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La Certosa di Vigodarzere, ex monastero certosino, si trova nei pressi di un’ansa del fiume

Brenta, vicino al centro abitato di Vigodarzere, comune della provincia di Padova, in Veneto.

Origini
Un documento religioso permette di fissare al 1534 la data d’inizio della costruzione della
Certosa di Vigodarzere, rifondazione della Certosa di Padova, quattrocentesco edificio
monastico che si trovava nei pressi dell'attuale viale Codalunga, lungo le mura di Padova,
costruito per volontà del Vescovo di Padova Pietro Donato. Per necessità militari legate alla
guerra contro la Lega di Cambrai e per non opporre ostacoli alla difesa, nel 1509 la Repubblica
di Venezia ordinò la “spianata” di tutti i grandi edifici posti vicini alle mura di Padova, costruite
appositamente dai veneziani per difendersi dalle terribili bombarde di Massimiliano d’Austria.
Venne così demolita la Certosa (di essa ancor oggi rimane nel sito soltanto una colonna) le cui
pietre furono utilizzate per la costruzione delle stesse mura difensive.
Al termine dell’ondata bellica, l'ordine certosino decise la costruzione di un nuovo monastero,
ma in un luogo più appartato e meditativo. Venne naturale la scelta lungo le rive del Brenta,
sede facilmente raggiungibile in barca da Venezia, sui terreni ereditati dall'ordine dal Vescovo di
Padova.
I lavori iniziarono nel 1534, guidati dall'architetto Andrea Moroni; dopo la morte del Moroni
(1560), proseguirono per circa trent'anni, guidati da Andrea Da Valle.
I certosini entrarono nel nuovo cenobio nel 1554, anche se i lavori non erano ancora ultimati.
Nel 1623 si ha notizia che la Certosa è completa e funzionante.
La Certosa di Vigodarzere non ebbe mai una grossa celebrità e condusse una vita all’insegna
della povertà. Essendo una piccola comunità religiosa, con appena solo cinque monaci, la
Repubblica di Venezia, nel 1768, decise di sopprimerla ed i suoi beni furono incamerati dalla
Serenissima. I certosini, cacciati, dovettero rifugiarsi presso le certose di Venezia e Treviso,
entrambe oggi completamente scomparse.

Fu mai compiuta la Certosa?


Risulterebbe di sì da un censimento dell'Ordine Certosino compreso nella monumentale
monografia edita a Parkminster nel 1916. Però, un attento esame della pianta disegnata nel
1792 dal certosino Benedetto Fiandrini monachus a Bononia et Academicus Clementinus,
permette
di constatare la sua piena concordanza con l'altra pianta pervenutaci, quella disegnata
dall’architetto Giorgio Fossati 32 anni prima (data antecedente alla soppressione del 1768,
relativa cioè ad un periodo di consacrazione e di officiatura). In entrambe le piante viene usata
una doppia designazione delle celle monacali, distinte in presentemente fabbricate e in disegnate
dall' Autore ma non per anche edificate.
Dallo studio di questi due disegni e grazie ai rilievi svolti nel 1977 dagli architetti V. Camporese
e L. Salandin e nel 1983 dal geometra E. Bressan, si evince che le celle disegnate dall' Autore ma
non per anche edificate ed i lati meridionale e occidentale del Chiostro maggiore non furono mai
eretti.
Da monastero certosino a dimora aristocratica
Nel 1770 l’intero complesso monumentale, spoglio di tutti beni, fu acquistato dal marchese
Lambro Maruzzi, veneziano di religione ortodossa, il quale, in un primo momento, fu tentato
di abbatterlo.
Nel 1780, dopo 10 anni di abbandono, Antonio De Zigno diventò il nuovo proprietario; egli
trasformò l’edificio principale in residenza di campagna con fattoria e magazzini agricoli (Villa
de Zigno – La Certosa), intervenendo con mano pesante sulle preesistenti architetture,
mutilandole e stravolgendole.
Molti documenti ci permettono di comprendere quali trasformazioni subì la Certosa nel suo
passaggio da luogo di culto a residenza di villeggiatura, a cui si devono la maggior parte delle
modifiche riscontrabili tutt’oggi: decisive per il confronto risultano le già citate piante del Fossati
e del Fiandrini e i rilievi fatti nel 1977 dagli architetti V. Camporese e L. Salandin e
successivamente, nel 1983, dal geometra E. Bressan. In linea generale, le differenze più vistose
tra i disegni e lo stato attuale possono essere così riassunte:
- trasformazione della chiesa dedicata ai Santi Girolamo e Bernardo, progettata da Andrea
Moroni: venne ridotta di un terzo rispetto alla sua grandezza originale ed utilizzata come tomba
di famiglia dei De Zigno; allo stato attuale la chiesa ha intatta solo la facciata, sono invece
scomparse la cupola ottagona, l'abside, il campanile e le sei cappelle;
- demolizione di refettorio, barberia e di due ali del chiostro a loro afferente;
- incorporazione della prima delle cinque celle edificate (quella del padre Priore, con giardino)
nell' edificio ottocentesco dei De Zigno; eliminazione della quinta cella;
- trasformazione del cortile del forno nel lato nord-ovest in strutture ad uso domestico;
- eliminazione dei pettini delle celle, che ospitano logge coperte e servizi;
- eliminazione di due lati del chiostro d’ingresso e inglobamento del terzo in edifici rurali;
- altri mutamenti, riguardanti la foresteria, la corte rustica e le scale dello scantinato;
- la sola parte completa e finora intatta, anche se su di essa sono pesanti i segni del tempo,
resta il quadriportico corinzio antistante la chiesa.

