientamento ben preciso, ovvero sono rivolti con
l’estremità positiva verso la periferia della cellula. Questo orientamento è caratteristico solo dell’assone.
Il motivo per cui si hanno i centrioli nel neurone è che mi servono per formare i neurotubuli.

Flusso assonico
All’interno dell’assone esiste un continuo movimento di molecole che va dal centro (corpo cellulare)
verso la periferia e dalla periferia verso il corpo cellulare. Questo tipo di movimento che avviene all’
interno del citoplasma prende il nome di flusso assonico. Il flusso assonico può essere veloce o lento.

• Flusso lento: viene comunemente definito anterogrado, perché va dal corpo cellulare verso la
terminazione sinaptica ed è legato a fenomeni di contrazione dovuti dalla presenza di
microfilamenti (microfilamenti di actina);

• Flusso veloce: movimento ATP-dipendente (in parte anche quello precedente) che si instaura sui
microtubuli. Questi sono grossi binari lungo i quali le proteine motrici associate ai microtubuli sono
in grado di trasportare le molecole o dal corpo cellulare verso la periferia (flusso anterogrado) o
dalla periferia verso il corpo cellulare (flusso retrogrado). Le molecole che si occupano di fare il
flusso assonico veloce anterogrado si chiamano kinesine quelle che invece si occupano di fare il flusso
assonico veloce retrogrado sono le dineine. Queste proteine possiedono delle sorte di piedini che
sono dotati di attività ATPasica o GTPasica e sfruttano l’idrolisi dell’ATP per spostarsi. Ciò che
permette loro di muoversi in un senso o nell’altro è la distribuzione spaziale dei microtubuli. Le
Kinesine riconoscono l’estremità positiva dei microtubuli e quindi sono responsabili del trasporto
anterogrado perché all’interno dell’assone i microtubuli hanno l’estremità positiva verso la periferia,
mentre le Dineine riconoscono l’estremità negativa. In questo meccanismo vengono spostate le
vescicole sinaptiche, che contengono le molecole importanti per favorire la trasmissione
dell’impulso nervoso, e queste dovranno andare da dove vengono sintetizzate, quindi dal corpo
cellulare, verso la periferia; verranno trasportati i mitocondri, perché lungo l’assone se si vuole fare
in modo che queste proteine camminino, sarà necessario fornire energia, mentre le vescicole vuote
si sposteranno verso il corso cellulare per essere riutilizzate.

• Sostanza grigia: parte del tessuto nervoso costituita dai corpi


cellulari e parte delle ramificazioni dendritiche;

• Sostanza bianca: parte del tessuto nervoso costituito da fasci di


assoni.

L’unica parte di sostanza grigia del sistema nervoso periferico è


costituita dai gangli spinali. Mentre la maggior parte del SN periferico è
costituita da sostanza bianca.

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 7 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

La distribuzione della sostanza grigia nel sistema nervoso centrale


è abbastanza ben definita e si avrà a livello della corteccia
cerebrale e a livello dei nuclei sottocorticali. Normalmente è
periferica (in un preparato istologico è colorata basicamente
perché vi sono molti nuclei e tutta la sostanza di Nissl), mentre la
sostanza bianca si trova più internamente. A livello del midollo
spinale il rapporto tra sostanza grigia e sostanza bianca è
invertito, la sostanza grigia è quella che si trova all’interno (a
forma di H o, se volete essere essere più romantici, a forma di
farfalla, decidete voi). A seconda delle zone dove si va a tagliare il
midollo spinale, quindi se lo andate a tagliare a livello cervicale, toracico o lombare, le dimensioni della
sostanza grigia cambierà. La zona anteriore è normalmente la zona dove sono localizzati i neuroni
motori.

Classificazione dei neuroni


1. Da un punto di vista morfologico il
neurone può essere costituito un unico
corpo e da nessuno o tanti dendriti, in
relazione a questo parleremo di:

• Neuroni unipolari: quando dal cono di


emergenza fuoriesce un prolungamento
che in realtà funziona da assone e la
recezione della stimolazione nervosa
avviene solo a livello del corpo cellulare
(del pirenoforo).
La professoressa specifica che l’assone non funziona da emettitore e da ricettore, ma l’informazione è
recepita dal corpo.
Sono privi di dendriti. (esempio: coni e bastoncelli della retina)

• Neuroni bipolari: neuroni che hanno da una parte il cono di emergenza con un prolungamento
assonale e dalla parte diametralmente opposta hanno un unico prolungamento che è
dendritico. Ovvero presentano un solo dendrite ed un assone posizionati ai poli opposti
(esempi: recettori di gusto, vista e udito).

• Neuroni pseudounipolari: sembra che siano unipolari, ma in realtà hanno due prolungamenti.
Dal cono di emergenza fuoriesce un iniziale prolungamento che però poi si divide in due. Sono
provvisti di un assone e un dendrite che presentano un tratto iniziale comune (cellule a T).
La stragrande maggioranza dei nostri neuroni è rappresentata dai neuroni multipolari, caso in cui si
avranno un enorme quantità di prolungamenti dendritici, ma sempre e solo un unico assone.

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 8 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

• neuroni
multipolari:
presentano un
singolo assone, ma
molti dendriti. Il
pirenoforo ha
forme
diverse
(motoneuroni del
midollo spinale,
cellule di Purkinje
nella corteccia
cerebrale)

-Immagini con la colorazione che ci fa apprezzare la componente citoscheletrica:

2. Possiamo classificare i neuroni anche in base al tipo di comportamento dell’assone:


• neuroni di proiezione (I tipo di Golgi):
abbiamo un assone lungo (anche alcuni
cm) che normalmente rimane a livello del
SNC (entra a far parte dei nervi periferici
come i motoneuroni del midollo spinale),
o se consideriamo il SNP va a costituire
un nervo.
• neuroni di circuito locale (II tipo di
Golgi): assone molto più corto.
Normalmente si dice che l’assone del
secondo tipo non abbandona quasi mai la
sostanza grigia, rimane sempre all’interno. Mentre nel caso del primo tipo ha un assone lungo

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 9 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

che può passare dalla sostanza grigia alla sostanza bianca o se fossimo a livello del SNP
potrebbe costituire addirittura un nervo.

Classificazione dei neuroni multipolari in base alla lunghezza dell’assone, classificazione di Camillo
Golgi di fine 800, solo studio morfologico. Lo scopo della istologia di adesso è capire il perché siano in
quel determinato modo

3. Da un punto di vista funzionale distinguiamo:


• neuroni sensitivi o afferenti: si preoccupano di fare l’input di cui parlavamo all’inizio,
percepiscono l’informazione dalla periferia e la portano verso il SNC (sostanza grigia);
• neuroni motori o motoneuroni: fanno il percorso opposto, dal SNC fino alla periferia e
svolgono una funzione a livello periferico;
• neuroni interneuroni o associativi: si preoccupano di mettere insieme le informazioni in arrivo
dal neurone afferente in modo da regolare la risposta del neurone efferente. (normalmente
chiamato arco riflesso: ricevo un’ informazione, questa viene integrata e avrò quindi una
risposta).

classificazione funzionale vs morfologica


Analogamente a ciò che vedevamo prima, i neuroni afferente ed efferente sono neuroni del I tipo di
Golgi (per forza avranno un lungo assone).
L’interneurone è invece un neurone del II tipo di Golgi.

FIBRA NERVOSA
Abbiamo visto che dalla cellula fuoriesce un prolungamento
responsabile della conduzione dell’impulso nervoso, chiamato
assone, che andrà a costituire la fibra nervosa. Questa si
genererà dalla presenza di un assone correlato da una serie di
rivestimenti, ed è sempre accompagnato da strutture quali:

• guaina mielinica, a volte non presente ma è sempre


presente la cellula responsabile;
• strutture connettivali (che assomigliano molto alle
tonache connettivali del tessuto muscolare che già
abbiamo visto) subito sopra la guaina mielinica troverò
un connettivo relativamente lasso che chiamerò
endonevrio, al di sopra ci saranno vari assoni rivestiti
dalla cellula di Schwann e endonevrio a formare un
fascio di fibre nervose rivestito da perinevrio. Questo
fascio lo unirò ad altri a formare il nervo attraverso
una guaina connettivale più densa che è l’epinevrio.

La guaina mielinica è un rivestimento che viene fornito da parte delle cellule della glia all’assone. Le
cellule della glia che si occupano di costituire la guaina sono:
• oligodendrociti a livello del SNC
• cellule di Schwann a livello del SNP

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 10 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

Il rapporto tra queste popolazioni cellulari e l’assone può essere diverso, infatti, posso avere cellule
che accolgono l’assone all’interno del citoplasma oppure cellule si attorcigliano attorno all’assone a
formare una vera e propria guaina. Se il rapporto è solo tra l’assone e il citoplasma delle cellule della
glia parlerò di fibre nervose amieliniche (senza mielina).
Se invece la cellula di Schwann o l’oligodendrocita si attorciglia attorno all’assone andando a costituire
un rivestimento piuttosto importante parlerò di fibre nervose mieliniche.
La guaina vera e propria deriva dallo stretto accollamento delle cellule della glia attorno all’assone.

-C’è una differenza tra le cellule della glia:


Nel caso dell’oligodendrocita i suoi prolungamenti sono in grado di prendere contatto con diversi
assoni, quindi possono attorcigliarsi contemporaneamente con assoni differenti a formare la guaina.
(come se fossero un polpo)

Nel caso del Sistema nervoso periferico, invece, la cellula di Schwann è in grado di prendere contatto
con un unico assone.
Nel primo caso la stessa cellula che fa guaine mieliniche per più di un assone, nel secondo caso è un
rapporto uno a uno.
Quando devo considerare una guaina mielinica devo pensare che nel sistema nervoso periferico i nervi
sono lunghi anche dei centimetri. Per cui le cellule di Schwann dovranno essere molto numerose.

