Sei sulla pagina 1di 17

2

Il linguaggio e le lingue del web

2.1 Dal modello di Jakobson alle interfacce culturali di


Manovich
L’informazione in rete è sempre informazione interpretata. In aggiunta potremmo di-
re che è sempre “dato strutturato”, ovvero è sempre il prodotto di un processo di in-
terpretazione su due livelli: quello strettamente informatico, come segnale, relativo ai
processi fisici di codifica-decodifica; quello semiosico, come segno relativo al conte-
sto culturale-comunicativo.
Per quanto riguarda il primo, è necessario ricordare che tutta l’informazione in
quanto dato interpretabile è soggetta a processi di codifica e di decodifica. Ma che co-
sa sono i processi di codifica e decodifica? Proviamo a spiegarlo con un esempio:
nell’antico Egitto si utilizzava un linguaggio composto da circa settecento segni, i ge-
roglifici, ovvero segni pittorici (pittogrammi) combinati a elementi ideografici, silla-
bici e alfabetici. Questa lingua sacra era utilizzata dalla casta sacerdotale egiziana più
di quattromila anni fa. Ogni ideogramma era associato convenzionalmente a un signi-
ficato, cosí come lo erano anche gli insiemi di ideogrammi. Si trattava quindi di segni
codificati secondo una tradizione culturale, tramandata da una casta sacerdotale ad
un’altra. Nel tempo si è smarrito il codice di quella lingua. Si è smarrito cioè quel si-
stema di segni e di regole per la loro combinazione assunto convenzionalmente per
1
comunicare, all’interno del quale i segni assumevano dei significati . Ma come è stato
possibile allora decodificare la lingua dei geroglifici?
Nel 1822 Jean-François Champollion ritrovò una lastra in basalto, poi chiamata
Stele di Rosetta, dal nome della città portuale sul delta del Nilo nella quale fu rinvenu-
ta. La lastra riportava un’iscrizione in tre differenti grafie e in due lingue diverse: il
geroglifico, il demotico (una sorta di geroglifico semplificato usato per documenti or-

1
«Un codice è un sistema di signifcazione che accoppia entità presenti e entità assenti. Ogni
qual volta, sulla base di regole soggiacenti, qualcosa materialmente presente alla percezione
del destinatario sta per qualcosa d’altro, si dà significazione. Sia chiaro però che l’atto
percettivo del destinatario e il suo comportamento interpretativo non sono condizioni
necessarie della relazione di significazione: è sufficiente che il codice stabilisca una
corripondenza tra ciò che sta per e il suo correlato, corrispondenza valida per ogni ‘destinario
possibile, anche se di fatto nessun destinatario esiste o potrà mai esistere», in U. Eco, Trattato
di semiotica generale, prima edizione digitale, Bompiani, 2011, 3.0 Comunicazione e/o
siginficante, p. 20.
Il linguaggio e le lingue del web 17

dinari) e il copto (egiziano translitterato con i segni fonetici della lingua greca). A
partire dalla parte scritta in copto, conoscendo tale lingua, Champollion poté istaurare
una corrispondenza fra la sezione della stele scritta nella lingua nota con le altre due
parti scritte nelle due lingue sconosciute, riuscendo cosí a decifrare i singoli ideo-
grammi in entrambe le due antiche grafie egiziane. La stele di Rosetta, cioè, fungeva
da chiave interpretativa dei due codici più antichi, quelli scritti in geroglifico e in de-
motico. Ovviamente, nell’interpretare i primi due codici con la lingua copta, a Cham-
pollion non fu possibile tradurre subito tutto, qualcosa andò perduto; per esempio, non
riuscì a decifrare i segni multiconsonantici e alcune funzioni sintattiche. E quindi,
nell’atto di decodifica qualche informazione andò perduta: lost in traslation. La stele
riportava un decreto tolemaico di quasi due secoli prima della nascita di Cristo, come
fu possibile stabilire solo quando i codici furono definitivamente decifrati in ogni loro
parte e funzione, qualche tempo dopo, dall’egittologo tedesco Karl Richard Lepsius,
allievo di Champollion.
Stando all’esempio, il codice è rappresentato dalla lingua dei geroglifici. La codi-
fica è l’attribuzione e la condivisione di un codice, ovvero la formazione storica e la
divulgazione di una lingua, nel nostro caso, per semplificare, il geroglifico. Il codice è
condiviso dalla casta sacerdotale degli antichi egizi, che lo utilizza per le scritture sa-
cre. Esso è inequivocabile, infatti gli antichi sacerdoti lo comprendevano senza frain-
tendimenti e lo utilizzarono per emanare il decreto tolemaico. Il codice è necessario
per scrivere, leggere e trasferire determinate informazioni su supporti fisici diversi,
ovvero per raccontare una certa storia su di una lastra di basalto, oppure su di una ta-
voletta di argilla o su di un rotolo di papiro. In questo senso la codifica è «un proce-
dimento per mezzo del quale i dati che compongono un’informazione vengono mate-
2
rializzati e possono diventare un messaggio» . La possibilità che le informazioni siano
comprese da altri popoli, che utilizzano altri codici linguistici, è legata ad una chiave
interpretativa, la Stele di Rosetta. Senza una chiave interpretativa il dato non è decodi-
ficabile e quindi interpretabile, ovvero senza la Stele di Rosetta i glifi sarebbero rima-
sti dei grafemi privi di significato.
In informatica, la codifica e la decodifica sono due processi sistematici, eseguiti
cioè secondo algoritmi. Per fare un esempio, un’immagine digitale è codificata in
64M di colori per ogni punto contenuto. Un punto (in base all'unità di misura, per e-
sempio il dpi - dots per ink) occuperà una certa area dello spazio. Il campionamento
dei colori e la codifica dei colori sono svolti in un modo inequivocabile. Pertanto, an-
che la codifica è inequivocabile, perché è prestabilita in base ad un codice, ovvero i
64M di colori; la decodifica non lo è, perché è soggetta a processi di interpretazione.
Potrebbe allora darsi il caso di un programma che non sappia interpretare corretta-
mente il codice dell’immagine, e pertanto non sappia nemmeno rappresentarlo corret-
tamente. Il risultato della decodifica potrebbe essere equivocato, cioè potrebbe non
contenere la medesima informazione e significato che si voleva inviare, e quindi si
potrebbero perdere informazioni relative ai segni e alle loro funzioni. Anche in questo
caso il dato è andato perduto: lost in traslation.