Dalla Prima guerra mondiale ad oggi


Nel 1915-1918 la Certosa venne in gran parte usata come caserma e come ospedale militare:
sul basamento del chiostro maggiore, in vari punti, si possono ritrovare scritte e disegni dei
soldati.
Durante il fascismo i proprietari concessero la Certosa come colonia fluviale per i più
bisognosi.
Nel 1940-1945 la Certosa subì una nuova occupazione militare e venne usata come
polveriera.
Nel dopoguerra numerose famiglie di senza tetto, a seguito dei bombardamenti di Padova,
trovarono una sistemazione provvisoria nelle celle dei monaci
Dal 1900 l'intero complesso è di proprietà dei conti Passi, un'antica famiglia i cui antenati
amministrarono Bergamo e furono sudditi fedeli della Serenissima, che ereditarono la proprietà
dagli Zigno, senza trovare le risorse per recuperarne la funzionalità di dimora di campagna o
adattarla ad altri usi.
Negli ultimi anni, la Certosa fu usata esclusivamente come cantina e come azienda agricola e
molte sono le parti in forte degrado o abbandonate.
Nonostante ciò, la struttura rimane notevole dal punto di vista dell’architettura monastica
cinquecentesca, come pregevole è la collocazione ambientale ancor oggi parzialmente
conservata, dato che i dintorni sono protetti dal regolamento del Parco del Brenta. L'area,
infatti, si presterebbe ad ospitare un centro di cultura veneta, con notevoli potenzialità
commerciali, vista l'affluenza di visitatori che dimostrano di apprezzare l'unicità del manufatto
architettonico e il contesto in cui sorge. Purtroppo, i timidi tentativi delle istituzioni locali di
trovare una destinazione e i finanziamenti necessari per restituire la Certosa ai cittadini, non
hanno sortito altro effetto che qualche vago dibattito senza seguito.

Descrizione
La Certosa di Vigodarzere venne progettata su imitazione del modello del monastero fondato
per la prima volta da san Bruno di Colonia e da sei compagni sulle Alpi francesi.
Gli ambienti principali che la compongono sono:
La chiesa
Come già detto in precedenza, in alcuni disegni la chiesa appare molto più ricca e maestosa di
come la possiamo vedere noi oggi, e tale descrizione coincide con le planimetrie eseguite dal
Fiandrini: possiamo evincere quindi che essa sia stata pesantemente trasformata nell’Ottocento,
e tale motivazione risiede nel fatto che, per una residenza estiva di villeggiatura, fosse sufficiente
una piccola cappella gentilizia piuttosto che una chiesa di così ampio respiro. Sappiamo già che
la chiesa era probabilmente lunga il doppio ed esaminando il lato sud-est si nota come la
sostanziale povertà della facciata sia in contrasto con la magnificenza del fronte principale; oltre
a ciò, i mattoni, non immorsati con le strutture laterali, forniscono una chiara prova del fatto che
la parete sia una semplice struttura di tamponamento aggiunta più tardi.
Ci sono altre numerose prove del fatto che la navata sia stata bruscamente interrotta: ai lati dei
finestroni si intravedono due elementi monchi in pietra tenera, posti alla stessa quota dei
capitelli dei pilastri d’angolo dell’interno; e ancora gli stessi mattoni della facciata furono tagliati
in maniera molto sbrigativa in corrispondenza dei pilastri angolari. Il lato nord-est però presenta
gli elementi più rilevanti delle “mutilazioni” avvenute sulla fabbrica: è molto chiaro, infatti, il
segno dell’imposta delle prime due cappelle e dell’arco, parte integrante dell’atrio, oggi
tamponato. Allo stesso modo di prima, le modanature sono interrotte in maniera frettolosa,
mentre i mattoni dei pilastri in cui si innestavano i muri ortogonali delle cappelle laterali sono
visibilmente sbrecciati.
All’esterno della tessitura muraria, ad un’altezza maggiore rispetto a quella delle precedenti
absidi laterali ormai demolite, si riscontra un corso di mattoni sporgente, che all’epoca veniva
utilizzato di frequente come scossalina per proteggere le strutture più basse.
Non si hanno fonti certe sulla presenza del grande campanile della vista a volo d’uccello del
XVII secolo, ma è impensabile pensare che un complesso così maestoso fosse dotato solamente
della piccola cella campanaria che è giunta fino a noi: in aggiunta a ciò, a destra della torretta,
sull’ordito di mattoni della facciata esterna della navata, sono stati rilevati i segni dello scorrere
delle funi.
Fortunatamente, per conferire valore alle ipotesi desunte dalle mappe del Fiandrini, e quindi a
confermare la veridicità delle stesse, il Lions Club di Padova fece eseguire nel 1983 dei carotaggi
nel terreno, e ciò portò alla luce le fondazioni di gran parte dei corpi demoliti, permettendo di
ricostruire il perimetro originario della Certosa: esso corrisponde, sotto l’aspetto planimetrico,
alle mappe di fine Settecento. Ovviamente, la limitata disponibilità di budget, la presenza di
piante ad alto fusto e la volontà di non interferire con gli spazi di manovra dei macchinari
agricoli dell’azienda comportarono il fatto che i campionamenti vennero fatti solamente in
alcuni punti strategici del complesso: ma i riscontri ottenuti permettono di fare ipotesi
abbastanza veritiere sulla configurazione originaria della Certosa.
Il refettorio
Un monastero grande e solenne come questo doveva per forza avere un adeguato refettorio,
luogo sia di sostentamento fisico che di preghiera e benedizione dei beni ricevuti dalla Divina
Provvidenza. Oggi andato perduto, si trovava, come specificato nella pianta del Fiandrini, nello
spazio scoperto posto tra la chiesa e il chiostro maggiore. Pure qui i campioni del terreno
hanno portato alla luce le fondazioni dell’edificio, poiché all’epoca demolire le fondazioni era un
procedimento molto complesso e senza dubbio dispendioso. Sono stati rinvenuti inoltre i resti
dei muri ortogonali relativi alla separazione del refettorio dalla barberia, e della galleria coperta
che univa questi ambienti alla foresteria. Il refettorio, sebbene ben testimoniato dalle
fondazioni, non ha lasciato tracce evidenti lungo le murature residue delle testate: solamente sul
lato esterno dell’ultimo fornice verso la chiesa si scorge una scalpellatura di mattoni che indica
evidentemente la struttura muraria mancante.
La corte rustica, aggregata alla cucina, e le tre arcate che la compongono, sono sicuramente
state realizzate in epoca successiva alla demolizione del refettorio, dato che sulle piante del
Fiandrini non viene segnalato nulla, così come i mattoni dei pilastri sotto l’intonaco risultano
tagliati per lasciare spazio a queste arcate.
Il chiostro del refettorio è uno degli elementi della Certosa che solleva più dubbi, essendo
completo solamente su due lati; essi sono costruiti in cotto lavorato finemente con colonne
doriche. Le ipotesi iniziali propendevano per l’idea che le piante del Settecento fossero inesatte
e che il restante porticato non fosse mai stato edificato. In realtà, analizzando in maniera più
approfondita il manufatto, i mattoni di base delle semicolonne presentano un lato esterno
