Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
SCHOPENHAUER
Author(s): UMBERTO A. PADOVANI
Source: Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, Vol. 23, No. 4/5 (LUGLIO-OTTOBRE 1931), pp.
345-385
Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/43069762
Accessed: 02-08-2016 04:40 UTC
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at
http://about.jstor.org/terms
JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted
digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about
JSTOR, please contact support@jstor.org.
Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with
JSTOR to digitize, preserve and extend access to Rivista di Filosofia Neo-Scolastica
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOV AiNI
- 345 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
fede in sè stesso e nel suo valore, a non credersi più straniero in questo mondot
e a rivolgere gli occhi seriamente sopra di esso ». Il che avrebbe importato
infine una nuova filosofia. « Una filosofia che ponesse per principio il sog'
getto e ncn l'oggetto, il pensiero e non Tente, Pintelligente e non l'intelligi"
bile, e che dalla coscienza di sè, dalla notizia intuitiva dell'essere contenuto
nel pensiero , procedesse alla vera concezione della natura e di sè stesso ».
Era naturale che il Cattolicesimo non potesse altrimenti rispondere che
colla guerra a questi principi negatori della sua più intima essenza. E di fronte
alla glorificazione pagana della vita, riaffermasse i suoi immanenti ideali asce"
tici, e alle virtù mondane e terrene dei nuovi eroi - celebrati dal Machia"
velli o dall' Ariosto - contraponesse le cristiane virtù di rinuncia e di peni"
tenza di S. Luigi Gonzaga o di S. Teresa di Gesù. E di contro al libero esame
e alla esperienza interiore della Riforma, riaffermasse in religione il principio
d'autorità e, insieme, il valore della ragione per la fede, e costituisse e lanciasse
attraverso l'Europa e il mondo quella Compagnia di Gesù, che era special"
mente destinata ad incarnare, a propagare, a difendere questi stessi principi,
E in opposizione alla nuova esigenza dell'assoluta libertà del pensiero, riven"
dicasse il diritto della Chiesa di giudicare il pensiero, contrario alla verità cat'
tolica - e dunque falso - e facesse valere tale diritto mediante la rafforzata
Inquisizione, che procedette contro Bruno e Galileo (i). Ma se la Controri"
forma cattolica fece quanto umanamente era possibile fare per arrestare i primi
effetti esteriori e pratici del nuovo errore, non potè impedire che questo a
poco a poco oscuramente si sviluppasse e prendesse forma speculativa e siste"
matica, e così - ritornando a quella concreta realtà ond'era sorto, ma fatto
adulto e presa coscienza di sè - attraverso il razionalismo illuministico pene"
trasse e dilagasse dovunque. Fino a che colla Rivoluzione francese il raziona"
lismo anticattolico cercherà una integrale applicazione nella vita politica e
morale, attuando così praticamente quel divorzio dal Cattolicesimo, che teore"
ticamnte era già stato consumato dalla filosofia. Tale sconvolgimento porterà
la provvidenziale liberazione della Chiesa romana dall'oppressione politica di
governi, di principi, di ministri giansenisti e illuministi, non più ormai di"
sposti ai doveri degli stati cattolici verso la Chiesa, ma pur facenti valere e
prevalere i diritti tradizionali degli stati cattolici contro la Chiesa stessa. Seguirà
però la più fiera persecuzione che la Chiesa avesse fin allora patita da parte
della civiltà moderna: cacciati e dispersi da parte degli stessi stati cattolici i
Gesuiti ultramontanisti e papisti, imposto alla S. Sede lo scioglimento del corpo
dei suoi pretoriani ; assalita la Chiesa nella stessa Roma, il Pontefice tratto pri"
(i) Tra i realizzatori politici della Controriforma cattolica merita di esser ricordato
in primo luogo Filippo II di Spagna - travisato e calunniato da protestanti e razionali"
sti, precisamente in causa della sua opera assidua a vantaggio della Chiesa. Il suo assolu-
tismo politico, nonostante qualche intemperanza regalista, fu cattolicamente ispirato:
ispirato anzi - dominante ancora il Rinascimento - ad una concezione ascetica della vita,
come appare da tutta Topera sua privata e pubblica. Si cfr. a questo proposito le belle
monografie di L. Bertrand (Philippe II à l'Escoriai , L'artisan du livre, Paris, 1920; e Phi-
lippe II, Grasset, Paris, 1929), il quale va felicemente rivendicando la spiritualità catto"
lica spagnola dell'epoca, come altri stanno facendo per la Francia e per l'Italia.
- 346 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE F. LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
- 347 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
il valore della prima è condizionato dalla negazione della seconda» Tale la ri'
voluzione copernicana operata da Kant»
Il pensiero kantiano - come è noto - fu diversamente interpretato» se*
condo la lettera o lo spirito, l'intenzione del filosofo o la logica delle sue idee,
realisticamente e idealisticamente. E se l'interpretazione realistica può avere
per moi un maggior valore di verità, in quanto più si avvicina alla concezione
scolastica del reale, e fa dunque onore all'austero filosofo di Konigsberg - -
come al Roveretano - che non voleva in alcun modo venire alle conclusioni
umanistiche dell'assoluto idealismo; certo è che l'interpretazione idealistica ha
un maggior valore di realtà, in quanto, inquadrando Kant nello svolgimento
del pensiero moderno, riesce a comprendere l'indiscutibile importanza storica
di lui. Il significato fondamentale del pensiero kantiano non sta di fatto in una
forma di dualismo, di platonismo, teistico o panteistico, non sta nella distin-
zione tra fenomeno e noumeno, che si ritrova in Platone, o nel primato della
volontà, che gli veniva dal Cristianesimo, dal Protestantesimo. Siblbene nel
concetto di sintesi a priori - teoretica e pratica - onde lo spirito è costituito
(preteso) creatore della realtà, e così aperta la via all'idealismo assoluto. L'enu-
cleazione e il dialettico svolgimento di questo fertile principio sarà precisa-
mente l'opera dell'idealismo posteriore : il quale - superato l'ultimo e illogico
residuo realistico della kantiana cosa in se, ove poteva trovar logicamente fon-
damento una concezione pessimistica e ascetica della realtà e della vita, quale
si presentava in fondo la concezione kantiana (dottrina del male radicale) -
afferma che la realtà è assolutamente creazione dello spirito e (dunque) neces-
sariamente razionale. Così veniva ripreso e anzi condotto a maggior perfezione
l'ottimismo moderno prekantiano, che si accentra in Leibniz: non più nel
senso di una razionalità dominatrice, ma astratta e trascendente più o meno la
realtà concreta, che perciò doveva sfuggire alla luce di quella razionalità; ma
nel senso di una razionalità immanente, intima, identica alla concreta realtà
del divenire, della storia, ove lo spirito celebra la sua divina epopea. Con que-
sto non intendiamo affermare che fuori dell'idealismo - il quale, attraverso
Fichte e Schelling, culmina in Hegel - non vi siano altri indirizzi, altri svi-
luppi del pensiero kantiano, non razionalistici e forse più vicini alla verità,
che anzi la storia sta a provare il contrario; ma solo che il pieno e logico svol-
gimento del pensiero kantiano, il quale è un pensiero originale e moderno pre-
cisamente pel concetto di sintesi a priori , sta nell'idealismo assoluto di Hegel,
il grande sistematico della filosofia moderna e il legislatore della filosofia con-
temporanea (i).
(i) Nota G. Windelband, nella Storia della filosofia moderna cit., vol. III, par. 69
( L'irrazionalismo ), pp. 186-189: « Il panlogismo hegeliano porta il carattere generale dello
sviluppo dialettico della filosofia tedesca alla sua espressione più acuta... si tratta, alla
fine» d'una completa risoluzione della realtà in concetti razionali ». Onde, caduto il con-
cetto della cosa in se, e il conseguente fenomenismo, « l'idealismo kantiano era ridiven-
tato razionalismo assoluto, illimitato. - Senonchè la completa risoluzione della realtà
nella ragione non è che apparenza... - C'è, così, in ogni sistema razionalistico un re-
siduo, innanzi al quale s'arresta la coscienza razionale » : ossia non suscettibile di riso-
- 348 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
- 349 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
(i) G. Windelband, Storia della filosofia, vol. II, par. 43o (La metafisica dell' irrazio*
naie ), p. 338.
- 350 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
coirirrazionale nella natura, e alla fine trionfa di lui nella storia.. Nel mondo
dunque domina sì la contraddizione, il bisogno, il dolore, ma attraverso il
dramma della storia la ragione in ultimo trionfa. Le cose realizzano il loro fine
tornando a Dio, che così ad esse si rivela e pure così può pienamente autori-
velarsi e cosciente tornare a se stesso, in un processo umano-divino. Onde,
dopo aver messo sotto i nostri occhi il più triste quadro della natura oscurata
e della vita desolata dal male, Schelling ci conduce ad una soluzione finale,
che è incontestatamente una specie di ottimismo teologico.