2
T. Orlandi, Informatica Umanistica, La Nuova Italia Scientifica, 1990, p. 32.
18 Capitolo 2

Oltre alla mancanza di una chiave interpretativa, errori di decodifica sono imputabili
al cosiddetto rumore: eventi rumorosi esterni, che disturbano la comunicazione, o in-
trinseci alla sorgente dell'informazione, al mezzo trasmissivo, al destinatario. Per e-
sempio: quando si conversa attraverso un apparecchio, quest’ultimo potrebbe non
funzionare bene (rumore sorgente); la comunicazione potrebbe avvenire in una stanza
resa rumorosa dal chiacchiericcio di altre persone (rumore esterno sul mezzo trasmis-
sivo); oppure la stanza potrebbe rimbombare a causa delle sue dimensioni e della sua
forma (rumore intrinseco del mezzo trasmissivo); chi riceve la chiamata potrebbe non
riuscire ad ascoltarci (rumore intrinseco al destinatario) perché è un po’ sordo, oppure
perché si trova in mezzo al traffico (rumore esterno sul destinatario, etc.).
In termini informatici, il dato viene codificato su di un canale comunicativo come
segnale; per esempio dal punto di vista elettronico è tradotto nel bit, è poi interpretato
in maniera algoritmica da software a diversi livelli, rappresentato, per esempio, come
protocollo informatico, come contenuto multimediale, ovvero come testo, video o
suono, ecc. Ciò che viene rappresentato in ultima istanza e visualizzato sullo schermo
è, quindi, il prodotto di complessi e molteplici processi, avvenuti su vari livelli, di co-
difica-decodifica, ovvero di interpretazione, che dal punto di vista informatico li rias-
sume tutti. Il foglio scritto in Word, per esempio, è il risultato di numerose elabora-
zioni, come quella dei font, del layout, dei paragrafi, ecc.; a sua volta, ogni tipo di font
è il prodotto di un insieme di operazioni che stabiliscono le caratteristiche di un de-
terminato carattere (forma, colore, distanza fra sillabe, grazie, ecc.).
Nell’ambito dei media si suole suddividere la codifica dell’informazione in due ti-
pi:

1. analogico, ovvero quella che utilizza strumenti o dispositivi che trattano gran-
dezze sotto forma continua, rappresentandole con altre grandezze legate alle
prime da relazioni note;

2. digitale, quella che ricorre ad apparecchi o a dispositivi che rappresentano


grandezze sotto forma discreta, attraverso le cifre di un dato sistema di nume-
razione (decimale, binario).

Stando all’interpretazione di Lev Manovich3, fra i dispositivi analogici e quelli digita-


li intercorre una vera è propria frattura paradigmatica, un passaggio di natura cultura-
le, che crea una differenza fra i media classici e i cosiddetti new media: la digitalizza-
zione dell’informazione. E se cambia il codice, cambiano anche le modalità di tra-
smissione e fruizione dell’informazione; cambiano infine anche le modalità di decodi-
fica.
Il complesso processo di trasmissione e di interpretazione, un tempo analogica poi
digitale, dell’informazione può essere analizzato secondo diversi modelli comunica-
3
L. Manovich, The Language of New Media, The MIT Press, 2001, tr. it. Id., Il linguaggio dei
nuovi media, Edizioni Olivares, 2002. Fra le caratteristiche principali dei new media,
Manovich annovera: 1. rappresentazione numerica (codice digitale); 2. modularità (struttura
frattale dei nuovi media); 3. automazione; 4. variabilità (possibilità di declinare in diverse
varianti lo stesso oggetto mediale); transcodifica culturale.
Il linguaggio e le lingue del web 19

zionali (le strutture), come avviene nelle teorie classiche della linguistica. Quando si
dice però che in rete ogni dato è strutturato non ci si riferisce solamente alla trasmis-
sione del messaggio. Il dato strutturato è il frutto, si è detto, di due processi: 1. quello
fisico, ovvero la codifica-decodifica di un segnale; 2. quello semiosico4, ovvero rela-
tivo alla produzione di segni e al loro significato all’interno di un modello comunica-
tivo. Il dato strutturato, quindi, è al contempo segnale fisico e segno. È strutturato
perché conforme e relativo ad una struttura5, e cioè al contesto comunicativo, il quale
decide sempre del significato ultimo dell’informazione.
Inoltre, in quanto segno appartenente al processo semiosico, il dato può subire una
serie illimitata di interpretazioni: qualsiasi espressione (acustica, visiva, tattile, olfat-
tiva, gustativa, logico-matematica, concettuale, algoritmica, ecc.) assume valore di
segno6. Per dirlo ancora una volta con Umberto Eco, la semiosi

non assomiglia alla navigazione dove la scia del battello sparisce non
appena la nave è passata, ma alle esplorazioni via terra, dove la traccia
dei veicoli, dei passi, dei sentieri tracciati, entrano a modificare il pae-
saggio e ne fanno da quel momento parte integrante come variazioni
ecologiche. È chiaro allora che la ricerca semiotica sarà retta da una
sorta di principio di indeterminazione: poiché significare e comunica-
re sono funzioni sociali che determinano l’organizzazione e
l’evoluzione culturale, ‘parlare’, degli ‘atti di parola’, significare la si-
gnificazione, o comunicare circa la comunicazione, non possono non
influenzare l’universo del parlare, del significante, del comunicare.
[…] Poiché la gente comunica, spiegare come e perché comunica og-
gi, significa fatalmente determinare il modo in cui e le ragioni per cui
comunicherà domani7.

Anche in ambito informatico, i segni sono parte del processo semiosico. E ogni se-
gnale fisico è sempre interpretabile come segno. Ovviamente, affinché
l’interpretazione possa aver luogo è necessario riferirsi ad un modello comunicaziona-

4
Il termine semiosico è preso dal modello della semiosi illimitata. Il concetto è stato introdotto
da C. S. Peirce, e poi sviluppato da Umberto Eco, per designare la catena interpretativa infinita
che lega i segni tra di loro e con i rispettivi significati (da Peirce detti interpretanti).
5
Col termine ‘struttura’ non ci si riferisce al data structure di ambito informatico ma, in senso
più ampio, al modello culturale di riferimento.
6
Intendiamo ‘segno’ in senso generale, ovvero non soltanto qualcosa che sta al posto di
qualcos’altro, ma qualcosa – come vuole Peirce – che ci fa conoscere sempre qualcosa in più.
Quindi sono segni tanto le lettere dell’alfabeto quanto i segnali stradali, tanto i sintomi di una
malattia quanto determinate espressioni musicali. Segni, inoltre, sono sia quelli naturali sia
quelli artificiali, ovvero quelli prodotti dall’uomo. Infine, il segno non è il frutto di una
correlazione biunivoca fra un codice ed un significante, bensì è il prodotto di un’inferenza
logica, e pertanto è soggetto a interpretazioni illimitate e sempre rimesse al continuo processo
di semiosi.
7
Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, cit., 0.9 Limiti epistemologici, pp. 38-39.
20 Capitolo 2

le, a quella che si è chiamata struttura, e rispetto alla quale possiamo parlare di dato
strutturato.
Per esempio, è possibile descrivere una fenomenologia del dato strutturato a parti-
re dal modello linguistico-strutturalista della Scuola di Praga di Roman Jakobson. Ta-
le modello prevede che la comunicazione si svolga sempre all’interno di un contesto,
da un mittente verso un destinatario, attraverso un canale (elemento fisico) in virtù di
un codice.

