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Accademia di Belle Arti


corso di Pittura
prof Daniele Degli Angeli

LA DEA CICLICA
Viaggio trai simboli di morte e rinascita

Relatore prof Manuela Machella


TESI Presentata
da MARTINA SANTARSIERO
Anno Accademico 2003/2004
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A mio fratello Nicolò, piccola ombra verde nei miei pensieri


Alla Dada Tina, che è stata come una madre per me
A tutte le figlie della Dea

Immagine di copertina La grande Madre di Martina Santarsiero


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INTRODUZIONE

...Incontro con la Dea...

Sin da quando ero bambina ho


sempre avuto un debole per i miti,
le leggende, le fiabe e i racconti
fantastici.
Ho sempre vissuto in un mondo
tutto mio popolato da creature
immaginarie; trascorrevo le giornate disegnando sirene,
fate, principesse, streghe, centauri, gnomi, folletti…

Fino all’età di 12 anni, prima che nascessero le mie due sorelle e mio fratello,
in casa eravamo solo tre donne: io,
una bambina, mia madre e una tata anziana (un’analogia incredibilmente
simbolica con la Triplice Dea, vista come fanciulla-madre-anziana). A 14 anni
mi sono iscritta al Liceo Artistico, e grazie alla storia dell’arte antica, ( e ad
un’intera famiglia diplomata al Liceo Classico), è nata la mia passione per
l’arte e la mitologia dei popoli antichi, in particolare la cultura celtica e
greco-romana.
La mia vita era fatta di sogni, fantasie e spensieratezza: un mondo
ovattato ed incantato lontano dalla realtà, fino al dicembre del 1999,
anno in cui mio fratello si è ammalato di tumore e dopo due anni
trascorsi dentro e fuori dal reparto d’oncoematologia pediatrica, il 29
ottobre del 2001 è morto a soli sette anni. Allora ho incominciato ad
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accorgermi che le mie fantasie e le mie fughe in mondi immaginari, non
avevano alcun potere taumaturgico nella realtà e ho iniziato la mia
ricerca del confine tra fantasia e realtà, leggendo libri di storia della
magia, di mitologia e culti pagani, antropologia e archeologia
misteriosa. Sul mio cammino ho incontrato la Grande Dea, musa della
magia e della creatività, nel passato osteggiata e ingiustamente
dimenticata. Il suo volto riassume gli aspetti di tutte le dee ed è
venerata come Fanciulla, Madre e Anziana. Mi affascinava l’idea di una
divinità femminile non trascendente e irraggiungibile, ma viva e presente
in tutte le cose e negli aspetti positivi e negativi della vita. Una dea che è
allo stesso tempo la fanciulla vergine, (giovane guerriera, regina degli
animali e luna crescente) la madre, (la terra, inizio di tutto, crescita,
fertilità e luna piena) e la vecchia (la saggia, la strega, il cielo notturno,
la morte e luna calante). Soprattutto la ciclicità della Dea ( che nasce,
cresce e muore, per poi rinascere ), mi ha fatto capire e accettare la
morte. I suoi simboli sono rintracciabili in tutte le epoche e le culture,
(nelle arti, nell’archeologia, nei miti…) soprattutto in Europa.
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“Ci fu un tempo in cui l’uomo era libero


ed onorava la Terra
Dea e Dio ne furono grati .
Ma giunse il giorno che l’uomo
dimenticò questi valori.
La Dea con il suo compagno il Dio
furono in collera con lui cosicché
le Divinità abbandonarono i Sacri Boschi
e tutto non fu più come prima.
E’ giunto il tempo che l’uomo
si ravveda e torni ad onorar la Terra”.
(Hagal Druid)
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In principio “dio era femmina”, per il
semplice motivo che da ventri femminili,
umani e animali, venivano nuove creature e
l'uomo preistorico non poteva far altro che
prenderne atto. Le “dee femmine” furono le
signore dei pantheon religiosi per millenni,
come testimoniano i ritrovamenti di statuine
dagli attributi femminili esageratamente
evidenziati e moltissimi disegni e graffiti
Venere di Willendorf
riproducenti vulve, vagine e seni gonfi di dee in
gravidanza, durante il parto o in allattamento, testimonianza della
fecondità della Grande Dea o Grande Madre.
Essendo sconosciuti ai nostri antenati preistorici i meccanismi biologici
della fecondazione, la Grande Dea, a differenza di tutti gli dèi maschi che
sarebbero venuti dopo di lei, era partenogenica, vale a dire generava la
vita da se stessa, e questo, per una divinità, era davvero il massimo della
potenza. Alla dea era associato il ciclo lunare e, per analogia con i cicli
rigenerativi delle fasi lunari, la morte era vista come momento necessario
alla rigenerazione della vita: le creature viventi morivano, venivano
sepolte nella terra-ventre della Madre, dalla quale rinascevano, come
avveniva per il ciclo vegetale. La Dea era riconosciuta come fonte di vita e
assunse una miriade di forme e di nomi, disseminando il suo culto ai
quattro angoli della terra. Al tempo della Grande Madre essa era venerata
sotto la forma trinitaria di fanciulla, di donna gravida e di anziana, tre
figure femminili che venivano identificate con le tre fasi lunari mensili.
Secondo Carl G. Jung, noi ereditiamo dalla società un insieme di elementi
che non ci pervengono dall'esperienza né dalla cultura, come se facesse
parte di un patrimonio genetico simbolico.
Si tratta di una serie di credenze, immagini, simboli che lo psicoanalista
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svizzero chiamò 'inconscio collettivo per
distinguerlo da quello 'individuale'. Unità di
base sono gli 'archetipi', immagini
simboliche, rappresentazioni, che ciascuno
può applicare a se stesso e alla propria vita.
Ritroviamo figure archetipiche nei miti,nelle
arti, nelle favole, nei sogni e formano, tutti
insieme, la memoria dell'umanità. Molti
studiosi di mitologia comparata, sostengono
le qualità terapeutiche del racconto mitico
che mette l'essere umano a contatto con gli
dei, simboli della propria energia psichica e
lo aiutano a fare scelte e determinare destini.
Molti studiosi, per le donne, hanno
Dea Madre preistorica
sottolineato la centralità dell'archetipo della
Grande Madre, creatrice universale. La maternità rappresenta
un'esperienza primaria che getta le basi di ogni futura esistenza psichica,
in quanto ognuno di noi fa i conti con l'archetipo materno in primo luogo
come figlio. Inoltre l'archetipo costituisce il fondamento del 'complesso
materno che nella più antica psicopatologia riconosce la madre come
parte attiva nell'insorgenza di problemi e disturbi.
Il concetto di Grande Madre nasce all'incirca nel 7000 a.C., nel Neolitico
Antico, ma tracce di tale culto sono presenti già dal Paleolitico. Si tratta di
una figura religiosa, in cui ad una divinità femminile viene attribuita la
genesi di tutte le cose viventi, piante, animali, uomini. Il culto ha
certamente origine in comunità che vivevano di agricoltura, stanziali, in
armonia con i cicli della natura e della luna, simbolo tipicamente
femminile. A loro volta le donne incarnano molteplici figure mitologiche
femminili, da Demetra a Medea, da Afrodite ad Atena, da Estia a
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Persefone. Secondo la psicoanalista junghiana Jean S. Bolen, autrice del
libro “Le dee dentro la donna”: 'in una stessa donna sono presenti più
dee e la loro conoscenza fornisce la chiave per la comprensione di sé e dei
rapporti che stabilisce con gli altro. In realtà l'archetipo della Grande
Madre porta in sé ambivalenze profonde: è colei che dona la vita ma che
possiede in sé anche lati oscuri, quel simbolo notturno che è l'inconscio, la
parte più segreta della psiche. La Madre è luminosa ma può, allo stesso
tempo, divorare e usare il proprio amore come strumento di potere e di
dominio. L'inconscio è anche associato al grembo materno, caldo e buio,
ma dal quale è necessario uscire per vivere.
Il Culto della Grande Dea è stata la prima forma di religione comparsa
sulla Terra.
La Grande Dea Madre ha accompagnato fin dall’inizio dei tempi il lento
evolversi degli esseri umani.Nel corso del tempo, con il passare dei
millenni e delle civiltà,la Grande Dea ha assunto molteplici
aspetti,incarnando ora uno ora l’altro aspetto dell’esistenza,ma sempre
comunque riassumendo in sé tutte le caratteristiche della vita.

Matres - Matronae
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La figura della Grande Dea, si scinde in un primo


momento nella triade divina rappresentata dalle
matres poi in una moltitudine di Dee e altre figure
mitologiche femminili, come le Eumenidi, le Moire,
le Erinni le Amazzoni…per poi approdare dopo la
persecuzione maschilista,nelle figure delle leggende
e delle fiabe come Morgana, Melusina, silfidi, ondine,
fate…questo percorso, difficile da seguire poiché non
è lineare, è durato all’incirca 25.000 anni. Pur
incarnando sembianze diverse, è sempre il principio
Brigit unico che si espresse nella storia, nelle arti, nelle fedi
e nella coscienza degli uomini e delle donne. Le
singole civiltà infatti attribuirono nomi diversi al principio femminile: la
triplice Morrigan, Brigit, Cerridwen, Epona …per i Celti, Ecate, Demetra,
Persefone…per i Greci, Freya, Erda Holle…per i Germanici
rappresentavano la fonte di vita dell’universo e il ciclo di morte e
rinascita. Tutta la mitologia antica è impregnata di emanazioni femminili
della Grande Dea, l’immagine Paleolitica della Grande Madre, prima che
vi fosse un padre in terra o in cielo. Sappiamo che le culture classiche
erano popolate di divinità con caratteristiche umane, e la figura della
donna era legata a stuoli di dee e semidee che popolavano l'Olimpo. Vi
era una religione totalmente tollerante verso le nuove credenze, le
religioni politeistiche infatti avevano nomi diversi per gli dei ma la
consapevolezza dello stesso valore nel credere. Ad esempio, era uguale
chiamare Hera o Giunone la madre degli dei indipendentemente
dall’origine greca o romana . La totale apertura mentale verso nuovi riti e
religione, portò a Roma ai tempi di Cleopatra il culto orientale di Iside.
Esso fu ben accetto e andò a mischiarsi con quello di Bacco, che già
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esisteva. Ma divenne comunque bersaglio dei conservatori che odiando la
bellissima regina, cercarono di attaccarla criticandone la dubbia
religiosità e moralità dei costumi. Questo rito, insieme ai misteri
dionisiaci, aveva in comune la celebrazione durante la notte, era legato al
movimento della luna, ed era accompagnato da danze intorno a enormi
fuochi. Il rito si perde nella leggenda, fatta eccezione per gli affreschi
rinvenuti a Pompei, che sembrano riguardare l'iniziazione. Con l'avvento
del cristianesimo, ci fu un'iniziale coesistenza con i riti pagani, poi
quando la Chiesa ebbe il sopravvento, iniziò a sopprimere i culti
femminili, e le donne iniziarono ad essere perseguite per le stesse ragioni
biologiche che prima le rendevano sacerdotesse. Il legame con la luna era
in antitesi con una religione svolta al maschile , e per di più monoteistica
come quella cattolica. Il culto della dea madre iniziò a essere svolto
clandestinamente, ma si insinuò a insaputa della Chiesa, nel suo stesso
culto. Maria, vergine, madre e poi vecchia che vede il figlio morire, è una
visione triplice della donna che riecheggia nei secoli. Ai trivi, incroci di
tre strade, fu sostituita l'immagine dell' Ecate romana a tre facce, la Luna
a quella di Maria. Molte feste pagane furono integrate nel culto cristiano.
Nei paesi più lontani dall'ingerenza della chiesa il ricordo dei vecchi riti
continuò a persistere nei secoli.
Ovunque , gli essi umani hanno sempre percepito e sentito come
numinosa la potenza della terra, sia in se stessa, sia associata agli agenti
cosmici che in essa agiscono. Questo fenomeno è così importante che la
più arcaica rappresentazione della divinità è stata espressa sotto forma di
dea madre Terra. Le figure femminili risalenti a circa 30.000 anni fa,
ritrovate in una zona molto vasta che va dai Pirenei al lago Bajkal,
sembrano essere rappresentazioni della dea madre Terra. Negli ultimi
secoli dell'antichità greco-romana, il sincretismo ellenista accentuò e mise
in rilievo la figura del giovane dio, lasciando piuttosto in ombra l'influsso
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della dea suprema, che già in in epoca paleolitica e arcaica, pre-
indoeuropea fece risaltare la raffigurazione femminile-materna della
divinità e l'efficacia fecondatrice della sua presenza. Il latino possiede
questa distinzione tra il senso sacro della terra tellus e quello profano
terra (di tellus si è impossessata la nomenclatura scientifica. nel caso di
Demetra ,questa dea dalle origini sicuramente preindoeuropee, non è
stata travolta dalla valanga indoeuropea, ma grazie ai misteri eleusini,
dopo alcuni secoli di consolidamento, acquistò importanza panellenica.
L'etimologia di molti appellativi della divinità femminile possono
ricondursi a Dea madre oppure terra madre, come chiaramente attestato
per Demetra. Presiede a tutto ciò che esiste nella vastità cosmica della
terra; terra che l'uomo percorre finchè non giunge la morte; genera tutti
gli esseri, li nutre e li accoglie di nuovo nel suo seno.
Scavi archeologici hanno portato alla luce, con una certa frequenza, il
cosidetto idolo femminile, simbolo della fecondità: la dea dalle molte
mammelle che appare in tutto il bacino mediterraneo. La maggior parte
degli studiosi affermano che la moteplicità di appellativi e raffigurazioni,
sottenda il culto di un'unica dea madre. Forse ancor prima di essere una
divinità è l'intuizione del potere creatore e sostentatore del divino. Nella
terra si cela l'origine ed il destino dell'uomo. Il significato della religiosità
tellurica è in relazione con l'idea e la pratica dell'in-umare, in-terrare i
cadaveri; un modo di esprimere il convincimento che la morte dell'uomo
non è totale: qualcosa di simile allo spuntare delle sementi sotterrate,
interrate nelle viscere della terra. Questa credenza era molto radicata in
una delle più forti correnti religiose della Grecia; quella dei misteri
eleusini. La parola madre è unita alla dea Tellus fin da quando si cominciò
a rappresentare la divinità per mezzo di essa Magna Mater; accostata a un
figlio o figlia e alla fondamentale funzione della fecondità umana e della
fertilità agreste, nel ciclo della rinascita primaverile, maturità estiva e
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morte invernale. In un certo senso la religiosità tellurica giunse al divino
attraverso il meraviglioso risveglio della natura divinizzandola e
personificandola in una divinità giovane, la fanciulla, , morirà ogni anno,
per risorgere in quello successivo. Il tema tellurico è presente attraverso i
secoli nell'arte;....: L'aspetto della fioritura (o rinascita della vita), fertilità e
fecondità, dalla Terra ben presto viene trasferito e venerato nel serpente.
Più tardi, in epoca storica, forse per influsso dell'antropomorfismo
indoeuropeo, viene rappresentato da una divinità o semidivinità, per lo
più maschile, unita alla Tellus da vincoli di filiazione, di amore coniugale
e, molto spesso, di semplice amante; ad es. Dionisio, Adonis, Osiride, ecc.
Tutti sono tipi del giovane dio che muore e risorge, al ritmo del processo
vegetativo, con le relative feste e processione. Ancor prima, tale processo
era sincronizzato con il letargo invernale e il risveglio primaverile del
serpente. Il serpente è il simbolo del culto della Madre terra, ed è così
definito dagli autori classici figlia della terra, ovvero la terra è definita
madre dei serpenti. Ecco il rapporto con Demetra, Ecate, le Gorgoni.; Nel
serpente viene concentrata e si riflette una parte notevole della virtualità
divina: quella che è in relazione alla fertilità agreste e alla fecondità
umana, nonchè alla salute (simbolo di Esculapio). Il serpente è sostegno
ed epifania di ciò che nell'essere umano sopravvive dopo la morte; il che
spiega la relativa frequenza con la quale i monumenti funerari
riproducono la scena del serpente che si ciba delle offerte.
I membri della religiosità tellurica e misterica si prostrarono davanti ad
una divinità suprema concepita come donna e invocata con nomi
femminili.
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Marija Gimbutas, archeomitologa


