Sei sulla pagina 1di 20

BAMBOLE/BIBELOT, TRA SIMULACRO E FETICCIO

Bambole: dispositivi testuali che vengono utilizzati dagli artisti come mezzi rivoluzionari per
criticare l’apparato politico della propria epoca. Ad Atene c’è il primo bambolotto ligneo
storicamente conosciuto snodabile.

SIMULACRO
dal latino simulacrum indica una figura/statua (una raffigurazione fisica), in vari materiali, che
è simile all'umano. Queste statue possono raffigurare anche ciò che è sopra all’umano, le
divinità cristiane e pagane.
Nella tecnica, riproduce la parte esterna di una macchina, è un simulacro: i trenini, le
macchinine per i bambini.

SIMULACRO 1: VOLTO SANTO DI LUCCA


La città di Lucca si raffigura nel Cristo Incoronato, una scultura lignea con gli occhi di pasta
vitrea, il cui autore è sconosciuto, risalente alla prima metà dell’XI secolo. Le dimensioni
sono importanti, 2.47mx2.78m. E’ una grandissima croce (a mo’ di reliquia) che si compone
di 3 pezzi di legno, due per le braccia e uno per il busto e la testa. La leggenda vuole che la
scultura restituisca un'immagine acheropita: non fatta da mano umana, come se si fosse
materializzata divinamente. Fin dal Medioevo è stata venerata in tutta Europa. Si trova nel
Tempio Rinascimentale nella Cattedrale di S. Martino a Lucca. Le braccia sono molto
allungate, la testa fortemente in rilievo è inclinata in avanti. Le proporzioni sono particolari: il
Cristo guarda verso il basso, (in origine era collocato sopra ad un altare). Questo tipo di
croce appartiene alla categoria del Christus Triumphans, ovvero Gesù ancora vivo sulla
croce che è trionfante in vista della propria morte. La corona mette l’accento sulla regalità
del Cristo, sulla consapevolezza di essere il salvatore. Il fruitore non mette a fuoco il dolore
che sta vivendo, ma la sua regalità. E’ il redentore. Non è nudo e cadente, bensì dritto sulla
croce e coperto da una tunica con maniche, legata in vita da una cinta dorata i cui lembi
cadono simmetrici. Il Cristo è ordinato (il dolore che provoca la sofferenza causa la
scomposizione del corpo), i piedi sono simmetrici, le pieghe della tunica sono ampie e poco
realistiche. Non c’è una resa anatomica, il corpo risulta schiacciato, appiattito. Il capo è
molto dettagliato, sono presenti molti dettagli somatici, funzionali a colpire il fruitore. Tutta
l’attenzione è sul volto, che riprende le caratteristiche tipiche della visione orientale del
Cristo: i capelli sono lunghi con ciocche simmetriche che cadono sulle spalle, la bocca è
contornata da baffi e barba folta, che secondo la tradizione orientale si divide in due parti e
accentua l’ovalità del viso. L’espressività è molto pronunciata grazie agli occhi rotondi e vitrei
(pasta vitrea bianca per le cornee e vetri blu scuro per le pupille). Gli occhi sembrano
seguire costantemente lo sguardo dell’osservatore. E’ un gioco ottico leonardesco. E’ una
tecnica che si ottiene tramite lo spostamento dell’asse degli occhi, ottenendo un lieve
strabismo. Secondo la leggenda, data la capacità di catalizzare gli osservatori, questa statua
venne scolpita da un discepolo di Gesù che non realizzò il volto, che venne completato
durante la notte da mano divina. Il volto rimase nascosto in Palestina per secoli, fino al 1742,
quando venne messo su una nave senza equipaggio così che la Provvidenza potesse
portarlo nel luogo più sicuro possibile. La nave, arrivata nel porto di Luni, approda solo
grazie all’arrivo di un vescovo di Lucca, che viene avvertito dell’arrivo in sogno. Grazie al
diacono la croce viene caricata su un carro trainato da buoi che, lasciati liberi, arrivano a
Lucca. Agli abitanti di Luni viene lasciata un’ampolla con il sangue di Cristo. Arrivata a
Lucca, la statua viene lasciata in una chiesa per la notte, da cui scompare, per venire poi
ritrovata nella Cattedrale dov’è tutt’ora.
Ogni anno, il 13 settembre si tiene una processione da Luni a Lucca in cui si rende omaggio
al Volto Santo. Il 4 maggio, in onore della Croce, il Crocifisso viene addobbato con gioielli -
così come arrivò - che vengono conservati per il resto dell’anno.

SIMULACRO 2: VENERE CALLIPIGIA


L’autore è sconosciuto. E’ conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Risale
al II sec. d.C. E’ una Venere di 1.60m. E’ celebre per come è stata scolpita. E’ uno tra gli
esempi maggiormente rappresentativi dell’ideale di bellezza femminile classica. Con garbo
sposta la tunica per mostrare le sue forme. Ha il busto torso, è in movimento, c’è pathos, si
sta voltando all’indietro guardando verso il basso; non è pudica, guarda ciò che l’osservatore
stesso guarda, le natiche. La scultura è una copia di epoca romana, l’origine è alessandrina.
La copia viene scoperta a Roma nei pressi di una Domus Aurea, nel 1500 circa viene
acquistata dalla famiglia Farnese che la conserva nella Sala dei Filosofi a palazzo. Viene
censurata dalla Roma Papale e viene trasferita in una stanza in cui non può essere vista da
nessuno. Quando ciò che apparteneva ai Farnese passò ai Borbone, la statua viene
trasferita a Napoli dal 1700 ad oggi.

SIMULACRO 3: RITO INDIANO


L’adorazione delle divinità è diffusa in tutto il mondo. Il rito indiano puja deriva dal sanscrito
(reverenza): atto di adorazione nei confronti di una forma della divinità che può esprimersi
attraverso offerte, culti, pellegrinaggi, cerimonie e riti. Siamo in India, nello stato federale del
Pradesh, durante i monsoni, il fiume Shipra ha esondato e i fedeli offrono cibo alla divinità.
E’ un rito praticato sia nella religione buddista che in quella induista, le sacre scritture
induiste e buddiste contengono istruzioni precise sui riti. I rituali sono molteplici come le
divinità del Pantheon induista.

FETICCIO
Termine portoghese che vuol dire “artificiale - fabbricato - costruito”, a sua volte derivato dal
latino “facticius” = “fabbricato, costruito”. Il feticcio è di opera umana ed è finto. Indica un
oggetto inanimato (bambole) al quale viene attribuito un potere perché su quell’oggetto
viene investito un significato che fa sì che questo diventi un simbolo che può riguardare degli
individui. La parola fu adottata nel XVI sec. d.C. dai navigatori portoghesi per indicare gli
idoli e gli amuleti (statuine) che comparivano nei rituali di culto dei popoli africani e indigeni,
poi fu estesa alle reliquie sacre della devozione del popolo e agli oggetti ritenuti immagine di
una forza sovrumana.
In psicanalisi sono oggetti che, attraverso un meccanismo di simbolizzazione, assumono un
un valore sessuale, sono sostituti dell’oggetto d’amore ⇢ feticismo.
Possiamo vedere questo fenomeno della sostituzione anche nei bambini, quando le figure di
riferimento sono assenti, i bambini si legano a copertine, ciuccio e bambole diventano feticci
rispetto all’oggetto del desiderio che manca (mamma).
Ci sono delle figure fondamentali: a partire dal ‘700 ci furono viaggi importanti, con la
conseguente scoperta di nuove terre e nuove culture.
Il feticcio
La prima trattazione sistematica della nozione di feticcio si deve a Charles de Brosses
(1760), il quale ravvisava nel feticismo il nucleo originario, primordiale, di ogni forma
religiosa. Il culto rivolto a oggetti materiali, in legno o in pietra, rappresentava, nella sua
prospettiva, l'esito di un pensiero primitivo non ancora in grado di procedere per astrazioni e
portato quindi a fissarsi su oggetti visibili. In essi l'uomo primitivo concentrava i timori verso
fenomeni imprevedibili e incontrollabili della natura, e ne faceva il proprio oggetto di culto
superstizioso.
La parola feticismo (introdotta nel 1887 da A. Binet) finiva per assumere significati disparati,
contraddittori, tanto da causare confusione nell'uso del termine da parte di etnologi e studiosi
di religioni. Fu M. Mauss a porre fine alla disputa con un articolo del 1908, in cui affermava
che l'oggetto impiegato come feticcio non è mai un oggetto qualsiasi: esso non viene scelto
arbitrariamente, ma la sua specifica funzione simbolica è definita dal codice magico o
religioso di cui fa parte. L'oggetto-feticcio non ha nulla di straordinario in sé, purché lo si
riconduca al contesto sociale e simbolico all'interno del quale assume un proprio senso e
una propria funzione. Il feticismo, pertanto, non designa più una fase primordiale della
religione, né una sua particolare dimensione, piuttosto deve essere considerato un 'immenso
malinteso', un 'errore di traduzione' di cui sbarazzarsi (Mauss 1969).
Caduto l'interesse per il feticismo in quanto sistema definito di credenze e atti cultuali, è
rimasta l'esigenza per gli etnologi di affrontare analiticamente i vari casi di oggetti sacri,
pratiche e comportamenti - riscontrabili in quasi tutte le culture - che hanno a che fare con
immagini e simboli materiali. In numerose culture anche gli spiriti, le forze invisibili, gli dei,
sono concepiti come aventi un corpo, un supporto materiale che acquista un valore
simbolico specifico. Un'analisi in termini meramente simbolici: il 'dio-oggetto' (Augé 1988).
La materialità del feticcio reca in sé l'accezione di 'cosa fabbricata'.