totalmente tagliato, ed è indubbio che, data la cura di particolari e dettagli dell’epoca, non
possa trattarsi di un errore dei muratori.
In più, a ridosso del portico del chiostro maggiore e sull’ala mancante parallela al muro del
refettorio, è stata trovata, ad una quota più bassa di quella che avrebbe dovuto essere di
calpestio, un costipamento continuo di 20cm, che doveva anticamente preservare il pavimento
del chiostro dall’umidità di risalita del terreno. Gli assaggi del 1983 portarono alla luce i resti del
colonnato, rendendo verificate le deduzioni basate sulla lettura del manufatto: refettorio e
chiostro erano quindi presenti all’epoca della redazione delle mappe del Fossati, cioè nel 1760.
I de Zigno quindi devono aver deciso di demolire, forse per vetustà o per onerosità degli
interventi relativi a quelle porzioni, questi ambienti, e devono aver deciso di tamponare con
pochi interventi, anche imprecisi, i punti in cui le “ferite” erano più evidenti, aggiungendovi le
semicolonne in corrispondenza delle strutture demolite.
Il chiostro fu poi utilizzato come frutteto e vigneto fino a diventare il prato di oggi: sicuramente
nuovi scavi potrebbero aiutarci a comprendere meglio l’attestazione delle preesistenze.
La cella del priore
Tra tutti gli interventi voluti dai de Zigno, più o meno discutibili, la parte della Certosa che pagò
di più il prezzo della sregolatezza dei proprietari è senza dubbio la cella del priore e del suo
spazio di pertinenza, decisa come nucleo principale della residenza estiva della nobile famiglia.
Della costruzione originaria, rimane ben poco: possiamo dire con certezza che il muro di
tamponamento a nord-est e metà del fronte opposto sono quelli della vecchia cella. Per quanto
riguarda gli interni, si è conservata la scala di accesso al piano superiore e la collocazione del
gabinetto del priore.
Essendo questo lato della tenuta dedicato alla residenza dei de Zigno, il piano terra fu
trasformato per accogliere i salotti, mentre al piano superiore si trovavano le camere da letto:
cucina, sala da pranzo e aree dedicate ai vari servizi erano posti nel corpo centrale a lato del
lungo salone d’ingresso.
Le celle dei monaci furono, invece, utilizzate come stanze per gli ospiti, dopo aver
adeguatamente spostato l’ingresso principale al complesso dal lato nord (la corte rustica
fungeva infatti da spazio filtro prima di raggiungere le celle dei cenobiti) a quello sud, verso il
fiume.
La corte familiare
Altre modifiche importanti avvennero nella corte familiare che, all’epoca dei monaci, veniva
utilizzata per attività inerenti alla comunità, come il forno, la lavanderia e i magazzini, prima
collocati in una costruzione rurale accostata alle mura di cinta che separavano la Certosa dai
campi. Tale edificio era il proseguimento di quello ancora esistente a nord-ovest del primo
chiostro, con il quale condivideva la medesima dimensione planivolumetrica e portico antistante
per terminare a ridosso della cella del priore: tutto ciò è oggi ben evidenziato dalla sagoma
sulla facciata dell’edificio demolito e dall’arco tamponato che collegava i portici. Gli scavi hanno
scoperto anche qui le fondazioni dei setti divisori del rustico distrutto. Sicuramente non è
immediato capire come funzionasse questa parte, anche se molto vivace, del monastero: le
arcate, dissimili per dimensione, della lunga sala interna devono essere state aperte e non
murate come ci appaiono oggi, deduzione provata dai saggi effettuati sulla muratura di
tamponamento e sulle soluzioni di recupero dei materiali dettati dalla necessità di economia
dell’intervento. Quest’opera probabilmente fu eseguita per motivi statici date le diverse luci delle
arcate che componevano la galleria e la forte spinta esercitata dalla volta interna, ribassata con i
mattoni posti a spina di pesce, completamente priva di tiranti. Furono, di conseguenza,
aggiunte la porta di accesso e le finestre laterali per garantire la corretta illuminazione del
nuovo ambiente coperto ottenuto: la grandezza di queste aperture interrompe tuttavia il fregio
in cotto e delle volte in mattoni sul lato interno. In epoca ottocentesca la forometria subì altre
modifiche sia in numero che in dimensione: se dall’esterno essa sembra disarmonica,
dall’interno essa è totalmente equilibrata, privilegiando la vista interna piuttosto che l’esterno
che non ha alcuna funzione di rappresentanza.
Chiostro d’ingresso ingresso
Ultimo per questa analisi, ma non meno importante, è il chiostro d’ingresso, già trasformato da
molto tempo in corte rurale. Esso rappresentava, inizialmente, la prima zona filtro della Certosa,
porticata su tutti i lati con 5 e 7 fornici: ora le mutilazioni avvenute nel tempo hanno fatto
giungere fino a noi solamente il portico ad ovest.

Le modifiche e le gravi mutilazioni apportate dai De Zigno impediscono di avere oggi le


adeguate informazioni sullo stato originario della fabbrica. È indubbio che gli interventi di scavo
effettuati siano stati significativi e possono essere una linea di intervento giusta per accrescere la
conoscenza sull’antica certosa, conoscenza necessaria per la produzione di progetti adatti al
suo recupero e al suo riutilizzo.

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