lituana riconosciuta a livello
mondiale, nel suo libro “Il
linguaggio della Dea” ha scritto che
le principali immagini della dea
della morte individuabili nella
preistoria e ancora presenti nelle
credenze popolari sono: la civetta il
corvo, la colomba, il cinghiale, la
“Signora Bianca” e il suo segugio.
La Dea nelle sembianze d’uccello è la
Morte, “Colei che toglie la vita”,
gemella di “Colei che dispensa la
vita”, sinistra in volo con le grandi
Dea Uccello
ali spiegate. Grossi uccelli erano
sepolti nelle tombe megalitiche dell’Europa occidentale. Scavi recenti
hanno portato alla luce un grande deposito in una tomba a camera
ad Ibsister, nelle Orcadi. In tutto vi sono 725 ossa d’uccello, la
maggioranza delle quali appartiene all’aquila di mare. Le altre
appartengono a civette dalle orecchie corte, a gabbiani dal dorso
nero, corvi imperiali o cornacchie. La loro sepoltura era
probabilmente sacrificale: un’offerta alla Dea della Morte. Uno dei
nomi della Triplice Dea celtica in Irlanda era Badb, ”cornacchia”, e la
Morrigan (dea celtica della morte) in un testo è chiamata badb catha,
”cornacchia da battaglia”. La stessa Morrigan può apparire come
strega, bella donna, cornacchia o corvo. In Gallia una dea analoga ha
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un altro nome, Nantosuelta, ”fiume tortuoso”, ed è rappresentata nei
bassorilievi con i simboli del corvo imperiale e della colombaia. La
Valchiria germanica è identificata con il corvo, lo scuro uccello dei
morti chiamato waelceasig, ”scegli cadavere”, termine che si accorda
esattamente con waelcyrge o Valchiria.
Sin dalla preistoria la civetta è
considerata messaggera di morte, ma
nonostante la lugubre aura che la
circonda, le sono state attribuite anche
qualità positive: profonda saggezza,
poteri profetici e la capacità di
allontanare il male. I suoi occhi sono
considerati dotati di potere sacro, poiché
avrebbe la vista più acuta di tutti gli altri
animali. Questa immagine ambivalente è
un pallido flesso della civetta come
incarnazione della “Dea della Morte”.
Essa era venerata come una divinità e
forse rispettata per il suo sinistro ma
necessario compito nel ciclo
Morrigan
dell’esistenza. La più antica
rappresentazione è quella delle civette delle nevi incise nella galleria
di una grotta del Paleolitico Superiore a Trois Frères, nella Francia
meridionale. La dea in sembianza di civetta è un’immagine
importante dal Neolitico alla Prima Età del Bronzo. E’ presente in
forma d’urna nell’Europa danubiana nell’Egeo settentrionale.
Nell’Europa occidentale la sua immagine è incisa sulle statue-
menhir, sugli ortostati delle tombe a corridoio e a galleria e sulle
placche di scisto e le falangi in osso collocate nelle tombe.
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Nell’Europa settentrionale, è riconoscibile sulle statuette in ambra e i
pilastri di legno della cultura Narva del Baltico orientale.
Begli esempi di urne funerarie a forma di civetta, databili dal 3000
a.C. in poi, provengono dalla cultura Baden in Ungheria, da quella
Poliochni nell’isola di Lemnos e da Troia. Hanno le ali, il
caratteristico becco che unisce le sopracciglia arcuate e a volte una
vulva umana o un cordone ombelicale simile a un serpente, simboli
di rigenerazione. I tratti caratteristici della civetta, occhi tondi e
becco, si osservano sulle statue-menhir della Francia meridionale e
della penisola iberica e sui bassorilievi e i disegni a carboncino negli
ipogei del bacino parigino. Una serie di stele e disegni della Dea
Civetta, provenienti dalla Bretagna e dal bacino di Parigi, sono
raffigurati con seni e una o più collane.Stele provenienti dal
Portogallo e dalla Spagna hanno occhi tondi e becco pronunciato o
un naso dritto simile a un bastoncino.Le placche di scisto nelle tombe
a corridoio portoghesi presentano un naso o becco accentuato,
braccia stilizzate, linee orizzontali sulle guance, Talvolta anche
abbozzi di una vulva e un disegno a
chevron sulla schiena. A Locmariaquer,
in Bretagna, il corpo della “Dea Civetta”
è rappresentato da una grande vulva
ovale, solo gli occhi e il becco ne rivelano
l’identità. Le sembianze di civetta della
Dea, sul volto di una scultura molto bella
rinvenuta a Knowth West in Irlanda,
sono immerse in disegni a labirinto,
probabilmente simbolici delle acque
dispensatrici di vita, al centro dei quali
Stele a forma di Civetta compare una vulva.
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I simboli generalmente associati con la Dea Civetta quali, per
esempio, il serpente come cordone ombelicale, la vulva, il triangolo,
la linea tratteggiata o a zig-zag, la rete, il labirinto, linee doppie o
triple e l’ascia, sembrano raffigurare simboli dell’energia vitale.
L’associazione di questi simboli con la Dea Civetta-Morte, evidenzia
la rigenerazione come componente essenziale della sua personalità.
L’angoscia della morte, non si avverte in questo simbolismo. La Dea
può trasformarsi in qualsiasi piccolo uccello, frequentemente in
cuculo o colomba. Le dee germaniche Holla e Freya compaiono
nell’aspetto di colombe. Il cuculo è una delle incarnazioni della
Laima baltica, “il Fato”, e della Ziva polacca, la Dea della Primavera
dispensatrice di vita. Fino ai giorni nostri il cuculo e la colomba sono
stati considerati uccelli profetici, psicopompi e spiriti dei morti.
Dall’Inghilterra alla Lituania si crede ancora che dopo la mezza
estate il verso del cuculo può essere presagio di morte. Si credeva che
d’inverno si trasformasse in falco, e come tale era associato alla
morte.
Ma il cuculo e la colomba sono anche presenze associate alla
primavera e, in quanto tali, annunciano il ritorno della vita. Questa
comparsa e trasformazione ciclica collegano questi volatili alla Dea,
colei che sovrintende ai cicli della vita e della morte, della primavera
e dell’inverno. Piccoli uccelli erano raffigurati in tutta la preistoria,
ne è un esempio quello appollaiato su un obelisco sormontato da una
bipenne nella scena funebre sul sarcofago dipinto di Aghia Triada
(Creta, 1400 a.C. circa). Rappresenta, forse, l’anima del morto, come
reincarnazione dell’anima e ha una stretta connessione con i luoghi
di sepoltura. Sono esistiti pali di legno sormontati da figure di
volatili nei cimiteri dei villaggi preistorici. In russo golubec significa
“lapide”(da golub,”colomba o piccione).
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Il latrare dei cani è sempre stato considerato presagio di morte nel
mondo antico e nel folclore europeo. La Dea germanica Hel (Holle o
Holla) guida i morti nell’aldilà e i suoi cani simili a lupi che dilaniano
i cadaveri. Il ruolo principale del cane nell’antica religione europea è
intuibile dalle numerose rappresentazioni di marmo e terracotta, dai
vasi e dai dipinti. A volte sculture di cani presentano una maschera
della Dea. Era una delle principali vittime sacrificali associate ai riti
funebri. Rappresentazioni pittoriche di cani sono note nella tarda
cultura Cucuteni. Sui vasi compaiono come fantastici esseri
mitologici splendidamente stilizzati. Saltando o volando con le code
ritte, i feroci segugi sono associati con falci di luna, bruchi e lune
piene. Al pari della sua Signora, il cane sovrintendeva al tempo
ciclico. Inoltre, era custode della vita e aveva grande influenza nel
ridestare la vegetazione sopita. Il suo ruolo risulta evidente nei
dipinti vascolari Cucuteni dove è ritratto accanto alle colonne della
vita ed è associato con spirali, falci di luna, lune, serpenti, e la
triplicità . La ricorrente iconografia del cane associato alla luna, rivela
il suo ruolo influente nel favorire i cicli e le fasi lunari. Quest’antica
connessione simbolica giunge fino a noi nell’immagine di un cane
selvatico o di un lupo che ulula alla luna piena. Su altre ceramiche,
segugi feroci con le code ritte e zampe con tre artigli sembrano volare
nello spazio. Sui vasi provenienti da Sipenitsi, essi sono accanto
all’albero della vita, custodi della vita nuova.
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Il cinghiale è un animale necrofago,
non stupisce quindi che abbia acquisito
un’associazione simbolica con la morte.
Il legame tra quest’animale e la Dea è
rilevabile da una statuetta chiaramente
femminile rinvenuta nello strato
neolitico del Riparo Gaban (Trentino),
ricavata dalla parte inferiore del molare
di un cinghiale. La sezione che
Venere del Riparo Gaban
comprende le radici è caratterizzata da
una superficie liscia, ma con qualche foro e protuberanza, a
rappresentare utero e seni. La figura ricorda il tipo di statuette che la
Gimbutas chiama “nudo rigido”, con braccia e gambe aderenti e il
ventre evidenziato. Vi sono 13 incisioni sull’utero, forse un
conteggio dei mesi lunari in un anno o numero dei giorni della luna
crescente.
Nello stesso strato del Riparo Gaban è stato trovato un omero di
cinghiale inciso con un disegno simbolico. Suddiviso in quattro
sezioni, vi è rappresentata, dall’alto verso il basso, una figura a forma
di rana, una fascia a zig-zag, una rete e un utero posto su fasce di
correnti d’acqua. Si nota qui un insieme di simboli sul tema della
rigenerazione: utero-rana-acqua (o liquido amniotico). Anche qui i
simboli di rinascita prevalgono su quelli di morte (l’osso nudo).Altre
statuette in altri materiali, come la terra cotta, provengono dalle
culture dell’età del Rame dell’Europa centro-orientale, e il cinghiale
figura anche sui sigilli del Minoico Medio. Il ruolo soprannaturale
dell’animale continuò durante le Età del Bronzo e del Ferro, come fa
intuire il rinvenimento di numerose sculture con setole di
proporzioni esagerate nell’Europa centrale e occidentale, soprattutto
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nella Britannia celtica e romana.
Tacito, in “Germania”, scrive che le tribù degli Aestii (gli antichi
prussiani) veneravano la Madre degli dei e, come suo simbolo,
portavano figure di cinghiali. Questo amuleto avrebbe
protetto un devoto della Dea persino tra i suoi nemici
Nella mitologia norvegese, Freya, Dea della Morte e
della Rigenerazione dotata delle proprietà di una
Freya “Madre dei morti”, è strettamente legata al cinghiale,
forse per questo era soprannominata Syr, ovvero,
scrofa.
Dal Neolitico Antico in poi, l’uovo, è simbolo di nascita, fertilità e,
soprattutto, di rigenerazione. I vasi funebri hanno forma ovale, per
simboleggiare il grembo della Dea da cui la vita dovrà riemergere.
Anche se, l’ovale, come simbolo significativo, risale ad un epoca
precedente, cioè al Paleolitico Superiore.
Esistono alcune categorie nel simbolismo dell’uovo ricostruibili,
attraverso l’osservazione dell’associazione simbolica. La prima
comprende gli uccelli portatori di un uovo cosmogonico, la seconda
collega l’uovo con l’acqua e con il toro come generatori di vita, e la
terza associava le uova con i simboli del divenire; spirali, falci di
luna, corna, vortici, croci, X, serpenti e piante germoglianti. Il
processo del divenire è ben espresso da un vaso Tardo Minoico su
cui un uovo nel ventre di un uccello acquatico è rappresentato come
un seme che germoglia. Gli uccelli sono in mezzo e al di sotto di un
paio di corna di toro. A giudicare dalle composizioni sui vasi
Cucuteni, in cui un gigantesco serpente si snoda intorno a quattro
uova poste nei punti cardinali, vi è un legame anche tra l’uovo e il
serpente d’acqua o di terra.Queste rappresentazioni molto
probabilmente riflettono una connessione con quei miti della
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creazione che immaginano un uovo o un serpente cosmogonici alle
origini del mondo. Nell’antica Europa la colonna della vita era
considerata materializzazione della misteriosa forza vitale, tramite
tra il non-essere e l’essere; e questa forza vitale nucleare era
racchiusa nell’uovo, nel serpente, nell’acqua e nel grembo della Dea,
che si materializzava in una grotta, una cripta sotterranea o una
struttura megalitica.

Le colonne della vita


compaiono incise su
pietre nelle tombe a
forma di grembo della
Bretagna, dell’Irlanda e
della Spagna e nei templi
di Malta. Le colonne
ascendenti di archi

Gavrinis - interno multipli, triangoli,


losanghe e motivi a felci
o ad abeti sono piuttosto frequenti sugli ortostati delle tombe a
corridoio. Esse sono associate all’acqua vitale e a quelli dell’energia.
Spesso le colonne si combinano a elementi antropomorfi: vulve,
occhi a spira di serpente e occhi a sopracciglia della Dea Civetta. Uno
dei più ricchi monumenti megalitici della Bretagna è la tomba a
corridoio del Tardo Neolitico di Gavrinis. Persino la posizione ha
implicazioni religiose. Circondata dall’acqua, la primordiale fonte
della vita, oggi occupa una piccola isola nel golfo di Morbihan; è
allineata con il sole che sorge nel solstizio d’inverno, ma il corridoio è
orientato verso il punto estremo dove sorge la luna. L’ampio uso di
motivi a onda e ad archi concentrici si armonizza con il circostante
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elemento acquatico. Il simbolo dominante è il semicerchio
concentrico collegato o circondato da linee ondulate multiple e forme
serpentine. Alcuni ortostati sono decorati con archi concentrici
sovrapposti in colonne verticali. Quelli in posizione centrale sono più
larghi e hanno una sporgenza simile a un omphalos.
Quest’immagine è un simbolo della forza generatrice nascente.
Risalta il segno centrale a vulva, che in realtà è un simbolo del
centro. I segni sovrapposti sembrano affermare che la creatività della
Dea è inesauribile e proviene dal profondo del cosmo, come indica la
varietà di configurazioni acquee adiacenti. Il ”divenire” è al centro
della cosmologia che ha ispirato gli artisti della “Cattedrale della
Rigenerazione”di Gavrinis. La rigenerazione è il tema principale
anche negli ortostati e le pietre miliari di Newgrange, di Knowth, di
Dowth nella valle del Boyne in Irlanda.
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Marija Gimbutas, in linea con altri grandi esperti afferma che le
grotte, le fenditure e le caverne della terra sono
manifestazioni naturali dell'utero primordiale della
Madre. Le gallerie strette, le zone di forma ovale, le
fessure e i piccoli diverticoli, appaiono decorate o
Fessura in un
dolmen
imbrattate totalmente di rosso. Il colore rosso
dovrebbe simboleggiare il colore degli organi rigeneratori della
Madre". «Nel Sud e Sud-Est d'Europa» prosegue Gimbutas «le tombe
neolitiche erano ovali, prendendo le forme simboliche dell'uovo e
dell'utero. Tali tombe, con le sepolture in pithoi (collocazione del
cadavere in posizione fetale, dentro un vaso con forma di uovo) e le
tombe forno, esprimono l'idea del seppellimento nell'utero umano,
cosa analoga al fatto di impiantare il seme nella terra e, pertanto, è
naturale che si sperasse che da una vita vecchia ne sorgesse una
nuova (...). Nelll'Ovest dell'Europa, dove si usarono megaliti
nell'architettura funeraria, il corpo della Dea è magnificamente
rappresentato; le cosiddette tombe "cruciformi" e "a doppio ovale"
sono, indubbiamente, antropomorfe. Anche i templi di pietra di
Malta hanno i contorni che coincidono con le figurine di terracotta e
pietra della Dea, e alcuni monumenti sono addirittura repliche delle
figurine della Dea Gravida nelle linee generali del loro contorno (...).
La forma più antica della grandiosa architettura megalitica è il
sepolcro a corridoio. La grotta naturale, con le sue connotazioni in
relazione al ventre interno della Dea (vagina e utero), probabilmente
fu l'ideale di partenza per la costruzione di queste strutture
monumentali in superficie; la forma di base un corridoio più o meno
lungo e una camera circolare con copertura a volta risale al V
millennio a.C. in Bretagna». Come anticamere misteriose di un
mondo sotterraneo,le caverne sono oggetto,simbolicamente ricco di
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molti culti,miti e leggende. Sono i più antichi santuari dell’umanità,
ornati di pitture e graffiti. Già al tempo dell’era glaciale molte di esse
venivano considerate sfere dell’altro mondo. Non erano abitazioni,
ma luoghi di culto. Vanno interpretate come simboli del grembo di
una madre partoriente. Spesso erano considerate luoghi in cui erano
nati dei ed eroi,dimore di sibille preveggenti e di eremiti…
Comunemente le caverne sono considerate il palcoscenico del
mondo simbolico e cultuale ctonio cioè dedicato alla Terra e al
mondo sotterraneo, come luogo di contatto con le forze e i poteri

delle profondità.

Grotta- dolmen
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Grotta

La stalla di Betlemme dell’iconografia cristiana, dove la Madonna, da


alla luce il Bambino Divino,è rappresentata sottoforma di grotta
rupestre, e in una tomba rupestre viene sepolto Gesù per poi
risorgere . Secondo gli antichi popoli europei, gli organi femminili
(vagina, utero)erano messi in relazione con le caverne, associando la
sessualità alla fertilità . Nella visione mitico-simbolica del mondo
della tradizione irlandese, le leggende sulle caverne hanno un ruolo
importante.
Dalla caverna di Cruachan , detta anche Porta dell’inferno, sarebbe
uscita un’immensa schiera di uccelli che con il loro fiato inaridirono
gli esseri umani e la natura. La terribile Dea Morrigan si trovava in
un’altra caverna , mentre gli eroi Conan e Finn, che si impigliarono
in un filo mal arrotolato delle streghe, furono quasi trascinati nel
mondo sotterraneo. Nel simbolismo dei sogni , secondo la psicologia
del profondo la via piena di pericoli attraverso una caverna
oscura,viene talvolta interpretata come ricerca di un senso della vita
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attraverso le stratificazioni ereditarie dell’inconscio
materno, altre volte come il simbolo di una
regressione nell’oscurità, desiderata e sicura della
vita prenatale. Entrare nella caverna, in termini
Dolmen
psicologici, significa tornare nel grembo materno,
negare la nascita, scendere nell’ombra e nel mondo notturno
dell’indistinto.E’ la rinuncia alla vita terrena per favorire la vita
superiore di chi non è nato. Nella caverna non esiste tempo, non c’è
ieri e non c’è domani,poiché in essa il giorno e la notte sono
indivisibili. Secondo la studioso Mircea Eliade
questo isolamento rappresenta un’ “esistenza
larvale” come quella dei morti nell’aldilà. Per
questo motivo la caverna diventa frequentemente
il luogo di accoglienza di forme simbolici-rituali legate all’iniziazione
e alla rinascita a un livello superiore dell’esistenza. Come la caverna
la porta costituisce, in quanto ingresso e utero, uno dei simboli
primordiali della Dea madre. La struttura del dolmen, due pilastri
verticali sormontati da uno orizzontale , è una delle rappresentazioni
più antiche della triadica natura del femminile. Il principio
femminile del dolmen e della porta è sempre connesso tramite
l’utero, con la rinascita. Ciò è dimostrato non solo dal folklore dei
paesi dove appaiono tali dolmen ma anche dalle culture della pietra
tuttora permanenti. Il dolmen è anche la dimora sacra, e il suo
ampliamento non è costiuito dal tempio ma anche dal recinto sacro.
Il più antico recinto sacro dei primordi, è forse quello in cui le donne
partorivano, il luogo in cui domina la Grande Dea e in cui come
avviene ancora nei tardi misteri femminili il maschile viene escluso.
E’ dunque evidente che non solo il luogo della nascita è ovunque
sacro per il femminile ma anche che esso è il centro di tutti i culti
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dedicati alla Grande Dea, come signora della nascita , della fertilità e
della morte.

Newgrange
Le colline sacre sono state oggetto di culto fino al XX secolo. La
Madre Terra era celebrata sulla sommità dei monti coronata con
grandi pietre. Queste pratiche sono testimoniate
nella Creta minoica e moderna a sud, nelle isole
britanniche a ovest. Le pietre della Madre Terra
dotate del potere di concedere la fertilità alle
donne sterili hanno una superficie levigata. In
Germania e nei paesi scandinavi una pietra
piatta con le superfici levigate è chiamata
Brautstein, o pietra della sposa. Le giovani spose
vi sedevano sopra o vi si strusciavano per avere
fertilità. La glissade, “scivolata” in francese,
praticata segretamente in Francia nel XVIII e XIX
secolo, richiedeva il contatto delle parti
posteriori con la pietra. Le pietre inclinate si
Menhir
prestano meglio a questo scopo. La continua
ripetizione della cerimonia da parte di numerose generazioni ne ha
levigato le superfici. Strofinare l’ombelico nudo o lo stomaco contro
un menhir e in particolare contro una sporgenza, una protuberanza
rotonda o un’irregolarità della pietra, assicurava, fertilità,prosperità
e rigenerazione.). Una protuberanza rotonda e perfino un’irregolarità
su un menhir erano considerate il punto in cui l’energia divina era
concentrata: in altre parole, un omphalos. L’usanza è ampiamente
documentata in Europa e ovunque è definita “antica”. Grosse pietre
con le superfici piatte dedicate a Ops Consiua, Dea romana della
Fertilità della Terra, erano tenute in buche scavate nella terra coperte
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con la paglia. Venivano scoperte solo una volta l’anno alla festa del
raccolto. Circa 1500 anni dopo, la stessa tradizione si registra
nell’Europa settentrionale. In Lituania, gli annali dei gesuiti del 1600
descrivono grosse pietre piatte interrate e coperte di paglia; erano
chiamate Deives, “Dee”. La pietra dunque è la Dea in persona. Il
folclore europeo ha ricordi di colline magiche che si aprono se si
bussa. Una bella signora conduce l’eroe del racconto alla collina e
bussa tre volte o conosce una formula magica per aprirla; la collina si
apre e dentro siede una Regina in pieno splendore. E la Dea
preistorica della Fertilità della Terra, la Regina che possiede i segreti
della vita delle piante. I menhir emanano una misteriosa vibrazione
psichica. Ancora oggi, esseri umani e animali sono attratti dal loro
potere magico. La gente li tocca o compie tre giri intorno ad essi per
guarire, il bestiame malato viene condotto a strofinarsi contro di essi.
Il menhir è la Dea. Sappiamo che il menhir è la manifestazione della
Dea Civetta dalle stele preistoriche provenienti da molti paesi
europei. Nei racconti popolari , il menhir è la dimora della Brigit
irlandese fino al xx secolo.
La triplicità, luna crescente, luna piena e luna calante, è un motivo
molto comune ,ancora presente nel codice moderno internazionale di
simboli del ciclo lunare. Il ciclo lunare sulle antiche ceramiche
europee è rappresentato da falce di luna destra, luna piena e falce di
luna sinistra Sono comuni anche le falci di luna opposti sui lati di
una grande spira di serpente. Il ciclo lunare è a volte anche
rappresentato da quattro cerchi: luna crescente, luna piena, luna
calante e un cerchio più piccolo per la luna nuova. Probabili cicli
lunari compaiono su una colonna dentro figure a forma di civetta (la
Dea Civetta) queste immagini sono incise sugli ortostati della tomba
a corridoio di Les Pierres Plates a Locmariaquer, in Bretagna. Su una
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pietra un punto dentro un cerchio è seguito verticalmente da una
luna crescente, una luna calante e un cerchio incompleto. Su un altro
ortostato tre cerchi fiancheggiano una colonna. Sull’ingresso della
tomba a camera di Mandra Antine, a Thiesi, in Sardegna vi sono una
coppia di corna taurine, a ognuna delle quali sono uniti tre dischi
rossi. Un quarto disco marrone, forse la
luna piena , è unito sui lati a un quadrato
(simbolo della Terra) . Tra le corna
compaiono tre figure a clessidra. Il soffitto
della camera è diviso in venti sezioni, sette
delle quali figurano in giallo su marrone,
Tomba a camera di Mandra falci di luna, mezzelune o semicerchi e lune
Antine
piene o spire di serpente. Questi cicli lunari
nelle tombe, per l’associazione con le immagini della Dea, fanno
pensare ad un’arcaico legame psicologico e filosofico tra il ciclo
lunare e il ruolo rigeneratore della Dea nei cicli di nascita, morte e
rinascita. Spirali opposte, falci di luna, serpenti sono configurazioni
intese come simboli del divenire. Le spirali compaiono nelle grotte
del Paleolitico Superiore associate con forme serpentine, zig-zag,
falci di luna, cervidi, bovini con corna a forma di falci di luna. Questo
motivo, è universale in tutta l’Europa, è presente presente su sigilli,
placche, altari, piatti,vasi decorati, vasi antropomorfi, e statuette.
Esso si protrae con con forza nell’arte minoica, cicladica e micenea.
Su un un vaso proveniente da Teiu, presso Bucarest, due coppie di
serpenti girano la ruota della vita e sono associati a figure di tori,
simboli di forza vitale. Queste queste associazioni continuano per
millenni. I segni delle corna, del serpente, e della spirale sono
praticamente inseparabili, visto che la spirale può essere considerata
sia una geometrizzazione artistica sia un’ astrazione simbolica del
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serpente in movimento. La luna è diventata nell'immaginario
umano simbolo ricettacolo dello sperma e delle anime dei trapassati
(nel suo aspetto di creatura che periodicamente scompare) , quindi
simbolo di vita e di morte,come il serpente che spesso la raffigura ( la
Dea dei Serpenti minoica) : simbolo quindi dei ritmi biologici, in cui
la morte è in realtà l'inizio di una nuova rinascita. Quindi la luna è il
tempo che passa (come mostrano le tacche nella luna-corno della
Venere di Laussel), delle variazioni periodiche, già evidenti ed
osservate dall'alba dei tempi. Di lei gli esseri umani fin dalle origini
hanno colto soprattutto il cambiare forma, passando attraverso fasi
diverse, proprio come la donna-madre, cominciando dalla ritmicità
dei cicli mestruali, legati anch'essi alle fasi lunari: simbolo di
tasformazione e di crescita .soprattutto ricettacolo dei semi d ella
fecondità ciclica. Le feste della luna non a
caso sono feste delle coltivazioni, essendo
la luna prototipo di fecondità: essa
presiede il rinnovamento periodico nel
mondo animale, vegetale e umano,
fecondità fusa nel culto della Grande
Madre. Si capisce quindi come questo
movimento ciclico possa essere stato pure
messo in relazione col simbolismo lunare
di Giano, dio bifronte per eccellenza: la
Venere di Laussel
luna è porta del cielo e porta dell'inferno.
La luna è anche simbolo del sogno e dell'inconscio, che fanno parte
della vita notturna Proseguendo nella storia della raffigurazione , in
epoca paleolitica, datata a 12000 anni a.C:, troviamo la nota Venere di
Laussel, incisione su pietra trovata all'entrata di una grotta. La figura
femminile tiene nella mano destra un corno di bisonte, che però
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potrebbe anche essere una mezza luna crescente, incisa con dei segni
che si riferiscono al mese lunare.