Nell'Ottocento, mentre si stava sviluppando nell'etnologia lo studio sul feticismo come forma
di religione primitiva - riconoscendolo soltanto presso i popoli più lontani - altri autori
cominciavano a elaborare un diverso modo di intendere il concetto, secondo prospettive che
lo avvicinavano al mondo moderno. Il feticismo si rivolgeva all'uomo europeo-occidentale. K.
Marx (1867) introduce la nozione di 'feticismo delle merci', che si manifesta quando i rapporti
sociali di produzione assumono la forma illusoria di rapporti tra cose. Così il valore delle
merci, che ha la sua origine in un rapporto sociale ed è il risultato di un'attività economica (il
lavoro), viene attribuito agli oggetti materiali, i quali possono essere scambiati fra di loro
come se il valore fosse una proprietà intrinseca agli oggetti stessi. La merce perde le qualità
sensibili a favore del valore di scambio, l'equivalente che i primitivi attribuivano agli oggetti e
agli animali cancellando la loro natura. Questa sorta di 'maschera', attraverso la quale il
prodotto del lavoro assume in sé il valore che gli viene attribuito dal rapporto sociale di cui
esso è oggetto, è per Marx la forma specifica di feticismo del capitalismo moderno.
Un attacco altrettanto profondo alla società moderna veniva portato alcuni anni dopo da F.
Nietzsche (1889), il quale indirizzava la sua critica alle illusioni della ragione e dei suoi
principali presupposti, quali il concetto di Io. Quella che i filosofi chiamano ragione per
Nietzsche è un insieme di errori: se si prende coscienza dei presupposti fondamentali della
filosofia, e quindi della ragione, si penetra in un 'rozzo feticismo'. Nietzsche mostra all'uomo
moderno come la sua stessa ragione non sia altro che un feticcio, qualcosa di artificiale, di
costruito.
Infine la psicoanalisi: se il feticismo comincia a comparire come particolare perversione nella
sessuologia dell'Ottocento, dove indica l'uso di un oggetto sostitutivo dell'organo genitale
come mezzo di raggiungimento della gratificazione sessuale, è nell'opera di S. Freud che
esso assume la sua definitiva collocazione, in connessione con la paura di castrazione e il
simbolismo fallico. Freud (1927) descrive il fenomeno come il risultato di impressioni
sessuali vissute durante la prima infanzia, in cui l'oggetto-feticcio assume il significato
simbolico di sostituzione del fallo mancante nella donna. In tal modo, il feticismo fornisce un
mezzo di spostamento e, indirettamente, di convalida della fantasia infantile, che viene
fissata su un oggetto strettamente legato al corpo femminile. In tutte queste interpretazioni,
per quanto differenti, traspare il comune intento di collocare il feticcio al centro dell'esistenza
dell'uomo moderno. Marx, Nietzsche e Freud mostrano invece come il feticcio si annidi nel
cuore stesso della modernità.
Anche i feticci primitivi sono spesso oggetti esplicitamente 'fatti' dall'uomo, quali una rozza
immagine, una figura, un utensile d'uso comune; in altri casi può trattarsi di un elemento
naturale, una pietra, un pezzo di legno, parti di animali, ma sempre qualcosa di 'isolato',
posto fuori dal suo contesto. Un esempio significativo proviene dalla tradizione cristiana
medievale delle reliquie: divenivano oggetti di devozione sezioni del corpo di santi, cose
inerenti al loro abbigliamento o in qualche modo connesse con la loro vita; persino le tombe,
il terreno che le circondava, nonché le offerte che erano lasciate presso il sepolcro,
assumevano un valore sacrale.
L'oggetto cultuale rappresenta in forma concreta qualcosa di immateriale: in ciò sta il
paradosso del feticcio. Oggetto fabbricato, costruito a opera dell'uomo, diviene qualcosa di
indipendente dalla volontà del suo produttore: dispone di un potere, di una forza, dimostra la
capacità umana di produrre il proprio mondo culturale, le proprie immagini di culto, i propri
dei, ma insieme ne rivela anche i limiti, perché ciò che è fatto dall'uomo può assumere
un'autonomia propria.

Il feticcio, oggetto inanimato, naturale o artificiale, è nelle culture primitive il 'luogo' di una
proiezione religiosa: luogo che viene 'ri-fatto, ri-creato', in modo da riprodurre l'immagine o il
ricordo di una 'assenza primordiale', fondamento del processo di simbolizzazione. Il feticcio
diventa allora simbolo di un'assenza da venerare.
Freud (1927) collegò il fenomeno a un'esperienza infantile. Il bambino, per la sua
vulnerabilità psichica, ha bisogno di trasferire a un oggetto inanimato un significato animato.
In generale, il feticcio si collega all'incapacità naturale del bambino di accettare la
separazione, l'assenza della madre. Un fazzoletto, la coperta della culla, la bambola,
acquistano il significato simbolico di una rappresentazione concreta che occupa
significativamente il posto di un oggetto assente.
Ancora Freud (1927) osserva come certe parti del corpo (naso, piede) assumano un
significato feticistico. Egli lega il feticismo all'angoscia di castrazione che si manifesta
quando il bambino, alla vista dell'organo sessuale femminile, scopre che la donna non
possiede il pene: parti del corpo oppure certi oggetti-feticci vengono allora ad assolvere la
funzione di sostituzione del fallo o di compensazione dell'oggetto mancante. L'oggetto
mancante, o anche la realtà della sua scomparsa o morte, viene sostituito
dall'oggetto-feticcio che può essere ritualizzato ed erotizzato: è un modo di negare la perdita
e trasformare, così, il lutto in 'piacere erotomaniaco'.
Charles de BROSSES (Digione 1709 - Parigi 1777)
Sul culto degli Dei feticci o Parallelo dell'antica religione egiziana con la religione attuale della Nigrizia, 1760.

Alfred BINET (Nizza 1857 - Parigi 1911)


Il feticismo in amore, 1887.

Marcel MAUSS, (Épinal 1872 - Parigi 1950)


1907 in L'année sociologique.

Marc AUGÉ (Poitiers 1935)


Il dio oggetto (Le dieu obiet),
Revue de l'histoire des religions, 1989.

Charles de Brosses (filosofo, linguista, magistrato, presidente del parlamento di Digione, politico) partecipa all’énciclopedie di
Diderot e D'Alembert. Viene citato in vari articoli, si occupa di storia e della scoperta dell’Australia. E’ uno dei primi antropologi,
pone le basi di antropologia e linguistica. Parla dell’origine naturale del linguaggio e pone le basi della teoria del segno
linguistico. Anticipa gli studi di fonosemantica. E’ un grande narratore, scrive un diario su un viaggio in Italia pubblicato dopo la
sua morte. E’ una fonte per Karl Marx per il concetto di feticismo.

Alfred Binet (Il feticismo in amore, 1887), si lega all’ambito psicologico, a lui fa capo il primo test in grado di valutare
l’intelligenza. E’ di Nizza, ma vive a Parigi; è di famiglia colta, sua madre è una pittrice. E’ un grande studioso di medicina,
scienze e legge alla Sorbona. Binet lavora a Parigi con Jean Martin Charcot all’ospedale della Salpêtrière.
Charcot mette in atto pratiche di ipnosi e suggestioni per curare i pazienti. Con lo psichiatra Simon (che si occupava di bambini
con disturbi) crea la scala Binet-Simon per misurare l’intelligenza. I due pubblicano moltissimo. Sia con Charcot che con Binet
affronta il tema del feticismo, sia riguardante i bambini che gli adulti.

Mauss (un antropologo) nella rivista Année Sociologique, parla a fondo del feticismo. E’ il nipote di Emile Durkheim, da cui
prende le distanze. E’ il fondatore dell’antropologia moderna francese. Contribuisce a creare una branca autonoma
dell’etnologia, volta a studiare le situazioni sociali e il ruolo del feticcio in ambito sociale. Contribuisce per primo alle ricerche sul
campo, non si fa solo teoria. Mauss scrive un saggio importante (1923 - “Il Saggio sul dono”) in cui lega l’antropologia sociale a
quella economica. C’è un feticismo della merce, degli oggetti. La società capitalista si basa sul feticcio delle merci, sull’offerta
che crea la domanda, per mimesi siamo portati a farci sedurre da determinati oggetti, anche quando rifiutiamo quegli oggetti
per distaccarci dalla massa facciamo parte del sistema, perché siamo consapevoli che quegli oggetti sono seduttivi.

