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Il linguaggio e le lingue del web

2.1 Dal modello di Jakobson alle interfacce culturali di


Manovich
L’informazione in rete è sempre informazione interpretata. In aggiunta potremmo di-
re che è sempre “dato strutturato”, ovvero è sempre il prodotto di un processo di in-
terpretazione su due livelli: quello strettamente informatico, come segnale, relativo ai
processi fisici di codifica-decodifica; quello semiosico, come segno relativo al conte-
sto culturale-comunicativo.
Per quanto riguarda il primo, è necessario ricordare che tutta l’informazione in
quanto dato interpretabile è soggetta a processi di codifica e di decodifica. Ma che co-
sa sono i processi di codifica e decodifica? Proviamo a spiegarlo con un esempio:
nell’antico Egitto si utilizzava un linguaggio composto da circa settecento segni, i ge-
roglifici, ovvero segni pittorici (pittogrammi) combinati a elementi ideografici, silla-
bici e alfabetici. Questa lingua sacra era utilizzata dalla casta sacerdotale egiziana più
di quattromila anni fa. Ogni ideogramma era associato convenzionalmente a un signi-
ficato, cosí come lo erano anche gli insiemi di ideogrammi. Si trattava quindi di segni
codificati secondo una tradizione culturale, tramandata da una casta sacerdotale ad
un’altra. Nel tempo si è smarrito il codice di quella lingua. Si è smarrito cioè quel si-
stema di segni e di regole per la loro combinazione assunto convenzionalmente per
1
comunicare, all’interno del quale i segni assumevano dei significati . Ma come è stato
possibile allora decodificare la lingua dei geroglifici?
Nel 1822 Jean-François Champollion ritrovò una lastra in basalto, poi chiamata
Stele di Rosetta, dal nome della città portuale sul delta del Nilo nella quale fu rinvenu-
ta. La lastra riportava un’iscrizione in tre differenti grafie e in due lingue diverse: il
geroglifico, il demotico (una sorta di geroglifico semplificato usato per documenti or-

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«Un codice è un sistema di signifcazione che accoppia entità presenti e entità assenti. Ogni
qual volta, sulla base di regole soggiacenti, qualcosa materialmente presente alla percezione
del destinatario sta per qualcosa d’altro, si dà significazione. Sia chiaro però che l’atto
percettivo del destinatario e il suo comportamento interpretativo non sono condizioni
necessarie della relazione di significazione: è sufficiente che il codice stabilisca una
corripondenza tra ciò che sta per e il suo correlato, corrispondenza valida per ogni ‘destinario
possibile, anche se di fatto nessun destinatario esiste o potrà mai esistere», in U. Eco, Trattato
di semiotica generale, prima edizione digitale, Bompiani, 2011, 3.0 Comunicazione e/o
siginficante, p. 20.
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dinari) e il copto (egiziano translitterato con i segni fonetici della lingua greca). A
partire dalla parte scritta in copto, conoscendo tale lingua, Champollion poté istaurare
una corrispondenza fra la sezione della stele scritta nella lingua nota con le altre due
parti scritte nelle due lingue sconosciute, riuscendo cosí a decifrare i singoli ideo-
grammi in entrambe le due antiche grafie egiziane. La stele di Rosetta, cioè, fungeva
da chiave interpretativa dei due codici più antichi, quelli scritti in geroglifico e in de-
motico. Ovviamente, nell’interpretare i primi due codici con la lingua copta, a Cham-
pollion non fu possibile tradurre subito tutto, qualcosa andò perduto; per esempio, non
riuscì a decifrare i segni multiconsonantici e alcune funzioni sintattiche. E quindi,
nell’atto di decodifica qualche informazione andò perduta: lost in traslation. La stele
riportava un decreto tolemaico di quasi due secoli prima della nascita di Cristo, come
fu possibile stabilire solo quando i codici furono definitivamente decifrati in ogni loro
parte e funzione, qualche tempo dopo, dall’egittologo tedesco Karl Richard Lepsius,
allievo di Champollion.
Stando all’esempio, il codice è rappresentato dalla lingua dei geroglifici. La codi-
fica è l’attribuzione e la condivisione di un codice, ovvero la formazione storica e la
divulgazione di una lingua, nel nostro caso, per semplificare, il geroglifico. Il codice è
condiviso dalla casta sacerdotale degli antichi egizi, che lo utilizza per le scritture sa-
cre. Esso è inequivocabile, infatti gli antichi sacerdoti lo comprendevano senza frain-
tendimenti e lo utilizzarono per emanare il decreto tolemaico. Il codice è necessario
per scrivere, leggere e trasferire determinate informazioni su supporti fisici diversi,
ovvero per raccontare una certa storia su di una lastra di basalto, oppure su di una ta-
voletta di argilla o su di un rotolo di papiro. In questo senso la codifica è «un proce-
dimento per mezzo del quale i dati che compongono un’informazione vengono mate-
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rializzati e possono diventare un messaggio» . La possibilità che le informazioni siano
comprese da altri popoli, che utilizzano altri codici linguistici, è legata ad una chiave
interpretativa, la Stele di Rosetta. Senza una chiave interpretativa il dato non è decodi-
ficabile e quindi interpretabile, ovvero senza la Stele di Rosetta i glifi sarebbero rima-
sti dei grafemi privi di significato.
In informatica, la codifica e la decodifica sono due processi sistematici, eseguiti
cioè secondo algoritmi. Per fare un esempio, un’immagine digitale è codificata in
64M di colori per ogni punto contenuto. Un punto (in base all'unità di misura, per e-
sempio il dpi - dots per ink) occuperà una certa area dello spazio. Il campionamento
dei colori e la codifica dei colori sono svolti in un modo inequivocabile. Pertanto, an-
che la codifica è inequivocabile, perché è prestabilita in base ad un codice, ovvero i
64M di colori; la decodifica non lo è, perché è soggetta a processi di interpretazione.
Potrebbe allora darsi il caso di un programma che non sappia interpretare corretta-
mente il codice dell’immagine, e pertanto non sappia nemmeno rappresentarlo corret-
tamente. Il risultato della decodifica potrebbe essere equivocato, cioè potrebbe non
contenere la medesima informazione e significato che si voleva inviare, e quindi si
potrebbero perdere informazioni relative ai segni e alle loro funzioni. Anche in questo
caso il dato è andato perduto: lost in traslation.