Con la mano sinistra la Venere indica il proprio ventre, ma il suo


sguardo è rivolto un verso la luna crescente, forse volendo indicare
la possibilità di essere pregna,data la corrispondenza tra le fasi lunari
e le mestruazioni della donna. L’ocra rossa di cui era ricoperta la
Venere allude al sangue mestruale. In ogni caso, il corno stesso è un
un segno di pienezza, di ricchezza di vita , da cui probabilmente il
simbolo della cornucopia ( Dal latino cornu copiae , cioè corno
dell’opulenza, corno della Capra Amantea, mitica nutrice di Giove ,
traboccante di frutti e ornato d'erbe e fiori, dono che Giove offrì alla
sua nutrice dopo averle accidentalmente spezzato un corno nel
giocare). Le corna del toro sono associate alla luna, dato che le corna
dei bovidi sono correlate alla Magna Mater, intesa come divinità
suprema della fertilità. Esse alludono pure alle vacche, da sempre
correlate alla donna, come fonte di vita attraverso il latte. Non deve
stupire la possibilità di una simile connessione metaforica, dato che
l'incisione stessa presenta un certo grado di astrazione, in quanto
l'artista preistorico ha raffigurato con grande precisione realistica il
corpo della donna, mentre il volto è raffigurato con uno stile astratto.
Corna e luna sono da tempi immemorabili associate anche per la
forma a falce. Il corno dunque simboleggia sia la luna crescente
( indizio di questo sarebbe il modo di dire "i corni della luna", che
certo rimanda all'associazione luna-corno, e che trova riscontro nel
fatto che in molte culture il corno è considerato simbolo della luna
nuova), che la vulva, sorgente di ogni vita. Il corno della Venere di
Laussel, come si è già ricordato, è inciso con 30 tacche, che
corrispondono ai 13 mesi lunari dell'anno: infatti lune piene e lune
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nere sono 13 in un anno.. Presso molte mitologie del nord Europa
appare una potente divinità femminile con l'aspetto di mucca.
Presso le più antiche civiltà la luna, sia come mezza luna che come
luna piena o serpente o onda,
simboleggia il ciclo lunare che si
ripete. Quasi sempre l'immagine
della luna è accostata a quella
della donna, quale simbolo di
fertilità, ma anche , come si è
detto, quale simbolo di
comportamento mutevole, come
mutevole è l'aspetto della luna,
talvolta rasserenante, talvolta i
inquietante (luna nera). Presso le
più importanti civiltà storiche, dei
Greci e dei Romani, la luna fu

Dea dei Serpenti minoica


venerata sotto molteplici aspetti e
nomi:Cibele, Selene, Artemide,
Ecate ( l'inquietante dea dell'oltre tomba) in Grecia; Lucina, Trivia e
Diana presso i Romani. Infine la minoica Dea dei serpenti (1600
a.C.),trovata nel palazzo reale di Cnosso, a Creta, dea madre della
fertilità. Figura centrale nella religione minoica, ha in mano due
serpenti, simbolo di morte e di rinascita, ma che rappresentano pure,
nella loro ondeggiante ritmicità, la periodicità della luna, sicchè
anche questa figura ribadisce l'identificazione luna-donna nei suoi
aspetti trasmutativi e generatori. E' poi significativa la centralità del
mito del Minotauro a Creta: ancora una volta, un emblema della
luna, sotto forma di corna.
Tra il quattromila e il tremila a.c., la figura della Dea Madre subì una
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profonda metamorfosi; perse il ruolo di divinità universale e divenne
una comprimaria. Con il rafforzarsi dei culti di altri dèi dagli
attributi maschili, che presero il sopravvento sul matriarcato, le dee
primordiali furono declassate a diavolesse o spiriti maligni. La civiltà
divenne così misogina, che presso gli antichi Greci le “diavolesse”
erano considerate come geni femminili, rapitrici di bambini e
d’anime di vivi e morti. Esse erano relegate in un pantheon minore,
di creature marginali rispetto al vivido mondo degli dèi e degli eroi
greci, ed avevano nomi che ancor oggi risvegliano solo immagini
nefaste: le Arpie, le Chere, le Moire, le Lamie e le Erinni. Le Arpie
erano anticamente due, e il loro operato era riassunto nei loro nomi:
aello o Nicotoe, ”la burrasca”, e Ocipete, “vola svelta”, ma in alcune
fonti ne viene nominata anche una terza, ovvero Celeno, “l’oscura”.
Per nulla avvenenti, il loro corpo era di un uccello con la testa di
donna e artigli aguzzi. I Greci ponevano la dimora delle Arpie nelle
isole Strofadi del Mar Egeo. Come rapitrici d’anime la loro immagine
era a volte riprodotta sulle tombe, nell’atto di trasportare l’anima del
morto tra gli artigli. Per i Greci, l’unico destino da riservare alla
donna era quello d’essere moglie e madre, (con l’opportuna
eccezione delle etère, riservate al piacere personale) neppure le Arpie
sfuggirono alla procreazione: il divino Zefiro si unì a loro ed esse
generarono …cavalli (!) I loro figli, infatti, furono Xanto e Bailo, che
divennero i cavalli d’Achille, e i velocissimi Flogeo e Arpago, cavalli
dei Dioscuri. C’è una certa somiglianza tra le Arpie e le Chere, che
compaiono spesso nell’Iliade, dove quest’ultime rappresentano il
destino, che nel momento della morte porta via dal mondo dei vivi
l’eroe. Anche le Chere erano alate, con unghie lunghe ed aguzze e,
in soprappiù, grandi orribili denti bianchi con i quali straziavano i
cadaveri e bevevano il sangue dei feriti, tant’è che il loro mantello era
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tutto chiazzato di sangue umano. La loro funzione non si limitava
esclusivamente a “spazzolare” i campi di battaglia, ma
rappresentavano anche il destino di ognuno, al pari delle Moire, le
quali però non erano né violente né sanguinarie. Una delle immagini
più affascinante delle Chere è quella descritta da Omero: durante lo
scontro che vede opposti Ettore ed Achille, Zeus, in presenza di tutti
gli dèi, pesa la Chere (il destino) dei due eroi
su una bilancia, per sapere quale dei due
dovrà perire nel combattimento. Il piatto con
la Chere d’Ettore scende verso l’Ade e
Apollo, che fino a quel momento aveva
protetto Ettore, abbandona l’eroe troiano. Arpia
Omero ci fa intuire che le Chere
esercitassero sulla vita un potere che era
superiore a quello degli stessi dèi,
probabilmente un antico retagg io del potere distruttivo-creativo
delle Grandi Madri, e che la loro decisione era inappellabile. Ma ci fa
anche intendere che esse erano estromesse dalla sfera religiosa, e che
a loro non era riservato alcun culto, mentre al vasto pantheon
olimpico erano invece eretti splendidi templi e per il quale erano
officiate le cerimonie e le feste religiose. Platone considerava le Chere
alla stregua delle Arpie: esseri infernali che insozzavano la vita degli
esseri umani. Il popolo offriva loro dei sacrifici di sangue, non per
venerarle, ma a scopo scaramantico, per placarle . Anche Lamia era
assetata di sangue umano: era un creatura mostruosa che rapiva i
bambini e li divorava ed era il racconto preferito narrato dalle balie
ai bambini. La storia di Lamia è molto triste:, era stata amata da
Zeus, che si era unito a lei numerose volte, e Lamia aveva partorito
molti figli. Ma la dea Era, gelosa, aveva fatto morire tutti i bambini
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man mano che nascevano, finché Lamia si era rifugiata piangente in
una grotta solitaria e, per la disperazione, era diventata un mostro
invidioso delle madri più felici di lei . La dea Era, inesorabile, la
privò del sonno, ma Zeus, impietosito, le concesse il dono di deporre
gli occhi e di riprenderli dopo che avesse riposato. A volte si davano
a Mormo, altro dèmone femminile greco, le stesse caratteristiche di
Lamia. Più tardi Lamia divenne più di una e assunse un aspetto
giovane e seducente, senza abbandonare la sua natura demoniaca. Le
Lamie, con la loro bellezza, adescavano i fanciulli e i giovanotti, ai
quali succhiavano il sangue. La figura delle Lamie sopravvisse fino
al tardo medioevo, quando furono rappresentate come esseri
ermafroditi a quattro zampe, delle quali le posteriori munite di
zoccoli e le anteriori con artigli, un membro maschile, volto e seni
femminili. Le Erinni o  Furie, dee della vendetta, in veste di 
protettrici dell’ordine morale, erano chiamate Eumenidi. Si narrava
anche che il soprannome servisse a lusingarle e placarle, così che la
loro ira non ricadesse mai sul capo di alcuno. Le Erinni erano nate
dalle gocce di sangue cadute sulla terra in seguito dell’evirazione di
Urano, il padre di tutti gli dèi e, in origine, erano tanto numerose che
non si conosceva il loro numero preciso. Poi si assegnò loro un nome
e si limitò il loro numero a tre: Aletto, Tisifone e Megera. Venivano
ritratte come geni alati, con i capelli intrecciati di serpenti, reggenti
torce e fruste, che servivano a torturare le loro vittime fino a farle
impazzire. Abitavano l’Erebo, il luogo più oscuro degli inferi e
avevano un loro compito specifico: vendicare i crimini, in particolar
modo quelli contro la famiglia, come si apprende nella tragica sorte
toccata al matricida Oreste. Esse impedivano anche agli indovini e ai
profeti di essere troppo precisi nei loro vaticini, affinché gli uomini
non potessero mai elevarsi completamente dalla loro condizione
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inferiore e diventare simili agli dèi. I Romani “ereditarono” le Erinni
dai Greci e, subendo probabilmente l’influenza etrusca, che poneva
nel mondo infero esseri mostruosi che torturavano i morti, le
collocarono nel loro Tartaro, dove tormentavano e terrorizzavano le
anime dei morti. Una delle triadi più conosciute è quella delle Parche
romane e delle Moire greche. Loto tesseva la trama della vita,
Lachesi la conservava e Atropo, inesorabilmente, la tagliava. Altra
triade femminile è quella delle Gorgoni: Stimo, Euriale e Medusa,
esseri terrificanti anch’ esse dotate di ali e capigliatura serpentina.
Sorelle delle Gorgoni, le Graie, Enio, Pefredo e Dino: le “Vecchie”
dalle “belle guance”, possedevano un occhio e un dente in comune.
Lo splendore femmineo della Dea Grande Madre era ormai
obnubilato. Il simbolismo della Dea della morte o Madre Terribile
trae le sue immagini prevalentemente dal lato interiore, il carattere
negativo del Femminile si esprime in immagini fantastiche e
chimeriche, che non derivano dall’esterno. Questo si comprende
poiché il Femminile terribile è un simbolo dell’inconscio, il lato
oscuro della Madre in Etruria, in Grecia, a Roma prende forme
mostruose.
Dai miti e dalle fiabe di tutti i popoli, tempi e paesi con una
somiglianza incredibile, anche oggi, di notte, nei nostri sogni più
angoscianti, appaiono inquietanti streghe . La metà oscura dell’uovo
cosmico mezzo bianco e mezzo nero , che è un modo di concepire
l’archetipo del femminile, come abisso notturno della vita e della
psiche umana, genera le sue terrificanti creature. Se il mondo, la vita,
la natura e la psiche sono concepiti come femminile che genera e
nutre, protegge e riscalda, anche i loro opposti vengono percepiti
come immagini del femminile: morte, distruzione, pericolo e
bisogno,mancanza di protezione, sono vissuti dall’umanità come un
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soggiacere alla Madre Oscura. Il grembo della terra si trasforma nelle
fauci divoranti e mortali del mondo sotterraneo,e accanto all’utero
da fecondare e alla cavità protettiva della terra si spalancano l’abisso
e la caverna, l’oscura cavità profonda, l’utero divorante della tomba e
della morte, dell’oscurità priva di luce e del nulla. Infatti questa dea
che genera la vita e tutto ciò che è vitale è la stessa che tutto divora e
riprende dentro di sé. Questo femminile terribile è la terra affamata
che divora i propri figli, è il femminile fecondato e appagato che
espelle ciò di cui si è nutrita con una nuova nascita, verso un’altra
morte e verso la rinascita. Il terribile spirito ancestrale della cultura
matriarcale, in cui il femminile riprende in sé cio che da essa è nato.
Il mondo sotterraneo , l’utero terrestre è uno dei simboli archetipici
della Madre terribile. L’archetipo del femminile come terribile
divinità della terra e della morte è nella sua potenza divorante, la
terra in cui tutto marcisce. E’ , poiché divinità della terra “la
divoratrice dei corpi umani morti” e la “signora delle tombe”. La
terra giacché Gaia, è madre terra greca e signora del vaso, dal quale
essa stessa riemerge . Il pithos, “ grande vaso” , raccoglieva un tempo
i morti, e già quest’uso indica il legame con il “vaso sotterraneo”o
vaso-tomba. Gli antichi misteri eleusini fondavano le loro radici su
questo simbolismo; le provviste di grassi erano accumulate in pithoi
sotterranei. Così il simbolismo primaverile della crescita della
vegetazione dal vaso della terra e il simbolismo dell’estrazione del
seme dal mondo sotterraneo si rinforzano a vicenda. La sepoltura dei
morti nel vaso ha un origine pregreca e si estende a tutti i culti greci
dell’età del Bronzo. Un vaso mortuario simile è, ad esempio, il vaso
che riprende in se stesso il morto come un bambino nella posizione
fetale in Eleusi. Un’altra forma di esso è l’urna cineraria, nella quale
vengono raccolti i resti dei cadaveri cremati. L’urna-casa, come vaso
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cinerario esiste in Italia, e, nell’età del Bronzo, in Germania
settentrionale, in Danimarca e persino in Svezia. In molti paesi
dell’Europa Neolitica gli abitanti conservavano le membra dei morti
in urne costruite come le dimore dei vivi. Ecate viene spesso
rappresentata in forma triplice, tanto che l’appellativo che più spesso
accompagna il suo nome è quello di  Triformis.
Questo triplice aspetto la caratterizza come
nume tutelare dei crocevia, ossia dei punti
d’incrocio di tre strade dirette in opposti versi.
La formazione triadica è tipica del mondo ideale
dell’antichità e spesso si applica alle divinità
femminili potenti. Essa si associa all’idea del
ciclo e dell’evoluzione sia in termini temporali,
come passato-presente-futuro, (si pensi che
anticamente la divisione del mense era tripartita,

Ecate e  le tre fasi lunari del mese erano proprio


rappresentati dalla Ecate lunare) che di
evoluzione coscienziale, come cammino dallo stadio caotico-
uroborico a quello celeste. Ecate, pertanto, può assumere sia il volto
di una fanciulla, che quello di donna e di vecchia. Oppure, arricchita
di attributi simbolici ulteriori, essa appare spesso in forma ferina: con
le sembianze di cane, serpente, cavallo o leone, a seconda delle
tradizioni. La sua iconografia si completa di altre variabili: in mano
può portare delle torce accese, un ramoscello d’ulivo, una chiave o la
cosiddetta “trottola magica”. Ai piedi calza dei sandali dorati. Nella
sua forma celeste indossa delle vesti bianche, mentre l’aspetto
infernale è caratterizzato da un abbigliamento di colore nero. Spesso
è l’accompagna un segugio o una schiera di cani ululanti. La seconda
apparizione di Ecate nella letteratura greca è l’omerico Inno di
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Demetra, sulla cui autenticità gli
studiosi non sono del tutto
concordi, considerandolo per la
maggior parte un’interpolazione
successiva. In ogni caso, il brano va
certamente interpretato come la
prima esplicita allusione alla dea
nel suo ruolo di guida nei luoghi e
nei momenti di passaggio o
transizione. Vi è il racconto del
ratto di Persefone da parte di
Hades, a cui Ecate assiste come
testimone, assieme al dio Helios.
Ecate Triforme
Successivamente diviene una sorta
di messaggera per Demetra,  per rientrare in scena in I. 438, 
immediatamente dopo il ritorno di Persefone sulla terra. Da quel
momento, come recita l’inno, “la regina Ecate divenne colei che
precedeva (propoloz) e seguiva (opawn) Persefone”: pertanto, è sia una
guida che una protettrice. Il testo lascia sottintendere, quindi, che
Ecate accompagni fisicamente Persefone nel suo itinerario di discesa
agli inferi e in quello della successiva ascesa in terra. Dal momento
del ratto, il viaggio si ripeterà ogni anno, e per ogni anno Ecate farà
da scorta alla figlia di Proserpina. In tal modo, essa acquisisce una
nuova caratterizzazione e il ruolo più ampio e generalizzato di
traghettatrice delle anime dei defunti. Nella Teogonia esiodea Ecate è
quindi la figura numinosa e tutelare delle strade, in particolare nei
punti dove esse si incrociano. A Roma sarà Trivia: come suggerisce
l’etimo del termine, essa prende nome e forma proprio da questa sua
connessione con il trivium stesso, la zona di incontro di tre vie.
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Pertanto, essa deriverà l’appellativo e la caratterizzazione di
triforme, che la rappresenterà, nell’iconografia tradizionale, come
figura luminosa dal triplice aspetto e dal triplice volto: umano nella
sua forma terrestre, equino nella sua veste lunare e canino nel suo
habitus infernale. In Eschilo e Aristofane la dea viene menzionata
come nume tutelare di porte e accessi, con l’epiteto di Propylaia: pare
che le fosse consacrato un culto sull’Acropoli di Atene e in
particolare al suo ingresso, i Propilei appunto, dov’era collocata a
protezione della rocca una statua della dea. Anche Pausania fa cenno
a questa tradizione, citando una Hekate epipurgdia, la cui
rappresentazione nel suo aspetto triforme veniva venerata
sull’Acropoli accanto al tempio di Nike. Con ogni probabilità si tratta
della stessa Ekate Propulaia citata da Eschilo.  Ecate assume il ruolo
di guida e di protettrice dei passaggi non solo fisici ma anche
temporali. E’ così che essa diviene anche la divinità che presiede alla
nascita e alla morte venendo invocata – non a caso – in momenti
astrologici di particolare pregnanza simbolica, come ad esempio il
plenilunio. In Senocrate troviamo per la prima volta il nome di Ecate
in esplicita associazione alla Luna, in relazione alla teoria platonica
secondo cui l’astro notturno avrebbe una funzione di
intermediazione tra il mondo sensibile e quello intelligibile. La sua
natura di tramite è collocata da Senocrate all’interno di un sistema
tripartito, dove il sole e le stelle occupano la parte, per così dire
superiore (o la prima pukna, come lui stesso la definisce), la terra e le
acque quella inferiore e la luna quella mediana. Questa concezione
rimanda anche alla teoria medica di Ippocrate, che assimila la Luna
al diaframma, ossia alla zona mediana del corpo umano. Ma la luna
non è solamente un’intermediaria, essa segna e definisce un limite
tra due zone ben distinte; anzi è di per sé stessa un limite, un confine
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tra quei due mondi. E’ proprio in questi termini che ne parla
Plutarco, descrivendola come una barriera che divide il mondo fisico
da quello spirituale. Inoltre, essa viene descritta come l’agente di una
mediazione - e pertanto di una trasmissione - del principio vitale
stesso. Già Porfirio ed Eusebio stesso si erano riferiti ad Ecate
chiamandola “Luna”; lo stesso accade nei papiri magici, dove il
nome della dea diviene intercambiabile con quello di Selene.
Precedentemente, la stessa assimilazione con la Luna era spettata ad
Artemide, divinità con cui Ecate verrà a sua volta identificata e di
conseguenza confusa. Già con gli Stoici (II sec. a.C.) si tenta di
tracciare un parallelo tra Apollo/Sole e la sua sorella gemella
Artemide, che diviene transitivamente, “Luna”. Dai tempi di
Plutarco, l’associazione di Artemide con la luna è ormai una
consuetudine .

“Eccomi, una vergine con varie forme, che vaga nei cieli.”

Un frammento di Porfirio ci presenta un vero e proprio ritratto di


Ecate, nel suo aspetto sincretico: la divinità viene qua descritta in
alcuni suoi attributi come Selene, come Eleithya e come Artemide:

“con volto di cane, tre teste,


inesorabile, con dardi dorati ... ”
Altre prove della corrispondenza
tra Ecate e la Luna si ritrovano in
Seneca e nel già citato Plutarco.
Ecate è chiamata in causa dalla
maga Medea assieme ad altre
entità del mondo ctonio per
invocare il ritorno di Giasone

incisione cinquecentesca raffigurante


Ecate triforme
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dall’Ade, a Seneca, che nell’Oedipus fa recitare a un veggente, intento
a invocare le ombre del Tartaro, le seguenti parole:“Il cieco Chaos si
sta spalancando, e al popolo di Dite si apre una strada verso il regno
superno!”, non appena sente l’ululato dei cani infernali che fanno
sempre da scorta ad Ecate. La dea, quindi, apre il passaggio al corteo
delle anime defunte. Al contrario, essa può anche impedire il loro
ritorno: è in questi termini che la menzionano Apuleio e Luciano, che
descrive la dea mentre dalla Terra ridiscende nelle dimore infernali
accompagnata dal suo corteggio di anime.