Marc Augé (1989 - Il dio oggetto nella Revue de l’Histoire des religions) è un sociologo, etnologo e antropologo, ha vissuto
molti anni all’estero facendo molte ricerche sul campo. Nel tuo testo risponde a delle domande e spiega cos’è il feticismo:
Cristiani arrivati dagli indigeni: come si possono adorare il legno e la pietra? Augé risponde ne Il dio oggetto, spiegando la
potenza di quelli che possono sembrare solo oggetti, mostrandoci come, attraverso il feticcio, l’uomo va a confrontarsi con una
concezione che riguarda la relazione tra cose e individui, tra esseri umani e divinità, tra viventi e i cari perduti. Questo lo spiega
dopo aver vissuto per molto tempo nel Benin. Non si può parlare di continuità tra i poli opposti, c’è una diversità, ma questo è
relativo anche tra due individui simili. Augé vede nell’oggetto feticcio l’addivenire del rapporto tra inorganico e organico, tra
umano e divino. Vede il feticismo come una chiave attuale per conoscere i nostri sistemi di pensiero e quelli diversi dai nostri,
per intuire molte problematiche al centro della riflessione sulla surmodernità (la crisi del soggetto). Parte degli studi sul feticcio
affrontano il rapporto tra antropologia e religione.

Augé parla anche de “i non luoghi”: sono luoghi senza una storia dove le persone si incontrano superficialmente, luoghi che
promuovono la disidentificazione di chi li vive, che non promuovono la differenza tra giorno e notte, che modificano la
cognizione del tempo (supermercati). Sono luoghi che promuovono la disidentificazione di chi li abita.

- Karl MARX (Treviri 1818 - Londra 1883) Il Capitale, 1867.


- Friedrich NIETZSCHE (Röcken 1844- Weimar 1900) Crepuscolo degli idoli, 1889.
- Romano MADERA, Sconfitta e utopia. Identità e feticismo tra Marx e Nietzsche (Mimesis, 2018).

Marx (Il Capitale - 1867) filosofo ed economista tedesco, proviene da una famiglia alto borghese ebraica, in età adulta emigra
a Parigi. Con Marx si parla del materialismo nella società. Il materialismo storico nasce dalla filosofia classica tedesca e
dall’economia inglese e francese. Il soggetto non è l’idea (Hegel), ma l’uomo esistente e reale. Per Marx la natura dell’uomo
non è già data, invariabile, si realizza nella società e nel divenire storico sociale: l’essenza dell’uomo si sviluppa nel corso dei
rapporti che l’individuo ha con gli altri esseri e con la natura, che non sono determinati, ma variano col variare della produzione
e delle forme dell’organizzazione sociale. Marx fa una concezione propria del materialismo. L’individuo non è la materia in sé,
ma è dato dai rapporti sociali di produzione che hanno l’esterno come termine di riferimento. L’essere umano intrattiene rapporti
sociali. E’ fondamentale la merce, intesa come oggetto di produzione, che determina la vita umana; gli esseri umani non sono
passivi nel loro tempo, la loro attività è fondamentale. Non è un perfezionamento interiore dell’uomo, è perfezionare il sistema
sociale. Non è un problema individuale, ma sociale. Al centro c’è la trasformazione della struttura economico-sociale.
La merce ha 2 valori:
- valore d’uso: deve essere utile per qualcosa;
- valore di scambio: il valore varia a seconda delle merci con cui può essere scambiato.
Il fattore comune è la quantità di valore necessario per produrre la merce. Il valore dipende da chi lo produce e dal periodo
storico. Se serve molto lavoro per produrla, la merce ha valore maggiore. Il valore non si identifica con il prezzo finale. Sul
prezzo influiscono molti fattori, come l’abbondanza/scarsità della merce. Marx contesta il feticismo delle merci, proprio del
capitalismo occidentale. Il prodotto finisce per dominare l’essere umano e i rapporti sociali diventano rapporti tra cose
possedute. Le merci risultano autonome rispetto al loro valore e a chi le ha prodotte. C’è uno scarto tra le produzione
industriale (lavoro umano) e le merci. Secondo Marx, il fordismo (attuazione pratica dei principi del taylorismo, Taylor teorizza la
produttività della catena di montaggio). L’essere umano diventa un ingranaggio della macchina. Questo porta all’alienazione
dell’uomo. Gli orari infiniti di lavoro rendono l’uomo stesso una merce.
Charlie Chaplin: londinese, nei suoi film racconta il consumismo e l’alienazione occidentale. La sua fama muove il messaggio
progressista. Trasmette con ironia e sarcasmo le ricadute nefaste della società capitalistica borghese industriale. Chaplin
unisce messaggi della vita quotidiana a messaggi ideologici e politici che gli causano molti problemi, viene perseguitato durante
il periodo del maccartismo (deriva da McCarty, senatore che promuove l’epoca del sospetto, c’è un esasperato clima di
persecuzione nei confronti di comportamenti sovversivi (comunisti). Chaplin deve abbandonare l’America e ci tornerà solo per
ritirare l’Oscar. Ci furono grandi scioperi dopo la diffusione dei suoi film. Tutt’oggi promuoviamo la nostra immagine attraverso
degli oggetti (vestiti).
-- Flaubert - Madame Bovary: Emma viene posseduta dagli oggetti che vengono pubblicizzati (manifesti, riviste), viene
risucchiata nel mondo dell’ultima moda. Si indebita molto così da arrivare al suicidio. La moda nel ‘800 era soprattutto
maschile, la moda era più estrosa per gli uomini. Il romanzo venne processato e censurato per eccesso di realismo della
società dell’epoca.

Nietzsche (Il Crepuscolo degli Idoli): è uno dei più grandi nichilisti della storia della filosofia. Non è un pensatore tradizionale.
E’ molto eversivo. Polemizza con la realtà socratica, con il criterio di verità.
Crepuscolo: rinvia alla struttura del testo come uno svago, ma allo stesso tempo come un'impresa seria.
Idoli: lo usa per confutare qualsiasi dogma, per distruggere ciò che è considerato verità per avvicinarsi alla rivoluzione
nietzschiana e alla svalutazione totale dei valori (trasvalutazione).
Crepuscolo degli Idoli = la fine di ogni dogma.

Màdera: filosofo e psicanalista (Sconfitta e utopia. Identità e feticismo tra Marx e Nietzsche). Riscrive questo testo dopo 40
anni, considera la sua prima versione come contenuta in una bottiglia che ha fatto naufragio. Nella prima parte del libro parla di
Marx al giorno d’oggi. Nella seconda parte di Nietzsche. Afferma di non pentirsi di quello che aveva scritto in precedenza, ma
sostiene che non esista più la critica feroce al feticismo che c’era un tempo, perché la teoria sulla lotta di classe non esiste più.
La dissoluzione del soggetto di Nietzsche è già contenuta in Marx. Si chiede cosa fare oggi. Passa da Nietzsche a Freud. Per
Madera, sia Marx che Nietzsche restano una via divenuta obsoleta nell’epoca contemporanea.
FREUD - DAS UNHEIMLICHE (1919) tradotto in italiano con “Il Perturbante”. In italiano
non c’è una traduzione letterale, ma significa inquietante, lugubre, una paura reale e
concreta.
La parola Unheimliche si compone del prefisso negativo “un” e di heimliche: a casa. Indica
quindi il non essere a casa. Il termine non indica una paura reale, ma irrazionale, non
scatenata da una minaccia reale. Si riferisce a tutto ciò che ci è familiare, ma che ad un
certo punto si dimostra inquietante. Si può verificare anche con oggetti inanimati (bambole,
automi) che improvvisamente passano dalla dimensione dell’inanimato a quella dell’animato.
Secondo Freud abbiamo 8 cause precise: sono oggetti inanimati che improvvisamente
passano alla dimensione dell’animato.
Un esempio è Il Mago Sabbiolino di E.T.A. Hoffmann che indaga l’immaginario dell’automa e
viene citato nel saggio Il Perturbante di Freud. In quest’opera l’oggetto dell’amore del
protagonista si scopre essere un automa non vivente. L’oggetto inanimato viene scambiato
per un umano. Tutto ciò che lo faceva star bene era un falso. Il confine tra fantasia e realtà è
labile. Il Perturbante non si lega ad ogni tipo di paura, non è legato ad avvenimenti sociali
del nostro tempo (cambiamento climatico); è inserito in un percorso estetico: un testo scritto,
un’opera visiva/uditiva che finisce per ispirarci uno stato di ansia e disagio, una dissonanza
cognitiva.
Secondo Freud le situazioni di disagio derivano da sistemi di credenze che fanno parte della
nostra cultura che abbiamo represso, rimosso.
Il Perturbante è frutto della riflessione congiunta con Jentsch (iensc).
Il concetto di casa, il trovarsi a proprio agio e poi non sentirsi più a casa è centrale
nell’Unheimliche.
Per quanto riguarda il presente, si può vivere questa esperienza tramite internet, poiché i
social ci permettono di duplicare noi stessi; questo è perturbante perché non abbiamo la
certezza dell’identità reale degli account con cui parliamo.
La sorpresa provata è accompagnata dal disagio, da uno choc (Walter Benjamin) che attrae
la nostra attenzione. Sono sentimenti contraddittori che si scontrano, meraviglia e disagio.
Prendendo come esempio le opere d’arte: La Gioconda è una donna? E’ un uomo? Sorride?
Perché è affascinante?
IL RUOLO DELLA BAMBOLA
Bambola: simulacro, il più possibile vicino all’umano. E’ un manichino di legno e gesso. E’
vestita secondo la moda dell’epoca, è promotrice degli usi e dei costumi dell’epoca. I capelli
e le ciglia sono vere, umane, viene costruita tra 1755 e 1760. Abito molto ricco, in seta e oro
con gemme. E’ molto avanzata la tecnica artigiana dell’epoca per quanto riguarda i tessuti.
Queste bambole, più che giocattoli, sono viaggiatrici: in miniatura viene costruito un simil
umano molto ricco, con le ultime novità, che funge da mediatore per la diffusione della moda
in Europa, si trasporta la cultura del costume che accompagna con sé le nuove tecniche per
produrre i vestiti, l'utilizzo del trucco e le nuove capigliature. Si tratta di eleganza. Eleonora
d’Aragona (duchessa di Ferrara) fa inviare il corredo da sposa, all’interno di forzieri foderati
di seta ad Anna Maria Sforza di Milano fidanzata a 11 anni con il figlio di Alfonso d’Este. E’
un corpo manichino che vede trasformarsi per supplire a delle evidenti rigidità rispetto al
simil umano. Vengono mandate in giro per diffondere la moda, non si manda solo il vestito
da copiare, ma anche il corpo manichino da vestire. La moda si diffonde per mimesi. Questo
è importante anche per il circuito di mercato: la tecnica e la novità sono fondamentali dopo le
rivoluzioni industriali. Gli artigiani sono degli artisti, stilisti veri e propri.
Il corpo manichino, perché possa essere spedito, viene realizzato sempre più simile
all’umano. Siamo nel simulacro puro, si vuole avvicinare il manichino sempre più all’umano.
Si passa dal manichino in legno al manichino di stoffa imbottito di segatura.