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T. Orlandi, Informatica Umanistica, La Nuova Italia Scientifica, 1990, p. 32.
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Oltre alla mancanza di una chiave interpretativa, errori di decodifica sono imputabili
al cosiddetto rumore: eventi rumorosi esterni, che disturbano la comunicazione, o in-
trinseci alla sorgente dell'informazione, al mezzo trasmissivo, al destinatario. Per e-
sempio: quando si conversa attraverso un apparecchio, quest’ultimo potrebbe non
funzionare bene (rumore sorgente); la comunicazione potrebbe avvenire in una stanza
resa rumorosa dal chiacchiericcio di altre persone (rumore esterno sul mezzo trasmis-
sivo); oppure la stanza potrebbe rimbombare a causa delle sue dimensioni e della sua
forma (rumore intrinseco del mezzo trasmissivo); chi riceve la chiamata potrebbe non
riuscire ad ascoltarci (rumore intrinseco al destinatario) perché è un po’ sordo, oppure
perché si trova in mezzo al traffico (rumore esterno sul destinatario, etc.).
In termini informatici, il dato viene codificato su di un canale comunicativo come
segnale; per esempio dal punto di vista elettronico è tradotto nel bit, è poi interpretato
in maniera algoritmica da software a diversi livelli, rappresentato, per esempio, come
protocollo informatico, come contenuto multimediale, ovvero come testo, video o
suono, ecc. Ciò che viene rappresentato in ultima istanza e visualizzato sullo schermo
è, quindi, il prodotto di complessi e molteplici processi, avvenuti su vari livelli, di co-
difica-decodifica, ovvero di interpretazione, che dal punto di vista informatico li rias-
sume tutti. Il foglio scritto in Word, per esempio, è il risultato di numerose elabora-
zioni, come quella dei font, del layout, dei paragrafi, ecc.; a sua volta, ogni tipo di font
è il prodotto di un insieme di operazioni che stabiliscono le caratteristiche di un de-
terminato carattere (forma, colore, distanza fra sillabe, grazie, ecc.).
Nell’ambito dei media si suole suddividere la codifica dell’informazione in due ti-
pi:

1. analogico, ovvero quella che utilizza strumenti o dispositivi che trattano gran-
dezze sotto forma continua, rappresentandole con altre grandezze legate alle
prime da relazioni note;

2. digitale, quella che ricorre ad apparecchi o a dispositivi che rappresentano


grandezze sotto forma discreta, attraverso le cifre di un dato sistema di nume-
razione (decimale, binario).