A seconda che nella comunicazione prevalga un elemento rispetto agli altri, la stessa
assume una funzione diversa: si parlerà di funzione emotiva quando la comunicazione
sarà incentrata sul mittente, per esempio, a proposito di una poesia, rispetto alla quale
prevale il ruolo dell’autore; la funzione conativa sarà svolta da una comunicazione in-
centrata sul destinatario, come per esempio quella presente nelle pubblicità o nei di-
scorsi dei politici; la funzione metalinguistica è quella che si rivolge al codice, come
per esempio quella svolta da una grammatica; la funzione poetica è quella incentrata
sul messaggio, per esempio svolta dallo slogan utilizzato da Eisenhower negli anni
Cinquanta, il famoso I like Ike, che punta alla memorizzazione dell’espressione. La
prevalenza della funzione fàtica o di contatto si ha invece quando il messaggio è o-
rientato alla verifica del funzionamento del canale comunicativo; per esempio, quando
al telefono si pronuncia la domanda “pronto?”, tale domanda punta a verificare che si
sia stabilito un contatto con il destinatario della conversazione. La funzione referen-
ziale, infine, è quella in cui il contesto è l’elemento discriminante della comunicazio-
ne; per esempio, Einstein spiega la sua teoria della relatività in forma divulgativa, uti-
lizzando esempi e metafore, quando deve rivolgersi ad un pubblico di non esperti
(contesto K); mentre impiega una forma scientifico-matematica quando si rivolge alla
comunità scientifica (contesto K1).
In riferimento alla comunicazione del dato strutturato, quindi, il contesto è identi-
ficato dal Sistema Operativo (OS); il mittente è la sorgente dell’input, la funzione fà-
tica è svolta dalle cariche elettriche e dai circuiti, ma anche dai linguaggi macchina e
di programmazione che si interfacciano fra hardware e software dell’OS; la funzione
metalinguistica è assolta dai vari linguaggi di programmazioni e dai codici con i quali
Il linguaggio e le lingue del web 21

si strutturano le pagine web, assieme ai servizi di posta elettronica, ai protocolli (es:


http, html, xml,) e alla crittografia, ecc.; il destinatario, infine, è rappresentato dal dato
di output, ovvero dall’informazione che compare sull’interfaccia grafica, la quale, in
ultima istanza, si rivolge all’utente (che però è già esterno al contesto digitale del OS).
Se applichiamo lo stesso modello al web, ovvero orientandolo ai servizi e ai con-
tenuti offerti dalla rete, allora sarà possibile identificare quale funzione comunicativa
assolvono alcuni servizi della rete. Per esempio, se si vuole analizzare il ruolo svolto
dai blog personali, intesi come “diari di viaggio” individuali anche se pubblici, po-
tremo affermare che essi svolgono una funzione incentrata sul mittente, per cui preva-
le la funzione espressiva. Più centrati sul messaggio risultano essere invece i siti arti-
stici. Essi si sviluppano soprattutto sul prodotto artistico, poiché è prevalente
l’interesse de l’art pour l’art. Il fine dei siti artistici, quindi, non dovrebbe essere il
business, il fine commerciale; non si tratta, per esempio, di siti di compravendita di
quadri o statue; i siti artistici svolgono il ruolo, per cosí dire, di vetrina del proprio
messaggio. Parafrasando il motto della scuola estetica francese, potremmo dire che
essi rappresentano il messaggio per il messaggio.
ȱ

ȱ
ȱ
Diverso il caso dei siti commerciali, la cui tensione comunicativa è rivolta soprattutto
al destinatario, rispetto al quale viene esercitata una funzione persuasiva, indirizzata
all’acquisto della merce.
Nella stessa posizione comunicativa si trovano quei siti rivolti al mittente inteso
come pubblico o cittadinanza, la cui funzione è innanzitutto informativa, ma tali siti
possono assumere anche una funzione conativa, ovvero di divieto o di ammonizione.
Come è possibile notare, il modello di Jakobson tende a semplificare molto la
complessità e la natura ibrida della realtà digitale, se si considerano le varie funzioni
al suo interno come distinte e l’un l’altra esclusive8. Inoltre, con l’avvento delle reti
sociali e il loro impiego per fini commerciali, anche siti che in linea di principio do-

8
Come scrive Eco, «Val la pena di ricordare che Jakobson non dice che in un messaggio si
manifesta una sola di queste funzioni, ma che più o meno tutte sono presenti a un tempo, salvo
che una sola di esse prevale sulle altre», in U. Eco, Trattato di semiotica generale, cit., p. 352,
nota 55.
22 Capitolo 2

vrebbero svolgere una funzione meramente emotiva spesso subiscono una vera e pro-
pria torsione comunicativa e addirittura conativa. È il caso dei blog i quali, basando la
loro potenzialità persuasiva sull’autorità e sulla reputazione del blogger, sono sempre
più utilizzati dalle aziende per campagne di marketing. Questo avviene perché nel
segmento web dei blog, la cosiddetta blogosfera, gli utenti seguono personaggi di cui
si fidano e sono rassicurati dalle loro scelte. Il risultato di una campagna di marketing
in più segmenti del web, quindi, garantisce una diffusione più capillare e più profonda
rispetto alle campagne tradizionali, che si basano invece su di una comunicazione ef-
fettuata su larga scala, che si rivolge all’utente medio, cosí come avviene per la televi-
sione.
Quello di Jakobson non è l’unico modello comunicazionale, anche se uno dei più
facilmente intuitivi e generali. In relazione al mondo dell’elettronica e
dell’informatica, va sicuramente menzionato il modello di Shannon-Weaver9, che
formalizza matematicamente anche i processi di codifica-decodifica. Secondo questo
modello matematico, una sorgente genera un messaggio che produce un segnale in-
viato da un trasmettitore attraverso un canale; il canale predispone il segnale ricevuto
e lo rinvia al destinatario come messaggio ricevuto. La trasmissione avviene per livel-
li di interpretazione ed è di carattere lineare, cioè si sviluppa lungo la direzione sor-
gente Æ destinatario, seguendo una logica contenuto Æ espressione.
A differenza del modello di Jakobson, che rappresenta un modello comunicaziona-
le circolare, in cui ogni mittente può divenire a sua volta il destinatario, il modello di
Shannon-Weaver invece semplifica il processo comunicativo in un’unica direzione e
in maniera irreversibile. È per questo che il modello di Shannon nell’interpretazione
di Weaver è stato adottato per spiegare la dinamica dei circuiti elettrici.
Ma l’elemento preponderante che deriva da entrambi i modelli comunicativi è il
riconoscimento di due livelli differenti e distinti: la distinzione fra visione fisica del
dato, ovvero quella elettronica, e visione logica, ovvero la sua rappresentazione attra-
verso un’interfaccia. In accordo con le affermazioni di Roncaglia10, per interfaccia in
senso generale intendiamo ogni strumento di interazione adeguata al fruitore con
funzione di mediazione fra lui e il mondo.
Nel nostro caso, la mediazione avviene fra utente e computer, è la cosiddetta HCI-
Human-Computer Interface. Il concetto di interfaccia è per sua natura duplice: esso è
legato sia al suo aspetto hardware, come supporto fisico, sia al suo aspetto software,
come interfaccia grafica11.

