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A proposito di…
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MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


LA CATECHESI
EDUCA ALLA GIOIA
EVANGELICA
Riflessioni teologico-pastorali
a partire dall’Esortazione
Evangelii Gaudium
 
Giuseppe Alcamo
Rosario La Delfa
Vincenzo Lombino
Luciano Meddi
Ubaldo Montisci
Antonio Parisi
Sergio Tanzarella
Carmelo Torcivia

a cura di
Giuseppe Alcamo

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ISBN eBook PDF 9788831561204
ISBN eBook epub 9788831561211
ISBN volume cartaceo 9788831545235

PAOLINE Editoriale Libri


© FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014
Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano
www.paoline.it
edlibri.mi@paoline.it

Copertina: immagine di F. Vignaga,


dettaglio da Le dieci Marie... e l’angelo bambino, di A. Magni
Paoline 2009.

Prima edizione digitale 2014


Realizzazione a cura della Redazione
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INTRODUZIONE

Anche, ma non solo!

« Fratelli e figli carissimi, non è forse normale che


la gioia abiti in noi allorché i nostri cuori ne con-
templano o ne riscoprano, nella fede, i motivi
fondamentali? Essi sono semplici: Dio ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito;
mediante il suo Spirito, la sua presenza non cessa
di avvolgerci con la sua tenerezza e di penetrarci
con la sua vita; e noi camminiamo verso la beata
trasfigurazione della nostra esistenza nel solco
della resurrezione di Gesù »1.

Così, scriveva Paolo VI, in una Esortazione


pastorale del 1975, nel corso dell’anno santo, per
richiamare al rinnovamento interiore e alla ricon-
ciliazione, invitando a implorare dallo Spirito il
dono della gioia.
Una gioia, quella di cui parlano Paolo VI e
Francesco, ma anche Giovanni Paolo II e Benedet-
to XVI, per citare solo il magistero degli ultimi
pontefici, radicata in Dio, accolta come dono e
vissuta come sfida alle difficoltà della vita quoti-

1
Paolo VI, Gaudete in Domino. De christiano gaudio, 9 maggio
1975, in EV 5 (1974-1976) 1309.

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diana; una gioia quella cristiana che si contrappo-
ne ai piaceri della logica di una vita comoda e
superficiale, che cerca il futile e non si assume le
proprie responsabilità.
Per l’uomo, in quanto uomo, la gioia non è
un di più, qualcosa di cui potrebbe fare a meno; è
il motivo per cui ogni giorno si affatica e lotta,
magari anche, qualche volta, sbagliando strada o
identificandola con qualcosa che lo porta lontano
da essa; l’uomo per tutta la vita cerca la gioia e non
trova serenità al di fuori di essa.
Ma, la gioia cristiana di cui parla Francesco
è altro e si fonda sull’Altro, ha il sapore della san-
tità, percorre la via della fedeltà, esprime la scelta
personale di vivere fino in fondo la fedeltà al Van-
gelo, e, consapevole dell’umana fragilità, pone la
sua sicurezza in Colui che tutto può.
La gioia cristiana non teme di essere rubata
da qualcuno, perché solo chi la possiede, deciden-
do di vivere contro di essa, se ne può privare;
trova la sua dimora nel cuore dell’uomo, ma la sua
origine non è nell’uomo. La gioia cristiana per-
mette di vivere su un’altra dimensione, quella di
Dio, apre altre prospettive che sono contagiose e
invitano alla sequela.
 
L’Evangelii Gaudium, in continuità con quan-
to Paolo VI ha detto, è anche, ma non solo, una
Esortazione postsinodale, come conclusione del
XIII Sinodo dei vescovi, dedicato alla nuova evan-
gelizzazione per la trasmissione della fede cristiana:

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« Ho accettato con piacere l’invito dei Padri sino-
dali di redigere questa Esortazione. Nel farlo, rac-
colgo la ricchezza dei lavori del Sinodo. Ho con-
sultato anche diverse persone, e intendo inoltre
esprimere le preoccupazioni che mi muovono in
questo momento concreto dell’opera evangelizza-
trice della Chiesa » (EG 16).

A partire da quanto i Padri sinodali hanno


proposto all’attenzione di papa Francesco, l’Esor-
tazione, alla luce della Lumen Gentium, intende
andare oltre e affrontare i seguenti temi: « La ri-
forma della Chiesa in uscita missionaria. Le ten-
tazioni degli operatori pastorali. La Chiesa intesa
come la totalità del popolo di Dio che evangelizza.
L’omelia e la sua preparazione. L’inclusione socia-
le dei poveri. La pace e il dialogo sociale. Le mo-
tivazioni spirituali per l’impegno missionario »
(EG 17).
L’Evangelii Gaudium è il nuovo programma
pastorale che il Papa venuto « dalla fine del mon-
do », all’inizio del suo ministero, indica alla Chie-
sa del terzo millennio; il gesuita J. Bergoglio,
chiamato a presiedere la carità e la missione della
Chiesa, che ha scelto il nome di Francesco per
indicare la priorità dei poveri dentro la vita della
stessa Chiesa, chiede a tutti i singoli cristiani e alle
Chiese locali come un ri-centramento della vita
cristiana attorno alla gioia del Vangelo e a tutte le
sue implicanze.
Papa Francesco, con questa Esortazione,
prende di petto le Chiese locali e in esse i singoli
cristiani, a partire da coloro che hanno ricevuto il

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dono della vocazione al ministero ordinato, per
porli di fronte alla responsabilità storica di mo-
strare a tutti un Vangelo gioioso, senza burocrazia
e formalità, capace di attrarre a sé ogni uomo che
cerca gioia e pace; non teme, per esempio, di di-
chiarare « disonesti e irresponsabili » tutti coloro
che svolgono l’omelia senza un’adeguata prepara-
zione; questa è per il Vescovo di Roma l’autentica
evangelizzazione che la Chiesa è chiamata a fare,
se vuole restare fedele al suo Signore e Maestro.
 
La Facoltà Teologica di Sicilia, coinvolgen-
do docenti di diverse realtà accademiche e le
Chiese locali dell’Isola, desidera entrare nella stes-
sa tensione spirituale ed ecclesiale del Santo Pa-
dre, per dare un apporto di approfondimento e di
applicazione di questo nuovo programma, in
modo da promuovere una vita cristiana vissuta
nella gioiosa fedeltà al Vangelo.
Gli interventi dei noti teologi, pastoralisti e
catecheti, pur nella diversità di linguaggi e stili,
permettono un originale accesso all’Esortazione e
ne favoriscono la comprensione di tutta la ric-
chezza, facendo riecheggiare il nuovo stile pasto-
rale in cui papa Francesco ci ha introdotti e met-
tendo in evidenza come l’Esortazione si fonda
sulla più solida tradizione della Chiesa.
I primi due studi, di G. Alcamo e S. Tanza-
rella – « La catechesi: dall’Evangelii Nuntiandi
all’Evangelii Gaudium » e « Dalle categorie conci-
liari all’Evangelii Gaudium » – hanno l’obiettivo di

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far cogliere come l’Esortazione di papa Francesco
porta dentro tutto il travaglio della Chiesa post-
conciliare e, andando oltre, rilancia la sua missio-
ne; si vuole dimostrare come papa Francesco attua
un radicamento e un superamento dell’evento
Concilio, mettendo a frutto i cinquant’anni di
storia che la Chiesa ha vissuto.
Le tematiche conciliari e il successivo svi-
luppo catechetico vengono colti in relazione a
tutto il percorso storico della Chiesa, affermando
che l’Evangelii Gaudium è un punto di non ritor-
no, non può essere considerato uno dei tanti do-
cumenti della Chiesa, che dopo averlo letto può
essere archiviato per passare oltre; la riflessione
che Francesco sviluppa nella sua prima Esortazio-
ne vuole mettere in moto le Chiese locali, e in esse
destare dal torpore e dalla mediocrità la vita quo-
tidiana delle parrocchie e dei singoli cristiani.
Per questo rilancio della vita della Chiesa,
si ritiene importante rispondere a tre domande:
Quale ecclesiologia anima il pensiero di France-
sco? Quale idea di teologia pastorale sottostà a
tutto il discorso che papa Bergoglio sta sviluppan-
do nel suo ministero? In che relazione sono poste
dal Papa le direttive morali rispetto alle norme
morali?
Gli interventi di R. La Delfa, C. Torcivia e
A. Parisi – « La Chiesa nella sua fede. Individua-
lità nell’unità », « Per una criteriologia teologico
pastorale della dottrina e dell’agire pastorale » e
« Crescere nella fedeltà allo stile di vita del Vange-

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lo » – si propongono di rispondere alle tre doman-
de e accompagnare il lettore nella comprensione
ecclesiologica, teologico-pastorale e morale di
tutta la vita cristiana.
In altri termini, si vuole ribadire che la vita
cristiana non è una camicia di forza che opprime e
ingabbia, che schiaccia con le sue esigenze e, che,
in fondo, risulta invivibile. Attraverso l’Esortazione
Evangelii Gaudium, papa Francesco dice all’uomo
di oggi che vivere il Vangelo non solo è possibile,
ma è quanto di più bello, più giusto, più vero, più
gioioso l’uomo possa fare; è un’avventura d’amore
che apre prospettive di futuro e dona speranza che
non tramonta; nessuno ne è escluso e ciascuno a
suo modo, nell’originalità della sua vita, può in-
camminarsi per questo sentiero di vita piena.
In questa proposta di vita evangelica un
ruolo determinante è dato al discernimento e
all’accompagnamento dei singoli e delle comuni-
tà; si tratta, per la Chiesa, di elaborare progetti
educativi su misura, che permettano a tutti di
crescere e maturare, che pongano davanti a tutti
l’ideale evangelico come una meta verso cui in-
camminarsi gradualmente, sostenuti dalla grazia
di Dio e dall’amore fraterno, dentro la vita delle
Chiese locali.
Gli interventi di L. Meddi e di U. Montisci
– « Parrocchia, Associazioni, Movimenti: espres-
sioni dell’unica missionarietà della Chiesa » e
« L’annuncio evangelico tra Omelia, Catechesi e
Mistagogia » – mettono a tema le « strutture » e le

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« forme » con cui la Chiesa nel tempo si è posta a
servizio del Vangelo, per mostrarne la loro attua-
lità e forse anche qualche ruga da cui tentare di
liberarsi. Un’articolata riflessione che fa cogliere
lo sviluppo della categoria « missione » dentro il
contesto ecclesiale postconciliare e pone l’Evan-
gelii Gaudium come punto di arrivo per una nuo-
va consapevolezza ecclesiale.
Il Vangelo non può essere vissuto e annun-
ciato in forma rigida, stereotipata, con orpelli e
caricature; bensì, andando all’essenziale, liberan-
dolo da tutte le incrostazioni storiche che lo ap-
pesantiscono.
Papa Francesco sostiene che la vita della
Chiesa va continuamente verificata per attuare
potature e innesti; la logica del « si è fatto sempre
così » non può essere assunta a criterio di validità
e di fondamento per le scelte storiche con cui la
Chiesa vive e annuncia il Vangelo; tutto ciò che
diventa nel tempo ostacolo o non risponde più
alla motivazione originaria per cui è stato prodot-
to bisogna trovare il coraggio e la forza di rinno-
varlo o eliminarlo.
Dalla Esortazione viene indicata, proprio a
partire dalla natura missionaria della Chiesa, la
necessità di una struttura ecclesiale leggera, snel-
la, mobile, capace di rinnovarsi senza irrigidimen-
ti, senza paure o pregiudizi e senza altre motiva-
zioni se non una maggiore fedeltà al Vangelo.
Infine, a mo’ di conclusione, l’intervento del
patrologo V. Lombino, fa cogliere la profonda

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sintonia tra i Padri della Chiesa e la spiritualità di
papa Francesco.
L’esortazione Evangelii Gaudium, con i suoi
cinque capitoli, suddivisi in 288 numeri, è un
punto di non ritorno per la Chiesa del XXI secolo,
perché con un linguaggio che supera tutte le bar-
riere culturali, permette di accedere alla dinamica
ricchezza della fede della Chiesa e provoca il let-
tore a un’audace adesione per riscoprire la gioia
di vivere, lasciarsi incontrare da Lui e cercarlo
ogni giorno senza sosta.
« Perché non entrare anche noi in questo
fiume di gioia? » (EG 5).
 
Giuseppe Alcamo
 
 

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LA CATECHESI:
DALL’EVANGELII NUNTIANDI
ALL’EVANGELII GAUDIUM
Giuseppe Alcamo

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Giuseppe Alcamo, presbitero della Chiesa di Mazara del
Vallo, è docente di Catechetica e di Introduzione al Cristianesi-
mo presso la Facoltà Teologica di Sicilia. È stato parroco della
Basilica Cattedrale e direttore dell’ufficio catechistico diocesano;
dal 2003 al 2012 è stato direttore regionale del centro di evan-
gelizzazione e catechesi della CESI. Con Paoline ha pubblicato:
Noi ragazzi di oggi (2009); Associazioni e movimenti ecclesiali.
Formazione, catechesi e dinamiche educative (2011); (a cura di)
Il compito educativo della catechesi. Il contributo del Documento
di base (2011); Abbiamo incontrato il Signore (2012); Il profeta
Elia. La voce scomoda di Dio (2013); Il Dio di Gesù Cristo. Nella
lettera ai Galati (2014).
 
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L’ Esortazione Evangelii Gaudium (EG) può
essere letta come il punto di arrivo di un percorso
di rinnovamento catechetico, iniziato con pochi
riferimenti nei documenti del concilio Ecumenico
Vaticano II, ma che ha avuto nell’Evangelii Nun-
tiandi (EN) una prima significativa e insostituibi-
le tappa.
Lo studio sul confronto tra le due Esorta-
zioni apostoliche, che abbracciano la quasi tota-
lità del tempo che ci separa dal concilio Vaticano
II, si impone non solo perché l’Esortazione di
Francesco molte volte fa riferimento esplicito e
implicito all’Esortazione di Paolo VI, ma perché,
così come ha fatto Paolo VI nell’immediato post-
concilio, anche Francesco sta indicando alla Chie-
sa un duplice movimento: uscire dagli schemi
interpretativi consueti e cercare paradigmi cultu-
rali inediti.
Papa Francesco, con l’Esortazione apostolica
EG, offre alla Chiesa una originale ermeneutica su
come annunciare il Vangelo nella società postmo-
derna e indica un preciso modello ecclesiologico:
una Chiesa fedele al Vangelo, « aperta », « gioiosa »,

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« in uscita », che sappia andare incontro ai lontani,
con una attenzione preferenziale per i poveri.
L’Osservatore Romano, sottolineando l’origi-
nalità, lo stile e il carattere programmatico del
documento, riporta i commenti della stampa in-
ternazionale alla EG e fa notare che il testo ci
giunge con le ormai familiari e colorite espressio-
ni del linguaggio « casereccio » di Francesco1.
Questo linguaggio immediato e plastico,
che si imprime nella memoria di tutti coloro che
ascoltano o leggono, superando ogni barriera
culturale, esprime non debolezza contenutistica
né approssimazione concettuale, bensì profonda
assimilazione, notevole capacità di comunicazio-
ne, desiderio di introdurre dentro un’esperienza
mistica, che deve diventare sempre più familiare.
Solo chi ha fatto esperienza prolungata di
preghiera personale e di condivisione evangelica,
può arrivare a questo livello di comunicazione, che
supera, va oltre la preoccupazione teorica di offrire
contenuti completi o di difendere l’ortodossia.
Direbbe Christoph Theobald, un linguaggio
che non si lascia « paralizzare dalla complessità
del messaggio cristiano, scoraggiare da quei giri
dell’oca che sono i nostri grandi catechismi, nei
quali ci si orienta con la stessa difficoltà di uno
straniero nelle stazioni di Parigi »2.

1
L’Osservatore Romano, 28 novembre 2013, p. 5.
2
C. Theobald, Trasmettere un vangelo di libertà, EDB, Bologna
2010, p. 15.

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Mi accosto alle due Esortazioni per cogliere
il « sapore » della catechesi dentro la totalità della
vita ecclesiale; voglio come intravedere le sfuma-
ture di colori che la catechesi assume alla luce
dello splendore della risurrezione.
Nell’alba nuova, del giorno senza tramonto,
che il Risorto ci dona di vivere, voglio affacciarmi
per contemplare come Francesco indica alla Chie-
sa del terzo millennio di andare incontro all’uomo,
a ogni uomo, per annunciargli: Cristo è risorto ed
è apparso ai cristiani di tutti i tempi, dentro il
contesto della vita quotidiana.

1. L’Evangelii Nuntiandi nell’Evangelii Gaudium

In un articolo su L’Osservatore Romano, im-


mediatamente successivo alla pubblicazione
dell’EG, così scrive Gualtiero Bassetti:
« Forse mai come oggi si ha la percezione concre-
ta di vivere in un eccezionale e delicatissimo pe-
riodo di transizione storica. Un momento di pas-
saggio caratterizzato da profondi mutamenti
culturali, geopolitici ed economici che, veloce-
mente e bruscamente, stanno ridisegnando la geo­
grafia morale e culturale del mondo in cui vivia-
mo. In questo particolare crinale della storia,
l’esortazione apostolica EG assume un’importanza
fondamentale. Importanza che supera la stessa
dimensione programmatica del testo e si innesta
nella consapevolezza del senso della storia, che è
storia della salvezza. La linea di collegamento tra
il Concilio, la sua costituzione dogmatica sulla

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Chiesa, Lumen Gentium, l’Esortazione apostolica
di Paolo VI Evangelii Nuntiandi e il testo di papa
Francesco si combina con il binomio evangelizza-
zione e Chiesa missionaria che è alla base della
Evangelii Gaudium »3.

Papa Francesco cita l’EN esplicitamente in


dieci numeri; quest’ultima risulta essere il docu-
mento più citato, insieme al documento della XIII
Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei
Vescovi sul tema La nuova evangelizzazione per la
trasmissione della fede cristiana, del 7-28 ottobre
2012, che è il contesto storico di base da cui pren-
de spunto la nascita dell’Esortazione EG.
L’EN viene chiamata in causa da Francesco
all’inizio della sua Esortazione per affermare « la
dolce e confortante gioia di evangelizzare », aven-
do come modello lo stesso Gesù, « il primo e più
grande evangelizzatore » (nn. 10 e 12).
Il « gaudio » a cui costantemente richiama
l’Esortazione non è un generico sentimento psi-
cologico, ma è la gioia della persona rinata, della
salvezza incontrata e sperimentata nella vita di
grazia, della misericordia che perdona i peccati se
anche noi lo vogliamo, della luce che la fede in
Gesù Cristo getta su tutta la nostra vita personale,
familiare, comunitaria, sociale; è il gaudio che
viene dato all’uomo che accoglie il dono dello
Spirito, equivale a quella pace che il Risorto porta

3
G. Bassetti, L’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi. Dinami-
smo del rinnovamento, in L’Osservatore Romano, 29 novembre 2013, p. 1.

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dentro la Chiesa nascente, così come ci testimonia
la Scrittura.
Poi si cita l’EN in riferimento alla pietà po-
polare, come via « che solo i semplici e i poveri
possono riconoscere » (n. 123). La presenza più
consistente delle citazioni dirette dell’EN è dentro
il trattato sull’omelia, nella seconda e terza parte
del capitolo terzo, ai numeri 150-158. Infine, l’ul-
tima citazione diretta è presente nel quarto capi-
tolo per affermare la dimensione sociale dell’evan-
gelizzazione.
Devo però far notare, che aldilà delle singo-
le citazioni dirette, chi accosta l’Esortazione di
Francesco sente come un continuo richiamo all’e-
sortazione di Paolo VI, come se si volesse incide-
re nella vita della Chiesa di oggi con la stessa
forza e in modo inedito con cui ha inciso Paolo VI
con l’EN.
Papa Francesco ripropone, in questa sua
esortazione, il binomio che ha caratterizzato lo
sviluppo della pastorale negli anni ’70, evangeliz-
zazione e promozione umana, come dinamica di
una fede che determina lo svolgersi della vita
umana ed ecclesiale:
« Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima con-
nessione tra evangelizzazione e promozione umana,
che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi
in tutta l’azione evangelizzatrice » (EG 178).

Le due Esortazioni non sono un trattato di


catechetica, ma fanno riferimento alla catechesi
perché nell’orizzonte pastorale nuovo, contengo-

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 19

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no molti aspetti che riguardano, direttamente o
indirettamente, la prassi catechistica della Chiesa;
così come il Concilio nella complessità dell’even-
to fu per tutta la Chiesa una catechesi in atto, le
due Esortazioni sono testi catechetici perché con-
notati dall’incontro con Gesù Cristo, il Salvatore
e il Misericordioso.

La catechesi nell’Evangelii Nuntiandi4

Nel 1974 fu tenuto il Sinodo sull’evangeliz-


zazione nel mondo contemporaneo5; per dare
espressione unitaria alla documentazione prodot-
ta dal Sinodo, Paolo VI, l’8 dicembre 1975, pub-
blica l’Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi6.
A dieci anni dalla chiusura del Concilio la
Chiesa riflette sulla sua fondamentale missione:
come evangelizzare nel mondo contemporaneo; il
tema specifico del Sinodo e della successiva esor-
tazione è l’evangelizzazione, intesa in senso am-
pio, tanto da abbracciare la totalità della vita del-
la Chiesa7.

4 Paulus PP. VI, Adhortatio apostolica Evangelii Nuntiandi de evan-

gelizatione in mundo huius temporis, 8 decembris 1975, AAS 68 (1976)


5-76. Nella trattazione faccio riferimento: EV 5 (1974-1976) 1008-­
1125.
5
27 settembre-26 ottobre 1974.
6
Per un commento Cfr. E. Testa et alii, L’annuncio del Vangelo
oggi. Commento all’Esortazione apostolica di Paolo VI « Evangelii Nuntian-
di », Pontificia Università Urbaniana, Città del Vaticano 1977.
7
Cfr. C. Colombo, Evangelii Nuntiandi, in Rivista di Teologia
dell’Evangelizzazione 4 (2000) 245-249.

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A venticinque anni dalla sua pubblicazione,
così viene scritto su La Civiltà Cattolica:
« Il Papa colloca il suo documento nella scia del
Vaticano II, della cui chiusura ricorreva il decimo
anniversario, e il cui scopo era “rendere la Chiesa
del XX secolo sempre più idonea ad annunciare il
Vangelo all’umanità del XX secolo” (n.2). Egli si
pone tre domande: Che ne è dell’energia nascosta
della Buona Novella, capace di colpire profonda-
mente la coscienza dell’uomo? Fino a che punto e
come questa forza evangelica è in grado di trasfor-
mare veramente l’uomo di questo secolo? Quali
metodi occorre seguire nel proclamare il Vangelo
perché la sua potenza raggiunga l’effetto? »8.

A partire dal quarto Sinodo dei Vescovi, il


termine evangelizzazione assume un significato
molto ampio: « È un processo complesso e dagli
elementi vari: rinnovamento dell’umanità, testi-
monianza, annuncio esplicito, adesione del cuore,
ingresso nella comunità, accoglimento dei segni,
iniziative di apostolato » (EN 24).
Negli anni ’70, diventa perciò normale par-
lare di « primato dell’evangelizzazione » nella pa-
storale della Chiesa, anche se si riterrà necessario
precisare il tipo di rapporti che intercorrono tra
evangelizzazione e catechesi, tra promozione
umana ed evangelizzazione.
L’affermazione dell’Esortazione secondo cui
solo « una Chiesa evangelizzata può evangelizza-

8
G. Salvini, A venticinque anni dalla « Evangelii Nuntiandi », in
La Civiltà Cattolica 3610 (2000) 357.

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 21

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re » diventa la chiave di lettura di tutta la pastora-
le ecclesiale; l’evangelizzazione, in questa accezio-
ne, implica un alto livello di assimilazione del
Vangelo nella vita delle comunità e dei singoli
cristiani che la compongono, si riferisce sia all’an-
nuncio della fede, sia alla realizzazione piena
della vita per opera del Vangelo.
In un certo senso si potrebbe dire che il
termine evangelizzazione diventa sinonimo di
« missione della Chiesa », cioè dell’intera funzione
e finalità della Chiesa verso i fedeli e della sua
presenza nel mondo; l’evangelizzazione è una
dimensione del credere: confessare la fede e ren-
dere testimonianza; non si può credere senza
evangelizzare; non si può evangelizzare senza
credere; già il solo credere evangelizza.
Paolo VI precisa che « nessuna definizione
parziale e frammentaria può dare ragione della
realtà ricca, complessa e dinamica, quale è quella
della evangelizzazione, senza correre il rischio di
impoverirla e perfino di mutilarla » (EN 17).
L’evangelizzazione viene colta come un pro-
cesso complesso e totale mediante il quale la
Chiesa, popolo di Dio, mossa dallo Spirito, an-
nuncia al mondo il Vangelo del regno di Dio,
rende testimonianza tra gli uomini del nuovo
modo di vivere, educa nella fede coloro che si
convertono al Vangelo, celebra nella comunità dei
credenti, mediante i sacramenti, la presenza del
Signore Gesù e il dono dello Spirito, e impegna e

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trasforma, con la sua forza, tutto l’ordine tempo-
rale. Testualmente Paolo VI scrive che « evange-
lizzare è la grazia propria della Chiesa, la sua
identità più profonda: essa esiste per l’evangeliz-
zazione » (EN 14).
Nella EN la catechesi viene considerata in-
direttamente, quasi di riflesso, ma si afferma il
convincimento che non è possibile attuare una
vera scissione tra le due dimensioni dell’annuncio
cristiano; al tema specifico della catechesi, Paolo
VI dedica solo il numero 44, intitolato appunto:
« la catechesi »; questa viene collocata in stretta
relazione all’evangelizzazione e indicata come una
sua « via », un « insegnamento sistematico » che
mira a « impartire abitudini di vita cristiana », ri-
chiede un metodo specifico e rispettoso dei desti-
natari: « I metodi devono essere adatti all’età, alla
cultura, alla capacità delle persone, nella costante
ricerca di fissare nella memoria, nell’intelligenza
e nel cuore le verità essenziali che dovranno im-
pregnare la vita intera ».
Papa Montini non si propone di offrire una
nuova visione di catechesi, anche se si accennano
ad alcune dimensioni che vanno oltre l’aspetto
contenutistico della fede da trasmettere e si parla
del catecumenato come forma peculiare di cate-
chesi che accompagna giovani e adulti a scoprire
il volto di Cristo.

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 23

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Lo sviluppo successivo: DGC e CT

Il Direttorio Generale per la Catechesi


(DGC)9, richiamandosi al numero 18 della Cate-
chesi Tradendae (CT), sviluppa quanto l’EN aveva
solo abbozzato e colloca la catechesi come « una
realtà ricca, complessa e dinamica che comprende
momenti essenziali e differenti tra loro » del pro-
cesso di evangelizzazione; « questo vuol dire che
vi sono azioni che preparano la catechesi e azioni
che ne derivano » (DGC 63).
Non si tratta solo di insegnamento ma di
iniziazione, « come anello necessario tra l’azione
missionaria, che chiama alla fede, e l’azione pasto-
rale che alimenta continuamente la comunità
cristiana » (DGC 64).
Una visione di catechesi non isolata, giu-
stapposta o dissociata dall’insieme di tutta la vita
pastorale, ma a servizio di essa come « via » pecu-
liare che stimola insieme intelligenza e cuore,
conoscenza ed esperienza, teoria e pratica.
Solo qualche anno dopo l’EN, Giovanni
Paolo II nella Esortazione pastorale Catechesi Tra-

9 Nel 1971, la Congregazione per il Clero elabora, a norma del

decreto Christus Dominus 44, il « Direttorio Catechistico Generale »,


per orientare le Chiese particolari nel cammino di rinnovamento della
catechesi, sia dal punto di vista dei contenuti che della pedagogia e
della metodologia. Il Testo, rivisitato dopo una vasta consultazione, sarà
riconsegnato nel 1997 con il titolo « Direttorio Generale per la Cate-
chesi ». Cfr. Sacra Congregatio Pro Clericis, Directorium Catechisticum
Generale. Ad normam decreti, 11 aprilis 1971, AAS 64 (1972) 2, 97-176;
Sacra Congregatio Pro Clericis, Directorium Generale pro Catechesi
Concilium Vaticanum II, 15 augusti 1997: LEV, Città del Vaticano 1997.