Anche la Sibilla di virgiliana memoria invoca Ecate “potente in Terra


e in Cielo”, prima ancora di Persefone, la Notte e la Terra, e le offre
un sacrificio affinché le dia accesso alle terre dell’Ade. Nel Bellum
Civile di Lucano assistiamo a una scena ambientata in una grotta
descritta come un luogo “a metà tra il mondo supero e quello
infero”, dove Ericto tenta di rianimare un cadavere con l’invocazione
di Ecate, nume che le permette di entrare in contatto col morto. In
relazione a questo aspetto  magico-stregonesco, è necessario
menzionare quelle entità demoniache denominate negli oracoli
“cani” e ritenute tradizionalmente far da scorta ad Ecate nelle sue
epifanie. Si tratta di creature divoratrici di anime, esseri menzogneri
e malvagi  che si approfittano della debolezza umana per ingannare
e terrorizzare i mortali, allo scopo di far loro deviare il cammino
verso la purificazione. Il cane è spesso nominato ed associato, quindi,
al lato più oscuro di Ecate. Ne parla Orazio nella ottava Satira,
quando descrive il rituale di evocazione negromantica officiato dalle
due megere Sagana e Canidia: mentre esse eseguono l’orrenda
cerimonia, che prevede il sacrificio di  un’agnella nera, i cani
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infernali di Ecate ululano in lontananza.
Anche Virgilio nomina questi cani ululanti
che accompagnano l’arrivo della dea; così
come Apollonio di Rodi che li descrive
mentre abbaiano raucamente, quando

Cerbero cane tricefalo


un’Ecate terrificante, la chioma formata da
gurdiano degli Inferi
orribili serpenti, emerge dalla terra.
Licrofone fa dire a Cassandra come sua madre Ecuba spaventerà i
mortali col suo abbaiare sinistro, accodandosi alla schiera dei cani
che accompagnano Ecate nelle sue scorribande notturne. Questi
demoni-cani sono paragonabili, quindi, ai fantasmi notturni che si
credeva accompagnassero la dea durante le sue apparizioni e
potevano portare l’uomo alla pazzia. Il loro compito era quello di
esaudire le invocazioni e le maledizioni pronunciate dal mago nel
corso delle cerimonie negromantiche, in cui non si mancava mai di
pronunciare il nome di Ecate. Tornando a considerare lo schema
triadico, si  pensi, infine, alle Muse, che originariamente dovevano
essere tre e solo  in seguito vennero aumentate alla seconda potenza,
in numero di nove. Anche nella latinità classica ritroviamo diverse
divinità femminili a struttura ternaria, chiamate genericamente
Matronae. Lo stesso accade in altre tradizioni e culture, anche in
tempi più recenti: si pensi alle Tre Beth di area alpina (Ainbeth,
Wilbeth e Warbeth, altrimenti dette Caterina, Barbara e Lucia), a cui
corrispondono le tre Norne di area germanica..Seguendo questa
lunga e nutrita tradizione, anche Ecate si  presenta in forma triadica.
Ecco cosa possiamo leggere in uno dei noti Papyri magici:

“Accostati a me, divina signora, Selene dai tre volti […]


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regina che porti la luce a noi mortali,

tu che chiami dalla notte, faccia di toro, amante della solitudine […]

dea dei crocicchi […]

Sii pietosa con me che t’invoco,

ascolta gentile le mie preghiere,

tu che regni di notte sovra il mondo intero”

E ancora, nel Paradiso di Dante

“Quale ne’pleniluni sereni

Trivia ride tra le ninfe eterne


che dipingon lo ciel per tutti i seni”

Come è evidente, Ecate è stata interpretata come figura triadica in


relazione alla Luna e, in particolare, al ciclo delle sue fasi (nascente,
crescente e calante), oppure, similmente, nella sua rappresentazione
antropomorfa, come fanciulla, donna e vecchia.  Si consideri come
essa venga sempre al concetto della metamorfosi o trasformazione
riguardo al trascorrere del tempo o meglio ancora in relazione al
compiersi di un percorso circolare, che dalla nascita porta alla morte
e viceversa, attraverso la rigenerazione e la resurrezione. Oppure,
Ecate triadica è Trivia, nume tutelare di  porte e crocevia, quindi
divinità mediatrice e guida nei passaggi. La sua funzione, tuttavia, è
analoga, se non la medesima. In ogni caso, infatti, il ruolo della dea è
quello di aiutare e favorire il compiersi di un percorso che presenta
delle tappe intermedie. Ecate, nella sua veste infernale si presenta
come già evidenziato in precedenza - sotto forma canina. Il cane è un
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animale associato al mondo ctonio, basti pensare al già citato
Cerbero, guardiano dei cancelli dell’oltretomba. Poiché lo si
considera una guida fedele durante la vita terrena, il cane veniva
sacrificato ai defunti per accompagnarli nel viaggio ultramondano:
In relazione al mondo dei morti nella sua connotazione terrifica, il
cane viene associato ai demoni infernali e quindi al dominio
diabolico e stregonesco. Ricordiamo a tal proposito i cani-demoni
che fanno da corteggio a Ecate nelle sue apparizioni: latravit hecates
turba, testimonia Seneca in Oedipus, 568. Questi cani sono
infallibilmente neri, altro colore associato alla notte, alla morte, al
mondo infernale e ad Ecate, spesso identificata e nominata come
Luna nera. Il Cavallo; nonostante rappresenti la forza e la vitalità,
viene posto in relazione col regno dei defunti. Esso è caricato di una
forte ambiguità simbolica: è emblema solare se traina il carro di
Apollo, ma evoca la morte come cavalcatura dei cavalieri
dell’Apocalisse. Viene associato anche
alla magia e gli si attribuiscono facoltà
divinatorie e profetiche, soprattutto in
epoca medievale. In ogni caso, esso è
collegato all’idea di ascesi in particolare
nella sua rappresentazione alata
(Pegaso), quindi ben si adatta all’aspetto
celeste della dea triforme. Come si è già
accennato, alcune fonti tradizionali
attribuiscono alla forma terrestre di Ecate
un aspetto di leone o di serpente. Il leone
si associa al sole e alla forza. Al di là della
Ecate
sua tradizionale connotazione simbolica,
qui basti rilevare che esso viene spesso rappresentato come figura
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tutelare delle porte: Il Serpente; si collega, invece, alla morte e al
mondo infernale per la sua abitudine a nascondersi in luoghi
sotterranei; d’altronde esso può avere una connotazione positiva in
associazione alla vita, ma soprattutto alla resurrezione. Si consideri,
infatti, la sua capacità di rigenerarsi dopo la muta. Pertanto, esso
rappresenta la fede nella rinascita che, come abbiamo detto, è uno
degli attributi simbolici più forti e pregnanti della Ecate triforme
terrestre. Inoltre, si pensi alla figura dell’uroboros, il proverbiale
“serpente che si morde la coda”, simbolo del trascorrere ciclico del
tempo in un eterno ritorno. Nella simbologia alchemica, inoltre, esso
è anche legato all’idea di raffinazione e perfezionamento delle
sostanze: a un processo di purificazione che, di nuovo, ci riporta
all’idea di ascesi, che appartiene al contesto simbolico dell’Ecate
celeste. Il papavero e il cesto di frumento richiamano senz’altro la
figura di Demetra/Kore/Cerere, divinità sincretica dal nome diverso
a seconda dell’origine (greca, romana,), con cui Ecate è collegata dal
mitico racconto omerico cui si è già accennato in precedenza, in
relazione al ratto di Proserpina, figlia di Demetra, di cui la dea
notturna è testimone. Ceres, identificata con la greca Demeter, figlia
di Saturno e madre di Proserpina, è una divinità femminile e
materna associata alla terra e alla fertilità. La sua era una funzione
principalmente tutelare, di protezione dei raccolti e delle terre
coltivate, specialmente a grano. Era anche la dea della nascita: tutti i
fiori, la frutta e le cose viventi erano ritenuti suoi doni. L’iconografia
tradizionale la ritrae con uno scettro, un cesto di fiori (tra cui il
papavero), frutta e una ghirlanda fatta di spighe di grano. Nella
mitologia, il papavero è indissolubilmente legato al concetto di
fecondità, oltre ad avere delle valenze magiche per le sue proprietà
ipnotiche, note fin dall’antichità. Ma quello che qui conta
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nuovamente rilevare è la fonte ispiratrice del mito, legato all’attività
agraria e alla fecondità; l’agricoltura e i suoi simboli  (il grano, la
spiga) sono il sostrato di base da cui si sviluppa tutta la vicenda
mitica, che culmina nel rapimento di Persefone, e si traduce
nell’avvicendamento del ciclo stagionale di nascita-morte-rinascita,
concetto chiave nell’analisi simbolica della figura di Ecate. Altro
elemento che conferma la possibile associazione tra questa divinità
agraria e cerealicola ed Ecate è la grotta, dimora di Cerere e simbolo
dell’ingresso nell’Ade, quindi, in relazione al mondo infero: è sempre
attraverso una caverna che si accede al regno dell’oltretomba, ed essa
rappresenta pertanto l’anello di congiunzione tra la vita e la morte.
Inoltre, si può tracciare un parallelismo con il seme legato al ciclo
stagionale; infatti sotto terra esso si prepara a venire fuori con la bella
stagione, alla luce del sole matura e muore, per ricominciare il
circuito ciclico: ritroviamo nuovamente, quindi, il concetto
dell’eterno ritorno, alla base di molte celebrazioni misteriche officiate
nei culti dedicati alla dea. Come più volte sottolineato, la dea è
associata al concetto della trasformazione ciclica, ben rappresentata
dalle fasi  lunari. La luna cresce fino al plenilunio, per poi declinare
fino alla fase della cosiddetta “Luna nera” (novilunio), per poi
risorgere nuovamente dopo tre giorni di eclissi. L’eclissi è totale nel
momento dell’opposizione esatta col sole; se invece avviene una
congiunzione perfetta c’è l’eclissi solare. Le fasi lunari corrispondono
simbolicamente alla nascita, la crescita, la morte e la resurrezione.
Perciò la luna si associa ai fenomeni generativi che essa
effettivamente influenza (basti pensare al suo influsso sul mondo
vegetale),  al divenire, all’aldilà e, più in generale, alle idee di ciclo,
dualismo, polarità, opposizione . Nella notte del novilunio essa
scompare, con la promessa di una prossima rinascita. L’oscurazione
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dell’astro è stata spesso rappresentata da un ratto, un’uccisione, ma
allo stesso tempo anche dall’unione delle “nozze celesti”. Questa
unione, che avviene al culmine del ciclo lunare, è un’unione
incestuosa, dal momento che sole e luna
sono stati variamente interpretati come
padre e figlia o fratello e sorella, a seconda
delle diverse tradizioni mitiche.In ogni
caso essa contiene le due facce della stessa
medaglia: gli opposti speculari e
complementari. La conciliazione, che
avviene nel momento della congiunzione,
richiede comunque un sacrificio, un
martirologio, una morte simbolica. Questo
sacrificio è il pegno da pagare per il
Ecate Triforme
rinnovamento dell’universo, come
testimonia un brano di Sant’Ambrogio: “La luna cala per ridar forza
agli elementi. E’ questo dunque il grande mistero. Esso fu offerto da
colui che a tutti ha donato la grazie. L’ha consunta, perché si
rigenerasse, colui che ha consunto se stesso perché tutto si
rigenerasse; si è infatti consunto per discendere a noi, discese a noi
per ascendere a tutte le cose [...] la luna ha quindi annunciato il
mistero di Cristo” . Ecco il parallelo tra la funzione salvifica svolta
dalla luna e il Salvatore della religione cristiana che, non a caso,
muore per poi risorgere dopo tre giorni. Se l’aspetto ctonio della luna
nera è mortale, quello divino  e celeste della “luna bianca” ha la
connotazione e il volto impassibile di chi abita le sfere immortali ed
eterne. Essa rappresenta, quindi, la liberazione dai vincoli di
sofferenza e paura che caratterizzano la dimensione terrena, vitale e
feconda, ma destinata alla morte.
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La luna è l’astro notturno per eccellenza e condivide con la notte le
medesime valenze simboliche. Le notte è collegata all’idea
dell’oscurità, del caos primordiale e, quindi, anche al grembo della
madre protettrice, perciò alla generazione. Al contrario, essa si
associa a Thanatos, divenendo pertanto il regno degli spiriti e dei
fantasmi. Ancora, la medesima connotazione simbolica ci riporta alle
idee di ciclo e vita-morte. Ma la notte non è solo dominio di
Thanatos: lo è anche di Eros. Nyx è, infatti, anche la madre dei sogni
e dei piaceri amorosi. In ogni caso il suo aspetto è conturbante, tanto
che, stando al mito, persino Zeus ne aveva timore. Le stesse e
sembianze di Ecate vengono descritte ambiguamente, ora come
bellissime e splendenti, ora come orride e terrificanti: in ogni caso il
suo aspetto si ammanta di mistero, come tutto ciò che è avvolto dal
velo oscuro della notte. La grande dea Nyx del mito greco ci viene
descritta come una donna di nero vestita, con l’abito trapunto di
stelle. Essa durante il giorno giace in una caverna, per uscirne al
tramonto su un carro trainato da cavalli neri. Un’altra
rappresentazione la ritrae come donna dalle grandi ali nere. Esistono
altre divinità femminili connotate principalmente da questo colore,
come le cosiddette “Madonne Nere” il cui culto può esser fatto
risalire alla cultura orientale precristiana, in cui si venerava la Luna
Nera, altrimenti detta Ecate. E’ noto che il nero, in opposizione al
bianco, sia il colore del lutto, del buio, dell’assenza di coscienza;
nonostante esso abbia assunto una connotazione decisamente
negativa, in relazione alla sfera diabolica e demoniaca (a Satana,
raffigurato spesso come uomo o bestia nera, si sacrificavano un gallo
o un caprone del medesimo colore), in realtà esso ha il valore
simbolico dell’assoluto: l’idea di morte si collega comunque a quella
della purificazione e della futura resurrezione. Così anche nella
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filosofia alchemica, dove nero è il colore della pietra filosofale
(nigredo) capace di trasformare la materia in vista di un’ascesa
spirituale. Si consideri, al contrario, che la dea, nella descrizione
fornita da Porfirio, porta una veste bianca, ossia del colore che
rappresenta la totale purificazione. In diverse culture gli abiti bianchi
sono tipici della classe sacerdotale, in associazione simbolica all’idea
di verità. Tuttavia, il bianco è connotato negativamente in
riferimento alla morte ed è il colore degli spettri, delle anime dei
trapassati. Nella dottrina alchemica, invece,  esso rappresenta il
cammino verso la conoscenza. Secondo la tradizione orfica, è la dea
Notte - associabile simbolicamente ad Ecate - ad originare il mondo.
Fecondata dal vento, la Notte dalle grandi ali nere genera in sé stessa
un immenso uovo d’argento. Dall’uovo nasce Eros, il dio dell’amore,
svelando ciò che si celava nell’uovo d’argento: il mondo intero. Il
cielo (lo spazio concavo superiore) si accoppia con la terra (lo spazio
inferiore), portando alla luce Oceano e Teti, coppia primordiale,
fratelli e insieme sposi, nati da un genitore che “non aveva
conosciuto alcuna coniugalità.Secondo la versione esiodea, invece, la
Terra (Gaia), emersa dalla voragine del Caos primigenio, partorì
senza alcun accoppiamento Urano, il Cielo stellato, affinché questi
l’abbracciasse interamente e fosse sede eterna e sicura per gli dei.
Ecate presiede come guardiana alle zone limitali, sui confini, sia fisici
che simbolici. Spesso viene nominata o descritta come “colei che
tiene la chiave” (Hekate Kleidoukoz, controllando il passaggio
attraverso le porte dell’Ade e quindi sia la morte che l’eventuale
ritorno dopo la morte. La porta, infatti, è un confine che può essere
varcato in entrambi i sensi, sia in entrata che in uscita e, pertanto,
non rappresenta una soglia da cui non c’è ritorno: questo testimonia
ancora una volta che la dea non è legata a un immaginario di
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ineluttabilità, ma comunque essa si associa simbolicamente al ciclo di
nascita-crescita-morte-rinascita. La porta non è solo il simbolo
dell’ingresso, ma anche dello spazio segreto che vi sta dietro, uno
spazio di forte pregnanza simbolica. Varcare una soglia significa
comunque compiere un rito di passaggio verso uno stadio
esistenziale “ulteriore”, o verso un diverso stato di coscienza, o una
diversa condizione dell’esistenza. Altro simbolo di Ecate è il
crocicchio , che oltre ad essere il punto d’incontro di particolari linee
d’energia cosmica, rappresenta l’unione tra i sistemi contrapposti, il
punto di transizione tra tre strade, terra di nessuno, zona indistinta e
indifferenziata. E’, pertanto, teatro d’elezione per lo svolgimento
delle cerimonie magiche. Non avendo appartenenza esso può
rappresentare l’ignoto e generare il terrore, anche perché è lo spazio
prescelto dalle entità prive a loro volta di una precisa appartenenza,
come le anime che vagano nel Limbo in attesa di conquistare una
condizione spirituale più stabile, come già sottolineato in
precedenza. Per questo suo carattere di indeterminatezza esso è
caricato di un’immensa potenzialità, anche perché raccoglie e
moltiplica il potenziale energetico dei sistemi spaziali che allo stesso
tempo unisce e divide. Il crocicchio è potenza, potenzialità e quindi
possibilità di scelta: l’incrocio implica diverse direzioni da poter
prendere. Ancora, ritroviamo in questo elemento simbolico
caratteristico della divinità in considerazione, un’idea di dinamicità
che è del tutto estranea a quell’immagine di terrificante ineluttabilità
che l’ha ritratta unicamente come orribile dea della morte.
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Nella mitologia greca troviamo l’appellativo di "Core", cioè "la
fanciulla", accanto al nome di diverse giovani dee, ma in maniera
particolare Core fu usato per indicare Persefone nella vicenda del
suo rapimento, quando cioè passò da "Core di sua madre", la grande
dea Demetra, a "Core del suo sposo" il re degli Inferi. "
Va', Persefone, a raggiungere
tua madre, dea dalla veste
oscura, va'
con cuore sereno e non essere più
così eccessivamente triste.
Non sarò per te un marito
indegno tra gli immortali;
in fondo sono fratello di sangue
di tuo padre Zeus.
Tu regnerai, anche se sei qui, su
tutti gli esseri viventi e avrai il
massimo onore tra gli dei. Chi ti
offenderà e non presenterà un
Ratto di Kore-Persefone sacrificio espiatorio, sconterà
pene eterne. "
Plutone, detto anche Ade, che significa "l’invisibile", o "colui che
rende invisibili", era fratello di Zeus e di Poseidone, rispettivamente
dio della terra e dio dei mari, ed ebbe in sorte, nella spartizione del
mondo, il regno degli Inferi, che da lui prese il nome di Ade.
Innamoratosi di Persefone, che gli era nipote poiché figlia di Zeus, la
rapì, complice Zeus medesimo: la fanciulla raccoglieva dei fiori con
alcune ninfe quando la terra si spalancò sotto i suoi piedi in una
voragine che la inghiottì. Ebbe allora inizio il disperato vagabondare
di Demetra che per nove giorni errò sulla terra, digiunando, tenendo
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nelle mani due fiaccole accese, alla ricerca dell’amata figlia, le cui
sorti nessuno le voleva rivelare. Grande fu l’ira della dea quando,
interrogato Elio, dio del sole che tutto vede, seppe che cosa fosse
accaduto: decise, sdegnata, di abbandonare l’Olimpo e, assunte le
sembianze di una semplice nutrice, si fece accogliere nella casa di
Celeo, re di Eleusi, e della moglie Metanira, per accudire il piccolo
Demofoonte, loro ultimo nato. Mantenne celata a tutti la propria
identità, mentre ungeva il piccolo di ambrosia e lo esponeva ogni
notte "alla forza del fuoco come un tizzone destinato a diventar
fiaccola". Demetra ne avrebbe fatto anche un immortale se Metanira,
spiandola, non ne avesse interrotto l’opera urlando di spavento e di
orrore. Si attirò le ire della dea che così le si rivolse:
"Ignoranti siete voi gente umana, e imprudenti, che non prevedete nè il
bene, nè il male. Anche tu, per la tua limitatezza hai subìto ora un danno
irrimediabile. Io pronuncio il grande giuramento degli dei sull’acqua della
Stige: avrei fatto del tuo caro figlio un immortale eternamente giovane e gli
avrei procurato una venerazione imperitura. Ora non c’è più mezzo di fargli
evitare la morte."
Chiese poi che Celeo le dedicasse un tempio in cui rifugiarsi durante
il suo volontario esilio. Frattanto l’ira di Demetra aveva causato
un’ostinata carestia sulla terra, impedendo agli uomini di compiere
offerte e sacrifici ai loro dei: finchè Persefone non fossa ricomparsa
dall’oscurità degli inferi anche la terra non avrebbe fatto germogliare
alcun seme, questa era la sua vendetta. Ciò spinse Zeus ad
intervenire: non essendo riuscito a convincere Demetra a tornare,
egli chiese infine al fratello di restituire Persefone. Ade acconsentì,
ma non prima di aver fatto mangiare alla fanciulla un chicco di
melagrana, per evitare ch’ella rimanesse per sempre con Demetra:
chiunque infatti si nutre di qualcosa nel Tartaro dovrà farvi ritorno.
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Quando finalmente Demetra e Persefone si poterono riabbracciare,
fu mandata da loro Rea, madre della stessa Demetra, affinchè le
conducesse con sè nell’Olimpo. Si raggiunse così un accordo:
Persefone avrebbe trascorso due terzi di ogni anno con la madre
sull’Olimpo, mentre un terzo lo avrebbe trascorso con lo sposo nel
Tartaro, mentre la terra conosceva la sterilità invernale. E’
indubbiamente una leggenda densa di simboli, che dà adito ad una
quantità di interpretazioni: Neumann vi ha letto il passaggio,
nell’evoluzione psichica della donna, dall’identità di figlia a quella di
sposa, quindi da fanciulla immersa nel mondo della madre, a donna
adulta, che si confronta col mondo sociale, quindi col maschile.
E qui l’associazione nozze-morte è evidente poiché è richiesta la
morte della fanciulla, affinchè avvenga il passaggio che dall’essere
tutt'uno con l’uroboro materno, porta ad un’identità di soggetto
integro. Le due dee, le cui vicende appaiono così strettamente legate
alla morte e alla rinascita (Persefone è simboleggiata dal chicco di
grano, Demetra dalla spiga matura) rimandano ai due aspetti di
un’unica identità, due momenti di un unico processo, che le rende
tutt’uno con ciò che è universale ed eterno. Quest’unica identità
Demetra-Persefone, madre e figlia insieme, (a cui si aggiunge anche
Rea, madre della madre) rimanda al succedersi delle generazioni e
quindi all’identità umana unica che esse rappresentano nella sua
continuità. Demetra e Core, madre e figlia, ampliano l’identità
individuale, l’Io con cui ci identifichiamo, che è limitato nello spazio-
tempo e dunque mortale, fino all’intuizione di una personalità più
grande ed estesa che, giacché tale, partecipa delle vicende eterne. E' il
passaggio dal livello dell’Anima - direbbe Jung - al mondo del Sè.
Non a caso i Misteri Eleusini, ispirati alle due dee, hanno a che fare
con quella conoscenza esoterica che non può essere avvicinata che
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dagli "iniziati" (proprio come accade in psicoanalisi): avviano alla
conoscenza della morte quale realtà che è tutt’uno con la vita.
Nel mito di Kore-Demetra-Persefone e nella specifica forma di culto
che esso riceve nei Misteri Eleusini ,ciascuna delle tre dee incarna
una fase del ciclo femminile.La fase bianca dell’utero ,in cui dopo,
dopo la pulizia compiuta dallo scorrere del sangue, si riforma
l’endometrio, è personificata nella mitologia greca nella dea vergine
Kore. Lei è la donna sessualmente autonoma,la dea dei fiori, la
fanciulla dei fiori selvatici. La fase rossa dell’utero, in cui la mucosa
uterina si riempie al massimo di sangue,prende forma nella dea
Demetra. Essa tiene in mano tiene in mano la melagrana,che con il
suo colore rosso sangue e i suoi innumerevoli grani rappresenta la
pienezza uterina del sangue e dei potenziali figli. Demetra non è solo
“dea madre “ e dea della fertilità, ma è soprattutto la dea rossa che ,
portando nel suo utero sangue e uovo , recà in sé la possibilità di
fertilità. La fase nera dell’utero , in cui l’endometrio, non essendosi
verificato l’annidamento dell’uovo, viene eliminato e scorre via
dall’utero, è rappresentata dalla dea Persefone. Nei misteri eleusini si
festeggia il sacer mens femminile ,la sacra mestruazione. Le donne
celebrano il loro ciclo nelle dee ternarie : la Kore dei fiori che si
trasforma nella Demetra della melagrane e quindi nella dea
dell’aldilà Persefone. Quando Persefone va un terzo dell’anno
nell’aldilà dell’utero-terra, ha inizio il mistero del trasformazione del
ciclo del sangue. Quando essa ricompare nelle sembianze della
bianca Kore, gli iniziati ai misteri danzano orgiasticamente il nuovo
inzio del ciclo cosmico. La dea bianca dei fiori è la vergine che vive
una sessualità non riferita all’uomo, ma un nuovo inzio della
triplicità sacrale riferita al ciclo.anche nella successiva iconografia
cristiana la vergine Maria appare come fanciulla che riceve l’angelo
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con in mano gigli bianchi che le annuncia che diverrà madre. Il fiore
è il simbolo originario della nuova vita. In area greca Era e Athena
venivano venerate come Pais ,la “fanciulla” o il “bambino”. Athena
ha l’appellativo di Peonia. La Peonia è nell’area mediterranea un
fiore selvatico che fiorisce nel periodo dell’equinozio di primavera.
Blodewedd è la dea celtica dei fiori , di cui si dice che sia fatta di
nove fiori diversi. Le è particolarmente sacra la primula. Blodewedd
è un altro nome della dea Olwen , la regina di maggio. In quanto dea
equivalente ad Afrodite le viene attribuita la mela selvatica.Il mito
narra che essa è la dea della via Lattea ,la dea della stelle. Secondo i
miti, Blodewedd venne creata con nove fiori bianchi e con la nona
onda del mare, viene chiamata anche “la nata dai fiori”. E’ innegabile
la somiglianza con Afrodite “la nata dalla schiuma”. La rosa è
sempre stata un elemento indispensabile di cerimonie religiose o
laiche ed è passata indenne dai pagani ai cristiani, sempre con lo
stesso significato di perfezione. La rosa è stata, dall'inizio della storia
conosciuta, il fiore di Venere (con serti di rose e mirto si cingevano le
sue statue), e secondo le antiche fonti il suo colore era bianco.
Divenne di colore rosso per “intervento divino”. Venere-Afrodite si
era follemente innamorata, si dice per la prima volta, di Adone.
Marte, l'amante ufficiale sempre in carica poiché il marito legittimo
della dea era Vulcano, imbestialito si trasformò in cinghiale e uccise
il poveretto il cui sangue, per volere di Venere, colorò le pallide rose
mentre il corpo si trasformava nell'anemone. L'isola di Rodi si dice
debba il suo nome alla rosa, ed era detta l'isola delle rose: essendo la
terra natale di Athena-Minerva, questo fiore era sacro anche alla dea
della saggezza legandosi così sia alla bellezza fisica sia all'amore sia
a qualità più spirituali. Il governo di quest'isola, coniò monete con
impresso il simbolo della rosa. Secondo un mito non molto
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conosciuto, Marte, il dio della guerra, nacque da una rosa. Non per
niente, in tempo di pace era anche il protettore dei giardini!
Nell'antica Roma, testimoniate fin dal I secolo d.C., si tenevano le
Rosalia o festa delle rose, che rientravano nel culto dei morti.
Ricorrevano tra l'11 maggio e il 15 luglio, la rosa anche è simbolo di
rigenerazione, per questo venivano portate sulle tombe degli avi,
offerte ai Mani dei defunti. Ecate, era talvolta rappresentata coronata
di rose a cinque petali. Quest'uso si è conservato in alcune regioni
d'Italia, dove la domenica di Pentecoste è detta "Pasqua delle rose".
Deriva anche dall'antica festa di Pentecoste dei primi cristiani,
quando la rosa rappresentava anche lo Spirito Santo e, nella
ricorrenza indicata, petali di rose venivano fatti cadere sui fedeli dal
lucernaio della cupola dell'antico Pantheon, diventato Santa Maria
dei Martiri, a simboleggiare le lingue di fuoco della sapienza. Sempre
petali di rose bianche erano fatti cadere il 5 agosto sui fedeli radunati
in Santa Maria Maggiore a Roma, per ricordare la nevicata
miracolosa che indicò il luogo dove, per volere della Madonna, si
sarebbe dovuta costruire la chiesa. Di che rosa si trattava? Dagli
affreschi di Pompei ed Ercolano si riconosce la Rosa gallica, una delle
cinque capostipiti. Ma alla rosa venivano attribuiti anche significati
magici. Apuléio, nella favola dell'Asino D'oro, racconta come Lucio,
stanco di essere condannato a restare nel corpo dell'animale, invochi
Iside per ritornare uomo e questa gli consigli di mangiare una corona
di rose . Con l'inizio del cristianesimo la rosa è coltivata perché le sue
spine ricordano la passione di Cristo, pian piano passa al culto della
Madonna, il cui cuore è raffigurato trafitto da spine di rosa.
La fase rossa della triplicità ciclica si spiritualizza nella dea con la
melagrana. Il melograno cresce nell’altro mondo. Le Gorgoni
possedevano un boschetto sacro, chiamato Isola rossa simili al
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boschetto dei meli delle Esperidi . Si diceva anche che sull’isola di
Afrodite nel lago Tritone si trovasse un albero di mele.Kore , che
coglieva narcisi, anemoni scarlatti, o papaveri rossi, si rivela non
solo dea dei fiori, talvolta viene rappresentata anche con la mela,
perché anche nel ciclo reale i passaggi sono fluidi e la dea di ogni
fase sta a rappresentare il ciclo intero. Molte dee dei tempi più
antichi portano collane di melegrane con nove frutti. A side in
Pamfilia era stata scavata una coppa di forma labirintica , cui centro
si trovava una melagrana. L’isola celtica delle mele , Avalon, deriva
etimologicamente dal gallese Aval, dal tedesco Apfel, dall’inglese
Apple, e dall’indogermanico Abol. Apollo è il figlio nato dalla mela
della dea. In greco mela si dice Melon. Ercole,Dioniso e Apollo
venivano soprannominati Melone. I loro seguaci sacrificavano mele
alla dea. Nell’Avalon celtica rientra l’Avernus latino, che doveva
designare la dimora dei defunti. Certe isole che raffigurano l’altro
mondo circondate dalle acque, vengono chiamate con nomi che
derivano da Melo. Negli Inni orfici la dea nera viene descritta come
la “notte dalle ali nere”. I suoi alberi sacri sono il pruno selvatico e il
pioppo nero. Essa è la dea del sidro di melagrana. Le mitiche mele,
una volta raccolte , vengono pigiate e spremute. Il rosso succo
rappresenta il sangue che scorre via e inizia la fase nera, che dura per
un terzo del ciclo. Le dee nere, Ecate e Persefone…personificano il
sanguinare della mestruazione. La sua fase nera corrisponde alla
Moira Atropo “colei che non si può aggirare ne evitare”. Persefone è
la dea delle trasformazioni naturali, a cui non si può sfuggire. Ecate è
chiamata anche Agriope “il volto crudele”. Essa però non è
cattiva,ma rappresenta la danza dell’ineluttabile morte della luna.
La simbologia triplice del ciclo trova una forma cultuale nei colori
sacri del bianco – rosso - nero, e compare nella mitologia come
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trasformazione del colore. Io, la dea della Luna, nelle sue sembianze
di vacca, cambia il suo colore da bianco, in rosso violetto e poi in
nero. Le sacerdotesse della luna si imbiancavano i visi di calce per
celebrare nel culto la loro identità lunare. In Britannia per alcuni riti
le donne si coloravano tutto il corpo di guado fino a essere
completamente scure. In Irlanda colorarsi col guado era un segreto
femminile, a cui gli uomini non potevano assistere, perché avveniva
in onore della dea “del cielo blu della notte”. Il rosso, il colore del
sangue era presente in tutti i riti. Fra gli abitanti del Galles il rosso
era il colore più utilizzato dai sacerdoti, che durante i loro riti si
cospargevano il corpo di sangue. Essi celebravano i loro sacrifici in
un tempio dipinto di rosso. Il simbolo originario del sangue è la
melagrana rossa.. Sul monte Moeltre, nel Galles, c’era un luogo di
culto con tre pietre diritte di colore blu scuro, bianco e rosso, le pietre
venivano chiamate “ le tre donne” .
l Medioevo gruppi di trinità femminili compaiono ancora, ma solo
come streghe , rappresentate con coppe e collane di teschi nelle
sembianze di Furie e di Lamie, di cui si dice che rapiscono i neonati
sollevandoli in aria sulle loro scope. Le tre dee greche del destino si
chiamano Moire. Moira letteralmente significa “parte o “fase”, così le
tre Moire rappresentano le tre fasi del ciclo. Quando filano ,Cloto,” la
filatrice”, regge il fuso, Lachesi, “colei che prende la misura “, misura
il filo della vita e Atropo,” colei che non si può evitare”, taglia il filo
con le forbici. Cloto, Lachesi e Atropo rappresentano le tre fasi del
ciclo mestruale: l’inizio, il centro e la fine. Gli Orfici chiamavano la
luna “testa di Gorgone”. Le Gorgoni erano tre dee, la prima si
chiamava Steno “la forte”, la seconda Euriale “colei che vaga in
lungo e in largo”, e l’ultima Medusa “l’insidiosa”. In conformità con
le trasformazioni della luna, le tre Gorgoni si definiscono come la
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forte dea-fanciulla della fase bianca, sessualmente autonoma, come la
dea vagante della fase rossa, delle
nozze sacre, e come la dea nera
della mestruazione, che trattiene
la luce lunare. Afrodite , la dea
bianca nata dalla schiuma, porta
nella notte d’amore con Anchise,
la veste rossa delle nozze sacre. E’
chiamata anche Melainis , “la
nera”, oppure Skotia , “la scura”,
oppure Androphonos, “colei che
uccide gli uomini”. Afrodite viene
Hera chiamata anche Epitymbria, “colei
che proviene dalle tombe”. I
diversi attributi di Afrodite descrivono chiaramente l’evento ciclico
della trasformazione. Era, moglie di Zeus, ad Argo, veniva adorata
come “bambino, giovane donna, e vedova”. Evidente nell’insolita
architettura dei suoi luoghi di culto, vi era una straordinaria
rappresentazione cultuale della sua identità ciclica. Prima dell’VIII
secolo a.C., l’Eraion era già stato per secoli il grande santuario del
matriarcato. Al centro vi era collocato un altare , da cui lo sguardo
spaziava in tutto il paese. Era aveva tre attributi, che concordavano
con i nomi del paesaggio, ed erano detti anche “le balie di Era”. Era
Akraia, era designata come dea dell’altezza, Era Prosymna è il nome
datole per il luogo sotto l’Eraion. Anche lì doveva trovarsi un
santuario chiamato Chora ,termine appartenente alla stessa famiglia
di parole del celtico Kaer . Al centro , fu costruito un terzo santuario
dedicato ad Era Euboia, “ricca di buoi”. I suoi templi situati su
diversi monti, raffigurano il ciclo ternario. Quando le processioni in
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suo onore passavano accanto ai tre templi , formavano nel paesaggio
di Argo il percorso rituale del cerchio. Ovviamente la dea Era Akraia
porta in mano la melagrana. Era Prosymna corrisponde al tempo
della luna nera quando la luna scompare, anche Era va “sotto terra” .
Quando i fedeli giungevano nella Chora , nel periodo della luna nera
i cori chiamavano la luna affinché la dea fosse ripartorita dalla luna
nuova. La dea Era Prosymna corrisponde alla greca Persefone e alla
latina Proserpina. Nella processione mensile o annuale la statua
della dea veniva portatadalla Chora alla fontana Kanathos e bagnata
in essa . Così il ciclo ricomincia di nuovo . La cosiddetta “vedova”
ridiventa la cosiddetta “vergine”. Dopo il bagno e l’abluzione nel
sangue la fase nera si trasforma nella fase bianca. La Era nera che
veniva adorata nella Chora, aveva anche il nome di Chera “la
vedova”. Era-Chera è la donna che si lamenta, colei che taglia il filo
della vita,il destino ciclico delle trasformazioni. Vergine, madre e
vedova indicano le tre fasi del ciclo mestruale intese come fasi-età
della vita. La dea nera corrisponde alla donna le cui mestruazioni
sono finite. E’ la vecchia saggia non la vedova. Iside, la dea madre
egizia, è sempre stata considerata la figura divina femminile per
eccellenza. Apuleio, nei suoi scritti, propone Iside come fonte
originaria e “prototipo” di tutte le Dee, quasi che nella "Regina"
egizia si concentrasse ogni possibile aspetto della Femminilità, quello
oscuro di morte e guerra al pari di quelli luminosi dell'amore, della
maternità, della magia,
della virtù terapeutica.