La parte di zona che riesco a rivestire viene definita internodo. È una parte che può arrivare anche
alla lunghezza di un centimetro. Tra un internodo e l’altro ci sarà il nodo di Ranvier, importante da un
punto di vista funzionale, su cui possono far avvenire la trasmissione dell’impulso nella fibra nervosa.
L’assone viene inglobato all’interno del citoplasma della cellula. I punti in cui vanno a collidere le due
membrane della cellula di Schwann costituiscono il
mesassone.

(come un cuscino morbidissimo su cui siamo stesi che si chiude


sopra di voi)

Poi la cellula di Schwann continua ad attorcigliarsi attorno


all’assone e stringerà il citoplasma sempre più verso la
periferia.

(come un sacchetto di plastica che avvolge una penna, se lo


attorcigliamo, all’interno avrà un po’ d’aria che si sposterà fino
ad un punto in cui non potremo più attorcigliare)
In giallo: cellula di Schwann
Si avrà quindi l’accollamento delle membrane del doppio con nucleo (più scuro) il
strato fosfolipidico. cilindro è l’assone

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 11 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

Più esattamente, in certi punti abbiamo


l’accollamento della membrana del lato
citoplasmatico delle cellule di Schwann,
quando lo rigiriamo avremo uno spazio
rappresentato da quello che era fuori
(cioè il lato extracitoplasmatico della
cellula di Schwann) e la sua membrana.
Cioè se vado ad attorcigliare la
membrana ho un momento in cui il
doppio strato fosfolipidico che si accolla
è quello che stava dentro, ma mentre
continuo a girare troverò anche lo strato
che stava fuori che si accollerà.
Se vado a vedere all’interno della guaina mielinica vedo delle linee di densità diverse, dovute a
composizioni chimiche diverse. Parlerò di linea densa maggiore quando ho l’accollamento della parte
citoplasmatica e di linea intraperiodo quando considererò la parte relativa alla porzione
extracellulare.

Per sfruttare al meglio le caratteristiche della


membrana al meglio, la schiaccio sempre di più ogni
volta che facciamo il giro in certi punti in cui si
accollano prima le facce interne, e poi le facce esterne.
Viene quindi ad essere compresso l’ambiente
intracellulare. La densità è diversa, l’ambiente
extracellulare è più fluido dell’intracellulare. La linea
maggiore è legata alla membrana plasmatica più le
componenti proteiche endocellulari che rimangono
all’interno. Quella intraperiodo è dovuta al fatto che la
composizione della matrice extracellulare è diversa.
In queste immagini si vede chiaramente la differenza di densità tra le due linee.

Composizione della mielina


È una membrana plasmatica molto più ricca in
lipidi e molto più povera in proteine,
soprattutto nella zona in cui dobbiamo
costituire la guaina sono completamente
assenti le proteine di trasporto o proteine
canale. Nella zona rivestita dalla guaina non si
ha possibilità di scambio di materiale tra
ambienti interno (assone) ed esterno (al di là
della guaina).

La guaina non è completa, non arriva a rivestire un intero assone, ne riveste una parte. Il punto in cui
non ho il rivestimento è il nodo di Ranvier, comunque non è una zona completamente nuda, a quel
livello ci sarà comunque la struttura dell’endonevrio.
A livello del nodo di Ranvier ci sarà la membrana dell’assone, il punto in cui arriva l’endonevrio, e solo
qui l’assone avrà i canali proteici per poter effettuare uno scambio ionico con l’esterno. Le proteine
canale serviranno per condurre l’impulso nervoso.

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 12 di 13
Istologia – Istologia II IST12-TESSUTO NERVOSO

Questo è uno schema che mostra come è costituita una guaina mielinica: esternamente vediamo
l’endonevrio.
Vediamo le due cellule di Schwann accollate a formare la guaina mielinica.
Vicino al nodo di Ranvier le membrane della cellula di Schwann sono meno attaccate rispetto alla zona
dell’internodo, queste zone sono chiamate incisure di Schmidt-Lantermann e servono alla cellula di
Schwann e all’assone per mantenere il contatto attraverso proteine transmembrana, perché la zona
dell’assone venga comunque nutrita. Infatti, il tratto di assone coperto non riceve nutrienti, o li deve
ricevere dal corpo cellulare quindi il percorso è estremamente lungo.
A livello del paranodo abbiamo sia la possibilità di avere giunzioni comunicanti per favorire l’ingresso
di sostanza tra la cellula di Schwann e dell’assone, sia giunzioni che mettono in comunicazione i vari
spazi della membrana. Più esternamente vediamo l’endonevrio.
A questo livello abbiamo la presenza di canali voltaggio-dipendenti per l’ingresso del sodio, che sono i
canali fondamentali per poter favorire la conduzione dell’impulso nervoso. Poi ci saranno i canali per il
potassio più in periferia.
La presenza delle proteine serve sia per dare nutrimento (giunzioni di tipo GAP) ma anche (giunzioni
occludenti) per bloccare le proteine
canale per il sodio, evitando che si
spostino da quella posizione.

Le incisure di Schmidt-Lantermann sono


alla periferia delle zone dove non c’è
l’accollo e in cui c’è possibilità di
scambio metabolico per avere energia e
ossigeno.

Autore: Aurora Miciletto, Chiara Arleo, Giulia Broccoli, Lucia Gentili per Medicina08 13 di 13
ISTOLOGIA
“GUAINE MIELINICHE, MALATTIE DEMIELINIZZANTI E DISMIELINIZZANTI, TRASMISSIONE
IMPULSO NERVOSO E SINAPSI”

ID lezione IST13 Modulo ISTOLOGIA II

Data lezione 10 Maggio 2021

Autore Giulia Braccialarghe, Alice Balestrini, Aurora Marchica, Chiara Passacantando

Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da

Guaina mielinica, malattie demielinizzanti e dismielinizzanti, trasmissione


Argomento
impulso nervoso, sinapsi

Eventuali
Slide proiettate a lezione (lezione 23)
riferimenti

GUAINA MIELINICA

La guaina mielinica è formata da due


popolazioni cellulari differenti a seconda che
ci troviamo nel SNC o nel SNP, le cellule che
si occupano di costituire la guaina mielinica
nel SNC sono gli oligodendrociti che
derivano direttamente dal tubo neurale,
mentre le cellule che si occupano di andare a
fare la guaina nel SNP sono le cellule di
Schwann. Queste ultime non sono in grado
di andare a ricoprire completamente un
assone ma le troviamo solo nei tratti definiti
internodi.
Gli internodi sono inframezzati da strutture
nelle quali va a mancare la guaina mielinica,
i nodi di Ranvier, strutture indispensabili
per modificare la velocità di conduzione dell’impulso nervoso, legato a una variazione del potenziale di
membrana.
ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

FORMAZIONE DEL RIVESTIMENTO MIELINICO (SNC)

Le due cellule che si occupano di andare a formare il rivestimento mielinico, cellule di Schwann e
Oligodendrociti, non solo sono diverse da un
punto di vista di origine, ma è diverso anche il
modo in cui vanno a costituire la guaina mielinica.

Mentre tra le cellule di Schwann e il


prolungamento assonico c’è un rapporto di 1:1,
sappiamo che l’oligodendrocita può andare a
prendere contatto con numerosi assoni.

Il processo di mielinizzazione che porta le


cellule della glia a prendere contatto e a favorire
questo tipo di rivestimento è un processo che
richiede l’interazione delle due popolazioni
cellulari, perché l’oligodendrocita può andare a
formare il suo rivestimento tenendo conto dell’attività nervosa, quindi della presenza di eccitabilità da
parte dell’assone. É importante quindi l’interazione tra l’oligodendrocita che inizia ad attorcigliarsi
attorno all’assone e l’assone stesso che manderà una serie di molecole che faranno capire
all’oligodendrocita dove dovrà essere posizionato il nodo di Ranvier (ovvero il punto in cui la guaina
mielinica non deve essere presente nella sua totalità).

Durante lo sviluppo del SNC giocano un ruolo fondamentale alcuni ormoni nel favorire questo tipo di
interazione:

• Ormoni tiroidei: incrementano il differenziamento di


oligodendrociti e sintesi di mielina

• GH: induce proliferazione e maturazione oligodendrociti

• Neurosteroidi (pregnenolone, progesterone e derivati solfatati):


attivano l’espressione di geni che codificano per proteine mielina
specifiche —> stimolazione formazione guaina mielinica.

L’assone è in grado di influenzare la crescita della guaina mielinica


sia come posizionamento, sia come spessore, l’attività nervosa che
corre lungo l’assone è in grado anche di determinare quanto dovrà
essere spessa la guaina mielinica. Generalmente se l’assone è
abbastanza grande la guaina mielinica non è spessa.

Autore: Giulia Braccialarghe, Alice Balestrini, Aurora Marchica, Chiara Passacantando 2 di 19


ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

FORMAZIONE DEL RIVESTIMENTO MIELINICO (SNP)

Nel caso del SNP, le cellule di Schwann non derivano dal tubo neurale, sono sempre di origine
neuroectodermica, ma derivano dalle cellule delle creste
neurali. Queste cellule, che inizialmente non sono
completamente differenziate ma sono dei precursori delle
cellule di Schwann, man a mano che l’assone sta crescendo e
si sta allungando, iniziano a circondare un gruppo di assoni.