Nello stesso Hegel infine - il corifeo dell'ultimo razionalismo, del pan-
logismo e dell'ottimismo - permangono, com'è fatale, residui irrazionalistici
e pessimistici; nonostante il suo titanico sforzo di risolvere dialetticamente l'u-
niversa realtà, razionalizzando il mondo romantico delle idee, l'intuizionismo
di Schelling, in un sistema, ove essere e ragione si convertissero, si identifia
cassero. Egli perciò pretende, in generale, di assimilare in unità dialettica Tem*
pirico e l'assoluto, il molteplice e l'uno - mentre non si può altro che subor-
dinare il primo elemento (dato) al secondo (formale ). iE quindi si sforza a rica-
vare dialetticamente - sia pur non analiticamente - l'un grado della realtà
dall'altro, lo spirito dalla natura e la natura dall'idea: che poi sarebbe -
quest'ultima - la derivazione del sensibile, del particolare (i cui rapporti sono
il tempo e lo spazio e legge il divenire) dall'intelligibile, dall'universale (i cui
rapporti sono logici e legge l'identità): i quali sono perciò essenzialmente
diversi, e dunque assurdo il divenire intelligibile hegeliano. E, finalmeinte, la
dialettizzazione del falso nel vero, del male nel bene, che è il maggiore di
tutti gli assurdi (i). Permane adunque l'irrazionalità della natura di fronte
all'idea, la quale ha sempre costituito una delle più gravi difficoltà del sistema
di Hegel. « Mentre s'apprestava - dice il Windelband (2) - a svolgere dia*
letticamente il trapasso dell'idea nella realtà naturale, trovò nella natura qual-
che cosa di estraneo all'idea, una negazione, che non significava soltanto man-
canza dell'elemento ideale, ma anche, e più, una forza opposta della realtà,
forza ch'egli dovette riconoscere come un fatto, col nome di casualità della na -
tura, senza poterla intendere razionalmente. E così, si ripresentò sotťaltra
forma questo Proteo del residuo irrazionale della realtà, e la casualità costituì
il concetto limite dell'idealismo logico ». Ma permane, sopratutto, la irraziona-
lità immanente a tutta la realtà - nonostante il tentato superamento dialet-
tico. Nel sistema di Hegel, tutta l'esistenza finita è condannata alla legge do-
lorosa di distruggere se stessa con le sue contraddizioni. Questa legge della
sofferenza, risultante dalla divisione e dalla limitazione dell'idea, contiene un
principio di pessimismo, che il Volkelt ha messo bene in luce (3). Dunque
(1) Per la critica al panlogismo hegeliano, cfr. : P. MARTINETTI, Introduzione alla me*
tafisica , 1: Teoria della conoscenza , Torino, Clausen, 1904, p. 398 e segg.
(2) G. Windelband, Storia della filosofia moderna, vol. cit., p. 188.
(3) « Se ogni momento della realtà è un momento della ragione assoluta, tutto cio
che è, è razionale, buono e perfetto: ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è ra-
zionale. Ora di fronte a questa affermazione, che è conseguenza rigorosa e diretta del
principio hegeliano, abbiamo la stessa confessione di Hegel, che vi sono nella realtà
- 351 -
23
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
molte cose le quali non possono in nessun modo venir fatte rientrare in quest'ordine.
Così, p. es.t quando Hegel costruisce il concetto dello Stato, mostra che a questo con"
cetto è essenziale la personalità del monarca, cioè che lo stato deve essere essenzial-
mente monarchico. Così vuole la ragione eterna delle cose. Ma vi sono anche repub-
bliche. Non importa, dice Hegel, queste sono accidentalità irrilevanti. Ma in un mondo
che è pura ragione, donde queste accidentalità? Ad un critico che gli oppose, nei primi
tempi, questa obbiezione, Hegel rispose con la derisione e lo scherno: cioè in realtà
non rispose perchè non poteva rispondere » (P. MARTINETTI, La filosofia religiosa deb
V hegelianismo, in: Saggi e Discorsi , Paravia, Torino, 1926, pp. 151-52).
(1) J. Royce, Op. cit. vol. i, conf. 8a (Schopenhauer), p. 313.
(2) Dice acutamente uno storico idealista della filosofia moderna (V. Fazio Allmayer,
La visione della vita nella filosofia moderna , Sandron, Palermo, 1925, pp. 46 e 52):
« Ottimista è in fondo tutto lo spirito della filosofia moderna, perchè l'uomo non può non
considerare con serena speranza una realtà di cui sa ormai ch'egli è autore, una realtà
che nasce dallo spirito, nè può avere una finalità e un risultato che siano in contrasto
con la finalità dello spirito » La quale concezione culmina nel pensiero di Hegel. « Que-
sta dottrina, va per il corso del secolo XIX facendosi dottrina europea, informa di se
- 352 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
viduali si sono alla fine ribellate contro le ragioni dialettiche, che volevano
loro imporre la sofferenza come una immanente necessità salutare» stanche in
realtà di servire a fini stranieri (i). Non la ragione, l'idea, è Panima di questo
nostro mondo, ma dovunque domina l'irrazionale, la vita significa bisogno,
lotta, noia, senza scopo e senza fine, dolore. L'intelletto, cui Hegel aveva as*
segnato il primo posto, che egli aveva divinizzato, Schopenhauer considera
come un fenomeno derivato, secondario, anzi terziario, rispetto alla realtà as*
soluta, che è immanente cieca volontà. Allo svolgimento, al progresso, in cui
Hegel aveva concretato il suo razionalismo, Schopenhauer contrappone il vano
divenire - che fenomenico è il tempo - l'eterno ritorno - come espressione
di u«na volontà irrazionale. « Noi siamo dell'opinione - dice egli - che
è lontano da una conoscenza filosofica del mondo, tanto quanto il cielo
della terra, chiunque crede di poter comprendere l'essenza del mondo stesso
storicamente , sotto qualsiasi forma, comunque la cosa si voglia finalmente ma-»
scherare » (2). E allora nessuna fede in questa nostra vita, nessuna speranza
nel progresso, nella civiltà, nessuna carità attiva, operativa; ma solo la pietà,
la compassione verso gli altri, e la rinuncia per noi, che la vita è dolore, il
dolore lo stato positivo della vita. Rinuncia piena, assoluta, che, attraverso la
catarsi estetica - onde il dolore dell'esistenza è solo sospeso con la sospen-
sione del volere, per l'assorbimento completo dello spirito nella contempla-
zione dell'idea - e alla catarsi etica - onde per il superamento dell'egoismo,
nel fecondo riconoscimento dell'unità metafisica degli esseri la malvagia volontà
(individuale) è mortificata - si attua nella catarsi ascetica - ove è fatta nega-
zione non solo della volontà nella sua molteplicità fenomenica, ma della vo-
lontà per se stessa, in cui sta la radice dell'infelicità, e nell'indifferenza estatica
è conseguita la pace.
Nonostante questo radicale irrazionalismo, Schopenhauer - come He-
gel - è pur figlio di Kant, e accetta il dogma fondamentale del pensiero
moderno, il concetto monistico della realtà : (e questo passare attraverso il pen -
siero moderno deve particolarmente dar valore alla sua critica delVimmanen *
tismo idealistico ). Ma del pensiero moderno ritiene gli elementi che esso si
trova ad aver comuni con la più antica tradizione filosofica e religiosa del-
l'umanità: che - come vedremo - di Kant non accoglie in fondo che il
tutti gli spiriti, siano essi seguaci od avversari, diviene il nuovo concetto della vita ».
Non occorre dire che solo dal punto di vista storico, - s'intende - noi accettiamo, in
massima, l'interpretazione del pensiero moderno data dall'idealismo attuale: il quale
questo movimento, come il suo movimento, ha penetrato molto bene e nella quale in-
terpretazione anzi crediamo stia il suo merito principale.
(1) Cfr. : E. Caro, La maladie du pessimisme au dix'tieuvième siècle : II, L'ecole
pessimiste en Allemagne , son influence, son avenir : in: « Revue des deux mondes »,
fase. Io dicembre 1877, pp. 482-83.
(2) « Mentre Schleiermacher propugna un ottimismo idealistico, crede allo svolgi-
mento della ragione attraverso alla natura e alla storia, così come Hegel, Schopenhauer
occupa nel complesso del pensiero europeo un posto assolutamente unico, poiché egli
rompe con la presupposizione fondamentale dell'armonia dell'esistenza » (A. HOEFFDING,
Op. cit.f vol. II, p. 202).
- 353 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
(1) Per maggiori particolari sull'ambiente filosofico storicistico (specie Fichte, Schei'
ling, Hegel) in opposizione alla concezione pessimistica e ascetica di Schopenhauer, cfr. :
A. Covom, La vita e il pensiero di A. Schopenhauer , Bocca, Torino, 1910, p. 86 e segg.
e 132 e segg.
(2) Cfr.: A. Foucher DE Careil, Hegel et Schopenhauer, Études sur la philosophie
allemande moderne depuis Kant jusqu'à nos jours, Paris, Hachette, 1862, pp. 13 e 147.
- 354 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
nostro mondo come divino» e posto dunque quaggiù l'ideale supremo della vita,
era naturale che gli interessi mondani acquistassero, più o meno, un'import
tanza assoluta : individuali, famigliari e sopratutto politici. Che nello stato, He*
gel, naturalmente, vede la più perfetta manifestazione, la più alta incarnazione
dello Spirito assoluto, Dio sulla terra. Era, fatalmente, la rovina, il livellamento,
il capovolgimento dei valori spirituali, morali, religiosi. « Il divenire reale è
progredire, è sforzo verso un fine; senza di ciò non sarebbe possibile distin-
zione di bene e di male, di vero e di falso. Ma se, come Hegel vuole, la realtà
è l'assoluta manifestazione dello spirito e tutto in essa è razionale e perfetto,
donde la distinzione di valore? Bene e male, vero e falso sono soltanto più
distinzioni interne, che scompaiono dal punto di vista dell'assoluto ». « Quindi
non deve recare meraviglia se Hegel, quando si tratta di proporre un oggetto
vero e concreto alla venerazione religiosa, non può additarci altro che lo Sta-
to » ; come Comte « non sa porre alla venerazione religiosa altro oggetto se
non quel così poco venerabile essere che è l'umanità ». Ma « una religione
senza fondamento trascendente è una vana parola: il principio d'ogni anima
religiosa si riassume in fondo, come Schopenhauer dice, in questa semplice
professione di fede: io credo in una realtà trascendente. Tutti i tentativi di
tradurre questa aspirazione verso il trascendente in qualche cosa di umano e
di finito hanno lo stesso valore dei tentativi di derivare la legge morale dal
piacere o dall'interesse: la filosofia conferma qui la credenza secolare dell'u-
manità, che il termine di tutte le nostre aspirazioni, come la legge della nostra
vita, sono al di là della vita » (i).