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dendae10, a conclusione del V Sinodo ordinario
della Chiesa postconciliare, celebrato da Paolo VI
nel 1977, così si esprime: « Ricordiamo prima di
tutto, che tra catechesi ed evangelizzazione non
c’è né separazione o opposizione, e nemmeno una
identità pura e semplice, ma esistono stretti rap-
porti d’integrazione e di reciproca complementa-
rietà » (CT 18).
La CT che ha avuto l’apporto di tre Papi,
determina con precisione i compiti e le finalità
della catechesi ecclesiale:
« Si vuole sottolineare, innanzitutto, che al centro
stesso della catechesi noi troviamo essenzialmente
una persona: quella di Gesù di Nazareth, “unigeni-
to dal Padre, pieno di grazia e di verità”, il quale ha
sofferto ed è morto per noi ed ora, risorto, vive per
sempre con noi. È Gesù che è “la via, la verità e la
vita” e la vita cristiana consiste nel seguire Cristo,
nella “sequela Christi”. L’oggetto essenziale e pri-
mordiale della catechesi è – per usare un’espressio-
ne cara a san Paolo, come pure alla teologia con-
temporanea – “il mistero del Cristo”. Catechizzare
è, in un certo modo, condurre qualcuno a scrutare
questo mistero in tutte le sue dimensioni: “Mettere
in piena luce l’economia del mistero... Comprende-
re con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghez-
za, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di
Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate
ricolmi di tutta la pienezza di Dio”. È, dunque,
svelare nella persona di Cristo l’intero disegno di

10
Ioannes Paulus PP. II, Adhortatio apostolica Catechesi Traden-
dae ad Episcopos, Sacerdotes et Christifideles totius catholicae Ecclesiae
de catechesi nostro tempore tradenda, 16 octobris 1979, AAS 71 (1979)
1277-1340.

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 25

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Dio, che in essa si compie. È cercare di comprende-
re il significato dei gesti e delle parole di Cristo, dei
segni da lui operati, poiché essi ad un tempo na-
scondono e rivelano il suo mistero. In questo senso,
lo scopo definitivo della catechesi è di mettere
qualcuno non solo in contatto, ma in comunione,
in intimità con Gesù Cristo: egli solo può condurre
all’amore del Padre nello Spirito e può farci parteci-
pare alla vita della santa Trinità » (CT 5).

In relazione all’evangelizzazione si precisa


l’ambito di azione della catechesi:
« La specificità della catechesi, distinta dal primo
annuncio del Vangelo, che ha suscitato la conver-
sione, tende al duplice obiettivo di far maturare la
fede iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo
mediante una conoscenza più approfondita e più
sistematica della persona e del messaggio del no-
stro Signore Gesù Cristo » (CT 19).

Insieme a queste affermazioni di principio,


la stessa Esortazione fa notare che non è raro il caso
di imbattersi in catechizzandi che non hanno rice-
vuto il primo annuncio pur essendo sacramentaliz-
zati; per cui, nella prassi pastorale, questo esempla-
re rapporto va verificato e nel caso ricostruito; alla
catechesi viene chiesto sovente non solo di alimen-
tare la fede, ma anche di suscitarla, con un annun-
cio gioioso, semplice, libero da fronzoli e orpelli.
I tre documenti magisteriali, che ho breve-
mente presentato, sono da guardare come a un
patrimonio globale che appartiene alla Chiesa post-
conciliare: si illuminano e si completano a vicenda
in un processo sinottico.

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Emilio Alberich, nel suo manuale che può
essere considerato ormai un testo classico, racco-
glie tutta la ricchezza magisteriale postconciliare,
in riferimento alla catechesi, attorno a tre poli:
« La catechesi è innanzitutto ministero della paro-
la, e quindi servizio al Vangelo, comunicazione del
messaggio cristiano e annuncio di Cristo; la cate-
chesi è educazione della fede, mediazione eccle-
siale per favorire la nascita e la crescita della fede
nelle persone e nelle comunità; la catechesi è
azione di Chiesa, espressione della realtà ecclesia-
le e momento essenziale della sua missione »11.

Questo, credo possa essere considerato, sin-


teticamente, il punto di arrivo dello sviluppo cate-
chetico della Chiesa postconciliare, dove viene a
collocarsi l’Esortazione di papa Francesco. È bene
chiedersi: in relazione a quanto è stato ricostruito,
come si pone l’esortazione di papa Francesco?
Possiamo individuare elementi di novità e di su-
peramento di questa visione in Evangelii Gaudium?

2. L’Evangelii Gaudium

Prima di entrare dentro i contenuti della


EG, per creare un giusto contesto ermeneutico che
permetta una maggiore comprensione delle idee
e della spiritualità del Papa, mi piace riportare

11
E. Alberich, La catechesi oggi. Manuale fondamentale di cate-
chetica, LDC, Leumann-Torino 2001, p. 72.

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 27

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quanto nel 2005, il cardinale J. Bergoglio diceva
sulla catechesi ai catechisti di Buenos Aires:
« Che significa annunciare? Più che dire qualcosa,
è raccontare qualcosa. È più che insegnare qualco-
sa. Annunciare è affermare, gridare, comunicare,
è trasmettere con tutta la vita. È avvicinare all’altro
il proprio atto di fede che, per essere totalizzante,
si fa gesto, parola, sguardo, comunione. E annun-
cia non un messaggio freddo, una semplice raccol-
ta dottrinale! »12.

Possiamo dire che annunciare il Vangelo, per


il Vescovo di Buenos Aires, è lasciarsi coinvolgere
totalmente in una relazione d’amore, è il grido
dell’innamorato, di colui che non può contenere la
gioia che porta in cuore. Siamo fuori da una visione
di catechesi dottrinale e intellettualistica; l’idea di
catechesi che il cardinale Bergoglio trasmette ai
catechisti della sua diocesi è nella linea dell’accom-
pagnamento alla sequela di Cristo risorto, mettendo
in circolo, con la totalità della propria vita, l’espe-
rienza che il catechista ha già fatto di Cristo risorto.
In tempi più recenti, nel discorso fatto al
Congresso internazionale dei catechisti nell’anno
della fede, svoltosi a Roma il 26-27 settembre
2013, papa Francesco dice testualmente:
« La catechesi è un pilastro per l’educazione della
fede, e ci vogliono buoni catechisti… Essere cate-
chista significa dare testimonianza della fede; esse-

12
La citazione è presa dall’Introduzione al testo: Riflessioni di
un pastore. Misericordia, Missione, Testimonianza, Vita, LEV 2013; in
L’Osservatore Romano, 4 dicembre 2013, p. 5.

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re coerente nella propria vita… A me piace ricorda-
re quello che san Francesco d’Assisi diceva ai suoi
frati: “predicate sempre il Vangelo e, se fosse neces-
sario, anche con le parole”. Le parole vengono, ma
prima la testimonianza: che la gente veda nella
nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo ».

Poi in tre punti descrive in cosa consiste il


dare testimonianza:
« Prima di tutto… avere familiarità con Lui… la
prima cosa per un discepolo, è stare con il Maestro,
ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre,
è un cammino che dura tutta la vita… Il secondo
elemento è questo: ripartire da Cristo significa
imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’al-
tro… Perché chi mette al centro della propria vita
Cristo si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui di-
venta il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da
te stesso, ti decentra e ti apre agli altri… Il cuore
del catechista vive sempre questo movimento di
“sistole-diastole”: unione con Gesù - incontro con
l’altro… Il terzo elemento sta sempre in questa
linea: ripartire da Gesù significa non aver paura di
andare con Lui nelle periferie »13.

La catechesi viene messa in relazione al pro-


cesso globale di educazione alla fede e in riferimen-
to agli educatori viene focalizzata la fondamentale
importanza della loro testimonianza, intesa come
grembo che fa nascere parole significative che ac-
compagnano a Colui che è il contenuto e il fine di
ogni educazione alla fede. Sembra di rileggere un

13
Papa Francesco, Ripartire da Cristo, in Regno/documenti 19
(2013) 603-606.

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 29

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commento all’affermazione che Paolo VI fa nella
EN: « L’uomo contemporaneo ascolta più volentie-
ri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo
fa perché sono dei testimoni » (EN 41).
L’EG non è un documento sistematico, nel
senso letterale del termine, non affronta un tema
e lo sviluppa con la logica di un trattato accade-
mico; a colui che desidera studiare l’Esortazione
di papa Francesco non risulta facile circoscrivere
i filoni di pensiero, perché si presenta come una
comunicazione d’impeto, sanguigna, in cui i mol-
ti temi ritornano in modo circolare e si impongo-
no con accentuazioni diverse per essere riproposti
da prospettive diverse.
Tutta l’Esortazione può essere letta come un
testo di spiritualità che invita la Chiesa alla seque-
la, in cui l’incontro con Cristo viene proposto come
punto prospettico da cui analizzare la totalità della
vita della stessa Chiesa, ma anche l’obiettivo finale
su cui puntare con ogni azione pastorale.
Papa Francesco scrive della gioia della fede
appellandosi, direttamente e indirettamente, all’e-
sperienza che lui stesso ha fatto dentro la sua fa-
miglia, come gesuita e come vescovo; radicandosi
sì sulla bimillenaria fede della Chiesa ma così
come lui l’ha vissuta con le responsabilità che nel
tempo ha assunto dentro la stessa Chiesa; potrem-
mo dire che con questa Esortazione il Papa indica
concretamente come fare catechesi.
Questo mettersi in gioco e chiamarsi in
causa dà all’Esortazione il pregio di presentarsi

30 giuseppe alcamo

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come un documento molto contestualizzato e
diretto, è suo, e non è il frutto di limature diplo-
matiche che ingessano il contenuto e lo rendono
rigido; ma, come ogni scelta umana, può portare
in grembo un limite: non riuscire a tenere in giu-
sta considerazione le diverse sensibilità ecclesiali
che possono essere lontane e diverse da quelle
sudamericane, anche se le molte citazioni degli
episcopati continentali rendono presenti i diversi
contesti ecclesiali sparsi nel mondo.
Per quanto riguarda la catechesi, bisogna co-
statare che la si può individuare in tutte le parti
dell’Esortazione e ritorna con insistenza in ogni pa-
ragrafo, sebbene il terzo capitolo fa la scelta di affron-
tarla direttamente, sempre in raccordo con l’evan­
gelizzazione, così come ha fatto Paolo VI nell’EN.

I destinatari

Destinatari della prima Esortazione di papa


Francesco sono « i fedeli cristiani, per invitarli a
una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa
gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei
prossimi anni » (EG 1). Destinataria di questa Esor-
tazione è la Chiesa nella sua globalità, come realtà
umana che ha il suo fondamento nella Trinità,
« nella libera e gratuita iniziativa di Dio » (EG 111).
Vengono chiamati in causa, non solo i praticanti o
quelli che hanno maturato una vocazione ecclesia-
le, ma anche coloro che si sentono lontani, indiffe-

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 31

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renti o timorosi di esporsi perché si considerano
inadeguati: « Mi piacerebbe dire a quelli che si
sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che
sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama
anche te a essere parte del suo popolo e lo fa con
grande rispetto e amore! » (EG 113).
Il Papa ribadisce che non si può essere cri-
stiani senza essere missionari e questo non perché
si sono fatti corsi di specializzazione, ma perché
si è fatta esperienza dell’amore di Cristo:
« Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzio-
ne nella Chiesa e il grado di istruzione della sua
fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e
sarebbe inadeguato pensare a uno schema di evan-
gelizzazione portato avanti da attori qualificati in
cui il resto del popolo fedele fosse solamente re-
cettivo delle loro azioni » (EG 120).

Nell’idea ecclesiologica di Bergoglio la cen-


tralità del battesimo è determinante per rendere,
ognuno a suo modo e con un grado di responsa-
bilità diversificato, testimone credibile e autoriz-
zato della fede della Chiesa; non vi sono persone
che assumono l’appalto dell’evangelizzazione e
della catechesi, mentre altre vengono implicita-
mente autorizzate a deresponsabilizzarsi.
Viene ripresa, ma da un’altra prospettiva,
l’affermazione della EN: « Allorché il più sconosciu-
to predicatore, catechista o pastore, nel luogo più
remoto, predica il Vangelo, raduna la piccola co-
munità o amministra un Sacramento, anche se si
trova solo, compie un atto di Chiesa… » (EN 60).

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La nuova evangelizzazione

Mi pare di cogliere che per papa Bergoglio il


problema della Chiesa odierna non è tra « evange-
lizzazione » e « nuova evangelizzazione », ma tra
« autentica » evangelizzazione e falsa evangelizza-
zione, perché afferma testualmente che « in realtà
ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre
“nuova” » (EG 11).
Ho come la sensazione, che pur non affron-
tando il problema, papa Francesco voglia ridi-
mensionare tutta la discussione sulla nuova evan-
gelizzazione e puntare, dentro una prospettiva
esistenziale, sull’autenticità o meno dell’evange-
lizzazione ecclesiale.
Sostituire l’aggettivo qualificativo « nuova »
con « autentica » significa dare all’evangelizzazio-
ne un input che la collega alla tradizione viva
della Chiesa; si può dire che come l’autentica
tradizione della Chiesa, essendo una sola cosa con
la Scrittura, è una fonte sempre nuova da cui at-
tingere per la comprensione del mistero di Dio e
della Chiesa, così l’evangelizzazione è nuova
quando è autentica, quando si radica dentro la
tradizione viva della Chiesa14.
In questa prospettiva, alla catechesi viene
affidata una valenza di iniziazione in tutte le sue

14
La Dei Verbum, al numero 9, dice: « La sacra tradizione e la
sacra scrittura sono dunque strettamente tra loro congiunte e comuni-
canti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse
formano in un certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine ».

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 33

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dimensioni e non solo in riferimento alla prassi
sacramentale, così come i Padri nei primi secoli la
concepivano; la catechesi è insieme iniziazione al
contenuto della fede, alla vita cristiana, alla pre-
ghiera e alla vita sacramentale15.

Il posto della catechesi nella vita della Chiesa

Dopo aver precisato i destinatari e aver


sgombrato il campo dai possibili equivoci che
hanno accompagnato negli ultimi decenni la ri-
flessione sull’evangelizzazione, l’Esortazione offre
anzitutto una indicazione di metodo: l’annuncio
evangelico per arrivare a tutti i suoi destinatari,
senza eccezioni né esclusioni, deve concentrarsi
« sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande,
più attraente e allo stesso tempo più necessario »;
la proposta evangelica deve essere presentata in
modo semplice, accessibile, « senza perdere per
questo profondità e verità », per diventare « più
convincente e radiosa » (EG 35).
Questa consapevolezza metodologica pone
all’attenzione di tutti la sfida della semplicità, che
non vuol dire banalità o riduzionismo; la sfida
della semplicità come ricerca semplice della via da
percorrere insieme, andando alla sostanza, all’ani-
ma, alla bellezza della fede, eliminando gli orpel-

15
Cfr. J. Daniélou - R. Du Charlat, La catechesi nei primi secoli,
LDC, Leumann-Torino 1982.

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li e le caricature, che rendono meno credibile la
testimonianza.
Il Santo Padre riprende con nuovi accenti i
grandi temi del rapporto tra annuncio di Cristo e
sua ripercussione comunitaria, tra la confessione
della fede e l’impegno sociale, ma enuncia anche
prospettive nuove, che arricchiscono il magistero
precedente: « il tempo è superiore allo spazio »,
« l’unità prevale sul conflitto », « la realtà è più im-
portante dell’idea », « il tutto è superiore alla parte ».
Si tratta di nuove prospettive, a partire dal-
le quali si deve ripensare tutta la vita pastorale;
« si rende necessaria un’evangelizzazione che illu-
mini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli
altri e con l’ambiente, e che susciti valori fonda-
mentali » (EG 74).
In continuità alle indicazioni del magistero
postconciliare, papa Francesco ribadisce che bi-
sogna offrire una presentazione organica del mi-
stero cristiano, caratterizzata dalla fedeltà alla
natura storico-salvifica della Rivelazione, dal­la
fedeltà alla dottrina conciliare della gerarchia del-
le verità, e dalla necessaria fedeltà all’uomo sto­rico
con le sue capacità ed esigenze, con le sue ansie e
i suoi problemi, con la sua storia e con attenzione
alla cultura del suo tempo e del contesto sociale
in cui è inserito e vive; ogni verità « si comprende
meglio se la si mette in relazione con l’armoniosa
totalità del messaggio cristiano », dove « tutte le
verità hanno la loro importanza e si illuminano
reciprocamente » (EG 39).

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 35

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Il kerigma

Nella globalità dell’Esortazione la cateche­


si è collocata, come nella prassi dei Padri, tra il
kerigma e l’omelia; per la sua completezza e siste-
maticità si distingue dal primo annuncio kerig­
matico, e, per la sua elementarità si distingue dal­
l’omelia.
Il giusto rapporto delle singole verità con il
cuore dell’annuncio cristiano fa sì che nessuna di
esse sia destinata all’archivio e nessuna di esse as-
surge a una dimensione tale da essere assolutizzata
a discapito della totalità del kerigma.
Urge, per la Chiesa, elaborare, una chiara e
articolata progettazione educativa che permetta di
acquisire un processo di maturazione nei valori,
sapendoli collocare in relazione al kerigma che ri-
mane il fulcro di ogni prassi ecclesiale (cfr. EG 64).
Papa Francesco pone il kerigma come primo
elemento costitutivo di ogni atto catechistico e di
ogni prassi educativa, ma dà al kerigma un conte-
nuto trinitario: « È il fuoco dello Spirito che si
dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù
Cristo, che con la sua morte e resurrezione ci ri-
vela e ci comunica l’infinita misericordia del Pa-
dre » (EG 164).
Questa scelta è originale, colloca esplicita-
mente il contenuto del kerigma dentro la totalità
del mistero della Trinità, richiamando alla memo-
ria la professione di fede ecclesiale, come messag-
gio semplice e unitario, maturato dentro il grem-

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bo vivo della Chiesa, che non può mai essere
ridotto a una formula astratta di verità.
Il kerigma, per papa Francesco, è l’esperien-
za viva che, dentro la Chiesa, a un cristiano è
possibile fare di Dio uno e trino; l’esperienza viva
a cui Gesù di Nazaret ha iniziato e introdotto i
dodici e la totalità della Chiesa nascente, soste-
nendoli con la forza dello Spirito; l’esperienza viva
che nel tempo lo stesso Spirito permette di fare a
tutti coloro che accolgono Gesù come Cristo,
l’inviato del Padre.
Riprendendo una delle proposizioni del Si-
nodo dei vescovi, precisa che il kerigma è « pri-
mo » non solo in ordine cronologico, ma in termi-
ni qualitativi e fondanti, a cui sempre, in tutti i
passaggi di vita o di contenuti, bisogna ritornare.
Esplicita, inoltre, che la programmazione
formativa per un qualificato annuncio deve fon-
darsi sulla comprensione del kerigma:
« Tutta la formazione cristiana è prima di tutto
l’approfondimento del kerigma che va facendosi
carne sempre più e sempre meglio, che mai smet-
te di illuminare l’impegno catechistico, e che per-
mette di comprendere adeguatamente il significa-
to di qualunque tema che si sviluppa nella
catechesi » (EG 165).

Le due vie della catechesi

Nella prassi catechistica, per incamminarsi


verso un reale e concreto rinnovamento, il Papa

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indica due vie percorribili: la iniziazione mistago-
gica e la bellezza.
Per « iniziazione mistagogica » intende un’e-
sperienza cristiana progressiva, che non offre e
non chiede tutto e subito, ma che introduce gra-
dualmente a gustare la bellezza della vita cristiana;
la iniziazione mistagogica non viene indicata
come elemento finale di un processo catecumena-
le, ma come prospettiva unica che inizia e accom-
pagna l’uomo nella sequela; la prospettiva della
catechesi come accompagnamento educativo ac-
quisisce una rilevanza preponderante.
Potremmo dire che l’idea di una catechesi
di tipo catecumenale viene assunta da papa Fran-
cesco e riespressa nella prospettiva di una inizia-
zione mistagogica, che introduce gradualmente
nel mistero già vissuto o da vivere.
Il cammino di catechesi, nella prospettiva
della iniziazione mistagogica, in modo graduale e
progressivo, deve far scoprire la bellezza della vita
cristiana, la sua peculiarità, le sue fonti ispiratrici;
alla testimonianza cristiana, fatta di vita e di pa-
role, deve seguire l’invito personale a sperimenta-
re che anche loro possono amare con lo stesso
amore, possono avere lo stesso modello di vita:
Gesù Cristo.
Nell’indicare questa via, il Papa sposta l’at-
tenzione della catechesi dai contenuti e dai metodi
alla persona concreta, vista nel suo contesto storico
e con le sue difficoltà, per essere accompagnata,
aiutata con pazienza e amore a vivere il Vangelo.

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Per la « via della bellezza » papa Francesco
intende la capacità di far cogliere che vivere il
Vangelo non è solo giusto e vero, ma anche bello
perché riempie la vita di un rinnovato splendore
che l’uomo da solo non può acquisire:
« Annunciare Cristo significa mostrare che cre-
dere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa
vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare
la vita di un nuovo splendore e di una gioia pro-
fonda, anche in mezzo alle prove. In questa
prospettiva, tutte le espressioni di autentica bel-
lezza possono essere riconosciute come un sen-
tiero che aiuta a incontrarsi con il Signore Gesù »
(EG 167).

La bellezza a cui si fa riferimento non è


immediatamente quella estetica, che si può con-
templare dall’esterno nelle opere d’arte o nello
splendore della natura, ma quella che si sperimen-
ta dall’interno quando la vita è colma, piena, tra-
boccante; la bellezza, in questa accezione, trova il
suo sinonimo nella gioia, nella felicità, non affer-
mata in forma ipotetica, teorica, ma sperimentata
dentro il vissuto quotidiano.
Nella catechesi bisogna aiutare le singole
persone a sperimentare che l’incontro con il Ri-
sorto rende felici, è bello nel senso che appaga
tutte le attese e offre anche altro, di più; siamo
dentro il « magis » della spiritualità ignaziana, ri-
spetto alle attese che un uomo può avere. Questa
idea di bellezza permette di collocare la vita per-
sonale non solo di fronte a Dio, ma in Dio.

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 39

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Questo non significa che l’arte che esprime
la bellezza estetica vada trascurata, anzi, papa
Francesco si augura che
« ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti
nella sua opera evangelizzatrice, in continuità con
la ricchezza del passato, ma anche nella vastità
delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di
trasmettere la fede in un nuovo linguaggio para-
bolico » (EG 167).

Per papa Francesco nella catechesi, la gioia,


il vero, il bello, il giusto trovano una sintesi esi-
stenziale e rendono il Vangelo desiderabile, acces-
sibile a tutti, concreto nel quotidiano vivere, così
segnato dal grigiore del non senso e così mortifi-
cato dalle fatiche della vita.
Questa immagine di catechesi non si può
concretizzare dentro una prassi pastorale anonima
e massificante, burocratica e funzionale. Solo una
Chiesa dal volto e dalle relazioni familiari, con
una complementarietà di figure ministeriali, che,
in comunione, si fanno carico di coloro che desi-
derano vivere il Vangelo, può assolvere a questa
missione.
Nella logica della familiarità è possibile sta-
bilire relazioni interpersonali contrassegnate dal-
la conoscenza personale reciproca, dalla sponta-
neità degli affetti, dalla cordialità e sincerità dei
tratti, dalla partecipazione di tutti alla progetta-
zione e all’attuazione della vita comunitaria.
Il non conoscersi, il non essere spontanei,
la non sincerità, l’estraneità ai progetti comuni,

40 giuseppe alcamo

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


non permettono di entrare nella logica della Chie-
sa famiglia e di far nascere la familiarità; tutti
questi elementi non sono esterni, come conse-
guenze della familiarità, ma sono la « familiarità »
stessa; senza questi elementi non vi è familiarità
e potremmo dire che non troviamo la vera identi-
tà della Chiesa.

La complessità culturale

L’evangelizzazione a cui Francesco spinge


deve essere rispettosa della complessità culturale
che oggi il mondo vive: « Questo popolo di Dio si
incarna nei popoli della terra, ciascuno dei quali
ha la propria cultura » (EG 115); poi ancora, « la
diversità culturale non minaccia l’unità della
Chiesa » (EG 117).
Evangelizzare non significa imporre deter-
minati codici culturali, sacralizzare una cultura;
pensare a una prassi ecclesiale monoculturale si-
gnifica mettere le premesse per una Chiesa che
tradisce non solo l’uomo ma anche la logica
dell’incarnazione.
Se è vero che la fede cristiana non esiste in
astratto, ma è incarnata in una cultura, è altrettanto
vero che essa non si identifica con nessuna di esse.
Il rapporto tra fede e cultura è analogo
all’incarnazione del Verbo che ne diventa il prin-
cipio ispiratore; esse devono stare insieme ma
senza confusione, perché la fede non è il prodotto

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 41

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


di nessuna cultura, è dono di Dio che viene dall’al-
to; mentre la cultura viene dall’uomo ed è il pro-
dotto dei suoi sforzi; confonderli significherebbe
non rispettare la trascendenza della fede; separar-
li o dissociarli significherebbe rendere incompren-
sibile la fede, almeno secondo la via che Dio ha
scelto, che è appunto quella dell’incarnazione16.
L’inculturazione della fede si realizza quan-
do il Vangelo trasforma la vita della comunità
tanto da divenirne il nucleo dinamico dei suoi
atteggiamenti, concezioni di vita, valori e azioni.
L’identità missionaria e comunionale della Chiesa
invita le comunità cristiane e i singoli fedeli a
valorizzare tutte le realtà sociali e ad aprire un
costruttivo dialogo con tutti gli uomini di buona
volontà.
La missione della Chiesa, in questo orizzon-
te, è un ministero che ingloba in sé non solo la sua
capacità di proporre l’incontro con Dio a tutta
l’umanità, ma anche il dialogo valoriale tra gli
uomini; investe la persona e la comunità e ha ri-
percussioni sociali, culturali e politiche17.
Inculturare il Vangelo in un territorio, signi-
fica mettere in atto una prassi educativa che faccia
crescere nella logica dell’accoglienza reciproca,
dell’ascolto attento e rispettoso, del dialogo ami-

16
Cfr. M. de Franca Miranda, Inculturazione della fede. Un
approccio teologico, Queriniana, Brescia 2002, pp. 66-75.
17
Cfr. G. Colzani, Convertirsi a Dio. Opera della grazia scelta
della persona sfida per le chiese, Pontificia Università Urbaniana, Città
del Vaticano 2004.

42 giuseppe alcamo

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


cale, dell’aiuto fraterno, della crescita comune,
della ricerca di ciò che unisce e promuove.
Queste scelte educative, programmate nel
tempo, producono un duplice effetto: all’interno
della comunità ecclesiale provocano un processo
di maturazione in una maggiore consapevolezza
della propria missionarietà, favoriscono la dispo-
nibilità al volontariato, fanno nascere il bisogno
di formazione per rendere ragione della propria
fede e della propria appartenenza ecclesiale, pro-
muovono l’apertura mentale verso il nuovo e lo
sconosciuto; all’esterno della comunità ecclesiale
si crea un atteggiamento di simpatia e di ricono-
scenza verso la Chiesa, una curiosità verso i suoi
valori e i suoi progetti pastorali, si aprono le por-
te per un dialogo che può diventare proposta di
vita evangelica condivisa.
Per realizzare quanto detto sopra, il Papa,
citando l’Azione Cattolica Italiana, scrive:
« Riconosco che abbiamo bisogno di creare spazi
adatti a motivare e risanare gli operatori pastorali,
luoghi in cui rigenerare la propria fede in Cristo
crocifisso e risorto, in cui condividere le proprie
domande più profonde e le preoccupazioni del
quotidiano, in cui discernere in profondità con
criteri evangelici sulla propria esistenza ed espe-
rienza, al fine di orientare al bene e al bello le
proprie scelte individuali e sociali » (EG 77).