9
Il riferimento classico è a Claude Elwood Shannon, A mathematical theory of
communication, reprinted with corrections from The Bell System Technical Journal, vol. 27,
July, October, 1948, pp. 379-423, 623-656; tr. it. in Teoria matematica delle comunicazioni,
1954, Etas Libri, 1971.
10
Per quanto riguarda l’importanza del supporto, la sua fruizione, e la sua relazione con il libro
elettronico, cfr. G. Roncaglia, La quarta rivoluzione, cit., cap. I «Il libro e il cucchiaio», § 1-3,
pp. 3-14.
11
«Il termine ‘software’ [SW] è costituito dall’unione di due termini inglesi ‘soft’ [morbido] e
‘ware’ [manufatto, merce, articolo] e la sua origine risale alla seconda guerra mondiale quando
i criptoanalisti inglesi, sotto la guida di Alan Turing, erano impegnati a decrittare i messaggi
che i nemici tedeschi crittografavano con la macchina Enigma. Essi, dopo la scoperta che le
Il linguaggio e le lingue del web 23

Sia l’aspetto hardware che quello software hanno rilievo ai fini della divulgazione e
della diffusione delle informazioni. Strumenti di comunicazione che, infatti, permet-
tono di essere utilizzati in mobilità, come accade oggigiorno con i device mobile di ul-
tima generazione (tablet, smartphone), hanno determinato il declino dell’utilizzo di
dispositivi ingombranti, che limitano il movimento e la connettività. Allo stesso mo-
do, programmi e sistemi operativi anche molto efficienti dal punto di vista delle pre-
stazioni sono stati sostituiti da altri molto più intuitivi e semplici. Il processo creativo
che investe la tecnologia va cioè dalla complessità verso la semplicità, per dirla con
De Biase12. Come spiega Lev Manovich,

In termini semiotici, l’interfaccia del computer è una sorta di codifica


che porta messaggi culturali in una varietà di media. Quando usate
internet, tutto passa attraverso l’interfaccia del browser e quella del si-
stema operativo. Nella comunicazione culturale, un codice non è quasi
mai solo un meccanismo di trasporto neutrale, di solito influenza an-
che i messaggi che viaggiano su di esso13.

Nel 1984, la Apple introduceva l’interfaccia grafica usando la metafora dei file e dei
folder dislocati su di una scrivania, il desktop. Oggi quella metafora è utilizzata dalla
maggior parte dei computer per stabilire un canale comunicativo grafico facilmente
intuitivo. In questo senso, come osservato da Manovich, ogni interfaccia è
un’interfaccia culturale, poiché utilizza metafore, crea e gestisce oggetti culturali. E,
quindi, nella rete non solo il dato subisce sempre processi di codifica-decodifica in
quanto segnale, ma è sempre rappresentato in un contesto culturale, poiché è parte
del processo di semiosi.
Prima di intraprendere l’analisi dei singoli fenomeni massmediatici della rete e
spiegare il suo utilizzo per un corretto impiego in senso scientifico è essenziale un
chiarimento preliminare: Internet non è il web.
Molto spesso, a causa di un linguaggio impreciso, i due termini vengono sovrap-
posti e utilizzati in maniera indistinta, pur significando cose differenti. Internet è la
rete delle reti, ovvero l’insieme dei sistemi di reti telematiche. Internet (Interconnec-

istruzioni per la configurazione della macchina, che cambiavano ogni giorno, erano scritte su
carta solubile nell’acqua per consentire una piú facile distruzione prima che cadessero nelle
mani del nemico, chiamarono tali istruzioni software [componente morbida] in
contrapposizione ad hardware [componente dura, HW], la ferraglia di cui Enigma era
composta», in Mauro Cadei, «Fondamenti di Informatica», in Informatica Umanistica,
McGraw-Hill, 2010, cap. 1, § 1.1.8 L’hardware e il software, p. 14.
12
L. De Biase, Il processo creativo va dalla complessità alla semplicità,
http://blog.debiase.com/2012/01/ il-processo-creativo-va-dalla.html, consultato il 14 gennaio
2012. Di opinione diametralmente opposta Henry Jenkins, fondatore e direttore del
Comparative Media Studies Program del MIT, celebre autore di Convergence Culture: Where
Old and New Media Collide (2006), (tr. it., Id., Cultura Convergente, (2006) pref. di W.
Ming, Apogeo, 2007) il quale sostiene la tesi della tendenza alla complessità e alla
personalizzazione dello sviluppo tecnologico: «È sempre più chiaro che il pubblico dei media
contemporanei cerca la complessità, non la semplicità».
13
L. Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, cit., p. 90.
24 Capitolo 2

ted Networks) è un insieme non omogeneo, sia dal punto di vista del canale ovvero
dei sistemi di comunicazione fisica (rete telefonica, reti wireless, a infrarossi, a fibre
ottiche, satellitari, dorsali oceaniche, ecc.), sia dal punto di vista della sua distribuzio-
ne globale (maggiore nei cosiddetti paesi civilizzati e minore nelle regioni meno ur-
banizzate). In senso sociologico, Internet è un medium14, ovvero il principale mezzo
di comunicazione globale di massa, e quindi non è mai uno strumento neutrale. Pro-
prio per questo, Internet è soggetto alle dinamiche che intercorrono fra il potere poli-
tico, quello economico e quello socio-culturale dei differenti paesi, come ha efficace-
mente dimostrato Manuel Castells15.
Se allora internet rappresenta il sistema complesso delle reti telematiche, dall’altro
lato il Web, ovvero il WWW - World Wide Web, è invece lo spazio elettronico, ovvero
l’insieme dei contenuti e dei servizi offerti dalla rete. Pertanto, del web fanno parte
tutte le pagine ipertestuali e tutti i contenuti multimediali fruibili attraverso un
browser (navigatore) e tutti i servizi di comunicazioni che è possibile gestire online
attraverso la rete, come per esempio la posta elettronica.

2.2 Quale linguaggio: da Calvino ad Android


Una volta definito che cos’è e qual è la dinamica relativa al dato strutturato, e stabili-
ta la non coincidenza di internet con il web, è necessario descrivere qual è il linguag-
gio utilizzato in rete. Anche in questo caso è possibile verificare la natura ibrida della
comunicazione in ambiente digitale.
Il linguaggio utilizzato dai siti web e dai media informatici è il frutto di continua e
mutevole contaminazione di più ambiti linguistici. Esso risente della promiscuità lin-
guistica propria della rete, ovvero della convivenza e della compenetrazione di diversi
linguaggi eterogenei: quello dell’ambiente in cui si è formato (lingua inglese, codice
informatico); quello del contesto comunicativo in cui si è sviluppato (immaginario
comune e archetipo); quello relativo alle condizioni materiali e al destinatario (uten-
te).
In relazione al primo elemento, sin dalla sua origine, per ragioni storiche, la lingua
utilizzata dagli informatici per i codici di programmazione è stata l’inglese. Essa si è
affermata come lingua di riferimento universale: ne sono un esempio non solo i testi e
i manuali di informatica, ma anche i vocaboli entrati nell’uso comune in tutte le lin-
gue straniere; per esempio: e-mail, internet, chat.