"Eccomi o Lucio, […] io, la madre della natura, la signora di tutti


gli elementi, l'origine e il principio di tutte le età, la più
grande di tutte le divinità, la regina dei morti, la prima dei
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celesti, colei che in sé riassume l'immagine di tutti gli dei e di
tutte le dee, che con il suo cenno governa le altezze luminose del
cielo, i salubri venti del mare, i desolati silenzi dell'oltretomba
e la cui potenza, unica, tutto il mondo onora sotto varie forme, con
diversi riti e differenti nomi. Per questo i Frigi […] mi chiamano
Pessinunzia Madre degli dei, gli autoctoni attici Minerva Cecropia,
i Ciprioti circondati dal mare Venere Pafia, i Cretesi arcieri
famosi Diana Dittinna, i Siculi trilingui Proserpina Stigia, gli
antichi abitatori di Eleusi Cerere Attica, altri Giunone, altri
Bellona, altri Ecate, altri ancora Ramnusia, ma [gli] Etiopi […] e
gli Egizi, così grandi per la loro antica sapienza […], mi chiamano
con il mio vero nome: Iside Regina".
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Nel II secolo d.C., in piena epoca alessandrina , la Dea egizia ha
ormai acquisito quei tratti universalistici che permetteranno al suo
culto di sopravvivere ancora a lungo sotto le più svariate maschere.
Apuleio era iniziato ai Misteri d’Iside, una forma cultuale ellenizzata
che s'ispirava ai poteri rivitalizzanti della Dea. In particolare, Iside fu
sovrapposta in una quasi assoluta identicità di alcuni episodi mitici
con la greca Demetra, Dea del grano, già accennato nella
connotazione iconografica fornita da Apuleio, dove appunto la
"Cerere Attica" è raffigurata dalle spighe di grano che sormontano il
disco lunare. Inoltre Iside era chiamata "la Nera" come Demetra (nel
mondo antico era il colore della fertilità) e tale caratteristica sarà