Stando all’interpretazione di Lev Manovich3, fra i dispositivi analogici e quelli digita-


li intercorre una vera è propria frattura paradigmatica, un passaggio di natura cultura-
le, che crea una differenza fra i media classici e i cosiddetti new media: la digitalizza-
zione dell’informazione. E se cambia il codice, cambiano anche le modalità di tra-
smissione e fruizione dell’informazione; cambiano infine anche le modalità di decodi-
fica.
Il complesso processo di trasmissione e di interpretazione, un tempo analogica poi
digitale, dell’informazione può essere analizzato secondo diversi modelli comunica-
3
L. Manovich, The Language of New Media, The MIT Press, 2001, tr. it. Id., Il linguaggio dei
nuovi media, Edizioni Olivares, 2002. Fra le caratteristiche principali dei new media,
Manovich annovera: 1. rappresentazione numerica (codice digitale); 2. modularità (struttura
frattale dei nuovi media); 3. automazione; 4. variabilità (possibilità di declinare in diverse
varianti lo stesso oggetto mediale); transcodifica culturale.
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zionali (le strutture), come avviene nelle teorie classiche della linguistica. Quando si
dice però che in rete ogni dato è strutturato non ci si riferisce solamente alla trasmis-
sione del messaggio. Il dato strutturato è il frutto, si è detto, di due processi: 1. quello
fisico, ovvero la codifica-decodifica di un segnale; 2. quello semiosico4, ovvero rela-
tivo alla produzione di segni e al loro significato all’interno di un modello comunica-
tivo. Il dato strutturato, quindi, è al contempo segnale fisico e segno. È strutturato
perché conforme e relativo ad una struttura5, e cioè al contesto comunicativo, il quale
decide sempre del significato ultimo dell’informazione.
Inoltre, in quanto segno appartenente al processo semiosico, il dato può subire una
serie illimitata di interpretazioni: qualsiasi espressione (acustica, visiva, tattile, olfat-
tiva, gustativa, logico-matematica, concettuale, algoritmica, ecc.) assume valore di
segno6. Per dirlo ancora una volta con Umberto Eco, la semiosi

non assomiglia alla navigazione dove la scia del battello sparisce non
appena la nave è passata, ma alle esplorazioni via terra, dove la traccia
dei veicoli, dei passi, dei sentieri tracciati, entrano a modificare il pae-
saggio e ne fanno da quel momento parte integrante come variazioni
ecologiche. È chiaro allora che la ricerca semiotica sarà retta da una
sorta di principio di indeterminazione: poiché significare e comunica-
re sono funzioni sociali che determinano l’organizzazione e
l’evoluzione culturale, ‘parlare’, degli ‘atti di parola’, significare la si-
gnificazione, o comunicare circa la comunicazione, non possono non
influenzare l’universo del parlare, del significante, del comunicare.
[…] Poiché la gente comunica, spiegare come e perché comunica og-
gi, significa fatalmente determinare il modo in cui e le ragioni per cui
comunicherà domani7.

Anche in ambito informatico, i segni sono parte del processo semiosico. E ogni se-
gnale fisico è sempre interpretabile come segno. Ovviamente, affinché
l’interpretazione possa aver luogo è necessario riferirsi ad un modello comunicaziona-