Espressione matura e radicata di questa


inculturazione, anche se spesso ha bisogno di
purificazione e di riqualificazione, è la religiosità
popolare a cui papa Francesco si rivela molto

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 43

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


sensibile e la considera una vita privilegiata, « un
luogo teologico », « frutto del Vangelo incultura-
to » (EG 126).
Per una sana pedagogia pastorale, bisogna
non sottovalutare che i fedeli volentieri e senza
nessuna forzatura celebrano con gioia le feste
della Beata Vergine Maria, partecipano alle proces-
sioni dei santi, si recano in pellegrinaggio ai san-
tuari, amano offrire doni votivi; tutto questo non
può essere sottovalutato né distrutto, perché come
ci ricorda il Direttorio sulla pietà popolare, non
bisogna trascurare il valore propedeutico della
religiosità popolare verso la liturgia, pienezza del
culto cristiano:
« La religiosità popolare, che si esprime in forme
diversificate e diffuse, quando è genuina, ha come
sorgente la fede e dev’essere, pertanto, apprezzata e
favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autenti-
che, non si contrappone alla centralità della sacra
liturgia, ma, favorendo la fede del popolo che la
considera una sua connaturale espressione religio-
sa, predispone alla celebrazione dei sacri misteri »18.

È proprio vero che alcune cose nella fede,


ma anche nella vita, prima si capiscono con il
cuore vivendole e poi, solo dopo, si capiscono con
la ragione; la via affettiva a volte precede e sostie-
ne la via razionale, per cui va promossa e favorita.

18
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacra-
menti, Direttorio sulla pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti,
LEV, Città del Vaticano 2002, p. 9.

44 giuseppe alcamo

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La formazione

Questa visione di Chiesa di popolo dove


tutti sono « discepoli-missionari » pone la questio-
ne delicata e complessa della formazione degli
operatori pastorali; la formazione teologica dei
cristiani non può essere pensata solo in prospet-
tiva curriculare ma anche esistenziale; non è for-
mato per l’evangelizzazione e la catechesi chi fa
più corsi di istruzione teologica, ma chi sperimen-
ta in modo più incisivo nella quotidianità della
sua vita la presenza dell’amore di Dio e ragiona
sulle motivazioni che fondano la sua fede. Non
può venire meno la consistenza contenutistica, ma
quest’ultima deve essere arricchita dall’esperienza
viva, che invera e rende credibile.
Parlando del modo in cui annunciare il
Vangelo, papa Francesco offre alcune indicazioni
che risultano preziose per la formazione degli
operatori pastorali: ogni insegnamento della dot-
trina deve situarsi nell’atteggiamento dell’evange-
lizzatore che risvegli l’adesione del cuore con la
vicinanza, l’apertura al dialogo, l’amore, la pazien-
za, l’accoglienza cordiale che non condanna e la
testimonianza (cfr. EG 42 e 165). « … bisogna
accompagnare con misericordia e pazienza le pos-
sibili tappe di crescita delle persone che si vanno
costruendo giorno per giorno » (EG 44).
Il vero grande dramma che deve rendere le
notti insonni di tutti gli operatori pastorali a par-
tire dai vescovi e dai parroci fino all’ultimo cristia-

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 45

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


no consapevole della sua missione, non è tanto la
completezza della fede, quanto la consapevolezza
che « tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la
luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cri-
sto, senza una comunità di fede che li accolga,
senza un orizzonte di fede e di vita » (EG 49).
Il vero dramma non è la mancanza di com-
pletezza dei contenuti, quanto l’assenza o il vacil-
lare della fondatezza della fede ecclesiale, dentro
le scelte che l’uomo ogni giorno è chiamato a
compiere. L’attenzione va spostata dai contenuti,
che comunque sempre hanno bisogno di essere
assimilati e ricompresi, alla consistenza vitale
della fede, al suo radicamento esistenziale. Non si
tratta di conoscere per conoscere, quanto di co-
noscere per vivere e, dentro la complessità della
vita, la conoscenza contenutistica della fede è
sempre in progress.
L’Esortazione si apre con un inno alla felici-
tà e alla gioia: « La gioia del Vangelo riempie il
cuore e la vita intera di coloro che si incontrano
con Gesù… Con Gesù Cristo sempre nasce e ri-
nasce la gioia » (EG 1); questa gioia viene collo-
cata in contrapposizione al grande rischio che il
mondo attuale corre: cadere in « una tristezza
individualistica che scaturisce dal cuore comodo
e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali,
dalla coscienza isolata » (EG 2).
Di fronte a questo rischio i cristiani sono
chiamati a « recuperare la freschezza originale del
Vangelo » per acquisire la capacità di cogliere

46 giuseppe alcamo

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


« nuove strade, metodi creativi, altre forme di
espressioni, segni più eloquenti, parole cariche di
rinnovato significato per il mondo attuale » e non
lasciarsi imprigionare dentro « schemi noiosi »
(EG 11).
La Chiesa è provocata da Francesco a « una
conversione pastorale e missionaria che non può
lasciare le cose come stanno », a una riforma del-
le strutture ecclesiali perché « diventino tutte più
missionarie »; in altre parole, non bisogna aver
paura di rompere le consuetudini storiche della
Chiesa che non sono « direttamente legate al nu-
cleo del Vangelo » (EG 43).
Alla Chiesa Francesco chiede di osare un po’
di più, di uscire da sé e andare incontro a tutti
accorciando le distanze, abbassandosi fino all’u-
miliazione se è necessario, assumendo la vita
umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel
popolo, accompagnando con pazienza l’umanità
in tutti i suoi processi (cfr. EG 24).
« Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo
salutare della prossimità, con uno sguardo rispet-
toso e pieno di compassione ma che nel medesimo
tempo sani, liberi, incoraggi a maturare nella vita
cristiana » (EG 169).
L’annuncio evangelico per papa Francesco
non è un fatto scontato e pacifico che può essere
svolto con una pastorale da routine, ma una sfida
che la Chiesa deve assumere con grande consape-
volezza e realismo, ma sempre nella gioia, guar-
dando al futuro con speranza (cfr. EG 109). La

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 47

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


pastorale in chiave missionaria richiede di essere
audaci e creativi, ripensare gli obiettivi, le strut-
ture, lo stile e i metodi, camminare insieme at-
tuando un vero discernimento ecclesiale (EG 33).
Più volte papa Francesco, con frasi lapidarie
per affermare il bisogno di una pastorale che faccia
dell’inedito un suo punto di forza, conclude: in
riferimento ai poveri: « Non lasciamoli mai soli! »
(EG 48). In riferimento alle consuetudini eccle-
siali: « Non abbiamo paura di rivederle! » (EG 43).
In riferimento agli operatori pastorali: « Perché
non entriamo anche noi in questo fiume di gio-
ia? » (EG 5). « Il credente è innanzitutto uno che
fa memoria » (EG 13). « Non lasciamoci rubare
l’entusiasmo missionario! » (EG 80). « Non lascia-
moci rubare la speranza! » (EG 86). « Non lascia-
moci rubare la comunità! » (EG 92). « Non lascia-
moci rubare il Vangelo! » (EG 99). « Non
lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno! »
(EG 101). « Non lasciamoci rubare la forza mis-
sionaria! » (EG 109).
Tutta la Chiesa è invitata da papa Francesco
ad avere il coraggio della missione, superando
inerzie ed eccessivi scrupoli che paralizzano, an-
dando oltre la semplice amministrazione (EG 25).
A proposito, papa Francesco denuncia una
reale difficoltà che la Chiesa sta vivendo: « Inoltre,
è necessario che riconosciamo che, se parte della
nostra gente battezzata non sperimenta la propria
appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad
alcune strutture e a un clima poco accogliente…

48 giuseppe alcamo

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In molte parti c’è un predominio dell’aspetto am-
ministrativo su quello pastorale, come pure una
sacramentalizzazione senza altre forme di evange-
lizzazione » (EG 63).

Per concludere

Possiamo dire che l’Esortazione di papa Fran­


cesco provoca tutta la Chiesa a un serio esame di
coscienza, con cuore limpido e onestà intellettuale,
sul futuro della sua missione, provando a indivi-
duare un modello di testimonianza e di annuncio
che, non confuso con la benevola umanità, rispon-
da e vada oltre alle attese dell’uomo di oggi.
Si tratta di elaborare un modello di prassi
pastorale incentrata sulla persona, a servizio di
tutte le dimensioni della vita dell’uomo, senza
pretendere che questi rinneghi o rinunci ai valori
che lo hanno guidato fino a questo momento, ma
aiutandolo a rielaborare il suo centro esistenziale
alla luce di Gesù Cristo.
Abbiamo bisogno di pensare una Chiesa che
sappia offrire, con chiarezza e gratuitamente, un
progetto di vita cristiana che, in discontinuità con
la logica del mondo, sia sorprendentemente am-
pio, articolato, bello, realizzante, aperto al futuro.
Siamo chiamati a tornare alla radice delle
motivazioni dell’esistenza cristiana; alla necessità,
cioè, di riscoprire e vivere il significato dell’essere
cristiani oggi; al bisogno di rigenerare la qualità

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 49

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


della vita nelle nostre comunità, senza dare nulla
per scontato e tenendo presente che, nel nostro
contesto culturale, irreversibilmente cosmopolita,
non è più possibile assumere una sola prospetti­
va, bisogna imparare a convivere con una plura-
lità di punti di vista e con una ragione che fa fati-
ca a orientarsi.
Riecheggiando una immagine biblica, po-
tremmo dire che la Chiesa deve imparare a cam-
minare sulle acque, ponendosi come « ponte » tra
le varie culture e persino tra le varie visioni del
mondo.
In questa prospettiva il compito della cate-
chesi implica la sfera educativa, capace, da una
parte, di svelare il mistero che si celebra e di capi-
re la fede che si professa, di introdurre nella vita
della Chiesa e di iniziare alle esigenze etiche del
Vangelo; dall’altra, di tenere aperto il dialogo con
tutti, mettere in conto di poter accettare altri si-
stemi valoriali, tenendo presente che l’orizzonte
evangelico è un punto ideale, verso cui cammina-
re con decisione e da additare a tutta l’umanità.
Aprire l’azione catechistica nella prospettiva
dell’educazione alla fede significa concepire la
catechesi a servizio di tutta la persona, per aiutar-
la a incontrarsi con Cristo, in sinergia con tutte le
altre dimensioni ecclesiali.
Il motivo per cui la Chiesa non può abdica-
re al suo ruolo evangelizzante non è solo di ordi-
ne biblico-teologico, ma anche antropologico; il
dono che la Chiesa ha ricevuto dal Padre è da

50 giuseppe alcamo

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


offrire a ogni uomo, perché ogni uomo si com-
prenda e si offra come dono al fratello. Nella logi-
ca della vita come dono, da accogliere e da amare,
il Vangelo è un punto di riferimento ineludibile,
perché testimonia non solo la grandezza del dono,
ma anche la sua gratuità e la sua imprevedibilità.
In questo « nuovo » paradigma di annuncio
del Vangelo, gli opposti coincidono: il silenzio è
parola, il nulla è grandezza, la povertà è ricchezza,
la debolezza è forza, la fragilità è fiducia, l’ospita-
lità è comunione, la complessità è unità, la spe-
ranza è certezza, la morte è vita.
Riflettendo bene, però, possiamo affermare
che questo paradigma non è « nuovo », è il para-
digma originario e originante che ci ha trasmesso
la comunità apostolica; io credo che, a imitazione
di Paolo che ritornava spesso nella sua azione
evangelizzante sulla via di Damasco, la Chiesa
debba ritornare a offrire all’uomo di oggi, in modo
adeguato e significativo, primariamente, l’espe-
rienza fondante che l’ha costituita tale.
Una Chiesa che sa ascoltare in silenzio gli
interrogativi che l’uomo si pone, senza la pretesa
di avere sempre e subito una risposta pronta, offre
all’umanità la sua condivisione, la sua fiducia
nella ricerca, la sua comunione, il suo ottimismo
di fede, la sua speranza che la salvezza è già com-
piuta e cresce in mezzo a noi, nonostante tutto.
La ricchezza di cui la Chiesa è custode, non
nel senso del museo che protegge e difende, ma
nel senso della roccia da cui nasce la sorgente, che

la catechesi: dall’evangelii nuntiandi... 51

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


custodisce l’acqua versandola gradualmente per-
ché diventi ruscello e poi fiume, è la sua capacità
di accogliere l’uomo sostenendolo nella possibili-
tà, attraverso l’incontro con Cristo, di diventare
più uomo; la ricchezza che la Chiesa offre è un
valore aggiunto alla ricchezza dell’umanità.
Attraverso l’Esortazione di papa Francesco
possiamo non solo prendere atto di una situazio-
ne che mette in crisi forme di pastorale che non
reggono più il confronto con i tempi, per cercare
nuove vie, ma anche decidere, in modo coraggio-
so, di ripensare insieme tutta la pastorale di ini-
ziazione cristiana, per attuare il superamento di
una visione « episodica » della pastorale e matu-
rare un progetto organico di evangelizzazione che
strutturi le comunità in modo adeguato alle nuo-
ve istanze.
L’Evangelii Gaudium ci dice ancora una volta,
dopo l’Evangelii Nuntiandi, che l’evangelizzazione
è un’azione globale corrispondente all’essere stesso
della Chiesa, come una sua forma di attuazione e
un suo prolungamento; l’evangelizzazione è parola
di Dio che si fa carne nell’esistenza dell’uomo per
portarvi l’annuncio della salvezza.
Per la pastorale e la catechesi, alla luce del-
la prima Esortazione di papa Francesco, si pro-
spetta una triplice sfida, quella della « specificità »,
quella della « riprogettazione » e della « comple-
mentarietà ». L’assunzione consapevole di queste
sfide permetterà al Vangelo di continuare a essere,
per la Chiesa e il mondo di oggi, fonte di gioia.
 
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L’EVANGELII GAUDIUM
E I BISOGNI CONCRETI
DELLA STORIA
Sergio Tanzarella

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


Sergio Tanzarella è docente di Storia della Chiesa
presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale dove dirige
l’Istituto di storia del cristianesimo « Cataldo Naro » e presso
l’Università Gregoriana. Per le edizioni Il pozzo di Giacobbe di-
rige la collana « Oi christianoi - Nuovi studi sul cristianesimo
nella storia ». Tra le pubblicazioni: La purificazione della memo-
ria: il compito della storia tra oblio e revisionismi (Bologna 2001);
Gli anni difficili. Lorenzo Milani, Tommaso Fiore e le « Esperienze
Pastorali » (Trapani 2007).
 

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


1. Un nuovo modello di evangelizzazione

Forse ancora pochi hanno compreso di tro-


varsi dinanzi a un tornante della storia, grazie a
questo pontificato. Da parte dei cattolici non è
nuovo questo errore di valutazione. Si pensi, per
fare qualche esempio, a quale fu nel Novecento la
percezione di molti cattolici di fronte alla Prima
guerra mondiale, compresa ancora come una delle
tante guerre, o ancora all’adesione convinta conces-
sa a un regime come quello di Mussolini, alla sua
guerra coloniale o la guerra in Spagna o la Seconda
guerra mondiale, al sostegno offerto da tanti al
nazismo di Hitler, sia in Germania sia in Austria.
Ma guardando a imprecisioni di valutazione
a noi più vicine, basti ricordare quella successiva
all’annuncio del Concilio, quando molti Vescovi,
nel rispondere alla lettera del cardinale Domenico
Tardini sulle proposte degli argomenti che il Con-
cilio avrebbe dovuto trattare, fornirono un venta-
glio di risposte complessivamente sovrapponibili
e ben distanti da ciò che il Concilio sarebbe poi
concretamente divenuto e da ciò di cui si sarebbe

l’evangelii gaudium e i bisogni... 55

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


occupato. Chi legge i Vota et consilia resta impres-
sionato da questa distanza e incapacità a compren-
dere cosa stesse realmente maturando nella Chie-
sa in quegli anni1.
Non sono evidentemente mancati in questi
ultimi decenni documenti importanti del magiste-
ro pontificio, talora anche decisivi, e comunque
di grande rilievo e novità; si pensi alla Pacem in
terris, alla Evangelii Nuntiandi, alla Populorum
progressio, alla Centesimus Annus.
Ma chi legge l’Esortazione apostolica Evan-
gelii Gaudium (EG) di papa Francesco, ed è abi-
tuato agli scritti del magistero, si rende facilmen-
te conto che essa traccia un altro percorso di
comunicazione e si propone un diverso obiettivo:
una trasformazione profonda che va all’essenziale
della missione cristiana avviando lo smontaggio e
il superamento di sovrastrutture secolari, utili
forse un tempo, ma che oggi rischiano di diventa-
re impedimenti o addirittura dannose per l’evan-
gelizzazione stessa.
Dunque, l’essere cristiani non sarà, o non
dovrà essere, più come prima dopo questa Esorta-
zione apostolica. Osservava Antonio Spadaro, nel
suo commento di inizio dicembre al documento,
che: « La riflessione del Papa ha lo scopo di mette-
re in moto le Chiese locali per l’approfondimento

1
Ho mostrato questo recentemente in: S. Tanzarella, Vota et
consilia dei vescovi della Campania, in A cinquant’anni dal Vaticano II.
Una riflessione storica sul Concilio e la sua applicazione nelle Chiese del
Mezzogiorno (in corso di pubblicazione).

56 sergio tanzarella

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


e l’azione; intende essere una sorta di corposo avvio
della riflessione e uno stimolo all’azione »2.
Quindi l’Esortazione chiama al movimento
le Chiese locali perché approfondiscano, riflettano
e agiscano. All’Esortazione deve quindi seguire
questo impegno locale che ancora però, in Italia,
non è dato modo di vedere avviato. L’EG non è
infatti una raccolta di precetti da osservare o un
progetto da realizzare, quanto la richiesta som-
messa e amichevole ad avviare con urgenza un
processo di rinnovamento di stile e di mentalità,
che restituisca all’evangelizzazione tutta la libertà
e imprevedibilità della forza del Vangelo.
Mi sembra che in essa si compendiano tutti
i primi mesi di pontificato di papa Francesco e ciò
che abbiamo ascoltato in parole e discorsi e ciò che
abbiamo visto in gesti e scelte trova una sua unità.
Nell’EG vi è l’esplicitazione di tutto il modello di
evangelizzazione di papa Francesco: fermarsi, scen-
dere, andare incontro. Non c’è compito, carica o
ministero che impedisca di far questo, e il Papa lo
dimostra contro quelli che accampano scuse. Ades-
so forse cominciamo a capire meglio che non era
una trovata mediatica, ma una profonda e sincera
esigenza quella che spinse papa Francesco, il 19
marzo 2013, giorno della messa di intronizzazione
a Piazza San Pietro, a far fermare l’auto sulla quale

2
A. Spadaro, « Evangelii gaudium ». Radici, struttura e signifi-
cato della prima Esortazione apostolica di Papa Francesco, in La Civiltà
Cattolica 164 (2013/4) 433.

l’evangelii gaudium e i bisogni... 57

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


si avviava all’altare, scendere da essa e andare in-
contro a un malato di SLA, facendo attendere i
grandi del mondo. Un gesto esemplare e liberante.
Allo stesso modo, la sedia che papa Francesco ha
lasciato vuota durante il grande concerto di musica
classica, tenutosi il 23 giugno nell’Aula Paolo VI,
in Vaticano, e patrocinato dal Pontificio Consiglio
per la Promozione della nuova evangelizzazione,
in occasione dell’Anno della fede alla presenza
dell’alta società romana e della diplomazia, era lì a
indicare, nelle riprese delle televisioni di tutto il
mondo, che il Papa non ha bisogno di una corte,
che non è un pontefice rinascimentale e che da
tutte le poltrone è sceso da tempo per andare in-
contro all’umanità anonima delle periferie del mon-
do. E che tutto questo egli lo compie esclusivamen-
te perché ritiene essere costitutivo dell’azione di
evangelizzazione, che non ha bisogno di concerti
riservati ai potenti della terra.
L’EG è un testo che inaugura un modo nuo-
vo di comunicare, che propone uno stile e un
linguaggio al quale non eravamo forse ancora
pronti. Il silenzio complessivo nel quale sembra
essere precipitato il documento, dipenderà forse
da questa incapacità a leggere e comprendere uno
stile di comunicazione totalmente nuovo e frater-
no che vuole aiutare a superare individualismo,
indifferenza ed egoismo3.

3
« Se qualcuno si sente offeso dalle mie parole, gli dico che
le esprimo con affetto e con la migliore delle intenzioni, lontano da

58 sergio tanzarella

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


Con tutta probabilità, una certa indifferenza
potrebbe essere provocata dai contenuti della EG
a causa dei quali sembra dissolversi un intero uni-
verso di certezze e di usi che sono talvolta diven-
tati, con un inavvertito processo di sostituzione, il
contenuto della stessa fede e della evangelizzazio-
ne, quasi che la cornice conti più del quadro.
Da qui il rischio che il documento, per le
paure che può suscitare, si perda volutamente tra
i tanti pubblicati dal magistero in questi anni,
come osserva lo stesso Papa: « Non ignoro che
oggi i documenti non destano lo stesso interesse
che in altre epoche, e sono rapidamente dimenti-
cati. Ciononostante, sottolineo che ciò che inten-
do qui esprimere ha un significato programmatico
e dalle conseguenze importanti. Spero che tutte le
comunità facciano in modo di porre in atto i mez-
zi necessari per avanzare nel cammino di una
conversione pastorale e missionaria, che non può
lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una
“semplice amministrazione” » (EG 25).
Ma nonostante queste resistenze, occorre
sottolineare quanto il Papa evidenzi il significato
programmatico dell’EG e le sue possibili e necessa-
rie conseguenze per le Chiese locali, proprio perché
una semplice « amministrazione » non ci serve più.

qualunque interesse personale o ideologia politica. La mia parola non è


quella di un nemico né di un oppositore. Mi interessa unicamente fare
in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista,
indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e
raggiungano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più
fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra » (EG 208).

l’evangelii gaudium e i bisogni... 59

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


Non si tratta quindi di un bel documento,
quanto di un progetto che perora un cammino di
trasformazione e che rifiuta la fissità statica di
certa moderazione, presentata in passato come la
peculiarità del cristiano. Il Papa sembra metterci
in guardia che non si tratta di amministrare, ma
di evangelizzare. La differenza tra i due verbi do-
vrebbe essere chiara a tutti.

2. Né occupazione di spazi
né cristallizzazione di processi

A una prima lettura, il documento lascia ben


intravedere quanto il concilio Vaticano II sia total-
mente presupposto, orizzonte non ancora compiu-
to di un processo che ha già cinquant’anni. E tut-
tavia sembra che l’Esortazione abbia la capacità di
andare anche oltre il Concilio raccogliendone inte-
gralmente l’eredità e spingendosi con coraggio in
un oltre che il Concilio poteva soltanto intravedere
e sperare e che oggi si compie dinanzi a noi.
A me appare che questo compiersi può fare
paura a molti; a coloro che confondono ancora il
Vangelo e la missione della Chiesa con un regime di
cristianità, e il cristianesimo con una generica com-
ponente culturale di una cosiddetta religione civile,
risultato di un costantinismo che nella lunga durata
arriva trionfante ancora fino al nostro presente4; di

4
Cfr. S. Adamiak - S. Tanzarella, « Costantino e la teologia
romana del XIX-XX secolo », in Costantino I. Enciclopedia costantiniana

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un regime di cristianità molto interessato alla collo-
cazione di crocifissi di legno e del tutto indifferente
ai crocifissi di carne umana della storia.
Infatti il regime di cristianità e la religione
civile hanno come proprio impegno quello di
occupare la società, di « renderla » a ogni costo
cristiana, e nella storia abbiamo anche visto che
questo « renderla » poteva anche legittimare ogni
sorta di violenza e di costrizione, giustificando
inoltre qualsiasi genere di complicità e conniven-
za con il potere.
La EG smentisce queste tentazioni dell’oc-
cupare spazi e godere di privilegi:
« Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’at-
tività socio-politica consiste nel privilegiare gli spa-
zi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare
priorità allo spazio porta a diventar matti per risol-
vere tutto nel momento presente, per tentare di
prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di
autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi
e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo si-
gnifica occuparsi di iniziare processi più che di
possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumi-
na e li trasforma in anelli di una catena in costante
crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le
azioni che generano nuovi dinamismi nella società
e coinvolgono altre persone e gruppi che le porte-
ranno avanti, finché fruttifichino in importanti av-
venimenti storici. Senza ansietà, però con convin-
zioni chiare e tenaci » (EG 223).

sulla figura e l’immagine dell’imperatore del cosiddetto editto di Milano


313-2013, III, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2013, 377-389.

l’evangelii gaudium e i bisogni... 61

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È bene evidente quanto sia dirimente questo
passo della sezione finale dell’Esortazione che
insiste sui processi in luogo dei risultati; avviare
processi e coinvolgere altri che proseguiranno ciò
che noi abbiamo avviato. Questa fiducia nel tem-
po, nel futuro e negli altri da noi, spiega già da
sola una reazione al massimo di generico consen-
so, ma più spesso di concreta indifferenza.
Infatti, se il documento fosse stato inteso
per la portata che ha, oggi dovremmo scorgere
intere diocesi al lavoro per meditarlo e tradurlo
nella dimensione delle Chiese locali. Una ricerca
di quelle azioni in grado di produrre « nuovi di-
namismi nella società ».
Appare evidente che chi continua ancora
oggi non solo a voler cristallizzare i processi, ma
pretende anche di controllarli, cercando di fatto di
arrestarli, non può riconoscersi nello spirito della
EG. Se vorrà davvero farla propria dovrà accettare
una rivoluzione copernicana di mentalità, metten-
do al centro il Vangelo e la evangelizzazione, in
luogo di strutture, usi, pratiche, sicurezze.
Si tratta di una proposta la cui decisiva im-
portanza è sottolineata con chiarezza dallo stesso
autore:
« Resta chiaro che Gesù Cristo non ci vuole come
prìncipi che guardano in modo sprezzante, ma
come uomini e donne del popolo. Questa non è
l’opinione di un Papa né un’opzione pastorale tra
altre possibili; sono indicazioni della parola di Dio
così chiare, dirette ed evidenti che non hanno bi-

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sogno di interpretazioni che toglierebbero ad esse
forza interpellante. Viviamole “sine glossa”, senza
commenti » (EG 271).

Tuttavia, nonostante questa accorata e forte


raccomandazione, le resistenze mi appaiono mol-
te e notevoli. Un collega, presbitero sicuramente
aperto al nuovo e generosamente impegnato nello
studio e nella didattica, mi confessava con cando-
re rispetto a questo pontificato il proprio auspicio
con queste parole che restano per me una spina
dolorosa: « La ricreazione finirà e torneremo a
occuparci di cose serie ».
Capisco il disappunto che può provare chi
ha investito tutta la vita esclusivamente su una
« teologia da tavolino » che si illude di ispirarsi al
Vangelo, ma che in realtà rischia, pur con sacrifi-
cio e impegno personale, di ridurlo a teoria, a
precettistica e a una forma pur bella di pensiero,
ma totalmente disincarnata dalla vita. Una forma
che non si occupa in nulla di ciò che il Vangelo
suggerisce come prima conseguenza della evan-
gelizzazione: la relazione, e la relazione si realizza
esclusivamente nella storia. Ma per lungo tempo
noi abbiamo sfuggito proprio la storia, cercando
di pensare noi stessi e il nostro compito oltre la
storia o in un’altra storia.
Qui siamo di fronte a delle indicazioni che
mettono in crisi un impianto secolare di auto
comprensione della Chiesa, dei cristiani e del loro
ruolo nel mondo. Abbiamo costruito una cultura

l’evangelii gaudium e i bisogni... 63

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


di cristianità che, nonostante l’impegno generoso
e sincero di molti, appare oggi in tutto il suo fal-
limento strutturale, perché parte da una ipotesi
falsa che il mondo e le sue strutture vanno cristia-
nizzate, che va creata una società cristiana.
L’Esortazione sembra comprendere per la
Chiesa e per i cristiani un altro compito: l’annun-
cio e la testimonianza, non la colorazione del
mondo. Infatti a disegnare il mondo e a colorarlo
ci pensa Dio.
Si racconta che il cardinale di Palermo, Er-
nesto Ruffini, negli anni ’50 dicesse parlando dei
laici: « Voi siete il pennello nelle mani del pittore,
ma il pittore sono io ». Parlava, certo, in buona
fede perché era un uomo onesto e buono, promo-
tore di esemplari iniziative caritative nella Paler-
mo del dopoguerra, ma si riteneva un principe
della Chiesa perché così gli era stato insegnato e
aveva questa concezione ecclesiologica dove era
permesso soltanto sussurrare, ma l’annuncio,
come anche la responsabilità delle scelte, spettava
esclusivamente a lui.
L’idea di cristiani deresponsabilizzati dopo
questa Esortazione non dovrebbe avere più senso.
Per questo la sua lettura è un impegno grave e
urgente. Un impegno serio, perché solo apparen-
temente si presenta come un testo semplice, e di
fatto lo è anche, ma in realtà è un documento
impegnativo perché apre orizzonti alla riflessione
personale e comunitaria così ampi, tanto da ri-
chiedere analisi a più livelli.