Eugène Barrois nel 1875 inventa la bambola snodabile rivestita di pelle di capretto bianca
(simile alla pelle umana) imbottita prima di truciolo di legno e poi di segatura pressata. Le
mani e i polsi si muovono. ll capo è in porcellana opaca.

Casa Jumeau, fabbrica fondata da Pierre Francois Jumeau nel 1842 a Parigi, negli anni
‘70 viene ereditata dal figlio e viene portata avanti da lui fino al 1899, quando confluì nella
SBJF, l'unione dei fabbricanti di bambole francesi. Queste bambole vincono la medaglia
d’oro all'esposizione di Vienna prima nel 1837, poi 1878 e poi 1885. Dal 1878 erano marcate
anche al loro interno con la medaglia d’oro.
Sono famose perché hanno teste particolari, di cartone compresso, che così pressato risulta
simile alla pelle, è sottile. Le bambole jumeau sono tutte marcate e portano il numero
specifico. Quelle non marcate costano di meno. Vengono battezzate tutte bébé jumeau.
Numeri stratosferici di produzione, da 10 mila fino a 3 milioni di pezzi. Ci sono due annunci
pubblicitari (nella slide) nell’1885 che danno l’idea delle bambole di poter essere mosse, con
gli occhi vitrei. Hanno la possibilità di avere vestiti sia per l’interno che per l’esterno, per tutte
le stagioni e situazioni. Dal 1890 andranno più di moda le bambole tedesche, meno raffinate
e più economiche. Copiano le Jumeau a prezzi inferiori. Questo simulacro ha una funzione
rassicurante, intima, familiare. Sono creati a somiglianza dei bambini per sconfiggere le
paure dei più piccoli, la minaccia della morte e della scomparsa. In questo caso la bambola
assolve anche la funzione di feticcio per la sua funzione rassicurante, è un sostituto di
qualcosa che non c’è. E’ simulacro perché è sempre più vicino all’umano.
La bambola deve farsi anche garante del mercato e dello scambio commerciale.
Le bambole hanno una funzione educativa stringente: ci si deve comportare e vestire in un
certo modo. Danno un senso di appartenenza ad un gruppo. Sono un simbolo di status
sociale e un veicolo funzionale a mantenere saldi determinati valori promossi dalla società
borghese, a maggior ragione se si parla di bambole al femminile. A partire dell’editto del
1893 vengono cancellate le leggi suntuarie (la borghesia non può abbigliarsi come a corte,
tutto ciò che è lusso è riservato a una certa classe sociale e deve essere distintivo tra alto e
basso status, tra malati e sani - ai tempi della peste bisognava portare dei campanelli, il
giallo era destinato a chi si pensava avesse malattie mentali).
Costrizione femminile dell’800 in Italia: corsetto, parrucca. L’abito del tempo prevedeva una
V sopra con la vita stretta e la gonna a palloncino. Il corpo viene modellato grazie al
corsetto, ma ci furono molti casi di tubercolosi e malattie ai polmoni, a causa delle costrizioni
così importanti. Nell’epoca ottocentesca la borghesia promuove un’immagine competitiva
con l’aristocrazia e ne prende le distanze complete scegliendo uno stile diverso, il borghese
doveva essere l’opposto dell'aristocratico: l’uomo era bianco o nero, con giacca e cravatta,
rinuncia al lusso e all’ostentazione, gli abiti promuovono la produttività e simbolicamente si
pongono antiteticamente ai valori dell’aristocrazia. Negare l’ozio, proteggere l’idea del non
lusso (superficiale).
La famiglia del borghese, così come l’interno delle case (privatissimo
dell’aristocrazia/pubblico della borghesia), tutto ciò che appartiene al borghese diventano dei
segni del potere di quella persona e di quel luogo.

Maison Jumeau, Bébé incassable, 1877.


Viene creato il modello di bambola indistruttibile, creata per i bambini. Quello che si
distruggeva con facilità era la testa. Vengono inventate bambole che potevano avere più
teste con lo stesso corpo. Il volto è di una giovane fanciulla e il corpo è completamente
articolato. I vestiti sono più popolari e più trasversali per la massa. Sono già fanciulle con
delle forme, non sono più bébé. Sono chiamate bambole doppie perché hanno due teste,
hanno corredo, vestiti coerenti con la moda del tempo. La bambola o il bambolotto (di
cartone modellato o porcellana, con giunti sferici all’interno delle articolazioni per il
movimento, le mani devono essere infrangibili e lo sono grazie ad una nuova colla mista a
potassio, silicato, segatura. E’ una colla nata per altro, ma che viene sfruttata per ciò che
giova più al mercato.

Jumeau Triste: Jumeau figlio progetta una testa che vada bene sia al femminile che al
maschile, chiede allo scultore Albert-Ernest Carrier-Belleuse la creazione di una testa
epicena che vada bene per entrambi i generi, non per apertura mentale, ma per rendere il
giocattolo più utilizzabile dai bambini. Per fare questa testa epicena Carrier-Belleuse utilizza
come modello il ritratto di Enrico IV di Navarra quando era bambino (siamo nel 1500). Nasce
così Jumeau Triste con testa epicena e volto triste, molto consolatorio per i bambini, è una
mossa di marketing. Se la bambola sorride sempre, ma il bambino vive una fase negativa
non funziona. Ha un valore empatico con lo stato triste del bambino ed è psicologicamente
educativo perché le bambine, che devono diventare mamme, per educazione cercano di
portare gioia alla bambola.
La versione femminile Triste ha un'espressione più dolce, è pensierosa, gli occhi vitrei sono
messi in risalto dalle ciglia. La bocca è piccola e perfettamente dipinta. Il vestito è molto
popolare e all’ultima moda.