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Il termine semiosico è preso dal modello della semiosi illimitata. Il concetto è stato introdotto
da C. S. Peirce, e poi sviluppato da Umberto Eco, per designare la catena interpretativa infinita
che lega i segni tra di loro e con i rispettivi significati (da Peirce detti interpretanti).
5
Col termine ‘struttura’ non ci si riferisce al data structure di ambito informatico ma, in senso
più ampio, al modello culturale di riferimento.
6
Intendiamo ‘segno’ in senso generale, ovvero non soltanto qualcosa che sta al posto di
qualcos’altro, ma qualcosa – come vuole Peirce – che ci fa conoscere sempre qualcosa in più.
Quindi sono segni tanto le lettere dell’alfabeto quanto i segnali stradali, tanto i sintomi di una
malattia quanto determinate espressioni musicali. Segni, inoltre, sono sia quelli naturali sia
quelli artificiali, ovvero quelli prodotti dall’uomo. Infine, il segno non è il frutto di una
correlazione biunivoca fra un codice ed un significante, bensì è il prodotto di un’inferenza
logica, e pertanto è soggetto a interpretazioni illimitate e sempre rimesse al continuo processo
di semiosi.
7
Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, cit., 0.9 Limiti epistemologici, pp. 38-39.
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le, a quella che si è chiamata struttura, e rispetto alla quale possiamo parlare di dato
strutturato.
Per esempio, è possibile descrivere una fenomenologia del dato strutturato a parti-
re dal modello linguistico-strutturalista della Scuola di Praga di Roman Jakobson. Ta-
le modello prevede che la comunicazione si svolga sempre all’interno di un contesto,
da un mittente verso un destinatario, attraverso un canale (elemento fisico) in virtù di
un codice.

A seconda che nella comunicazione prevalga un elemento rispetto agli altri, la stessa
assume una funzione diversa: si parlerà di funzione emotiva quando la comunicazione
sarà incentrata sul mittente, per esempio, a proposito di una poesia, rispetto alla quale
prevale il ruolo dell’autore; la funzione conativa sarà svolta da una comunicazione in-
centrata sul destinatario, come per esempio quella presente nelle pubblicità o nei di-
scorsi dei politici; la funzione metalinguistica è quella che si rivolge al codice, come
per esempio quella svolta da una grammatica; la funzione poetica è quella incentrata
sul messaggio, per esempio svolta dallo slogan utilizzato da Eisenhower negli anni
Cinquanta, il famoso I like Ike, che punta alla memorizzazione dell’espressione. La
prevalenza della funzione fàtica o di contatto si ha invece quando il messaggio è o-
rientato alla verifica del funzionamento del canale comunicativo; per esempio, quando
al telefono si pronuncia la domanda “pronto?”, tale domanda punta a verificare che si
sia stabilito un contatto con il destinatario della conversazione. La funzione referen-
ziale, infine, è quella in cui il contesto è l’elemento discriminante della comunicazio-
ne; per esempio, Einstein spiega la sua teoria della relatività in forma divulgativa, uti-
lizzando esempi e metafore, quando deve rivolgersi ad un pubblico di non esperti
(contesto K); mentre impiega una forma scientifico-matematica quando si rivolge alla
comunità scientifica (contesto K1).
In riferimento alla comunicazione del dato strutturato, quindi, il contesto è identi-
ficato dal Sistema Operativo (OS); il mittente è la sorgente dell’input, la funzione fà-
tica è svolta dalle cariche elettriche e dai circuiti, ma anche dai linguaggi macchina e
di programmazione che si interfacciano fra hardware e software dell’OS; la funzione
metalinguistica è assolta dai vari linguaggi di programmazioni e dai codici con i quali
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si strutturano le pagine web, assieme ai servizi di posta elettronica, ai protocolli (es:


http, html, xml,) e alla crittografia, ecc.; il destinatario, infine, è rappresentato dal dato
di output, ovvero dall’informazione che compare sull’interfaccia grafica, la quale, in
ultima istanza, si rivolge all’utente (che però è già esterno al contesto digitale del OS).
Se applichiamo lo stesso modello al web, ovvero orientandolo ai servizi e ai con-
tenuti offerti dalla rete, allora sarà possibile identificare quale funzione comunicativa
assolvono alcuni servizi della rete. Per esempio, se si vuole analizzare il ruolo svolto
dai blog personali, intesi come “diari di viaggio” individuali anche se pubblici, po-
tremo affermare che essi svolgono una funzione incentrata sul mittente, per cui preva-
le la funzione espressiva. Più centrati sul messaggio risultano essere invece i siti arti-
stici. Essi si sviluppano soprattutto sul prodotto artistico, poiché è prevalente
l’interesse de l’art pour l’art. Il fine dei siti artistici, quindi, non dovrebbe essere il
business, il fine commerciale; non si tratta, per esempio, di siti di compravendita di
quadri o statue; i siti artistici svolgono il ruolo, per cosí dire, di vetrina del proprio
messaggio. Parafrasando il motto della scuola estetica francese, potremmo dire che
essi rappresentano il messaggio per il messaggio.

