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Parafrasi discorsiva

[vv. 1-6] Egli (Napoleone) non c’è più, è morto. Come il suo corpo senza vita, dopo l’ultimo respiro,
rimase immobile, essendo rimasto privo di una così grande anima, allo stesso modo i popoli della
terra restano scossi e increduli alla notizia della sua morte,[vv. 7-12] in un silenzio profondo di
raccoglimento riflettendo sugli ultimi istanti di vita dell’uomo che ha segnato il destino; e nemmeno
riesce a indovinare quando una simile impronta di un piede d’uomo verrà a calpestare la sua
polvere insanguinata.

[vv. 13-18] Il mio ingegno poetico lo vide trionfante [come Giove (“folgorante”)] sul trono imperiale
(“in solio”) e non fu capace di esprimere parola; allo stesso modo, quando, con continui
cambiamenti di sorte, fu sconfitto, tornò grande e fu piegato definitivamente [a Waterloo], non ha
mischiato la propria voce a quelle della maggioranza enorme delle genti: [vv. 19-24] esso
[l’ingegno poetico] è infatti incapace tanto di profondersi in lodi servili quanto di abbassarsi alle vili
offese, si risveglia solo ora perché commosso dinnanzi all’improvviso scomparire di un raggio così
luminoso e grande [qual era Bonaparte]; e innalza sulle sue ceneri un canto che forse non morirà
mai.

[vv. 25-30] Dall’Italia (Alpi) all’Egitto, (Piramidi) dalla Spagna (dove si trova il fiume Manzanarre)
alla Germania (attraversata dal fiume Reno), dove si dirigeva lo sguardo rapido (“baleno”) di
quell’uomo senza esitazioni (“securo”) esso era seguito dalle sue conquiste alla velocità di un
fulmine; si abbatté come un lampo (“scoppiò”) dall’Italia meridionale (Scilla) alla Russia (Tanai: è il
fiume Don), dall’uno all’altro mare.

[vv. 31-36] Possiamo chiamare tutto questo gloria imperitura? Saranno i posteri a pronunciare il
verdetto: noi, per parte nostra, non possiamo solo che abbassare il capo di fronte alla volontà di
Dio, l’Alto Creatore, che volle imprimere in Napoleone un’impronta più vasta del suo spirito
creatore di quanto l’abbia impressa su tutti noi.

[vv. 37-42] La tempestosa e trepidante gioia di un grande progetto, l’ansia di un animo ambizioso
che, indomabile, continua ad obbedire mentre pensa già al comando; e incredibilmente lo
raggiunge e ottiene un successo in cui era folle sperare; [vv. 43-48] egli sperimentò tutto nella sua
ascesa e caduta: la gloria, che è più grande ancora dopo il pericolo di sconfitta, la fuga e la
vittoria, il regno e il pesante esilio [all’Elba e a Sant’Elena]: due volte fu sconfitto [a Lipsia e
Waterloo], due volte tornò sul trono.

[vv. 49-54] Egli pronunciò il suo nome [si proclamò imperatore]: due secoli [il 1700 e il 1800],
armati l’uno contro l’altro, si voltarono rispettosamente verso di lui, come stessero aspettando la
sua decisione sul loro destino; egli impose il silenzio e si sedette in mezzo ad essi come un arbitro
ad osservare il loro scontro.

[vv. 55-60] E poi svanì e finì i suoi giorni nella solitudine pensierosa (“ozio”), in un’isola così
piccola [Sant’Elena], fatto oggetto di invidia quasi infinita e di profonda compassione per una così
triste fine, di odio implacabile da parte dei suoi nemici e di amore incondizionato da parte dei suoi
seguaci.

[vv. 61-66] Come sulla testa del naufrago l’onda oceanica si increspa e poi si abbatte, la stessa
onda su cui poco prima scorreva lo sguardo del poveretto, alto e proteso a cercare invano rive
lontane che avrebbero potuto salvarlo; [vv. 67-72] alla stessa maniera piombò su quell’anima la
grande quantità di ricordi! Oh, quante volte dovette immaginare di raccontare ai posteri le proprie
imprese e sulle pagine destinate a durare eternamente si posò la sua mano stanca!
[vv. 73-78] Oh, quante volte, al silenzioso terminare di un giorno privo di occupazioni, volti al suolo
gli occhi lampeggianti, incrociate le braccia sul petto si fermò e l’assalì violentemente il ricordo dei
giorni passati!

[vv. 79-84] E il suo pensiero tornò ai giorni degli accampamenti sempre precari, alle trincee colpite
dall’artiglieria nemica, e alle scintille delle armi dei soldati che si incrociavano, all’assalto della
cavalleria, agli ordini concitati gridati alle truppe e all’immediato ubbidire di queste.

[vv. 85-90] Ahimè, è forse possibile che l’animo fiaccato si sia lasciato travolgere da uno strazio
così grande e sia caduto nella disperazione; ma giunse dal Cielo una mano forte che, mossa a
compassione, lo trasportò in un posto dove l’aria era per lui più respirabile; [vv. 91-96] e gli indicò
la via, attraverso i sentieri coperti di fiori della speranza, ai luoghi eterni [i Campi Elisi], verso
quella ricompensa [il Paradiso] che supera tutti i desideri dell’uomo, dove la gloria terrena, ormai
passata, cade nel silenzio e nell’oblio.

[vv. 97-102] Bella immortale! Fede portatrice di bene, abituata ai trionfi! Scrivi pure anche questo
trionfo, rallegrati; perché nessun uomo più grande di Napoleone si è mai chinato ad adorare
l’immagine di Cristo crocifisso [il Golgota è il luogo della crocifissione di Cristo].

[vv. 103-108] Tu (Fede) dai resti mortali ormai fiaccati dalla vita, allontana ogni parola cattiva; quel
Dio che allo stesso tempo fa disperare e fa risorgere, che dà insieme dolore e consolazione, sul
letto di morte abbandonato da tutti coloro che gli furono vicino, venne a poggiarsi al suo fianco.

Analisi e Commento
Il cinque maggio fa parte dei componimenti manzoniani di argomento storico e fu
insolitamente scritta di getto (in soli tre giorni), ispirata da un evento contemporaneo e
contingente: la morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821 sull’isola di Sant’Elena.
Nonostante i divieti della censura austriaca, l’ode ebbe grande diffusione e Goethe la tradusse
subito in tedesco.

Per Manzoni, dopo la conversione, la letteratura deve avere “l’utile per iscopo, il vero per
soggetto e l’interessante per mezzo” e ciò si realizza pienamente, oltre che negli Inni sacri e nelle
tragedie, anche nelle odi di argomento politico e civile come questa e Marzo 1821. I fatti
contemporanei sono analizzati in chiave religiosa e con l’entusiasmo fideistico dato dalla recente
conversione: è la prospettiva dell’eternità che dà pieno significato alla vicenda terrena di
Napoleone, in cui si sono alternate continuamente gloriose ascese e rovinose cadute.

I due monosillabi isolati ed antitetici con cui si apre Il cinque maggio – “Ei” (“quel grande”,
“quel famoso”) e “fu” (“è morto”) – racchiudono già tutta l’essenza della vita del personaggio, che
non ha bisogno di essere nominato esplicitamente sia perché la sua identità si può dedurre dal
titolo, sia perché il suo ricordo è ancora vivo nel pensiero di tutti: infatti, in tutta la poesia, non è
mai nominato apertamente.

Tutta la lirica si basa su una serie di antitesi: tra stasi e movimento (“ei fu”, “immobile” vs
“con vece assidua / cadde, risorse e giacque”; “mobili, lampo, onda, concitato, celere”, “fulmine,
baleno, scoppiò, rai fulminei” vs “ozio, stanca man, tacito, inerte”), tra luce e tenebre (“orba,
tenebre” vs “raggio, fulmine, baleno, rai”), tra lo spazio immenso delle conquiste (“dall’Alpi alle
Piramidi…”) e quello angusto dell’esilio (la “breve sponda”). Nella prima parte dell’ode, fino al
verso 54, è rievocata la vicenda terrena dell’eroe, del quale Manzoni non aveva mai tessuto elogi
finché era in vita. La rievocazione storica è interrotta da una pausa di riflessione sulla gloria
terrena (vv. 31-32).

Nella seconda parte (che inizia con “e sparve”, evidentemente parallelo all’”ei fu” iniziale),
è rievocato l’esilio a Sant’Elena, durante il quale l’eroe ripensa alla sua vita ed arriva alla
disperazione più nera: ciò che poteva sembrare una grande impresa, nel ricordo resta solo un
fallimento. Ma nella parte finale, i contrasti vengono superati grazie all’ingresso di una nuova
dimensioni, fuori dallo spazio e dal tempo: l’eternità, dinnanzi alla quale la gloria terrena si annulla
nel silenzio e l’immobilità, inizialmente simbolo della negatività della morte, diventa conquista della
pace per l’eternità.

Il tema di fondo è la meditazione sull’eroismo dei grandi uomini e sul loro ruolo nella storia,
guardato da Manzoni con grande pessimismo, in quanto cercare la gloria su questa terra può
provocare solo dolore, sofferenza, morte. Secondo Manzoni, nella storia, o si è oppressi o si è
oppressori: se si decide di agire e compiere il male si è oppressori, se ci si rifiuta di farlo, si è
oppressi, come è più volte ribadito nell’Adelchi (che, morente, afferma: “non resta / che far torto o
patirlo”) Anche Napoleone, nonostante la grandezza delle sue imprese, alla fine, è un oppresso:
oppresso dai suoi ricordi, da se stesso, dal suo fallimento. Nella prospettiva dell’eterno, invece, si
svela il vero significato della vita, che si può comprendere solo nel momento estremo della morte.

Sintatticamente, prevalgono i periodi brevi e concitati per rendere la rapidità d’azione


dell’eroe (se si escludono il lungo periodo iniziale e quello che occupa i vv. 37-48); sono frequenti
le anastrofi, gli iperbati e le collocazioni del verbo in fondo alla frase. Sono numerosissimi gli
aggettivi, spesso di sapore latineggiante (“immemore”, “cruenta”, “anelo”….).

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