Henri Lioret per la Maison Jumeau, Bébé Phonographe, 1894


La bambola che parla va insieme al fonografo: strumento che veniva utilizzato per ascoltare
i dischi. L’invenzione di questa bambola avviene grazie a questo strumento. Vengono inseriti
i dischi nella bambola (che diventa una venere anatomica che si apre) e la bambola parla,
comunicando le frasi tipiche dei bambini.
La bambola nella letteratura compare per la prima volta in quella francese, con un significato
molto importante nel romanzo “La Poupée” di Jean Galli de Bibiena nel 1747.
Louise d'Aulnay (pseudonimo di Julie Gouraud), Mémoires d'une poupée. Contes
dédiés aux petites filles, 1839.
C’è una bambola che scrive le sue memorie.
L'autrice esplicita l'intento educativo da parte della bambola che ha lasciato le sue memorie
sin dall'epigrafe, di fatto un vero e proprio appello a doveri e responsabilità femminili che si
tramandano di generazione in generazione e di cui la bambola si fa complice fedele in
qualità di trait-d'union ideale tra madre e figlia:
«Convinci le tue amiche che i malvagi non hanno sicurezza nel mondo; bisogna asso
camente essere buoni: lo hanno detto le nostre mamme, le nostre infermiere, le nostre
bambole.>>
Di qui il ruolo capitale che l'autrice attribuisce alla bambola nella prefazione:
«A guardare da vicino, ma molto da vicino, la bambola è il perno dell'umanità! Tali sono con
le loro bambole le ragazze di un'epoca, tali saranno le donne nel mondo. [...] Duclos si
assicura che le donne facciano le buone maniere; le buone maniere sono la base stessa
dell'ordine sociale. - Tocchiamo le domande più essenziali. Se una generazione di bambole
è stata frustata con troppa rabbia, accarezzata con troppo ardore, il futuro del mondo
dipende da questo.>>
IL SUCCESSO PUBBLICO DEI ROMANZI DELLE BAMBOLE
Lungo l’Ottocento abbiamo numerose varianti di romanzi delle bambole, vale a dire la
bambola che scrive la propria autobiografia: lascia le proprie memorie. Questi volumi fanno
leva su 3 dispositivi pedagogici:
- sono libri;
- sono giocattoli (divertimento associato all’educazione);
- sono corredati da immagini.
Erano storie popolari tra le bambine ricche. Erano riservati ad un’educazione di genere, solo
femminile. Il loro scopo reale era finalizzato a mantenere l’ordine borghese stabilito quanto
al ruolo sociale della futura donna. Sono romanzi alleati con il codice sociale del contesto
storico. La borghesia salvaguarda sé stessa attraverso la diffusione di questi romanzi. Sono
strumenti di differenziazione sociale (come le bambole jumeau). Sono strumenti di potere.
Questo nuovo genere letterario ha un grande pubblico a Parigi e si inserisce nel solco
lasciato da Mémoire d’une Poupée. Contes dédiés aux petites filles (1839) di Louise
d’Aulnay che viene editato numerosissime volte perché fa scuola ai successivi. Lei sostiene
che i suoi romanzi hanno uno scopo educativo e chiaro. E nell’epigrafe sottolinea che alle
donne vanno dati determinati doveri e responsabilità che vanno tramandati con le
generazioni. La bambola si pone come passaggio tra madre e figlia. E’ un modo per
salvaguardare la tradizione.
Nella prefazione attribuisce un ruolo fondamentale alla bambola: è il perno dell’umanità. E’
un controcanto rispetto all’investimento solo sul maschile (dandy) dell’altro tipo di letteratura.
C’è l’idea della pacatezza, della saggezza; non deve esserci rabbia né estrema dolcezza.
L'educazione deve essere equilibrata.

La bambola è un simulacro delle bambine (è quasi della stessa dimensione) ed è vestita


come una futura donna, è un’iniziazione delle bambine a quello che sono e dovranno
diventare.
Charles Frederick Worth da Londra va a Parigi, il centro della creatività, dei tessuti e della
moda; lì crea nel 1858 la prima grande casa di moda.
Dalla seconda metà dell’800, seguendo il suo esempio, la haute couture parigina sia per le
sfilate, che per le creazioni in sé, si avvarrà della mannequin (ragazze), cosa che non era
mai avvenuta prima: i vestiti vengono portati da ragazze che hanno la funzione di manichino.
Questa pratica viene descritta nel dettaglio nel volume editato nel 1910 da Le Figaro che
riproduce disegni e fotografie (Les Créateurs de la Mode). Nelle fotografie sono raffigurate le
mannequin nella famosa casa di moda Paquin.
Se nel passato la presenza delle vetrine di moda, oggetto degli sguardi femminili, era
scarsamente documentata in ambito artistico-letterario, nell’800 e nel 900 sarà sempre più
presente. La prima vetrina letteraria figura, però, in un romanzo settecentesco (1747),
osservata dal giovane abate protagonista e narratore della Poupée di Jean Galli de Bibiena.
Questa scena è matriciale, rappresenta l’origine di tutti gli incontri successivi nel corso
dell’800, che propongono la donna come oggetto del desiderio racchiusa in una teca di
vetro, sul modello archetipale della Belle au bois dormant, ma in questo caso disponibile
perché è in vendita, è una merce ed è raggiungibile purché si entri nel negozio e si contratti
l’acquisto. La vetrina del negozio si costituisce dunque come una finestra del desiderio,
come definito anche da Jean Starobinski: “La finestra è la cornice, vicina e lontana, dove il
desiderio attende l’epifania del suo oggetto”.
Charles Frederick Worth inventa l’alta moda, si trasferisce da Londra a Parigi nel 1858 ed
è a Parigi che apre la casa di moda Worth e nel 1858 fa sfilare delle donne cosiddette sosie,
mannequins: ancora oggi si usano questi termini. Vestirà gli intellettuali e le figure di spicco
dell’epoca. Cuce addosso alle donne i vestiti e le fa sfilare davanti ad un pubblico d’élite.
Sono abiti unici, adattati al corpo del cliente.
I fratelli Nadar lasciano la testimonianza dei tratti celebri femminili dei modelli di Worth,
indossati dalle celebrità (Sarah Bernard).
Worth, londinese, si trasferisce a Parigi, il centro della creatività sartoriale e della moda e
fonda la sua casa di moda, siamo nella nascita della haute couture. Parliamo di arte e moda:
lo stilista è un artista che crea opere tridimensionali (abiti) ed è in continua evoluzione per
scopi di mercato: non ci sarebbe più moda se non cambiassero i dettagli, se non ci fosse
evoluzione, se non si avesse una visione prospettica delle sopravvivenze del passato
nell'avvenire.
Se nel passato c’erano le bambole viaggiatrici, donne in miniatura che facevano viaggiare la
moda attraverso l’Europa, adesso le donne manichino che diffondono determinati prototipi
non sono più solo le mannequin di Worth, ma anche donne molto importanti della società
indossano capi unici di Worth, come nel caso della moglie di Worth, Marie Augustine Vernet,
la prima modella di Worth, ma anche la principessa Pauline di Metternich, l’imperatrice
Eugénie de Montijo e Marie-Louise de Marcy.
I grandi registi teatrali, attori e attrici si rivolgono a lui: Mrs. Brown-Potter nell’interpretazione
di Cleopatra. Lo stesso vale per Alice Vanderbilt che indossa il Costume Light.
Sono presenti anche delle vignette che promuovono i capi di Worth. C’è una funzione
sinestetica del vestito: deve colpire l’occhio, ma sedurre attraverso il tatto, eventualmente il
profumo e anche attraverso l’udito, poiché questo tipo di vesti nel muoversi devono produrre
una poesia visiva, un bel suono. Mallarmé (docente di inglese) scriverà una rivista (La
dernière mode) che durerà solo due anni, era troppo colta per essere vista come una
promozione di abiti, sotto svariati pseudonimi femminili, dovendo descrivere questi abiti
fluttuanti scrive una poesia, crea lo sfrigolio della seta, solo attraverso le sue parole.
Abbiamo una foto scattata di Paul Nadar che rappresenta Andrée Worth ritratta nella veste
crea per lei dalla maison de haute couture fondata dal nonno Charles Frederick Worth. Il
soggetto della fotografia è l’abito, la creazione artistica, è mostrata la parte più creativa (ci
sono moltissimi testi letterari, dei trattati, sulle pieghe e sulle righe). La fotografia ha la
capacità di rendere la complessità della creazione, chi porta questa veste scompare in
funzione della vista e in una messa in prospettiva ridondante, se si menziona la nipote di
Worth, è una Worth contenuta in un Worth, il suo corpo manichino ripromuove dopo una
generazione la maison Worth nel suo svolgersi ed evolversi nel tempo rispetto alle prime
creazioni stilistiche: nel 1894 siamo in una dimensione più libera e sciolta del corpo. Nel
muoversi, l’abito promuove delle forme del corpo e muove alla conoscenza delle forme
l’osservatore che dovrà essere indotto a desiderare ciò che vede.

Félix Nadar nel 1865 fotografa l’attrice Sarah Bernhardt. Il tema delle pieghe ritorna: Sarah
è vestita di pieghe e basta, le è stato avvolto una sorta di mantello e si appoggia su un
mobile stile impero in mogano, quasi a ricordare una scultura classica. Il drappeggio
contiene in sé le vesti proprie della classicità e il dettaglio rimanda alla colonna, perché la
moda che distingue l’uomo dalla donna nasce molto tardivamente nel ‘400, ed è
emblematico il ritratto “Il matrimonio degli Arnolfini”. Lei, che aspetta un bambino, ha la veste
lunga e lui quella più corta. La tunica e il drappeggio definiscono il modus vivendi degli
uomini in ambito classico.
Anche nell’altra immagine ritornano le vesti attraverso il velo e il vestito. C’è un telone di
fondo che riprende una vegetazione, c’è un richiamo all’Oriente attraverso l’ombrello.
Abbiamo una composizione della pièce che rimanda alla scomposizione del corpo simulacro
femminile (cappello - guanti - ombrello). Le immagini si oppongono a vicenda. Nell’800 si
scrivevano dei tratti su ombrelli e cappelli a raffigurare la divisione del corpo simulacro della
donna. L’ombrello ha una funzione importante perché deve lasciar passare la luce, è da
passeggio per difendersi dalla luce e in quella scena teatrale per mettere ancora più in
risalto l’incarnato di Sarah e la sceneggiatura. Sottolinea l’importanza dell’entrata in scena
dell’Oriente nella vita quotidiana (ombrello) avviene in Europa attraverso la Francia a partire
dalla traduzione delle Mille e una notte con molta libertà, tutti i racconti vengono tradotti ad
uso e consumo del lettore occidentale. Entrano le cineserie in porcellana e il fenomeno del
giapponismo in arte. 1851 expo: una delle bandiere che capeggiava era proprio quella
cinese.