Il razionalismo e l'ottimismo fu criticato e sferzato anche prima di Scho-
penhauer: Bossuet e Fenélon hanno confutato Leibniz e Malebranche in nome
della fede e della ragione, sopratutto con argomenti teologici; Voltaire nel
Candide - e nello scritto sul disastro di Lisbona - ha fatto la satira dell'ot-
timismo. Ma nessuno così efficacemente come Schopenhauer, perchè nessuno
ha così profondamente penetrato e svelato, così concretamente analizzato e
descritto la infinita miseria della vita umana e i vani sogni della civiltà e del
progresso. Il razionalismo e l'ottimismo rinascerà anche dopo Schopenhauer:
ma egli ha colpito al cuore e ha dato il colpo di grazia alla sua più classica
espressione, all'umanesimo e immanentismo hegeliano, che anche per inte-
riore logico contrasto andrà poi sfacendosi (2); mentre i fatti smentivano e de-
molivano le utopie (politiche) romantiche - come sarà di tutte le folli speranze
(1) Cfr. : P. Martinetti, La filosofia religiosa dell* hegelianismo, in Op. cit,, pp. 153,
160 e segg. Cfr. pure nello stesso volume: Il compito della filosofia nell'ora pre -
sente (p. 76), ove il Martinetti afferma che l'idealismo immanente non sarebbe altro
che un adattamento della concezione idealistica alle tendenze naturalistiche, empiriche,
onde il mondo spirituale, in cui noi viviamo, è qualcosa di assoluto, la vita non è un*2-
scesa verso una realtà più alta, ma un corso perenne sempre rinnovato e in fondo sem-
pre uguale.
(2) È noto come - sulla via della sua storica dissoluzione - il razionalismo hege*
liano si scindesse nella cosidetta destra , di cui gli uomini più eminenti furono Göschel,
Rosenkranz e J. E. Erdmann, e nella cosidetta sinistra , rappresentata da D. F. Strauss
e L. Feuerbach, nel campo della filosofia religiosa, da A. Ruge, C. Marx e F. Lassalle,
~ 355 ~
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
- 356 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
LAMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
(1) A questo riguardo, si vedano, p. e., i capp. XLVII e L dei Supplementi al Mondo
come volontà e rappresentazione (lib. 40) e pure il cap. V del 20 voi. dei Parerga und
Paralipomena (Qualche parola sul panteismo ). Nella Quadruplice radice del principio
di ragion sufficiente, par. 8° (A. SCHOPENHAUER, Sämtliche Werke , herausgegeben von
E. GRIESEBACH, dritte Auflage, Leipzig, Reclam, vol. III, p. 26), a proposito del pantei-
smo di Spinoza, Schopenhauer nota che Dio può esser concepito solo come essenziale
mente distinto dal mondo. « Poiché è una simile causa dell'universo, con in più la per-
sonalità, che designa la parola Dio, usata onestamente. Viceversa, un Dio impersonale è
una contradictio in adjecto ». E nella Volontà nella natura (ediz. Griescbach» cit.,
vol. III, p. 328) insiste su questo pensiero, notando come « agli intelligenti e perspicaci
filosofi dello scorso secolo (XVIII) non è mai passato per la mente di non considerare
Spinoza come un ateo, per il fatto che egli chiama Dio il mondo; la scoperta ch'egli
non fosse ateo era riservata ai filosofi da burla dei nostri giorni, i quali non badano
che alle parole ».
(2) La necessità per un monismo volontaristico - come qùello di Schopenhauer -
di concludere al pessimismo e all'irrazionalismo, è ammessa pure da G. SlMMEL (Op. cit.,
cap. III, pp. 43*44), se pure egli affermi che da una tale conseguenza si salverebbe un
monismo intellettualistico - come quello di Spinoza. Ma illogicamente, crediamo, perche
- 357 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
★
★ ★
non vi e differenza essenziale tra un volere senza fine, e un conoscere senza principio
- da cui non può salvarsi nemmeno il panlogismo trascendente, una volta ridotto alla
forma estrema e rigorosa del panlogismo immanentistico. Dice adunque lo Simmel:
« Dove la varietà delle apparenze si raccoglie in una unità trascendente, ivi domina una
pace divina,, come in Spinoza, o un'estetica armonia, come in Schelling. Il tragico della
filosofia di Schopenhauer è in questo: che l'unità fondamentale di tutto Tessere rappre-
senta dal lato formale l'assenza di ogni lacerante opposizione, mentre, per la sua deter-
minazione interiore come volontà, porta con se dualismo, inquietudine, insoddisfazione ».
- 358 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
volontà pura, che perciò vuole senza un fine; per quanto spetta infine al pro-
blema morale, un pessimismo assoluto e dunque un radicale ascetismo , onde
10 spirito possa da questa dolorosa esistenza liberarsi e posare nella pace del
nirwana. - Le fonti di tale complesso sistema sono parecchie, ma principale
mente tre - su cui pure insiste lo stesso Schopenhauer: e cioè Kant, Platone
e il pensiero dell'India. « Confesso - egli dice infatti - che io non credo, che
la mia dottrina sarebbe mai potuta sorgere, prima che le Upanischad, Platone
e Kant avessero, nello stesso tempo, versato i loro raggi nello spirito di un
uomo. Ma certamente stavano, come dice Diderot, molte colonne innalzate, e
11 sole splendeva su tutte; pure solo la colonna di Meninone risuonava » (i).
Colui che iniziò il giovane Schopenhaeur al kantismo, fu Gottlob-Ernest
Schulze, lo scettico autore del YEnesidemo, quando quegli si iscrisse (1809) alla
Università di Gottinga, ove questi appunto professava filosofia . E, precisa"
mente, lo Schulze consigliò Schopenhaeur di studiare anzitutto Kant e Pia-
tone, e di aggiungervi in seguito Spinoza ed Aristotele* Schopenhauer di-
fatti lesse, studiò e meditò lungamente Kant, che conobbe profondamente, si
assimilò e per cui nutrì sempre una grande ammirazione. Onde si può dire che
la formulazione della sua gnoseologia (fenomenistica) è per la massima parte
kantiana, come appare dai suoi scritti particolarmente consacrati a questo pro-
blema ( Quadruplice radice del principio di ragion sufficiente e il primo libro
del Mondo come volontà e rappresentazione, con i Supplementi corrispondenti).
Questo però non impedì alla sua grande autonomia spirituale di criticare fran-
camente Kant, di opporsi anzi a lui in questioni fondamentali, specie nel campo
della metafisica e dell'etica, come risulta particolarmente dall'Appendice al-
l'opera sua principale (Critica della filosofia kantiana)t nonché dalla prima
parte (cap. III) del Fondamento della morale (2). Schopenhaeur accetta anzitutto
l'idealismo kantiano: « Die Welt ist meine Vorstellung ». Un idealismo feno-
menismo, subbiettivistico (non platonico), che lasciava aperta la via ad una
concezione monistica (antitrascendente) della realtà. E difatti a Kant attribuisce
il merito principale di avere col suo idealismo rovinato per sempre Yingenuo
realismo e il teismo scolastico, facendo allo spirito umano una specie di opera-
zione della cattaratta; criticando nello stesso tempo - come gli idealisti im-
manentisti suoi avversari - l'illogico postulato di una trascendente cosa in se.
Onde, la concezione monistica della realtà non attingerà direttamente da Kant
- sebbene quel pensiero dovesse logicamente sfociarvi - ma, rimanendo per
ora nell'ambito della filosofia moderna, piuttosto da Spinoza, come gli stessi
idealisti razionalisti, suoi avversari. Alla cui gnoseologia concettualistica Scho-
penhauer opporrà tuttavia una gnoseologia intuizionistica - come al loro ra-
zionalismo metafisico e ottimismo morale opporrà l'irrazionalismo e il pessimi-
- 359 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
smo assoluto - avendo egli respinta tutta la teoria della conoscenza intelligibile
kantiana, e attribuito airintuizione sensibile un valore intellettuale (intuizione
intellettuale , che avrebbe fatto inorridire Kant); e pure ad un'altra superiore
intuizione affidata la conoscenza dell'assoluto, e non ad una pura astratta ra*
gione, ccme Kant pretendeva dovesse - se gnoseologicamente possibile -
costruirsi la metafisica (i).
Onde, di tutta la Critica della ragion pura , si può dire che Schopenhauer
ritiene, completandola, solo Y Estetica trascendentale , con la dottrina della sog"
gettività delle forme di tempo e spazio (che, con l'aggiunta della causalità, co-
stituiscono il famoso principio di ragione , di individuazione ), per la sua gno-
seologia intuizionistica appunto» Mentre rifiuta la Logica trascendentale -
analitica e dialettica - e con essa quindi la dottrina centrale kantiana della
sintesi a priorif concettuale, e l'idealismo assoluto che logicamente ne dipende,
nonostante che Schopenhauer lo giudichi" una deviazione da Kant, di cui valo-
rizza piuttosto gli elementi empiristici. Dal fondamentale intuizionismo di Scho-
penhauer pure deriva la scarsissima simpatia di lui per la corrente razionali-
stica, ontologistica prekantiana (Cartesio, Spinoza, Malebranche, Leibnitz), e la
sua simpatia invece per la corrente empiristica, sensistica (Bacone, Locke, Ber-
keley, Hume), in cui vede i veri precursori - sia pur incompiuti - di Kant:
mentre ci sembra certa - come abbiamo cercato dimostrare più sopra - la
natura complementare delle due correnti rispetto al pensiero kantiano: e anzi,
per enucleare la metafisica dall'idealismo, sarebbe stata necessaria - se mai -
la spinta (monistica) venuta da Spinoza. Schopenhauer riconosce all'indirizzo
cartesiano il merito di aver modernamente posto il problema gnoseologico e
iniziatane una soluzione idealistica, ma l'accusa di aver continuato tut-
tavia a postulare una realtà trascendente, intelligibile. Riconosce i residui
dualistici dell'empirismo, ma ne ammira lo sforzo a risolvere (concretamente)
nel soggetto l'oggetto della conoscenza, aprendo così la via maestra a Kant.