Diverso il caso dei siti commerciali, la cui tensione comunicativa è rivolta soprattutto
al destinatario, rispetto al quale viene esercitata una funzione persuasiva, indirizzata
all’acquisto della merce.
Nella stessa posizione comunicativa si trovano quei siti rivolti al mittente inteso
come pubblico o cittadinanza, la cui funzione è innanzitutto informativa, ma tali siti
possono assumere anche una funzione conativa, ovvero di divieto o di ammonizione.
Come è possibile notare, il modello di Jakobson tende a semplificare molto la
complessità e la natura ibrida della realtà digitale, se si considerano le varie funzioni
al suo interno come distinte e l’un l’altra esclusive8. Inoltre, con l’avvento delle reti
sociali e il loro impiego per fini commerciali, anche siti che in linea di principio do-

8
Come scrive Eco, «Val la pena di ricordare che Jakobson non dice che in un messaggio si
manifesta una sola di queste funzioni, ma che più o meno tutte sono presenti a un tempo, salvo
che una sola di esse prevale sulle altre», in U. Eco, Trattato di semiotica generale, cit., p. 352,
nota 55.
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vrebbero svolgere una funzione meramente emotiva spesso subiscono una vera e pro-
pria torsione comunicativa e addirittura conativa. È il caso dei blog i quali, basando la
loro potenzialità persuasiva sull’autorità e sulla reputazione del blogger, sono sempre
più utilizzati dalle aziende per campagne di marketing. Questo avviene perché nel
segmento web dei blog, la cosiddetta blogosfera, gli utenti seguono personaggi di cui
si fidano e sono rassicurati dalle loro scelte. Il risultato di una campagna di marketing
in più segmenti del web, quindi, garantisce una diffusione più capillare e più profonda
rispetto alle campagne tradizionali, che si basano invece su di una comunicazione ef-
fettuata su larga scala, che si rivolge all’utente medio, cosí come avviene per la televi-
sione.
Quello di Jakobson non è l’unico modello comunicazionale, anche se uno dei più
facilmente intuitivi e generali. In relazione al mondo dell’elettronica e
dell’informatica, va sicuramente menzionato il modello di Shannon-Weaver9, che
formalizza matematicamente anche i processi di codifica-decodifica. Secondo questo
modello matematico, una sorgente genera un messaggio che produce un segnale in-
viato da un trasmettitore attraverso un canale; il canale predispone il segnale ricevuto
e lo rinvia al destinatario come messaggio ricevuto. La trasmissione avviene per livel-
li di interpretazione ed è di carattere lineare, cioè si sviluppa lungo la direzione sor-
gente destinatario, seguendo una logica contenuto espressione.
A differenza del modello di Jakobson, che rappresenta un modello comunicaziona-
le circolare, in cui ogni mittente può divenire a sua volta il destinatario, il modello di
Shannon-Weaver invece semplifica il processo comunicativo in un’unica direzione e
in maniera irreversibile. È per questo che il modello di Shannon nell’interpretazione
di Weaver è stato adottato per spiegare la dinamica dei circuiti elettrici.
Ma l’elemento preponderante che deriva da entrambi i modelli comunicativi è il
riconoscimento di due livelli differenti e distinti: la distinzione fra visione fisica del
dato, ovvero quella elettronica, e visione logica, ovvero la sua rappresentazione attra-
verso un’interfaccia. In accordo con le affermazioni di Roncaglia10, per interfaccia in
senso generale intendiamo ogni strumento di interazione adeguata al fruitore con
funzione di mediazione fra lui e il mondo.
Nel nostro caso, la mediazione avviene fra utente e computer, è la cosiddetta HCI-
Human-Computer Interface. Il concetto di interfaccia è per sua natura duplice: esso è
legato sia al suo aspetto hardware, come supporto fisico, sia al suo aspetto software,
come interfaccia grafica11.