I precursori delle cellule di Schwann iniziano a mandare


verso l’interno di queste strutture assonali una serie di
prolungamenti che abbracciano l’assone.
La fase successiva è quella di selezionare, attraverso queste “infiltrazioni” di citoplasma, delle
popolazioni che normalmente sono poste più in
periferia dove gli assoni risultano più grandi: in
questo caso si avrà avvolgimento delle cellule di
Schwann e la formazione delle fibre nervose
mieliniche.

Normalmente i nervi che rimangono all’interno


andranno invece a costituire le fibre nervose
amieliniche. Attenzione: amieliniche significa che
mancano della guaina mielinica ma non mancano del
contatto con la cellula di Schwann. Le fibre nervose
amieliniche vengono anche chiamate “quelle che
prendono il contatto con le cellule di Schwann-Remak”.

Mentre nel caso della mielinizzazione avviene lo schiacciamento periferico del nucleo della cellula di
Schwann, nel caso della fibra nervosa amielinica il nucleo risulta in posizione centrale e gli assoni
risultano appoggiati all’interno della cellula di Schwann (esempio cuscino morbido) e vengono
circondati dalla membrana che poi si chiude sopra. Questa chiusura è il mesassone.

Il mesassone rappresenta il punto in cui la membrana della cellula di Schwann-Remak va a prendere


contatto con l’altra parte della membrana (l’assolemma è a contatto con la membrana della cellula di
Schwann). Attenzione: queste due parti della membrana della cellula di Schwann non si fondono.

Autore: Giulia Braccialarghe, Alice Balestrini, Aurora Marchica, Chiara Passacantando 3 di 19


ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

Quelle che invece rimangono più alla periferia


vengono abbracciati inizialmente esattamente
come le precedenti, ma poco per volta; la
membrana della cellula di Schwann inizia ad
attorcigliarsi sempre più strettamente all’assone
e quindi mano a mano che si attorciglia va a
spingere verso la periferia il nucleo (della cell.
Di Schwann); la parte di citoplasma viene
portata sempre più alla periferia e nelle zone più
vicine all’assone si trovano delle piccole parti in
cui rimane un po’ di citoplasma (ma buona parte
è occupata dalla membrana plasmatica).
Anche qui abbiamo dei mesassoni, cioè due
punti in cui la membrana della cellula di Schwann rimane a contatto, ne vediamo uno interno e uno più
esterno.

Questo avvolgimento inizia nel periodo embrionale va avanti durante il periodo dell’adolescenza, ma
attorno ai venti anni abbiamo il completo blocco di questa attività di mielinizzazione. In realtà questa
attività potrebbe essere ripresa in particolari situazioni quando si deve riparare un danno a livello del
tessuto nervoso.

Questa immagine in microscopia elettronica a trasmissione


mostra le fibre nervose Amieliniche (A= assone) in alto, in basso
c’è una zona in cui si vede in maniera molto evidente il nucleo
della cellula di Schwann, la guaina mielinica con una porzione di
mesassone e una zona più interna in cui la guaina non è
perfettamente incollata (rimane una piccola porzione di
citoplasma: importante per le funzioni trofiche che la cellula di
Schwann deve svolgere nei confronti dell’assone).

RIVESTIMENTO dei NERVI


Quando si parla di sistema nervoso periferico si parla di nervi che si costituiscono associando vari assoni
assieme ai loro rivestimenti (così come succedeva nel caso del muscolo in cui le singole fibre muscolari
si associano a formare il muscolo). Le fibre nervose che decorrono parallele fra loro sono rivestite da tre
involucri di natura connettivale:

1. EPINEVRIO/EPINERVIO: guaina connettivale densa più esterna che riveste completamente il


nervo. A questo livello devo mantenere un certo tipo di innervazione che mi serve per andare a fare
un controllo integrato dell’azione dei nervi. È attraversato da una rete vascolare (vasa nervorum)
che penetra all’interno del nervo irrorandone tutte le componenti.

Internamente all’epinevrio, le fibre nervose sono raccolte in fascicoli, ciascuno dei quali è avvolto da
perinevrio. Gli spazi non occupati dai fascicoli sono riempiti di matrice connettivale vascolarizzata.

2. PERINEVRIO/PERINERVIO: riveste gli assoni, è un tessuto connettivo particolare, più denso, in cui
le cellule sono strettamente aderenti fra loro tramite giunzioni occludenti (tipiche dell’ epitelio di
rivestimento). Dunque, i fibroblasti sono strettamente associati gli uni agli altri e sono uniti con

Autore: Giulia Braccialarghe, Alice Balestrini, Aurora Marchica, Chiara Passacantando 4 di 19


ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

giunzioni desmosomiali formando (da un pdv strutturale) una sorta di epitelio (in cui le cellule sono
strettamente associate le une alle altre e fanno da barriera che tiene uniti i vari assoni).

Le fibre nervose che compongono il fascicolo sono separate fra loro dall’endonevrio.

3. ENDONEVRIO/ ENDONERVIO: guaina connettivale molto lassa che circonda direttamente l’assone
e le sue cellule di rivestimento, quindi le cellule di Schwann (sia che parliamo di una fibra mielinica
sia fibra amielinica); l’endonevrio ha una funzione di tipo trofico, quindi è un tessuto relativamente
lasso, troviamo infatti i vasi endonevriali.

Epinevrio, perinevrio ed endonevrio rappresentano rispettivamente la naturale continuazione delle 3


meningi del SNC: dura madre, aracnoide, pia madre.

Funzioni: il perinevrio forma un involucro protettivo che limita gli scambi con la matrice extracellulare
interposta fra i fascicoli. Di conseguenza, la composizione del microambiente endonevriale è regolata
dagli scambi dell’endotelio dei vasi endonevriali (che si trovano nell’endonevrio). L’endotelio dei vasi
endonevriali funziona come un filtro
selettivo che impedisce l’afflusso di
componenti plasmatiche dannose,
nell’insieme questa architettura è definita
interfaccia emato-nervosa.

Attraverso endonevrio, perinevrio ed


epinevrio porto a livello dell’assone
vascolarizzazione e innervazione.

Rappresentazione schematica di un nervo periferico:

A. Epinevrio
B. Perinevrio
C. Endonevrio
D. Fascio di fibre nervose
E. Fibre nervose, nel riquadro in basso sono evidenti
le guaine mieliniche
F. Vasa Nervorum
G. Vaso endonevriale
H. Adipociti

Nelle immagini sottostanti vengono riportate delle sezioni istologiche di colorazioni differenti:

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ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

In alto, colorata in rosso: mette in evidenza le componenti connettivali mentre colorata in


giallo si vede la componente del nervo [vi ricordo che quando andiamo a colorare i nervi che
hanno un’elevata componente di guaina mielinica nelle sezioni istologiche, essendo la membrana
ricca di fosfolipidi, si presentano sempre bianchi]
Immagine a contrasto rispetto la precedente in cui è stato usato il tetrossido di osmio che serve
a evidenziare i lipidi: in questo caso tutti gli assoni sono mielinizzati e tutti i puntini neri che si
vedono sono le guaine mieliniche che circondano l’assone (se l’assone è molto stretto, la guaina
mielinica è molto spessa);
Colorazione tricromica: colora le fibre connettivali in blu;
Colorazione più classica: l’assone rimane bianco all’interno;

MALATTIE DEMIELINIZZANTI E DISMIELINIZZANTI


La guaina mielinica è importante perché buona parte dei processi di rigenerazione che possono avvenire
soprattutto a livello del SNP avvengono grazie alla sua presenza. Durante lo sviluppo del sistema
nervoso la guaina mielinica serve a indirizzare l’assone, a fare in modo che l’assone raggiunga il suo
territorio di competenza. Se voi pensate al nervo motore (nervo che deve andare a prendere contatto
con un tessuto muscolare striato scheletrico), è importante che durante lo sviluppo qualcuno mi faciliti
l’arrivo dell’assone direttamente nel suo territorio di competenza.
Ci possono essere due tipologie di patologie legate alla guaina mielinica:

1. dis-mielinizzazione: la mancanza completa di guaina mielinica (non si forma all’inizio); sono per di
più malattie genetiche

2. de-mielinizzazione: si perde la mielina durante il corso della vita (più frequenti). I motivi per cui
può avvenire possono essere ereditari, autoimmuni (anticorpi vanno a distruggere la guaina), di tipo
tossico, infettivo o metabolico.

Autore: Giulia Braccialarghe, Alice Balestrini, Aurora Marchica, Chiara Passacantando 6 di 19


ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

A seconda del tipo di danno si generano patologie completamente diverse ma il risultato è comune: se
vado a perdere la guaina mielinica, perdo la potenza di quel nervo e in quella sede la capacità di quel
tratto che veniva innervato da quella zona nervosa (perdita di tipo motorio, di tipo cognitivo, dipende
dal nervo). Ricordiamo che la mancanza di mielina non va ad alterare la struttura della cellula nervosa,
ma altera la funzione della cellula
nervosa perché perdendo la guaina
mielinica si perde la caratteristica
funzionale.

MALATTIE
NEURODEGENERATIVE
Nelle malattie neurodegenerative avviene la morte di cellule nervose in zone specifiche. Normalmente
le patologie sono a carico di tutta la componente citoscheletrica all’interno della cellula nervosa.
Avevamo parlato di flusso assonico cioè di quel flusso di molecole che dal corpo cellulare deve andare
alla periferia, se vado a perdere la struttura rigida che mi permette di fare questo meccanismo, il
neurone va intorno a un fenomeno di degenerazione e non riesco più a innervare correttamente la zona
di competenza (competenza motoria o cognitiva).