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MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


E tuttavia dove è stata promossa la lettura, i
risultati sono già straordinari: singoli e gruppi che
leggono e si comunicano le proprie riflessioni sul
documento, che individuano che cosa va cambiato
in una prassi ecclesiale inadeguata ai tempi e agli
esseri umani. Finalmente un testo di cui non si
occupano più gli specialisti e che non ha bisogno
delle loro mediazioni secondo lo schema: docu-
mento, interpretazione del documento da parte dei
teologi, uso dell’interpretazione da parte dei parro-
ci, presentazione da parte dei parroci al popolo.
Un travaso che progressivamente faceva
perdere molto, se non tutto e dagli incerti risulta-
ti. E questo di certo sconcerta i benpensanti. Re-
centemente un giovane vescovo si stupiva quando
un parroco lo informava di aver acquistato trecen-
to copie della EG e di avere avviato – con la chie-
sa stracolma di persone, molte da tempo lontane
da celebrazioni e riti – un percorso settimanale di
lettura e commento. A meraviglia aggiungeva
sconcerto, osservando che gli appariva molto sin-
golare che dei laici leggessero direttamente un
documento del Papa e ne parlassero tra loro!

3. Il concilio Vaticano II nella Evangelii Gaudium

La relazione di papa Francesco con il Con-


cilio appare molto lineare ed evidente; molto di
più che se il Concilio fosse da lui citato di conti-
nuo. Le appena tredici citazioni dei documenti del

l’evangelii gaudium e i bisogni... 65

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Concilio non devono trarre in inganno. Esse sem-
brerebbero indicare una scarsa incidenza, ma non
è nel numero delle citazioni dei documenti che
possiamo realmente comprendere quanto del Con­
cilio è contenuto nella proposta dell’EG.
Come ha efficacemente sottolineato Massi-
mo Faggioli rispetto a chi osserva che il Concilio
non è molto citato nei discorsi dal Papa:
« Per un vescovo latino-americano come Bergoglio
il Vaticano II è parte essenziale e quasi scontata di
quell’esperienza di Chiesa. […]. Papa Francesco si
presenta come il papa del riavvicinamento e dell’ap-
pello all’unità nella Chiesa e della Chiesa nel mon-
do, all’insegna di una lettura più implicita che
esplicita, ma anche del tutto inconfondibile e non
minimizzabile, del messaggio del Vaticano II »5.

Ma lo stesso papa Francesco ha ben chiarito


la sua relazione con il Vaticano II nella nota inter-
vista con il direttore de La Civiltà Cattolica, Antonio
Spadaro, il quale gli domandava: « ”Che cosa ha
realizzato il Concilio Vaticano II? Che cosa è sta-
to?”, gli chiedo alla luce delle sue affermazioni
precedenti, immaginando una risposta lunga e ar-
ticolata. Ho invece come l’impressione che il Papa
semplicemente consideri il Concilio come un fatto
talmente indiscutibile che non vale la pena parlarne
troppo a lungo, come per ribadire l’importanza »6.

5
M. Faggioli, Papa Francesco e la Chiesa-mondo, Armando,
Roma 2014, pp. 28, 33.
6
A. Spadaro, « Intervista a papa Francesco », in La Civiltà
Cattolica 164 (2013/3) 467.

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Infatti, il Papa rispondeva senza lunghi giri
di parole andando alla sostanza:
« Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla
luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un
movimento di rinnovamento che semplicemente
viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi.
Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma
liturgica è stato un servizio al popolo come rilet-
tura del Vangelo a partire da una situazione con-
creta. Sì ci sono le linee di ermeneutica di conti-
nuità e discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la
dinamica di lettura del Vangelo attualizzata
nell’oggi che è stata proposta dal Concilio è asso-
lutamente irreversibile »7.

È dunque a partire da questa affermazione


di assoluta irreversibilità che leggendo il docu-
mento si nota come le citazioni o i riferimenti non
sono ricercati di proposito, quanto invece che essi
sono spontanei e usati solo quando è necessario,
abbandonando quello stile che trova obbligatorio
doversi richiamare diffusamente a tutto il passato
di tutti i documenti. Secondo quello stile che dopo
aver scritto un testo si cercano gli infiniti richiami
e riferimenti da mettere in nota. È un metodo
redazionale assurdo con il quale si pretende di
assoggettare anche la Sacra Scrittura. Si fa una
affermazione e poi si cerca il riferimento da met-
tere in nota o la citazione di supporto. Un editing
istituzionale, largamente diffuso, che si serve del-
le citazioni e non parte da esse.

7
Ibidem.

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Se però noi volessimo proprio cercare una
citazione indiretta del Concilio che appare sottesa
a tutto l’impianto della Esortazione, io non avrei
dubbi citando Gaudium et Spes, n 77:
« L’umanità tuttavia non potrà portare a compi-
mento l’opera che l’attende, di costruire cioè un
mondo più umano per tutti gli uomini e su tutta
la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con
animo rinnovato alla vera pace ».

Uno degli elementi fondanti del Concilio è


proprio qui. In questa opera dirimente e decisiva
che l’Esortazione fa propria ed esplicita con una
attenta, profonda e inattesa analisi: rendere il
mondo più umano per tutti indistintamente e su
tutta la terra.
L’Esortazione declina questo progetto con-
ciliare a cinquant’anni dal Concilio. Lo declina, lo
sviluppa, lo attualizza e dimostra che esso non
solo è possibile, ma è l’impegno costitutivo e in-
sostituibile che i cristiani hanno nella storia
nell’incontro con Gesù. Il resto non serve e rischia
di diventare un impedimento.
« Solo grazie a quest’incontro – o reincon-
tro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice
amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza
isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad
essere pienamente umani quando siamo più che
umani » (EG 8).
Per lungo tempo la cristianità ha messo a
punto dei sistemi di pensiero e di spiritualità che
hanno avuto la pretesa che essere cristiani signi-

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ficasse affrancarsi dall’umanità, un modello ange-
lico dietro cui si nasconde la tentazione di uno
sradicamento dalla terra.
Ma vi è un’altra considerazione che mi ap-
pare necessaria fare in ordine alla Esortazione.
Non sono evidentemente in questione i documen-
ti del Concilio, ma il fatto che, nonostante quei
documenti, le loro indicazioni non appaiono aver
operato quelle trasformazioni profonde e diffuse
nelle coscienze dei cristiani e nel sentire della
Chiesa.
Papa Francesco ha il coraggio di guardare
la situazione quale è, cogliendone tutti i limiti
non per una generica condanna, ma per indicare
una possibile soluzione non tanto di contenuti,
quanto di metodo, e il metodo ritorna di conti-
nuo a ispirarsi al Vangelo e più in generale alla
Scrittura.
Riguardo ancora al Concilio, segnalo una
lunga citazione che rischia di sfuggire a coloro che
cercano solo riferimenti diretti: il discorso Gaudet
mater ecclesia di Giovanni XXIII dell’11 ottobre
19638.
La lunga citazione della parte centrale di
quel discorso di apertura del Vaticano II non è
casuale, ma illuminante, se si pensa quale valore
ispiratore assunsero quelle parole lungo lo svolgi-
mento dei lavori.

8
La citazione è assente nell’indice analitico realizzato in una
edizione molto diffusa dell’Esortazione.

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Nel paragrafo 84 intitolato No al pessimismo
sterile, il Papa ritorna ancora sulla gioia che era
stata l’elemento costitutivo del lungo avvio dell’E-
sortazione:
« La gioia del Vangelo è quella che niente e nessu-
no ci potrà mai togliere (cfr. Gv 16,22). I mali del
nostro mondo – e quelli della Chiesa – non do-
vrebbero essere scuse per ridurre il nostro impe-
gno e il nostro fervore. Consideriamoli come sfide
per crescere. Inoltre, lo sguardo di fede è capace di
riconoscere la luce che sempre lo Spirito Santo
diffonde in mezzo all’oscurità, senza dimenticare
che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la
grazia” (Rm 5,20). La nostra fede è sfidata ad in-
travedere il vino in cui l’acqua può essere trasfor-
mata, e a scoprire il grano che cresce in mezzo alla
zizzania. A cinquant’anni dal Concilio Vaticano II,
anche se proviamo dolore per le miserie della no-
stra epoca e siamo lontani da ingenui ottimismi, il
maggiore realismo non deve significare minore
fiducia nello Spirito né minore generosità. In que-
sto senso, possiamo tornare ad ascoltare le parole
del beato Giovanni XXIII in quella memorabile
giornata dell’11 ottobre 1962: “Non senza offesa
per le Nostre orecchie, ci vengono riferite le voci
di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religio-
ne, valutano però i fatti senza sufficiente obiettivi-
tà né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni
della società umana essi non sono capaci di vede-
re altro che rovine e guai [...] A Noi sembra di
dover risolutamente dissentire da codesti profeti
di sventura, che annunziano sempre il peggio,
quasi incombesse la fine del mondo. Nello stato
presente degli eventi umani, nel quale l’umanità
sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono
piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina
Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi

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attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là
delle loro aspettative, e con sapienza dispongono
tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene
della Chiesa” ».

È questa citazione che ci aiuta a capire l’i-


spirazione dell’Esortazione, che a partire dalla
gioia comunicata e condivisa9, invita a intravede-
re il disegno di Dio nella storia. Non si tratta
quindi di fuggire dalla storia e nemmeno di colti-
vare l’illusione di costruire un’altra storia paralle-
la, ma di accogliere responsabilmente il tempo
presente, facendoci carico di tutta la sofferenza
che in esso si realizza.

4. Cosa comporta accogliere concretamente


la storia

Questa scelta profonda di accoglienza della


storia umana aiuta anche a smascherare tutti i
rischi di gnosticismi e neopelagianesimi di cui
possono essere vittime i cristiani, poiché questi
rischi si traducono in una mondanità spirituale
tanto presente quanto ben camuffata dietro altiso-
nanti professioni di fede, disincarnate e distratte
nei confronti dei bisogni concreti della storia:
« Questa oscura mondanità si manifesta in molti
atteggiamenti apparentemente opposti ma con la
stessa pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”.

9
Ibidem 9.

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In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia,
della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma sen-
za che li preoccupi il reale inserimento del Vange-
lo nel popolo di Dio e nei bisogni concreti della
storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma
in un pezzo da museo o in un possesso di pochi.
In altri, la medesima mondanità spirituale si na-
sconde dietro il fascino di poter mostrare conqui-
ste sociali e politiche, o in una vanagloria legata
alla gestione di faccende pratiche, o in un’attrazio-
ne per le dinamiche di autostima e di realizzazione
autoreferenziale. Si può anche tradurre in diversi
modi di mostrarsi a se stessi coinvolti in una den-
sa vita sociale piena di viaggi, riunioni, cene, rice-
vimenti. Oppure si esplica in un funzionalismo
manageriale, carico di statistiche, pianificazioni e
valutazioni, dove il principale beneficiario non è
il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come or-
ganizzazione. In tutti i casi, è priva del sigillo di
Cristo incarnato, crocifisso e risuscitato, si rin-
chiude in gruppi di élite, non va realmente in
cerca dei lontani né delle immense moltitudini
assetate di Cristo. Non c’è più fervore evangelico,
ma il godimento spurio di un autocompiacimento
egocentrico » (EG 95).

In questa pagina dell’Esortazione si indica-


no con grande chiarezza e durezza una serie di
rischi e di modelli che riducono la Chiesa o a un
museo o a una organizzazione appagata di se stes-
sa e dei propri riconoscimenti ufficiali e dei propri
successi. E dove, quindi, non c’è posto per gli
esseri umani e per il loro dolore, per la vita del
popolo.
Infatti, i gruppi scelti e di élite che occupa-
no lo spazio della Chiesa non possono avere a

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MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


cuore il popolo. Appare evidente come ci si possa
lasciare facilmente irretire in questo fascino del
successo e dei risultati; fascino che mi appare di-
retta conseguenza di tre tentazioni, sotterranee,
che attraversano tutto il corso della storia umana
e della Chiesa e si impongono ancora al nostro
presente: il potere, la ricchezza, il prestigio.
Ci si è illusi che questi mezzi potessero es-
sere posti al servizio della evangelizzazione, senza
comprendere che una volta usati hanno reso un
danno enorme alla stessa evangelizzazione, ren-
dendola non credibile e sovente indiretta sosteni-
trice della giustificazione di mondo ingiusto.
Come la nonviolenza insegna, il fine buono non
giustifica mai mezzi cattivi. Poiché mezzi cattivi
trascineranno sempre elementi negativi anche
nelle cause migliori.
Ma l’accoglienza della storia, per non rima-
nere una semplice idea o un generico buon pro-
posito, ha un banco di prova diretto nella acco-
glienza e nella prossimità con i poveri. Rispetto a
loro nessuna ragione può giustificare distanze e
rinvii:
« Nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano
dai poveri perché le sue scelte di vita comportano
di prestare più attenzione ad altre incombenze.
Questa è una scusa frequente negli ambienti acca-
demici, imprenditoriali o professionali, e persino
ecclesiali. Sebbene si possa dire in generale che la
vocazione e la missione propria dei fedeli laici è la
trasformazione delle varie realtà terrene affinché
ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo,

l’evangelii gaudium e i bisogni... 73

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nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupa-
zione per i poveri e per la giustizia sociale: “La
conversione spirituale, l’intensità dell’amore a Dio
e al prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il
significato evangelico dei poveri e della povertà
sono richiesti a tutti”. Temo che anche queste
parole siano solamente oggetto di qualche com-
mento senza una vera incidenza pratica. Nono-
stante ciò, confido nell’apertura e nelle buone di-
sposizioni dei cristiani, e vi chiedo di cercare
comunitariamente nuove strade per accogliere
questa rinnovata proposta » (EG 201).

Il Papa, quindi, chiede qui non un generico


assenso, ma una « incidenza pratica » alla quale si
può giungere solo se si ha il coraggio di cercare
nuove soluzioni. Ma queste sono possibili solo
facendo crollare tutte le false certezze riguardo
alle presunte « leggi assolute del mercato ». Ed
esse poggiano su un neologismo che il Papa intro-
duce con grande forza: inequità. Parola nuova per
intendere mali sociali antichi.
Ed è all’inequità che occorre contrapporre
l’impegno per la giustizia sociale. Un impegno che
ritengo oggi, almeno in Italia, essere totalmente
estraneo a tutti, sia partiti politici sia sindacati:
entrambi ridotti o a club per tutelare comuni in-
teressi o a corporazioni. « […] Finché non si ri-
solveranno radicalmente i problemi dei poveri,
rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e
della speculazione finanziaria e aggredendo le
cause strutturali della inequità, non si risolveran-
no i problemi del mondo e in definitiva nessun

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problema. L’inequità è la radice dei mali sociali »
(EG 202).
Ed è proprio questa inequità sistemica e
diffusa che impone alla Chiesa di non poter accet-
tare una tranquillità fondata sull’essere estranea ai
poveri. Infatti non basta parlare o affermare prin-
cipi e valori se non si opera per ottenere dignità e
inclusione per tutti.
La pretesa di tranquillità e di garanzie, una
affermazione di principi disincarnati dalla vita
sfociano rapidamente nella mondanità spirituale,
alla quale si accompagna un universo di ritualità
e di parole che nulla hanno a che vedere con l’im-
pegno per la evangelizzazione:
« Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in
cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi
creativamente e cooperare con efficacia affinché i
poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti,
correrà anche il rischio della dissoluzione, benché
parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente
finirà per essere sommersa dalla mondanità spiri-
tuale, dissimulata con pratiche religiose, con riu-
nioni infeconde o con discorsi vuoti » (EG 207).

5. Bisogni concreti della storia

Tutto il documento è attraversato da questa


scelta indifferibile di condivisione e di attenzione
nell’aver cura del presente e di chi lo abita con noi.
Una scelta compiuta in piena libertà e con una
capacità totale di empatia.

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Il testo è chiarissimo:
« Affascinati da tale modello, vogliamo inserirci a
fondo nella società, condividiamo la vita con tutti,
ascoltiamo le loro preoccupazioni, collaboriamo
materialmente e spiritualmente nelle loro necessi-
tà, ci rallegriamo con coloro che sono nella gioia,
piangiamo con quelli che piangono e ci impegnia-
mo nella costruzione di un mondo nuovo, gomito
a gomito con gli altri. Ma non come un obbligo,
non come un peso che ci esaurisce, ma come una
scelta personale che ci riempie di gioia e ci confe-
risce identità » (EG 269).

I bisogni concreti della storia, allora, non


prevedono distanze, poiché il cristianesimo non
ha nulla a che vedere con lo stoicismo; la condi-
zione del cristiano è abissalmente lontana dalla
atarassia:
« A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani
mantenendo una prudente distanza dalle piaghe
del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la mi-
seria umana, che tocchiamo la carne sofferente
degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei
ripari personali o comunitari che ci permettono di
mantenerci a distanza dal nodo del dramma uma-
no, affinché accettiamo veramente di entrare in
contatto con l’esistenza concreta degli altri e co-
nosciamo la forza della tenerezza. Quando lo fac-
ciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosa-
mente e viviamo l’intensa esperienza di essere
popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo »
(EG 270).

Qui il Papa usa un termine chiaro e terribi-


le a un tempo. Non scrive « guardiamo » oppure

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« osserviamo » le piaghe della miseria umana e la
carne sofferente, ma utilizza « tocchiamo », un
verbo che non lascia scampo e spazio a fughe re-
toriche o a cattive comprensioni spiritualizzanti.
È necessario toccare per capire, per compatire, per
superare qualsiasi distanza con quello che defini-
sce « il nodo del dramma umano ». Quel nodo non
va giudicato o condannato ma condiviso perché
ci siamo dentro tutti. Fuggirlo è la pratica diffusa
di una certa spiritualità che offre a buon mercato
ripari e giustificazioni dietro le istituzioni e le
tranquille garanzie che esse offrono.

6. Fuggire o sperare nella storia

L’Esortazione fa crollare anche un universo


artificiale che abbiamo creato come cristiani pur
di tenerci lontani dalla storia. Un universo abitato
da idee e non da esseri umani. Da immagini im-
materiali e non da uomini e donne non virtuali.
Noi che dovremmo credere nell’incarnazio-
ne, abbiamo finito per disincarnare il mondo e
pretendiamo che questo mondo disincarnato sia
stato il soggetto della creazione, dopo che abbia-
mo eliminato tutti gli esseri umani. Una contrad-
dizione di termini così evidente da rendere ogni
tentativo di evangelizzazione del tutto inutile.
Infatti come papa Francesco scrive, la realtà è più
importante dell’idea:
 

l’evangelii gaudium e i bisogni... 77

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


« Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e
la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si ela-
bora. Tra le due si deve instaurare un dialogo
costante, evitando che l’idea finisca per separarsi
dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della
sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si
desume che occorre postulare un terzo principio:
la realtà è superiore all’idea. Questo implica di
evitare diverse forme di occultamento della real-
tà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo,
i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più for-
mali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli
eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza
saggezza. L’idea – le elaborazioni concettuali – è
in funzione del cogliere, comprendere e dirigere
la realtà. L’idea staccata dalla realtà origina idea-
lismi e nominalismi inefficaci, che al massimo
classificano o definiscono, ma non coinvolgono.
Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragio-
namento. Bisogna passare dal nominalismo for-
male all’oggettività armoniosa. Diversamente si
manipola la verità, così come si sostituisce la
ginnastica con la cosmesi. Vi sono politici – e
anche dirigenti religiosi – che si domandano
perché il popolo non li comprende e non li segue,
se le loro proposte sono così logiche e chiare.
Probabilmente è perché si sono collocati nel re-
gno delle pure idee e hanno ridotto la politica o
la fede alla retorica. Altri hanno dimenticato la
semplicità e hanno importato dall’esterno una
razionalità estranea alla gente. La realtà è supe-
riore all’idea. Questo criterio è legato all’incarna-
zione della Parola e alla sua messa in pratica: “In
questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni
spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella
carne, è da Dio” (1Gv 4,2). Il criterio di realtà, di
una Parola già incarnata e che sempre cerca di
incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione. Ci

78 sergio tanzarella

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porta, da un lato, a valorizzare la storia della
Chiesa come storia di salvezza, a fare memoria
dei nostri santi che hanno inculturato il Vangelo
nella vita dei nostri popoli, a raccogliere la ricca
tradizione bimillenaria della Chiesa, senza pre-
tendere di elaborare un pensiero disgiunto da
questo tesoro, come se volessimo inventare il
Vangelo. Dall’altro lato, questo criterio ci spinge
a mettere in pratica la Parola, a realizzare opere
di giustizia e carità nelle quali tale Parola sia fe-
conda. Non mettere in pratica, non condurre la
Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia,
rimanere nella pura idea e degenerare in intimi-
smi e gnosticismi che non danno frutto, che
rendono sterile il suo dinamismo » (EG 231-233).

Leggiamo qui una pagina di rara intensità


dove il regno delle pure idee appare un rifugio
illusorio e così tanto irrimediabilmente lontano
dalla vita e per questo incomprensibile ed estra-
neo al popolo. Non basta, infatti, parlare o annun-
ciare, occorre farsi comprendere.
Ricondurre la Parola alla realtà significa non
fuggire il mondo, ma accoglierlo per ripartire da
esso; e per non rimanere paralizzati di fronte al
dolore del mondo, il bisogno più concreto della
storia è costituito dalla speranza, senza la quale
ogni storia è destinata a mettersi a lutto.
E la speranza si sa è irragionevole. In pagine
lontane nel tempo, scritte quando l’Europa si av-
viava alle distruzioni della Seconda guerra mon-
diale, Johan Huizinga, nell’edizione italiana del
suo Le ombre del domani osservava come: « La
speranza può solo essere fondata sull’improbabile.

l’evangelii gaudium e i bisogni... 79

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Quella che parte dall’osservazione di fatti potenti
non è speranza, ma calcolo »10.
E papa Francesco nella EG ci invita appun-
to non a compiere calcoli, ma ad affidare l’evan-
gelizzazione alla speranza. Una speranza che va
oltre le nostre previsioni, i nostri calcoli, che si
proietta in un futuro del quale noi non siamo in
grado di cogliere il senso e che forse nemmeno
vedremo.
« A volte ci sembra di non aver ottenuto con i
nostri sforzi alcun risultato, ma la missione non è
un affare o un progetto aziendale, non è neppure
un’organizzazione umanitaria, non è uno spetta-
colo per contare quanta gente vi ha partecipato
grazie alla nostra propaganda; è qualcosa di molto
più profondo, che sfugge a ogni misura. Forse il
Signore si avvale del nostro impegno per riversare
benedizioni in un altro luogo del mondo dove non
andremo mai. Lo Spirito Santo opera come vuole,
quando vuole e dove vuole; noi ci spendiamo con
dedizione ma senza pretendere di vedere risultati
appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono di noi
stessi è necessario » (EG 279).

È un dono di cui comprendiamo la necessi-


tà e a un tempo è il limite dei risultati immediati
in relazione alle nostre attese. L’evangelizzazione,
come l’opera della giustizia, non è destinata al
successo, ma da qui non dobbiamo quindi trarre

10
J. Huizinga, La crisi della civiltà, Einaudi, Torino 1962, p. 3
(orig. olandese 1935). Il titolo del libro ebbe una traduzione infelice
nell’edizione italiana del 1937, mentre letteralmente la prima parte
del titolo originale In de schaduwen wan cioè Nelle ombre del presente
possiede una straordinaria capacità evocativa.

80 sergio tanzarella

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la sensazione di quello che il Papa definisce « il
senso della sconfitta, che ci trasforma in pessimi-
sti scontenti e disincantati dalla faccia scura » (EG
85), come accade quando questo senso lo voglia-
mo schiacciare nello spazio del nostro presente.
Ma se torniamo alla categoria del tempo,
allora possiamo considerare che bene e male han-
no una caratteristica comune, non restano mai
circoscritti nel tempo in cui si compiono, sono
eternamente incompiuti perché hanno enorme
rilevanza nel futuro, lo ipotecano e lo condiziona-
no al di là della volontà dei singoli.
Ci suggerisce ciò Pavel Florenskij, il vigile
testimone e martire delle persecuzioni staliniste:
« In me vive la ferma convinzione che al mondo
niente si perde, né del bene né del male, e prima
o poi si manifesta apertamente anche ciò che per
un certo tempo, a volte anche lungo, rimane invi-
sibile »11.
 
 

11
P.A. Florenskij, Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le
lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote
russo, Mondadori, Milano 2000, p. 382.

l’evangelii gaudium e i bisogni... 81

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LA CHIESA
NELLA SUA FEDE,
« FAVILLA, CHE SI DILATA
IN FIAMMA »
INDIVIDUALITÀ NELL’UNITÀ
Rosario La Delfa

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Rosario La Delfa, presbitero della Chiesa di Piazza
Armerina, è docente di Ecclesiologia e Mariologia presso la
Facoltà Teologica di Sicilia. Ha insegnato Teologia dogmatica
presso il St. Bernard’s Institute di Rochester, New York, e presso
l’University College dell’Università del Maryland. La sua forma-
zione teologica fino alla licenza è avvenuta negli Stati Uniti. Ha
conseguito il dottorato in teologia dogmatica alla Pontificia
Università Gregoriana. Ha curato diverse pubblicazioni nell’am-
bito dell’ecclesiologia e degli studi sul Cardinale J.H. Newman.
Attualmente è preside della Facoltà Teologica di Sicilia.
 

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1. Una suggestione tratta da Lumen Fidei

La scelta di intitolare uno studio dell’eccle-


siologia espressa nell’Esortazione apostolica Evan-
gelii Gaudium (EG), facendo uso di una suggestio-
ne poetica che papa Francesco adopera nella sua
prima enciclica Lumen Fidei (LF) è voluta. Con le
immagini, la poesia sposa pensiero ed esperienza
interiore. L’appello a un verso poetico per dire
l’esperienza della fede, è giustificato quando le
sole parole della logica non sono sufficienti. Nel
caso in esame, l’assunzione della metafora « favil-
la, che si dilata in fiamma », vuole evocare l’inizia-
tiva dello spirito del Risorto, che con il suo inter-
vento estrinseco incendia la fiamma che dilata la
Chiesa, oltre l’individualismo di una umanità
stagnante nel buio, verso l’ampiezza dell’orizzon-
te salvifico della comunione1:

1
Al n. 111 dell’Esortazione, viene rivelata con nitidezza e peren-
torietà questa immancabile premessa: « Propongo di soffermarci un poco
su questo modo d’intendere la Chiesa, che trova il suo ultimo fondamen-
to nella libera e gratuita iniziativa di Dio », e subito dopo, al n. 112, il
Papa aggiunge: « Il principio del primato della grazia dev’essere un faro
che illumina costantemente le nostre riflessioni sull’evangelizzazione ».

la chiesa nella sua fede 85

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« Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto
e ci attira oltre la morte, la fede è luce che viene
dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti
grandi, e ci porta al di là del nostro “io” isolato
verso l’ampiezza della comunione. Comprendiamo
allora che la fede non abita nel buio; che essa è una
luce per le nostre tenebre. Dante, nella Divina
Commedia, dopo aver confessato la sua fede da-
vanti a san Pietro, la descrive come una “favilla /
che si dilata in fiamma poi vivace / e come stella
in cielo in me scintilla” (Paradiso XXIV, 145-147).
Proprio di questa luce della fede vorrei parlare,
perché cresca per illuminare il presente fino a di-
ventare stella che mostra gli orizzonti del nostro
cammino, in un tempo in cui l’uomo è particolar-
mente bisognoso di luce » (LF 4).