Locke crede ancora alla realtà delle qualità primarie , ma riduce le qualità se-
condarie a pure affezioni dei sensi; Berkeley va fino in fondo, e afferma l'iden-
tità assoluta del soggetto e dell'oggetto (esse est percipi ), facendosi così il vero
iniziatore dell'idealismo, di un idealismo però empirico, non critico (non di-
stingue nella rappresentazione la forma dalla materia); sarà Hume il quale
(i) « Io dico, al contrario (di Kant): gli oggetti sono, anzitutto, oggetto dell'intuii
zione, non del pensiero, e ogni conoscenza di oggetti è, originariamente ed in se, intui*
zione, ma l'intuizione non è punto una semplice sensazione; al contrario, è già nell'in-
tuizione che si manifesta l'attività dell'intelletto. Il pensiero, privilegio esclusivo del-
l'uomo, il pensiero, negato agli animali, non è che semplice astrazione, astrazione
ricavata dall'intuizione; esso non dà alcuna conoscenza veramente nuova, non porta
avanti a noi degli oggetti che prima non c'erano, ma si limita a mutare la forma della
conoscenza, della conoscenza che era già cominciata grazie all'iutuizione; esso trasforma
questa conoscenza in una conoscenza di concetti, in una conoscenza astratta: per conse-
guenza la conoscenza perde il suo carattere intuitivo, ma diventa possibile sottometterla
a delle combinazioni ed estendere così indefinitamente la sfera delle sue possibili appli-
cazioni ». Cfr. : Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung , edizione Griese-
bach cit., vol. I, p. 605 (Appendce: Critica della filosofia kantiana ).
- 360 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
rivolgerà la sua critica alle leggi che collegano i fenomeni (principio di causa)t
di cui mostra la soggettività, ma riducendolo alla soggettività inferiore della
pura sensibilità. In conclusione, Schopenhauer giudica il razionalismo e Tenv
pirismo da un punto di vista monistico - come gli idealisti suoi avversari
- ma, a differenza di costoro, le sue simpatie vanno alla corrente empiristica,
per l'importanza - gnoseologica, metafisica e morale - data alla sensibilità
e negata alla ragione.
Questa la posizione di Schopenhauer di fronte alla gnoseologia kantiana,
alla Critica della ragione pura . Vediamo ora la sua posizione di fronte alla
morale (e alla metafisica) di Kant, alla Critica della ragion pratica . Egli accetta
la dottrina kantiana del primato della ragion pratica, ma non nel senso che
per l'azione morale, meramente formale, intelligibile, razionale, l'uomo è in*
trodotto nel dominio del puro intelligibile appunto, creduto la realtà assoluta,
trascendente; sibbene nel senso che col primato, coll'assolutezza della ragion
pratica, dell'azione morale - e dunque del volere sul conoscere - Kant
avrebbe oscuramente riconosciuto che la volontà è precisamente l'essenza del
reale, la cosa in se, e così dato lo spunto alla metafisica schopenhaueriana.
Viene pertanto francamente rigettato il carattere puro, intelligibile, razionale
dell'azione morale (imperativo categorico), e affermatone il carattere intuitivo,
concreto, sentimentale : una morale che si fondi su astratti precetti è altrettanto
inefficace come è vuota una dottrina che muova da puri concetti, e finirebbe
allo stesso tempo nell'egoismo, di cui Kant aveva orrore, e in quel disumano
rigorismo - negatore d'ogni sentimento - che lo stesso Kant ha dovuto alla
fine illogicamente rinnegare con i famosi postulati della ragion pratica: onde
riappare esplicitamente il dualismo della precedente metafisica, di cui egli aveva
intrapreso la demolizione nella Critica della ragion pura (i). Della Critica della
ragion pratica Schopenhauer dunque ammette ancor meno della Critica della
ragion pura , appunto pel carattere maggiormente astratto, razionalistico, in*
tellettualistico di questa seconda opera kantiana, che doveva singolarmente
contrastare con il suo fondamentale intuizionismo: da quella il primato della
volontà, da questa l'idealismo fenomenistico (2).
(1) A proposito della riapparizionc della teologia - che Kant credeva di aver eli'
minato per sempre - alla fine del sistema di lui, Schopenhauer fa una spiritosa ossero
vazione, come gli capita di frequente. Sembra vedere - egli dice - un marito scappato
dal nido, per correre a un ballo mascherato in carnevale, intrigare tutta la notte con una
attraente sconosciuta nascosta sotto un domino - sconosciuta nella quale, al togliersi
della maschera verso l'aurora, egli riconoscerà senz'altro la propria moglie!
(2) Possiamo così riassumere i meriti principali che Schopenhauer attribuisce a Kant e
- dunque - gli elementi che ne accetta: 1) affermazione che il mondo è rappresentazio'
ne, di contro al realismo scolastico (idealismo fenomenistico); 2) distinzione tra fenomeno
e noumeno, apparenza e realtà, di contro all'idealismo assoluto; 3) posizione del carattere
noumenico della volontà, per la dottrina del primato della ragion pratica. Viceversa cri'
tica e rifiuta Kant specialmente nei punti seguenti: 1) cosa in sè trascendente, intelligi*
bile, e relativa metafisica platonica, pura: onde impossibilità della metafisica (la quale
viceversa diventerebbe possibile, concependo la cosa in sè come immanente e intuibile);
2) conseguente separazione e svalutazione del senso, passivo, ma che pure ci dà la con'
cretezza dell'intuizione, di fronte all'intelletto, attivo, ma che non ci fornisce che
- 361 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
- 362 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
LAMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
(1) Cfr. : Parerga und Paralipomena , Fragmente Zur Geschichte der Philosophie , So-
krates, Plato, Aristoteles, Die Scholastik (ed. Griesebach cit., vol. IV, pp. 57-69 e 83-84),
dove Schopenhauer accusa Aristotile - di contro Platone - di esser superficiale, empi'
rico, specie nella metafisica, e con lui la Scolastica che ne dipende.
(2) Dice bene A. Dietrich nella prefazione alla sua versione schopenhaueriana :
Philosophie et science de la nature (dai Parerga und Paralipomena), Alean, Paris, 191 1,
p. 25: « Egli adopera le forme del pensiero kantiano, per situare storicamente le sue
idee di contrasto tra l'apparenza e la realtà. In Platone vede anzitutto il filosofo mistico
che rilegò la realtà in un mondo trascendente, formante l'antitesi delle scene cangianti
dell'esistenza terrestre. Kant e Platone gli servono semplicemente, in somma, a rischia-
rare il suo spirito; essi gli forniscono l'impalcatura sulla quale egli poggia il suo sistema,
il canevaccio che serve di trama al suo pensiero ».
(3) Secondo questo spirito schopenhaueriano, PAOLO Masson-Oursel, in un saggio
intitolato: L'insegnamento che può derivare dalla conoscenza dell'India l'Europa con *
temporanea , e pubblicato nel Fünfzehntes Jahrbuch der Schopenhauer+Gesellschaft für
das Jahr 1928 (Winter, Heidelberg, 1928, p. 41), scrive: « L'India ci dà una lezione di
spiritualità... Essa maledice l'egoismo dell'individuo e quello delle nazioni. Quest'ultimo,
ai suoi occhi, è la causa dell'indebolimento dell'Europa, il cui prestigio è tanto diminuito
nel mondo dopov la guerra. La nostra esaltazione della forza materiale, il nosJtro culto
del vitello d'oro ci discreditano nel giudizio degli Orientali, sempre persuasi che i più
grandi valori sono d'ordine spirituale... Ora, di esserci fatti meno cristiani l'India non
ci sa per nulla grado, anzi al contrario: niente ci oppone tanto ad essa che lo spirito
laico, per cui noi perdiamo il senso religioso ».
- 363 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
(1) Le Upanischad sono dei trattati filosofico-morali redatti dai Bramani, e vengono
considerati come un complemento dei Veda . Anquetil-Duperron, già celebre per aver re-
suscitato la lingua di Zoroastro e il Zend-Avesta, aveva potuto tradurre in latino (1801-2),
sotto il titolo ďOupnekhat - id est Secretum tegendum - e da una versione parsi,
cinquanta delle più belle Upanischad . È questo il libro di predilezione, il manuale di
pietà usato da Schopenhauer, la sua « bibbia », la « consolazione della sua vita e della
sua morte », come dice egli stesso.