14
È utile ricordare che la giusta pronuncia del termine medium/media è quella inglese
[‘mi:djԥem/‘mi:djԥ]. Infatti, anche se il termine ha origine latina, in nessun caso nella lingua di
Cicerone e di Virgilio esso ha il significato che ha assunto nelle moderne scienze della
comunicazione, ovvero a partire dalla connotazione sociologica attribuitagli da Marshall
McLuhan nel suo capolavoro del ’64, Understanding Media. Per Cicerone o Virgilio, infatti,
non avrebbe alcun senso dire che la littera è un medium, perché il termine non si è ancora
caricato di quel portato semantico che esso avrà nella seconda metà del Novecento.
15
M. Castells, Comunicazione e potere, tr. it. di B. Amato e P. Conversano, Università
Bocconi, 2009.
Il linguaggio e le lingue del web 25

Allo stesso modo, è altrettanto vero che l’estensione dell’utilizzo della rete, da una
comunità scientifica ristretta all’intera società e alle istituzioni, ne ha cambiato radi-
calmente lo sviluppo: il contesto comunicativo, lo sviluppo della rete come servizio
web, hanno generato un fenomeno di ibridazione culturale fra la nuova tecnologia e
l’immaginario collettivo. Questo fenomeno è legato al mondo umanistico che ha pre-
ceduto e codificato culturalmente il linguaggio del web, il quale spesso si è appropria-
to di archetipi tratti dalla letteratura e dall’arte, trasformandoli in icone della nuova
cultura digitale.
La tradizione umanistica ha costituito il lessico ufficiale che si è andato via via af-
fermando nell’uso anche nei media informatici, i quali hanno la peculiarità di attrarre
nel proprio campo di forza mediatico tutti i termini che possiedono una forte capacità
evocativa. Di questa natura sono, per esempio, tutti quei vocaboli legati alla letteratu-
ra fantastica e fantascientifica. Per esempio, il nome del famoso motore di ricerca Ya-
hoo! è preso da uno dei racconti delle Città invisibili di Italo Calvino. E ancora, dalla
mitologia16 provengono termini come trojan horse (cavallo di Troia), troll, avatar.
Dal linguaggio della guerra: Apache, puntatore, firewall, lurking (da to lurk “appo-
starsi”) mail bombing, ecc. O ancora, al linguaggio della medicina sono legati voca-
boli come quarantena, virus, antivirus, ecc.
Un altro aspetto interessante, è il linguaggio prestato alla rete da altri media:
editor, channel, header, webzine (da web-magazine), script (che nella lingua teatrale
shakespeariana significava “recita a canovaccio”), e molti altri.
In relazione ai fenomeni di mercato, le maggiori aziende del settore informatico e
delle telecomunicazioni producono software con l’intenzione di avvicinare l’utente
medio attraverso la condivisione del medesimo orizzonte esperienziale e immaginati-
vo, ricorrendo ad un linguaggio condiviso e di uso quotidiano. L’espediente linguisti-
co è utilizzare nomi di cose comuni e associarle ai prodotti. Cosí, oggetti della vita di
ogni giorno, come Apple, Windows, bug, mouse, root, spider, forum, Office17, scivo-
lano con semplicità nella nostra vita, perché già presenti nel parlato. Il passaggio è dal
linguaggio comune all’uso quotidiano nell’ambito informatico.
Per esempio, uno dei sistemi operativi open source più diffuso su smartphone e
tablet, il celebre Android, per le sue release utilizza nomi di dolci e dessert, che si
succedono in ordine alfabetico: alla versione 1.5 Cupcake (una sorta di muffin) sono
seguiti infatti l’1.6 Donut, le 2.0 e 2.1 Eclair (yogurt servito nei bar), 2.2 Froyo (yo-

16
L’immaginario legato alla mitologia è spesso sfruttato, e riadattato a logiche commerciali,
dalle aziende che producono videogames. Un interessante studio sul tema è stato condotto di
recente da Davide Mancini, vincitore del premio Wired al Far Game d Bologna per la miglior
tesi sui videogiochi, intitolata Over the Game. Il videogioco come mitologia contemporanea.
Cfr. D. Mancini, L’immaginario dei videogiochi, in «Wired» luglio 2011, p. 126.
17
In riferimento all’ibridazione del linguaggio utilizzato in rete, cfr. E. Zilio, Protagonisti
dell’era digitale, Mondadori, 2009, § 1.2, pp. 8-14. Cfr. anche il recente articolo di Ilaria
Bonomi, Tendenze linguistiche dell’Italiano in rete, in «Informatica Umanistica», 3/2010 Il
linguaggio oltre il linguaggio, reperibile all’indirizzo http://www.ledonline.it/informatica-
umanistica/Allegati/IU-03-10-Bonomi.pdf.
26 Capitolo 2

gurt-gelato), la 2.3 Gingerbread (pan di zenzero), la 3.0 Honeycomb (cereali al miele)


e la 4.0 Ice Cream Sandwich (gelato biscotto)18.
Questo tipo di approccio empatico nei confronti dell’utente è realizzato anche at-
traverso il ricorso a termini tipici dello slang o dei linguaggi gergali. È il caso della
comunicazione utilizzata nelle sezioni (rooms/camere) di alcuni forum o chat. Twitter,
per esempio, prende nome da tweet, che significa “cinguettare”, e cioè, in senso fami-
liare, anche “essere in uno stato d’ansia”, nello slang anglosassone “parlare, ciarlare”.
Oppure flame, che sta ad indicare un litigio o una discussione accesa, una “fiammata”
fra utenti di una community. O ancora, il termine geek, derivante dallo slang inglese,
che indica una persona affascinata dalla tecnologia informatica e capace di utilizzarla,
aperta al mondo e all’innovazione; diversamente dal nerd, sedotto dall’informatica al
punto da vivere in una pseudo realtà, isolato dal mondo e dalla società – il prototipo
del ‘secchione’ informatico.
In una comunicazione veloce come quella degli sms dei telefonini e quella di rete,
è frequente anche il ricorso ad acronimi derivati dall’inglese, per esprimere
un’informazione in forma sintetica; è il caso del linguaggio delle chat: per esempio,
l’acronimo Rotfl (scritto senza punti di abbreviazione) sta per “Rolling on the floor
laughing” ovvero “rotolo a terra dalle risate”.
Ovviamente, anche nella sfera del linguaggio digitale, non mancano i neologismi,
come per esempio, blog contrazione di web-log, ovvero “diario in rete”; oppure e-
book, da electronic-book, libro elettronico, ecc. E non c’è da meravigliarsi che molti
termini vengano man mano ammessi nel prestigioso Oxford English Dictionary19.
Un altro aspetto del medesimo fenomeno è la colonizzazione linguistica: si tratta
di una pratica impiegata per il branding, adottata da numerose aziende di software e
di hardware, che si basa su di un intenso bombardamento mediatico. Alcune multina-
zionali, infatti, inventano nuovi nomi e slogan che si richiamino direttamente al loro
prodotto, oppure fanno un uso esclusivo di termini ricorrenti nel web, praticati dap-
prima presso la comunità degli internauti, utilizzandoli come veri e propri marchi di
fabbrica per il riconoscimento del proprio brand. Un esempio fra tutti è quello del
termine PageRank, ovvero quel particolare algoritmo che Google utilizza per indiciz-
zare i contenuti web nella rete e stabilire la rilevanza di un sito. Il termine prende il
nome proprio da Larry Page, cofondatore di Google assieme a Sergey Brin, e gioca
sull’ambiguità di significato del termine20. Ma anche, il termine widget, ottenuto
dall’unione di windows e applet, che la Microsoft ha dato ad alcuni suoi gadget digi-
tali. Oppure, l’acerino (Acer One) come è stato chiamato dalla comunità virtuale il
primo netbook commercializzato dall’Acer.

