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ANALISI DELLA SONATA N. 11 OP.

22 IN SI BEMOLLE MAGGIORE DI
L. V. BEETHOVEN
A cura di Arturo Susani

Composta sul finire del XVIII secolo, la sonata n. 11 non è sicuramente una delle sonate più popolari
di Beethoven. Priva, soprattutto nel primo movimento, di temi di per sé particolarmente
significativi, essa non ha mai riscosso successo tra il grande pubblico. E tuttavia Beethoven ne
andava profondamente orgoglioso.

La ragione della soddisfazione del maestro di Bonn non è difficile da individuare: sebbene sia vero
che il materiale utilizzato è piuttosto neutro e poco caratterizzante, il modo in cui Beethoven lo
tratta è straordinario, in quello che diventa un magistrale esempio dell’arte del comporre.

È rilevante notare come sia praticamente certo che tra le pagine di questa sonata sia nato
l’embrione della straordinaria “Hammerklavier”, con la quale si possono trovare diverse analogie.

La sonata è piuttosto estesa, in quattro movimenti.

I MOVIMENTO: Allegro con brio

Il primo movimento di questa sonata è tutt’altro che facile tecnicamente, e forse questo è un altro
motivo per cui essa non si è diffusa tra i dilettanti. Il primo gruppo tematico si apre con un motivo
semplicissimo: una terza ascendente e poi discendente arricchita da una quartina di semicrome, la
quale sarà elemento ricorrente in tutto il movimento. Da qui la prima cellula viene riproposta lungo
tutto l’arpeggio ascendente di tonica, ricordando il cosiddetto “razzo di Manheim”, fino a sfociare
in una melodia molto dolce (la quale, però, non sarà più sentita fino alla ripresa), in un fantastico
esempio di tema monoaccordale:
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Il primo gruppo tematico si conclude con una ripresa della prima cellula e una scala ascendente
eseguita all’ottava dalle due mani che arriva a una cadenza sospesa.
Il ponte si ricollega immediatamente alla sezione appena terminata presentando al basso la stessa
cellula iniziale, la quale in sostanza abbellisce un arpeggio ascendente di tonica che arriva a due
battute dal ritmo armonico molto veloce, le quali, tramite una serie di dominanti secondarie,
portano a un lungo pedale di dominante della dominante, in preparazione al secondo gruppo
tematico, impostato, appunto, sul quinto grado.
Eppure, il pedale non risolve subito sul secondo gruppo tematico. Esso è preceduto da un tema
molto essenziale di terze in fa, il quale, però, non viene più ripreso, e da tre battute eccezionali
armonicamente sulle quali vale la pena soffermarsi:

Il tema del ponte modulante termina con una cadenza sospesa su una dominante di sol, mentre in
concomitanza il basso comincia a scendere sempre più verso il registro grave, diventando, anche
per via delle tante note estranee all’armonia, più un effetto che altro. A questo punto alla mano
destra succede qualcosa di decisamente insolito: un arpeggio di sensibile senza settima di sol (già di
per sé inusuale) risolve sulla sua tonica minore, ma lo fa con un ritardo per quanto riguarda la
sensibile, creando per un quarto un’interessantissima dissonanza di quarta diminuita tra fa diesis e
si bemolle. Il riposo sul sol, tuttavia, dura molto poco, poiché si presenta subito un re bemolle a
formare un’altra triade diminuita, la quale stavolta risolve eccezionalmente su una settima di do,
cioè alla dominante della dominante, da cui, come se nulla fosse successo, comincia una cadenza
semplicissima, quasi accademica, che porta al fa del secondo gruppo tematico.
Nel secondo gruppo tematico, il cui tema principale è formato quasi totalmente da terze discendenti
o dalla loro inversione, seste ascendenti, non si può non vedere una somiglianza con la
Hammerklavier. Questa idea è immediatamente riproposta e variata con la mano destra in
controtempo e con quegli sforzati nel pianissimo tanto tipici di Beethoven:
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La variazione è interrotta da quattro arpeggi della mano destra costruiti su degli accordi tenuti al
basso, in una successione armonica costituita dalla dominante in primo rivolto di re (sesto grado
della dominante), re, si con la settima diminuita inteso come settima di sensibile della dominante di
fa e la settima di sensibile in terzo rivolto di fa stesso, che risolve, come previsto, sulla sua tonica. Il
secondo gruppo tematico è chiuso da un passaggio dalla tecnica tipicamente concertistica a ottave
spezzate che portano al secondo tema del secondo gruppo tematico: su un lungo tremolo di fa, che
ricorda un intervento dei timpani, troviamo un tema vagamente misterioso, impostato sulla triade
maggiore di fa, ma con i gradi del modo minore e il secondo abbassato. Nella voce interna troviamo
un chiaro riferimento al motivo iniziale, sebbene ora sia presentato in crome e non più in
semicrome.
Questo motivo è ripetuto all’ottava superiore causando un effetto tipicamente orchestrale di
dialogo tra strumenti di diversa tessitura, che Beethoven ci ha abituati a sentire in molte occasioni.
A questo punto è ripetuta solo la cellula finale del motivo, sempre più piano, una volta usando
semplicemente il secondo grado minore, una volta usando la sesta napoletana.

Il diminuendo che porta al pianissimo sfocia in quello che più che una coda è un vero e proprio terzo
tema.
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Non è possibile chiamare la sezione seguente “coda” poiché in essa si trova il motivo che è l’idea
emblematica del carattere di questo primo movimento e che avrà un ruolo fondamentale nello
sviluppo. Il motivo in questione è quanto di più semplice (“positivamente primitivo”, dice il maestro
Schiff) si possa concepire: una scala, prima ascendente e poi discendente, eseguita sia dalla mano
destra che dalla sinistra da ottave vuote all’unisono in fortissimo.

L’esposizione si conclude richiamando brevemente il motivo iniziale, utilizzato per tornare verso il
registro acuto fino a una decisa cadenza perfetta sulla dominante.
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Lo sviluppo si apre con un dialogo tra mano destra e sinistra che si rimbalzano il motivo iniziale per
poi andare con un intenso crescendo prima al terzo tema, ancora in fortissimo e a ottave vuote, e
poi al secondo tema del secondo gruppo tematico, stavolta non alla dominante ma al quinto grado
della relativa minore del tono di impianto (quindi re maggiore), in omaggio alla tradizione. A parte
la trasposizione da fa a re, il tema in questione non viene variato in modo rilevante, cosa che invece
accade subito dopo al terzo tema: quella costruzione “positivamente primitiva” dell’esposizione è
ora rielaborata e resa più complessa. La prima semifrase è affidata al basso, il quale poi esegue
l’inversione della seconda semifrase mentre il soprano la riporta come nell’originale. Alla
rielaborazione del terzo tema risponde un motivo di quartine alla mano destra che richiama il
motivo iniziale. Questa figurazione dialogica si ripete per tre volte, col basso che sale di quarta ogni
volta: da re a sol e poi a do, percepito come dominante di fa minore.

Da qui il basso intraprende un’interessantissima discesa verso il registro grave che non si arresterà
fino alla fine dello sviluppo.
In un primo momento, partendo da si bemolle, esso, sotto dei semplici arpeggi della mano destra
derivati ancora una volta dal motivo iniziale, scende grado per grado tramite una concatenazione di
dominanti secondarie rivoltate in modo da consentire la discesa del basso: la bemolle, sol, sol
bemolle, fa, fa bemolle fino a mi bemolle, armonizzato come dominante con la settima di la bemolle
maggiore.
Da questo mi bemolle comincia una splendida variazione del terzo tema: esso è portato al basso e
non più fortissimo e puntato, ma piano e “legatissimo”, mentre la mano destra continua gli arpeggi,
anche se in modo discreto. Poi si scende sempre di più e si diminuisce sempre di più, con un effetto
molto misterioso. Il terzo tema da mi bemolle scende a do, inteso come dominante di fa su cui è
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costruita una coloratissima nona, e ancora al fa grave, nota più bassa della tastiera che Beethoven
aveva a disposizione, capolinea di questa straordinaria discesa sia nel registro che nella dinamica,
da cui si prepara la ripresa con una scala ascendente che termina con una fermata sulla dominante
del tono d’impianto che risolve nella ripresa, conforme ai modelli tradizionali.
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II MOVIMENTO: ADAGIO CON MOLTA ESPRESSIONE