TRASMISSIONE DELL’IMPULSO NERVOSO


L’impulso nervoso viene definito come un’onda di
depolarizzazione che viaggia lungo la cellula nervosa, questo
meccanismo si basa sulla variazione del potenziale elettrico sulla
membrana della cellula nervosa. Non confondete il flusso
assonico con l’impulso nervoso:

il flusso assonico è nel citoplasma (nell’assone),


l’impulso nervoso è nell’assolemma cioè sulla membrana.

Tutte le cellule hanno un potenziale a riposo che viaggia nelle


cellule particolarmente eccitabili a -70/-80 mV e possono
raggiugere un potenziale di azione attorno ai +30/+35 mV.

Questo potenziale è legato alla diversa distribuzione delle


cariche che si ha tra la superficie interna del doppio strato
fosfolipidico e la superficie esterna, quindi una differenza di
cariche che si frappone tra il lato citoplasmatico e il lato
extracellulare della membrana plasmatica.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

L’interno della membrana plasmatica è carico negativamente, l’esterno è carico positivamente. Questo
è il potenziale di riposo che viaggia attorno ai -70/-90 mV (-90 mV sono prevalentemente le cellule
cardiache). Nel momento in cui arriva un impulso nervoso il potenziale di membrana cambia da -70mV
a +30/+35 mV, cioè si inverte la polarità del doppio strato fosfolipidico.

Come faccio a cambiare questo potenziale? Lo posso fare perché agisco sui canali voltaggio dipendenti
(proteine transmembrana) che si apriranno in relazione alla variazione di potenziale che si genera lungo
la membrana mano a mano che faccio entrare e uscire gli ioni.
Quest’onda di depolarizzazione viaggia lungo l’assone partendo da un punto specifico chiamato cono di
emergenza.
Il cono di emergenza è quella parte dell’inizio dell’assone posizionata davanti all’apparato di Golgi e alla
coppia di centrioli completamente priva di organelli; è una zona in cui l’assolemma è particolarmente
eccitabile, a questo punto parte l’impulso nervoso.

A livello del cono di emergenza si aprono i canali per il Na+ che entrando nella cellula fa variare il
potenziale. Il potenziale inizierà a salire e salirà fino a quando non si arriverà ad un potenziale soglia (-
55/-60 mV).

Quando si arriva a questo potenziale soglia ci sono altri canali per il Na+ voltaggio dipendenti che si
aprono e a quel punto il Na+ inizia ad entrare molto rapidamente. Questo significa che il potenziale in
maniera sufficientemente rapida raggiungerà +35 mV che è il potenziale di azione.

Una volta raggiunto il potenziale di azione:

- i canali per il Na+ si inattivano (smettono di far entrare Na+)

- si aprono i canali per il K+ voltaggio dipendenti, il K+ tende ad uscire (perché era più concentrato
dentro) e cerca di bilanciare l’ingresso di ioni Na+; in realtà i canali per il K+ sono sufficientemente lenti
nella loro apertura e anche nella loro chiusura. Sicuramente con l’apertura di un numero di canali K+
abbastanza alto e, avendo i canali per il Na+ chiusi, il potenziale scende;

- il potenziale non scende al valore iniziale ma scende più in basso (-90 mV), dopodiché la pompa
Na+/K+ ATPasi va a ristabilire le concentrazioni e riporta la membrana al potenziale di riposo

Esiste un periodo chiamato periodo refrattario ed è il motivo per il quale l’impulso nervoso viaggia
solo in un’unica direzione.
Autore: Giulia Braccialarghe, Alice Balestrini, Aurora Marchica, Chiara Passacantando 8 di 19
ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

[Durante la lezione sulle cellule neuronali la prof aveva spiegato che riconosciamo i prolungamenti delle
cellule nervose perché hanno una conduzione dell’impulso nervoso che va dalla periferia centro nel (caso
dei dendriti) e dal centro verso la periferia (nel caso dell’assone)].

Questo perché il comportamento dei canali per il Na+ voltaggio dipendenti è strettamente legato alla
differenza di potenziale che si genera sulla membrana. Quando il potenziale di azione per i canali del
Na+ arriva a +35mV, questi diventano inattivi ovvero raggiungono una conformazione per la quale
qualsiasi stimolazione venga data, i canali sono sordi e non si riaprono (né questi né quelli che non sono
voltaggio dipendenti).

Nel momento in cui inizia il fenomeno di depolarizzazione (apertura canali del K+), i canali per il Na+
diventano prima chiusi e poi si possono riaprire, ma pur riaprendosi, siccome ho depolarizzato la
membrana molto al di sotto del suo potenziale di inizio, se anche qui i canali del Na+ potessero essere
riaperti, ci vorrebbe moltissimo per fare in modo che da -90 mV possa arrivare ai -50/-55 mV.

Il periodo di refrattarietà viene diviso


in

refrattarietà assoluta canali


del Na+ o inattivi o completamente
chiusi
refrattarietà relativa (-90/-
120 mV) in cui, anche ammesso che mi
arrivasse uno stimolo, per poterli farli
aprire, lo stimolo non sarebbe mai tale
da far raggiungere di nuovo quel
potenziale di start che permette di
nuovo la conduzione dell’impulso
nervoso.

Attraverso questi due periodi di


refrattarietà l’impulso nervoso viaggia
in un’unica direzione.

SIGNIFICATO FUNZIONALE DELLA MIELINA

Autore: Giulia Braccialarghe, Alice Balestrini, Aurora Marchica, Chiara Passacantando 9 di 19


ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

Nel processo di conduzione dell’impulso nervoso è importante


perché i canali del Na+ e del K+ si possono aprire solo e
unicamente nei punti in cui non ho la guaina mielinica. Le
proteine transmembrana per il Na+ e per il K+ sono apribili solo
e unicamente a livello dei Nodi di Ranvier (conduzione
saltatoria).

Anziché dover depolarizzare completamente la membrana


dell’assone, dal cono di emergenza fino alla terminazione
sinaptica, sono depolarizzati solo i punti in cui ho la possibilità
di aprire i canali per il Na+ e K+.

Nella zona dell’internodo l’impulso viaggia velocemente


all’interno dell’assone e riaprirò nuovamente al nodo di
Ranvier successivo.

Queste sono le diverse velocità di conduzione dell’impulso nervoso dipendenti sia dalla presenza o
meno di guaina mielinica, sia dallo spessore di guaina mielinica. Vedete che esiste un diametro diverso
della fibra ed esiste anche una funzione diversa.

Gli assoni terminano con giunzioni specifiche delle sinapsi (o anche giunzioni citoneurali se l’elemento
post-sinaptico non è un neurone). Le sinapsi permettono la comunicazione fra neuroni e fra questi e le
cellule effettrici.

TIPI DI SINAPSI

Chimiche: trasformano gli stimoli elettrici in chimici


Elettriche: (sono sostanzialmente giunzioni gap) passano gli stimoli elettrici

SINAPSI ELETTRICHE
Sono rappresentate da quelle proteine
transmembrana che vanno a costituire
le connessine le quali vanno a
costituire i connessoni, ovvero canali
ionici.
Questi ultimi vengono ad aprirsi
quando abbiamo una variazione
del potenziale di azione
e ciò permette il propagarsi dell’impulso
nervoso anche
alla cellula al di sotto della sinapsi.

O il cambiamento di
pH (abbassamento) o incremento della
concentrazione
intracellulare di Ca2+ modificano il
canale di connessione

Autore: Giulia Braccialarghe, Alice Balestrini, Aurora Marchica, Chiara Passacantando 10 di 19


ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

tra le due cellule.

A livello delle sinapsi elettriche le


membrane di cellule adiacenti sono
collegate mediante giunzioni comunicanti (gap
junctions).
I canali di connessione tra le cellule adiacenti sono
quindi costituiti da coppie congiunte di emicanali
detti connessoni.
Ogni connessone è composto da 6 connessine,
disposte a cerchio intorno ad un asse centrale
lungo il quale decorre il poro del canale.

Dunque, grazie al passaggio di ioni consentito dalle


sinapsi elettriche, le cellule trasmettono segnali
rapidi e precisi; un esempio di sinapsi elettrica si trova al livello del miocardio (nei dischi intercalari),
mentre nel sistema nervoso è più rara.

Che differenza c’è rispetto alle sinapsi chimiche?

L’impulso nervoso in questo caso è un impulso solo di tipo eccitatorio: se io ho delle cellule o degli
assoni collegati tramite giunzioni gap potrò solo avere una depolarizzazione della membrana della
cellula a valle e la continuazione dell’impulso nervoso.

Invece nel caso delle sinapsi chimiche io posso avere anche sinapsi di tipo inibitorio ovvero è una
sinapsi in cui l’arrivo del mediatore chimico che porterà ad una variazione del potenziale nell’elemento
post-sinaptico non determinerà l’instaurarsi di un potenziale di azione da parte della cellula a valle. Nel
caso delle sinapsi elettriche questo non può succedere.

Le sinapsi elettriche sono più veloci e richiedono meno energia rispetto a quelle chimiche.

Le sinapsi elettriche consentono il trasferimento bidirezionale degli impulsi, mentre quelle chimiche
solo unidirezionale.

SINAPSI CHIMICHE
Innanzitutto, avrò delle proteine voltaggio dipendenti e significa che si accorgono che cambia il
potenziale di membrana. Sono delle proteine voltaggio dipendenti per lo ione Ca2+ perché sarà la
liberazione dello ione Ca2+ all’interno della parte pre-sinaptica che mi permetterà che il mio mediatore
chimico venga liberato.

Quindi a livello della membrana pre-sinaptica ho proteine per il Ca2+ voltaggio dipendenti che saranno
in grado di far entrare il calcio nel momento in cui depolarizza la membrana. Ora non ho le proteine Na+
dipendenti ma Ca2+ voltaggio dipendenti, funzionano esattamente come quelle di prima, infatti, quando
arriva lo stimolo si aprono.