(2) Dice bene Th. Ruyssen nel suo bel volume su Schopenhauer (Paris, Alean,
191 1; nella collana Les grands philosophes ; p. 155 - cfr. pure pp. 1 13-14): « Se si
confronta da vicino la prima edizione del Mondo con la dissertazione sulla Ragion suf -
fícente, non si può non esser colpiti da questa constatazione che, eccezion fatta per la
dottrina delle idee, la quale è d'origine platonica, tutti i temi nuovi aggiunti dalla
grande opera del 1818 alla tesi del 1813 si ritrovano nei Veda, nelle Oupanischad o nella
dottrina buddistica » : anche se l'intuizione pessimistica fondamentale sia originaria in
Schopenhauer. Difatti, una nota della prima edizione del Mondo (cfr. ediz. GRIESEBACH
cit., vol. I, pp. 497^98) ci informa delle varie letture indianiste da cui Schopenhauer ha
tratto partito, dal 1814 al 1818. Anzitutto YOupnekhat, tradotto da Anquetil Duperron
(Strasburgo, 1801-1802, 2 voli.); poi VAsiastischer Magasin di Klaproth (Weimar, 1802,
2 voli.); la Mythologie des Indous, travaillée sur des manuscrits authentiques exportés de
Vlnde par le colonel de Polier, di Madame de Polier (Rudolstadt, 1899, 2 voll.); e le Insti -
tustes of Hindu'Law, or the Ordinances of Menu, tradotte da W. Jones, nella versione
tedesca dell'Hiittner (Weimar, 1802, 2 voli.); infine la grande raccolta Asiatic Resear -
ches, inaugurata a Londra nel 1806. Ma anche dopo egli non cesserà di mantenersi al
corrente dell'indianismo, come ne fa testimonianza la seconda edizione del Mondo ed i
Parerga . La sua biblioteca, quando morì, non comprendeva meno di ottanta opere con*
sacrate alle dottrine dell'Oriente, ed alcune molto recenti, come il Manual of Buddhism
di Spence Hardy (Londra, 1853), e ü Nirvana indien d'Obry (Amiens, 1856). Una lunga
bibliografia sul Buddismo Schopenhauer dà pure in una nota della Volontà nella na-
tura, capitolo Sinologia (cfr. ediz. Griesebach cit., vol. III, pp. 326-27).
(3) Cfr. prefazione alla Ia edizione del Mondo come volontà e rappresentazione (ediz.
Griesebach cit., vol. I, p. 13).
- 364 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
- 365 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
(1) Cfr. : Gespräche und Briefwechsel mit Arthur Schopenhauer , aus dem Nachlasse
von Karl Baehr, herausgegeben von Ludwig Schemann, Leipzig, Brockhaus, 1894,
pp. 16-17.
- 366 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
- 367 -
24
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
non rappresenta certo tutta la religione, ma però una parte essenziale» un eie-
mento radicale e primitivo, avanti le attenuazioni e gli emendamenti che vi
apportano di continuo le compiacenze dell'io naturale o l'affievolimento della
fede... La natura umana svelata e schernita, la perversità radicale messa a nudo,
l'incapacità assoluta delle nostre miserabili facoltà per il vero e per il beine
(il che veramente è giansenismo, come sembra riconoscere lo stesso Autore),
il 'bisogno di distrazione per questo povero cuore che vuole sfuggire a se stesso
e alPidea della morte, agitantesi nel vuoto, e sopra tuttociò il pensiero per-
petu o del peccato originale che incombe su quest'anima angosciata con le sue
conseguenze più estreme e più dure, la visione continua e quasi sensibile del-
l'inferno, il piccol numero degli eletti, l'impossibilità della salvezza senza la
grazia - e quale grazia! non solo la grazia sufficiente , che non basta - infine
questo spirito di mortificazione senza pietà, questo disprezzo della carne, questo
terrore del mondo, la rinuncia a tutto ciò che dà valore alla vita, un simile
quadro, estratto dalle Provinciali e dai Pensieri, doveva piacere al futuro autore
del Bruto minore e de la Ginestra , nelle sue tetre meditazioni di Recanati ».
iE nemmeno Schopenhauer poteva restar insensibile a queste suggestioni di
dolore, sordo a queste voci di pianto: e si inchina al Cristianesimo. E se
accetta anche le correnti eterodosse, purché ascetiche e mistiche, ha una ra-
dicale avversione - egli protestante - per il Protestantesimo razionalista e
mondano - come per il Giudaismo ottimista e utilitario - cui antepone il
Cattolicesimo classico, ascetico e mistico. Onde giudicava che i pastori sposati,
eruditi, comodi, fossero quel che si voglia, tranne dei cristiani degni di portare
questo nome glorioso; e viceversa avrebbe apprezzato grandemente verso la
fine della sua vita le compiacenze di certi cattolici a suo riguardo, poiché vi
avrebbe visto la prova della sua autentica filiazione cristiana.
Schopenhauer venerava la figura del Cristo, redentore per la Croce, e
meditava gli Evangeli, onde era stata capovolta l'ottimistica morale ellenica;
ammirava la rigorosa e pessimistica dottrina di Agostino sulla grazia e la prede-
stinazione, e Francesco d'Assisi, che egli giudicava il Buddha dell'Occidente;
era tutto penetrato dalla lettura della vita di S. Elisabetta d'Ungheria, scritta
dal conte di Montalembert, e da quella, scritta da Chateaubriand, dell'abate di
Rancè, suo eroe favorito in ascesi (i); ed era pure colpito dalla figura di Te-
resa di Gesù, che moriva per non poter morire, e di Pascal, che aveva così
profondamente inteso la vanità di tutte le cose. Ma accanto agli asceti e mistici
ortodossi, asceti e mistici eterodossi fino al penteismo: neoplatonici, gnostici,
giansenisti, quietisti, da Scoto Erigena, madame Guyon, Miguel de Molinos,
a Jacob Boehme, Bruno e Spinoza. E questo perchè Schopenhauer del Cristian
nesimo assume in fondo solo la posizione - pessimistica - e non la soluzione
- teistica e sovranaturale - del problema della vita. Onde i suoi dogmi prin-
cipali interpreta secondo quel simbolismo proprio della filosofia religiosa
(i) L'abate di Rancè è senza dubbio una grande espressione del profondo pessimi*
smo ed ascetismo cristiano: proprio tra gli splendori dell'alta società del secolo di Re
Sole. Intorno a lui cfr. la recente monografia di A. Cherel, Rancè , Flammarion, Paris,
1930 (Les grands coeurs ).
- 368 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
- 369 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
queste altre parole, scritte dieci anni dopo (1828): «Io credo che la morte
avendo chiuso i nostri occhi, noi entriamo in una luce, di cui il nostro sole
non è che l'ombra » (1). E allora dovremmo dire che per Schopenhauer la
religione, la mistica, il Cristianesimo non poteva essere solo una filosofia sim-
bolica - come il razionalismo pretende - ma pure (e sopratutto) rivelatrice
di quel mando assoluto, cui neppure per lui la filosofia giunge, e che essa
religione dovrebbe esprimere simbolicamente, mitologicamente, con immagini
umane, appunto perchè è superumano e ineffabile (2). Ad ogni modo, se, a dif-
ferenza del razionalismo moderno, egli tien conto sopratutto del lato ascetico
e mistico del Cristianesimo, con lui e più di lui, dato il suo irrazionalismo,
trascura e deprezza, non conosce e non intende, la teologia scolastica, per la
comune avversione alla trascendenza, al teismo cattolico. Onde egli non giu-
dica nel suo giusto valore la filosofia scolastica - che sembra ridurre al pro-
blema degli universali - e ignora S. Tommaso - cui certo non può attri-
buire a merito la feconda e cristiana sintesi dell'odiato teismo (ebraico) col -
non meno odiato - realismo, dualismo greco, aristotelico. Il razionalismo e
l'ottimismo greco, ebraico, scolastico-cristiano egli porrà in fascio con quello
classico moderno, prekantiano e postkantiano, dei tre odiati sofisti, Hegel so-
pratutto, come una corrente sofistica e immorale che si contrappone irreduci-
bilmente all'altra pessimistico-ascetica : India-Platone-Mistica cristiana. Senza
vedere l'abisso che divide i due razionalismi, come quello che separa la tra-
scendenza dall'immanenza, e il primo - per il perfezionamento ricevuto dal
Cristianesimo - riavvicina precisamente alla tradizione pessimistica ascetica e
dunque a lui stesso (3).
Se abbiamo affermato che l'anima del sistema di Schopenhauer è il pessi-
mismo e l'ascetismo, e che dunque le fonti principali del suo pensiero stanno
nell'India (e nel Cristianesimo), con questo non intendiamo confinare il filo-
sofo nell'Oriente antico e nel Medioevo cristiano, tagliandolo fuori dalla cor-
ti) Cfr. : Neue Paralipomena cit., cdiz. Griesebach, cap. IX, p. 185.
(2) Dice E. SeillièrE nel suo penetrante, per quanto breve, saggio su Schopenhauer,
considerato in rapporto al Romanticismo (Paris, Bloud, 191 1): « Non v'è dubbio che
Schopenhauer nato nella Francia del secolo XVII sarebbe stato tra i famigliari di
Arnauld e di Pascal » (p. 156). E conclude: « Arturo Schopenhauer non è che un mi-
stico cristiano che ha rigettato gli impacci del dogma e il peso della disciplina ecclesia-
stica » (p. i68). Similmente il Royce (Op. cit., vol. I, p. 319): « La formula adatta a
Schopenhauer è che il suo pessimismo è semplicemente la dottrina dell'Imitazione con
omessa la gloria di Dio ».
(3) Schopenhauer - come i filosofi moderni in genere - ha un'idea affatto errata
e nutre una cieca avversione per la Scolastica. Bastino questi due luoghi, tratti dalla
Appendice al Mondo come volontà e rappresentazione (Critica della filosofia kantiana ):
sotto il nome di scolastica egli crede di poter « comprendere in blocco tutto il periodo
che comincia a partire da sant'Agostino, Padre della Chiesa, e che termina precisamente
a Kant » (!). « Senza dubbio questa scolastica, una volta arrivata al culmine del suo
sviluppo, ricavò la dimostrazione principale dell'esistenza di Dio dal concetto dell'ens
realisstmum, e non si servì che accessoriamente delle altre prove » : eppure nelle famose
cinque vie di S. Tommaso, la prova ontologica non è compresa - anzi criticata! (cfr.:
Die Welt als Wille und Vorstellung t edizione Griesebach, cit., vol. I, pp. 540 e 646).
- 370 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
rente del pensiero moderno - egli ricco d'una coltura così universale ed umana.