Les Créatures de la Mode 1910 (Le Figaro): riassume lo stato dell’arte dall’800 al 1910 dei
creatori di moda e degli stilisti tramite disegni, testi e fotografie: possiamo vedere Worth che
veste la moglie come modella, aiutato da una sarta, nel mezzo della sua creazione. Dà l’idea
dell’invenzione nel suo farsi, dei materiali che sono accanto. E’ vestito con il camice
apposito. Vediamo anche un’altra foto in cui sono ritratte le mannequins in conversazione:
l’epoca è cambiata, siamo nel neoclassicismo, gli abiti sciolgono le forme del corpo, senza
però rinunciare alle pieghe.
Salon de vente, Maison Paquin, Les Créateurs de la Mode (1910): le signore con il
cappello sedute sono possibili acquirenti, la signora appoggiata alla colonna fornisce i
dettagli della mannequin di spalle che sta sfilando. La signora a sinistra è di alto rango.
Abbiamo colli di pelliccia appoggiati su dei porta spalla manichini che al posto della testa
hanno manichini per poter essere presi in mano. La mannequin vicino è sia modella che
responsabile della scelta del coprispalle. Sono tutti corpi simulacro, non hanno la possibilità
di parlare, devono muoversi secondo quello che detta loro il vestito, devono avere
un’espressione neutra che non trasmetta gioia, devono essere spogliate della loro natura di
donne viventi e devono essere piatte, far apparire solo vestito-merce-denaro che non
appartiene a loro. E’ un corpo destituito dalla sua organicità, non importa che sia organico,
deve essere un manichino. Questo si svolge lungo tutto l’800 e diventa ossessivo, ricorrente
e richiama il tema dell’essere in vetrina; questo contempla anche due sentimenti presenti
nella letteratura che possono essere inseme contraddittori: stupore, meraviglia, attrazione,
seduzione e paura, timore e disagio. Ciò che la cultura abitua ad essere familiare può
divenire non familiare.

Vetrine della Morgue di Parigi in un’illustrazione del settimanale Harper’s Weekly del
1874: sono presenti dei cadaveri ricomposti e messi in vetrina con la loro sessualità coperta,
con sopra di loro i vestiti indossati al momento della morte, osservati da una folla di curiosi o
alla ricerca dei propri cari. Davanti alla vetrina proviamo lo stupore e la meraviglia di due
bambini appoggiati alla vetrina e allo stesso tempo un altro bambino che corre impaurito
aggrappandosi alle vesti della signora anziana, guardando con terrore la scena.

Eugène Atget, Vitrines du Bon Marché, 1925/1927


Il fotografo è solito riprendere le vetrine di Parigi in momenti della giornata in cui non sono
assalite dai cittadini, usandole come specchio per ritrarre ciò che riflettono.
Nella prima foto a sinistra sono tutti corpi manichino, c’è un uomo che guarda dall'esterno,
ma è messo in risalto l’ormai indifferenza tra il corpo vivente e il manichino simulacro. Atget
aveva già colto quella che era la metamorfosi dei corpi simulacro.

Gigantesca Vetrina: l'esposizione universale di Londra del 1851, al Crystal Palace, che
accoglie le merci più disparate e provenienti da ogni parte del mondo, rende possibile a tutti i
visitatori confronto con una quanto mai dilatata bottega dell'antiquario balzachiana. Ancora
una volta però c'è un prezzo assai rilevante da pagare: fare della merce il metro universale
di tutte le cose. I visitatori vogliono tutto ciò che è presente.
Questo stesso fenomeno viene illustrato dalle svariate fotografie sulle vetrine di moda
parigine dell'epoca da parte di Eugène Atget, documenti esemplari su
bambole-corpo-mannequin via via, e sempre più, oggetti definitivamente prostetici (dei
robot). Atget si muoveva la mattina prestissimo o la sera, quando c’erano poche persone,
per far vedere l’avvento della vetrina nella Parigi dell’epoca.
LA COMPARSA DELLA BAMBOLA NEL ROMANZO FRANCESE (E IL DANDISMO)
- Jean Galli de Bibiena (1747), La Poupée
- Honoré de Balzac (1831), La Peau de chagrin
- Honoré de Balzac (1833), Traité de la vie élégante
- Barbey de Aurevilly (1845), Du Dandysme et de George Brummell
- J.K. Huysmans (1884), À Rebours
- J.K. Huysmans - L. Hennique (1881), Pierrot Sceptique
- Victor Hugo (1892), Les Miserables

Jean Galli de Bibiena (2014), La Poupée


L’apparizione della prima bambola avviene ne La Poupée di Jean Galli de Bibiena (1747)
tradotta in italiano nel 2014. Prima dell’800 non c’erano le vetrine. L’abate Philandre viene
rapito da una bambola in vetrina, che in realtà è una silfide, creatura dell’aria che può
trasformarsi in qualsiasi cosa e il suo compito per l’immortalità è attrarre a sé un umano e
insegnargli i valori veri della vita. La silfide si trasforma in bambina, adolescente e donna e
arriva al suo compito di educarlo. L’entrata della bambola è fondamentale per la letteratura
che seguirà. Il titolo del testo implica l’incontro con una bambola che è in grado di
trasformare l'osservatore. Il lettore non sapeva che ruolo avesse la bambola e il testo ha un
successo immediato. La bambola deve essere comprata, è una merce.

JEAN GALLI DE BIBIENA, LA POUPÉE, 1747


La famiglia bolognese dei Galli Bibiena occupa un posto di primo piano nella storia della
scenografia e dell’architettura teatrale tra il XVII e il XVIII secolo:
- Ferdinando (1657-1743, autore di importanti trattati;
- suo fratello Francesco (1659-1739) che edificò il Teatro Filarmonico di Verona;
- Antonio (1700-1774), figlio di Ferdinando, progettista del Teatro Comunale di
Bologna;
- Giovanni, che francesizzò il suo nome in Jean (1710-1779?): nato a Vienna, dove il
padre Francesco era scenografo presso la corte imperiale, trascorse la maggior
parte della sua esistenza oltralpe (soprattutto a Nancy e a Parigi), acquisendo una
certa fama come autore di romanzi e di pièces teatrali, prima di darsi alla
clandestinità in seguito a una condanna a morte per violenza carnale.
Alla docente Francesca Pagani si deve il merito della raccolta e riedizione di scavo critica
pubblicata a Parigi da Classiques Garnier che contiene 6 romanzi dell’autore (Mémoire et
aventures de monsieur de ***, traduits de l’italien par lui-même; Histoires des amours de
Valérie et du noble vénitien Barbarigo; Le Petit Toutou; il breve romanzo La Poupée; La
Force de l’Exemple; Le Triomphe du Sentiment) scritti nel corso di 15 anni, dal 1735 al 1750.
Il tema principale è l’amore passionale, che prima è visto come negativo e poi come positivo,
si passa da una morale chiusa (giansenismo) a quella tipica della filosofia libertina del 700.
Dal confronto dei 6 romanzi appare evidente un’evoluzione nel modo di descrivere e di
analizzare la passione d’amore che rispecchia, almeno in parte, il mutare della concezione
dei sentimenti che caratterizzò il passaggio dal Seicento “giansenista” al Settecento
“sensible”.
Nell’esordio delle sue opere è narrata una passione che causa infelicità, pericolo per la virtù
e l’onore, per poi arrivare alla riabilitazione di questa passione, in particolar modo ne La
Poupée (dove incontriamo la bambola). All’interno di quest’opera assistiamo all’iniziazione
del protagonista (un abate) a un ideale di vita e di comportamento in cui ragione, cuore e
sensi coesistono in perfetta armonia. Un elemento centrale della sua iniziazione è la
condanna di ogni affettazione nei modi, nell’abbigliamento e nel linguaggio, in nome della
spontaneità, del naturel. A questa contrapposizione corrisponde, inoltre, quella tra diversi tipi
umani: da un lato alcuni esemplari della fauna sociale settecentesca, quali i petit-maîtres, le
coquettes e le prudes (coloro che hanno atteggiamenti affettati); dall’altro l’homme à
sentiment, che anticipa l’ideale umano dell’eroe romantico.