Iside con in
forse il principale veicolo del proliferare delle
braccio Horus
Madonne Nere in Europa, tutte, non a caso - dotate
di virtù curative. Dea-Uccello (le sono sacri
l'avvoltoio, l'anatra, la rondine) e Dea-Serpente come la Grande
Madre della preistoria europea, Dea-Vacca in quanto Signora della
Luna e sposa di Osiride - Toro, e ancora Dea del mare e della
navigazione (funzione poi ereditata in epoca cristiana da Maria),
Iside è stata, e per molti versi è ancora, un personaggio di forte
rilievo in ambiti magici e alchemici: basti pensare - ma è solo un
esempio - ai documenti ermetici dei primi secoli d.C., come Kore
Kosmou, "Fanciulla del Cosmo", o l'alchemico Iside la profetessa a
suo figlio Horo, nei quali viene effigiata quale detentrice di Sapienza.
Il culto di Iside ebbe straordinaria diffusione nel mondo ellenistico-
romano, e ancora il suo mito fu recuperato nel Rinascimento, che la
sovrappose anche alla Dea Fortuna. Ritroviamo Iside perfino nel
secolo dei lumi, quando certi studiosi francesi, e poi Napoleone con
loro, che la credono fondatrice di Parigi (Paris Per-Isis). Un ulteriore
filone di persistenza dell'immaginario religioso di Iside nella cultura
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europea è quello a cui si è già fatto cenno del
sovrapporsi di elementi cultuali mariani su
precedenti peculiarità isidiane. E non solo per
quanto riguarda la tradizione delle Madonne Nere,
bensì soprattutto per l'immagine egizia di Iside che
seduta in trono allatta il Figlio Horus, quasi una
prefigurazione iconografica della Vergine con Gesù.
Inoltre le ali tese con cui Iside copre e protegge
Osiride e i defunti sembrano un modello dei grandi
manti con cui molte Madonne coprono e proteggono
i santi e i fedeli. Un altro aspetto inportante dal suo
legame con la Luna che più di ogni altro ha
permesso a Iside di coincidere con varie altre Dee e che abbiamo
rilevato anche nel ritratto apuleiano. Secondo Plutarco, gli egizi
ritenevano la natura di Iside un "movimento animato e intelligente",
concetto a cui alluderebbe anche il suo strumento musicale: il sistro.
Il termine seistron ,- spiega infatti l'erudito, - deriva da seiesthai,
"scuotere", e "significa che gli esseri viventi devono essere scossi e
non possono mai smettere di muoversi, e se si trovano a essere […]
addormentati e intorpiditi bisogna svegliarli e incitarli". Il
riferimento a Demetra è particolarmente significativo perché anche
Iside fra le sue tante forme assunse quella di "campo di grano",
quella cioè della matrice in cui il grano nasce e si sviluppa.
E il grano, come tutti i vegetali, specie da coltura, altro non è che la
trasposizione naturistica del mito del Dio morente, che appunto si
sprofonda nelle regioni ctonie durante ogni inverno per poi rinascere
a ogni primavera. Sul tema, e proprio in base ai motivi che
c'interessano, Marija Gimbutas offre uno spunto illuminante ne “Il
linguaggio
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della Dea, dove scrive:
"Il dio morente ha discendenti, nell'antica Grecia e nelle credenze
popolari europee, nel dio del lino, o del grano, nato dalla terra
sotto forma di lino, o grano, e che troviamo torturato, morente e
risorto fuori dalla terra". E fa l'esempio di un vaso di steatite
nera del XIV secolo a.C. in cui è ritratta "una danza di mietitori
che portano spighe di grano agitando i sistri".
Legame forte e antico, dunque, quello fra campo di grano fecondato
e sistro, un oggetto la cui precipua funzione sarebbe perciò di
risvegliare, incitare, stanare le energie vitali assopite nel ventre di
Madre Terra e condurle a resurrezione. Quindi si può considerare
Iside secondo la radicale prospettiva di una Forza dinamica e
scardinante che non soltanto genera l'universo ma lo fa anche
fermentare, in un processo ininterrotto di nascita-morte-rinascita. Un
aspetto determinante è quello di Iside come Signora dell'Ank, Chiave
della Vita, e dei meccanismi rigenerativi che sottendono alla sua
perpetuazione, non dovrebbe far meraviglia che i sapienti egizi la
indicassero con il geroglifico che effigia il simbolo del potere sacro: il
Trono, posto anche sulla sfera tra le corna della Dea e con il quale
Iside s'identificava. Un'immagine che nasconderebbe, quindi, un
grande segreto: il Faraone, quale sintesi microcosmica del
macrocosmo Egitto, acquisirebbe la sua Energia, la sua Saggezza, la
sua Salute fisica e interiore ma soprattutto il suo misterioso potere
fecondante dal Trono su cui siede e al quale aderisce come
fosse sia la propria matrice occulta, sia il ventre della Madre Celeste
da cui è sorto e da cui continua a suggere nutrimento.
Un'interpretazione plausibile se si pensa che il Faraone personificava
in vita Horus, figlio appunto di Iside, e dopo la morte Osiride, cui la
Dea aveva ridonato esistenza in un contesto mitico di resurrezione. Il
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Trono manifesterebbe così il fermento vitale, che proviene da Iside e
che come una corrente elettrica investe e fa rinascere il Faraone ogni
qualvolta vi si siede nella solenne pienezza della sua regalità. Uno
dei simboli più caratteristici della rigenerazione è l’acqua.
L’acqua vive ed è vita. Vive nei sogni, vive nelle fiabe,
nell’iconografia, nei miti e nelle religioni. Sul piano mitologico il
simbolo è sempre ambivalente. l’acqua rigenera ma dissolve. Se nella
storia delle religioni alla divinità femminile tocca spesso il compito
di risanare, e rigenerare con l’acqua, di fatto nella tradizione la
donna non purifica nessuno ma viene spesso purificata come essere
impuro. Le ragioni possono essere molteplici: la natura la predispone
a eventi, il mestruo e il parto, entrambi contraddistinti dall’effusione
di sangue, che per millenni sono stati considerati sacrali e quindi
tabù, troppo forti per essere inseriti nella quotidianità. Questa
frattura diviene sempre più aspra man mano che le religioni
patriarcali prendono il sopravvento sui più arcaici culti matriarcali
della terra e delle acque, dove la Grande Madre era signora
incontrastata della natura. Come ho gia detto, conl’avanzata del
potere maschile che si estrinseca su tutti i piani, la figura femminle è
relegata ad un ruolo subalterno. Anzi, peggio, diviene la seduttrice,
colei che fa impazzire gli uomini come le Aguane, perfide fate
incantatrici inquiline dei canali. La Dea, quindi, viene trasformata da
divina creatura, datrice di vita e garante di purezza, in strega sporca
e orrenda da purificare con l’annegamento che rappresenta l’estremo
giudizio: se colpevole la strega risale a galla e bisogna ucciderla in
altro modo, se innocente affonda. Quindi accanto all’aspetto
fecondativo di madre buona, l’acqua affianca la madre cattiva che
attraverso il diluvio travolge il genere umano. Accade dunque che da
dono ed essenza divina femminile l’acqua si trasformi in semplice
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strumento per purificare la donna che secondo l’opinione medievale
è pericolosa e carica di negatività. L’acqua dunque nella simbologia
dei popoli rappresenta: purezza, nascita, morte, e rigenerazione, ma
anche oblio e memoria, amore materno e maliziosa seduzione,
energia femminile e fertilità. Acqua come sorgente di vita, ma anche
elemento purificatore e mezzo di rigenerazione. La psicologia
attribuisce ai sogni d’acqua il desiderio inconscio di un regresso al
grembo materno. Comune in molte culture l’acqua è concepita come
confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Il mistero e l’aspetto
simbolico dell’acqua fanno parte integrante di tutte le culture dei
vari popoli del mondo. Molti di quei simboli e dei miti a essa
connessi sono comuni a popoli oggi molto distanti tra di loro.  La
materia vivente iniziò dall'acqua la sua avventura nel nostro pianeta;
nel liquido (amniotico) vive l'essere umano la sua formazione
iniziale; l'acqua costituisce la quasi totalità della materia vivente.
Logico quindi che, a monte anche del pensiero razionale, già
nell'albeggiare del pensiero simbolico l'uomo percepisse, per
immediata intuizione, la fondamentale importanza dell'acqua nel
ciclo vitale. L'acqua divenne così oggetto di una enorme
speculazione, e ai suoi modi di apparire furono legate infinite
ierofanie presso tutti i popoli In particolare, presso i popoli che si
affacciano sul Mediterraneo dai loro paesi prevalentemente aridi, le
acque dolci, indispensabili e benefiche, generarono sempre stupore,
miracolo e poesia. Le più belle espressioni tramandateci sono legate
al verdeggiare della natura attorno alle sorgenti o alla sacralità dei
pozzi, assi del mondo, microcosmi che legano il cielo agli inferi.
Presso i popoli del Nord-Europa l'acqua, impregnando il paesaggio
nelle sue valenze lacustri e paludose; legandosi al freddo e al grigio
pluviale del clima; assumendo toni cupi e insondabili; appare
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associata soprattutto ai temi della disgregazione della materia,
dell'inganno, del mondo infero grigio e umido. Anche nel
Mediterraneo tuttavia esiste una valenza infera e di morte legata
all'acqua: sono le acque del mare che per millenni terrorizzano le
popolazioni con la loro immensità, le loro furie, le misteriose e
inquietanti isole lontane delle quali si favoleggia. Il mare, sede di
esseri mostruosi, con le sue incognite e i suoi inganni, è il teatro dei
lunghi itinerari dell'eroe in cerca di sé stesso, e il rifugio di
antichissime,e imprevedibili divinità ctonie.. Questa misteriosità del
mare e i suoi terrori legano le acque al tema della morte. E'
dall'Oceano, in un gorgo pauroso ove sarà condotta Psiche nelle sue
prove iniziatiche, che nascono le acque dello Stige, nefaste anche agli
Dei Olimpici se spergiuri. La doppia valenza di morte e vita e il
simbolo di rigenerazione - presente in ogni tradizione iniziatica -
pongono tuttavia nell'Oceano, o comunque legano all'acqua, il mito
dei Paradisi terrestri. Misteriosità del mare significa misteriosità
degli esseri mostruosi e imprevedibili che vi si celano. Il mare è
popolato di pesci e serpenti, animali freddi e primitivi che si
equivalgono sul piano simbolico e sul cui significato salvifico e
sapienziale - nella doppia valenza illuminatrice o diabolica,
fecondante o mortifera - si aprono interminabili capitoli del pensiero
simbolico. Nel mito greco Poseidone, che presiede a tutte le acque
del mare e della terra inizialmente intese come connesse tra loro, è
divinità arcaica preomerica. Poseidan ed Ennosigeo, egli è arcaico
sposo della Madre Terra; il suo mito è legato al cavallo - incarnazione
archetipica dell'istinto - che lo individua come individua Hera-Ippia.
Le oscure forze primordiali trasmesse dall'acqua al cavallo
riemergono nel mito di Pegaso nato dal collo reciso della Gorgone e
domato da Athena, dea della ragione. E il cavallo Pegaso si rilega
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all'acqua facendo scaturire la fonte Ippocrene,
sacra alle Muse figlie di Mnemosine: l'acqua
dei laghi della Memoria - dona, nel mito
orfico, vita eterna agli iniziati. La vera vita trae
origine da un legame profondo con la vita
Sirena su capitello sepolta. Morte e vita si congiungono nell'unità
romanico
della totalità: se l'acqua della Memoria dà la
vera vita, l'acqua del fontanile accanto al cipresso, l'acqua di Lete, dà
l'oblio e introduce al regno dei morti. I laghi sono occhio del mondo
infero. In Grecia e nel mondo mediterraneo i laghi paludosi celano la
porta degli inferi: così si spiega il lago Stinfale legato all'impresa di
Eracle (altro violatore degli inferi), all'Idra di Lerna, alle Sirene e, , al
segno astrologico del Cancro. Del resto, per i Greci la palude è
simboleggiata dal labirinto, il cui centro è meta del viaggio iniziatico.
La palude ha doppia valenza: nel suo fango vengono gettati, nel
Nord-Europa, i bastardi, i deformi e i colpevoli, affinchè esso li
rigeneri nella pullulante vita . fecondità.. Tutte queste acque sono
riassunte nella grandiosa architettura del pensiero astrologico. Se il
Cancro è acqua originaria, acqua madre, limpida e profonda acqua di
gestazione (che ha il suo parallelo nel Serpente, nel freddo,
nell'umido, nel notturno e nel femminile), lo Scorpione è l'acqua
mortifera e disgregatrice che tuttavia prepara la rinascita. Sotto il suo
segno avviene la semina alchemica e inizia la putrefactio; anche sotto
il suo segno era la semina del grano nel mese sacro a Demetra.
L'acqua si associa spesso alle divinità del ciclo lunare e del ciclo
vegetale. E novembre sarà, per la Chiesa Cattolica, il mese dei Morti
e dei Santi che ripetono, con la loro duplicità, il significato acquatico
dello Scorpione. I Pesci, sono il simbolo di dissolvimento e di
rinascita spirituale Il simbolismo delle acque rivela l'intuizione del
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Cosmo come unità. Nel pensiero mitico, le cosmogonie pongono le
acque al principio e alla fine di avvenimenti di portata cosmica; il
Diluvio segna la morte-rinascita dell'umanità. Questa doppia
valenza è espressa dal rituale dei Battesimo e dal significato
rigeneratore del bagno: i simulacri di Afrodite, Hera, Athena, Cibele,
venivano annualmente immersi; e così pure la Madonna e il
Crocifisso, in relazione anche all'implorazione della pioggia. Le
cosmogonie presentano abitualmente le acque come primordio e la
pioggia come sperma. Per Omero, Oceano era all'origine di tutto, era
acqua maschile così come Teti era acqua femminile, entrambi figli
della Notte.. Presso molti popoli il ciclo cosmogonico inizia con la
separazione anche violenta di alto e basso, cielo e terra, acque
maschili e femminili. Zeus ha il fulmine, così come tonanti sono gli
dei vittoriosi all'inizio dell'epoca storica, post-neolitica, che evolve da
culti lunari e ctonii a culti solari. Zeus feconda Danae come pioggia e,
secondo Eschilo, Urano fecondava Gea con la pioggia; quando la
falce lunare di Kronos dividerà i genitori dando origine al tempo, è
ancora nell'acqua che fruttifica lo sperma del fallo reciso, e nasce
Afrodite. I Greci provavano terrore e attrazione per l'acqua, che
disintegra e germina dando follia e profezia. Esiodo raccomanda di
pregare prima di attraversare un fiume. A mezzogiorno si evitavano
fontane, fiumi, sorgenti, umidità legate a grotte e ombre d'alberi: ivi
regnavano ambigue le Ninfe. Nei miti celtici,
caldaie, pentole e calici magici donatori di immortalità, sono
rinvenuti in fondo al mare o ai laghi. Hera-lppia legata a Poseidone,
equivalente di Gea antica sposa di Urano, ha occhi bovini, ha corna
lunari, è vacca così come Urano, il cielo, è toro, tuono, pioggia. Hera
è venerata con Zeus Naios (o "della sorgente") presso la sorgente
Dodona, ove ha nome Diona, femminile di Zeus, equivalente a
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Diana, dea lunare; e ivi è dea del cielo luminoso e dell'acqua. Hera fu
dea lunare iconologicamente eguale a Iside-rugiada e alla Madonna.
L'acqua, nel pensiero simbolico, non è legata soltanto alla Luna, ma
anche ad altri due simboli di fondamentale importanza: l'albero e il
giardino. il giardino delle Esperidi, sede nuziale di Hera e Zeus, è
luogo di eterna vita, possiede l'albero dai pomi d'oro custodito dal
serpente, ed era in un'isola dell'Oceano. L'acqua del fiume manifesta
sempre la possibilità universale; discenderne la corrente sino
all'oceano significa tornare all'indifferenziato, mentre il risalire alla
sorgente simboleggia il ritorno alla sorgente divina. Il suo
attraversamento simboleggia un cambiamento di stato. La fontana è
l'acqua viva che sorge al centro del Giardino, ai piedi dell'Albero
della Vita, nel Paradiso Terrestre. Le sue acque sono ambrosia, soma,
eterna giovinezza, elisir di vita: e sgorgano ai piedi di un albero.
Quest'acqua non è per tutti, è custodita da draghi e deve esser
conquistata con prove iniziatiche: di queste immagini sono ricche
fiabe e leggende. Anche il drago di Andromeda usciva dall'acqua, e
Perseo lo uccide con la spada ricurva che uccide la Gorgone e ricorda
la falce di Kronos. La fanciulla nel giardino tra le acque, la fanciulla
custodita dal mostro marino, il viaggio dell'eroe tra le acque
popolate dai mostri, conducono al tema dell'acqua come simbolo
dell'anima. All'anima si lega il mito di Arianna, dea lunare che
guida l'eroe al centro del labirinto iniziatico. Nelle favole, in fondo ai
laghi vi son castelli incantati dove gli eroi compiono viaggi iniziatici
e trovano tesori o principesse, mentre le fontane danno vita a
immagini di fanciulle. A partire dal patrimonio dei simboli e dal
pensiero iniziatico, la psicologia junghiana ha esplorato un campo
immenso di rappresentazioni che restituiscono l'immagine
dell'anima e delle sue vicissitudini attraverso visioni di acqua
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terrifiche o pacificanti. Acque putride,
torbide alluvioni devastanti,
torrenti,piogge e diluvi, allagamenti, fiumi
maestosi, mari immensi, profondità
marine o lacustri inesplorate, acque
limpide e azzurre, glauche, trasparenti e
serene, acque di fontane e di sorgive;
Sirenetta di Copenaghen appaiono tutte rappresentazioni
dell'anima e del suo rapporto con il nostro
io, che anela all'acqua e alla fanciulla, cioè all'anima, nella ricerca
dell'integrazione. Perché è l'anima che guida verso lo spirito. La
congiunzione degli opposti tema guida dell’ opera alchemica -
appare qui in tutta la inquietante doppiezza del simbolo. Al processo
alchemico l'acqua è già indispensabile all'inizio come rugiada
ristoratrice, cioè acque celesti purificatrici. La rugiadosa Iside era la
nera "Chernia" che dà il nome all'alchimia. E l'elemento animico, il
calore del desiderio, è anche importante per avviare il processo, sino
al suo primo approdo nella "fontana dell'amore". L'acqua è detta
"madre", che è l'acqua divina uccide i vivi e resuscita i morti. L'opus
alchemico, come sforzo di raggiungere l'unione con valori archetipici
suscitando il simbolo, nascondeva il rischio della follia: gli alchimisti
ne avvertivano accennando al rischio di affogare. La congiunzione
degli opposti avviene dentro fontane miracolose; distillando l'acqua
resta il dragone, che, mordendosi la coda, diventa simbolo di totalità.
L'acqua è la "arcana sostanza", forma l'idrolito o pietra d'acqua; il
Mar Rosso è acqua di morte per i non consci, Kronos era acqua in
quanto potere di distruzione. E per gli alchimisti esiste anche
un'acqua "tifonica", sterile, dove non alligna la vita.
Così come, per Esiodo, Gea partoriva acque feconde o sterili a
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seconda che il concepimento avvenisse o no sotto gli auspici di Eros.
Per gli alchimisti l'acqua è anche sangue per colmare quel Graal che è
poi uno dei vasi celtici sottomarini. Il legame acqua-anima torna di
nuovo in alchimia con la figura di Melusina, una sirena: le sirene, le
greche figlie di Acheloo, il toro-pesce figlio di Oceano e, come lui,
origine delle acque; figlie forse anche di Persefone Poiché per
Paracelso il Paradiso è sott'acqua, egli ritiene che lì rimasero le
Melusine prima di venire a vivere nel sangue umano, simbolo
primitivo dell'anima, parte del regno delle acque o Ninfididico. E'
parente di Morgana (che significa "nata dal mare"), di Afrodite e di
Ishtar. Ishtar era rappresentata in epoca ellenistica come sirena a due
code, cioè Melusina; ed era legata alle feste nuziali di Maggio. A
Maggio avvengono le nozze mistiche o chimiche degli alchimisti: e
l'anima si ricongiunge con lo spirito. Nella pittura pre-cristiana le
Dea viene rappresentata con i suoi tre colori. Ancora nei primi tempi
del cristianesimo , Maria , la madre di Dio viene rappresentata
esclusivamente nei colori sacrali. A partire dal IX secolo , è ancora
dipinta quasi soltanto vestita di nero , ma porta scarpe e collane
rosse. Il pittore tedesco Grunewald (1475-1528) dipinse ancora nei
colori ternari della dea tutte e quattro le Madonne ritratte nelle sue
Crocifissioni. Nell’epoca della persecuzione delle donne e
dell’allontanamento del femminile, l’abito di Maria cambia e diventa
bianco-azzurro. I colori sacrali si trasferiscono nei simboli secondari ;
al margine esterno della Madonna di Stupach c’è un vaso nerissimo ,
davanti al quale è collocata una coppa rotonda bianca da cui
“fluisce” una collana di coralli rossi. I colori ternari di vita –morte -
rinascita della Dea passano nelle mani dei politicanti e dei potenti
del clero. Luigi XIV, il Re Sole, in un famoso dipinto, porta un
mantello blu notte ricamato di fiori e di stelle. Il suo trono è rosso-
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oro e il baldacchino era di
velluto rosso. La melagrana
purpurea nelle mani del sovrano
diventa la mela d’oro
dell’impero, segno dell’autorità
guerriera e patriarcale del
sangue. I guerrieri portano
uniformi nero-bianco-rosse.
Anche i rappresentanti della
Chiesa compaiono in “abiti da
donna” di velluto rosso o
bianchi come la neve e siedono
sotto un baldacchino rosso. Le
Madonna di Stupach di Mathias Grunevald
suore e il basso clero portano
abiti neri e bianchi e non hanno potere. Vestiti di questi colori si
inginocchiano, come i loro predecessori ,nel luogo dove in un
passato lontano sorgeva la capanna della mestruazione, la cosa più
sacra di tutte, in cui si compiva la trasformazione. Essi venerano il
mistero del sangue maschile
dell’uccisione, laddove prima si celebrava il mistero del
sangue femminile della vita. Essi bevono il vino rosso dal calice che
prima conteneva il sangue della luna. Fanno brillare la luce eterna e
aspergono l’altare d’incenso dove prima la vestale custodiva il fuoco
sacro, il cui fumo rendeva immortali. Il mistero originario della dea e
del ciclo lunare si è conservato e continua a sopravvivere nei simboli
della Chiesa dei padri. Nel II sec d.C nel Mediterraneo orientale si
sviluppò l’immagine di una Maria triforme, a cui, nel primo
cristianesimo, veniva attribuito in genere soltanto l’aspetto di madre,
di theotokos, “generatrice di Dio”. Presso i Copti questa dea, nelle
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sembianze della triplice Maria, stava
sotto la croce. Robert Graves, meritevole
mitologo e letterato, la paragonava alla
Blodewedd irlandese, come fanciulla, alla
gallese Arianrhod , nell’aspetto materno,
e a Morgan Le Faye, come dea del
destino che ha molto in comune con la
Maddalena , che nella teologia diventa “
la nera”, penitente, e viene dipinta col
Figura 2 Madonna con Bambino e
Santi di Francesco di Gentile colore marrone della terra. La maggior
parte delle cattedrali gotiche venne costruita su luoghi che in epoche
passate era considerati sacri ed erano legati in particolare al culto
della Grande Madre, ritenuto il culto unitario più vasto e diffuso
prima del Cristianesimo, molti di questi luoghi inoltre sono dei veri e
propri nodi di correnti terrestri, ovvero quei punti in cui l'energia
terrestre è molto forte e che secondo alcuni studiosi sarebbero anche
alla base dei grandi allineamenti di megaliti come Carnac o i
cosiddetti Leys.
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Madonna della Melagrana di Botticelli