Senza ripetere che Schopenhauer mantiene del pensiero moderno la concezione
monistica della realtà, fondamentale nel pensiero moderno stesso - anche se
(genericamente) comune colla filosofia indiana - e di questo riconosce un me-
rito particolare a Spinoza» pur per altri motivi avversato; dalla filosofia me
derna assume anche l'idealismo - nel duplice senso che il mondo fenomenico»
estemo, è conoscere e il mondo noumenico, interiore, è volere - e il primato
della volontà; i quali sono pure elementi fondamentali e inoltre caratteristici
della stessa filosofia moderna, nonostantechè un generico idealismo si trovi an-
che in India, e il Buddha concepisca il desiderio quale principio di tutti i feno-
meni, come si è visto.
Kant è certo la radice fondamentale dell'idealismo di Schopenhauer ed
inoltre la radice prima del suo volontarismo : ma questo gli veniva pure da
Fichte e più da Schelling, due dei tre odiati sofisti - di Hegel non è nem-
meno il caso di parlare! Schopenhauer aveva seguito i corsi di Fichte -
come pure di Schleiermacher (i) - all'università di Berlino nel semestre d'in-
verno 1811-12 (sui fatti di coscienza), preso anzi note e discusso con lui (2). Ma,
come l'iniziale simpatia per l'uomo avrebbe dovuto ben presto mutarsi in una
radicale antipatia per l'insegnante oscuro e il pensatore contradditorio, così si
può dire che piuttosto scarsa sia stata l'influenza del pensiero di Fichte su
quello di Schopenhauer. Senza dubbio, l'io di Fichte è volontà, ma questa
volontà, nella sua stessa sorgente, è identica alla ragione e resta, in tutto il
suo sviluppo, illuminata dalla ragione, a differenza della volontà di Scho-
penhauer. Il quale pertanto spiega le somiglianze del suo pensiero col pen-
siero di Fichte - come con quello di Schelling - unicamente per la loro
comune origine da Kant.
Maggior affinità Schopenhauer ha invece con Schelling, che anzi - dei
tre famosi sofisti - è quello che odia meno e che ha studiato di più e per
primo, avanti allo stesso Kant. Egli trovava difatti nella Filosofia della
natura di lui più d'un tema che doveva più tardi svolgere nel suo sistema, e
anzitutto l'idea madre che il fondo dell'essere è volontà - senza dire che le
idee di Schopenhauer, le quali sono altrettanti gradi di obbiettivazione della
(1) Per lo Schleiermacher, Schopenhauer nutrì lo stesso odio che per Fichte, perchè
partecipe della stessa concezione ottimistico-storicistica della realtà, con raggravante di
essere uno di quei teologi protestanti, che volevano accordare il Cristianesimo col mondo
e vivere in armonia col secolo: scrivendo, p. es., alle amiche mondane le Lettere intime
su Lucinda, l'osceno romanzo di F. Schlegel, che il pastore luterano esaltava come il
vangelo del libero amore (cfr. : F. SCHLEIERMACHER, L'amore romantico , Lettere intime
sulla « Lucinde » di F. Schlegel, tradotte da E. De Ferri con introduzione di G. V.
AMORETTI, Laterza, Bari, 1928 * Biblioteca di cultura moderna).
(2) Dice Schopenhauer nella sua autobiografia latina del 1819: « Etiam Fichtium,
philosophiam tradentem suam, diligentissime auscultavi, ut postea justius de ea judi-
cium facere possem: nec non aliquando in eo colloquio, quod cum auditoribus ille ha-
bebat, diu cum eo disputavi, quam quidem disceptationem qui praesentes fuere, fortasse
adhuc meminerunt ». Cfr.: Vitae curriculum Arturii Schopenhauer, nel VI voi.
(p. 258) delle Schopenhauers Werke , a cura di E. Griesebach, cit.
- 371 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
Volontà» hanno pure qualcosa di analogo alle potente di Schelling. Certo, per
Schelling» la volontà è l'elemento primo delle cose e precede la genesi dell'in-
telletto; ma tende verso l'intelletto come verso il fune che l'attira; è Iddio rea-
lizzante progressivamente tuttociò che racchiude in potenza. Eccoci pertanto
ben lungi dal voler vivere radicalmente cieco di Schopenhauer e» insieme, dal
suo pessimismo. Perchè, se Schelling pensa che la realtà risulti dei due ele-
menti: volontà (inconscia), esistenza da un lato, e ragione (derivata) essenza
dall'altro, come Schopenhauer, per cui il mondo noumenico è volontà irrazio-
nale, e il mondo fenomenico è teleologico, ossia in entrambi i filosofi la volontà
precede la ragione; è certo che la volontà di Schelling si sviluppa nella ragione
e culmina nell'essere divino, laddove la volontà di Schopenhauer, se nella ra-
gione a lei subordinata trova dapprima un mezzo alla sua attuazione fenome-
nica, nella ragione libera, assoluta, trova infine la negazione di se e dell'essere
' in universle. Si potrebbe dire che in ambedue si procede da un primato della
volontà ad un primato dell'intelletto: ma nel primo per prender possesso ra-
zionale della realtà, nel secondo per annientarla. Perchè la filosofia di Schelling
è un monismo ottimista, in cui il dualismo non è che un momento, il male un
accidente; mentre la filosofia di Schopenhouer è un monismo pessimista, in
cui il contrasto, il male è assoluto, e non si supera che con la negazione totale
dell'essere.
Una indiscutibile influenza ha per l'opposto avuto sul sistema di Scho-
penhauer - il che egli stesso afferma, anche se questa influenza si eserciti
piuttosto sopra elementi secondari ed accessori - la moderna scienza natu-
rale, come appare specialmente ne la Volontà nella natura ( Ueber den Wille
in der Natur) sovratutto la fisiologia, come risulta perfino dalla sua dottrina
della conoscenza. Dobbiamo ricordare che all'università di Gottinga egli s'era
da principio fatto iscrivere alla Facoltà di medicina; che, in seguito, sopratutto
a Berlino, ha frequentato il laboratorio dei naturalisti più che le lezioni dei
filosofi. Lesse allora Linneo, Buffon, De Lue, Cuvier, Oken; poscia si terrà
al corrente delle ricerche più recenti, prendendo man mano conoscenza dei
fisiologi della prima metà del sceolo, francesi e inglesi sopratutto: Cabanis,
Bichat, Geoffroy Saint-Hilaire, Magendie, Flourens, Milne-Edwards, Charles
Bell, Marshall Hall (i). Il suo discepolo Frauenstädt ha anzi notato che Scho-
(i) Si cfr. a questo proposito il Ver£eichniss der von Schopenhauer hinterlassen Bi-
bliothek : Naturwissenschaften in Edita und Inedita S chopen haue riana , herausgegeben
von E. Griesebach (Leipzig, Brockhaus, 1888, pp. 161-166). - Per quanto concerne
Schopenhauer e la fisiologia francese, si cfr. Interessante saggio di P. Janet su Scho -
penhauer et la physiologie française : Cabanis et Bichat f in: « Revue de deux mondes », i°
maggio 1880, pp. 35*59» ove l'A., illustrata la grande influenza esercitata sopratutto da
Cabanis e Bichat sul filosofo tedesco, conclude (p. 59): « Questa filosofia, nella sua
parte obbiettiva, può ricondursi a due proposizioni. La prima è che le varie forze della
natura: gravitazione, coesione, affinità, istinto, sono essenzialmente identiche a ciò che
noi abbiamo chiamato volontà. Ora noi abbiamo trovato questa proposizione fondamen-
tale in Cabanis. La seconda è che la volontà è profondamente separata dairintelletto e
che è anteriore allo stesso intelletto; la volontà è la cosa in se, la sostanza che appare
a se stessa soggettivamente sotto forma d'intelletto. Ora, questa seconda dottrina, Scho-
penhauer la ritrova lui stesso nella distinzione delle due vite, la vita organica e la vita
- 372 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
penhauer avrebbe perfino certi punti in comune con la scuola materialista te-
desea, quella di Moleschott, Liebig, Mulder e Wogt. Per lui un uomo che
pensa senza cervello è altrettanto impossibile come un uomo che digerisce
senza stomaco: come riduce il fenomeno della sensazione ai nervi, così riduce
quello della percezione, del pensiero, al cervello. Però dal materialismo - che
egli profondamente avversava, come il Darwinismo - si distingue per tre
idee fondamentali: Pidea che egli si fa della materia, il suo vitalismo, e la
finalità della natura. La materia per lui non è che una forza, la forza vitale
è il principio della materia, e questa forza ha un fine. Ma sopratutto si distin-
gue pel suo idealismo: sta bene che tutta la vita intellettiva - e l'universo
mondo - dipende dal cervello : però questo, noumenicamente, non è la realtà
assoluta (la quale è la volontà), e, fenomenicamente, è solo una rappresenta-
zione che ne condiziona altre.
La simpatia di Schopenhauer per la scienza - di contro alla metafisica
moderna - ha un riscontro con il suo culto per la classicità - di contro al
Romanticismo dei suoi templ. Ma come, ciononostante, elementi fondamentali
del pensiero moderno furono assunti nella sua sintesi filosofica, così voci ro-
mantiche echeggiano nella organica, classica struttura del suo sistema. È noto
che Schopenhauer ebbe una solida, anche se tardiva, formazione classica:
prima che egli entrasse all'Università, fu principale direttore dei suoi studi a
Weimar, come a Gotha, l'ellenista Franz Passow, più tardi professore nell'U-
niversità di Breslau. Schopenhauer divenne pertanto un classico convinto, nu-
trito di poeti greci e latini - che cita continuamente nelle sue opere: e
scrisse allora sulla prima pagina del suo Omero quell'orazione domenicale in
esametri - che ricorda la preghiera sull'Acropoli di Renan - ove chiede alla
magica lira dell'antico vate la liberazione dalle cure quotidiane e dal tragico
destino di questo mondo ! Così, a Weimar, sentì potentemente l'influsso cias*
sico dell'olimpico Goethe - forse l'unico dei contemporanei che ammira ed
esalta assieme a Kant; come, in genere, subì l'influenza del classicismo dei
suoi prediletti moralisti francesi, fratelli germani dei loro contemporanei e con-
terranei empiristi, a lui non meno cari. Non occorre dire che questa cultura
classica non fu in lui esteriore, retorica, accademica, di maniera, perchè rispon-
deva anch'essa ad una originaria esigenza della sua complessa personalità, e fu
da lui intimamente sentita e vissuta nella sua disciplina e serietà culturale:
onde giovò a lui - come ad altri - per liberarsi dal soggettivismo romantico
animale, che è il fondo del libro di Bichat: è la traduzione fisiologica del suo sistema.