Poi ho altre proteine che mi servono per fare in modo che le mie vescicole sinaptiche siano
correttamente alloggiate sia nella zona attiva sia nella zona di riposo per fare in modo che quando
terminano quelle disponibili alla liberazione queste si possano direttamente direzionare verso la zona
più attiva.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

Ho anche altre proteine integrali che mi servono a posizionare correttamente la membrana pre-
sinaptica rispetto alla membrana post-sinaptica. Queste proteine si proiettano verso l’esterno e
interagiscono nella fessura sinaptica con le proteine transmembrana dell’elemento post-sinaptico. Dal
punto di vista funzionale questa è una struttura integrata quindi io devo essere sicuro che la pre e post-
sinaptica si uniscano in una posizione in cui possono comunicare tra di loro, non devono essere troppo
lontane.

Infine ci sono delle proteine chiamate pompe di ricaptazione perché come già detto “nella cellula non
si butta via niente”. Sono delle proteine canale che servono per andare a recuperare tutti quegli elementi
che possono essere recuperati per fare in modo che tutto il materiale necessario per l’impulso nervoso
sia sempre disponibile al livello della sinapsi. Una sinapsi del genere è la placca motrice e bisogna
rendersi conto della velocità con cui viaggia l’impulso, infatti parliamo di 300km/h quindi devo avere
un sistema che mi permetta di essere al massimo della mia attività al livello del mio bottone pre-
sinaptico.

Ricapitolando, nell’elemento pre-sinaptico troviamo:

Zona attiva: contiene vescicole pronte per essere rilasciate per esocitosi. Questa zona è
particolarmente densa a causa di proteine, il cui ruolo è quello di guidare le vescicole verso la
parte della membrana dove avrà luogo l’esocitosi.
Zona di riserva: sostituiscono le vescicole della zona attiva in seguito all’esocitosi.
Pompe di ricaptazione: per il recupero di molecole di neurotrasmettitore.
Canali voltaggio dipendenti per lo ione calcio.
Proteine integrali: hanno una funzione di adesione tra elemento postsinaptico e presinaptico.

Qui vediamo la porzione pre-presinaptica e zona


intersinaptica dove ci sono delle proteine
importanti (infatti al microscopio elettronico
dove è più scuro ci sono delle
molecole/proteine).

MECCANISMO DI RILASCIO VESCICOLARE


Vengono rilasciate attraverso l’ingresso dello ione Ca2+. Questo ione arriva al livello delle zone di
riserva dove favorisce lo spostamento delle vescicole verso la zona attiva e poi favorirò la liberazione
del mediatore chimico dalla vescicola sinaptica verso lo spazio intersinaptico.

Il meccanismo di funzionamento di una sinapsi, quindi, deve prevedere il seguente processo.

La liberazione delle vescicole soprattutto quelle che si trovavano nella posizione più arretrata perché a
questo livello non sono posizionate a caso ma sempre legate citoscheletro di actina. Devo fare in modo
che le vescicole si portino sempre più verso la membrana sinaptica in modo che possano fondersi con la
membrana plasmatica per liberare il mio mediatore chimico.

Una volta liberato devo recuperare le vescicole della membrana e anche alcuni elementi che non hanno
preso contatto con l’elemento post-sinaptico e ricaricare le mie vescicole direttamente a livello della
sinapsi. (non tutte le sinapsi funzionano così ma in generale il meccanismo è questo)

Autore: Giulia Braccialarghe, Alice Balestrini, Aurora Marchica, Chiara Passacantando 12 di 19


ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

Quindi le faccio mobilitare da dove sono, le faccio scorrere verso la porzione attiva del bottone pre-
sinaptico, faccio in modo che il mio mediatore chimico si liberi, recupero la mia membrana ed
eventualmente la ricarico.

1. Uno degli elementi


importanti per fare in modo che la
mia vescicola sinaptica cominci il
suo viaggio verso la sede di
funzionamento è lo slegare la mia
vescicola dall’elemento del
citoscheletro ovvero dal filamento
di actina e questo è possibile
perché Ca2+ è in grado di
interagire con la sinapsina e
agendo al livello della sinapsina
posso far muovere la vescicola,
slegandola dal citoscheletro, verso
la zona attiva attraverso un
meccanismo di fosforilazione a
livello della mia proteina.

2. Ora devo far in modo che la mia vescicola


percorra la giusta strada e che vada a
collegarsi in modo corretto con le zone attive.
Questo è un meccanismo di esocitosi
regolata e quindi devo preoccuparmi di
avere le molecole corrette che mi permettano
questo tipo di spostamento e dovrò avere
anche delle molecole di riconoscimento sulla
vescicola V-SNARE e poi le T-SNARE sulla
membrana della zona attiva.

È come se le staccassi e andassero a trovare un loro corrispettivo a livello della membrana pre-
sinaptica. Una volta che questo riconoscimento è avvenuto allora potrò favorire (come avviene
normalmente nell’esocitosi) la fusione delle due membrane e là fuori uscita del mio mediatore
chimico.

Avvicino la vescicola alla membrana pre-sinaptica e faccio combaciare i recettori della mia vescicola
con i recettori sulla membrana pre-sinaptica.

3. Queste molecole si legano tra di loro, i complessi permettono un legame che tira la vostra
vescicola sempre verso più la membrana pre-sinaptica.

4. Fusione con la membrana pre-sinaptica e liberazione del mediatore chimico, in seguito tutto
deve essere ripristinato.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

5. Quello che succede dopo aver liberato fuori il mio mediatore chimico e ho in parte risistemato il
sistema è il recupero della mia vescicola sinaptica perché se non recuperassi la membrana della
mia vescicola, le dimensioni diventerebbero sempre più grandi per un continuo accumulo. Il
recupero si fa generando delle vescicole rivestite da clatrina che vengono recuperate verso
l’interno.

6. Grazie alla dinamina si stacca completamente la vescicola vuota dalla membrana poi all’interno
prendono contatto con un endosoma e poi si ripreparano per essere nuovamente ricaricate se
necessario con il mediatore chimico. Così a livello della mia sinapsi avrò sempre delle vescicole
pronte per essere liberate e sempre delle vescicole di riserva.

OMEOSTASI VESCICOLARE

La quantità di vescicole pronta ad essere


espulsa deve essere compensata dalla
quantità di vescicole che deve andare a
ripristinare quello che è il bagaglio del
mediatore chimico.

Non tutte le sinapsi utilizzano lo stesso


sistema per poter mantenere l’omeostasi.
Alcune buttano fuori anche l’intera vescicola
e poi viene recuperata solo successivamente
o viene recuperata da altri elementi della
sinapsi (ad esempio le cellule della glia,
astrociti che svolgono ruolo importante nella
conduzione dell’impulso nervoso). Il
recupero della membrana avviene tramite 3
diverse modalità:

Fusione incompleta: subito dopo l’inizio dell’esocitosi, in seguito alla formazione de poro di
fusione che consente la fuoriuscita di neurotrasmettitore, il processo si arresta e il poro si
richiude, lasciando intatta la vescicola, pronta per essere ricaricata.
Vescicole di clatrina: endocitosi che avviene nelle zone più periferiche.
Recupero non specifico: endocitosi che avviene nella zona attiva.

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SPAZIO INTERSINAPTICO

Fessura sinaptica dove viaggia il mediatore riversato fuori. È spesso 25-30nm. Non è vuota, ma qui si
trovano una serie di proteine che servono alla stabilizzazione delle sinapsi. Servono a favorire
l’interazione del mio mediatore chimico con l’elemento post-sinaptico, quindi serve per indirizzare il
mediatore nella direzione corretta.

La parte non proteica è la parte fluida contenente proteoglicani o glicosamminoglicani, questo fluido
interstiziale è il mezzo attraverso cui diffonde il neurotrasmettitore.

Nell’immagine vediamo un elemento pre-


sinaptico, mitocondri presenti perché
l’attività di liberazione delle vescicole
richiede un’enorme quantità di energia,
infatti a livello pre-sinaptico non arrivano i
microtubuli ma questi hanno scaricato lì
tutti i mitocondri che viaggiano lungo
l’assone (la professoressa ricorda che i
mitocondri sono molto presenti lungo l’assone
perché servono per favorire il trasporto delle
vescicole lungo l’asse dei microtubuli.)

ELEMENTO o TERMINALE POST-SINAPTICO

Composto da un ispessimento legato dalle proteine transmembrana- recettoriali che servono ad aprire
i canali per il Na+ per quello che riguarda l’elemento post-sinaptico. L’apertura dei canali per il Na+
porterà ad una variazione del potenziale di azione arrivando ad un potenziale soglia, all’apertura dei
canali Na+/K+ dipendenti e progressione del mio impulso nervoso.

Oltre alle proteine canale ho anche delle proteine stabilizzatrici che prendono contatto con la membrana
pre-sinaptica in maniera da mantenere in asse la mia struttura sinaptica.

Quindi si determina una depolarizzazione di membrana lungo tutto l’assone, arrivo alla sinapsi, libero
Ca2+ che mi fa spostare le vescicole che poi libereranno il mediatore chimico il quale raggiunge la
membrana post-sinaptica, fa aprire i canali per il Na+ sulla membrana post-sinaptica poi ci sarà
l’apertura dei canali per K+ e dopo di che il meccanismo va avanti lungo la zona della cellula post-
sinaptica (sia nervosa che muscolare).