LA POUPÉE - JEAN GALLI DE BIBIENA (1747)


La Silfide è una figura femminile di origine germanica. Si tratta di un genio del vento e dei
boschi e possiede una figura agile e snella, tanto che la parola si usa anche per indicare
ragazze di analoga corporatura. Il medico e alchimista svizzero Paracelso, che ne narrò
ampiamente le gesta e che può essere considerato l’inventore del termine, le chiama anche
“silvani” e si ispirò, probabilmente, a figure mitiche della Cabala. Le silfidi sono talora
descritte in gruppi con i Silfi, loro corrispondente maschile. Le Silfidi appartengono
all’elemento dell’aria. Queste figure sono molto presenti nei romanzi libertini del ‘700.
Molti romanzi settecenteschi, per paura della censura, venivano pubblicati all’estero, questo
viene pubblicato a L’Aia (Paesi Bassi).
In una boutique del Palais Royal (centro di Parigi) un giovane abate ancora vergine e molto
fatuo (petit-maître) cade in estasi davanti ad una bambola, che in verità è una silfide che gli
insegnerà che cos’è l’amore. Da questo brevissimo riassunto emerge come il romanzo di
Bibiena metta in scena dei protagonisti che ci appaiono strani, almeno quanto erano familiari
ai lettori di romanzi nel 1747. Ad essi non era necessario spiegare cosa fosse una silfide,
tutti avevano letto “Le Comte de Gabalis, ou entretien des sciences secrètes” di Monfaucon
de Villars, apparso nel 1670, e sapevano che “l’aria è piena di una moltitudine di popoli
dall’aspetto umano, fieri in apparenza, ma in realtà docili”, le silfi e i silfidi, appunto; le ninfe e
le ondine, invece, popolano mari e fiumi; gli gnomi riempiono la terra “fino al centro” e le
salamandre abitano “la regione del fuoco”.
Ad un certo punto del romanzo, troviamo nascosti in un boschetto l’abate Philandre che
racconta al giovane amico magistrato Oronte che, grazie ai consigli di una bambola scoperta
per caso in un negozio nel Palais Royal ha potuto riacquistare un aspetto normale: ha
rinunciato ad un abbigliamento ricercato, ha corretto il suo linguaggio insipido e impertinente
e rammenta all’amico come la bambola, fin dalla prima volta che l’ha vista, gli era sembrata
assolutamente perfetta nei lineamenti per quel misto di vivo e di inanimato che emanava dal
suo corpo modello, che imitava la perfezione nonostante la scarsa mobilità. Contiene un sé
una duplice natura, è familiare perché somiglia ad un essere vivente, però
contemporaneamente non lo è perché è inanimata. L’abbigliamento della bambola è insolito
se non fosse una bambola, è un abbigliamento ricercato, ricco. E’ una bambola simil umana,
è bellissima, tutto il corpo sembra la bellezza incarnata di una divinità. Grazie a questa
visione egli si è corretto, ha smesso di essere un petit-maitre. La bambola è una silfide che è
in grado di correggere i difetti morali e fisici, il contatto con gli umani consente, secondo la
tradizione, di renderle immortali e allo stesso tempo di mescere la propria sostanza con
quella dei mortali, solo se le silfidi sono in grado di correggere i difetti del mortale che hanno
scelto. La silfide incarnata nella bambola svela tutto questo all’abate. C’è un misto di paura,
di meraviglia, di sorpresa che invadono tanto il lettore (abituato alla silfide, ma non ad essa
incarnata in una bambola) che il protagonista. La Poupée si collocano al margine dei
romanzi alla moda del ‘700. E’ un romanzo particolare che la critica ha studiato da poco,
soprattutto grazie a Francesca Pagani, che anticipa i grandi visionari dell’800 come
Chateaubriand e Hugo in Francia o Hoffmann in Germania.
Nella Poupée, la silfide ha il compito di ravvedere la “classe” degli abati, giovani vanesi e
inconsistenti, cui apparteneva anche Philandre, ai limiti dell’ambiguità sessuale, che
passavano il tempo a corteggiare giovani donne, vantandosi sfrontatamente di riceverne i
favori.
Philandre nella duplice veste di interlocutore e di narratore che ricopre nella storia
bibienesca, racconta le numerose peripezie che hanno accompagnato la sua “istruzione” e
illustra i molteplici casi che la silfide gli ha sottoposto come modelli da evitare o da seguire,
per accreditarsi legittimamente nel ruolo di educatrice. Tra gli esempi che gli ha proposto,
egli ricorda le peripezie che sono capitate ad un altro abate, Damis, un cattivo allievo che
non voleva seguire i suoi suggerimenti e che per questa ragione fu duramente punito. Evoca
le schermaglie amorose di due giovani sposi che rappresenta ciò che occorre seguire nella
vita matrimoniale. Nel romanzo vengono visualizzate le diverse narrazioni che vengono
riportate che costituiscono per Philandre una serie di lezioni tenute dalla bambola, è una
sorta di compito didattico della bambola, dove il morale, il piacere e la passione si
intrecciano. E’ una teoria cum pratica. Le lezioni progrediscono e Philandre è sempre più
desideroso della bambola; più il desiderio aumenta, più la silfide può trasformarsi in una
donna umana. La bambola finisce per rimpicciolirsi, si trasforma prima in una gatta, poi in
modo perturbante in una bambina innocente, poi man mano diventa una adolescente che
sviluppa la malizia e finalmente si trasforma in una donna adulta consapevole e matura, che
continua a dedicarsi all’educazione di Philandre, una volta terminato questo percorso
raggiunge l’immortalità.
Nel La Poupée ciò che causa stupore è il corpo femminile in miniatura meccanico che viene
esibito e che è da una parte un simulacro (somiglia ad un essere umano), ma dall’altro viene
feticizzato poiché si può scomporre essendo meccanico e può essere un oggetto di
desiderio impuro. La bambola silfide è soggetto di un progetto più grande tra l’umano e il
sovrumano, giungere all’immortalità, far diventare l’umano un oggetto di un progetto che va
al di là del mondo terreno. E’ il simbolo della relazione tra un essere umano e uno non
umano. E’ ai limiti dell’umano, anticipa gli automi di Hoffmann e quelli presenti nell’Eva
Futura di Villiers de l’Isle-Adam. E’ anche un modello di sperimentazione scientifica per gli
artigiani dediti a capire i meccanismi del vivente. E’ anche l'emblema del prometeico
tentativo dell’uomo di accedere ai poteri divini per conoscerne i misteri. La bambola divina
non accede a nessuna verità, il desiderio infinito di conoscenza è una scommessa destinata
a restare a lungo senza risposte: non le resta che prendere atto della sconfitta e rifugiarsi
negli scenari malinconici e sublimi della fantasia.

“...più guardavo più mi sentivo fuori di me…” L’effetto educatore della bambola stava già
facendo effetto: da una parte attrarre a sé l’umano e poi educarlo. Philandre si sta già
trasformando in altro, la bambola lo vampirizza. E’ inquietante e meravigliosa allo stesso
tempo. C’è il perturbante. E’ lei che prende lui, l’attrazione fatale si è già compiuta.

Prova emozioni per una bambola che è esposta in un negozio e che lui non possiede: viene
rappresentata l’erotizzazione della merce esposta (l’esposizione nella vetrina è
imprescindibile per la seduzione-iniziazione operata dalla bambola che è di fatto una silfide).
Un altro episodio analogo è presente nella vetrina di Honoré de Balzac (La Comédie
Humaine - 99 romanzi). Di fatto la vetrina della bottega di un antiquario, luogo di confluenza
di tutti i possibili oggetti del desiderio, centro gravitazionale delle passioni e in cui si imbatte
Raphael all’inizio della Peau de chagrin (1831). Il giovane disperato e deciso al suicidio,
avendo perduto tutto al gioco, si lascia attrarre dalle luci del negozio ancora illuminato a
tarda notte, ciò che lo indurrà ad entrare. Raphael si convince ad acquistare la pelle di
zigrino (erotizzazione della merce), in grado di esaudire qualunque desiderio e di porsi come
sintesi di tutto l’accumulo di merci-desiderio raccolte nella bottega dell’antiquario, ma
purtroppo al prezzo di un progressivo restringimento che consuma l’esistenza e il desiderio
al tempo stesso: la pelle, come un vampiro, succhierà la vita al giovane, contraendosi man
mano che i desideri verranno esauditi. Il protagonista per non morire, deve costringersi a
non desiderare.
Balzac scrive sui trattati di moda e un anno prima (1830) aveva scritto che “diventando un
dandy, un uomo diventa un mobile da boudoir (salotto), un manichino estremamente
ingegnoso (ovvero: un manichino da boutique). La stessa osservazione verrà fatta da
Barbey d’Aurevilly in Du Dandysme et de George Brummell” (1845) dove affermerà che
George Brummell riuscì ad elevarsi al rango di una ‘cosa’. Ancora in questa prospettiva
legata all dandismo dell'epoca, indispensabile è il ricorso al romanzo À rebours (a ritroso,
controcorrente) (1884) (apre il decadentismo) di Joris Karl Huysmans nel quale il
dandy-esteta Des Esseintes rifiuta ogni rapporto interpersonale ed elegge a suo esclusivo
interlocutore il mondo inanimato delle 'cose’. Tre anni prima di A rebours (1884), Joris-Karl
Huysmans scrive con Léon Hennique una pantomima intitolata Pierrot sceptique. Nel testo,
Pierrot tenta di avvicinarsi a una bambola da vetrina che gli si rifiuta provocando una collera
assassina, irrilevante nella sostanza, dato che la sidonie alla quale dà fuoco "s'étale" e in
sua vece compare una bambola Thérèse in cartone da merceria. Le bambole-simulacro,
oggetto della passione di Pierrot, che in questa versione mantiene il suo volto bianco e
indossa una veste nera, sono strumenti programmatici per sottolineare la logical celibe del
dandy: una mente desiderante, scissa, e per scelta, da un abito-corpo sempre in nero
indicatore del culto dell'infecondità e dell'amore per l'inorganico. Pierrot con i suoi colori
bianco e nero dà l’idea esatta del dandy. Il dandy deve fare di sé stesso un'opera d’arte.
Dandy: nasce dalla classicità, è colui che si distingue e che tradisce sempre le aspettative di
chi lo osserva. Colui che seppur vestito in bianco e nero, con cilindro, papillon e bastone da
passeggio, porta un eleganza unica, destabilizza l’osservatore perché tradisce sempre le
aspettative.

