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L’Ellenismo

Con la morte di Aristotele (322 a. C.) si conclude la filosofia classica, ed inizia


la filosofia ellenistica.
Con Aristotele finisce la filosofia sistematica, quella che indaga tutti gli aspetti
della realtà, nutrendo una immensa fiducia nella ragione.
La filosofia ellenistica è per lo più preoccupata della questione etica: come si
fa a vivere?
L’Ellenismo convenzionalmente va dal 323 a.C. – morte di Alessandro Magno
– al 529 d. C. – quando l’imperatore Giustiniano chiude l’Accademia di
Platone ad Atene.
L’Ellenismo è un periodo caratterizzato da insicurezza soprattutto per le
circostanze politiche in cui si trova a passare il mondo greco-orientale.
Il più grande centro culturale del periodo ellenistico è la Biblioteca di
Alessandria d’Egitto fondata da Alessandro Magno.
Nel Museo della Biblioteca si ritrovano i maggiori sapienti per studiare,
raccogliere e classificare i risultati ottenuti nei vari saperi.
In questo periodo si diffonde il libro, grazie all’uso del papiro e della
pergamena.
Nel I secolo a. C. –al massimo del suo splendore – la Biblioteca d’Alessandria
conteneva 500.000 volumi.
Nel periodo ellenistico fioriscono tre indirizzi filosofici: lo scetticismo,
l’epicureismo e lo stoicismo.
Questa filosofia non è più praticata nelle piazze o nelle vie della città, ma si
isola nelle scuole. I membri di queste scuole condividono un modello di vita e
si aiutano a affrontare la vita.
Nell’Ellenismo si cerca di più la saggezza pratica che la conoscenza
disinteressata.
Lo scetticismo
La parola greca “skepsis” vuol dire “ricerca”, questo significa che lo
scetticismo è anzitutto un atteggiamento di continua ricerca sulle cose perché si
dubita di aver raggiunto una visione definitiva, partendo dall’assunto che ogni
conoscenza umana è perfettibile.
Il fondatore dello scetticismo è stato Pirrone (365 a.C. – 275 a. C.) di Elide
(Peloponneso).
Pirrone partecipò alla spedizione di Alessandro Magno in Oriente e quella
occasione conobbe la cultura persiana e indiana.
Proprio perché ha veduto punti di vista differenti da quello greco ha assunto
una visione più problematica delle cose.
Tornato in patria Pirrone comincia ad insegnare le sue cose ad Elide
costituendo una scuola.
Di Pirrone non abbiamo testi originali, sappiamo delle sue riflessione attraverso
il discepolo Timone di Fliunte.
Per Pirrone intorno alle visioni generali della vita sono possibili più punti di
vista, i popoli hanno concezioni differenti del mondo, dell’anima e di Dio, così
come emergeva anche tra i filosofi greci dell’antichità.
Proprio questo rilievo dovrebbe spingere la ragione ad essere dubbiosa, a
“sospendere il giudizio”, evitando espressioni come “è” per usare espressioni
“è così e non è così”.
Per vivere bene la persona dovrebbe perseguire sia l’afasia che l’atarassia.
L’afasia l’attenuazione dei giudizi, l’evitamento delle espressioni assertive,
per mostrare una sostanziale problematicità.
L’atarassia è l’imperturbabilità dell’anima, l’indifferenza che deriva
dall’afasia per cui uno non assume atteggiamenti fanatici perché prende le
distanze da ogni asserzione.
La saggezza pratica invita all’afasia e all’atarassia per convivere con gli altri.
Altri due esponenti dello scetticismo sono stati: Arcesilao e Carneade.
Questi due pensatori facevano parte dell’Accademia platonico, sostenendo che
l’impostazione stessa di Platone era scettica perché il filosofo riteneva che le
conoscenze sensibile sono deboli, solo probabili.
Arcesilao (315 a.C. – 241 a. C.) è fautore del probabilismo per cui di fronte alle
questioni generali occorre sempre assumere un atteggiamento del tipo “sulla
base delle mie conoscenza attuali io ritengo che…”.
Carneade (219 a. C. – 129 a. C.) sostiene che nella vita di tutti i giorni vivere
nel dubbio paralizza i comportamenti, allora è bene attenersi al criterio
dell’attendibile, per cui una cosa è in certo modo a partire da degli indizi che
vanno in quella direzione, come fa il medico quando elabora una diagnosi.
Secondo Carneade il soggetto dà l’assenso alla concezione che a partire da ceri
indizi gli pare più persuasiva.
L’ultimo scettico di rilievo nell’età dell’Ellenismo è stato Sesto Empirico (II
secolo d. C.), medico che scrisse varie opere, una dedicata a Pirrone ed
intitolata Schizzi pirroniani e una diretta contro i matematici intitolata Contro i
matematici.
Sesto attacca tutti i saperi dogmatici, tutti coloro che credono di possedere
dottrine definitive e certe.
La considerazione che Sesto fa verte sulla ragione, perché nei suoi scritti
mostra come la ragione compia sovente degli errori e dunque non sia una fonte
attendibile di conoscenza.
Siccome non possediamo nessun strumento certo di conoscenza, allora è saggio
attenersi a quattro criteri pratici per vivere bene:
• seguire ciò che la natura ci rivela attraverso i sensi, perché abbiamo
bisogno della natura per vivere (se il fuoco brucia allontana il dito);
• assecondare i bisogni del corpo, perché sono quelli che ci permettono di
continuare a vivere (se hai fame mangia);
• rispettare le leggi e costumi, dei popoli dove viviamo per non avere
nemici (non fare il bastian contrario);
• seguire le regole delle arti, come la medicina perché danno sollievo alla
vita (se la medicina funziona non farne a meno).
L’epicureismo
La scuola epicurea prende il nome dal fondatore Epicuro di Samo (341. a. C. –
270 a. C.)
Samo è una città situata su un’isola davanti alla Turchia.
A 18 anni Epicuro si trasferisce ad Atene e lì fonda una scuola in contrasto con
l’Accademia platonica, di cui non condivide l’orientamento spirituale.
La scuola di Epicuro si chiama “Il giardino” perché era stata edificata in un
giardino.
In questa scuola Epicuro e i suoi seguaci vivevano in comunità.
Di Epicuro ci sono pervenute le Massime capitali (consigli utili per vivere) Tre
Lettere indirizzate ai suoi amici: Erodoto (sulla fisica), Meneceo (sulla felicità)
e Pitocle (astronomia).
Che lo scrittore latino Lucrezio (99 a. C. – 55 a. C.) nel suo poema intitolato
De rerum natura riprende la filosofia di Epicuro a piene mani.
Epicuro consiglia la moderazione nei piaceri per essere sereni nella vita,
pertanto la parola epicureo che usiamo nel nostro vocabolario per indicare un
gaudente è impropria se riferita alla filosofia di Epicuro.
Per Epicuro lo scopo della filosofia è quello di aiutare a vivere bene, non tanto
quello di conoscere le cose.
Attraverso dei ragionamenti la filosofia dovrebbe aiutare gli uomini a non
avere quelle paure che li immobilizzano, suscitando in loro angoscia.
La filosofia è un “tetrafarmaco” che agisce su quattro paure che tormentano gli
uomini.
• La paura degli dei;
• La paura della morte;
• La paura del dispiacere;
• La paura della malattia.
Non bisogna avere paura degli dei perché vivono beati nel loro mondo e non
si curano degli uomini, perché questo li priverebbe della loro beatitudine,
quindi non puniscono gli uomini perché sono loro indifferenti.
Non bisogna temere la morte perché quando la morte arriva non ci siamo più
noi, Epicuro suggerisce una visione materialistica e mortalista dell’anima,
perché quando muore il corpo muore anche l’anima e dunque per noi la
morte non è nulla, perché viene non siamo più consapevoli.
Non bisogna vivere con la paura di non avere piaceri perché possiamo
sempre perseguire i piaceri più necessari: mangiare, bere e dormire.
Non avere paura delle malattie perché se tu ti attieni ad una vita sobria le
conterrai sicuramente.
Per essere felici oltre a non avere paure, bisogna vivere dunque in modo
saggio, moderato e sobrio perseguendo quello che ragionevolmente è alla
nostra portata.
Per Epicuro esistono tre tipi di piacere: il piacere naturale e necessario,
quello naturale ma non necessario e quello artificiale.
L’uomo saggio che vuole essere felici persegue solo i piaceri naturali e
necessari: mangiare, bere e dormire, non quelli naturali ma non necessari,
come ad esempio il piacere sessuale perché non è detto che uno trovi la
corrispondenza desiderata.
Infine troppo fluttuanti sono i piaceri artificiali quelli che dipendono dalla
vita sociale ovvero: denaro, fama e potere.
Per essere felici secondo Epicuro occorre essere solidali con gli uomini in
una delle Massime capitali scrive: “E’ non solo più bello, ma anche più
piacevole fare il bene anziché riceverlo”.
Epicuro dà inoltre consigli per vivere bene:
“Vivi nascosto”, cioè non ti lasciare coinvolgere nella brama di potere che
caratterizza i politici, perché il successo politico è sempre momentaneo, non
dura. La lotta politica è poi generatrice di tensioni interne la tranquillità.
“Contempla la natura” perché vedere la sua armonia dà letizia all’anima.
“Usa la memoria del bene” cerca di non volgere la memoria ai momenti
tristi ma dirigile verso i momenti belli.
“Vivi con gli amici” perché con loro puoi essere te stesso e non prigioniero
di un’immagine sociale.
Per Epicuro l’amicizia è fondamentale per perseguire la felicità perché crea
un animo fiducioso, non arrabbiato.
L’amicizia è più una virtù che un sentimento perché costa impegno e non va
confusa con la simpatia.
Epicuro ha elaborato una visone del cosmo riprendendo le idee di
Democrito. Per cui l’universo si è formato casualmente per aggregazioni di
atomi.
All’inizio gli atomi dotati di peso precipitavano nel vuoto dall’alto verso il
basso poi uno di questi ha deviato leggermente e cozzando con altri atomi ha
generato le aggregazioni successive, quindi secondo Epicuro all’origine del
cosmo sta il clinamen, ovvero la deviazione di un atomo.
Dal punto vista gnoseologico o della teoria della conoscenza Epicuro ha
elaborato una concezione empirista per cui noi cogliamo i dati esterni
perché le cose emanano degli atomi che colpiscono i nostri organi di senso
e noi ci facciamo un’immagine della cosa da cui gli atomi partono.
Successivamente la nostra mente a partire da una serie ripetuta di immagini
costruisce dei concetti che Epicuro chiama anticipazioni, perché la nostra
mente richiama questi concetti prima di compire degli atti o di formulare dei
giudizi.
A furia di vedere un amico la nostra mente quando la mamma ci dice che sta
per arrivare noi nella nostra mente richiamiamo rapidamente l’immagine o
anticipazione del nostro amico.
I nostri sensi sono il nostro criterio di verità perché se una cosa non
corrisponde a ciò che i sensi percepiscono è falsa.
Quale riflessione fa Epicuro sui piaceri?
Cosa pensa degli dei Epicuro?
Cosa significa mortalista?
Perché Epicuro invita alla sobrietà?
Cosa pensa della politica Epicuro?
Cosa pensa dell’amicizia Epicuro?
Cos’è il clinamen?
Cosa sono le anticipazioni?
2 ottobre assegnate in IV IL
Lettura a pagine 342-343 “L’invito a filosofare”. Rispondere alle domande
viola interne.
A quale età è giusto dedicarsi alla filosofia?
Perché non bisogna temere gli dei?
Perché non bisogna temere la morte?

• A tutte le età perché la filosofia aiuta a vivere meglio


• Perché vivono felici nella loro sapienza e virtù e si curano dei loro simili e
non di chi è loro alieno.
• Perché quando la morte sopraggiunge l’anima dell’uomo si dissolve e
quindi non può avere la coscienza dell’evento.
Lo stoicismo
Lo stoicismo rappresenta un movimento di pensiero vasto e variegato
alternativo all’epicureismo e in qualche modo anche al nascente
cristianesimo.
Lo stoicismo fece proseliti nel mondo colto e aristocratico, infatti l’ultimo
pensatore stoico è l’imperatore romano Marco Aurelio (121 d. C. – 180 d.
C.).
Il fondatore dello stoicismo fu Zenone di Cizio (città dell’isola di Cipro) che
visse tra il 335 a. C. al 263 a. C.
Egli fondò la sua scuola ad Atene intorno al 300 a. C. presso il portico greco
adornato dal pittore Polignoto (la Stoa poikilé, il portico dipinto).
Di Zenone di Cizio abbiamo dei frammenti delle opere: Repubblica, La
logica, Il dovere, La legge, Sui segni.
Nello stoicismo si distinguono tre fasi:
lo stoicismo antico (III secolo a. C.);
lo stoicismo medio (II – I secolo a. C.) a cui appartiene Panezio e
parzialmente Cicerone;
lo stoicismo tardo romano (I – II secolo d. C.) a cui appartengono Seneca,
Epitteto e Marco Aurelio.
Gli stoici ritengono che la filosofia abbia essenzialmente tre filoni di
riflessione: la fisica, la logica e l’etica, ma le prime due sono in funzione
della terza, perché lo scopo principale della filosofia per i pensatori
ellenistici è quello di aiutare gli uomini a vivere bene.
Secondo gli stoici gli uomini sono felici se sono virtuosi.
E’ la virtù che dà la felicità.
Essenzialmente praticare la virtù significa compiere ciò che la coscienza
suggerisce, ovvero il dovere.
Secondo gli stoici esiste una Ragione divina che anima il mondo e dirige
ogni uomo attraverso una legge interiore, che gli stoici come i sofisti politici
(Ippia e Antifonte) legge della natura che è uguale in tutti gli uomini.
Gli stoici al di là delle singole civiltà parlano di una città mondiale che è la
città degli uomini che vivono secondo coscienza.
Gli stoici hanno una visione cosmopolita perché ritengono che tutti gli
uomini siano eguali e siano chiamati a vivere secondo coscienza.
Nel cosmo secondo gli stoici ci sono due principi una passivo, la materia, e
uno attivo che la Ragione divina che ordina la materia.
La Ragione divina è un fuoco, un’energia che è in tutto e anima tutto.
Per gli stoici, come un fuoco, l’universo si accende, divampa e scoppia.
Gli stoici parlano di conflagrazione dell’universo e di rinascita, hanno cioè
una visione ciclica del tempo.
Nella parte riservata alla logica gli stoici hanno preso in considerazione la
teoria della conoscenza, i ragionamenti e i paradossi.
Zenone di Cizio descrive il suo modo di concepire la dinamica della
conoscenza con l’esempio delle mani.
La mano aperta rappresenta la mente aperta che raccoglie i materiali che
vengono dal mondo.
La mano contratta rappresenta l’afferrare i contenuti dell’esperienza con le
rappresentazioni della mente.
La mano stretta a pugno indica l’immagazzinamento del contenuto nella
memoria.
Le due mani strette una all’altra che rappresentano la scienza, ovvero il
collegamento tra i contenuti immagazzinati in noi.

Sui ragionamenti gli stoici elaborano una serie di sillogismi a due termini.
I sillogismi a due termini sono:
• “se è giorno, c’è luce; ma è giorno, dunque c’è luce”;
• “se è giorno, c’è luce; ma non c’è luce, dunque non è giorno”;
• “non può essere insieme giorno e notte; ma è giorno, dunque non è notte”;
• “è giorno o è notte; ma è giorno, dunque non è notte”;
• “o è giorno o è notte; ma non è notte, dunque è giorno”.
Gli stoici ritengono i paradossi utili per approfondire la logica quindi li
studiano.
L’esempio più noto è questo: “Epimede cretese diceva che tutti i cretesi
erano bugiardi”.
Se dice il vero mentiva, se dice il falso diceva la verità.

Lettura a pagina 381.


“Schiavitù e libertà degli esseri umani” di Seneca
Domande viola interne al brano.
Domande 1 e 2 degli “Esercizi sul testo”

Chi sono realmente gli schiavi?


Qual è la schiavitù più spregevole?
Su quali basi secondo l’autore bisogna giudicare un uomo?
Qual è la paura di cui tutti gli uomini sono schiavi?
- Sono uomini come noi soggetti alla fortuna.
- Quella che l’uomo sceglie volontariamente: libidine, avarizia, ambizione.
- Sui costumi.
- La paura.

Epitteto, lo schiavo filosofo


Epitteto vive tra il 50 e il 138 d. C.
Frequentò a Roma, ancora schiavo, le lezioni dello stoico Musonio, che gli
rivelarono la propria vocazione alla filosofia.
Cacciato da Roma da Domiziano insieme a altri filosofi (nell’88/89 o nel
92/93), lasciò l’Italia e si ritirò nella città di Nicopoli in Grecia, dove fondò
una scuola, che ebbe grande successo. Il successo fu probabilmente dovuto
sia alle capacità educative di Epitteto sia dall’umanità del suo messaggio.
Epitteto non scrisse nulla, volendo attenersi al modello del filosofare
socratico. Fortunatamente frequentò le sue lezioni lo storico Arriano, il
quale le trascrisse. Nacquero così le Diatribe, da cui sarebbe stato estratto il
celebre Manuale di Epitteto. Su tale Manuale lavorò come traduttore anche
Giacomo Leopardi che nella premessa al lavoro sul filosofo scrisse che
valeva la pena seguirlo.
Nell’opera di Epitteto c’è un interesse quasi esclusivo per l’etica e un
marcato senso dell’interiorità.
Epitteto sottolinea che la cosa più grande che c’è nell’uomo è la virtù.
La virtù centrale cui Epitteto richiama per la vita personale è quella della
moderazione.
Questa virtù implica di attaccarsi alle persone senza appiccicarsi a loro.
Scrive il filosofo ad esempio: “Se abbracci tuo figlio o tua moglie, di a te
stesso: Abbraccio un essere umano. Se muore, non ne sarai turbato”.
Accorre sempre far memoria che le cose a cui ci leghiamo sono doni
provvisori e abituarsi a trattarle come se ci fossero state imprestate.
Scrive: “Non dire mai di una cosa: “L’ho perduta”, ma “L’ho restituita”. Per
tutto il tempo in cui questi beni ti sono dati, prenditene cura come se non
appartenessero a te, come fanno i viaggiatori in una locanda”.
Secondo Epitteto la ragione maggiore delle nostre paure sta in noi stessi
perché tendiamo ad esagerare le difficoltà che le situazioni portano.
Socrate ci ha mostrato come la morte non vada temuta, perché aveva
radicato in sé un giudizio realistico su di essa, per questo non ne era turbato.
Se siamo turbati da qualcosa non attribuiamo la cosa alle circostanze o agli
altri, ma impariamo ad esaminare noi stessi, ad accusare noi stessi di ciò.
Se qualcuno ti riferisce che un tale ha detto male di te, non respingere quello
che si dice, ma rispondi: “Sicuramente ignorava gli altri difetti presenti in
me, altrimenti non avrebbe parlato soltanto di quelli”.
Il segreto della vita lieta è prendere la vita come viene, senza affiggersi
perché le cose non vanno come si pensa ( da qui il detto “Prendi la vita con
filosofia!”).
La saggezza della vita consiste nel saper trarre da qualsiasi avvenimento,
anche da quello più apparentemente avverso, dei benefici.
Gli uomini secondo Epitteto si dividono in due categorie: quelli che si
occupano principalmente della loro vita morale e quelli che si occupano
principalmente delle cose esteriori. I primi amano lavorare su se stessi, i
secondi lavorare sulle cose.
Il consiglio che il filosofo dà è quello di esercitarsi su ciò di cui si è più
capaci, infatti ci sono temperamenti più riflessivi e altri più attivi.
Le persone più riflessive sono però una minoranza e per lo più sono presi in
giro dagli uomini fattivi.
Di fronte a questa sciagura occorre però far di tutto per essere quello che si è
perché chi rimane fedele alla sua inclinazione riuscirà meglio di chi non lo è
e questa fedeltà genererà una letizia che anche gli altri ammireranno.
Per rimanere fedeli a se stessi occorre lottare contro l’inclinazione a cercare
di piacere agli altri o di apparire.
Il giudizio che deve accompagnare questa lotta è quello che se sei fedele a te
stesso sarai più contento che se non lo sei.
Se gli altri piacciono di più non vuol dire che tu sia meno contento di loro.
Ricordati che se l’altro ha impegnato il suo tempo per qualcosa che gli
uomini ammirano tu lo hai impegnato per essere fedele alla tua inclinazione.
Per quegli uomini che hanno un’indole riflessiva il metodo migliore per
rimanere fedele ad essa è quello di frequentare altri uomini riflessivi.
Ai riflessivi il filosofo chiede di evitare i banchetti dei non filosofi, delle
persone con inclinazioni diverse dalla propria.
Nella vita sociale la virtù più preziosa è il silenzio, il saper tacere.
Scrive: “Per lo più mantieni il silenzio oppure dì soltanto le cose necessarie
e in poche parole. Sopratutto non sparlare né esaltare gli altri (moderazione!)
e non fare confronti tra di loro perché ognuno ha la sua inclinazione e la sua
storia”.
Quando si partecipa a degli eventi pubblici la persona riflessiva non deve
perdere se stessa, ma andarci e riflettere su quello che succede.
Con gli altri mantenere sempre la propria benevolenza perché fa bene al
vivere comune. Per esempio durante i pasti, pensare agli altri e non solo a
quello che si mangia.
Non esaltare mai se stessi nelle conversazioni, perché per gli altri non è
piacevole non avere spazio.
Quando un’altra persona ti offende con le sue parole mostra la tua
contrarietà con il tuo silenzio, il rossore e l’aria scura per evitare di
accrescere l’aggressività reagendo in modo violento.
Al lavoro e nella società non assumere un ruolo al di là delle tue capacità,
perché se lo fai, non solo farai brutta figura, ma tu stesso non farai quello
che sei capace e di fare e quindi sarai più scontento.
Il filosofo non è colui che parla di filosofia ma colui che vive la propria
filosofia. Socrate ci ha mostrato questo, accettava di essere sottovalutato pur
di vivere la sua filosofia della ricerca (“Una vita senza ricerca non sarebbe
degna”).
Ultimamente uno è fedele alla sua filosofia perché così vive in armonia con
se stesso, con la propria natura.
In fondo come ha scritto Hadot, specialista di filosofia antica, Epitteto più
che un trattato di morale, intendeva insegnare come si diventa filosofi.
Quali sono i tre periodi dello stoicismo?
Quali sono i tre settori che interessano la filosofia stoica?
Cosa dà la felicità secondo gli stoici?
Quali sono i due principi del cosmo secondo gli stoici?
Cosa significano le due mani strette nell’esempio di Zenone di Cizio?
Chi è Epitteto?
Cosa significa moderazione per Epitteto?
Quali categorie di uomini esistono per Epitteto?
Perché è pericoloso cercare di piacere agli altri per Epitteto?
Perché Epitteto suggerisce di saper tacere?
Perché Epitteto invita a non assumere ruoli al di sopra delle proprie
possibilità?
Il neoplatonismo
Il neoplatonismo è l’ultima espressione della filosofia ellenistica.
La scuola neoplatonica fu fondata da Ammonio Sacca ad Alessandria
d’Egitto tra il 175 d. C. 242 d. C.
Ammonio Sacca è stato un personaggio singolare perché è stato un filosofo
autodidatta, è prima di aprire la sua scuola ad Alessandria pare facesse il
facchino, infatti Sacca vuol dire “portatore di sacchi”.
Plotino (205. D. C. – 270 d. C.), il massimo esponente della scuola, fu
discepolo di Ammonio Sacca, ne seguì l’insegnamento per un decennio.
Plotino partecipò alla spedizione dell’imperatore romano Gordiano III in
Persia per conoscere le saggezze orientali.
Finita la spedizione Plotino fondò a Roma una sua scuola.
Tra i discepoli di Plotino troviamo anche l’imperatore Gallieno e sua moglie
Salonina.
Plotino grazie all’amicizia dell’imperatore progettò addirittura di fondare
una città in Campania e di chiamarla Platonopoli, perché la voleva
strutturare intorno alle idee politiche di Platone, esposte dal filosofo ne’ La
Repubblica.
Il progetto fallì perché i consiglieri dell’imperatore lo consideravano inutile.
Di Plotino abbiamo la raccolta della sue lezioni romane fatta dal discepoli
Porfirio.
L’opera si intitola “Enneadi”, perché “ennea” vuol dire nove e infatti
nell’opera abbiamo sei capitoli con gruppi di nove lezioni ciascuno.
Plotino parte dalla constatazione che tutto ciò che vive, vive perché ha una
sua unità.
Un organismo che perde la propria unità, si disgrega e muore.
Da questa constatazione Plotino, riprendendo l’idea dell’Uno e della Diade
di Platone, ritiene che è fondato affermare che il principio di tutto sia l’Uno,
cioè una realtà indicibile che però come tutte le cose che esistono per essere
deve essere una realtà unitaria.
Quest’Uno evidentemente deve essere un principio intelligente, perché il
mondo che da Lui deriva è organizzato con intelligenza e quindi l’Uno che
ne è il principio non può che essere intelligente.
Qualsiasi entità intelligente è in grado di pensare a quello che fa, che è, è
capace di autoriflessione.
Anche l’Uno essendo un principio intelligente è capace di riflettere su se
stesso, quindi esiste un Uno e un’Intelligenza che si scosta dall’Uno per
riflettere sull’uno stesso, quindi l’Uno genera un Pensiero di Sé stesso.
L’Uno è il pensato, mentre l’Intelligenza è il pensiero pensante.
L’uno oltre a pensare Se Stesso può anche volgersi all’esterno è pensare a
quello che lo circonda.
Cosa c’è oltre l’Uno? C’è il mondo. Quindi quando l’Uno devia da Sé
Stesso riflette sul mondo e riflettendo sul mondo immette nel mondo il suo
pensiero e così lo ordina.
Come per il resto della filosofia greca anche per Plotino la materia che
costituisce il mondo è coeterna come l’Uno, il suo principio.
Per Plotino la materia del mondo è generata dall’Uno per emanazione, come
una luce che si accende nelle tenebre emana raggi intorno a sé.
L’Uno organizza la materia ponendo in essa la sua Intelligenza e questa
Intelligenza che organizza la materia di cui è composto il mondo, Plotino
come Platone la chiama Anima del mondo.
La materia è il punto in cui la luce emanata dall’Uno si incontra con il nulla
e quindi è un impasto di luce e tenebre, di essere e nulla, per questo resiste
all’azione dell’Anima del mondo perché c’è il lei il nulla che respinge la
luce, l’animazione.
Il ritorno all’unità
L’anima dell’uomo aspira all’unità, all’armonia infatti è infastidita da ciò
che disunisce, da ciò che suscita contrasto, inimicizia.
Per perseguire l’unità, a cui aspira, l’anima dell’uomo può vivere
saggiamente riconoscendo questa esigenza e allora si farà più riflessiva,
perché l’istinto tende a possedere e a controllare gli altri e a non vivere in
armonia con essi.
Un’altra modalità con cui l’anima si aiuta a vivere meglio è quella di
coltivare l’arte, perché attraverso l’arte l’anima è posta davanti all’armonia
che desidera.
Un altro modo per vivere armonicamente è quello di aspirare all’ armonia
sociale e dunque vivere tutte le virtù sociali, ad esempio la giustizia e la
generosità.
La filosofia è uno strumento per coltivare la riflessività e le virtù, quindi
aiuta la vita armonica.
Agostino (354 d. C 430 d. C.)
Agostino ha vissuto una serie di fasi.
La prima fase è quella manichea, in cui Agostino aderì al manicheismo:
La seconda fase è quella scettica, in cui il pensatore divenne scettico, dopo
aver lasciato il manicheismo.
La terza fase è quella platonica, in cui coltivò la filosofia di Plotino.
La quarta fase è quella cristiana in cui si converte al Cristianesimo.
Agostino era un retore e venne anche ingaggiato dall’imperatore
Valentiniano a corte.
Le opere più note sono.
I soliloqui (386)
Il maestro interiore (387)
Le Confessioni (l’autobiografia), scritte tra il 397 e il 401
La città di Dio, scritta tra il 413 e il 426.
Agostino aderì inizialmente la manicheismo, che era una dottrina filosofico-
religiosa fondata dal persiano Mani (216-277 d. C.), che ebbe ampia
diffusione sia in Oriente che in Occidente soprattutto nell’Africa
settentrionale da dove Agostino proveniva.
Agostino infatti visse la fase iniziale della sua vita a Tagaste attuale Tunisia.
Agostino prima fu affascinato dalla spiegazione che i manichei davano del
mondo per cui in esso ci sono due principi in lotta tra loro quella della luce e
quello delle tenebre.
I manichei identificavano il bene nella vita spirituale e il male nella vita
materiale.
Agostino abbandona il manicheismo perché non ritiene che il principio del
bene e del male si equivalgano, perché se il male fosse veramente al pari del
bene, sarebbe un nulla ma il nulla non è.
Il male è semmai una diminuzione del bene.
Il problema del male nel mondo è il problema che più tormenta Agostino
perché non gli pare possibile conciliare la Bontà divina con la presenza del
male fisico nel mondo, perché un Dio buono permette che bambini innocenti
si ammalino e muoiano?
Agostino attraversa un fase di dubbio circa la possibilità di comprendere la
condizione umana.
Agostino nello scetticismo avverte delle contraddizioni.
La prima contraddizione dello scetticismo è che per dubitare bisogna
comunque usare un criterio di verità, altrimenti non potremmo asserire che
una cosa non ci torna.
L’altra contraddizione è che non si può dubitare di esserci perché nella
misura in cui dubitiamo vuol dire che esistiamo e dunque non si può
dubitare di tutto.
Agostino non è dunque convinto neanche dallo scetticismo perché ravvede
in esso delle contraddizioni.
Grazie al vescovo Ambrogio di Milano, Agostino entra in contatto con la
filosofia di Plotino che lo affascina perché dà una risposta al problema del
male, insistendo sull’armonia generale.
Il male fisico è come una dissonanza che genera più armonia, ad esempio la
malattia può rendere più saggi o più solidali, quindi non è un negativo
assoluto, ma può essere uno strumento di bene.
Agostino approda grazie ad Ambrogio al Cristianesimo e ritiene che la fede
sia ragionevole perché è come una luce che permette alla ragione di vedere.
Agostino ha infatti coniato l’espressione “credi per capire” e “capisci per
credere”.
Per Agostino la ragione da sola non arriva a capire tutti i misteri della vita,
ad esempio il senso della sofferenza, ha bisogno della luce della fede,
tuttavia la fede ha bisogno della ragione per essere verificata.
Perché gli uomini hanno delle idee universali nel loro animo?
Le idee universali sono frutto di una illuminazione interiore.
Agostino non crede nella dottrina della reincarnazione in cui credeva
Platone, ma trasforma la dottrina della reminiscenza di Platone nella dottrina
dell’illuminazione da Dio.
L’uomo è libero di scegliere il bene e il male, può cioè scegliere tra ciò che
lo soddisfa pienamente e ciò che invece alla fin fine lo delude.
Il male morale è una parvenza di bene, gli uomini lo scelgono perché non
hanno giudicato bene e poi muovono le libertà su un falso giudizio.
Gli uomini possono aiutarsi a perseguire il bene, dal momento che da soli
sono molto altalenanti.
Il modo per perseguire il bene è quello di coltivare l’amicizia con chi opera
il bene.
L’amicizia con chi opera il bene è la Grazia.
Il tema filosofico più difficile da risolvere secondo Agostino è quello del
tempo.
Il tema del tempo è sopra le possibilità della ragione perché in definitiva per
risolverlo dovremmo essere eterni, oltre il tempo.
Il tempo ha comunque come origine qualcosa di più ampio, di eterno perché
non può derivare dal nulla.
Per ogni uomo il tempo è la misura dell’anima, perché con esso l’uomo
suddivide tra passato, presente e futuro.
Le facoltà dell’anima che temporalizzano l’esistenza sono la memoria che è
funzione del passato, l’attenzione che è la funzione del presente e l’attesa
che è la funzione del futuro.
Agostino affronta il tema della storia nella “Città di Dio” dove spiega il
motivo per cui la decadenza dell’impero romano si deve alla sua corruzione
e non al Cristianesimo.
Alcuni intellettuali pagani accusavano il Cristianesimo di aver indebolito
l’impero romano perché predicava la carità anziché le virtù guerriere.
Agostino fa un’analisi della storia e usando delle categorie bibliche mostra
come le civiltà crescano quando sono virtuose e decadano quando sono
viziose.
I romani hanno dominato il mondo perché sono stati una civiltà virtuosa,
invece i loro impero crolla perché in esso si è diffusa la corruzione.
Nella visione di Agostino questo schema è corroborato dalla Bibbia che
riporta l’idea che Dio aiuta i giusti e invece manda in rovina gli empi.
Agostino spiega che nella storia umana si confrontano la città di Dio, cioè
dei virtuosi, e la città terrena, quella dei viziosi.
Lo Stato secondo Agostino ha come scopo non quello di diventare potente,
ma quello di garantire la pace, perché la dove c’è pace è favorita la virtù, la
dove c’è guerra è favorito l’agire predatorio.