FLUSSO DI INFORMAZIONE

1- Parte lungo l’assone e i suoi terminali,


2- Rilascio del neurotrasmettitore nella sinapsi,
3- Lo stimolo può essere sia di tipo eccitatorio che inibitorio,
4- Si sommano tutti i potenziali di azione che arrivano dalla periferia e si crea il potenziale di azione

DIFFERENZE

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ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

Lo spazio tra le due membrane nelle sinapsi elettriche è minimo perché le sinapsi si toccano.

C’è un intervallo tra quando arriva il potenziale e quando la cellula risponde; nella elettrica ho
conduzione BIDIREZIONALE perché non riesco a calibrare perfettamente le aperture dei canali mentre
nel caso delle chimiche è UNIDIREZIONALE, perché ho un ritardo tra l’arrivo dell’impulso e quando lo
faccio partire.

CLASSIFICAZIONE ISTOLOGICA DELLE SINAPSI

Possiamo classificarli in 3 categorie:

A. classificazione funzionale e in relazione a dove prendono inserzione


B. classificazione in base al mediatore chimico
C. classificazione funzionale e morfologica

A| Classificazione funzionale:
1- ASSO-DENTRITICHE: le più comuni, il mio assone termina con una sinapsi e queste prendono
contatto con i dendriti.
2- ASSO-ASSONICHE: regolatoria per l’attività di conduzione dell’impulso nervoso lungo l’assone.
3- ASSO-SOMATICHE: prendono contatto direttamente col corpo cellulare.
4- DENDRO-DENDRITICHE: rare nell’uomo.

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B| Classificazione per natura del mediatore chimico che viene rilasciato.

1. Neurotrasmettitori classici:
basso peso molecolare, in vescicole di piccole dimensioni.
Vengono sintetizzati per via enzimatica nel citosol del bottone presinaptico.
Agiscono in modo rapido sull’elemento post-sinaptico.

2-Neuropeptidi

dimensioni maggiori, in vescicole maggiori.


Spesso le cellule contengono entrambi i tipi. Vengono sintetizzati nel soma dai ribosomi
presenti sul RER, poi passeranno al Golgi e giungeranno ai bottoni presinaptici mediante il
flusso assonico.
Agiscono su più neuroni, la trasmissione è più lenta (perché attiva messaggeri secondari) ma
più duratura.

Differenze: nel fenomeno di ricaptazione, normalmente vengono recuperati quelli a basso peso
molecolare che possono rientrare attraverso la membrana plasmatica e possono essere riutilizzati
rapidamente a livello del bottone sinaptico.

Esempi di neurotrasmettitori classici:

GABA (acido -gammaamminobutirrico) principale neurotrasmettitore inibitore nel cervello


Glicina, nei neuroni spinali
Acetilcolina, rilasciato da motoneuroni e stimola la contrazione delle fibre muscolari
scheletriche.
Le catecolammine: dopamina, noradrenalina, adrenalina
Serotonina

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ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

Istamina.

Altra differenza è che le sinapsi chimiche possono essere di tipo eccitatorio ed inibitorio e questo può
essere indipendente dalla natura del mediatore chimico:

Quella di tipo eccitatorio è quella che porta la depolarizzazione della membrana a +35mV, rieccito
il neurone a valle a causa di una sommatoria degli impulsi,
quella di tipo inibitorio porta il potenziale di riposo ad un livello ancora più basso come meno
100/120mV, la somma delle depolarizzazioni non mi genera un nuovo impulso nel neurone a valle.

C| Classificazione morfologica e funzionale delle sinapsi


1- Di tipo I di Gray o asimmetrico sono eccitatorie. La porzione post-sinaptica ha una
concentrazione maggiore di proteine rispetto alla porzione pre-sinaptica, per questo sono
chiamate asimmetriche.

2- Di tipo II di Gray o simmetriche sono inibitorie. La fessura sinaptica è leggermente più


piccola. La densità (si riferisce alla concentrazione delle proteine) postsinaptica è simile a
quella presinaptica, per questo sono chiamate simmetriche.

Differenze: A seconda dei distretti anatomici ho una ricezione del segnale diversa, questo può essere
dovuto dal tipo di recettore per il neurotrasmettitore, infatti sulla membrana post sinaptica posso avere:

un recettore che apre una proteina canale e la conduzione dell’impulso può essere molto rapida
(solitamente sono i recettori per i neurotrasmettitori classici)

un recettore legato ad una proteina G e ho un ritardo maggiore per la conduzione dell’impulso


nervoso ma ho un’amplificazione, una diversificazione perché la proteina G può attivare diversi
sistemi con diversi secondi messaggeri e non si basano solo sulla variazione del potenziale di
membrana (solitamente sono i recettori per i neuropeptidi).

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ISTOLOGIA – Istologia II IST13– GUAINE, MALATTIE, TRASMISSIONE IMPULSI, SINAPSI

Questo è il meccanismo di ricaptazione, una volta


che io ho utilizzato e buttato fuori la molecola la
posso recuperare, è un meccanismo di recupero
attivo che sfrutta l’energia e la potenzialità della
pompa Na+/K+ATPasi, è un meccanismo di
uniporto ovvero recupero dalla periferia e porto
verso il centro.

SINAPSI TRIPARTITA terminale presinaptico – postsinaptico – astrocita

Negli ultimi 15 anni ci si è resi conto che il ruolo degli astrociti non era solo quello di svolgere una
funzione trofica nei confronti delle cellule nervose. Gli astrociti fanno da ponte tra le cellule nervose e la
componente vascolare quindi sicuramente da questo punto di vista servono a mantenere il trofismo del
mio impulso nervoso.

In realtà a livello delle mie sinapsi io trovo che tra il mio bottone presinaptico e la mia porzione post-
sinaptica sono presenti delle espansioni bottoniformi anche dei miei astrociti. Queste espansioni
bottoniformi mi servono per andare a recuperare i mediatori chimici che non hanno correttamente
preso contatto con la mia membrana post-sinaptica; possono servire a stimolare la porzione pre-
sinaptica a produrre o liberare ancora di più mediatori chimici; possono bloccare la mia membrana pre-
sinaptica della liberazione dei mediatori.

Gli astrociti sono quindi in grado di andare a modulare direttamente l’attività della sinapsi.

È vero che la sinapsi funziona perché io libero qualcosa in seguito ad un impulso nervoso e lo passo alla
cellula successiva ma in realtà ho un meccanismo di controllo che è legato alle cellule della glia che
possono attivare o meno e favorire o meno la trasmissione dell’impulso.

Questo è estremamente importante soprattutto durante lo sviluppo del sistema nervoso che avviene
entro i 20 anni, poi si potrà solo modificare qualcosa attraverso le cellule staminali.

Le cellule della glia sono fondamentali per lo sviluppo del sistema nervoso e per quello che definiamo
plasticità sinaptica.

Il potenziale di azione deve essere sommato all’interno della cellula nervosa con tutti gli altri al livello
del cono di emergenza. In questo punto se ho degli impulsi di tipo eccitatorio non farò altro che favorire
la conduzione e la nuova generazione del potenziale di azione al livello del mio assone e quindi l’azione
di tipo cognitivo o di tipo motorio.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST14 – TESSUTO NERVOSO ED EPITELI SENSORIALI

ISTOLOGIA
“TESSUTO NERVOSO ED EPITELI SENSORIALI”
ID lezione IST14 Modulo Istologia II
Data lezione 24 Maggio 2020
Autore Piero Canzio, Giulia Maffei
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte
tenuta da
Argomento Fine tessuto nervoso, epiteli sensoriali
Eventuali
Slide proiettate
riferimenti

NEURONE: è quella cellula del SN dotata di un’attività elettrica, è responsabile della conduzione
dell’impulso nervoso. È costituito da un corpo cellulare, un assone, sempre singolo, e dalla presenza
di espansioni del soma, i dendriti. L’assone può presentare o meno un rivestimento di guaina
mielinica, costituita dalle cellule di Schwann se consideriamo il SNP o oligodendrociti se consideriamo
il SNC; la parte terminale dell’assone permette la comunicazione tra due neuroni tramite le sinapsi. Il
risultato del funzionamento della sinapsi è l’accumulo di potenziale d’azione che viene generato a
livello delle cellule presinaptiche.

CLASSIFICAZIONE SINAPSI:

• Funzionamento
• Localizzazione
• Morfologia
• Attività

NEUROGENESI- nascita e differenziamento cellule nervose

Si conclude prevalentemente nelle prime fasi di vita postnatale. Nell’adulto ci sono delle cellule
staminali (neuroni e cellule della glia) a livello celebrale (zone adiacenti ai ventricoli celebrali e
porzioni di ippocampo e corpo striato) che hanno la caratteristica di andare in contro a divisione
dando origine a cellule differenziate ed altre ancora capaci di dividersi. Questo non avviene nella
corteccia celebrale.

Il ritmo di produzione di nuovi neuroni si modifica in situazioni diverse:

o Esercizio fisico o mentale (accelerano)


o Stress e invecchiamento (deprimono)

PLASTICITA NEURONALE E PLASTICITA SINAPTICA: la capacità delle nostre cellule nervose di poter
modificare, entro certi limiti, quelle che sono le interazioni tra di loro.

Il termine “plasticità” identifica la propensione del tessuto nervoso a modificare la propria


conformazione e funzione:

• È massima durante lo sviluppo dell’organismo


• Svolgono meccanismi di adattamento e di recupero funzionale

Autore: Piero Canzio e Giulia Maffei per Medicina08 1 di 9


ISTOLOGIA – Istologia II IST14 – TESSUTO NERVOSO ED EPITELI SENSORIALI

A differenza dei tessuti caratterizzati da costante rinnovamento per l’intera durata della vita o dalla
capacità di compensare alle perdite grazie alla rigenerazione, il tessuto nervoso presenta notevoli
limitazioni in tal senso una volta completato il normale sviluppo ontogenetico. Il motivo è da
riscontrare nella perdita della capacità di divisione mitotica.