Il fondamento ecclesiologico
della Esortazione apostolica Evangelii Gaudium

Il fondamento ecclesiologico espresso dalla


Esortazione apostolica EG non è, come sogliono
dire alcuni critici poco attenti, il tema del popolo
di Dio, della comunione o della stessa missione,
bensì quello dell’iniziativa divina, da cui si propaga
un popolo, per la quale sono raccolti in unità gli
uomini con Dio e tra loro, e in cui è sospinta e
trova forza ogni moto missionario. Per quanto
centrali e ampiamente discussi nel documento, essi
sono infatti dei temi subordinati a, e dipendenti da
questo indispensabile concetto propulsore. La
Chiesa è compresa nella sua stessa fede. Se la fede
è suscitata dall’evangelizzazione, allora il primo

86 rosario la delfa

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evangelizzatore è Cristo stesso, parola del Padre.
L’evangelizzazione, come la missione, è iniziativa
di Dio. La Chiesa è realizzata dall’annunzio.
Questo pensiero è davvero importante per
comprendere l’appello che l’Esortazione fa riguar-
do alla missione, allorché invoca l’impegno mis-
sionario di tutti i credenti. Al paragrafo 12 si legge
una citazione di Evangelii Nuntiandi di Paolo VI:
« Gesù è “il primo e il più grande evangelizzatore”
(EN 7). – E prosegue – In qualunque forma di
evangelizzazione il primato è sempre di Dio, che
ha voluto chiamarci a collaborare con Lui e stimo-
larci con la forza del suo Spirito ». La continuità
della Chiesa sta nella proclamazione della fede che
la invertebra, cioè nella risposta all’annunzio evan-
gelico che la rinnova incessantemente.
« La vera novità è quella che Dio stesso misteriosa-
mente vuole produrre, quella che Egli ispira, quella
che Egli provoca, quella che Egli orienta e accom-
pagna in mille modi. In tutta la vita della Chiesa si
deve sempre manifestare che l’iniziativa è di Dio,
che “è lui che ha amato noi” per primo (1Gv 4,10)
e che “è Dio solo che fa crescere” (1Cor 3,7) ».

A riprova, cita sant’Ireneo:


« “[Cristo], nella sua venuta, ha portato con sé
ogni novità” (Adversus haereses, IV, c. 34, n.1: PG
7 pars prior, 1083: “Omnem novitatem attulit,
semetipsum afferens”). Egli sempre può, con la sua
novità, rinnovare la nostra vita e la nostra comu-
nità, e anche se attraversa epoche oscure e debo-
lezze ecclesiali, la proposta cristiana non invecchia
mai. Gesù Cristo può anche rompere gli schemi

la chiesa nella sua fede 87

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci
sorprende con la sua costante creatività divina.
Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e
recuperare la freschezza originale del Vangelo,
spuntano nuove strade, metodi creativi, altre for-
me di espressione, segni più eloquenti, parole ca-
riche di rinnovato significato per il mondo attuale.
In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è
sempre “nuova” » (EG 11).

L’asserto, ecclesiologicamente parlando, è


risolutivo di un’aporia che poteva derivare dall’e-
spressione « nuova evangelizzazione », adoperata
nell’ultimo trentennio in ambiente pastorale. Sen-
za smentirla, se ne accoglie il senso più profondo.
Non è il dettato che è nuovo, né il modo o il me-
todo, bensì l’evidenza della fede che dimostra
come una comunità sia rinnovata mediante l’an-
nunzio. Proprio questo disvela la novità creativa
del modo di agire, di operare, di intervenire di
Dio. Dalla fede cioè consegue la novità dell’agire
e non viceversa.

La Chiesa nella sua fede: un’intimità itinerante

L’iniziativa divina nella realizzazione dell’e-


vento ecclesiale è suggerita con una certa sottigliez-
za al paragrafo 22, nel quale viene sottolineata la
potenza della Parola contro quella che a ben vede-
re potremmo chiamare l’impotenza della Chiesa
stessa. È in forza di questa inadeguatezza che ri-
splende la fede come affidamento al Dio che salva:

88 rosario la delfa

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« La Parola ha in sé una potenzialità che non pos-
siamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che,
una volta seminato, cresce da sé anche quando
l’agricoltore dorme (cfr. Mc 4,26-29). La Chiesa
deve accettare questa libertà inafferrabile della
Parola, che è efficace a suo modo, e in forme mol-
to diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previ-
sioni e rompere i nostri schemi ».

L’unica cosa che la Chiesa può fare è dunque


quella di incontrarsi con quella Parola che la de-
termina sempre nuovamente, e allo stesso tempo,
facilitare l’incontro di ogni uomo con essa. La
« Chiesa in uscita », espressione cara all’Esortazio-
ne, vuole implicare questo continuo riferimento
a una Parola che la convoca per inviarla, e giam-
mai per farla sostare in uno schema statico.
L’incontro con Cristo è l’esperienza che de-
termina la fede, la quale si manifesta come « L’in-
timità della Chiesa con Gesù ». Ma, continua
Francesco, essa « è un’intimità itinerante, e la
comunione “si configura essenzialmente come
comunione missionaria” (CL 2). La gioia del Van-
gelo è per tutto il popolo, non può escludere
nessuno »(EG 23).
Senza questo incontro, l’uomo è pur sempre
isolato e solo, incline solo ai propri interessi; oggi
più che mai, suggerisce l’Esortazione al suo esor-
dio: « Il grande rischio del mondo attuale, con la
sua molteplice e opprimente offerta di consumo,
è una tristezza individualista che scaturisce dal
cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di
piaceri superficiali, dalla coscienza isolata ». E

la chiesa nella sua fede 89

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


dichiara che coloro che si incontrano con Gesù,
che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal
peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’i-
solamento (EG 2).
L’immagine di Chiesa che sottende al magi-
stero di Francesco è dunque un evento che ha il
suo principio nell’iniziativa con cui Dio, median-
te Cristo, si fa vicino a ogni uomo e lo rinnova con
il dono della fede come risposta all’annunzio, che
di mano in mano è comunicato a tutti allo scopo
di condividere la gioia di sapersi amati da Dio (cfr.
EG 8).

Risoluzione di un’aporia ecclesiologica:


« nuova evangelizzazione »
o rinnovamento della Chiesa?

Evangelizzazione, come primo annunzio,


nel senso di un annunzio che ha la priorità su
tutto il resto, e catechesi, intesa come risonanza
della fede kerygmatica nell’esistenza di ciascuno,
ovvero come confronto costante della propria vita
con la Parola, puntano all’essenziale2. Al paragra-

2 Cfr. EG 164: « Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi

ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o kerygma, che deve


occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di
rinnovamento ecclesiale. Il kerygma è trinitario. È il fuoco dello Spirito
che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che
con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita miseri-
cordia del Padre. Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il
primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e
adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti,

90 rosario la delfa

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fo 35, l’Esortazione avverte: « Una pastorale in
chiave missionaria non è ossessionata dalla tra-
smissione disarticolata di una moltitudine di dot-
trine che si tenta di imporre a forza di insistere…
l’annuncio si concentra sull’essenziale ». Nel pa-
ragrafo anteriore, questa osservazione aveva as-
sunto il carattere di una denuncia:
« … Il messaggio che annunciamo corre più che
mai il rischio di apparire mutilato e ridotto ad al-
cuni suoi aspetti secondari. Ne deriva che alcune
questioni che fanno parte dell’insegnamento mo-
rale della Chiesa rimangono fuori del contesto che
dà loro senso. Il problema maggiore si verifica
quando il messaggio che annunciamo sembra al-
lora identificato con tali aspetti secondari che, pur
essendo rilevanti, per sé soli non manifestano il
cuore del messaggio di Gesù Cristo » (EG 34).

Invitando a essere realisti e a non dare per


scontato che i nostri interlocutori conoscano lo
sfondo completo di ciò che diciamo, l’Esortazione
consiglia di puntare al cuore del messaggio. Que-
sto a fortiori, poiché la Chiesa non è desunta da
un codice morale, ma è l’esperienza dell’amore
salvifico di Cristo. Nel nucleo fondamentale della
missione della Chiesa « ciò che risplende è la bel-

per liberarti”. Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò
non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con
altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché
è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare
in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la
catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti.
Per questo anche “il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella co-
scienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato (PdV 26)” ».

la chiesa nella sua fede 91

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


lezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù
Cristo morto e risorto » (EG 36).
Ciò che permette alla Chiesa di fissare il
proprio sguardo sull’essenziale è la stessa fede che
ne determina la visione. Francesco sembra perciò
insistere continuamente sull’esercizio del discer-
nimento3. Attraverso la visione della fede, ovvero
la capacità di distinguere sotto la guida dello Spi-
rito che sospinge all’uso adeguato delle proprie
capacità umane di comprensione, il credente, non
solo diventa capace di riconoscere le verità essen-
ziali della fede, ma, di più, diventa capace di co-
glierle, viverle e comunicarle in un ordine armo-
nico e proporzionato.
Per spiegare questo importantissimo nesso,
nel cuore del I capitolo dell’Esortazione, fa appel-

3
Del discernimento l’Esortazione parla estesamente in tutto il
testo. In particolare cfr. nn. 45, 179, 180 e 181. Al n. 155, a proposito
della predicazione, spiega: « Si tratta di collegare il messaggio del testo
biblico con una situazione umana, con qualcosa che essi vivono, con
un’esperienza che ha bisogno della luce della Parola. Questa preoccupa-
zione non risponde a un atteggiamento opportunista o diplomatico, ma
è profondamente religiosa e pastorale. In fondo è « una vera sensibilità
spirituale per saper leggere negli avvenimenti il messaggio di Dio (EN
33) » e questo è molto di più che trovare qualcosa di interessante da dire.
Ciò che si cerca di scoprire è « ciò che il Signore ha da dire in questa
circostanza (ibidem) ». Dunque, la preparazione della predicazione si
trasforma in un esercizio di discernimento evangelico, nel quale si cerca
di riconoscere – alla luce dello Spirito – quell’ « “appello”, che Dio fa
risuonare nella stessa situazione storica: anche in essa e attraverso di
essa Dio chiama il credente (PdV 10) ». Al paragrafo 181 spiega come
il discernimento esiga l’uso di tutte le capacità dell’uomo: « Il Regno
che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto e ci ricorda quel
principio del discernimento che Paolo VI proponeva in relazione al
vero sviluppo: “Ogni uomo e tutto l’uomo” (PP 14) ». Sappiamo che
« l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reci-
proco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta,
personale e sociale, dell’uomo (EN 29) ».

92 rosario la delfa

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lo all’autorevolezza del concilio Vaticano II, che
ispirandosi alla remota dottrina di san Tommaso
(cfr. EG 37) ha affermato che « esiste un ordine o
piuttosto una “gerarchia” delle verità nella dottri-
na cattolica, essendo diverso il loro nesso col
fondamento della fede cristiana » (UR 11). Conti-
nua, spiegando che « Questo vale tanto per i dog-
mi di fede quanto per l’insieme degli insegnamen-
ti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento
morale » (EG 36). L’Esortazione non manca poi di
illustrare le conseguenze pastorali che possono
essere tratte dall’insegnamento conciliare richia-
mato, che raccoglie antiche convinzioni della
Chiesa. Dice infatti:
« Anzitutto bisogna dire che nell’annuncio del Van-
gelo è necessario che vi sia una adeguata proporzio-
ne. Questa si riconosce nella frequenza con la qua-
le si menzionano alcuni temi e negli accenti che si
pongono nella predicazione. Per esempio, se un
parroco durante un anno liturgico parla dieci volte
sulla temperanza e solo due o tre volte sulla carità
o sulla giustizia, si produce una sproporzione, per
cui quelle che vengono oscurate sono precisamente
quelle virtù che dovrebbero essere più presenti
nella predicazione e nella catechesi. Lo stesso suc-
cede quando si parla più della legge che della grazia,
più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa
che della parola di Dio » (EG 38).

L’impegno dei cristiani riguarda la salvezza:


« Noi cristiani insistiamo nella proposta di rico-
noscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire
ponti, stringere relazioni e aiutarci “a portare i
pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) » (EG 67).

la chiesa nella sua fede 93

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


« Curare le ferite, riconoscere l’altro, strin-
gere relazioni, costruire ponti ». Leggendo queste
espressioni, si ha la percezione di una chiarezza
che, non trascendendo l’attenzione ai singoli temi
etici tradizionalmente oggetto di contrasto dentro
e fuori la Chiesa, tuttavia indica come ruolo fon-
damentale della Chiesa quello di « curare le ferite
e di riconoscere l’altro, la vicinanza, la prossimi-
tà », cioè un duplice compito legato più alla tra-
smissione della fede, racchiuso nelle parole « ri-
conoscere l’altro, stringere relazioni, costruire
ponti », e al servizio alla salvezza, anch’esso reso
manifesto nella metafora « curare le ferite ».
Ma il senso vero di queste urgenze è spiega-
to da altre due premure sottolineate nel documen-
to, il cui spessore dogmatico precede il peso dei
medesimi compiti della Chiesa in ordine alla dot-
trina e alla salvezza. I due fattori, senza i quali il
vettore salvifico e l’intenzionalità della fede riman-
gono apparati vuoti, sono racchiusi in due sem-
plici espressioni, dentro le quali il Papa situa la
capacità della Chiesa di assolvere ai suoi compiti:
« la vicinanza, la prossimità » e « cominciare dal
basso ». Non si tratta di un invito a estroversioni
della volontà, oppure, come qualcuno potrebbe
ingenuamente dedurre, l’appello ad atteggiamen-
ti populistici. In queste espressioni è racchiuso il
senso stesso dell’esistenza della Chiesa e della sua
missione, determinato dal fatto dell’incarnazione
di Dio in Gesù Cristo. Con l’incarnazione, Dio si
è fatto vicino, prossimo all’uomo, si è fatto uomo,

94 rosario la delfa

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scegliendo di cominciare dal basso, dalla condi-
zione povera e piccola. Senza questa avvertenza è
impossibile comprendere la scelta di non voler
insistere solo sui valori cosiddetti non negoziabi-
li. Nel testo dell’intervista rilasciata a padre Anto-
nio Spadaro sj, e pubblicata su La Civiltà Cattolica
si legge infatti:
« Non possiamo insistere solo sulle questioni lega-
te ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei
metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io
non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è
stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna
parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del
resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa,
ma non è necessario parlarne in continuazione »4.

Necessità di una comprensione globale


della fede e della salvezza

Qual è il contesto cui rimanda papa France-


sco, e del quale invece si dovrebbe parlare più a
lungo? Lo sprovveduto potrebbe presto pensare
che si tratti di un contesto dettato da una specifi-
ca circostanza o situazione, che nella maggior
parte dei casi si materializza in diatribe di sapore
ideologico o politico. E si sbaglierebbe. Coerenza
vuole che il contesto avocato dal Papa sia quello
ecclesiale. E nella Chiesa – spiega, dichiarandosi

4
A. Spadaro, « Intervista a Papa Francesco », in La Civiltà
Cattolica, 164 (19 settembre 2013) 449-477, 464.

la chiesa nella sua fede 95

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


figlio della Chiesa – la dottrina, « il parere », su
questi argomenti è già sufficientemente chiara.
Non è chiaro a tutti invece il quadro entro cui
poggiano e assolvono il loro compito salvifico e
dottrinale tali questioni. Il Papa reitera, usando
quasi le stesse parole nell’Esortazione che aveva
adoperato nell’intervista, un’accusa, a modo di un
richiamo salutare. Biasima cioè l’assenza di una
vera e propria comprensione globale della fede e
della salvezza, quando si antepone a questa l’insi-
stenza su singoli temi, e perciò una autentica
consapevolezza del ruolo stesso della Chiesa in
riferimento a essi, e invita ad allargare la visuale.
Riferisce infatti nell’intervista:
« Una pastorale missionaria non è ossessionata
dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine
di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio
di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul
necessario, che è anche ciò che appassiona e attira
di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepo-
li di Emmaus »5.

L’orizzonte è chiaro e l’invito da lui posto


ineludibile. Fede e salvezza non soccombono di-
nanzi a ciò che è estemporaneo, ma lo sovrastano
fino a includerlo, coniugando ogni singola do-

5 Ibidem, 464. Anche EG 35: Una pastorale in chiave missiona-

ria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine


di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume
un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti
senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale,
su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più
necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profon-
dità e verità, e così diventa più convincente e radiosa.

96 rosario la delfa

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manda possa emergere nell’umana esperienza
all’interno della più fondamentale domanda della
fede. Quando le piccole cose diventano assolute,
le grandi cose finiscono con il divenire relative o
addirittura inesistenti. Se la proporzione vale, si
potrebbe dire che una certa percezione storica e
culturale delle priorità del cristianesimo abbia
preso il posto di Cristo e del Vangelo, tanto che le
sue parole perdono di senso. Addomesticando il
Vangelo per fargli dire ciò che vorremmo dicesse
al momento, può esautorarne la forza sempre
nuova e definitiva. A tale proposito aggiunge: « La
Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole
cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è
invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha sal-
vato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzi-
tutto essere ministri di misericordia »6.

6 A. Spadaro, « Intervista a Papa Francesco », p. 462. Cfr. anche

EG 44, e 112: « La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericor-
dia. Non esiste azione umana, per buona che possa essere, che ci faccia
meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci
a Sé (Propositio 4). Egli invia il suo Spirito nei nostri cuori per farci suoi
figli, per trasformarci e per renderci capaci di rispondere con la nostra
vita al suo amore. La Chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento
della salvezza offerta da Dio (LG 1). Essa, mediante la sua azione evan-
gelizzatrice, collabora come strumento della grazia divina che opera
incessantemente al di là di ogni possibile supervisione ». Lo esprimeva
bene Benedetto XVI aprendo le riflessioni del Sinodo: « È importante
sempre sapere che la prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera viene
da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando
questa iniziativa divina, possiamo anche noi divenire – con Lui e in
Lui – evangelizzatori » [Meditazione durante la prima Congregazione
generale della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi,
8 ottobre 2012, in AAS 104 (2012) 897]. Il principio del primato della
grazia dev’essere un faro che illumina costantemente le nostre riflessioni
sull’evangelizzazione.

la chiesa nella sua fede 97

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Come è possibile intuire, l’assillo di papa
Francesco è quello di intavolare un colloquio
dentro la Chiesa e con il mondo che parta dall’an-
nunzio dell’amore salvifico di Dio, entro cui, chia-
risce: « L’annuncio dell’amore salvifico di Dio è
previo all’obbligazione morale e religiosa. Oggi a
volte sembra che prevalga l’ordine inverso » (EG
165)7. A partire da questo ordine salvifico, che
precede sebbene non esautori l’ordine morale,
Francesco articola il suo ragionamento.
Se la missione è fedele al Vangelo, nella te-
stimonianza dei cristiani
« si manifesta con chiarezza la centralità di alcune
verità e risulta chiaro che la predicazione morale
cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi,
non è una mera filosofia pratica né un catalogo di
peccati ed errori. Il Vangelo invita prima di tutto
a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, rico-
noscendolo negli altri e uscendo da se stessi per
cercare il bene di tutti. Quest’invito – continua il
documento – non va oscurato in nessuna circo-
stanza! Tutte le virtù sono al servizio di questa
risposta di amore. … Poiché allora non sarà pro-
priamente il Vangelo ciò che si annuncia, ma alcu-
ni accenti dottrinali o morali che procedono da
determinate opzioni ideologiche. Il messaggio
correrà il rischio di perdere la sua freschezza e di
non avere più “il profumo del Vangelo” » (EG 39).

Il profumo del Vangelo paradossalmente è


equiparato a una espressione già nota di papa
Francesco, cioè l’odore che il pastore ha delle sue

7
Cfr. A. Spadaro, « Intervista a Papa Francesco », p. 464.

98 rosario la delfa

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pecore. L’immagine e il suo significato sono richia-
mati al n. 24 dell’Esortazione:
« La comunità evangelizzatrice si mette mediante
opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, ac-
corcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione
se è necessario, e assume la vita umana, toccando
la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evan-
gelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste
ascoltano la loro voce. Quindi, la comunità evan-
gelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Ac-
compagna l’umanità in tutti i suoi processi, per
quanto duri e prolungati possano essere. Conosce
le lunghe attese e la sopportazione apostolica.
L’evangelizzazione usa molta pazienza, ed evita di
non tenere conto dei limiti ».

Annunzio e accompagnamento sono, nella


mente dell’estensore dell’Esortazione, sinonimi.
Entrambi realizzano la missione nel suo autentico
significato.

Chiesa sinodale, che cammina unita


accanto all’umanità
verso un comune traguardo

Dunque, nella sua prima Esortazione apo-


stolica, papa Francesco, non esitando a interpel-
lare ogni forza per l’evangelizzazione, propone
una Chiesa più « pastorale », che sappia accoglie-
re prima di giudicare. In queste parole c’è la visio-
ne ignaziana del camminare accanto alle persone
a partire dalla situazione in cui vivono, con la

la chiesa nella sua fede 99

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forza del Vangelo e non da una morale stabilita a
priori. Quella di papa Francesco è una Chiesa si-
nodale, una Chiesa che cammina unita accanto
all’umanità verso un comune traguardo: la Geru-
salemme Celeste8.
Egli stesso interpreta il suo ministero petri-
no come ministero di accompagnamento delle
Chiese nell’espressione della collegialità. Dimo-
stra di comprendere l’unità come la composizione
delle individualità redente, liberate dall’isolamen-
to, coltivate nel discernimento e potenziate nella
loro portata carismatica. E, appoggiandosi alla
lezione del documento finale di Aparecida del
20079, alla cui compilazione egli aveva dato un
contributo determinante, propone una riforma
della Chiesa attraverso la missionarietà; chiede di
convertire in chiave missionaria le attività abitua-
li delle Chiese perché ogni riforma delle strutture
ecclesiali sia « conseguenza della dinamica della
missione »: « un cambiamento delle strutture da
caduche a nuove » che « non è frutto di uno studio
sull’organizzazione dell’impianto funzionale ec-
clesiastico », ma dipende dai « cuori dei cristiani »,
precisamente dalla fede testimoniata e vissuta.
Vale la pena soffermarsi su queste due dina-
miche che rendono attuale l’esistenza della Chie-
sa. Esse costituiscono nella prospettiva della mis-
sione, il modo attraverso cui si genera la fede

8
Cfr. EG 169-173.
9
V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e
dei Caraibi, Documento di Aparecida, 31 maggio 2007.

100 rosario la delfa

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della Chiesa, attraverso l’accompagnamento, in
cui si offre la personale e comunitaria testimo-
nianza evangelica, e anche il modo mediante cui
si rinnova la Chiesa stessa, producendo una rifor-
ma permanente delle sue strutture storiche. Tale
riforma è causata dalla novità del Vangelo che
perennemente annunziato porta con sé la forza
rinnovatrice della Pasqua.

La realizzazione del cammino di santità


attraverso il sentiero della missione

L’espressione « Chiesa in uscita » non è de-


bitrice a un vezzo metaforico. Nell’economia
dell’Esortazione, essa trova un saldo fondamento
teologico nell’esperienza di fede suscitata dall’an-
nunzio, il quale ha come suo oggetto centrale il
fatto che Dio ha preso l’iniziativa, si è avvicinato
a noi, ci ha preceduto nell’amore.
Usando un termine linguisticamente avvez-
zo alla sua origine nazionale, « Primerear - pren-
dere l’iniziativa », e giustificandone l’uso perché
esso rende meglio il senso di quello che si vuole
dire, al n. 24, Francesco spiega che
« La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli
missionari che prendono l’iniziativa, che si coin-
volgono, che accompagnano, che fruttificano e
festeggiano. “Primerear - prendere l’iniziativa”…
La comunità evangelizzatrice sperimenta che il
Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’a-
more (cfr. 1Gv 4,10)… La comunità evangelizza-

la chiesa nella sua fede 101

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trice si mette mediante opere e gesti nella vita
quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si ab-
bassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume
la vita umana, toccando la carne sofferente di
Cristo nel popolo ».

Tuttavia nella logica di una missione che ha


lo scopo di inculturare il Vangelo, Francesco esor-
ta a non identificare la Chiesa o la fede o il Vangelo
con la consuetudine, le sicurezze culturali. Al n. 33
dell’Esortazione, suggerisce: « La pastorale in chia-
ve missionaria esige di abbandonare il comodo
criterio pastorale del “si è fatto sempre così” ».
Piuttosto l’uso dell’espressione implica que-
sta disponibilità della Chiesa ad abbandonare le
proprie prerogative statiche e di isolamento. Con-
vincente a questo proposito è quello che viene
detto al paragrafo 46: « La Chiesa “in uscita” è una
Chiesa con le porte aperte. Uscire verso gli altri
per giungere alle periferie umane non vuol dire
correre verso il mondo senza una direzione e sen-
za senso. Molte volte è meglio rallentare il passo,
mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi
e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accom-
pagnare chi è rimasto al bordo della strada. A
volte è come il padre del figlio prodigo, che rima-
ne con le porte aperte perché quando ritornerà
possa entrare senza difficoltà ». E al paragrafo 47
estenderà il senso di questo concetto alle porte dei
Sacramenti che mai dovrebbero chiudersi:
« Questo vale soprattutto quando si tratta di quel
sacramento che è “la porta”, il Battesimo. L’Euca­

102 rosario la delfa

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ristia, sebbene costituisca la pienezza della vita
sacramentale, non è un premio per i perfetti ma
un generoso rimedio e un alimento per i deboli ».
Avverte poi in riferimento a ciò: « Queste convin-
zioni hanno anche conseguenze pastorali che sia-
mo chiamati a considerare con prudenza e audacia.
Di frequente ci comportiamo come controllori
della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa
non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto
per ciascuno con la sua vita faticosa ».

Dinanzi all’eventualità di obliare i poveri,


come destinatari privilegiati del Vangelo (cfr. EG
48), finirà col dire « preferisco una Chiesa acci-
dentata, ferita e sporca per essere uscita per le
strade, piuttosto che una Chiesa malata per la
chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie
sicurezze » (EG 49).
Di contro, l’espressione « Chiesa in uscita »
dice il modo della piena realizzazione di un ope-
ratore del Vangelo e della stessa comunità evan-
gelizzatrice. La missione infatti ha come scopo
l’incontro con Cristo che ci libera dal nostro iso-
lamento e dalla solitudine. Solo uscendo da sé è
possibile aderire all’amore di Cristo che conduce
oltre.
Al n. 8, l’Esortazione descrive la parabola « Solo
grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amo-
re di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo
riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’auto-
referenzialità. Giungiamo a essere pienamente
umani quando siamo più che umani, quando per-
mettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi
perché raggiungiamo il nostro essere più vero ».

la chiesa nella sua fede 103

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Il concetto sembra evadere il consueto elo-
quio piano e semplice con cui generalmente si
esprime papa Francesco. Volendo associare a esso
termini adoperati dalla tradizione spirituale, si
potrebbe dire che qui egli stia di fatto intendendo
la santificazione, divinizzazione ecc. Infatti a cosa
varrebbe essere condotti oltre, in una forma di
« umanità più che umana », se non alla unione
con Dio che divinizza? A conclusione del para-
grafo in cui questo concetto è enunciato, France-
sco rivela che proprio « Lì sta la sorgente dell’a-
zione evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha
accolto questo amore che gli ridona il senso del-
la vita, come può contenere il desiderio di comu-
nicarlo agli altri? ».
Sta in questo passaggio, supportato da due
citazioni di Aparecida, il fulcro teologico autenti­
co della proposta di Francesco nella sua Esorta-
zione:
« La proposta è vivere a un livello superiore, però
non con minore intensità: “La vita si rafforza do-
nandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio.
Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità
della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e
si appassionano alla missione di comunicare la vita
agli altri”. Quando la Chiesa chiama all’impegno
evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristia-
ni il vero dinamismo della realizzazione personale:
“Qui scopriamo un’altra legge profonda della real-
tà: la vita cresce e matura nella misura in cui la
doniamo per la vita degli altri. La missione, alla fin
fine, è questo” » (EG 10).