Il termine gotico, per la stragrande maggioranza degli storici


dell'arte, deriva dal nome del popolo dei Goti, che veniva additato
dalla cultura classica romana come un popolo dalla civiltà
assolutamente barbara e rozza. Una spiegazione molto diversa, non
accettata da nessun storico dell'arte, ma altrettanto valida, ci è offerta
da Fulcanelli, uno scrittore degli inizi del nostro secolo, nel suo
affascinante volume I Mistero delle cattedrali. In esso Fulcanelli
stabilisce un parallelo, una connessione molto forte tra gotico e
goetico (ovvero magico). "L'art gotique", egli dice, "altro non è che una
deformazione ortografica della parola argotique, la cui omofonia è
perfetta....La cattedrale, dunque, è un capolavoro d'art goth o d'argot. I
dizionari definiscono la parola argot come "il linguaggio particolare di tutti
quegli individui che sono interessati a scambiarsi le proprie opinioni senza
essere capiti dagli altri che stanno intorno". Prendendo per buona questa
definizione, dunque, Fulcanelli ritiene che le cattedrali gotiche siano
dei veri e propri libri di pietra, attraverso i quali potessero essere
tramandate conoscenze ritenute talmente straordinarie che solo
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poche persone iniziate a simboli ed a codici particolari, avrebbero
potuto apprendere. In effetti la magnificenza, l'imponenza e tutta
una serie di misteri non risolti legati alla loro nascita, hanno fatto
diffondere attorno alle cattedrali gotiche numerosissime leggende in
cui si fondono figure ed oggetti leggendarie della storia del
Cristianesimo, dai Templari al Santo Graal. La pianta di quasi tutte le
cattedrali gotiche ha la forma di una croce latina. Questo sarebbe un
motivo per considerare le cattedrali come edifici esoterici, la croce
infatti "é il geroglifico alchemico del crogiuolo". Ed è nel crogiuolo che la
materia prima necessaria per la Grande Opera alchemica muore, per
poi rinascere trasformata in un qualcosa di più elevato ed è quel
processo di morte e rinascita iniziatiche che stanno alla base dei riti
di molti culti pagani legati alla Grande Dea. Tutte le cattedrali sono
piene zeppe, nella loro architettura, di statue o bassorilievi
raffiguranti figure altamente simboliche e simboli magici ed esoterici,
che poco hanno a che vedere con la loro funzione di chiese cristiane.
Tutte le cattedrali, inoltre hanno l'abside rivolta verso sud-est e la
facciata rivolta a nord-ovest, mentre i transetti del braccio trasversale
sono orientati lungo l'asse nord-est sud-ovest. Questa particolare
orientazione della chiesa era, così come altro particolare delle
cattedrali, non casuale, ma deliberatamente voluta, poiché in questo
modo il fedele, entrando nell'edificio sacro, avrebbe camminato
avanzando verso l'Oriente, ovvero verso la Palestina, luogo di
nascita del Cristianesimo. A causa di questa particolare disposizione
si verifica, ogni giorno, una curiosa successione di luci ed ombre sui
tre rosoni del transetto. Il rosone settentrionale, infatti, quello cioè
che si trova sul transetto sinistro non è mai illuminato dalla luce del
sole, il rosone meridionale, transetto destro, è illuminato a
mezzogiorno, mentre il rosone principale, quello che si trova sul
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portale principale della cattedrale e riscaldato dai raggi del sole che
tramonta. Secondo ancora Fulcanelli "...In questo modo, sul frontone
delle cattedrali gotiche, si succedono i colori dell'Opera, secondo un processo
circolare che va dalle tenebre, rappresentate dall'assenza e dal colore nero,
alla perfezione del colore rosso, passando per il colore bianco, considerato
come una media tra il nero ed il rosso....Nel medioevo, il rosone centrale dei
portici si chiamava Rota, la ruota. La ruota è il geroglifico alchemico del
tempo necessario alla cottura della materia filosofale... " Che rappresenta
la ruota dell’anno con i cicli di crescita, maturazione e morte dei
frutti stagionali. In ciascuna delle cattedrali è possibile scorgere sulle
lastre che formano il pavimento o su qualche pareti la raffigurazione
di un labirinto, che di solito è diverso da cattedrale a cattedrale, ma
che comunque ha lo stesso identico scopo in ognuna di esse. Tale
labirinto, si pone come il percorso iniziatico che chi vuole conoscere i
segreti delle cattedrali, il procedimento della Grande Opera (in caso
si interpreti le cattedrali come simboli alchemici), o più in generale la
verità, deve compiere. Da molti è stato fatto notare come in realtà i
labirinti non siano però percorsi a senso unico, per cui per arrivare al
centro-conoscenza bisogna si evitare i muri ciechi e i trabocchetti
disseminati sul cammino, ma è anche vero che una volta raggiunta la
meta bisogna ripercorrere il labirinto all'indietro, alla rovescia, per
uscirne, questa simbologia rappresenta metaforicamente il viaggio
nelle parti ctonie più profonde dell’essere per ottenere un stato di
consapevolezza mistica superiore. Molti dei labirinti più famosi
sono stati distrutti e smantellati da ladri (infatti molti labirinti erano
creati con lastre d'oro o d'argento), per cui oggi ce ne sono rimaste
solo le descrizioni. E' questo il caso del labirinto di Amiens,
rappresentato da una sbarra ed un semicerchio d'oro, che
rappresentava la levata del sole all'orizzonte o forse la luna, e di
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quello di Chartres, una serie di cerchi concentrici che si ripiegano
l'uno sull'altro, formando un infinita varietà di combinazioni, al
centro della quale era rappresentato il duello di Teseo con il
Minotauro, argomento che rimandava subito alla mente l'immagine
di un altro labirinto leggendario, quello di Creta, dimora della della
Dea lunare e del sacro toro. Ciascuna cattedrale poi è dotata di una
cripta. La cripta (dal verbo greco cripto, che significa nascondo)
costituisce un ambiente sotterraneo in cui secondo alcune leggende e
tradizioni sarebbero nascosti degli oggetti sacri molto importanti (ad
esempio si dice che in una delle cripte di Chartres sia custodita
niente dimeno che l'Arca dell'Alleanza, e che quando questa cripta
sarà scoperta la cattedrale crollerà al suolo. Ma le cripte delle
cattedrali gotiche sono legate ad un altro elemento molto misterioso,
costituito dalle cosiddette Vergini Nere. Queste sono delle statue, o
bassorilievi, che raffigurano appunto la vergine Maria, con la
particolarità della carnagione scura. Da molte parti è stata
sottolineata la stretta relazione tra le statue di Iside, la divinità egizia
corrispondente alla dea greca Gea ("la Terra"), che venivano
custodite nei sotterranei dei templi, con le Vergini Nere. La Madonna
stessa sarebbe la cristianizzazione della Grande Dea che nella Gallia
dei primi secoli d.C. era troppo radicata nella fede e
nell'immaginario popolare, per riuscire ad estirparla del tutto. In
questo senso i costruttori delle cattedrali gotiche, che anche in altri
particolari (ad esempio quello di erigere le cattedrali sui luoghi sacri
al culto della Grande Madre, avrebbero colorato in modo diverso il
volto della Vergine cattolica, affinché coloro che "sapessero"
avrebbero facilmente compreso di chi si trattasse realmente. In molte
raffigurazioni dell’Immacolata il serpente e la luna costituiscono la
base per i suoi piedi. La Chiesa vi vede Maria nell’atto di calpestare il
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serpente, distruggendo così
definitivamente quella forza
primordiale femminile in cui il
patriarcato crede di riconoscere
l’origine del peccato e della morte.
Osservando a lungo queste
raffigurazioni è possibile notare che
non rappresentano un vero atto di
distruzione. Il serpente è
estremamente vivo.
Nell’atteggiamento di Maria non c’è
niente che riveli che essa sta lottando
Immaccolata contro il serpente, al contrario
sembra starsene tranquillamente in
piedi su di esso e sulla luna, che formano per così dire la sua
base.Quindi considero legittimo interpretare la posizione di Maria
che sta in piedi sul serpente e sulla luna come una reminescenza
della sua origine da queste forze matriarcali. Esaminando che cosa
rappresentavano questi due simboli in origine allora diventa chiaro
che Maria ne è la reincarnazione. Proprio come il serpente, anche
Maria è, secondo l’insegnamento dei Padri della Chiesa , il simbolo
della vita eterna. Lei incarna l’eterno femminile che rimane eterno
nelle sue trasformazioni, quel fondamento primordiale del cosmo,
quella creazione vergine che non ha ancora conosciuto l’abuso e che
ogni primavera cerca di tornare a manifestarsi. Il serpente è uno dei
simboli più persistenti e più universali della vita intesa come ciclo di
rinnovamento, di morte e rinascita, una successione che il serpente
rappresenta con la sua abitudine di cambiare pelle. In quanto pura e
splendente come l’argento, Maria sta sopra la luna , che veniva
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considerata l’mmagine più manifesta del divenire, del morire e del
rinascere e perciò faceva parte del simbolismo di quasi tutte le dee
più antiche. Nelle tre fasi lunari , come ho gia detto, si riconosceva la
triplice dea in quanto rappresentante del cosmo dai tre elementi.
Nell’aspetto della bianca falce lunare ella è la giovane dea amazzone
della caccia . La luna è l’arco da caccia cultuale, con cui la dea vaga
nel cielo. Essa rappresenta l’aspetto crescente della vita
femminile ,totalmente riferito a se stessa.

Nell’aspetto della luna piena ella è la dea della fertilità e dell’amore


che comanda sulla terra e sul mare e provvede alla conservazione
della vita. Infine nel suo aspetto di luna nera o calante rappresenta
l’oscuro e il paradossale, e come dea della morte e degli inferi,
provvede perché tutta la vita che finisce nel suo grembo terrestre
possa risorgere dal profondo a nuova vita. Queste tre fasi della vita
femminile trovano un eco in Maria. Nel famoso quadro «Morte della
Vergine» di Caravaggio, la Madonna appare esanime, con un vestito
rosso sangue, con il ventre gonfio, la cui rotondità sembra quasi
volerci ricordare, il suo ruolo di madre “generatrice di Dio” ll
tendaggio sollevato come un sipario è in contrapposizione col vestito
rosso della Vergine. Il dipinto ci suggerisce l’identità ciclica della
Vergine Maria, qui rappresentata come madre –morte.
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Morte della Vergine di Caravaggio

Lei è la vergine, la madre col bambino in braccio e l’ultraterrena, che


conduce il morente e lo assiste nel regno dei morti. Accanto alla
chiara Maria s’incontra la Madonna nera, anch’essa oggetto di
venerazione e le cui forze guaritri sono ricercatissime. Ciò che non ha
compiuto la figura di Cristo è riuscito alla Madonna, l’unificazione
dell’aspetto chiaro e dell’aspetto scuro,e la venerazione di entrambi.
Quindi ella dimostra di fatto la sua divinità, anche se la Chiesa gliela
nega, perché il divino è quello che tutto abbraccia e quindi quello che
unisce tutte le polarità. Naturalmente anche qui si tratta di immagini
“pagane” , perché anche di Iside e Artemide si costruivano statue per
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simboleggiare sia l’aspetto di vita che di morte della luna. Ma
ovviamente la chiesa non lo può ammettere e perciò per le madonne
nere escogita le spiegazioni più banali: statue annerite nel tempo da
fumo delle candele votive, polvere…. Ha relativamente poca
importanza come la Chiesa spiega il fenomeno della Madonna Nera,
ma è come se il popolo ,con sicuro istinto religioso intuisse la
necessità di venerare anche l’aspetto oscuro del femminile, che in
realtà mostra i suoi effetti negativi solo quando viene rimosso dalla
vita. L’origine del culto delle Madonne Nere in Europa si fa risalire
al Paleolitico al culto della Grande Madre che rappresentava per i
nostri progenitori il potere sovrano della fertilità e della maternità,
universale fonte di vita. Il culto della pietra è fortemente legato a
quello della Dea Madre,che con l’avvento dei primi missionari
cristiani, viene trasformata nella Vergine Maria dando vita alla
tradizione delle Madonne nere ,il cui colore scuro , ben lontano
dall’essere associato al male richiamerebbe fortemente il suolo e la
terra. Vista nella dimensione “macrocosmica” ,la terra diventa la
Grande Madre e assicura la prosperità a tutti gli esseri umani. Per
questo in molte tombe del Neolitico il morto era seppellito in
posizione fetale, un ritorno, dopo la vita, al grande ventre materno.
La dea è spesso indicata come la “divinità dai mille nomi”:
Minerva,Venere, Diana, Giunone, Bellona, Iside, Morrigan,
Freya…..Questi sono solo alcuni dei tanti nomi con i quali la Dea è
conosciuta, e tra i quali vi è anche Miryonyme che ricorda da vicino
Myrion, il nome di Maria , la Vergine cristiana creando così strane e
non del tutto ingiustificate analogie. Anche Iside , la Dea Nera,
incarnava nelle civiltà del mediterraneo, l’archetipo femminile e
materno e ha direttamente influenzato la costruzione delle cattedrali
nell’Europa medievale dedicate a Notre Dame. Come ho già
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accennato la maggior parte delle statue originarie delle cattedrali
erano Vergini Nere ed erano collocate in camere sotterranee per
indicare il loro legame con la Madre Terra , dispensatrice di vita e di
prosperità. Le scritte di dedica ritrovate su alcune statue facevano
chiari riferimenti a Iside o alla “Virgini Pariturae”, la Vergine
Gestante, le cui caratteristiche simboliche e culturali possono essere
interpretate come una prefigurazione della Madonna. Ma se Iside
evoca la continuità e l’integrazione del culto della Madre Terra tra
l’Oriente, il Meditterrraneo e Occidente Cristiano, le Vergini Nere
appaiono d’altra parte in stretto rapporto con la tradizione Celtica. In
quest’ambito ha un ruolo importante la triplice Dea Keridwen,
Madre-Vergine-Sposa. Tra i celti l’aspetto femminile della monade
universale chiamata Oiw, era “Karidwen” ,cioè letteralmente “porta
divina” (da Ker,porta Doue, dio), la via che permette all’ essere
umano di accostarsi al divino, funzione propria della Madonna, la
Dea è come Maria Vergine, vaso generatore, “il calderone” che nelle
sue rappresentazioni porta sotto il braccio sinistro . Altro nome con il
quale era conosciuta la dea era Cerridwen che proviene da Cerdd
(guardiano) e Wen (bianco) nome che riporta alla Dea Bianca, infatti
Keridwen era venerata sotto due aspetti: come Dea Bianca che
presiede alla nascita e alla crescita, e come Dea Nera della morte e
della divinazione. E’ la seconda forma quella in cui è sopravvissuta
nel Cristianesimo, come Vergine Nera appunto, ma anche nel culto
di Sant’Anna, la madre di Maria rimasta sterile fino alla vecchiaia e
poi graziata dal Cielo con il concepimento di Maria. Tornando alle
Madonne nere un esempio interessante è quello della Vergine di
Quinipily, in Irlanda, dove nell’omonimo castello presente nella
regione di Baud si trova la statua di una divinità femminile il cui
aspetto diverso da quello precedente essendo stata risagomata e
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cristianizzata. La statua di pietra , secondo gli studiosi rappresentava
una dea gallica il cui nome celtico era Groac’h en Gouard. Ai piedi
della statua si trovava un grande bacino d’aqua dove le donne
solevano immergersi dopo il parto. Ai missionari della zona tutto ciò
non piaceva,e così accusata di essere un elemento malefico fu gettata
nelle acque del fiume Blavet e sostituita da quella della Vergine
Maria, piovve ininterrottamente e i raccolti andarono completamente
distrutti, così i contadini recuperarono la statua .la sistemarono sulla
montagna di Castennec,e torno il bel tempo. Il comportamento
pagano fece infuriare il curato che allontanò nuovamente la statua.
Nel 1696 ritenuta un importante pezzo storico fu recuperata , ma non
fù più di dominio pubblico,fu trasferita nel castello di Quinipily e le
fu tolto “ciò che di indecente c’era nelle sue forme”. Si pensa infatti
che la vergine dovesse essere incinta, cosa che sconvolgeva i
missionar cristiani. La statua ha subito col tempo dei
rimaneggiamenti,comunque su di essa si può ancora notare tre
lettere L.I.T , forse “lux initiatrix terrae” luce iniziatrice della terra.
Moltissime sono le tradizioni che narrano di ritrovamenti di statue o
dipinti che rappresenterebbero la Madonna, ma in realtà sarebbero
antiche raffigurazioni di dee celtiche trasformate dai missionari nella
Vergine Maria. In Italia un luogo sacro particolarmente interessante e
quello della Dame de la Guerison (la dama della guarigione) a
Curmayeur, il santuario è denominato “le Berrier” ,cioè la Roccia.
Scendendo in Liguria si trova la “Nostra Signora della Guardia”,sul
monte Figogna il cui nome riporta ai culti della Dea.
Etimologicamente infatti “ficogna” deriverebbe da ficla e coni , la ficla
sarebbe la torta rituale a forma di vulva utilizzata come offerta a una
divinità. Tra le tante madonne nere presenti nell’Italia meridionale
vi è l’interessantissimo sito di Sovereto in provincia di Bari .
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La leggenda racconta che nell’anno mille un contadino trovasse , in
una grotta, esplicito simbolo che rappresenta la cavità uterina del
grembo materno, un’icona della Madonna e una lampada accesa,
nacque così la chiesa di S. Maria di Sovereto. Molti altri siti sono
legati al culto mariano e alla
Vergine bruna come
testimonierebbero i numerosissimi
santuari eretti dai Templari in
onore di “Nostra Signora” tra cui
l’emblematica Chartres in Francia.
Altro esempio è la chiesa di S.
Maria di Siponto. Appena si giunge
sul luogo si può notare una
particolarità, l’edificio è a forma di
cubo, il quadrato è il simbolo della
Terra in contrapposizione con il
cerchio, simbolo celeste. L’edificio
sembrerebbe un mezzo per cercare
di unire il cielo e la terra, il legame
simbolico non è casuale, infatti
Madonna Nera - Loreto
all’interno si può ammirare la
Madonna Nera Sipontina, adorna del mantello delle “stelle di Iside”.
Sempre in Italia nel paesino di Taggia, in provincia di Imperia nel
Santuario di Nostra Signora di Lampedusa si celebra il culto dedicato
alla Maddalena dal volto scuro, una rappresentazione della dea
madre che ha subito una rivisitazione cristiana. La tradizione
chiamata “ballo della Morte”, descrive la Maddalena di fronte al
sepolcro di Gesù che piange di disperazione. La scena viene
rappresentata in forma di una danza tra il maschio e la femmina
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dove però a morire è la donna, che poi ritorna alla vita grazie a una
spiga di lavanda Numerose sono in Europa le raffigurazioni della
Vergine considerate sacre. Quella venerata
nel santuario di Oropa (Biella) è
forse la più famosa: è alta un
metro e 32 centimetri, con una
coroncina di gusto gotico sul capo,
ed è in legno di cirmolo colorato in
nero nelle parti scolpite. Il volto è
brunito, secondo una tipologia
non rara e che si riscontra in molte
arti d'Europa fra il XII e il XIII
secolo. Il volto brunito della statua
potrebbe evidenziare lavolontà di
tradurre figurativamente il
versetto del Cantico dei Cantici
"Bruna son io e pur leggiadra, non
state a guardare se ioson bruna,
perché mi ha abbronzato il sole"
oppure parrebbe avvalorata
Madonna Nera di Oropa
l'ipotesi dell'uso, soprattutto in
area Medio Orientale, di antiche statue egiziane raffiguranti
soprattutto la dea Iside, poi reimpiegate per l'adattamento al culto
cristiano. Un'ultima ipotesi vede nella brunitura del volto l'influenza
esercitatadall'iconografia di divinità galliche e romane, spesso
brunite, venerate in cripte sotterranee come taumaturgiche per la
fecondità ed il parto. La Vergine di Oropa è rappresentata in piedi,
con ilBambino seduto sul braccio sinistro ripiegato. La più recente
critica ritiene che la statua possa essere stilisticamente riferita
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ad un ignoto artista valdostano, e databile al finire del XIII
secolo. Alcune ipotesi scientifiche sulle ragioni del colore scuro
sono: annerimenti per cause chimiche e temporali; l'impiego di un
particolare tipo di legno scuro; · l'unione della tradizione bizantina
con il reimpiego cristiano di gruppi egizi in ebano; la già citata
influenza esercitata dalla iconografia di divinità galliche e romane
talvolta brune. Il Santuario di S. Maria d’Oropa, uno dei più antichi
luoghi del culto mariano in Europa . Secondo la tradizione in questo
luogo si rifugiò S.Eusebio nel 369 per sfuggire alle persecuzioni
religiose, e vi nascose una statua in legno della Madonna che ancora
oggi è venerata con le sembianze di Vergine Nera. Il masso sotto cui
fu nascosta è chiamato pietra della vita o della fecondità. Nel
romanzo “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley, l’autrice
rivela attraverso una narrazione tra romanzo storico e fantasy il
legame tra il culto pagano della Dea Madre e quello cristiano della
Madonna. nel libro, Morgana, sorella di Artù e sacerdotessa di
Avalon, ormai vecchia e sfinita, dopo una vita trascorsa a cercare di
imporre la sua Dea ai Cristiani ,viene accolta in un santuario
mariano, dove tra alberi di melo fioriti vede la statua di una donna
velata e coronata di luce che tiene tra le braccia un bambino e si
rende conto della somiglianza tra la Madre di Dio raffigurata dai
cristiani e la “sua” Dea. E comprende che non ha fallito, perché la
Dea non è morta, ma continuerà a vivere nel mondo, sotto altre
spoglie e altre sembianze. Ed Fitch scrittore neopagano scrive: “La
tradizione tramanda che i nostri antichi progenitori adorassero la
Dea o Grande Madre (…), in floride e popolose città il cui nome è
dimenticato da migliaia di anni, e in terre ricche di maestose
verdeggianti montagne e dorate pianure inghiottite dalle acque
molte ere fa. Ciò malgrado in questi luoghi, città e foreste, hanno
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vissuto, lavorato, danzato e sorriso uomini e donne, l’eredità del cui
sangue ancora scorre nelle nostre vene. La tradizione magica, è
senz’altro antica quanto l’umanità e cosi intessuta intimamente alla
sua natura da costituire parte di quell’attributo chiamato “umano”.
Tutto a tal punto che persino coloro fra i nostri contemporanei che
non hanno neppure la pallida idea di che cosa sia ciò che viene
definito “magia”, vivono ignari di perpetuare i sacri riti della
nascita, dell’amore e della morte. Senza saperlo anch’essi
partecipano, in senso lato, della magia quando una foresta calda e
radiosa li accoglie,o impauriti, avvertono la devastante potenza di un
lampo, o sconcertati, dopo aver assistito a strani eventi in una magica
notte di Luna, il giorno seguente si preoccupano di rinnegare ciò che
hanno visto con i loro stessi occhi. Non esiste essere vivente che
possa tracciare una storia completa o anche solo esauriente della
magia. Essa si è dissolta nelle nebbie della preistoria, dopo aver di
volta in volta regnato incontrastata sugli esseri umani , aver scaldato
i loro cuori ispirando le religioni sue consorelle, oppure essere stata
perseguitata da ottusi e tenebrosi pregiudizi. Ma la magia, quella più
vera, ha radici profonde e inevitabilmente, sa riemergere per
ripresentarsi quale era nel passato. Oggi, per esempio,stiamo
vivendo un periodo di forte rinascita, come dimostra la ricchezza
emotiva e spirituale della WICCA, e l’antica conoscenza della
tradizione e della ritualità sta riemergendo”. La Wicca (esposta per
la prima volta in pubblico da Gerald Brosseau Gardner, 1884-1964)
si può far risalire all’età dorata del matriarcato e al culto della
Grande Madre, prima che l'avvento del Cristianesimo la
trasformasse in un culto dedito all'adorazione del maligno; tuttora la
stregoneria viene spesso associata e confusa con il "satanismo" e la
figura della Strega rievoca in molti paure legate all'immagine di un
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essere malvagio dedito, volontariamente, al "male". Le Streghe non
sono adoratrici del diavolo, come
vuole la Chiesa, bensì sapienti
conoscitrici dei ritmi della natura, e
depositarie dell'antichissima
tradizione Pagana; la Stregoneria è
una credenza spontanea, la Strega,
segue i propri istinti e i riti che
pratica, le feste che riconosce,
affondano le proprie radici nella
Natura e nei suoi cicli. Phillis
Curott ,famosa avvocatessa,