9
Il riferimento classico è a Claude Elwood Shannon, A mathematical theory of
communication, reprinted with corrections from The Bell System Technical Journal, vol. 27,
July, October, 1948, pp. 379-423, 623-656; tr. it. in Teoria matematica delle comunicazioni,
1954, Etas Libri, 1971.
10
Per quanto riguarda l’importanza del supporto, la sua fruizione, e la sua relazione con il libro
elettronico, cfr. G. Roncaglia, La quarta rivoluzione, cit., cap. I «Il libro e il cucchiaio», § 1-3,
pp. 3-14.
11
«Il termine ‘software’ [SW] è costituito dall’unione di due termini inglesi ‘soft’ [morbido] e
‘ware’ [manufatto, merce, articolo] e la sua origine risale alla seconda guerra mondiale quando
i criptoanalisti inglesi, sotto la guida di Alan Turing, erano impegnati a decrittare i messaggi
che i nemici tedeschi crittografavano con la macchina Enigma. Essi, dopo la scoperta che le
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Sia l’aspetto hardware che quello software hanno rilievo ai fini della divulgazione e
della diffusione delle informazioni. Strumenti di comunicazione che, infatti, permet-
tono di essere utilizzati in mobilità, come accade oggigiorno con i device mobile di ul-
tima generazione (tablet, smartphone), hanno determinato il declino dell’utilizzo di
dispositivi ingombranti, che limitano il movimento e la connettività. Allo stesso mo-
do, programmi e sistemi operativi anche molto efficienti dal punto di vista delle pre-
stazioni sono stati sostituiti da altri molto più intuitivi e semplici. Il processo creativo
che investe la tecnologia va cioè dalla complessità verso la semplicità, per dirla con
De Biase12. Come spiega Lev Manovich,

In termini semiotici, l’interfaccia del computer è una sorta di codifica


che porta messaggi culturali in una varietà di media. Quando usate
internet, tutto passa attraverso l’interfaccia del browser e quella del si-
stema operativo. Nella comunicazione culturale, un codice non è quasi
mai solo un meccanismo di trasporto neutrale, di solito influenza an-
che i messaggi che viaggiano su di esso13.

Nel 1984, la Apple introduceva l’interfaccia grafica usando la metafora dei file e dei
folder dislocati su di una scrivania, il desktop. Oggi quella metafora è utilizzata dalla
maggior parte dei computer per stabilire un canale comunicativo grafico facilmente
intuitivo. In questo senso, come osservato da Manovich, ogni interfaccia è
un’interfaccia culturale, poiché utilizza metafore, crea e gestisce oggetti culturali. E,
quindi, nella rete non solo il dato subisce sempre processi di codifica-decodifica in
quanto segnale, ma è sempre rappresentato in un contesto culturale, poiché è parte
del processo di semiosi.
Prima di intraprendere l’analisi dei singoli fenomeni massmediatici della rete e
spiegare il suo utilizzo per un corretto impiego in senso scientifico è essenziale un
chiarimento preliminare: Internet non è il web.
Molto spesso, a causa di un linguaggio impreciso, i due termini vengono sovrap-
posti e utilizzati in maniera indistinta, pur significando cose differenti. Internet è la
rete delle reti, ovvero l’insieme dei sistemi di reti telematiche. Internet (Interconnec-

istruzioni per la configurazione della macchina, che cambiavano ogni giorno, erano scritte su
carta solubile nell’acqua per consentire una piú facile distruzione prima che cadessero nelle
mani del nemico, chiamarono tali istruzioni software [componente morbida] in
contrapposizione ad hardware [componente dura, HW], la ferraglia di cui Enigma era
composta», in Mauro Cadei, «Fondamenti di Informatica», in Informatica Umanistica,
McGraw-Hill, 2010, cap. 1, § 1.1.8 L’hardware e il software, p. 14.
12
L. De Biase, Il processo creativo va dalla complessità alla semplicità,
http://blog.debiase.com/2012/01/ il-processo-creativo-va-dalla.html, consultato il 14 gennaio
2012. Di opinione diametralmente opposta Henry Jenkins, fondatore e direttore del
Comparative Media Studies Program del MIT, celebre autore di Convergence Culture: Where
Old and New Media Collide (2006), (tr. it., Id., Cultura Convergente, (2006) pref. di W.
Ming, Apogeo, 2007) il quale sostiene la tesi della tendenza alla complessità e alla
personalizzazione dello sviluppo tecnologico: «È sempre più chiaro che il pubblico dei media
contemporanei cerca la complessità, non la semplicità».
13
L. Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, cit., p. 90.

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