Argomenti considerati:
- Potere della vetrina; (dalla grande messa in scena delle merci delle Esposizioni
Universali fino alla nascita dei grandi magazzini, delle vetrine e dei negozi parigini;
- Invenzione del corpo-vivente-manichino grazie a Charles Frederick Worth;
- Dai bibelots-manichino-corpi-simulacro in vetrina alla prima comparsa della
bambola in vetrina nella letteratura francese, con un importante nota sul
dandismo;
- la comparsa della merce e della bambola nel romanzo francese.

Il potere della vetrina all'Expo del 1851 a Londra nel Crystal Palace, è presente merce molto
diversa. Le merci provengono da ogni parte del mondo, segnalate dalle bandiere. L’Expo si
tiene nelle grandi città europee, ma soprattutto nelle realtà londinesi e parigine.
A Parigi nel 1860 nascono i grandi magazzini, abbiamo un affiche del nuovo edificio dei
Grands Magasins du Bon Marché, costruito nel 1869, di cui fu tappezzata tutta Parigi. La
nuova costruzione era pubblicizzata da cartoline. L’esposizione delle merci sarà presente
nella letteratura dell’epoca.

Honoré de Balzac, La peau de chagrin: chagrin vuol dire dolore, la pelle che porta dolore.
Lo zigrino è una pelle rara (pesce cane, razze) ricoperta da minuscole scaglie che hanno la
punta rivolta verso l’alto e sono ricoperte di smalto. Avevano tanti usi: ricoprire oggetti
ornamentali. Può essere anche pelle di altri animali che viene conciata e usata per rivestire
dei libri. La pelle potrebbe provocare dolore. Raphael sta per suicidarsi perché soffre della
dipendenza dal gioco e ha perso tutto al gioco d’azzardo. Prossimo al suicidio si fa sedurre
dalle luci del negozio di u antiquario e compra le pelle di zigrino che può esaudire i suoi
desideri, ma è un altro gioco d’azzardo, perché esaudendo i desideri si restringe e
diminuisce anche la vita di chi la possiede, portandolo alla morte. Raphael deve quindi
obbligarsi a non desiderare. La pelle è in grado di attrarre e vampirizzare a sé, lato
perturbante. Raphael non supera la sua dipendenza, entra in un altro gioco. L’uomo è una
creatura desiderante. Ricorda il Ritratto di Dorian Grey - Oscar Wilde (1890), Goethe - Faust
(1808).

HONORÉ DE BALZAC - TRAITE’ DE LA VIE ÉLÉGANTE (1830)


Diventando un dandy, un uomo diventa un mobile da boudoir, un manichino estremamente
ingegnoso (ovvero un manichino da boutique). L’uomo diventa una cosa, un oggetto da
boutique. Balzac scrive per vivere, per pagare i propri debiti. Idealmente vorrebbe imporsi,
non solo tramite la scrittura, ma non ha la fisicità giusta per farlo ed è sbadato.

BAREY DE AUREVILLY - DU DANDYSME ET DE GEORGE BRUMMELL (1845)


Farà la stessa osservazione di Balzac, quando arriverà ad affermare che Brummell riuscì ad
elevarsi al rango di una “cosa”.
George Bryan Brummell, detto Beau Brummell, è inglese ed è un celebre dandy londinese,
muore nel 1840. E’ figlio di un ricco impiegato, e frequenta Oxford, entra nelle grazie del
Principe di Galles futuro Giorgio IV (che non era elegante e non aveva un fisico prestante)
perché diventa il modello da seguire per essere eleganti, Brummell si distingueva per
raffinatezza, sobrietà e sprezzatura (freddezza dell’atteggiamento). Litiga con il principe e
viene dimenticato, ma rimane nella storia, il mito Brummell si trasferisce in Francia e entra
nel dibattito letterario e filosofico perché il dandy è l’opposto del letterato, che è messo alla
pari di qualsiasi altro lavoratore in quella società.

JORIS-KARL HUYSMANS - A’ REBOURS (1884)


Il dandy esteta Des Esseintes rifiuta ogni rapporto interpersonale ed elegge a suo esclusivo
interlocutore il mondo inanimato delle cose. Lui stesso è il simulacro di sé stesso.
Nel 1884 una giovane fanciulla (24 anni) che non ha ancora conosciuto il mondo e deve
scrivere con uno pseudonimo maschile (Rachide) scrive Il Signor Venere (Monsieur Vénus)
non tradotto in italiano, Venere-Afrodite è la bellezza incarnata, c’è l’inversione dei ruoli
tipica dei romanzi ottocenteschi, c’è una donna mascolinizzata e un uomo femminilizzato. La
protagonista aristocratica che sa usare la spada, va ai balli, si innamora di un fioraio, lei si
veste da uomo e questo fioraio è estremamente femminile. Il fioraio finisce per vivere a casa
della protagonista, vampirizzato da lei, che è il signor Venere, il rapporto tra i due è
soddisfacente, ma finisce tragicamente perché il fioraio viene ucciso e lei disperata chiama
un chirurgo tedesco e vive nel lutto perenne, costruisce sotto alla propria casa un rifugio,
una cappella profana, in cui si reca ogni sera perché c’è il fioraio che grazie al chirurgo è
identico a quando era in vita, perché è imbalsamato (simulacro-automa-manichino ma anche
feticcio) e tramite un’ingegnosa strumentazione meccanica, i due tutte le sere si abbracciano
e possono baciarsi. Qui rientra l’estetismo al femminile, il simulacro e il feticcio.

HUYSMANS E HENNIQUE - PIERROT SCEPTIQUE (1881)


E’ una pantomima, Pierrot si innamora di una bambola che non vuole stare con lui, allora lui,
che di solito è buono, si infuria e volendo ucciderla, le dà fuoco ma questa si trasforma in
una salamandra ed evapora e gli si piazza davanti un’altra bambola in cartone, Thérèse.
Pierrot è vittima di una bambola simulacro. Ha il volto bianco, ma non è vestito di bianco
come al solito, bensì di nero. E’ legato al dandy, poiché per arrivare al ruolo di cosa, non
deve coniugarsi con nessuno. Il dandy è infecondo per natura, è unico e irripetibile, non può
avere una copia di sé (figli). Pierrot si innamora di una cosa e simboleggia l’infencodità e
l’amore per l’inorganico.

AUGUSTE BOUQUET - ritratto di JEAN-GASPARD DEBUREAU nei panni di Pierrot (1830).


FELIX NADAR, CHARLES DEBURAU come PIERROT (1845).

BAUDELAIRE - MON COEUR MIS À NU: JOURNAL INTIME, 1887


Ci troviamo nel secolo più misogino della letteratura, c’è una distanza dalla donna, in
funzione dell’assimilazione della donna alla natura, feconda, ridotta al suo solo corpo.
Ridotta alle funzioni organiche del corpo (mangiare e bere). Donna = natura. Uomo =
cultura. Il dandy che idealmente assume su di sé sia il maschile che il femminile (in funzione
dell’estetizzazione della sua persona) contiene in sé la donna. La donna è sottratta al ruolo
di essere culturale, di mente pensante. La donna è vampirizzante, prende le forme seducenti
del diavolo. C’è la separazione della mente e del corpo, come se vivessero in due emisferi.
La donna viene relegata e assegnata al mondo animale e al suo solo corpo. La donna, che è
solo corpo, è sottratta al mondo umano, viene trattata come una cosa e come una bambola,
come un simulacro, per tenerla lontana.
Jeanne Duval, mulatta, donna amata da Baudelaire che è il diavolo e sua madre che è un
angelo.

VICTOR HUGO - LES MISÉRABLES (1862)


Cosette è uno dei personaggi principali del romanzo. E’ il romanzo più letto del tempo.
La storia va dalla Francia della Restaurazione alla Francia dopo Napoleone. Cosette è la
figlia illegittima di una coppia troppo povera e viene affidata ad un coppia che si prendesse
cura di lei. La madre di Cosette continua a spedire i suoi risparmi alla famiglia che li usa per
ripagare i debiti. Cosette viene trattata come una schiava. Jean Valjean si impegna a curare
Cosette dopo la morte della madre per cercare di salvarla da questa famiglia. Cosette verrà
perseguitata dalla polizia con Jean Valjean, un ladro buono. Jean la tratterà come una figlia
e lavorerà in un convento in cambio di farla educare. Cosette si innamora di un gentiluomo e
si sposano.
Cosette vede una bambola in un negozio. E’ un incontro triste. C’è il desiderio di quello che
non potrà mai avere, perché la bambola è una merce e lei è in miseria. Quella bambola
rappresenta ciò che lei non può essere. Cosette è una bambola. Il suffisso -ette è il
diminutivo in francese che corrisponde a -ina. Viene trattata come una cosa. Il nome deriva
da chose, è usato appositamente da Hugo perché è una bambina e perché viene sfruttata.

Potrebbero piacerti anche