Questo sistema, almeno nella sua parte obbiettiva, ha dunque la sua duplice ragione
nella fisiologia francese ». - E per i rapporti di Schopenhauer con la cultura.. francese in
genere, si veda: A. Baillot, Essai sur les sources françaises de Schopenhauer , in appen*
dice al volume Influence de la philosophie de Schopenhauer en France (1860-1900), Paris,
Vrin, 1927, di cui diamo il sommario: Introduction - Chap. I: Au seuil du XVIIIe
siècle (Bayle, Montesquieu) - Chap. II: Voltaire - Chap. III: J. J. Rousseau -
Chap. IV: Les encyclopédistes (Diderot, Helvétius) - Chap. V: Les moralistes (Vau-
vernargues, Chamfort) - Chap. VI: Savants et naturalistes (Buffon) - Chap. VII: Les
physiologistes (Cabanis, Bichat) - Chap. VIII: La fin du XVIIIe siècle - Conclusion»
- 373 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
- 374 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
- 375 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
danità greca sulla extramondanità cristiana, nociva allo stato (pp. 29*30 e 131) - la
chiesa inferiore allo stato (p. 54) - deplorazione che il Cristianesimo, d'origine straniera,
abbia conculcato le religioni nazionali, il Walhalla germanico (p. 59) - il nuovo Dio
cristiano, che prende il posto dello stato, poteva esser accettato solo da una umanità
corrotta, che ha perduta la libertà, creatrice dello stato stesso (p. 65); per il secondo
punto: infelicità della coscienza cristiana, che spregia le gioie del mondo (p. 66) - in*
naturalità e irrealtà del miracolo posta a priori (pp. 70*71 e 186) - la divinità di Cristo
frutto di fantasia della primitiva comunità cristiana (o. 180) - mostruosità dell'ascetica
cristiana, che dipende dal Crocifisso (p. 184).
(1) « Ma egli avea masticato e masticava l'oppio romantico, e la letteratura del do*
lore l'avea preso, sicché il mondo e la realtà gli si presentavano, pur senza ch'egli se ne
avvedesse, sotto un aspetto particolare, quello appunto onde gli si coloravano attraverso
la lente in cui l'occhio guardava ». G. ZUCCANTE, Genesi psicologica d'una dottrina, ossia
frammenti della storia d'un* anima (A. Schopenhauer), in Uomini e dottrine , Paravia,
Torino, 1926, p. 87.
- 376 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
artistica, così frequente nei romantici (i). E così la morale fondata non sulla
astratta ragione» ma anzi sull'intuizione - dell'unità degli esseri - sul senti-
mento - della compassione - che ugualmente echeggia nel Romanticismo:
anche se Schopenhauer, nella sua vita concreta fortemente ordinata in un si-
stema di rinuncia - per quanto gli fu possibile - sia egualmente lontano
dallo squilibrio sentimentale e disordine morale dei romantici stessi. E poi la
intuizione panteistico-idealistica della realtà - ove lo spirito è creatore: anche
se, naturalmente, presso i romantici artisti e poeti essa rimanga vaga, subbici-
tiva, mistica, estetica; laddove presso Schopenhauer - come gli altri filosofi
del Romanticismo - essa assuma, più o meno, forma determinata, obbiettiva,
filosofia, logica. E, in fine, vari altri elementi: simpatia per la religione, pel
Cattolicesimo, per l'esotico e per l'Oriente; pel sogno, mistero, magia, spiriti-
smo; per la musica e la poesia lugubre e sepolcrale; per le tombe e rovine, so-
litudine e melanconia, ecc.
Viceversa Schopenhauer esclude tutti quegli elementi romantici, che col
suo pessimismo non potevano accordarsi: il culto della natura vivente, che
per i romantici era sede di pace e per lui di guerra; il culto cavalleresco per la
donna, in quanto egli vede dal fondo di essa emergere sopra tutto la femmina;
il culto romantico per la patria - e per i risorgimenti nazionali allora d'attua-
lità - che egli risolve realisticamente nello stato bene organizzato, avente il
compito di servire l'individuo umano; e - sopratutto, come si è detto - il
culto per la umanità, civiltà, progresso, in cui i romantici non cessano di aver
fede, anche se in modo diverso dagli illuministi, e in cui egli invece non crede
affatto. Perciò non condividiamo il giudizio del Meyer, il quale nella sua
classica opera sulla Letteratura tedesca nel secolo decimonono chiama Scho-
penhauer: « Der eigenthliche Philosoph der Romantik » (2). A meno che
(1) « Sicuro del suo processo, Hegel disprezza quel mistico e immediato afferrare
l'Universale, che era stata la caratteristica dei romantici. Ma con questi romantici ap-
punto, Schopenhauer ha in comune l'intuizione immediata, per cui coglie, non tanto
l'io universale, quanto, secondo lui, l'universale e irrazionale essenza o natura che sta
nell'intimo di ciascun io finito di tutte le cose, cioè la Volontà » (J. Royce, Op . cit.,
vol. I, p. 336).
(2) Cfr. : R. M. Meyer, Die deutsche Litteratur des XIX Jahrhunderts , Berlino,
Bondi, 1900 (II edizione), pp. 51-52. Lo stesso J. Volkelt, nel suo fondamentale studio
su A. Schopenhauer , seine Persönlichkeit, seine Lehre, sein Glaube (vierte Auflage -
Frommans - Stuttgart), sebbene affermi che molti e importanti elementi romantici si tro-
vano nel pensiero di Schopenhauer, pure conclude in fine - precisamente contro ň
Meyer - che egli non è il filosofo del Romanticismo, da cui lo dividono vari atteggia*
menti, sopratutto il suo radicale pessimismo, onde si avvicina piuttosto a Byron e Leo-
pardi (cfr. pp. 411-12; cfr. pure pp. 55-56, 84-88, 98-100, 294-96, 313-15 e 409-412 -
ove il Volkelt ritorna sulla questione dei rapporti di Schopenhauer col Romanticismo). E
il Ruyssen ( Op . cit,, p. 105) - dopo aver notato la comune malinconia di Schopenhauer
e dei romantici - conclude intorno al romanticismo di lui: « Infine, se il suo stesso
pessimismo è romantico d'accento, non lo è in teoria; esso è qualcosa di più profondo
e di più logico. Quello dei romantici non è in fondo che un amore scoraggiato della
vita; esso aspira alla voluttà, idealizza la sensualità, vanta i diritti della passione, pone
l'amore su di un altare. Il pessimismo di Schopenhauer è radicale. È la vita stessa
che egli vuole annientare; esso è volontà del nulla ».
- 377 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
non si distingua dal Romanticismo nel suo complesso - che abbiamo cer-
cato di determinare più sopra - quel suo particolare, anche se importante
aspetto, che è il cosidetto dolore mondiale (Weltschmerz). Legittima rea*
zione ai tragici sogni ottimistici del razionalismo illuministico e rivoluziona*
rio: che noi crediamo rappresentare il vero valore teoretico - se non tutto il
significato storico - del movimento romantico, specie di contro alla volgare
concezione ottimistico-sentimentale; e in Giuseppe De Maistre ne cerchiamo
la prima e più generosa voce ideale; ma che fu Iben presto abbandonata e su*
perata nel nuovo umanesimo immanentistico e storicistico dell'età romantica
stessa (i).
Difatti al nascere e nella prima giovinezza di A. Schopenhauer dominava
in Europa, e specie in Germania, la cosidetta Letteratura del dolore mondiale
(Weltschmezliteratur). Dice il Carlyle a proposito del Werther di Goethe,
Topera iniziale e tipo di quella letteratura : « Il Werther non è che il grido di
quell'affanno profondo, oscuro, in cui languivano tutti i pensatori dell'epoca;
ne dipinge la miseria; vi esprime appassionatamente i lamenti del cuore; e le
voci di tutta Europa gli rispondono alto in una volta. Se la stanchezza della
vita, nel Byron, la sua tetra malinconia, la sua folle tempestosa indignazione,
espresse in versi bizzarri e senz'arte, potevano penetrare sì addentro in tanti
cuori inglesi, ora che la materia non è più nuova, anzi è vecchia e trita, pos*
siamo immaginare con quale trasporto deve essere stato salutato questo Wer *
thert che giungeva come una voce di regioni ignote, primo rintocco di quella
campana da morto, che, di paese in paese, gli orecchi ascoltavano, finche di*
vennero sordi a tutto il resto » (2). Dalla Germania questa letteratura si dif-
fonde in tutta Europa, che già eravi preparata e disposta. E avremo, in Inghil-
terra, le malinconiche Notti dello Jung, i canti tetri e patetici di Ossian, la
poesia mesta e sfiduciata, scettica e beffarda di Byron e di Schelley; in Italia,
le Ultime lettere di Jacopo Ortis del Foscolo, i canti del Leopardi, la prosa e
la poesia dello stesso Manzoni, che è penetrato di un fine ma radicale pessi-
(1) Il pessimismo del conte De Maistre, anche se cristiano nella soluzione che dà
del problema della vita, è radicale ed ha vari aspetti comuni col pessimismo di A. Schox
penhauer, per la posizione del problema stesso. J. Bourdeau (A. SCHOPENHAUER, Pensées
et fragments, Paris, Alean, 1929, p. 75) ricorda questo pensiero del De Maistre, che fa
riscontro all'altro di Schopenhauer, contro l'ottimismo moderno: « Non vi ha che violenza
nell'universo; ma noi siamo rovinati dalla filosofia moderna, la quale ha detto tutto è
bene, mentre che il male ha contaminato ogni cosa, e che in un senso assai vero tutto
è male, perchè niente è al suo posto ». E A. Baillot ( Op . cit,, p. 65 dell'Appendice)
riporta un altro passo dello stesso De Maistre, di sapore assai schopenhaueriano : « Così
si compie senza tregua, dall'insetto fino all'uomo, la grande legge della distruzione vio^
lenta degli esseri viventi. La terra intera, continuamente inzuppata di sangue, non è che
un altare immenso ove tutto ciò che vive deve essere sacrificato senza fine, senza misura,
senza tregua, fino alla consumazione delle cose, fino all'estinzion del male, fino alla morte
della morte ». Si cfr. pure i passi caratteristici e radicali del De Maistre raccolti da D.