104 rosario la delfa

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La missione di evangelizzare produce gioia,
ma intende assicurarla in pienezza, cioè nello
stato di santità. Per Francesco questo stato è rag-
giunto dal dono di sé nell’atto di comunicare il
Vangelo. Non a caso cita sia Francesco d’Assisi che
Teresa di Calcutta come campioni di questo modo
di vivere la santità (cfr. EG 183).
La realizzazione del cammino di santità
passa inequivocabilmente attraverso il sentiero
della missione. Il dono di sé con cui viene sigilla-
to il dono del Vangelo impegna nell’accompagna-
mento fedele e leale dell’altro attraverso una dina-
mica che l’Esortazione chiama « da persona a
persona » e a cui dedica un certo numero di para-
grafi (cfr. nn. 127-129, sebbene i nn. 120-209 si-
ano una esplicitazione di questa dinamica).
In questo modo l’individuo è posto al cen-
tro della comunità e costituisce insieme il vettore
e il destinatario di un servizio che, nella logica
del dono personale, tende a costituire in pienezza
la comunione. L’intimità ecclesiale tuttavia, in
forza della propulsione del dono missionario, è
sempre e comunque una « intimità itinerante »10.
Vanno letti in questa prospettiva tutti quei para-
grafi che sono dedicati alla formazione, all’omi-
letica, alla spiritualità, e specialmente al servizio
nella carità11.

10
Cfr. EG 23: « L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità
itinerante, e la comunione “si configura essenzialmente come comunione
missionaria (CL 32)” ».
11
Cfr. EG, capp. III e IV, nn. 110-258.

la chiesa nella sua fede 105

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Riforma della Chiesa attraverso la missionarietà

Meriterebbe più tempo e attenzione la rifles-


sione su questo altro fronte, specialmente per il
fatto che le intuizioni di Francesco sono frutto di
tanta maturazione pratica e reale nella sua espe-
rienza sudamericana. L’ecclesiologia di Francesco
traspare ampiamente nel documento di Aparecida.
Nell’Esortazione egli propone una riforma della
Chiesa attraverso la missionarietà; chiede di con-
vertire in chiave missionaria le attività abituali
delle Chiese perché ogni riforma delle strutture
ecclesiali sia « conseguenza della dinamica della
missione », « un cambiamento delle strutture da
caduche a nuove » che « non è frutto di uno studio
sull’organizzazione dell’impianto funzionale ec-
clesiastico », ma dipende dai « cuori dei cristiani »,
precisamente dalla fede testimoniata e vissuta12.
A fronte di una proposta missionaria che
sola può rigenerare la Chiesa, pone specialmente
agli operatori pastorali l’interrogativo: « Facciamo
in modo che il nostro lavoro sia più pastorale che
amministrativo? Chi è il principale beneficiario
del lavoro ecclesiale, la Chiesa come organizzazio-
ne o il popolo di Dio nella sua totalità? » E ancora:
« Rendiamo partecipi della missione i fedeli laici?

12
Vale per tutti questo singolare asserto di EG 27: « Sogno una
scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetu-
dini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino
un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che
per l’autopreservazione ».

106 rosario la delfa

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È un criterio abituale il discernimento pastorale?
I Consigli diocesani, e quelli parrocchiali di pa-
storale e degli Affari economici sono spazi reali
per la partecipazione laicale nella consultazione,
organizzazione e pianificazione pastorale? ».
In quest’ottica di rinnovamento, rilevanti
sono le sue domande precise sui laici e sul modo in
cui vescovi e preti diano loro « la libertà perché va-
dano discernendo, conformemente al loro cammino
di discepoli, la missione che il Signore affida loro ».
Lo fa mettendo il dito nella piaga di ciò che
ritarda ancora l’attuazione di un pieno coinvolgi-
mento dei laici e il funzionamento dei consigli
pastorali diocesani, ovvero una certa deriva cleri-
cale che ha portato tanti a privilegiare dogmi e
direttive piuttosto che la vicinanza alla gente e la
comprensione delle fatiche13.
Bisogna prestare attenzione ai nuovi linguag-
gi, agli « scenari e aeropaghi più svariati ». Se la
Chiesa rimane nei parametri della cultura di sem-
pre, il risultato finirà con l’annullare la forza dello
Spirito Santo. Dio sta in tutte le parti: bisogna sa-
perlo scoprire per poterlo annunciare nell’idioma
di ogni cultura; ogni realtà, ogni lingua, ha un rit-
mo diverso14.
Suggerisce con forza quelle « tentazioni » che
assalgono quelli che la fede sprona alla missione.
La prima è « l’ideologizzazione del messaggio evan-

13
Cfr. EG 102, 201.
14
Cfr. EG 40, 41, 43, 68, 69, 90.

la chiesa nella sua fede 107

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gelico » che scade in una « pretesa interpretativa »
fondata sulle scienze sociali, che comprende i cam-
pi più diversi, « dal liberismo di mercato fino alle
categorizzazioni marxiste ».
C’è poi l’ideologizzazione « psicologica »,
una tentazione elitaria basata soprattutto su espe-
rienze intimiste della spiritualità, che finisce con
il risultare « un atteggiamento immanente e auto-
referenziale ».
Ancora: la « proposta gnostica » di gruppi
ed élite di « cattolici illuminati » che avanzano la
pretesa di una « spiritualità superiore, disincarna-
ta dalla storia », e infine « la proposta pelagiana »,
che appare « sotto forma di restaurazione »15.
Altre due tentazioni sottolineate dall’Esor-
tazione sono il « funzionalismo », cioè una conce-
zione « che non tollera il mistero », ma « va all’ef-
ficacia », riducendo « la realtà della Chiesa a una
ONG ». Per papa Francesco, infatti, molti fedeli
hanno lasciato la Chiesa perché « essa non ha sa-
puto raggiungerli là dove loro erano ». E poi il
« clericalismo », una « complicità peccatrice » in
cui « il parroco clericalizza e il laico è disponibile
a lasciarsi clericalizzare ». Il fenomeno del clerica-
lismo è alimentato in gran parte dalla « mancanza
di maturità e libertà cristiana » nel laicato16.
Il laico o non cresce, o si rannicchia sotto
coperture di ideologizzazioni già viste, o in appar-

15
Cfr. EG 94.
16
Cfr. EG 95-96.

108 rosario la delfa

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tenenze parziali e limitate. Esiste nelle nostre
terre una forma di libertà laicale attraverso espe-
rienze di popolo: la pietà popolare è il modo del
popolo di evangelizzare se stesso inculturando la
propria comprensione del Vangelo, sotto la spinta
dello Spirito17.
L’Esortazione invita pertanto a impegnarsi
nell’oggi avendo il passato come memoria e il
futuro come promessa, ma sapendo che l’invito al
discepolo è all’impegno nella realtà quotidiana.
« Il discepolo vive in tensione verso le periferie...
incluse quelle dell’eternità nell’incontro con Gesù
Cristo ». Nell’annuncio evangelico abitualmente
abbiamo paura di uscire dal centro; il missionario
è invece un « decentrato » inviato da Cristo, « non
è una persona isolata in una spiritualità intimista,
ma una persona in comunità per darsi agli altri »18.
La proposta di papa Francesco mette in
guardia dalla « proiezione utopica » verso il futuro
e da quella « restaurazionista » verso il passato:
« Dio è reale e si manifesta nell’oggi ».
La Chiesa quando « si erige in “centro”,
pretende di avere luce propria, diventa più auto-
referenziale e da “serva” si trasforma in “control-
lore” »19. Esistono, ha sottolineato Francesco, pa-

17
Cfr. EG 122-126.
18
Cfr. EG 20: « Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale
sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accetta-
re questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di
raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo ».
19
EG 47: « Queste convinzioni hanno anche conseguenze
pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di

la chiesa nella sua fede 109

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storali « lontane » che « privilegiano i principi, le
condotte, i procedimenti organizzativi », senza
alcuna « vicinanza, tenerezza, carezza ». La forza
del Vangelo consiste nella realizzazione della pros-
simità di Dio e degli uomini e nella guarigione di
quelle ferite che fanno stagnare in un isolamento
autoreferenziale, da cui l’incontro con Gesù Cristo
può liberare.
 
 

frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come


facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è
posto per ciascuno con la sua vita faticosa ».

110 rosario la delfa

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PER UNA CRITERIOLOGIA
TEOLOGICO-PASTORALE
DELLA DOTTRINA
TEOLOGICA
E DELL’AGIRE PASTORALE
Carmelo Torcivia
 

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


Carmelo Torcivia, presbitero della Chiesa di Palermo,
è rettore della Chiesa di « Santa Maria della Catena » e fondato-
re della comunità ecclesiale « Kairòs ». Docente di Teologia
pastorale presso la Facoltà Teologica di Sicilia e di Introduzione
alla Teologia e alla Sacra Scrittura presso il dipartimento di
Giurisprudenza della Lumsa di Palermo. Tra le sue pubblicazio-
ni: La Chiesa oltre la cristianità (Bologna 2005); La Parola edifi-
ca la comunità (Trapani 2007); con S. Dianich, Le forme del po-
polo di Dio tra comunità e fraternità (Cinisello Balsamo 2012).

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


Il Vescovo di Roma, Francesco, sta dimo-
strando una fortissima capacità comunicativa e
riesce a entrare in contatto con ogni classe socia-
le e culturale. Questa grande capacità comunica-
tiva non può essere svilita contrapponendo la
dimensione teologica alla dimensione pastorale;
la teologia pastorale e la prassi pastorale in papa
Francesco trovano una sintesi formidabile.
L’ampia e bella Esortazione, Evangelii Gau-
dium (EG), se da un lato conferma l’impostazione
pastorale, dall’altro, in continuità con la famosa
intervista rilasciata a padre Spadaro per conto di La
Civiltà Cattolica1 e con quanto detto dallo stesso
Papa all’ultima Giornata Mondiale della Gioventù,
inserisce preziosi elementi criteriologici che per-
mettono di cogliere la struttura teologica che sta alla
base sia della dottrina teologica sia delle indicazio-
ni pastorali, tutte e due proposte da papa Francesco.
Il senso di questo articolo è di rendere con-
to di questa criteriologia, che per il suo carattere

1
Cfr. Papa Francesco, La mia porta è sempre aperta. Una con-
versazione con Antonio Spadaro, Rizzoli, Milano 2013.

per una criteriologia... 113

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


fondativo e unitivo sia dell’aspetto dottrinale che
dell’agire pastorale, si può ben chiamare teologi-
co-pastorale, in continuità con il metodo della
disciplina teologica che insegno, appunto la teo-
logia pastorale.
Occorre ancora premettere due avvertenze
per il lettore.
La prima. Non ci sono molti studi – è un
eufemismo per dirne che ce sono pochissimi –
sulla EG. Questo comporta l’assenza di una biblio-
grafia specifica su di essa con tutte le conseguen-
ze del caso.
La seconda. È ovvio che quanto scrivo non
può che risentire delle mie convinzioni. Ogni la-
voro scientifico è frutto della personale ermeneu-
tica dello scrittore. Questo spiega il carattere ra-
dicale, forse un po’ assoluto, che il lettore potrà
ricavare da alcune affermazioni contenute in que-
sto lavoro. Non solo. I temi presenti nell’Esorta-
zione sono da tanto tempo oggetto del mio lavoro
di teologo pastorale e non nego che mi ha fatto
molto piacere notare di essere in profonda sinto-
nia, almeno credo, con alcune delle cose afferma-
te da papa Francesco.

1. Il criterio teologico-pastorale di missione

Il primo criterio, che fin dall’inizio dell’EG


viene proposto come un’evidenza di cui prendere
finalmente atto, è quello della missione. Per l’E-

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sortazione « l’azione missionaria è il paradigma di
ogni opera della Chiesa » (EG 15) e questo com-
porta subito la necessaria conseguenza di passare
« da una pastorale di semplice conservazione a
una pastorale decisamente missionaria » (Apare-
cida n. 370 in EG 15). Queste affermazioni pos-
sono apparire così scontate da sembrare addirit-
tura retoriche, soprattutto per la conseguenza
posta quasi in forma di slogan. E tuttavia, sono
affermazioni decisive, pregne di conseguenze che
investono tutta la Chiesa nel suo complesso.
Il fondamento pratico e teorico di queste
affermazioni sta ormai nel nostro passato.
È d’obbligo, innanzitutto, ricordare l’im-
patto che ebbe il famoso libro di Yvan Daniel e
Henri Godin, France pays de mission?, pubblicato
nel 1943. Da quel momento, seppur ancora a un
livello simbolico, finisce la plurisecolare distin-
zione tra Paesi di antica o nuova cristianità e
Paesi di missione, che vi era nella Chiesa. Distin-
zione certamente non formale. Vi erano, infatti,
due diversi modi di agire che comportavano an-
che aspetti pastorali e legislativi diversi. La pa-
storale era allora pensata e sviluppata solo nei
Paesi di cristianità, secondo il modello tridentino
della cura animarum, e serviva, in fin dei conti, a
mantenere lo status quo ecclesiastico. Le stesse
missioni, che diverse congregazioni religiose ef-
fettuavano nei Paesi e nelle città della cristianità,
non avevano tanto un carattere kerygmatico, e
cioè di risveglio della fede, ma piuttosto un in-

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tendimento di correzione e di riparazione di al-
cune cose che non andavano per il verso giusto,
sia a livello del culto sia a livello della morale. La
buona riuscita di queste missioni era misurata,
allora, non solo dalla frequenza dei fedeli alla
predicazione dei missionari, ma soprattutto dal
numero e dalla qualità delle persone che decide-
vano di confessarsi. Per quanto riguarda i cosid-
detti Paesi di missione c’erano ovviamente alcune
forti diversità, dovute soprattutto alla presenza
di precise attività kerygmatiche, finalizzate in
ordine al primo atto di fede, e al fatto che fosse
istituita solo un’iniziale struttura e gerarchia ec-
clesiastica. E tuttavia, non sfugge che, sia per la
finalità dichiarata della implantatio Ecclesiae sia
per la mentalità occidentale che veniva esportata
in terre di missione fino quasi a parlare di colo-
nizzazione occidentale, molte pratiche pastorali
– dalla messa alla catechesi e ai modi di struttu-
rare i rapporti intraecclesiali – risentivano di ciò
che era in uso nei Paesi di cristianità. È a partire
dalla mentalità legata al Vaticano II, che quindi
già precede e soprattutto segue la celebrazione
storica dell’evento conciliare, che cambiano le
cose e si parla di inculturazione e di dialogo in-
terreligioso.
Un’altra interessantissima linea è quella teo­
logica, per la quale si fa strada che il tema della
missione sia innanzitutto un tema teologico, che
non va più posto in appendice al trattato di eccle-
siologia, ma addirittura sia fondativo dello stesso

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trattato di ecclesiologia. Una corretta ecclesioge-
nesi non può che essere generata dalla missione2,
che proprio perché cristologica e pneumatologica
diventa per questo ecclesiologica. Le riflessioni
sulla Chiesa e sul suo agire, pertanto, non posso-
no che seguire le riflessioni sulla missione sia
trinitaria sia ecclesiale3.
Alla luce di queste riflessioni, necessaria-
mente sintetiche perché rinviano a dati ben co-
nosciuti, acquistano luce gli obiettivi ecclesiali e
gli imperativi pastorali chiesti dall’Esortazione.
Il primo obiettivo ecclesiale, allora, è che si ar-
rivi a una Chiesa in « stato permanente di mis-
sione » (Aparecida n. 201 in EG 25), una « Chie-
sa in uscita » (EG 24). L’imperativo pastorale
diventa così che « tutte le comunità facciano in
modo di porre in atto i mezzi necessari per avan-
zare nel cammino di una conversione pastorale
e missionaria » (EG 25). Prima, però, di esami-
nare cosa comporti questa conversione pastora-
le, occorre dare uno sguardo ad alcuni « criteri
ecclesiologici ».

2 Fra tutti i testi che si possono citare cfr. S. Dianich, Chiesa

estroversa. Una ricerca sulla svolta dell’ecclesiologia contemporanea, San


Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1987; G. Colzani, La nozione teologica
di « missione ». Contributo per una valutazione critica, in S. Noceti - G.
Cioli - G. Canobbio (a cura di), Ecclesiam intelligere. Studi in onore di
Severino Dianich, EDB, Bologna 2012, pp. 409-432.
3
Per uno sguardo sintetico sul rinnovamento missionario
nell’ultimo secolo cfr. L. Meddi, Parrocchia, associazioni e movimenti
nell’unica missionarietà della Chiesa, in infra.

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2. I « criteri ecclesiologici »

Il fondamento ecclesiologico di quanto det-


to prima è nella Chiesa, intesa come « comunità
di discepoli missionari […], comunità evangeliz-
zatrice » (EG 24), che, già a livello dell’intimità
con Gesù, viene vista come una « intimità itine-
rante » (EG 23).
Per comprendere l’idea che Francesco ha del
discepolato missionario, bisogna andare alla sua
comprensione dell’ultima Assemblea dell’episco-
pato latino-americano (CELAM), svoltasi in Apa-
recida (Brasile) nel 2007. Egli riprende alcuni
contenuti di questa Assemblea nei discorsi che
rivolge all’episcopato brasiliano e ai responsabili
del CELAM nei giorni 27/07/13 e 28/08/13, in
occasione dell’ultima Giornata Mondiale della
Gioventù4. Alla fine, appunto, del discorso che
rivolge ai responsabili del CELAM, titolato signi-
ficativamente « Alcuni criteri ecclesiologici », egli
sostiene che « il discepolo missionario non può
possedere se stesso, la sua immanenza è in tensio-
ne verso la trascendenza del discepolato e verso
la trascendenza della missione. Non ammette
l’autoreferenzialità: o si riferisce a Gesù Cristo o
si riferisce al popolo a cui si deve annunciare […].
Per questo mi piace dire che la posizione del di-
scepolo missionario non è una posizione di centro
bensì di periferie: vive in tensione verso le perife-

4
In Regno/documenti LVIII (2013/15) 463-472.

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rie… incluse quelle dell’eternità nell’incontro con
Gesù Cristo. Nell’annuncio evangelico, parlare di
“periferie esistenziali” decentra e abitualmente
abbiamo paura di uscire dal centro »5. Questa ri-
flessione permette ancora allo stesso Francesco di
farne seguire un’altra, relativa a un certo modo
autoreferenziale di intendere la Chiesa istituzione.
Egli critica questa concezione di Chiesa istituzio-
ne, poiché trasforma la Chiesa in un’opera, che
trasmette luce propria e che assume un ruolo di
« controllore » dei costumi delle persone, più che
di amministratrice di Dio e di serva degli uomini.
Alla luce di questi fondamenti, l’Esortazione
sente il bisogno di dire con chiarezza che « la
Chiesa “in uscita” è una Chiesa con le porte aper-
te » (EG 46), non solo dal punto di vista del segno
fisico, di lasciare cioè aperte le porte della chiesa-
edificio, ma soprattutto dal punto di vista di
« altre porte che neppure si devono chiudere. Tut-
ti possono partecipare in qualche modo alla vita
ecclesiale, tutti possono far parte della comunità,
e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero
chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale
soprattutto quando si tratta di quel sacramento
che è la “porta”, il Battesimo. L’Eucaristia, sebbene
costituisca la pienezza della vita sacramentale, non
è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio
e un alimento per i deboli. Queste convinzioni
hanno anche conseguenze pastorali che siamo
chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di

5
Francesco, Conversione pastorale, in Ibidem, 472.

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frequente ci comportiamo come controllori della
grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è
una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per
ciascuno con la sua vita faticosa » (EG 47).

Come ben si vede, a partire dall’immagine


delle porte aperte, si sviluppa coerentemente il
tema teologico della universalità della missione,
conseguente alla universalità della salvezza. La
Chiesa si autocomprende come Chiesa per tutti,
in cui il « tutti » è intenzionalmente reale e non
retorico, solo quando apre « tutte » le sue porte già
come criterio teologico prima ancora che nelle sue
conseguenze pastorali.
Dal punto di vista, poi, dell’azione pastorale
conseguente bisogna che la virtù classica della
« prudenza », che tutto sovraintende, venga accom-
pagnata da quella della « audacia ». Non sfugga
questo passaggio; esso è decisivo perché si attui la
conversione pastorale in spirito autenticamente
missionario. L’audacia permette, infatti, alla pru-
denza di non diventare gestione dello status quo, sia
teologico sia pastorale, ma di immaginare scenari
diversi rispetto a quelli attuali, più coerenti con la
metafora delle « porte aperte a tutti ». Senza questa
audacia, si resta prigionieri delle solite paure, in
mille modi giustificate, che alla fine fanno sì che la
Chiesa rimanga arroccata sulle sue posizioni.
Un ulteriore criterio di sviluppo di questo
andare a tutti è ancora indicato da papa Francesco
nei poveri come « destinatari privilegiati del Vange-
lo » (citazione di Benedetto XVI, Discorso in occa-

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sione con i vescovi del Brasile presso la Chiesa catte-
drale di San Paolo, dell’11 maggio 2007, in EG 48).
La chiave di lettura di questa attenzione ai poveri,
come ben si capisce dal prosieguo della citazione
del n. 48, non è prima di tutto moral-sociale, ma
cristologica in ordine alla venuta del Regno.

3. Il criterio del tradere

La conversione pastorale

Ma cosa intende, allora, papa Francesco con


la locuzione « conversione pastorale »? Perché c’è
bisogno di una conversione pastorale? È un pro-
blema di pigrizia, di non-zelo degli operatori pa-
storali? Oppure riguarda una situazione genera-
lizzata che investe tutta la Chiesa e che è legata a
una precisa impostazione teologico-pastorale?
Nel discorso che fa ai vescovi del Brasile in
occasione dell’ultima GMG, Francesco sintetizza
il significato di Aparecida dicendo con estrema
chiarezza che questa Assemblea « ha parlato di
stato permanente di missione e della necessità di
una conversione pastorale »6. Dopo aver afferma-
to che l’urgenza della missionarietà non è imme-
diatamente dettata da cose esterne, ma piuttosto
da motivazioni interne, egli sente il bisogno di
precisare cosa è pastorale:

6
Francesco, La lezione di Aparecida, in Ibidem, 467.

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« Sulla conversione pastorale vorrei ricordare che
“pastorale” non è altra cosa che l’esercizio della
maternità della Chiesa. Essa genera, allatta, fa
crescere, corregge, alimenta, conduce per mano…
Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le
viscere materne della misericordia. Senza la mise-
ricordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un
mondo di “feriti”, che hanno bisogno di compren-
sione, di perdono e di amore »7.

La locuzione « conversione pastorale » allora


va letta alla luce di questa equivalenza tra pastora-
le e maternità concreta della Chiesa, che si esprime
attraverso le « viscere materne della misericordia ».
Si è all’interno di una comprensione di « pastora-
le », che è mille miglia distante rispetto a quella
tradizionale di mantenimento dello status quo, di
stampo tridentino. La pastorale è già di per sé
missione, perché legata intrinsecamente all’eserci-
zio della misericordia materna della Chiesa.
Nel secondo discorso, tutto dedicato alla
conversione pastorale, egli ricorda che Aparecida
non si è conclusa con un documento, ma piuttosto
con l’istituzione di una « Missione continentale ».
Su questa egli chiarisce che
« si proietta in due dimensioni: programmatica e
paradigmatica. La missione programmatica, come
indica il suo nome, consiste nella realizzazione di
atti di indole missionaria. La missione paradigmati-
ca, invece, implica il porre in chiave missionaria le
attività abituali delle Chiese particolari. Evidente-

7 Ibidem.

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mente, qui si dà, come conseguenza, tutta una dina-
mica di riforma delle strutture ecclesiali. Il “cambia-
mento delle strutture” (da caduche a nuove) non è
frutto di uno studio sull’organizzazione dell’impian-
to funzionale ecclesiastico, da cui risulterebbe una
riorganizzazione statica, bensì è conseguenza della
dinamica della missione. Ciò che fa cadere le strut-
ture caduche, ciò che porta a cambiare i cuori dei
cristiani, è precisamente la missionarietà. Da qui
l’importanza della missione paradigmatica »8.

Il discorso è molto chiaro nel suo svolgi-


mento e preciso nelle sue conseguenze. Non si
può parlare di conversione pastorale solo se im-
mettiamo nella pastorale ordinaria alcune azioni
pastorali di segno chiaramente missionario. Que-
ste azioni vanno poste, certamente, ed è così che
si sviluppa l’aspetto programmatico della missio-
ne. A poco varrebbero, però, questi sforzi, se non
si cambiasse, e fin dalla radice, l’impianto tradi-
zionale della pastorale, che storicamente non
nasce dall’impostazione missionaria. Ecco, allora,
la proposta necessaria di una missione questa
volta paradigmatica, perché si pone appunto come
paradigma di tutta l’impostazione e l’azione pasto-
rale. In questo senso, non è possibile pensare alla
riforma delle strutture ecclesiali come a un fatto
meramente riorganizzativo. Si avrebbe un risulta-
to ancora statico e non missionario.
Fin qui, seppur sinteticamente, il pensiero del
Papa. È opportuno, a questo punto, svilupparlo.

8 Francesco, Conversione pastorale, in Ibidem, 468.

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Il richiamo alla conversione pastorale e al
passaggio, nello specifico, da una pastorale di
conservazione a una missionaria non è un fatto
nuovo nella Chiesa9. Già Giovanni Paolo II l’ave-
va espresso a chiare lettere nel Convegno delle
Chiese d’Italia, celebrato a Palermo nel 1995. Il
problema è che tipo di contenuto attribuire all’i-
dea di « pastorale di conservazione » in modo da
poterlo chiaramente distinguere da quello che si
vuole attribuire a « pastorale missionaria ».
Nel percorso di Chiesa compiuto dal Vati-
cano II si può legittimamente pensare che sia
stata affermata una coincidenza tra pastorale di
conservazione e pastorale di cristianità10. Bisogna,
invece, distinguere la pastorale di conservazione
dalla pastorale ordinaria. Quest’ultima, infatti, è
l’esercizio di quelle pratiche pastorali di base –
dall’accoglienza delle persone alla catechesi, dalla
liturgia alla carità – che assicurano il retto svolgi-
mento di alcune pratiche pastorali nelle parroc-
chie. Ora, si può svolgere la pastorale ordinaria
con una mentalità di pastorale di cristianità e al-
lora si è all’interno di una pastorale di conserva-
zione, ma si può svolgere la pastorale ordinaria
con una mentalità missionaria e allora si è all’in-

9
Cfr. C. Torcivia, Da una pastorale di conservazione a una mis-
sionaria. Per la comprensione di un imperativo pastorale, in Ho theológos
XIX (2001) 3, 379-400.
10
Cfr. C. Torcivia, La Chiesa oltre la cristianità, EDB, Bologna
2005; C. Torcivia, E se domani … Oltre le paure di un cristianesimo no-
stalgico, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2013, pp. 33-52.

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terno di pastorale missionaria. Anzi, più corretta-
mente, si deve svolgere per prima una pastorale
missionaria che individui, territorio per territorio,
quali sono gli snodi fondamentali per far sì che
possa essere annunciato il Vangelo di Cristo se-
condo una modalità d’itineranza, che permetta di
andare alle « periferie esistenziali », come dice
Francesco.
All’interno di questa pastorale missionaria,
che ha già individuato gli obiettivi e le modalità
proprie del suo svolgersi nel territorio, si può e si
deve gestire la pastorale ordinaria coerentemente
alla mentalità missionaria. Un buon parroco, allo-
ra, non sa già quello che deve fare quando viene
mandato a presiedere una comunità parrocchiale.
Egli, cioè, non deve ritenere che il suo compito
sia dire messa e confessare, animare riunioni ecc.
Deve, invece, sempre insieme alla comunità par-
rocchiale, porsi in primis il problema di un’auten-
tica missionarietà, quindi verso tutti e in parti­
colare verso i poveri e, poi, gestire tutti quegli
elementi di pastorale ordinaria che possono esse-
re inseriti coerentemente in questo quadro.

Tra aggiornamento e tradizione

Il problema, però, è che una volta posta in


essere questa conversione pastorale, si potrebbero
verificare serissimi cortocircuiti tra quanto la
Chiesa afferma, soprattutto nell’ambito dei conte-

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nuti dogmatici e morali, e quello che le persone
fanno e pensano. A fronte, infatti, di un profondo
rinnovamento missionario, a un nuovo entusia-
smo nell’annunciare Gesù Cristo, a nuovi metodi
pastorali più legati alla quotidianità delle persone,
non raramente si verifica la permanenza di mes-
saggi morali tradizionali, offerti come valori non-
negoziabili. Tutto questo, giustificato – si badi
bene – dall’appello alla tradizione.
La Chiesa – così appunto qualcuno sostie­
ne – deve restare nel grande solco della tradizione
e non cambiare la sua dottrina e la sua prassi in
vista solo di un adeguamento al sentire contem-
poraneo. L’osservazione è vecchia. È, infatti, quel-
la che sta alla base del nodo critico dell’evento
conciliare del Vaticano II.
La netta impressione che si ha di tutta que-
sta vicenda è che si stiano ripresentando dei nodi
fondamentali e irrisolti del Vaticano II. È l’aggior-
namento – lo si ricorda bene – la parola-chiave
che motiva l’indizione del concilio Vaticano II da
parte di Giovanni XXIII11. Ed è sulla tradizione
che i Padri conciliari si sono scontrati all’interno
di quell’assise. Ed è ancora sulla tradizione che si
sono avute due risposte chiare: la tradizione cui
si appellava il gruppo conservatore dei Padri con-
ciliari chiamava in causa gli ultimi secoli della
storia della Chiesa e non prendeva in considera-

11
Cfr. G. Ruggieri, Ritrovare il concilio, Einaudi, Torino 2012,
pp. 24-29.

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zione la più grande e antica tradizione della Chie-
sa. Non solo, non prendeva in considerazione
l’aspetto più dinamicamente determinante della
stessa tradizione che è dato dal tradere.
Fermarsi solo al traditum e pensare che si è
fedeli alla tradizione perché si ripete, più o meno
pedissequamente, lo stesso traditum è, in fin dei
conti, perlomeno un’operazione stupida se non di
vero e proprio tradimento della stessa tradizione,
perché la tradizione è un fiume in corsa che non
si può e non si deve fermare e che accoglie in sé
quegli elementi della contemporaneità che ritiene
opportuni. Se già questo avviene per la compren-
sione della parola di Dio nella Sacra Scrittura che
cresce con il lettore e con il crescere del tempo,
figuriamoci con la tradizione.
L’aggiornamento, fortemente voluto da Gio-
vanni XXIII e osteggiato dai « profeti di sventura »
di allora e anche di oggi, non è un’operazione di
mero adattamento alla contemporaneità in vista
della semplice ricerca del consenso, ma è saper
distinguere, ancora con il linguaggio giovanneo,
tra il deposito della fede e la forma con cui viene
comunicato12.

12
« Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire
le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui
quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso
e la stessa portata » (Gaudet Mater Ecclesia, in EV 55). Una parte di
questo brano è citato in EG 41.

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4. Il criterio teologico-pastorale dell’essenziale
tra missionarietà e gerarchia delle verità

All’interno di questa logica risulta coerente


fare un ulteriore passo in avanti e parlare così
della gerarchia delle verità. Questo criterio teolo-
gico era già presente nel concilio Vaticano II e
papa Francesco si riferisce anche a questa citazio-
ne. Tuttavia, trasforma questo criterio da solo teo­
logico a teologico-pastorale non tanto perché ne
vede le conseguenze pastorali, ma piuttosto per-
ché lo incrocia con la missionarietà.
« Una pastorale in chiave missionaria non è osses-
sionata dalla trasmissione disarticolata di una mol-
titudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di
insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale
e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti
senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concen-
tra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande,
più attraente e allo stesso tempo più necessario. La
proposta si semplifica, senza perdere per questo
profondità e verità, e così diventa più convincente e
radiosa. Tutte le verità rivelate procedono dalla stes-
sa fonte divina e sono credute con la medesima fede,
ma alcune di esse sono più importanti per esprime-
re più direttamente il cuore del Vangelo. In questo
nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza
dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo
morto e risorto. Il Concilio Vaticano II ha affermato
che “esiste un ordine o piuttosto una ‘gerarchia’
delle verità nella dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso col fondamento della fede cristiana”
[UR 11]. Questo vale tanto per i dogmi di fede quan-
to per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa ivi
compreso l’insegnamento morale » (EG 35-36).

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Il ragionamento del Papa è molto chiaro.
Innanzitutto, il legame intrinseco, necessario tra
missionarietà, pastorale missionaria ed essenzia-
lità dell’annuncio è motivato dal dover arrivare a
tutti, « senza eccezioni e senza esclusioni ». Si noti
che questo dover arrivare a tutti, appunto senza
eccezioni ed esclusioni, non è un optional della
missionarietà, ma è piuttosto costitutivo di essa.
Insomma, si potrebbe pensare che dal punto di
vista pastorale, e cioè di un necessario adattamen-
to ai tempi, bisogna rinunciare a tutto quello che
costituisce la dottrina cattolica in vista della com-
prensione dei destinatari. Fin qui il ragionamento
sarebbe impostato dal punto di vista pedagogico-
didattico.
Non così, però, l’impostazione offertaci da
Francesco. Ci si ritrova, infatti, all’interno di
un’impostazione teologica sia per l’idea di mis-
sione, che è appunto teologica e non pastoral-
adattativa, sia per l’argomento della gerarchia
delle verità, che viene subito portato a soccorso
della missionarietà. Questo argomento è chiara-
mente teologico e il Papa porta a suo sostegno
non solo la citazione del Vaticano II, in Unitatis
Redintegratio 11, che « raccoglie un’antica con-
vinzione della Chiesa » (EG 38), ma anche il
pensiero di Tommaso d’Aquino sulla misericor-
dia (cfr. EG 37).
Il criterio dell’essenziale non distrugge l’in-
tegralità e l’armonia del messaggio cristiano. Anzi,
riesce a dare una profonda unità relazionale a

per una criteriologia... 129

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tutto il messaggio etico cristiano. Nel caso, allora,
in cui non ci fosse l’essenziale, si potrebbe correre
il rischio di cadere all’interno di un’etica stoica e
precettistica.
« Così come l’organicità tra le virtù impedisce di
escludere qualcuna di esse dall’ideale cristiano,
nessuna verità è negata. Non bisogna mutilare
l’integralità del messaggio del Vangelo. Inoltre,
ogni verità si comprende meglio se la si mette in
relazione con l’armoniosa totalità del messaggio
cristiano, e in questo contesto tutte le verità hanno
la loro importanza e si illuminano reciprocamente.
Quando la predicazione è fedele al Vangelo, si
manifesta con chiarezza la centralità di alcune
verità e risulta chiaro che la predicazione morale
cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi,
non è una mera filosofia pratica né un catalogo di
peccati ed errori. Il Vangelo invita prima di tutto
a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, rico-
noscendolo negli altri e uscendo da se stessi per
cercare il bene di tutti » (EG 39).

Non solo. Ancora, il ricorso all’essenziale


libera la predicazione della Chiesa da prospettive
teologiche « monolitiche » e « apologetiche » e
permette alla ricerca esegetica e teologica di pro-
durre i frutti sperati per una crescita della Chiesa
nella comprensione della verità (cfr. EG 40). Inol-
tre, c’è da tenere in conto, da parte della Chiesa, la
necessità di un serio discernimento in ordine alle
sue consuetudini, che, seppur antiche, non sono
più valide. Anche qui bisogna interrogarsi non solo
sulla corrispondenza alle attuali mutate condizio-
ni culturali, ma soprattutto al Vangelo.

130 carmelo torcivia

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Francesco dice che queste consuetudini
« possono essere belle, però ora non rendono lo
stesso servizio in ordine alla trasmissione del
Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle. Allo
stesso modo, ci sono norme e precetti ecclesiali
che possono essere stati molto efficaci in altre
epoche, ma che non hanno più la stessa forza
educativa come canali di vita. San Tommaso d’A-
quino sottolineava che i precetti dati da Cristo e
dagli Apostoli al popolo di Dio “sono pochissimi”
[Summa Theologiae, I-II, q. 107, a. 4]. Citando
sant’Agostino, notava che i precetti aggiunti dal-
la Chiesa posteriormente si devono esigere con
moderazione “per non appesantire la vita ai fede-
li” e trasformare la nostra religione in una schia-
vitù, quando “la misericordia di Dio ha voluto
che fosse libera” [Ibidem]. Questo avvertimento,
fatto diversi secoli fa, ha una tremenda attualità.
Dovrebbe essere uno dei criteri da considerare al
momento di pensare una riforma della chiesa e
della sua predicazione che permetta realmente di
giungere a tutti » (EG 43).

Il kerygma punto di svolta


di tutta la pastorale in chiave missionaria

Questo « annuncio che si concentra sull’es-


senziale » (EG 35) trova nel kerygma un luogo
privilegiato dove esprimersi. Francesco ha ben
chiaro il ruolo centrale che il kerygma riveste
nell’annuncio della salvezza e come esso debba
incrociarsi con le situazioni umane contempora-
nee (cfr. EG 145). In questa concezione raccoglie

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il meglio di un lungo percorso di comprensione
del kerygma che ha caratterizzato tutto il Nove-
cento, evidentemente attraverso tappe diverse tra
di loro13.
E tuttavia, annette al kerygma un uso e un
significato più ampi rispetto a quelli comunemen-
te intesi, che limitano il kerygma alla fase iniziale
di ogni cammino di fede, in vista cioè del primo
atto di fede. Il Papa, invece, sostiene che
« non si deve pensare che nella catechesi il kerygma
venga abbandonato a favore di una formazione che
si presupporrebbe essere più “solida”. Non c’è nul-
la di più solido, di più profondo, di più sicuro, di
più consistente e di più saggio di tale annuncio.
Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’ap-
profondimento del kerygma che va facendosi carne
sempre più e sempre meglio, che mai smette d’illu-
minare l’impegno catechistico, e che permette di
comprendere adeguatamente il significato di qua-
lunque tema che si sviluppa nella catechesi. È l’an-
nuncio che risponde all’anelito d’infinito che c’è in
ogni cuore umano. La centralità del kerygma richie-
de alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi
sono necessarie in ogni luogo che esprima l’amore
salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e
religiosa, che non imponga la verità e che faccia
appello alla libertà, che possieda qualche nota di
gioia, stimolo, vitalità, e un’armoniosa completez­
za che non riduca la predicazione a poche dottrine
a volte più filosofiche che evangeliche » (EG 165).

13
Cfr. C. Torcivia, Modelli di catechesi contemporanea, in A.
Romano (a cura di), Catechesi e catechetica per la fedeltà a Dio e all’uomo.
Studi in memoria del prof. Don Giovanni Cravotta, Coop. San Tommaso
- LDC, Messina 2008, pp. 193-198.201-204.

132 carmelo torcivia

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Questa riflessione è interessantissima per-
ché centra in pieno il significato di kerygma come
« primo annuncio » in cui il termine « primo »
viene a essere inteso non nell’accezione cronolo-
gica, cui poi segue un secondo, un terzo ecc., ma
piuttosto nel significato di arché, di fondamento
perenne cui ricorrere e sviluppare sempre per
mantenere immutata la propria fedeltà a Dio14. Il
kerygma risulta così non solo il luogo in cui espri-
mere l’essenziale, ma il luogo dell’unità tra le
azioni missionarie in vista del primo atto di fede
e le azioni pastorali che caratterizzano la pasto-
rale in chiave missionaria, sia sul versante pro-
grammatico che in quello paradigmatico. Sia
chiaro: questo non annulla la tradizionale distin-
zione anche di tempi tra kerygma, catechesi,
omelia15, ma piuttosto garantisce il continuo ra-
dicamento nel kerygma di ogni atto di catechesi.
Il kerygma si presenta così come struttura trasver-
sale a ogni atto pastorale, oltre che un tempo
preciso in cui incontrare le persone in vista del
primo atto di fede.

14
Per una trattazione più ampia di questa osservazione non
solo in termini giustificativi, ma anche nelle conseguenze pastorali,
cfr. C. Torcivia, La Parola edifica la comunità. Un percorso di teologia
pastorale, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2008, pp. 107-128.
15
Cfr. U. Montisci, L’annuncio evangelico tra omelia, catechesi
e mistagogia, in infra.

per una criteriologia... 133

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Conclusioni

Se ci si pone di fronte a questo quadro di


criteri, sicuramente non esaustivo, si resta impres-
sionati dal disegno tracciato. Come si diceva agli
inizi, c’è una linea, un progetto che il Papa sta
perseguendo e sta chiedendo a tutta la Chiesa di
condividere e di attuare.
La conversione pastorale che sta chiedendo
a gran voce non deve solo affrontare le ben note
difficoltà di passaggio da una pastorale di conser-
vazione, statica e obsoleta, a una missionaria,
dinamica e profetica. Deve, invece, fare pure i
conti con una fetta consistente di cattolici impe-
gnati, vescovi, preti e laici, che negli ultimi de-
cenni hanno fatto il loro scudo di alcune precise
mediazioni ecclesiastiche in campo soprattutto
morale. Queste sono state considerate come qua-
si dogmi e si sono radicate negli stessi operatori
come certezze indiscusse e indiscutibili. Così
indiscutibili che neanche il riferimento alla me-
moria evangelica conservata nella Sacra Scrittura
riusciva a scalfirle. Un Papa, come Francesco, che
oggi ci ricorda l’ovvio e necessario ruolo della
memoria evangelica per ogni segmento di vita
ecclesiale e che spinge i cattolici di tutto il mon-
do a cercare e trovare vie nuove, risulta partico-
larmente scomodo.
Tuttavia, a nulla varrebbe il continuo esor-
tarci tra cristiani a cambiare le cose nella pastora-
le e nella Chiesa, se non si avesse da parte di tutti

134 carmelo torcivia

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


la determinazione chiara di cambiare le cose nel
duplice autotrascendimento della memoria di
Gesù di Nazaret e dell’ascolto profondo del sensus
fidei e del consensus fidelium del popolo di Dio.
Questo processo non è altro che il cammino stes-
so della tradizione che la Chiesa-madre, anzi le
viscere di misericordia della Chiesa-madre, chia-
ma « pastorale ».
 
 

per una criteriologia... 135

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MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020
« CRESCERE NELLA FEDELTÀ
ALLO STILE DI VITA
DEL VANGELO »
Antonio Parisi

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Antonio Parisi, presbitero della Chiesa di Caltagirone,
è docente di Teologia morale presso la Pontificia Facoltà Teolo-
gica di Sicilia. Tra le sue pubblicazioni: Solidarietà e bene comu-
ne nel pensiero di Luigi Sturzo. Dimensioni etiche di un progetto
socio-politico (Roma 1999); Capaci di Dio. Morale e pienezza di
vita (Trapani 2009); con M. Cappellano ha curato il Lessico
sturziano (Soveria Mannelli 2013).

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1. Evangelii Gaudium e morale

L’Evangelii Gaudium non è un trattato di


teologia morale.
L’Esortazione apostolica tratta degli inse-
gnamenti morali della Chiesa di rimbalzo, nell’o-
rizzonte aperto della « conversione pastorale »
(EG 25) suggerita da papa Francesco a tutto il
corpo ecclesiale. Eppure i pochi accenni alla di-
namica della vita morale disseminati in maniera
anche implicita nel testo di papa Bergoglio risul-
tano destabilizzanti per certi stereotipi dominanti
in tante estenuanti dispute, soprattutto culturali
e mediatiche, intorno a « Chiesa e morale ».
Con scelta opportunamente mirata, papa
Francesco accosta il tema dal versante della co-
municazione, denunciando che nei processi co-
municativi alcune questioni che fanno parte
dell’insegnamento morale della Chiesa vengono
spesso estrapolate « fuori del contesto che dà loro
senso ». L’effetto è che « il messaggio che annun-
ciamo sembra allora identificato con tali aspetti
secondari che, pur essendo rilevanti, per sé soli

crescere nella fedeltà 139

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


non manifestano il cuore del messaggio di Gesù
Cristo ». Per di più, afferma, occorre « essere rea-
listi e non dare per scontato che i nostri interlo-
cutori conoscano lo sfondo completo di ciò che
diciamo, o che possano collegare il nostro discor-
so con il nucleo essenziale del Vangelo che gli
conferisce senso, bellezza e attrattiva » (EG 34).
Alcuni insegnamenti e precetti morali ri-
chiamati dalla Chiesa – aggiunge il Papa – si
comprendono e si apprezzano solo vivendo l’e-
sperienza della fede e dell’appartenenza ecclesia-
le1, « al di là della chiarezza con cui se ne possano
cogliere le ragioni e gli argomenti » (EG 42). Per
questo la pastorale « in chiave missionaria » pre-
figurata per tutta la Chiesa dal successore di
Pietro, non intende considerare l’evangelizzazio-
ne come trasmissione di « una moltitudine di
dottrine che si tenta di imporre a forza di insiste-
re » (EG 35).
L’annuncio cristiano in quanto tale – sotto-
linea il Papa – ha tutt’altro tenore: esso « si concen-
tra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più gran-
de, più attraente e allo stesso tempo più necessario »,
e ciò per arrivare a tutti senza eccezioni e senza
esclusioni. In tal modo la proposta cristiana, « sen-

1
Già nella Veritatis splendor si legge: « La vita morale si pre-
senta come risposta dovuta alle iniziative gratuite che l’amore di Dio
moltiplica nei confronti dell’uomo. È una risposta d’amore » (n. 10).
E anche nella Gaudium et Spes si afferma: « Il cristiano, reso conforme
all’immagine del Figlio, che è il primogenito tra molti fratelli, riceve
le primizie dello Spirito, per cui diventa capace di adempiere la nuova
legge dell’amore » (n. 22).

140 antonio parisi

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


za perdere per questo profondità e verità », diven-
ta « più convincente e radiosa » (EG 35).
Il rimando a ciò « che è più attraente e allo
stesso tempo più necessario » non è da intendersi
come un oscuramento degli insegnamenti mora­
li della Chiesa. Papa Francesco cita san Tomma­
so d’Aquino e il concilio Vaticano II: alcune verità
e­sprimono « più direttamente il cuore del Vange-
lo », e a risplendere su tutto è « la bellezza dell’a-
more salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo
morto e risorto ». Per questo tra le verità espresse
nella dottrina cattolica, comprese quelle morali,
esiste una gerarchia, « essendo diverso il loro nes-
so col fondamento della fede cristiana » (EG 36).
Ma proprio il rapporto delle singole verità
con il cuore dell’annuncio cristiano fa sì che nes-
suna di esse sia destinata a essere insabbiata.
Piuttosto, ogni verità « si comprende meglio se la
si mette in relazione con l’armoniosa totalità del
messaggio cristiano », dove « tutte le verità hanno
la loro importanza e si illuminano reciprocamen-
te » (EG 39).
Del resto, già san Tommaso d’Aquino – scri-
ve il Papa – « sottolineava che i precetti dati da
Cristo e dagli Apostoli al popolo di Dio “sono
pochissimi” ». Lo steso san Tommaso, citando
sant’Agostino2, notava anche che « i precetti ag-

2
Sant’Agostino realizza una feconda sintesi, approdando nella
sua lunga e appassionata ricerca della verità fondamentalmente a due
risultati: la dimensione interiore della verità (« in interiore homine ha-
bitat veritas »), peraltro non disponibile come possesso, ma come dono,

crescere nella fedeltà 141

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


giunti dalla Chiesa posteriormente si devono esi-
gere con moderazione “per non appesantire la vita
ai fedeli e trasformare la nostra religione in una
schiavitù, quando la misericordia di Dio ha volu-
to che fosse libera” » (EG 43).
La comunicazione ecclesiale deve diventare
più autentica ed essere liberata da un martella-
mento eccessivo sulle questioni morali. Non si
tratta di un espediente strategico per apparire più
moderni. Piuttosto, è in gioco la visione propria
della fede cristiana sull’agire morale. « La predica-
zione morale cristiana » – scrive papa Francesco –
« non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non è
una mera filosofia pratica né un catalogo di pec-
cati ed errori » (EG 39). Il suo obiettivo non è
presentare un perentorio « dover essere », insegna-
re uno sforzo d’adesione a un codice di compor-
tamento pre-dato e oggettivo.

2. Lo « stile di vita del Vangelo »:


una morale della grazia e della misericordia

Più ci si addentra nella lettura dell’EG, con


particolare riferimento alla proposta di una vita

e il carattere trascendente della verità, presente nella mente come regola


di tutto ciò che essa conosce, ma il cui fondamento è Dio. La suprema
felicità dell’uomo consiste nel raggiungimento e nella contemplazione
della verità: « Vedi la verità stessa è pronta per te; abbracciala se puoi,
gioiscine e prova diletto nel Signore, ed Egli esaudirà i desideri del tuo
cuore » (Agostino, De libero arbitrio, II, 13, 35).

142 antonio parisi

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


morale cristiana conforme alle esigenze del Van-
gelo, e più si ha l’impressione che l’accoglienza
della fede, piuttosto che generare un « nuovo »
codice normativo, aiuti il cristiano ad acquisire
una più chiara e maggiore consapevolezza delle
esigenze morali che vengono dal suo essere in
Cristo, per affrontare le tante sollecitazioni e sfide
morali, talora particolarmente problematiche.
Sembra che il Papa voglia consentire anche
al non credente o al non cristiano di cogliere più
che l’interna logicità e coerenza dell’etica cristia-
na, la sua profonda umanità.
In quest’ottica, pur non rinunciando a pro-
porre i valori trasmessi dalla Sacra Scrittura e
dalla fede, sembra che l’intento sia quello di
mettersi a confronto con le istanze etiche auten-
ticamente umane, per mediare le esigenze di
un’etica cristiana con l’identità di un’etica nor-
mativa proveniente dal mondo laico, ma influen-
zabile – questa è la consapevolezza – dalla pro-
posta evangelica.
La quasi totale assenza ai richiami espliciti
di natura normativa e la scelta di uno stile « for-
temente » parenetico, i cui toni prediligono anche
linguisticamente il richiamo alle direttive morali
piuttosto che alle norme morali3, fa gustare una
proposta morale « alta » e da tutti « appetibile »,

3
Il n. 7 dell’enciclica Veritatis splendor aveva sottolineato che il
problema morale, « prima che una domanda sulle regole da osservare,
è una domanda di pienezza di significato per la vita ».

crescere nella fedeltà 143

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


facendo riecheggiare i vota e le indicazioni di me-
todo del concilio Vaticano II4.
La morale evangelica è la morale del dono
gratuito di Cristo e non del merito, e la vita mo-
rale consiste nel trasformarsi in Cristo, mediante
l’opera della sua grazia5.
La riflessione cristiana sull’agire morale ha
sempre riconosciuto che nella condizione storica
concreta, segnata dal peccato originale, tutti gli
uomini sono feriti in naturalibus, nelle proprie fa-
coltà naturali. Anche i pronunciamenti dottrinali
della Chiesa, dal concilio di Cartagine (418) al
concilio di Trento, dal secondo concilio di Orange
(529) fino al Credo del popolo di Dio di Paolo VI,
hanno ripetuto che negli uomini non solo la volon-
tà è debilitata, ma anche l’intelligenza è offuscata
in quanto tale. E quindi, alla lunga e nel vissuto
concreto, con tutti i suoi condizionamenti, può
annebbiarsi – e di fatto si annebbia – anche il rico-

4 « Alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana » è il criterio

evidenziato da GS 46. Le provocazioni del concilio Vaticano II hanno


soprattutto aiutato la riflessione teologico-morale a divincolarsi ul-
teriormente dai vecchi schemi giuridico-casuistici, astratti e astorici,
basati sull’atomizzazione degli atti e avulsi dalla considerazione globale
della persona, della sua opzione di fondo e dei relativi atteggiamenti. Il
Concilio, senza mettere in discussione l’aspetto teoretico della questione
morale (l’ordine oggettivo e tutta la problematica ad esso relativa), ha
un intento pastorale: la Chiesa deve andare in soccorso dell’uomo che
è alla ricerca del senso della vita e proporre Gesù Cristo come risposta
a questa sua profonda ansia.
5
« Tratteggiare il nostro vissuto spirituale è un narrare la
grandezza misericordiosa delle Persone divine verso le anime nostre; è
ricordare come Dio Padre pronunci la parola “figlio” nella profondità
interiore della nostra anima mediante lo Spirito di Cristo » (T. Goffi, « È
Gesù Cristo che in me ama ». Iniziazione al vissuto spirituale evangelico,
Queriniana, Brescia 1992, p. 58).

144 antonio parisi

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noscimento di ciò che è naturalmente evidente.
Come, ad esempio, la vocazione creaturale a pro-
teggere la vita di chi sta per nascere.
Davanti alla condizione umana così com’è,
l’annuncio cristiano non è mai partito dallo sforzo
di inculcare nelle menti degli uomini insegnamen-
ti morali auto-evidenti. Già san Paolo e sant’Ago-
stino riconoscevano che perfino la dottrina cristia-
na, che è vera, diventa lettera che uccide se non
c’è la delectatio e la dilectio, cioè l’attrattiva amo-
rosa della grazia. E papa Francesco ripete che « la
Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attra-
zione » (EG14).
Si tratta, pertanto, di una proposta forte e
originale che mantiene integra la trascendenza del
messaggio cristiano, che solo può gettare luce sul-
le vicende e le vicissitudini della vita, sorpassando
ogni prospettiva legata alle sole contingenze. Al
tempo stesso, si palesa la necessità di inserire pro-
fondamente questo messaggio nella vita concreta
dell’uomo, nel terreno della « quotidianità ». La
consapevolezza rimane quella che è la parola di Dio
che racchiude l’ultima, decisiva, perentoria e insu-
perabile risposta a tutti gli interrogativi e a tutte le
affannose ricerche dell’uomo di ogni tempo.
Nella vita cristiana, si procede e si cresce per
l’attrattiva operata dalla grazia. E la grazia fiorisce
e si manifesta nel dono gratuito della misericordia.
San Tommaso d’Aquino – scrive il Papa – in-
segnava che riguardo all’agire morale « la misericor-
dia in se stessa è la più grande delle virtù ». Perché

crescere nella fedeltà 145

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« l’elemento principale della nuova legge è la grazia
dello Spirito Santo », e le opere di amore al prossi-
mo « sono la manifestazione esterna più perfetta
della grazia interiore dello Spirito ». La misericor-
dia, il « sollevare le miserie altrui », è propria di Dio:
« Ecco perché si dice che è proprio di Dio usare
misericordia, e in questo specialmente si manifesta
la sua onnipotenza » (EG 37).
L’Esortazione apostolica mette in evidenza
una dimensione e una dinamica di fede coinvolgen-
te, unitamente a una morale della grazia e della
misericordia. La grande consapevolezza è che Cri-
sto è al centro della vita dell’uomo e fa sì che l’uomo
possa comprendere la sua reale identità e i percor-
si concreti della sua esistenza.

3. Il cristocentrismo dell’annuncio
della salvezza e della morale

L’EG è un testo connotato dalla centralità,


nella vita del cristiano, dell’incontro con Gesù
Cristo, il Salvatore e il Misericordioso.
Il « gaudio » di cui parla papa Francesco non
è un generico sentimento psicologico. È la gioia
della persona rinata, della salvezza incontrata e
sperimentata nella vita di grazia, della misericor-
dia che perdona i nostri peccati se anche noi lo
vogliamo, della luce che la fede in Gesù Cristo
getta su tutta la nostra vita, personale, familiare,
comunitaria, sociale.