18
Cfr. E. Zanzi, I dolci nomi di Android, in «Wired», inserto Help Desk, luglio 2011.
Cfr. http://www.androidworld.it/2011/01/12/la-prossima-versione-di-android-sara-ice-cream-
sandwich-parola-di-andy-rubin-33780/, consultato il 09.08.2011.
19
Cfr. R. Luna, Così Internet rivoluziona la lingua. E Oxford approva, «Weweired», 21
aprile 2011, consultato il 27 aprile 2011, http://mag.wired.it/blog/wewired/ 2011/04/21/cosi-
internet-rivoluziona-la-lingua-e-oxford-approva.html.
20
PageRank infatti sta per classifica o ordine delle pagine.
Il linguaggio e le lingue del web 27

A tutto ciò va ad aggiungersi il linguaggio per immagini, molto spesso utilizzato negli
sms e nelle chat, come quello degli emoticons o dell’interpunzione in funzione di ide-
ogramma; per esempio ;-) per fare l’occhiolino.
Può succedere che il linguaggio degli internauti si riveli una vera e propria trappo-
la anche per i più esperti comunicatori, come è accaduto a Steve Jobs. Il fondatore
della multinazionale di Cupertino ha chiamato il suo tablet più celebre iPad, dimenti-
cando che “pad” nello slang anglosassone sta per “assorbente femminile”. Cosí, per-
fino il nome è stato «messo in ridicolo nella blogosfera, con commenti salaci che si ri-
ferivano a prodotti per l’igiene intima femminile»21, come testimoniarono i “trending
topics” di Twitter riferiti al caso, con hashtag #iTampon.
Insomma, l’analisi dei linguaggi utilizzati in rete sembra confermare la nota tesi di
Ludwig Wittgenstein, secondo cui «il significato di una parola è il suo uso nel lin-
guaggio»22. Anche qui, l’uso variegato e multiforme di diversi linguaggi crea una lin-
gua a sé che però è in continua e veloce trasformazione, i cui termini tecnici diventa-
no presto obsoleti come la tecnologia da cui hanno avuto origine. Si tratta di termini
che, come moneta soggetta a speculazione, sono molto diffusi e commercializzati, ma
hanno una grande volatilità. Tuttavia, il linguaggio della rete conserva tutte le caratte-
ristiche e la complessità di una lingua viva e instabile – si potrebbe dire addirittura
“inquieta” – che subisce condizionamenti glocali (nella definizione data dal sociologo
Zygmunt Bauman23) e rispecchia le pratiche sociali delle comunità, compresi i feno-
meni linguistici di nicchia e di comunità.
A tal proposito, è possibile affermare che, allo sviluppo di particolari gerghi legati
a piccole comunità, la rete offre un terreno particolarmente fertile. È il caso, per e-
sempio, di alcune comunità virtuali di cyberpunk, o di adepti di sette religiose. I com-
ponenti di queste piccole comunità, anche se sparsi sull’intero pianeta, riescono – per
cosí dire – a coagularsi intorno ad una rete sociale o ad un sito e a polarizzare
l’informazione rendendola maggiormente visibile. È anche il caso di comunità più va-
ste ma, anche al di là delle proprie intenzioni, chiuse, come quella dei programmatori
e degli utenti di Unix o di Linux, abituati a utilizzare linee di comando, sconosciute
alla maggior parte degli utenti medi.

2.3 Il sandwich di Nielsen: usabilità e accessibilità


Già nel 1995, il ricercatore di origine danese Jakob Nielsen indicava come criteri fon-
damentali per la realizzazione di un sito web l’usabilità e l’accessibilità24.

21
W. Isaacson, Steve Jobs, cit., p. 531.
22
L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, parte I, § 43.
23
Z. Bauman, Globalizzazione e glocalizzazione, Armando, 2005.
24
Il concetto di web usability è di Jacob Nielsen. È stato codificato dalla normativa ISO/IEC
2001a, che definisce l'usabilità come «la capacità di un sistema di essere compreso, appreso,
utilizzato e attraente per gli utenti quando usato sotto condizioni specificate».
28 Capitolo 2

Con il termine usabilità intendiamo la facilità di utilizzo, di navigazione e, con lo svi-


luppo del web 2.0, di controllo e personalizzazione di un sito attraverso le sue pagine.
Il concetto è legato innanzitutto alla leggibilità dei siti web e alla centralità
dell’elemento estetico: non solo la navigazione deve risultare fluida, ma i contenuti
devono essere facilmente reperibili e gestibili; inoltre, l’interazione con il sito deve ri-
sultare semplice secondo la logica dell'utente, ovvero il sito deve essere dotato di un
approccio friendly, amichevole e intuitivo25.
In fase di progettazione di un sito, quindi, si deve tener conto non solo delle com-
petenze tecnico-informatiche per la sua realizzazione, ma è necessario anche che sia-
no messe in campo contemporaneamente più competenze che rendano il sito interes-
sante dal punto di vista dell’interfaccia grafica (ma anche del supporto, come nel caso
dei device mobile) e che tengano conto dell’approccio alla consultazione da parte di
categorie di utenti diversi.
Nel primo caso, si tratta cioè di applicare quelle conoscenze umanistiche, proprie
della semiotica e della psicologia, di carattere percettivo, cognitivo e gestaltico; attra-
verso moderni modelli di analisi atti a studiare il fenomeno del cosiddetto eyetra-
cking26; nel secondo caso, uno studio sulla facilità di utilizzo dell’interfaccia utilizza-
ta, sia grafica che hardware, dovrà essere supportato da un’analisi di carattere antro-
pologico e massmediologico. Un approccio complesso e di equipe alla web usability
che, per esempio, Google ha dimostrato aver fatto proprio, ricorrendo a studi di setto-
re sempre più interdisciplinari.
Avere delle buone idee e scrivere correttamente in italiano, o in un’altra lingua, è
condizione necessaria ma non sufficiente per la realizzazione di un sito web. Affinché
esso sia visitato occorre che soddisfi alcuni criteri di leggibilità, che interessi l’utente
e che sia gradevole esteticamente. Fra questi, va menzionato sicuramente la regola
della piramide rovesciata dello stesso Nielsen: una pagina web deve rispondere im-
mediatamente alle cinque domande classiche del giornalismo newyorkese, le cosid-
dette 5 W ovvero What, Where, When, Who, Why27.
25
J. Nielsen e H. Loranger, Web Usabily 2.0. L’usabilità che conta, 2 voll., Apogeo, 2010, vol.
I, p. XVII-XVIII: «L’usabilità è un indicatore di qualità che ci dice quanto una determinata
cosa è semplice da usare. Piú precisamente, ci dice quanto è necessario per imparare a usare
quella cosa, con quanta efficienza la si usa poi, quanto si riesce a tenerne a mente il
funzionamento, quanto alta è la probabilità di fare errori quando la si usa, e quanto è piacevole
usarla. Se l’utente non riesce o non vuole usare una data funzionalità di un oggetto o di un
programma, quale funzionalità potrebbe tranquillamente non esserci».
26
J. Nielsen e K. Pernice, Eyetracking Web Usability. Siti che catturano lo sguardo, Pearson,
2011.
27
Si potrebbe ricordare che, già secondo la tradizione retorico-filosofica tardo antica e
medievale, ogni scrittore, oratore o giudice che volesse scrivere correttamente avrebbe dovuto
porsi le seguenti domande: Qui (chi?), quid (cosa?), ubi (dove?), quibus auxiliis (con l’aiuto di
chi/cosa), quare/cur (perché), quomodo (in che modo?), quando (quando?). Rispondendo in
quest’ordine a tali domande si sarebbe composto uno scritto chiaro ed esauriente. Ma oggi alle
5 W se ne dovrebbe aggiungere una sesta: quella del While, poiché è un imperativo del
giornalismo contemporaneo dare le notizie nel mentre avvengono gli avvenimenti, live, in
presa diretta. Una regola resa necessaria dall’impego diffuso di device mobile di ultima
generazione (iPhone, BlackBerry, ecc.) che sfruttano al meglio le opportunità offerte dalle
piattoforme digitali di microblogging (Twitter) e dai social network (Facebook & Co).
Il linguaggio e le lingue del web 29

Se il sito offre subito risposte che soddisfano questi quesiti, allora ci sono buone pro-
babilità che l’utente medio decida di soffermarsi sul sito e di visitarlo. Altrimenti, non
avendo a disposizione tempo per poter vagliare tutti i siti indicati per l’argomento ri-
cercato e decidere la loro attendibilità, l’internauta si soffermerà in prima istanza sul
sito in apparenza più interessante. Se il sito non risulta chiaro, o non è realizzato bene
da un punto vista grafico, a poco varrà l’alta qualità dei contenuti.
Per la sua rappresentazione grafica, quella delle 5 W è detta sia regola della pira-
mide rovesciata sia regola del “sandwich”, poiché il sito deve comportarsi proprio
come un succulento tramezzino, che offre, per cosí dire, prima i bocconi più sostan-
ziosi, le informazioni principali; poi, una volta che l’utente si è interessato
all’argomento, gli vengono offerti approfondimenti e links.

Esistono numerosi studi circa le tecniche che vanno sotto il nome di stickiness (collo-
sità) ovvero di quelle strategie grafiche e gestaltiche (colori e forme) che mirano ad
attrarre un utente su di un web-site, cercando di farlo permanere quanto più possibile.
Per esempio, le tre regole di Krug: 1. Non farmi pensare (don’t make me think); 2.
Ogni click deve essere una scelta non ambigua che non richiede impegno: 3 Sbarazza-
ti di metà delle parole di ogni pagina e poi sbarazzati di quello che resta (ovvero uti-
lizza poco testo e molta grafica).
Tutto ciò anche in considerazione del fatto che la lettura sul computer è differente
da quella su libro cartaceo. Innanzitutto, non è lineare, non avviene da destra a sini-
stra; il nostro sguardo si concentra su punti o parti/sezioni del web-site. Pertanto, noi,
in senso proprio, non leggiamo ma facciamo una rapida scansione della pagina web.
La lettura dei testi è fisiologicamente più faticosa su pc, poiché lo schermo non
usufruisce di luce riflessa, come la pagina di un libro o di un quotidiano, ma è retroil-
luminato28. La lettura risulta pertanto più lenta del venti-trenta per cento. In più, la

28
Anche se oggi esistono dispositivi di lettura sempre piú efficienti e piacevoli alla lettura. Per
esempio, alcuni e-reader usufruiscono della tecnologia e-paper, ovvero di una carta elettronica
che polarizza migliaia di sfere oleose in bianco e nero e rende possibile la lettura naturale con
luce riflessa. Cfr. G. Roncaglia, La quarta rivoluzione, cit., cap. III «Dalla carta allo schermo
30 Capitolo 2

maggior parte degli utenti tende a leggere a senso.ȱQuesto fenomeno è significativo in


occasione della lettura su schermo, poiché la vista risulta maggiormente affaticata. I-
noltre, la scrittura su schermo determina errori di editing dei quali è difficile avveder-
si29.
Qstueo acdcae pcheré la mtene
nno lgege ongi lteetra senigol-
narmte am la proala cmoe un
ientro quidini il clrveelo è cnou-
qmue in gdrao di asbllsemare le
lterete e iernttaprere la ploara
crottrea.

Affianco all’usabilità, alla quale si è brevemente accennato30, un altro criterio per la


realizzazione di un sito web è l’accessibilità. Con il termine accessibilità ci si riferisce
a due concetti, uno più generale e l’altro più specifico, interconnessi fra loro:

1. accessibilità in senso generale: la compatibilità di un sito con qualsiasi browser


su qualsiasi dispositivo per qualsiasi utente. L’accezione del termine è legata
quindi all’interfaccia e al dispositivo tecnico utilizzato. Per esempio, il sito
www.unisalento.it deve essere accessibile da qualsiasi computer in rete, sia esso
un Pc o un Mac o un assemblato, indipendentemente dal Sistema Operativo, sia
esso una qualsiasi release di Windows o di Apple o di Linux, e a prescindere dal
navigatore utilizzato, per citare i maggiori: Explorer, Safari, Opera, Chrome o
Mozilla Firefox.

2. accessibilità in senso specifico: le condizioni di accesso di un sito in relazione


ad un utente con deficit. Per esempio, è un problema di accessibilità quello di
una rappresentazione grafica idonea alla lettura da parte di utenti daltonici, op-
pure quello legato a tastiere con codice Braille31.