Giuliotti nell'Antologia di cattolici francesi del secolo XIX, Carabba, Lanciano, p. 11
e segg.
(2) Cfr. il saggio su Goethe (pubblicato nella « Foreign Review », n. 5, 1828) in: T.
Carlyle, Critical and Miscellaneous Essays, Chapman and Hall, London, vol. I, p. 164.
- 378 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
- 379 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
tico, lirico di Schopenhauer, alle cui medesime conclusioni avrebbe fatto capo, partendo
dalla classicità e dallo stoicismo, mentre quello aveva preso le mosse dairOriente e dal
Cristianesimo (v. specialmente le lettere del Doss a Schopenhauer in data 20 febbraio e
28 marzo 1858, e 20 febbraio 1859).
(1) E. Caro, La maladie du pessimisme au dix+neuvieme siècle , I: Un précourseur
de Schopenhauer , Leopardi , cit., in: « Revue des deux mondes », 15 novembre 1877,
p. 250 e segg.
- 380 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
vero che questa vita e questi mali sono brevi e nulli» ma noi pure siam piccoli
e ci riescono lunghissimi e insopportabili. Tu che sei già grande e sicura» albbi
pietà di tante miserie» ec. » (i). Ma questa realtà trascendente» questa felicità
suprema cessa nell'illusione» quando Leopardi cade nello scetticismo. Non più
speranze d'oltretomba : « ...presso alla culla - immoto siede, e sulla tomba» il
nulla » (Ad Angelo Mai ) : « ...abisso orrido» immenso» - ov'ei precipitando,
il tutto oblia » (Canto di un Pastore errante ). Non più Cristo» non più Dio
in alcun luogo, ma « ...il brutto - poter che» ascoso» a comun danno impera»
- e l'infinita vanità del tutto » (A sè stesso). Alla domanda che F. Ruysch
rivolge alle sue mummie, per brev'ora risuscitate, su quel che segue la morte,
le mummie - dopo averlo soddisfatto per quanto concerne il punto del mo'
rire - ripiombano nel silenzio della morte. Alla domanda dell'islandese alla
Natura perchè l'ha fatto nascere, per poi abbandonarlo al dolore, e qual'è il
suo scopo, quella risponde che il suo scopo è la pura conservazione del mondo
- la vita del quale è un perpetuo circolo di produzione e distruzione - e
non la felicità o infelicità degli uomini. E alla nuova incalzante domanda di
lui : « a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, con"
servata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono? », la Na-
tura tragicamente tace, e l'Islandese perisce vittima del bisogno della conser*
vazione e delle forze oscure di lei.
Se l'oltretomba è un sogno, il mondo presente è una triste realtà: tutti
i suoi beni, anco i più nobili, non sono che vanità: la patria, l'amore, la glo*
ria. Leopardi ama la patria, ma nel passato e non crede al suo avvenire: è un
patriota disperato. Si confronti l'ode All'Italia, e ancora Ad Angelo Mai, e sc^
pra tutto il Bruto minore , ove sembra proclamata in universale la follia del'
l'eroismo e la sterilità del patriottismo, che era la fede dell'antichità. Nel poema
eroicomico intitolato Paralipomeni della Batrocomiomachia schernisce triste*
mente e amaramente l'illusione patriottica, che pur aveva fatto battere il suo
cuore, e la redenzione nazionale, vagheggiata ai suoi templ. Quanto alla glc >>
ria, cui pure Leopardi aveva mirato (si confronti per esempio la desolata can*
clusione del Tristano ), nel Panni , ovvero della Gloria, dimostra che essa è dif-
ficile a conseguirsi anche da quelli che ne sono degni, e che è vana anche
quando la si consegue: sicché la gloria, sì povera d'utilità, sì difficile e in*
certa non meno a ritenere che a conseguire, è un'ombra vana. E Y amore?
Si crede il supremo conforto nei molti mali della vita, ma è illusione come il
resto; error beato, lo chiama il poeta, ma cui segue amaro disinganno. Si con*
fronti II risorgimento, Le ricordante, Il pensiero dominante, A se stesso, e
sopratutto Aspasia . La donna non si ama propriamente per sè, ma per un'i-
dea - la bellezza - che si crede incarnare: onde poi il disinganno di fronte
alla realtà - di un essere così fragile, debole, meschino - che incarna così
male l'alto ideale, il quale pure è chimera. Onde l'amore è l'ombra di un onv
bra; onde l'associazione dell'amore e della morte.
(i) Cfr. : G. A. Levi, Inizi romantici e inizi satirici del Leopardi, in: « Giornale critico
della letteratura italiana », fase, aprile-giugno 1929, p. 327.
- 381 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
- 382 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
LAMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
- 383 -
25
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
UMBERTO A. PADOVANI
(1) Non ci risulta che Schopenhauer - pur così ammiratore e conoscitore delle bel-
lezze d'Italia - abbia avuto notizia e si sia interessato del pensiero romantico e idealistico
italiano, tutto teso al moto politico del Risorgimento: ma si può dire senza tema di andar
errati, che avrebbe avuto per il suo maggior esponente, Gioberti, lo stesso orrore che
per il suo equivalente tedesco, Hegel.
(2) Cfr. : F. De SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Dialogo tra A. e D.t in Saggi
critici , a cura di P. Arcari, Treves, Milano, 1914, voi. 1, pp. 251, 266, 269. Questo dia-
logo fu prima pubblicato nella Rivista contemporanea di Torino, vol. XV, fase. 61,
pp. 369-408, dicembre 1858; poi raccolto nei Saggi con questa avvertenza; « Il dialogo
è scritto a Zurigo nel 1858; D. è l'autore, A. è un suo antico discepolo che viene da
Napoli ». E nell'una e nell'altra edizione il De Sanctis chiarisce in una nota: « Tutto
quello che D. dice di Schopenhauer, opinioni, invettive, argomenti, paragoni, fino nei
più minuti particolari, è tolto scrupolosamente dalle sue opere: per brevità si appongono
citazioni solo nei punti più importanti ». Zurigo ospitava nel 1858 una schiera di scho-
penhaueriani ferventi ed eletti: l'uno di essi, anzi, glorioso: Riccardo Wagner. Scho-
- 384 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
L'AMBIENTE E LE FONTI NEL PENSIERO DI A. SCHOPENHAUER
gere in fondo al cuore» e - ciò che è più strano - ottiene l'effetto di far
amre quanto ha cercato di demolire senza posa e magnificamente: amore,
patria, gloria - rendendo così al tutto insolubile il problema della vita? E non
avevano qualche ragione coloro che facevano in fondo dipendere il pessimismo
del Renatese dalle sue personali miserie - per quanto egli ne dicesse in con*
trario e protestasse, per esempio nella lettera al de Sinner del 24 maggio 1832;
e per quanto quelli malamente potessero sostenere una tesi giusta: conceden-
dogli così la gloria di poeta e di grande poeta, ma negandogli quella, non
meritata, di filosofo?
Ben diverso il caso di A. Schopenhauer, il quale - uscendo dalla turbata
sfera dell'io - freddamente creò il sistema dell'assoluto pessimismo, con la
conclusione d'un ascetismo radicale, ove però è la pace nirvanica: senza esita-
zioni, senza rimpianti, senza amori, senza speranze : come potremo vedere dalla
vita di lui, la quale, più che ad altri, gli avrebbe dato il diritto di essere per-
sonalmente ottimista, e di fronte a cui vivamente, consciamente deplora che
troppo spesso essa l'abbia attaccato all'esistenza, senza lasciargli raggiungere
pienamente la perfezione ascetica proclamata e idoleggiata.
RIASSUNTO
Dopo aver illustrato il logico sviluppo del pensiero moderno al monismo umanistico
ed immanentistico - attraverso l'empirismo ed il razionalismo, Kant e l'idealismo poste-
riore fino ad Hegel - Ta. considera l'irrazionalismo e il pessimismo assoluto di Schopen*
hauer come la fatale conclusione critica di tutto quel movimento: se l'essere è uno, il
male è inerente all'Essere assoluto, che è pertanto irrazionale. L'a. mostra come a tale
sistema Schopenhauer sia giunto non solo attraverso il monismo moderno e l'idealismo
kantiano, ma tutta la tradizione spirituale dell'umanità, d'Oriente e d'Occidente, dal
Buddismo al Cristianesimo.
- 385 -
This content downloaded from 129.74.250.206 on Tue, 02 Aug 2016 04:40:11 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms