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Si rifletta sul concetto di letteratura. Si cerchi di darne una definizione.

Se ricerchiamo sul dizionario la parola «Letteratura», la definizione che ci viene data


è “L'insieme delle opere variamente fondate sui valori della parola e affidate alla
scrittura, pertinenti a una cultura o civiltà, a un'epoca o a un genere”, particolare
importanza assume a mio avviso la frase “variamente fondate sui valori della
parola”, infatti se è vero che i primi testi letterari in volgare in Italia compaiono solo
all’inizio del Duecento è altrettanto vero che essi non hanno il vuoto alle spalle ma
scaturiscono da un terreno ricchissimo di esperienze e modelli culturali, come ad
esempio la tradizione della cultura classica antica, di cui il Medio Evo aveva
conservato la memoria, o il patrimonio della cultura medievale espressa in latino ed
elaborata tra il VI ed il XII secolo, o ancora la più recente tradizione letteraria
francese che aveva consacrato l’uso delle lingue volgari.
Passando ad una valutazione strettamente “personale”, ritengo la letteratura una
sorta di forma d’arte e in quanto tale non può essere definita da un individuo o dalla
percezione del singolo, ma allo stesso tempo il singolo individuo è quello che da’
voce alla letteratura, leggendo un libro, una poesia o un sonetto, e lasciandosi
trasportare dall’autore nel mondo che ha immaginato e costruito.
Ecco, forse è proprio questo quello che per me rappresenta meglio la letteratura:
stare da soli ma allo stesso tempo in mezzo agli altri oltre i confini dello spazio e del
tempo.

Francia e Spagna si spartiscono il Regno di Napoli: Il trattato di Granada /


Machiavelli, Il Principe
Il trattato di Granada fu stipulato in segreto tra la Corona d'Aragona ed il Regno di
Francia nel 1500, per la spartizione del Regno di Napoli.
L’evento può essere collocato all’interno delle “Guerre d’Italia” tra Luigi XII,
successore di Carlo VIII, in quanto erede della Casa d'Angiò e Ferdinando il Cattolico,
come discendente di Alfonso il Magnanino.
Ed era stato proprio Carlo VIII nel febbraio del 1494 ad occupare Napoli e ad essere
incoronato re fino al maggio successivo quando il popolo e le armate napoletane
sotto le insegne aragonesi del giovane re Ferdinando II, riuscirono a cacciare i
francesi dal Regno.
Nicolò Machiavelli fa risalire l’inizio della catastrofe italiana alla discesa di Carlo VIII
nel 1494, infatti molto spesso uno dei temi centrali e ricorrenti nelle opere
machiavelliane è proprio il controllo del Mezzogiorno d’Italia, che si era rivelato
spesso politicamente assai instabile.
L’esempio napoletano spicca fin dal cap. I de “Il Principe”, dove si chiarisce la natura
dei principati misti definendoli «membri aggiunti allo stato ereditario del principe
che li acquista come è el regno di Napoli al re di Spagna».
Riferimento diretto al trattato segreto di Granada dell’11 novembre 1500, con il
quale Luigi XII e Ferdinando il Cattolico si divisero il Regno di Napoli, sottraendolo a
Federico I d’Aragona, e che Machiavelli considerò un grave errore politico del Re di
Francia, il quale, per il desiderio di impossessarsi del Regno di Napoli, decise di
dividerlo con il Re di Spagna.
L’accordo infatti non durò che pochi mesi e nel dicembre del 1503 la vittoria del
capitano Gonzalo Fernández de Córdoba sul Garigliano mise fine all’influenza
francese nel Mezzogiorno.
Machiavelli analizzò le politiche francesi tese alla conquista del Regno di Napoli
come disegno unitario per un principato misto, che egli ritenne non praticabile,
inoltre valutò come clamorosamente maldestri (Capitolo 3 de “Il Principe”) i tentativi
di conquista posti in atto sia da Carlo VIII prima che da Luigi XII successivamente.
Ma la conquista del Regno di Napoli diventò strategica anche per le mire
espansionistiche di Cesare Borgia, che approfittò della guerra in atto per espandere
la sua influenza anche nel centro dell’Italia, in particolare nella Toscana, divenendo
quindi ago della bilancia, perché sia Spagnoli che Francesi furono costretti a cercare
la sua amicizia.
In definitiva quanto successe prima e dopo il trattato di Granada diede lo spunto a
Machiavelli per trattare temi politici e di guerra che lo avevano visto anche parte
attiva in quanto lo stesso Machiavelli aveva assistito al trattato franco-spagnolo
durante la prima legazione in Francia.

Svolgere una breve ricerca sulla figura del Chierico nel Medioevo
La Chiesa era l’unica istituzione culturale nei primi secoli del Medio Evo e quindi la
figura dell’intellettuale, cioè colui che si occupava della produzione e della diffusione
della cultura, spesso si identificava con quella dell’ecclesiastico, del Chierico (da
“clericus”). La lingua che però veniva usata era esclusivamente il latino, per cui, dato
che la maggior parte della popolazione, compresa l’aristocrazia feudale ed anche i
sovrani, non sapeva né leggere né scrivere, la cultura era patrimonio di una élite
restrittissima e la sua circolazione era estremamente limitata, sostanzialmente ci si
rivolgeva ad altri chierici.
Dopo il Mille i classici chierici vennero affiancati da altre figure di intellettuali che,
per così dire, vivevano ai margini delle istituzioni, in condizioni di precarietà ed
inferiorità, i cosiddetti chierici vaganti (“clerici vagantes”).
Erano religiosi che non avevano la cura di una parrocchia, frati fuggiaschi dai propri
conventi o studenti che non avevano mai terminato i propri studi presso le
università. Essi conducevano una vita vagabonda e irregolare, potremmo definirli dei
“bohémiens”, che vivevano intrattenendo con le loro produzioni letterarie un
pubblico di signori ed ecclesiastici. Potremmo quasi paragonarli ai giullari che, nelle
piazze o nelle corti signorili, improvvisavano veri e propri spettacoli. I clerici
vagantes continuarono a scrivere e a esprimersi in latino, nella loro condizione di
emarginati, insorsero contro ogni tradizione e istituzione e usarono i versi per
vendicarsi della società che li trascurava.
Da questo forte desiderio di vendetta nacquero le tematiche tipiche della
produzione dei clerici vagantes, l’amore fisico, la vita gaudente, la bettola, il gioco, il
vino, fino ad arrivare spesso all’osceno.
Questo spirito portato avanti dai “vagantes” rappresenta certamente un aspetto
marginale della produzione letteraria europea, ma è comunque importante perché
ritornò continuamente come opposizione alla cultura ufficiale, nelle forme e nelle
manifestazioni più varie.

In cosa risiede la differenza tra volgarizzamento e traduzione?


Si definiscono volgarizzamenti le traduzioni da una lingua al volgare (definito
“verticale”), o spesso anche tra diverse forme di volgari (definito “orizzontale”),
delle quali si hanno testimonianze nel periodo che va dal Duecento al Quattrocento.
Venivano tradotte soprattutto la lingua latina e quella francese. La prima per
un’esigenza didattica, dato che il latino era una lingua parlata e scritta solo dagli
ecclesiastici e pertanto ne serviva un’altra di più facile consultazione, soprattutto
con l’affermarsi di una nuova classe media.
La seconda, il francese, per un’esigenza dettata dall’attualità che riguardò i primi
romanzi epico-amorosi.
Si può parlare di volgarizzamento perché al momento di queste traduzioni le due
lingue ancora coesistevano; mentre, per definizione, una vera e propria traduzione
esiste quando una delle due lingue non fa più parte del dominio linguistico di un
popolo (come ad esempio dal latino all’italiano dei giorni nostri).
Inoltre, mentre per il volgarizzamento, specialmente in età medioevale, il confine tra
volgarizzamento e opera originale è molto labile e sono rare le traduzioni fedeli al
testo di partenza, la traduzione è generalmente invece molto fedele al testo di
partenza per il quale si nutre una sorta di maggiore rispetto.

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