Triplice Dea di Mickie Mueller scrittrice e sacerdotessa wicca


scrive : “Ogni donna che incontrate
è la Dea… Lei è in ciascuno di noi. Uscite di casa una notte e
osservate il cielo e vedrete la Dea, perché il firmamento è il grembo
della creazione. La Dea è l’infinito potenziale da cui nasce ogni
realtà…La Dea dimora nel mondo, è il mondo in tutte le sue forme
ed espressioni. Non dovete credere in Lei perché la sperimenterete
ogni istante in ogni luogo. La Dea è visibile nel ritmo che regola il
corpo femminile, nella sua capacità di dare la vita,e nella capacità
dell’uomo di creare,amare e dare nutrimento. La Luna è il volto
scintillante della Dea, l’oceano il suo grembo ,la Terra il corpo,
l’universo lo Spirito infinito. Ha infiniti nomi ,volti, poteri e doni, ed
è con noi fin dall’inizio della cultura umana, in ogni epoca e in ogni
angolo del mondo.”
Il mondo stregonesco affonda le sue oscure radici nell’Europa
precristiana, soprattutto celtica. Nella concezione del mondo
manifestata dai Celti, materia e spirito, razionale e irrazionale, morte
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e vita non hanno distinzione: la realtà, la Terra, l’Universo non sono
stati creati una volta per tutte ma continuamente si ricreano, sono
un’eterna metamorfosi. Morte, resurrezione, eternità, immortalità
fanno parte di un’unica realtà. Nella notte di Samhain, le due
comunità, dei viventi e dei morti, si incontrano, si compenetrano:
ogni distinzione si annulla in un "non tempo". Questa grande festa, è
divenuta la festa cristiana d’Ognissanti che ha conservato l’aspetto di
"Comunione dei Santi". È la festa anglosassone della "notte di
Halloween", con tutte le banalizzazioni commerciali all’insegna
dell’horror precarnevalesco dei giorni nostri. Nell’immaginario
celtico il mondo spettrale ritualizzato dai druidi e cantato dai bardi è
affidato soprattutto ad immagini femminili: la dea Anu, identificata
spesso con Morrighan, la dea della guerra che si aggirava spettrale e
inesorabile. Nella sua forma gigantesca e mostruosa assumeva il
ruolo di pizia ed era chiamata Badb. Come Nemain era lo spirito che
mutava figura e, come una strega, entrava nel corpo dei neri corvi
volando sui morti in battaglia per cibarsi delle loro carni. Sulle rive
dei fiumi si materializzava, per lavare i panni dei guerrieri che
sarebbero stati uccisi. Nell’immaginario dei popoli alpini, intriso di
elementi celtici (i Galli cisalpini hanno abitato per secoli nella zona
del Po’ e nelle Alpi) le Aguane sono immaginate come belle ragazze
dai lunghi capelli biondi, che stendono i panni lavati sulle vette
inaccessibili. Come è indicato dal nome, le Aguane sono creature
dell’acqua, l’elemento misterioso all’origine di ogni vita. Arrivò il
cristianesimo che finì con l’evangelizzare l’immenso territorio dei
Galli, esteso per gran parte dell’Europa (dal Galles al Nord, dalla
Galizia spagnola all’Ovest alla Galizia sui confini russi all’Est, tutte
regioni che ricordano nei loro nomi i Galli). I Celti, con la loro
concezione della realtà per molti aspetti agli antipodi di quella
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giudaico cristiana, furono cristianizzati; la loro cultura venne
sradicata, rimossa, demonizzata. Appare significativo che in
Trentino, ad esempio, le Aguane di origine celtica diventino le
streghe, le Gane. Quando cominciò l'avanzata del cristianesimo, il
culto degli antichi dei pagani, della mitologia classica e celtica, si
ritirò nelle campagne e nei boschi dove tradizioni e credenze  erano
più semplici,  molto più antiche e difficili da "assimilare".
Sì, perché, l'opera compiuta dalla chiesa fu una vera e propria
assimilazione nonché demitizzazione dei culti pagani. Tanto per
cominciare, i nomi degli Dei divennero nomi di santi e si mantennero
inalterate date e festeggiamenti ad essi dedicati. Gli dei si
trasformarono in demoni e il dio greco Pan e il celtico Cernunno cioè
la personificazione delle forze della Natura, in Satana stesso, ecco
perché nell 'iconografia classica satana è un caprone.                  
Tuttavia questa operazione non riuscì del tutto, nemmeno la santa
inquisizione perché che fece migliaia di vittime innocenti con l'unica
motivazione di affermare ed assicurare la potenza della chiesa,
estirpò definitivamente gli antichi culti pagani europei.
Un fenomeno che spiega l'assimilazione è la cosiddetta
"cristianizzazione del calendario", i vescovi responsabili
trasformarono il mondo e le festività pagane, in feste cristiane. Un
editto recitava: "Non ostacolate la celebrazione
degli antichi Dei, ma piano piano trasformatela.”
Non è difficile fare esempi in merito, partiamo pure da Ognissanti (o
Halloween o Samahin), è diventata facilmente la festa di "tutti i santi"
(1° novembre), continuiamo con il Solstizio d'Inverno che è diventato
Natale, e Imbolc, la Candelora, per non parlare di Pasqua, la festa più
importante della religione cristiana cattolica, che viene ricalcolata
automaticamente ogni anno sulle lunazioni di primavera... Le
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tradizioni originali purtroppo sono ben difficili da ritrovare, perché
le trasformazioni compiute
dal tempo e dagli uomini ne
hanno irrimediabilmente
mutato cerimoniali, riti…,
conglobando altre tradizioni
come quelle giudaica  e
qabbalistica in modo
pressoché irrimediabile. Sono
molte le feste della religione
Pagana, tutte ovviamente
legate alla Natura. Per chi
Samhain incantato di Wendy Andrew vive a stretto contatto con la
terra, il perenne rinnovarsi
dell'immutabile ciclo delle stagioni, diventa ecessariamente qualcosa
di familiare. Il ciclo annuale, così come simbolizzato dalla ruota del
sole e raccontato nelle storie e nei miti che fanno capo alla magia
stagionale, non è altro che l'affascinante racconto della nascita, della
vita, del destino e della morte, dell'inevitabile ritorno di ogni cosa e il
tentativo di dare una spiegazione a tutto questo. I riti testimoniano
in modo chiaro, che tute le cose sono collegate, nel mondo,
nell'universo. 
Andrea Romanazzi esperto di mitologia celtica scrive “Halloween o
Samhain , la famosa “notte delle streghe”è un antica festa celtica .
Per molti è una ricorrenza estranea alla nostra cultura italiana, un
chiaro esempio dell'effetto della globalizzazione e dell'assorbimento
di usi e costumi del mondo anglosassone. In realtà, celate da
maschere e vetrine scintillanti ecco trasparire antichi ricordi di
tradizioni mai del tutto scomparse e ancora insite nel folklore
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popolare che contraddistingue la nostra nazione. Sarà così seguendo
gli indizi nascosti nelle pieghe del tempo che arriveremo ad un culto
molto antico, il culto della Dea Madre, regina di questa mistica notte
ove ancora oggi il velo della reminescenza è così leggero da
permetterci di guardar attraverso. Secondo il Dizionario McBeain di
Lingua Gaelica Samhain (pronunciato "sow-in"), forse la più
importante tra le festività celtiche, deriverebbe da "samhuinn" e
significherebbe "summer's End", la fine dell'estate e l'inizio della
stagione invernale. In realtà i festeggiamenti non duravano una sola
giornata ma iniziavano una settimana prima e si concludevano una
settimana dopo, così è molto più probabile che il giorno più
importante dei festeggiamenti non fosse il primo del mese di
Novembre, bensì l'11, data coincidente con quella che oggi viene
definita estate di San Martino. Successivamente, nei paesi di origine
anglosassone, Samhain fu trasformata in All Hallow's Eve, ove "Eve"
sta per "vigilia" o ancora Halloween. Questa data coincideva con
l'inizio dell'anno celtico, il momento in cui la natura inizia il suo
riposo e il primitivo, spaurito dalla morte della propria "mater", già
preparava la sua rinascita. Da qui il collegamento di Samhain come
festa dei morti, ma in realtà essa non è una festività legata ai defunti,
esattamente il contrario, è legata alla vita, alla grande dea che muore
per poter rinascere. Ai primordi infatti la divinità è immaginata
come la sovrana dei boschi e della natura selvaggia, essa da
sostentamento agli uomini ma ne può causare anche la morte,
successivamente il passaggio dal nomadismo all'agricoltura impone
al selvaggio un più attento esame delle stagioni e dei cicli naturali,
egli si accorge che la terra non è sempre fertile, la dea, resasi
immanente nei campi, nelle piante di grano e di orzo muore per
poter rinascere nuovamente e così assicurare, con i suoi eterni cicli, la
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novella vita. Il concetto di morte e resurrezione ha così da sempre
permeato le credenze e i miti degli uomini, nel mondo greco ad
esempio essa è ben descritta dalla storia di Demetra e Persefone. E' in
questa ottica che la festa di Halloween assume un nuovo significato,
esso diventa il giorno in cui il velo che separa il mondo dei vivi da
quello del soprannaturale si fa molto sottile, tanto da poter
facilmente trapassarlo, nasce così l'idea che le anime dei morti
proprio in questo giorno riescono più facilmente a raggiungere e far
visita ai loro cari ancora in vita. Da questa credenza nasce l'usanza di
lasciare frutti o latte sugli usci delle porte, in modo che gli spiriti,
durante le loro visite potessero ristorarsi o ancora accendere torce e
fiaccole per segnalare il cammino e agevolare loro il ritorno. Con
l'avvento del Cristianesimo, la Chiesa cercò di appropriarsi della
festività troppo radicata nella cultura popolare per esser cancellata e
così il 1° Novembre diventava la festa di Ognissanti, le figure fatate e
gli spiriti della tradizione celtica, a loro volta immagine di un
oltremodo di morte e rigenerazione, furono demonizzati, le stesse
donne il cui ruolo nei rituali di fertilità era fondamentale furono
trasformate in streghe e i falò di "gioia" tradotti in roghi. Anche le
lanterne e le luci subirono una ugual sorte, quelle che all'inizio
avevano proprio il compito di indicare ai propri defunti la "via di
casa" divennero "lanterne scaccia streghe" con un uso completamente
differente. La tradizione vuole che solo verso il 1700 iniziò a sorgere
l'usanza di intagliare strani e spaventosi volti nelle rape e di inserire
nel loro interno delle candele illuminate proprio per far allontanare
gli spiriti maligni, nel 1845 però, una spaventosa carestia in Irlanda
obbligò moltissime persone a immigrare in America portando con
loro anche queste tradizioni. La difficoltà di reperire rape nel nuovo
continente fece si che il tubero fosse sostituito dalle molto più diffuse
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zucche gialle che ancor oggi sono uno dei simboli più ricorrenti di
Samhain. Se così ci racconta la storia non possiamo far a meno di
soffermarci sulla scelta del frutto-simbolo della festa, trovando molte
altre antiche tradizioni che riportano alla zucca. Essa è infatti da
sempre legata a rituali di morte e rigenerazione che
contraddistinguono il culto della dea, infatti il fiore, chiamato giglio,
era legato di solito ai morti, il suo colore giallo pallido ricordava
appunto il colore delle ossa dei defunti, mentre il frutto, appunto la
zucca, era associato alla procreazione e alla fertilità.
Se così immaginiamo che la lanterna di Halloween abbia origini
moderne basta sfogliare il Corpus Hippocraticum del 400-300 a.C. per
leggere che"…se la donna ha la stanguria tagliare la testa e il fondo di una
zucca, metterci sotto del carbone, gettare sul fuoco della mierra triturata, la
donna si sieda sulla zucca e faccia entrare quanto più possibile i suoi organi
genitali, affinché le parti genitali ricevano più vapore possibile…"
La descrizione sembra perfettamente coincidere con la lanterna
cacciastreghe simbolo della festività. La zucca è così lo strumento per
assicurare la procreazione, essa è il priapos primordiale, l'elemento
ingravidatore che nasce dalla stessa terra e assicura, nel periodo più
oscuro e buio la vita. Del resto la zucca era anche associata al dio
Priapo, divinità di origine greca poi successivamente "adottata" dai
romani. Il dio, spesso rappresentato con un volto umano e le orecchie
di una capra, tiene in mano un bastone usato per spaventare gli
uccelli, la falce per potare gli alberi e sulla testa foglie d'alloro. Sua
caratteristica più evidente è l'enorme o addirittura il doppio fallo,
simbolo proprio della sua natura feconda, aspetto per il quale era
anche rappresentato da un pilastrino verticale con sopra scolpita la
sua testa e il suo fallo eretto, simbolo appunto della fecondazione.
Ebbene il dio era anche strettamente collegato alla zucca come
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possiamo leggere dai Carme Priapei"…io sono invocato come custode
ligneio delle zucche…"E ancora il ricordo della zucca come frutto
legato ai rituali di fertilità lo ritroviamo in molti autori latini che la
associano al parto e alla gravidanza" …intortus cucumis praegnansque
cucurbita serpit…" o ancora in Propezio che scrive" ...caerules cucumis
tumidoque cucurbita ventre... "Così la zucca è simbolo fallico ma al
tempo stesso essa stessa "madre", portando nel suo ventre fruttifero i
semi, come la donna e la dea essa assicura la vita per la sua specie e il
sostentamento per gli uomini. Nascoste nelle pieghe del tempo
moltissime sono le tradizioni e i rituali che si espletavano in questo
giorno, alcuni successivamente fortemente travisati nel corso dei
secoli, silenti testimoni di un passato mai del tutto scomparso. E' così
che esaminando le usanze e le tradizioni italiane ed in particolare
pugliesi troviamo ancora il ricordo della mater, l'idea del "ritorno dei
morti", ad esempio, concetto che deriva proprio da quella visione di
morte e resurrezione che caratterizza il culto, la ritroviamo in
moltissime tradizioni, così nei paesi costieri è vietato mangiare carne
e pesce e andare in mare a pescare perché "si pescano le ossa dei
morti" e nelle case, si usa imbandire la tavola tenendo un posto
vuoto per i defunti e accendendo ceri e luci che servono proprio ad
indicare la strada al morto. In molti paesi, poi, vi è una strana
usanza, in questa notte i bambini usano appendere delle calze, fuori
dalle proprie case per ritrovarle il giorno dopo ricolme di doni, una
tradizione simile a quella dell'Epifania. La tradizione vuole che i
morti al loro passaggio lasceranno dolci e frutta di stagione, ma
anche carbone o ossa, per i più cattivi. La calza nasconde così una
interessante simbologia, essa è la cornucopia della dea, il corno della
Capra Amaltea, la mistica nutrice dispensatrice di doni che assicura
fertilità alla terra. In questo periodo di morte della natura e di stenti
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la calza è il sinonimo della speranza, il "morto" che porta la vita e
dunque la resurrezione. Nella calza dell'abbondanza non mancava
poi un altro richiamo alla dea, il cosiddetto "grano dei morti", grano
cotto che ci riporta alla mater come signora della semina. Non
mancano proverbi e detti che appunto ricordano il legame stagionale
con la festa e infatti si dice che prima dei giorni dei morti si semina
sia nel piano che sulle alture o in montagna.
Il grano e i cereali in genere sono simbolo del continuo ciclo di morte
e rinascita, esso infatti viene mietuto proprio per poter ricrescere e
non dobbiamo dimenticare che etimologicamente la dea Cerere
sembrerebbe provenire proprio da "Madre del grano" identificata
spesso con l'ultimo covone della raccolta e destinato a rituali di
fertilità, infatti era riservato alle vacche gravide proprio per
assicurare loro fertilità o alle stesse donne che si dovevano garantire
un parto felice. Samhain diventa così la festa dei colori e dei fuochi
schioppettanti che vengono accesi un po' ovunque, del resto il
primitivo sa che è il sole che rende gravida la terra e così l'usanza di
accender in questa notte i falò di gioia, falò
che se da una parte hanno appunto il
compito di guidare i defunti,
metaforicamente si riferiscono al
"resuscitare" la natura e i suoi frutti, il fuoco
ha così lo scopo, basato sul concetto di
magia imitativa o "simpatica" di
rappresentazione in terra il ciclo solare,
anche se il calore solare si è ridotto esso tornar ben presto a
risplender sulla terra come appunto i fuochi di gioia che con il loro
crepitare riscaldano gli animi.
Ed è sempre in questa ottica di rinnovamento e fecondità che in
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questi giorni venivano fatte conoscere in casa le novelle fidanzate, sia
per presentarle anche ai cari defunti che in questo periodo
ritornavano a vivere, sia per i motivi descritti precedentemente che
legano indissolubilmente Samhain e queste feste di prosperità.
Moltissime sono ancora le festività, le tradizioni che potrei elencare e
le credenze , di fondo però una idea comune, nelle fiammelle delle
candele delle lanterne di zucca,vi è il sorriso e i simboli di una dea
che da sempre, anche se nascosta, segue gli uomini nel loro
cammino.
Phillis Curott scrive che abbiamo avuto antenati precristiani in tutta
l’Europa e nel mondo intero, che veneravano divinità femminili,
avevano esperienza diretta della natura divina del mondo e
mettevano in pratica tecniche sciamaniche. Gli avi ci hanno lasciato
un’eredità di pratiche popolari …festività e luoghi sacri che ci
spingono a scavare sempre di più nella nostra cultura per
riappropriarci di questo lascito inestimabile.

"Ascoltate le parole della Grande Madre,


colei che nei tempi antichi era anche chiamata
Artemide, Astarte, Dione, Melusine, Afrodite,
Cerridwen, Diana, Arianhod, Bride
e con altri molti nomi.
Ai miei Altari i giovani Lacedemoni compivano i dovuti sacrifici.
Quando avete bisogno di qualcosa, una volta al mese
e meglio quando la luna é piena,

Triplice Dea riunitevi in un luogo segreto e adorate Me,


che sono la Regina di tutte le Magie.
Qui vi riunirete, voi che desiderate imparare tutta la stregoneria
e che ancora non conoscete i suoi segreti più profondi.
- Pagina 99 -
A questi insegnerò le cose che sono ancora sconosciute.
E sarete liberi dalla schiavitù e come segno che siete realmente
liberi,
sarete nudi nei vostri riti e danzerete, canterete,
farete banchetto, musica e l'amore,
tutto in mio onore.

Perché mia é l'estasi dello Spirito e mia é anche la gioia sulla


terra.
Perché la mia Legge é Amore per tutti gli esseri.
Mantenete puri i vostri ideali più alti. Cercate sempre di
realizzarli.
Non lasciate che nulla vi fermi o vi distolga da essi.
Perché mio é il segreto che si apre sulla porta della giovinezza,
e mio é il calice del Vino della Vita e la grande Coppa di Cerridwen,
che é il Santo Graal dell'Imortalità.
Io sono la Clemente Dea che concede il dono della Gioia al cuore
dell'Uomo.
Sulla terra do la conoscenza dello Spirito eterno
e oltre la morte concedo pace, libertà e riunificazione con coloro
che se ne sono già andati
Né chiedo nulla in sacrificio perché, vedete,
Io sono la Madre di tutte le cose e il mio amore si riversa su tutta
la terra.
Ascoltate le parole della Dea delle Stelle,
nella polvere dei cui piedi sono le multitudini del Cielo
e il cui corpo cinge l'intero universo.
Io sono la bellezza della verde terra e la Bianca Luna tra le
Stelle;
- Pagina 100 -
il mistero delle Acque e il desiderio del cuore dell'uomo.
Io chiamo la tua anima: alzati e vieni da me.
Perché Io sono l'Anima della natura che dà la vita all'Universo.
Da me tutte le cose provengono e a me tutte le cose devono ritornare.
Se sarai amato dagli Dei e dagli uomini,
il tuo spirito sarà accolto nell'abbraccio statico dell'infinito.

Che la mia venerazione sia nel cuore che gioisce perché, ascoltate,
tutti gli atti di amore e di piacere sono miei riti;
perciò che ci sia in voi Bellezza e Forza, Potenza e Compassione,
Onore e Umiltà, Letizia e Riverenza.
E voi che volete cercarmi, sappiate che la vostra ricerca e il vostro
desiderio non vi gioveranno
a meno che non conosciate il mistero,
"Se non trovi dentro di te ciò che cerchi, non lo troverai mai fuori
di te",
perché, ascolta,
Io sono stata con voi fin dall'inizio
e Io sono ciò che é raggiunto alla fine del desiderio."

(Charge of The Goddess – Doreen Valiente)


- Pagina 101 -

BIBLIOGRAFIA
Autori vari “Elissa” “Tradizioni e culti pagani di primavera” ed
miriamica
Ballerini Selene “Il corpo della Dea” Giochi e misteri della
sapienza femminile ed atanor
Curott Phillis “Il sentiero della Dea”
Vita autobiografica di una sacerdotessa
moderna

Della Dea ed sonzogno

“L’arte della magia”


Graves Robert “La Dea Bianca “ Grammatica storica del mito
poetico ed adelphi

Gray Miranda Luna Rossa macroedizioni


Gimbutas Marija “ Il linguaggio della Dea”Mito e culto della Dea
Madre nell’Europa Neolitica

Maiden Terence “Stonehenge” Il segreto del solstizio ed eco

Michell John “Lo spirito della Terra” ed red


L’energia del mistero vivente
Moura Ann Stregoneria verde Elfi edizioni
- Pagina 102 -

Monaghan Patricia “Le donne nei miti e nelle leggende” ed red


Dizionario delle dee e delle eroine

Harding M.Esther “I misteri della donna” ad astrolabio


Starhawk “La danza a spirale” macroedizioni

La rinascita dell’antico culto della Grande


Dea

Neuman La Grande Madre

Psicologia dell’archetipo femminile

M. Zimmer Bradley “Le Quercie di Albion”


La signora di Avalon”
“La sacerdotessa di Avalon”
“Le nebbie di Avalon

Jurgis Baltrusaitis “Il medioevo fantastico” ed adelphi

Antichità’ ed esotismi nell’arte gotica


Murry Hope “Magia egizia” ed mediterranee
- Pagina 103 -
Simboli, divinità e rituali

Dion Fortune “La Cabala mistica” ed astrolabio

James G. Fraser “Il Ramo d’oro” ed bollati boringhieri


Studio sulla magia e la religione
Margaret A. Murray “Il dio delle streghe” ed ubaldini
Culto del Dio pagano con le corna,
dall’età della pietra al 17° secolo

Maria Mavromataki “Mitologia greca e culto” ed ha’i’talis

Nigel Pennick “Tradizione nordica” ed atanor


L.M Vatta e O.A.Spinelli “Alle fronde dell’antico noce”
Stregoneria ed all’insegna di Ishtar

Susanna Benetton “RUNE” ed il cerchio della luna


Frammenti di stelle
Charles G. Leland “Aradia”
Il vangelo delle streghe
Pina Andronico La magia dei Celti
Laurence Gardner “Il regno dei signori degli anelli” ed newton e
Mito e magia del Sacro Graal compton
S.Blake e S. Lloid “Le chiavi di Avalon”
Alla scoperta del mistero di Re Artù

Scott Cunningham “WICCA” ed armenia

“ Enciclopedia delle erbe magiche” ed


mursia
“Enciclopedia delle pietre magiche”

Brian Bates “La sapienza di Avalon” ed rizzoli


- Pagina 104 -
B. Froud A. Inserire testoLee D.Larkin “ FATE” ed Rizzoli

Risorse web per l’approfondimento dell’argomento

www.grandemadre.net
www.celticworld.it
www.acam.it
www.avalon-nemeton.org
www.women.it/armonie
www.spiritualsearch.it
www.tmcrew.org/femm/storiadelledonne
www.ilcerchiodellaluna.it
www.iltempiodellaninfa.net
www.maat.it
www.archeomedia.net
www.queendido.org
- Pagina 105 -
www.wicca.it
www.fuocosacro.info
www.paganpride.it
www.url.it/donnestoria
www.heramagazine.net
www.miti3000.org
www.daltramontoallalba.it
www.akkuaria.com

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