La plasticità sinaptica è un esempio di plasticità strutturale che interessa solo piccolissime porzioni
della cellula nervosa, però è molto importante dal punto di vista fisiologico:

o Modulazione della “forza” delle sinapsi


o Aumento/diminuzione del numero di sinapsi attivamente coinvolte nella comunicazione
fra due cellule o della dimensione dei singoli contatti sinaptici;
o Modifiche morfologiche e di organizzazione molecolare a carico di entrambi i terminali

Il numero di sinapsi cresce rapidamente durante le prime fasi dello sviluppo postnatale, segue un
declino che si arresta al termine dell’adolescenza e riprende in età avanzata.

La plasticità sinaptica è la base neurobiologica di tutti i fenomeni di adattamento, di apprendimento e


di memoria. A ogni stimolo esterno di un certo rilievo seguono modifiche a carico delle sinapsi
direttamente interessate dall’elaborazione delle informazioni pertinenti, portando alla
memorizzazione degli eventi. La plasticità sinaptica è alla base del fenomeno per cui a seguito di una
lesione cerebrale si assiste a un progressivo recupero funzionale: le funzioni che non possono più
essere svolte a causa della perdita di tessuto vengono trasferite ad aree di cervello intatte.

La rigenerazione delle fibre nervose:

1. se ci sono traumi o patologie localizzate nella sostanza grigia del SNC o nei gangli nervosi
periferici, questi danni non possono essere riparati e vi è, di consequenza, la morte cellulare;
2. se c’è soma risparmiato e/o danni limitati vi è la possibilità di rigenerazione.

Nel momento in cui vado a danneggiare l’assone (Assotomia),


ci sarà una degenerazione del segmento distale e di tutte le
ramificazioni terminali dell’assone stesso, sostanzialmente si
crea un moncone prossimale, il quale può dare inizio al
processo di riparazione e rigenerazione. Quindi, questo è
possibile solo se non vado a danneggiare quella che è la porzione del soma responsabile di tutti i
processi di sintesi.

Le cellule di Schwann (nel SNP) hanno proprio ruolo fondamentale nel processo di rigenerazione:

1. de-differenziano: retrazione e frammentazione guaina mielinica


2. proliferano: formazione di cordoni cellulari che ripercorrono l’andamento del nervo
danneggiato.

La prima cosa che il neurone fa in caso di danno è richiudere il proprio assolemma (membrana
dell’assone) a livello del segmento prossimale permettendo la saldatura; il passo successivo è quello di
ripristinare l’integrità della cellula. Queste cellule da un lato recuperano macrofagi, che permettono di
degradare componenti da eliminare e contemporaneamente vi è la chiamata di fattori di crescita che
permettono la rigenerazione. Questo è un processo che possiamo definire “difficile” perché quando
vado a rigenerare la guaina mielinica ho la necessità di ripristinare il canale com’era prima del danno e
può succedere che la rigenerazione mi comporti un cambiamento nel sito di innervazione dell’assone.

Autore: Piero Canzio e Giulia Maffei per Medicina08 2 di 9


ISTOLOGIA – Istologia II IST14 – TESSUTO NERVOSO ED EPITELI SENSORIALI

Quindi, ricapitolando, le cellule di Schwann:

1. rilasciano fattori chemiottatici che attirano i


macrofagi con processo attivo, specifico e
altamente regolato.
2. creano un microambiente favorevole alla
crescita e alla guida dell’assone attraverso la
secrezione di fattori di crescita e
l’espansione di molecole di adesione sulla
membrana.

Lesioni a carico della sostanza bianca del SNC sono irreversibili, questo perché gli oligodendrociti
non hanno la capacità di proliferare e di produrre fattori di crescita. In questo caso si formano
cicatrici che non hanno più capacità funzionale.

BARRIERA EMATO-ENCEFALICA (BEE)

Sistema altamente selettivo, che permette di far passare le sostanze nutritive che servono alle cellule
per attuare i vari processi metabolici ma pone limiti al passaggio della maggior parte delle sostanze
presenti nel circolo ematico per il parenchima nervoso.

• Controllo composizione molecolare delle ECM, considerato fondamentale per il controllo


dell’omeostasi del SNC. L’impermeabilità della barriera impedisce che rapide variazioni a
livello ematico possano interferire con l’eccitabilità dei neuroni.
• Regola il passaggio di ormoni e altri mediatori, il cui trasferimento è consentito solo in
presenza di meccanismo di trasporto specifici.
• Rappresenta un ostacolo per molti farmaci (questo sicuramente è una situazione da alcuni
punti di vista sfavorevole, impedisce che un determinato farmaco possa essere captato dalle
cellule del SNC)

Nei vasi del SNC le cellule endoteliali:

sono strettamente connesse fra loro tramite


giunzioni occludenti che impediscono il
passaggio di molecole relativamente
voluminose e limitano il flusso di ioni quali
sodio e calcio. Sono prive di fenestrature con
ritmi di transcitosi molto più lenti rispetto al
circolo periferico. Sono, inoltre, circondate
da una lamina basale con i periciti, che
regolano il flusso ematico. Un vaso, inoltre, è avvolto dai pedicelli terminali che sono delle
ramificazioni degli astrociti, formano un ulteriore strato protettivo. Quindi una sostanza deve passare
all’interno delle cellule endoteliali, e in seguito deve prendere contatto con le cellule della glia

Nella superficie luminare (riveste dall’interno quello che è il capillare) delle cellule endoteliali ci
sono tutta una serie di recettori volti a regolare quella che è la pressione all’interno dell’encefalo e altri
recettori per ormoni, citochine e fattori di crescita.

La superfice albuminale (verso la membrana basale, in contatto con gli astrociti) sarà estremamente
sensibile a quelle che sono le variazioni nella composizione della ECM e ai mediatori rilasciati dagli
astrociti, neuroni e cellule microgliali.

Autore: Piero Canzio e Giulia Maffei per Medicina08 3 di 9


ISTOLOGIA – Istologia II IST14 – TESSUTO NERVOSO ED EPITELI SENSORIALI

Quindi vi sono diversi fattori da prendere in considerazione quando parliamo del passaggio di
molecole attraverso la barriera:

• Le superfici luminali e albuminali offrono meccanismi attivi e altamente selettivi di trasporto


da un lato all’altro della barriera.
• Le giunzioni occludenti possono andare in contro a modificazioni in quella che è
l’organizzazione modificandone la permeabilità.
• Apporto energetico dovuto a rapida diffusione passiva dell’ossigeno e abbondanti proteine
vettrici per il glucosio nella membrana endoteliale.

TERMINAZIONI NERVOSE PERIFERICHE:

Le terminazioni nervose periferiche rappresentano la principale interfaccia tra SN e ambiente


esterno/interno:

EFFETRICI:

• Tramettono segnali dal tessuto nervoso ad altri tessuti


• Motrici
• Vasomotrici: vanno ad innervare il movimento delle cellule muscolari lisce;
• Eccitosecretrici: vanno a terminare in vicinanza di cellule ghiandolare, facilitandone la
secrezione;

Le terminazioni motrici viscerali: in questo caso non parliamo di vere e proprie sinapsi perché sul
plasmalemma non si osservano le specializzazioni caratteristiche del terminale postsinaptico

SENSITIVE O RECETRICI:

• Raccolgono stimoli da altri tessuti o dall’ambiente circostante;


• Suddivise in base al tessuto in cui terminano e alla morfologia;
• Possono entrare a far parte di strutture più o meno complesse con cellule non nervose
(recettori).

I recettori sensoriali: assorbono piccole quantità di energia (stimolo), convertono questa energia in un
impulso elettrico (trasduzione), producono un potenziale recettoriale che può: o depolarizzare la
membrana cellulare, stimolando il neurone a trasmettere l’impulso (potenziale d’azione), o
iperpolarizzare la loro membrana cellulare, diminuendo la capacità del neurone di generare un
potenziale d’azione.

CLASSIFICAZIONE RECETTORI SENSORIALI:

1. In base all’origine embrionale del tessuto dove si trovano:


se si considera l’origine embriologica e la sede dove questi recettori andranno a localizzarsi, si
può suddividere i recettori in tre grandi famiglie:
I. Esterorecettori: recettori cutanei che rilevano il tatto, la pressione, la variazione di
temperatura, gli stimoli dolorifici, i movimenti dei peli…. Si trovano a livello cutaneo,
soprattutto nella zona dell’epidermide e in piccola parte nella zona connettivale. Hanno
prevalentemente origine ectodermica.

Autore: Piero Canzio e Giulia Maffei per Medicina08 4 di 9


ISTOLOGIA – Istologia II IST14 – TESSUTO NERVOSO ED EPITELI SENSORIALI

II. Propriorecettori: recettori che ci danno informazioni riguardo alla nostra posizione
nell’ambiente (dove ci troviamo? come siamo posizionati?. Sono recettori che inviano segnali
per indicare se il muscolo è sufficientemente contratto. Sono recettori che hanno
prevalentemente origine mesodermica e si trovano a livello connettivale.
III. Enterorecettori: si occupano di far giungere al cervello le informazioni riguardo alle condizioni
interne del nostro corpo. Sono recettori prevalentemente di origine endodermica, perché
dall’endoderma deriva l’intestino primitivo e da questo deriverà l’intestino tenue con
ghiandole annesse e il sistema respiratorio, ecco perché questi recettori presenti nei visceri
sono responsabili della introcezione.
2. In base alle caratteristiche della terminazione nervosa; si possono suddividere in:
I. Terminazioni sensitive libere: si ha un neurone che arriva a livello periferico e in
maniera libera prende contatto con altre cellule. Si trovano sia negli epiteli che nei
connettivi e terminano senza particolari specializzazioni. Le terminazioni sono prive di
guaina mielinica e di endonevrio. Le terminazioni libere sono responsabili della
sensibilità dolorifica e termica.
II. Terminazioni associate a cellule sensitive: un esempio sono
le terminazioni associate alle cellule di Merkel, che si trova
nello strato basale dell’epidermide.
III. Terminazioni incapsulate (corpuscoli sensitivi): sono
strutture localizzate nei connettivi; raccolgono segnali di
natura meccanica contribuendo con modalità diverse alla
percezione somatosensoriale. I corpuscoli sensitivi con
funzione tattile sono abbondanti nel connettivo della cute e
del sottocute. I recettori capsulati presenti nei tendini e nei
muscoli scheletrici sono fondamentali ai fini della propriocezione.

3. In base alla natura dello stimolo; in base alla loro natura inviano segnali al cervello. Si si
suddividono in:
I. Fotorecettori: rispondono a stimoli luminosi
II. Meccanorecettori

Autore: Piero Canzio e Giulia Maffei per Medicina08 5 di 9


ISTOLOGIA – Istologia II IST14 – TESSUTO NERVOSO ED EPITELI SENSORIALI

III. Termorecettori
IV. Propriorecettori, si trovano a livello connettivale. Sono di origine mesodermica e aiutano a
coordinare il movimento muscolare. Rispondono continuamente alla tensione e al movimento,
in modo da percepire la posizione spaziale degli arti. Si identificano tre forme diverse di
propriorecettori:
-i fusi muscolari che identificano il movimento muscolare
-gli organi tendinei del Golgi
-i recettori articolari
V. Osmorecettori
VI. Barorecettori
VII. Elettrorecettori
VIII. Chemiorecettori
IX. Igrorecettori
X. Nocirecettori
4. In base alla varietà di stimoli rilevati;
5. In base al profilo temporale della risposta a stimoli prolungati.

Altri recettori sono:

DISCHI DI MERKEL

Le cellule di Merkel sono cellule differenziate in senso sensitivo, sono collegate a fibre nervose
afferenti, perciò a questo livello si è in grado di avere delle percezioni. Si originano da una
terminazione ramificata di una fibra afferente di grosso calibro che, perdendo la guaina mielinica,
assume forma discoidale e si posiziona appena sotto l’epidermide. Si trovano prevalentemente
localizzate a livello dei polpastrelli. Sono caratterizzate da un lento adattamento. Un’anomala
distribuzione di queste cellule provoca delle patologie di tipo neoplastico.

CORPUSCOLI DI MEISSNER

È una struttura costituita da fibre sensitive che si trovano associate a un’altra serie di cellule, sono
incapsulate. Ricevono stimoli di tipo pressorio. Si tratta di terminazioni nervose specializzate e
situate in fondo alle papille dermiche. Sono molto concentrati nei polpastrelli e 2-6 terminazioni
formano dischi sovrapposti. Sono caratterizzati da un rapido adattamento.

CORPUSCOLI DEL PACINI

Autore: Piero Canzio e Giulia Maffei per Medicina08 6 di 9


ISTOLOGIA – Istologia II IST14 – TESSUTO NERVOSO ED EPITELI SENSORIALI

Sono terminazioni di una fibra afferente nuda, circondata da una capsula multi lamellare. Sono
delle strutture incapsulate. Si trovano quasi in superficie, in particolar modo nel palmo della mano,
nei tendini e nel mesentere. Al microscopio sono facilmente riconoscibili per via delle lamelle
concentriche che creano il corpuscolo.

CORPUSCOLI DI RUFFINI

È una fibra nervosa che termina in strutture capsulari affusolate all’interno delle quali si ramifica
in numerose terminazioni che perdono la mielina e si intrecciano con le strutture connettivali
presenti all’interno della capsula. Lo stimolo adeguato è rappresentato dallo stiramento delle fibre
collagene. Sono recettori grandi e si trovano in profondità. Sono localizzati nei punti di giunzione,
soprattutto a livello articolare. (erano stati accennati nella struttura ossea e muscolare)

EPITELI SENSORIALI

Esistono due tipi di sensibilità:

-sensibilità generale: le cellule appartenenti a questo gruppo svolgono funzioni di monitoraggio


delle condizioni presenti in un dato momento nell'ambiente che le circonda inviando informazioni
di natura sensitiva al SNC.

-sensibilità specifica: ci si riferisce a cellule specializzate che fungono da recettori, sensibili solo ad
un determinato tipo di stimolo, strutturalmente più complesse e presenti in limitate aree sensoriali
all'interno di tessuti epiteliali situati nei nostri organi di senso, che presiedono a gusto, udito,
equilibrio, olfatto e vista. È bene considerare che le cellule epiteliali sensoriali, pur avendo aspetti
funzionali simili, non sono neuroni, in quanto non presentano l’assone e non hanno derivazione
neuroectodermica.

L’olfatto e la vista sono appannaggi di epiteli sensitivi nei quali le cellule recettoriali sono cellule
nervose a tutti gli effetti.

CELLULE SENSORIALI ACUSTICHE

Considerando gli epiteli vestibolare e dell’udito, questi si trovano all’interno dell’orecchio interno.
(orecchio esterno è il padiglione auricolare, in quello medio si trova il timpano). Nell’orecchio
interno si trovano tutti e due gli organi importanti per la percezione. A livello cocleare, si hanno gli
organi che permettono di percepire i suoni, invece a livello dei canali semicircolari, si ha l’organo
vestibolare, che permette di sapere in quale posizione ci troviamo. I due sistemi sono fatti in
maniera simile dal punto di vista morfologico, perché costituiti da cellule che sono in grado di
percepire quello che succede sulla superficie, quindi sono cellule dotate di specializzazioni apicali.
Questa caratteristica fa sì che il recettore prenda contatto con delle membrane particolari e grazie
a questo contatto si riescono a generare degli impulsi che vengono percepiti dal sistema nervoso
centrale.

L’organo dell’udito è formato da tanti piccoli organi ed è chiamato organi del Corti, questo perché
all’interno della coclea si hanno circa tremila organi del Corti. Questo organo è costituito da cellule
acustiche (nell’immagine sono in giallo) e dalle cellule di supporto (disegnate in rosa). Le cellule
deputate a farci percepire il suono sono le cellule acustiche, cellule che hanno delle estroflessioni
che vanno a prendere contatto con una membrana, ricoperta di una sostanza gelatinosa. Nel
momento in cui la membrana si muove, si spostano anche le cellule acustiche. Nella parte opposta,
le cellule acustiche sono collegate al nervo uditivo; la perturbazione generata dalla membrana si

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propaga fino alla parte opposta della cellula acustica portando il segnale al nervo uditivo e da lì al
cervello.

SCHEMA Come avviene la percezione del suono?

Onde sonore giungono alla membrana del timpano→ flessione → catena degli ossicini (staffa,
martello e incudine)→ membrana situata nella finestra rotonda→ lo spostamento della linfa
contenuta nel labirinto sollecita le stereociglia delle cellule acustiche→ variazione potenziale di
membrana→ingresso del calcio→ rilascio di un neurotrasmettitore al polo basale→ sinapsi con
terminazioni nervose afferenti (sinapsi a nastro)→ nervo acustico→ cervello.

L’ORGANO VESTIBOLARE

L’organo vestibolare è l’organo dell’equilibrio. Il meccanismo di funzionamento è lo stesso di


quello visto per la percezione del suono, questo perché è formato da cellule contenenti microvilli e
un ciglio.

L’organo vestibolare è in grado di recepire:

1. la direzione dell'accelerazione di gravità, grazie a recettori stimolati da cambiamenti di


posizione della testa. Sono i recettori della macula del sacculo, sensibili alla direzione latero-
laterale e i recettori della macula dell’utricolo sensibili alla direzione cranio-caudale (o
anteroposteriore)
2. l’intensità degli stimoli di accelerazione lineare e angolare.

La stimolazione è determinata da correnti di endolinfa che si formano in seguito ai movimenti del


capo nello spazio. Le macule del sacculo e dell’utricolo sono disposte in direzioni ortogonali fra
loro così da recepire le accelerazioni in piani diversi. Le macule sono prive di capacità recettoriale.
Incanestrate sono immerse cellule capellute di tipo I e di tipo II:

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• cellule cappellute di tipo I: sono poco colorabili, sono anche dette cellule a fiasco per via
della forma allargata alla base, dove è situato il nucleo. Le stereociglia hanno un
citoscheletro di microfilamenti di actina tenuto insieme da molecole di fimbrina che ne
assicura la rigidità. Le stereociglie più alte sono affiancate ad un ciglio, chiamato
chinociglio, dotato di assonema e di corpuscolo basale, che funziona da recettore degli
stimoli di accelerazione.
• Le cellule di tipo II: sono anche definite colonnari, si presentano con nucleo centrale e più
sottili.

I prolungamenti presenti alla superficie apicale di entrambi i tipi cellulari trovano alloggio nei
pori della membrana otolitica.

La membrana otolitica è una struttura gelatinosa costituita da glicoproteine e protoglicani in


cui sono immersi gli otoliti (chiamati anche statoconi), quest’ultimi fungono da recettore degli
stimoli di accelerazione e se vanno a perdere la loro posizione viene percepito lo stimolo in
maniera sbagliata, sono responsabili delle vertigini.

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