Lettura pagine 448-449


Domande di Comprensione e analisi
• Che cosa accade ad Agostino dopo che la sua anima si è separata dell’
“unità”?
• Quale tipo di amore sarebbe stato conveniente per il giovane Agostino?
• Come si rapporta il Signore all’uomo peccatore, secondo Agostino?
• Svanisce nella molteplicità, si imbestialì.
• L’amicizia
• Usa il dolore per guarire
La filosofia medievale

La filosofia medievale è dominata dal rapporto tra ragione e fede, in questa


fase della storia della filosofia, la filosofia è “ancilla theologiae”, serva delle
teologia.
La filosofia medievale è detta scolastica perché si insegnava nelle scholae, le
scuole della cattedrali o dei monasteri, poi quando nel Basso Medioevo
cominciarono a formarsi le università viene insegnata lì.
Nel Medioevo la facoltà di filosofia più nota in Europa è Parigi.
Nella filosofia medievale si distinguono quattro fasi:
• La pre-scolastica che va dal V secolo al X secolo d. C. dove la filosofia è
coltivata da intellettuali solitari, ad esempio Scoto Eriugena.
• La nascita della scolastica tra XI-XII secolo ad opera di Anselmo d’Aosta
che aprì la prima schola cattedrale.
• La fioritura della scolastica nel XIII che raggiunge il suo vertice Tommaso
d’Aquino il qual sintetizza il pensiero antico, araba e latino.
• La decadenza della scolastica nel XIV ad opera di Duns Scoto e
Guglielmo di Ockham.
Il metodo della scolastica prevedeva due essenziali:
• La lectio in il maestro leggeva e commentava l’opera di filosofo
qualificato, normalmente Platone o Aristotele.
• Le disputatio (discussioni) in cui il maestro prima di dire la sua invitava
gli allievi a mettere in discussione le tesi di un filosofo e poi alla fine il
maestro diceva il suo parere argomentato sulle tesi del filosofo esaminato.
Tra i secoli IX e XI, mentre in nel mondo latino cominciava a maturare il
pensiero scolastico abbiamo due commentatori di Aristotele nel mondo
arabo, che condizioneranno anche il pensiero latino.
Il primo noto commentatore di Aristotele del mondo arabo è Avicenna (980-
1037).
Avicenna cerca una sintesi tra la filosofia di Aristotele e il Corano.
Sull’anima Avicenna sostiene che la sua essenza sia l’incorporeità e che
dopo la morte si congiunga all’Intelletto universale che è incorporeo, quindi
torni a Ciò che le assomiglia di più.
Avicenna sostiene che l’essenza divina sia la sua esistenza, vale a dire che
Dio è colui che esiste.
Le altre realtà invece ricevono l’esistenza da Dio.
Averroè (1126-1198) era anche un medico.
Questo pensatore ha elaborato una prova dell’esistenza di Dio che la
filosofia successiva chiamerà prova teleologica o finalistica.
Tutte le cose appaiono finalizzate all’esistenza dell’uomo (le piante
producono l’aria per farlo respirare oppure sono utili per nutrirlo, così come
gli animali), il che fa pensare che il mondo sia stato creato per permettere
all’uomo di vivere e non sia dunque frutto del caso.
Averroè chiama Dio la presenza “agente” che ha disposto tutte le cose in
modo tale da permettere all’uomo di vivere e essere felice.
Averroè sostiene come Aristotele che il mondo sia eterno e concilia questa
tesi del filosofo con la Rivelazione del Corano che sostiene come la Bibbia
che il mondo sia creato da Dio dal nulla.
Creato dal nulla non significa creato dopo il nulla, perché Dio ha posto il
mondo nello stesso istante in cui si è posto, quindi dall’eternità.

Ripasso
Come spiega il male fisico Agostino?
Quale rapporto pone Agostino tra fede e ragione?
Cos’è la teoria dell’illuminazione di Agostino?
Come spiega il male morale Agostino?
Cos’è il tempo per Agostino?
Perché secondo Agostino l’impero romano è decaduto?
Qual è la funzione dello Stato per Agostino?
Qual è il rapporto tra filosofia e teologia nella filosofia medievale?
Quali sono le quattro fasi della filosofia medievale?
Qual è il metodo della scolastica?
Cosa intende per Intelletto universale Avicenna?
Quale differenza c’è tra Dio e le creature secondo Avicenna?
In cosa consiste la prova teleologica di Averroè?
Come concilia il Corano con Aristotele Averroè?

Con Anselmo d’Aosta (1033-1109) comincia la scolastica.


Il filosofo è noto per due opere:
il Monologion, il dialogo con se stesso;
il Proslogion, il dialogo con altro che pone obiezioni.
Anselmo è noto per avere elaborato la prova a priori dell’esistenza di Dio,
per cui se Dio gli uomini lo pensano come l’Essere perfetto deve esistere
perché non sarebbe perfetto dal momento che l’esistenza rientra tra le
perfezioni.
A Anselmo sono state mosse dell’obiezioni su questa prova da Gaunilone,
infatti il Proslogion è una risposta a questo critico.
La critica di Gaunilone non si può far derivare l’esistenza di una cosa dalla
sua perfezione, perché noi possiamo ad esempio avere l’idea di un’isola
perfetta ma questa poi di fatto non c’è.
A questa obiezione Anselmo risponde che il suo ragionamento vale solo per
Dio non per altre cose ritenute perfette, perché è la cosa più perfetta che
pensiamo, mentre le altre cose sono sempre comunque imperfette.
Solo Dio è la perfezione in sé.

Tommaso d’Aquino (1225-1274) è il massimo esponente della filosofia


medievale, il quale usa la filosofia per argomentare la fede.
Il metodo che lui segue è quello di Aristotele, ovvero di partire sempre
dall’esperienza e mai dalle idee, come aveva invece fatto Anselmo.
Tommaso è stato professore di filosofia all’università di Parigi.
Tommaso è noto per avere sviluppato le cinque vie per dimostrare
l’esistenza di Dio, in realtà sviluppa i ragionamenti dei filosofi precedenti.
Due vie le prende Aristotele e sono quella della Causa prima e del Motore
primo che sono l’inizio di una catena di eventi da cui si è sviluppato questo
mondo per giustificare fenomeni e movimenti.
La via della contingenza da Avicenna è la prova per cui il mondo è
contingente e ciò che è contingente non può che derivare da Ciò che è eterno
perché altrimenti deriverebbe dal nulla il che impossibile.
La prova teleologica di Averroè cioè che il mondo appare come costruito
perché ci sia la vita dell’uomo, il che porta a pensare che ci sia un Architetto
che abbia predisposta la casa per l’uomo.
La via dei gradi di perfezione più platonica per cui negli uomini vi sono
delle esigenze di giustizia, di verità, di bellezza e di bontà più grandi di
quello che gli uomini riescono a vivere nel mondo per cui si ipotizza che
queste derivino da un Essere perfetto che è Dio.

Tommaso scrive un saggio intitolato “L’unità dell’intelletto contro gli


averroisti” in cui sostiene l’impossibilità che la nostra anima sia parte di
un’Anima del mondo perché tutti possiamo osservare che i nostri pensieri
sono personali che non abbiamo pensieri portati da un elemento esterno (non
abbiamo cioè la percezione di essere terminali di un computer centrale).
Nella sua opera magna la “Summa teologica” Tommaso approfondisce il
tema della verità. Egli definisce l’esperienza della verità come “adequatio rei
et intellectus”, ovvero la corrispondenza fra le realtà e se stessi; vero è
qualcosa davanti a noi approvato pienamente dalla nostra coscienza. La
felicità consiste, una volta essersi resi conto di quello che corrisponde, di
guidare la volontà verso questo.
LaTommaso d’Aquino ha anche formulato delle tesi politiche nell’opera
dedicata al principe di Cipro, “Il governo dei principi”.
Al principe Tommaso chiede di essere sobrio di non eccedere nei vizi e di
cercare di far vivere sobriamente anche il popolo, per cui ad esempio creare
per esso dei luoghi di svago, ma anche di tenere sotto controllo
l’esagerazione del vizio.
Al principe chiede anche di edificare le città là dove l’aria è più salubre e là
dove la città è più difendibile.

La fine della scolastica


Duns Scoto (1265-1308) insegnò all’università di Oxford e poi a Parigi.
Scoto sostiene che Dio sia soggetto della Rivelazione, ma che non sia
l’oggetto della ragione.
Dio cioè si esperisce non lo si dimostra.
Duns da francescano rimarca molto il fatto che Dio si rivela più ai semplici
che ai sapienti, ai filosofi.
L’astrazione della filosofia può infatti allontanare dalla semplicità
dell’esperienza e complicare il rapporto con Dio.
Guglielmo di Ockham (1280-1349) anche lui insegnò ad Oxford.
Ockham ritiene che le riflessioni filosofiche su Dio siano inutili perché
portano solo a discussioni irrilevanti per la fede.
Per Ockham la conoscenza di Dio supera le possibilità dell’uomo e dunque
la mente umana quando indaga su Dio compie molte imprecisioni.
Ockham nella discussione sugli universali, ad esempio l’umanità, ritiene che
non siano entità reali, ma solo convezioni della nostra lingua.
Su questa tesi invece i tomisti, ovvero i seguaci di Tommaso d’Aquino,
hanno invece l’idea che gli universali siano schemi della nostra mente
permanenti e dunque siano sì convenzioni linguistiche, ma anche prodotti
inevitabili della mente umana.
La tesi di Ockham è definita nominalistica, quella tomista realista.
Gli storici della filosofia chiamano il modo di procedere di Ockham “il
rasoio di Ockham” perché Ockham cerca di eliminare tutti i concetti che
giudica inutili per la conoscenza, che per lui sono tutti quelli che non
derivano direttamente dall’esperienza.

Cosa significa Monologion?


Cosa risponde Anselmo all’obiezione di Gaunilone?
In cosa consiste la via della contingenza elaborata da Avicenna e ripresa da
Tommaso?
Perché secondo Tommaso noi non siamo parte di un’Anima del mondo?
Come definisce l’esperienza della verità Tommaso?
Cosa chiede al principe di Cipro Tommaso?
Cosa pensa di Dio Duns Scoto?
Cosa pensa della conoscenza filosofica di Dio Ockham?
Cosa sono gli universali per Ockam e cosa sono per i tomisti?
Cos’è il “rasoio di Ockam”?

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