Il secondo movimento, in mi bemolle maggiore, non è del tutto convenzionale: sebbene, infatti, sia
molto lirico, come da tradizione, esso è molto esteso e in forma sonata, presenta elementi tipici del
concerto solistico (anche se questa non è una novità), ma soprattutto, nonostante una struttura
armonica piuttosto canonica, possiamo trovarvi delle singole armonie che sono di una modernità
straordinaria e che ci spiazzano ancora oggi.
Esplicitamente richiesta da Beethoven nelle indicazioni agogiche, l’espressività è l’elemento
fondamentale di questo adagio, ed è raggiunta anche grazie ad appoggiature molto interessanti già
dalle primissime battute:

In ossequio alla natura lirica del movimento lento, il primo tema di questa forma sonata è concluso
completamente prima di passare oltre, e anzi Beethoven appone addirittura una doppia stanghetta
per demarcarlo:

Nel ponte modulante troviamo una figurazione di grande espressività che il maestro Schiff paragona
a dei sospiri:
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Lo sviluppo, come da convenzione, comincia sulla dominante della relativa minore, ma è


straordinario il modo in cui esso viene interpretato: le ottave ribattute del basso sono al registro
grave, creando un effetto di mistero, mentre alla mano destra troviamo, grazie a delle appoggiature,
delle armonie incredibilmente moderne molto dissonanti.

Da qui viene percorsa una serie di quarte: da sol a do e poi fa, si bemolle, mi bemolle, ognuna delle
quali interpretata come dominante. Il mi bemolle, usato come dominante, porta alla
sottodominante minore del tono d’impianto, e quindi ne apparecchia il ritorno al modo maggiore.

III MOVIMENTO: MINUETTO

Il minuetto è un perfetto prototipo della sua forma: tre sezioni da otto battute ciascuna e una coda
di sei, e tutte le convenzioni armoniche perfettamente rispettate.

La prima sezione presenta un motivo che ricorda neanche troppo vagamente quello del secondo
movimento, dato dalla quartina di semicrome con l’acciaccatura. La sezione B è un dialogo tra delle
quartine di semicrome in crescendo e una figurazione che ricorda vagamente il terzo tema del primo
movimento, costruito sulla relativa minore preceduta dalla sua dominante e poi la dominante del
quarto grado che porta al II minore per preparare la ripresa sulla tonica.
La sezione della ripresa è analoga, ovviamente, alla prima, con la differenza che il basso è arricchito.

Il trio è di due sezioni di otto battute, entrambe con ritornello. È rilevante notare nella prima sezione
l’inversione alla mano sinistra del motivo principale del trio (che poi è ripreso dal secondo
movimento) e nella seconda sezione una sorta di contrappunto imitativo tra le voci. Questo trio
piacque molto a Schumann che lo utilizzò come fonte di ispirazione per la sua Humoresque.

IV MOVIMENTO: RONDÒ

Anche l’allegretto finale rispetta le convenzioni del rondò in pieno stile viennese.
È particolarmente interessante il modo in cui Beethoven prepara il primo ritorno del tema
principale, poiché riesce a renderlo inatteso nonostante l’ascoltatore sappia benissimo che esso
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debba arrivare. La preparazione, infatti, consiste nella riproposizione del motivo iniziale in modo
sempre più accelerato: in un primo momento abbiamo quattro suoni in un quarto, poi sei, poi otto
e infine cinque in mezzo quarto che portano al ritorno:

Anche il secondo ritorno del tema è particolare, poiché esso è introdotto da un trillo in crescendo
che però sfocia in un piano subito, praticamente marchio di fabbrica di Beethoven. Questa terza
riproposizione del tema è interessante poiché esso è affidato al basso che esegue ottave indicate
“molto legato”, con una tecnica pianistica molto innovativa, già presentata alla mano destra
precedentemente nel movimento.

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