(e ritorno?), pp. 52-123, in particolare il § 7, L’e-paper al potere: la seconda generazione di


dispositivi dedicati.
29
Le parole anagrammate dovrebbero potersi leggere come segue: Questo accade perché la
mente non legge ogni lettera singolarmente ma la parola come un intero quindi il cervello è
comunque in grado di assemblare le lettere e interpretare la parola corretta.
30
Cfr. J. Nielsen, Web usability, Apogeo, 2000; J. Nielsen, H.Loranger, Web Usability 2.0.
L’usabilità che conta, cit., 2010.
31
E infatti, relativamente alla legislazione italiana, la cosiddetta Legge Stanca (n.4 del 9 gen-
naio 2004) definisce i soggetti che devono garantire «l’accessibilità dei propri siti e sistemi in-
formatici, per garantirne il completo accesso anche a tutti coloro che necessitano di tecnologie
assistive». Inoltre, il d.m. dell’8 luglio 2005 definisce i 22 requisiti che i siti devono rispettare
per ritenersi accessibili.
Cfr. Legge Stanca, http://www.pubbliaccesso.gov.it/normative/legge_20040109_n4.htm e rela-
tivo decreto attuativo http://www.pubbliaccesso.it/normative/regolamento.htm.
Il linguaggio e le lingue del web 31

Le norme che disciplinano entrambi gli aspetti legati all’accessibilità sono stabilite dal
consorzio W3C – World Wide Web Consortium32, il presidio mondiale per le regole
di standardizzazione del web, formato da più di 300 membri, fra cui le maggiori a-
ziende informatiche (Microsoft, IBM, Sun), telefoniche, università e associazioni per
la ricerca, come Mozilla Foundation. Fondato nell'ottobre del 1994 dal padre del web,
l’ingegnere informatico Tim Berners-Lee del CERN (European Organization for Nu-
clear Research) di Ginevra, il W3C è frutto della collaborazione del centro di ricerca
ginevrino con il MIT (Massachusetts Institute of Technology). Il W3C ha l’arduo
compito di coordinare e di codificare in maniera univoca e universale la creazione di
protocolli, di linguaggi e di architetture di programmazione dei siti. Il suo fine è, co-
me recita il motto, lead the Web to its full potential, ovvero portare il web al suo mas-
simo potenziale: la totale web interoperability.
Il W3C pubblica periodicamente delle linee guida, le cosiddette Web Content Ac-
cessibility Guidelines (WCAG)33, le quali definiscono come rendere più accessibile il
contenuto Web anche alle persone con diversi deficit34. Secondo il W3C,

Per accessibilità web si indica la capacità di un sito web di essere accedu-


to efficacemente (alla sua interfaccia e al suo contenuto) da utenti diversi
in differenti contesti. Rendere un sito web accessibile significa permettere
l'accesso all'informazione contenuta nel sito anche a persone con disabili-
tà fisiche di diverso tipo e a chi dispone di strumenti hardware e software
limitati35.

Per verificare, quindi, se un sito risponde agli standard stabiliti dal W3C è sufficiente
utilizzare un cosiddetto validatore. Inserendo l’indirizzo http del nostro sito nella ap-
posita casella di testo del sito http://validator.w3.org/, verrà rilasciato un report degli
eventuali errori relativi al codice e alla struttura del sito.
Il W3C, quindi, definisce le regole per l’accesso al web e, secondo l’idea origina-
ria di Berners-Lee, una maggiore interoperatività fra sistemi informatici disomogenei
e decentralizzati.
Tuttavia, per quanto il principio di accessibilità sia legato a quello della democra-
tizzazione e della divulgazione del sapere, esso non equivale a dire che tutti i siti ac-
cessibili sono anche servizi gratuiti, come nel caso di alcune banche dati a pagamento,
che sono validate dal W3C e rispondono a criteri di interoperatività, ma tradiscono il
principio di socializzazione delle risorse informatiche al quale l’opera del consorzio
ideato da Bernes-Lee si ispira.
32
http://www.w3.org/, consultato il 16.08.2011.
33
Le ultime linee guida, le WCAG 2.0, sono reperibili all’indirizzo
http://www.w3.org/TR/WCAG20/, in italiano http://www.w3.org/Translations/WCAG20-it/
Overview.html
34
L'accessibilità coinvolge quindi una vasta gamma di disabilità o deficit: visivi, uditivi, fisici,
del parlato, cognitivi, linguistici, dell'apprendimento e altre disabilità neurologiche, anche
legate all’invecchiamento.
35
http://www.w3c.it/index.php?id=7&lang=it, consultato il 16.08.2011.
32 Capitolo 2

Bibliografia essenziale
Bauman Z., Globalizzazione e glocalizzazione, Armando, 2005.
Bonomi I., Tendenze linguistiche dell’Italiano in rete, in «Informatica Umanistica»,
3/2010 Il linguaggio oltre il linguaggio, reperibile all’indirizzo
http://www.ledonline.it/informatica-umanistica/Allegati/IU-03-10-Bonomi.pdf.
Castells M., Comunicazione e potere, tr. it. di B. Amato e P. Conversano, Università
Bocconi, 2009.
Eco U., Trattato di semiotica generale, prima edizione digitale, Bompiani, 2011.
Lazzari M., Bianchi A., Cadei M., Chesi C., Maffei S., Informatica Umanistica,
McGraw-Hill, 2010.
Jenkins H. Convergence Culture: Where Old and New Media Collide (2006), tr. it.,
Id., Cultura Convergente, pref. di W. Ming, Apogeo, 2007.
Luna R., Così Internet rivoluziona la lingua. E Oxford approva, «Weweired», 21 a-
prile 2011, consultato il 27 aprile 2011, http://mag.wired.it/blog/wewired/
2011/04/21/cosi-internet-rivoluziona-la-lingua-e-oxford-approva.html.
Mancini D., L’immaginario dei videogiochi, in «Wired» luglio 2011, p. 126.
Manovich L., The Language of New Media, The MIT Press, 2001, tr. it. Id., Il lin-
guaggio dei nuovi media, Edizioni Olivares, 2002.
McLuhan M., The Gutenberg Galaxy. The Making of Tipographic man (1962), La
Galassia Gutenberg. Nascita dell’uomo tipografico, a c. di G. Gamaleri, Armando
1976, 2001VII.
McLuhan M., Understanding Media (1964), tr. it. Gli strumenti del comunicare, Net,
2002.
Nielsen J. e Pernice K., Eyetracking Web Usability. Siti che catturano lo sguardo, Pe-
arson, 2011.
Nielsen J., Loranger H., Web Usabily 2.0. L’usabilità che conta, 2 voll., Apogeo,
2010.
Nielsen J., Web usability, Apogeo, 2000
Orlandi T., Informatica Umanistica, La Nuova Italia Scientifica, 1990.
Roncaglia G., La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, Laterza, 2010.
Shannon C. E., A mathematical theory of communication, reprinted with corrections
from The Bell System Technical Journal, vol. 27, July, October, 1948, pp. 379-
423, 623-656; tr. it. in Teoria matematica delle comunicazioni, Etas Libri, 1971.
Wittgenstein L., Ricerche filosofiche, Einaudi, 2009.
Zanzi E., I dolci nomi di Android, in «Wired», inserto Help Desk, luglio 2011.
Zilio E., Protagonisti dell’era digitale, Mondadori 2009.

Potrebbero piacerti anche