146 antonio parisi

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È un’Esortazione apostolica « cristocentri-
ca », perché dalla luce di Cristo ricevono signifi-
cato il creato, la Chiesa, l’umanità, la storia.
Al centro del Vangelo c’è la persona di Cri-
sto e non un comandamento scritto. Ciò richiede
di affidare la propria vita morale non a un codice
legale, ma al bisogno di seguire Cristo.
Questa impostazione cristocentrica è molto
importante, anche perché comporta, tra l’altro, la
priorità dell’annuncio sulla denuncia. L’annuncio
deve essere fatto con gioia, perché ha all’origine
un « sì » che viene prima di ogni osservazione
critica. L’annuncio della salvezza, della misericor-
dia e della giustizia è proposto come il contenuto
« essenziale » del messaggio cristiano.
In origine c’è il progetto di amore di Dio
sull’uomo, che lo riempie di gioia e lo spinge a
partecipare questa gioia a tutti. Non che questo
comporti un rifiuto o una sottovalutazione del
livello etico dei problemi dell’uomo. Anzi, il livel-
lo etico viene sollevato più in alto e protetto da
ogni possibile degenerazione moralistica. La legge
nuova dell’amore non toglie la legge dei coman-
damenti, ma la eleva e la purifica.
Particolarmente il capitolo III dell’Esor­
tazione apostolica EG, intitolato L’annuncio del
Vangelo, sottolinea come « priorità assoluta » del­
l’essere Chiesa e dei relativi compiti la « vera evan-
gelizzazione », che si attua nel « primato della
esplicita proclamazione che Gesù è il Signore (cfr.
EG 110).

crescere nella fedeltà 147

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Non si deve però pensare che « l’annuncio
evangelico sia da trasmettere sempre con determi-
nate formule stabilite o con parole precise che
esprimano un contenuto assolutamente invaria-
bile » (EG 127). L’evangelizzazione deve accom-
pagnare il cammino di fede fino alla sua crescita
e maturità; a tal fine la fede ha bisogno di un
cammino di formazione permanente, che non è
soltanto di carattere dottrinale.
Al riguardo, papa Francesco ricorda il dove-
re di annunciare e di educare al « messaggio mora-
le cristiano » che, nella sua essenzialità, come con-
fermano i testi biblici abbondantemente citati,
« trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai
il tuo prossimo come te stesso (Gal 5,14) » (EG 161).
Si tratta – aggiunge il Papa – di lasciarsi
trasformare in Cristo per una progressiva vita
« secondo lo Spirito », come « cammino di risposta
e di crescita » al dono del battesimo (cfr. EG 160-
162). In questo senso, « tutta la formazione cri-
stiana è prima di tutto l’approfondimento del
kerygma che va facendosi carne sempre più e
sempre meglio […] e che permette di compren-
dere adeguatamente il significato di qualunque
tema che si sviluppa nella catechesi » (EG 165).
Tale « comprendere » non ha mai significato
solo intellettivo, ma apre alla consapevolezza di
una novità di vita morale6.

6
La vita morale del cristiano non è concepibile se non come
vita di unione con Cristo. L’esperienza cristiana acquista i caratteri di

148 antonio parisi

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Facendo esplicito riferimento a Catechesi
Tradendae e al Direttorio generale per la catechesi,
papa Francesco si sofferma su questo aspetto es-
senziale della catechesi a servizio della crescita del
credente. Anzi, « tutta la formazione cristiana è
prima di tutto l’approfondimento del kerygma che
va facendosi carne sempre più e sempre meglio »
(EG 165).
E poiché il kerygma « esprime l’amore salvi-
fico di Dio previo all’obbligazione morale e reli-
giosa », il suo annuncio va fatto con « vicinanza,
apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordia-
le che non condanna » (EG 165).
Contestualmente all’annuncio kerygmatico,
occorre sviluppare anche l’aspetto mistagogico,
che implica l’educazione alla « progressività dell’e-
sperienza formativa », al fine di attuare un vero
« inserimento in un ampio processo di crescita » e
una vera « integrazione di tutte le dimensioni
della persona in un cammino comunitario di
ascolto e di risposta » (EG 166).

un evento etico-spirituale, in rapporto all’azione dello Spirito Santo,


per il quale anche la coscienza cristiana acquista un nuovo significato:
« La coscienza morale cristiana va compresa teologicamente come
espressione dell’“essere in Cristo” del battezzato (Rm 6,11), come sua
partecipazione al “pensiero di Cristo” (1Cor 2,16). In Cristo, infatti, si
rivela non solo la verità circa il volto di Dio come Padre e quindi la verità
completa circa la sua volontà salvifica, ma anche la verità sull’uomo.
Se Cristo è la verità (cfr. Gv 14,6), allora la coscienza cristiana sarà un
“sapere con Cristo”, una partecipazione nella fede al suo sapere che
salva e rende liberi. Lo Spirito diventa l’autore principale della forma-
zione della coscienza cristiana, realizzando la nostra partecipazione
al pensiero di Cristo » (L. Melina, Morale: tra crisi e rinnovamento. Gli
assoluti morali, l’opzione fondamentale, la formazione della coscienza,
Ares, Milano 1993, p. 98).

crescere nella fedeltà 149

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


Il Papa vi pone particolare attenzione, affer-
mando che « si rende necessario che la formazio-
ne nella via pulchritudinis sia inserita nella tra-
smissione della fede […] mostrando che credere
in Cristo e seguirlo non è solamente una cosa vera
e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita
di un nuovo splendore e di una gioia profonda,
anche in mezzo alle prove » (EG 167).
La stessa proposta morale della catechesi può
essere meglio accolta se i soggetti dell’evangelizza-
zione sono visti « come gioiosi messaggeri di pro-
poste alte, custodi del bene e della bellezza che ri-
splendono in una vita fedele al Vangelo » (EG 168).

4. La dimensione sociale dell’annuncio


della salvezza

Il Santo Padre riprende con accenti nuovi i


grandi temi del rapporto tra annuncio di Cristo e
vita morale, i cui riferimenti sono disseminati in
tutta l’Esortazione, fino a includere i grandi rife-
rimenti alle sfide della morale della convivenza
degli uomini e dei popoli, in ordine al rapporto
tra confessione della fede e impegno sociale7.
Un’importante novità della Evangelii Gau-
dium è l’ampio approfondimento, contenuto nel

7
Un classico riferimento all’impegno morale nella comunità
degli uomini, nella tensione tra il già e il non-ancora in R. Schna-
ckenburg, Il messaggio morale del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia
1989, pp. 187-200.

150 antonio parisi

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


capitolo IV, intitolato La dimensione sociale dell’e-
vangelizzazione, della cosiddetta « scelta preferen-
ziale per i poveri ». Il Papa ne parla dal punto di
vista dell’amore evangelico di Gesù per i piccoli e
gli ultimi.
È una ricca riflessione sull’atteggiamento
dei credenti e della Chiesa nei confronti dei pove-
ri e su quanto da essi si possa imparare. L’inclu-
sione sociale dei poveri diventa qui qualcosa di
più che una politica sociale. Diventa la prospetti-
va stessa del nostro vivere in società, l’aspetto che
ci ricorda continuamente il motivo ultimo per cui
esiste la comunità politica.
Qui trova spazio, esplicitamente o implici-
tamente, tutta la riflessione della Dottrina sociale
della Chiesa sulla solidarietà e il bene comune,
visti questa volta dal punto di vista dei poveri.
Viviamo in un momento particolare, da questo
punto di vista. La crisi economica fa aumentare le
disuguaglianze e, quindi, anche i poveri e la po-
vertà. Un nuovo sguardo sui poveri a partire dai
poveri evangelicamente intesi sarà di grande aiu-
to per tutti.
Dalla lettura della EG, tra i tanti spunti e
sollecitazioni, emerge l’importante concetto di
« pace sociale », che il Papa approfondisce, sempre
all’interno del capitolo IV. C’è la pace diplomatica
tra le nazioni, c’è la pace politica tra i partiti, ma
c’è anche la pace sociale tra i ceti e tra i cittadini.
Su questa si riflette poco, eppure è oggi quella più
dirompente perché le disuguaglianze e la preca-

crescere nella fedeltà 151

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rietà del lavoro finiscono per mettere i cittadini e
i gruppi sociali gli uni contro gli altri.
Il testo dell’Esortazione, a questo proposito,
contiene delle salutari provocazioni indirizzate
all’economia e alla politica affinché rimettano al
centro di se stesse la persona umana e un auten-
tico bene comune8.
La EG ha un aspetto fortemente missiona-
rio, conseguente alla impostazione cristocentrica
di cui si parlava prima. Tutta la Chiesa è invitata
da papa Francesco ad avere il coraggio della mis-
sione, superando inerzie ed eccessivi scrupoli che
paralizzano.
Già Giovanni Paolo II aveva scritto nella
Centesimus Annus che la missione ha un aspetto
« concreto » e « sperimentale » e invitava tutti i
credenti a mettersi in gioco con coraggio, immet-
tendosi sulla grande scia di quanti da sempre
nella Chiesa hanno dato il loro impegno per il
bene comune dei fratelli. Che la Chiesa esca da se
stessa per la missione non vuol dire che bisogna
uscire dalle chiese né che si debba abbandonare la

8 È necessario un alto senso di responsabilità, una grande opera

educativa e culturale, ma soprattutto una vocazione umana altamente


spirituale. Il desiderio di vivere meglio non dovrà, quindi, far perdere di
vista il disegno di Dio e l’uso armonico dei suoi beni, ma dovrà stimolare
a utilizzarli con sobrietà, temperanza e solidarietà, per costruire una
società in cui le libertà fondamentali della persona e tutti i suoi diritti
possano essere riconosciuti, difesi e promossi. È un impegno morale
che rende dinamica la progettualità sociale e la modella sulle esigenze
del vivere personale e comunitario, proiettandola verso gli orizzonti del
finalismo umano. Per una riflessione su questi temi cfr. W. Kerber, Etica
sociale. Verso una morale rinnovata dei comportamenti sociali, San Paolo,
Cinisello Balsamo (MI) 2002, pp. 195-206.

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dottrina e la vita sacramentale. Vuol dire, secondo
papa Francesco, farsi guidare sempre dall’essen-
ziale, e l’essenziale, nella vita del cristiano, va
donato a tutti.

5. L’accompagnamento alla crescita

La vita cristiana si configura come un cam-


mino di progressiva crescita: il credente è chiama-
to a un impegno di ricerca e di progresso verso la
meta della santità, l’uomo perfetto che riceve la
sua misura dalla pienezza di Cristo. In questo
cammino il cristiano non è solo: nella prospettiva
teologica, la vita morale cristiana è percepita come
risposta personale « in Cristo » alla chiamata del
Padre. Ogni cristiano è un essere « in Cristo »; la
sua condotta morale è la traduzione e la manife-
stazione vitale del proprio essere « in Cristo »9.

9 Il capitolo V della Lumen Gentium addita la santità di Dio come

il fondamento ultimo (cfr. LG 39). Poi sviluppa questa idea, focalizzan-


do il concetto di santità morale: « I seguaci di Cristo, chiamati da Dio
non in base alle loro opere ma al disegno della sua grazia, e giustificati
nel Signore Gesù, sono stati fatti veri figli di Dio col battesimo della fede,
resi partecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Con l’aiuto di
Dio essi devono quindi mantenere e perfezionare, vivendola, la santità
che hanno ricevuta » (LG 40). Inoltre, ricorda che la santità è la stessa
per tutti e non si possono distinguere gradi diversi di vocazione alla
santità: la chiamata alla santità è appello alla pienezza di vita; pertanto,
« tutti i fedeli cristiani sono quindi invitati alla santità e alla perfezione
del proprio stato, e sono tenuti a tendervi » (LG 42). Giovanni Paolo II
così commentò questo capitolo della costituzione conciliare: « Sull’uni-
versale vocazione alla santità ha avuto parole luminosissime il Concilio
Vaticano II. Si può dire che proprio questa sia stata la consegna primaria
affidata a tutti i figli e le figlie della Chiesa da un Concilio voluto per
il rinnovamento evangelico della vita cristiana. Questa consegna non

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Il cammino verso la verità e la santità ha la
sua origine nel Padre, che in Cristo ci ha scelti
prima della fondazione del mondo (cfr. Ef 1,4-5)
e l’itinerario progressivo morale del cristiano pro-
segue nella sua libertà di decisione, sorretta dalla
grazia, che accetta di impegnarsi, in modo conti-
nuo, nel compimento del bene.
In questa dinamica, il credente è chiamato a
individuare percorsi di comprensione del suo rap-
porto con la verità, in un cammino perennemente
formativo, che colloca l’educazione della coscienza
nella prospettiva dell’« autocomunicarsi amoroso
del Padre mediante lo Spirito nel Figlio suo, per cui
l’uomo è coinvolto in un cammino che lo immette
in una progressione divinizzante »10.
Nella sua esperienza di pastore e di confes-
sore, il Papa ha sperimentato tante volte che pro-
prio l’esperienza di essere abbracciati dalla mi­
sericordia e dal perdono può ridestare nelle
coscienze degli uomini e delle donne di oggi la
percezione del proprio limite, del male, del pec-
cato che indurisce il cuore, del bene che attrae e
rende felici.

è semplice esortazione morale, bensì un’insopprimibile esigenza del


mistero della Chiesa » (CL 16).
10 O. Svanera, « La formazione della coscienza nella Chiesa »,

in Credere Oggi 22 (2002) 128, 100. Il credente, nel suo agire etico-
spirituale, è chiamato ad esprimere lo stesso dinamismo trinitario di
Dio-Amore che « si rivela nella sua pienezza alla coscienza nel mistero
pasquale di Gesù Cristo. […] La coscienza è il luogo dove l’uomo si auto
comprende come dono di Dio in Cristo. Ne deriva che il giudizio morale
del cristiano è chiamato ad essere giudizio di valore sulla capacità di
vivere la vocazione in Cristo e a valutare se le scelte morali concrete
sono espressione del suo essere persona nuova » (ibidem 102).

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Per questo invita i pastori e tutti i cristiani ad
« accompagnare con misericordia e pazienza le pos-
sibili tappe di crescita delle persone che si vanno
costruendo giorno per giorno » (EG 44). Occorre
rispettare i tempi del lavoro della grazia, che si in-
carna nelle circostanze concrete e non procede per
astrazioni rigoriste. Un cuore davvero missionario
– sottolinea – non rinuncia mai al « bene possibile »,
è « consapevole di questi limiti e si fa “debole con i
deboli, […] tutto per tutti” (1Cor 9,22) » (EG 45).
È necessario che i processi di crescita siano
accompagnati da persone di riferimento qualifica-
to e, pertanto, che « sacerdoti, religiosi e laici ven-
gano iniziati all’arte dell’accompagnamento, per-
ché tutti imparino sempre a togliersi i sandali
davanti alla terra sacra dell’altro (cfr. Es 3,5) »: il
che significa che, lungi da qualsivoglia « curiosità
morbosa », dobbiamo avvicinarci al prossimo « con
uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma
che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a
maturare nella vita cristiana » (EG 169).
Chi accompagna nella crescita, deve tenere
sempre in conto che
« un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani
può essere più gradito a Dio della vita esteriormen-
te corretta di chi trascorre i suoi giorni senza
fronteggiare importanti difficoltà. E anche che
l’imputabilità e la responsabilità di un’azione pos-
sono essere sminuite o annullate dall’ignoranza,
dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle
abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori
psichici o sociali » (EG 44).

crescere nella fedeltà 155

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I discorsi sulle questioni etiche e morali
che non tengono conto di questo, o che addirit-
tura maltrattano la misericordia sbeffeggiandola
come « buonismo », sono estranei alle dinamiche
proprie innescate nel mondo dall’avvenimento
cristiano.
In quei discorsi – avverte papa Francesco –
« non sarà propriamente il Vangelo ciò che si an-
nuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che
procedono da determinate opzioni ideologiche ».
È proprio per questa via che « l’edificio morale
della Chiesa corre il rischio di diventare un castel-
lo di carte, e questo è il nostro peggior pericolo »
(EG 39).
Attraverso un saggio « accompagnamento
spirituale », a guisa di « pellegrinaggio con Cristo
verso il Padre », è bene ed è importante far capire
che lontani da Dio « si rimane essenzialmente
orfani, senza un riparo, senza una dimora dove
fare sempre ritorno » (EG 170).
Di contro, gli accompagnatori devono « co-
noscere il modo di procedere, dove spiccano la
prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di
aspettare, la docilità allo Spirito, per proteggere
tutti insieme le pecore che si affidano a noi » (EG
171). In questo impegno è fondamentale « l’ascol-
to » attraverso il quale « si può risvegliare il desi-
derio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere
pienamente all’amore di Dio e l’anelito di svilup-
pare il meglio di quanto Dio ha seminato nella
propria vita » (EG 171).

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Tutto ciò deve essere corredato da immensa
pazienza che ci mette in grado di trovare i modi
per risvegliare negli altri « la fiducia, l’apertura e
la disposizione a crescere » (EG 172).

Per concludere

Francesco non solo ha detto che non biso-


gna fermarsi solo ai cosiddetti « principi non ne-
goziabili », ma ha richiamato a una precisa lettura
della realtà, con l’efficace immagine dell’« ospeda-
le da campo ». Già durante la Giornata Mondiale
della Gioventù, rivolgendosi ai vescovi latinoame-
ricani, aveva parlato di un’umanità di feriti.
La consapevolezza è che la morale cristiana
non si esaurisce nella proposizione di una ogget-
tività universale, ma deve allargarsi a comprende-
re la soggettività, la persona nelle sue situazioni e
nei suoi contesti vitali, nella sua concretezza e
storicità. È necessario assumere la progettualità
della propria vita a partire dalla propria originali-
tà, configurando in maniera incisivamente perso-
nale il cammino della realizzazione.
Il Papa, senza nulla togliere ai « principi non
negoziabili », vuole aiutare tutti a vedere la realtà
anche nei suoi molteplici aspetti contraddittori,
senza rimuovere nulla. L’invito forte che viene dal
Papa consiste nell’allargare lo sguardo amorevole
della Chiesa e non di chiuderlo. Allargarlo a tutta
la complessità dell’esistenza umana: dalle delicatis-

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sime questioni della difesa della vita alle tante
esperienze drammatiche (per esempio dei rifugiati
e dei migranti) di un’umanità ferita dalle ideologie.
Queste ferite sono procurate da una cultura
precisa: quella dell’interesse limitato a un orizzon-
te individuale ed effimero, del piacere egoistico e
momentaneo, del profitto perseguito a tutti i costi
e privo di investimenti sul futuro; la logica della
crescita non fondata su uno sviluppo ragionato,
solidale e sostenibile, che curi i talenti di ciascuno
e il bene di tutti.
La situazione è tale che il messaggio del
Vangelo, che la Chiesa ha la missione di trasmet-
tere, deve risuonare in tutta la sua forza profetica.
La Chiesa dichiara al mondo che la compassione,
la solidarietà, il bene comune universale, il rispet-
to della terra, la libertà religiosa… e soprattutto
tutto ciò che attiene alla sfera della dignità della
persona umana, non sono né valori confinabili
alla sfera privata, né utopie astratte e buoniste.
L’annuncio della salvezza appare come l’unica
strada percorribile per risolvere i problemi posti
dalle situazioni contingenti e primariamente, per
accedere alla prospettiva di senso compiuto dell’e-
sistenza, prospettata e dischiusa dal Vangelo.
A partire da un sano realismo, unitamente
al cristiano ottimismo, la comunità cristiana ha il
dovere di operare un sincero riesame critico, i cui
preziosi punti di riferimento sono la Rivelazione
cristiana, la situazione storica con i suoi appelli,
il discernimento evangelico, la verifica culturale

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di un passato ricco di tradizioni di fede, al di là di
punti fermi e di parametri nostalgici. Essa è chia-
mata alla ricerca, alla riflessione, al confronto, alla
sperimentazione, alla creatività, per interrogarsi
sulla qualità dell’annuncio cristiano e sulla effica-
cia delle mediazioni.
Rimane pertanto prioritario il livello della
consapevolezza della fede e di una matura sogget-
tualità ecclesiale, senza il quale si impoverirebbe,
e persino vanificherebbe, ogni tentativo di annun-
cio e di testimonianza, incrementando il divario
tra una idealità proclamata e un vissuto cedevole.
 
 

crescere nella fedeltà 159

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PARROCCHIA,
ASSOCIAZIONI
E MOVIMENTI
NELL’UNICA MISSIONARIETÀ
DELLA CHIESA
Luciano Meddi

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Luciano Meddi, presbitero della Chiesa di Roma, è do-
cente di Catechesi Missionaria presso la Pontificia Università
Urbaniana e si occupa di formazione degli operatori pastorali.
Per lunghi anni ha approfondito e sperimentato nuove vie per
il rinnovamento pastorale pubblicando, tra gli altri, i volumi
Formare cristiani adulti. Desiderio e competenza del parroco (As-
sisi 2013); (con C. Dotolo) Evangelizzare la vita cristiana. Teo-
logia e Pratiche di Nuova Evangelizzazione (Assisi 2012); La
parrocchia cambia parroco. Una risorsa per la pastorale (Assisi
2012).

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Lo svolgimento del tema ha bisogno di
definire l’evoluzione e l’innovazione della missio-
ne nel XX secolo per poter identificare gli elemen-
ti portanti della « conversione missionaria » della
pastorale e poter valutare le attuali prassi missio-
narie dei soggetti stessi. Tali (e altre) analisi ven-
gono svolte in questa riflessione tenendo conto di
un triplice contesto: del rinnovamento missiona-
rio italiano, della celebrazione del Sinodo per la
nuova evangelizzazione del 2012, e soprattutto
della receptio della Esortazione apostolica di papa
Francesco dedicata alla evangelizzazione.

1. Il rinnovamento missionario

I diversi soggetti ecclesiali sono coinvolti da


quasi un secolo1 nel rinnovamento missionario,

1 A cominciare dalla Maximum Illud di Benedetto XV (1919)

che introduce il tema della qualità dei soggetti clericali, della forma-
zione del clero indigeno e l’inserimento della donna (religiosa e laica)
nella animazione missionaria. Si devono ricordare Ad Gentes n. 21; ma
i riferimenti più importanti sono nella ecclesiologia di Lumen Gentium
e nella Apostolicam Actuositatem. Dopo il concilio si ricordano Paolo

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sia nell’organizzazione dell’annuncio verso coloro
che non conoscono Cristo (missio Ad Gentes) sia
verso coloro che non sono stati evangelizzati ade-
guatamente o che hanno lasciato la vita cristiana
(nuova evangelizzazione2). Le due dimensioni si
intersecano vicendevolmente e trovano nel Vati-
cano II un punto di sintesi3.

Cambio della prospettiva missiologica

Già alla fine del XIX secolo la missione


sente di rinnovarsi innanzitutto in riferimento
agli obiettivi. Si avverte l’impossibilità, prima
della non opportunità, di obbligare alla fede cri-
stiana limitandosi a forme di sacramentalizzazio-
ne spesso forzate. Sia la mutata sensibilità cultu-
rale illuminista, sia le resistenze verificate dopo
la « grande partenza missionaria » del XVI secolo
che le resistenze delle grandi culture e religioni
asiatiche, portano la missione a un cambio di

VI che in Evangelii Nuntiandi dedica a questo tema l’intero cap. IV;


Giovanni Paolo II in Christifideles Laici (1988) al cap. III parla della
« corresponsabilità dei fedeli laici nella Chiesa-Missione », espressione
che sarà molto discussa negli anni successivi; ancora Giovanni Paolo
II dedica il cap. VI di Redemptoris Missio (1990) a questo tema. Cfr. P.
Giglioni (a cura di), Persone, strutture e attività di chiesa per l’evange-
lizzazione, in « Portare Cristo all’uomo ». Congresso del Ventennio dal
concilio Vaticano II, 18-23 febbraio 1985, Urbaniana University Press,
Città del Vaticano 1985, vol II, pp. 471-616.
2
Da ora: NE.
3
Il tema della unità della missione nella pluralità dei contesti e
delle pratiche missionarie si trova già impostato in Ad Gentes 6.

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paradigma4. Saranno le « scuole missiologiche »5
europee a riformulare le corrette finalità della
missione; un lavoro teorico-pratico che venne
accolto per intero dalla Maximum Illud di papa
Benedetto XV nel 1919. È in conseguenza di
questo ripensamento che si introduce l’obiettivo
di conversione e quindi si rende necessaria la
pratica di evangelizzazione, di sensibilizzazione,
cioè di testimonianza; alla conversione segue la
iniziazione cristiana e la formazione dei creden-
ti. Un secondo gruppo di obiettivi riguardava la
costruzione delle Chiese locali per superare la
pratica di chiese coloniali. Questo comportava lo
sviluppo del clero locale e di strutture pastorali
autonome. Anche se non definita, la missione si
rende conto che questo processo ha bisogno di
utilizzare la cultura locale, anche solo nella for-
ma di adattamento, superando definitivamente
la tentazione della « tabula rasa ». Si deve segna-
lare che questa riflessione non venne intesa an-
che per i paesi di antica cristianità6.

4 Su questo tema: D.J. Bosch, La trasformazione della missione.

Mutamenti di paradigma in missiologia, Queriniana, Brescia 2000 [orig.


1991]; la sua ispirazione teologica è la visione del cammino teologico
di H. Küng, Teologia in cammino. Un’autobiografia spirituale, Mondado-
ri, Milano 1987: vedi anche M. Menin, Modelli di presenza missionaria
nella storia della Chiesa, in Ad Gentes 2008, 12,2, 209-232 e F. Zolli (a
cura di), Essere missione oggi. Verso un nuovo immaginario missionario,
Emi, Bologna 2013.
5
J.-A. Barreda, Missionologia. Studio introduttivo, San Paolo,
Cinisello Balsamo (MI) 2003, c. III.
6
L. Meddi, Il secondo soffio. Il coraggio dei discepoli e le provoca-
zioni della storia, in Euntes Docete n.s., 63,2 (2010) 235-256.

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L’impulso conciliare

Il concilio Vaticano II riconobbe la validità


di questa impostazione. Ad Gentes7 allargò il con-
cetto di missione come declinazione delle azioni
trinitarie; questo portò a chiedere una Chiesa
capace di riconciliazione con le altre tradizioni
cristiane; capace di dialogo salvifico integrale con
il mondo, con le culture e le religioni; ma soprat-
tutto capace di proporre il Vangelo di Gesù. Inol-
tre sviluppò i temi dell’adattamento e del valore
salvifico delle religioni. A livello pastorale rico-
nobbe l’importanza del processo catecumenale,
della formazione e crescita della comunità e della
pluralità dei ministeri. È proprio questo docu-
mento a segnalare per primo la necessità di ripen-
sare la pastorale in termini missionari anche per i
Paesi di antica tradizione per superare il formali-
smo o il vero abbandono della pratica religiosa.
La insostenibilità dell’« isolamento salvifi-
co » di Trento ha portato (sta portando) la teologia
a chiedere ripensamenti decisivi. Gaudium et Spes
chiede una rinnovata visione del rapporto tra
Vangelo e storia (promozione umana, Vangelo nel
tempo, responsabilità salvifica del territorio). Il
postconcilio proporrà la figura di missione per lo
shalom e della teologia politica capace di elabora-

7
C. Geffrè, L’evoluzione della teologia della missione. Dalla Evan-
gelii Nuntiandi alla Redemptoris Missio, in Aa.Vv., Le sfide missionarie del
nostro tempo, Emi, Bologna 1996, pp. 63-82.

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re un programma universale a partire dalla memo-
ria passionis8.
In conseguenza, il territorio (della Chiesa
locale e della parrocchia) è quindi visto come di-
mensione antropologica e salvifica. Il mistero
pasquale è sacramento della speranza escatologica
della storia (Gesù è il Cristo) e della trasformazio-
ne del cuore delle persone (credo nello Spirito
Santo). È in conseguenza di questo riequilibrio
che ha significato il pensiero del Vaticano II che
ci parla della Chiesa (e quindi di ogni sua mani-
festazione) come popolo messianico in cammino;
testimone della speranza del compimento del re-
gno; luce delle genti; abilitato a esercitare i Tria
munera Christi; capace di riconoscere il ruolo
missionario dei laici; e chiede di educare l’intera
comunità: alla comprensione vitale della Scrittura,
alla partecipazione liturgica, alla collaborazione
missionaria. Questa è la prospettiva della Chiesa-
Comunione per la Missione del Sinodo straordi-
nario del 1985.
Il postconcilio ha dovuto affrontare i molti
e difficili problemi di teologia missionaria9. Essi
nascono dal superamento o rivisitazione del tema
extra ecclesia nulla salus. L’introduzione della teo-
logia missionaria del soggetto trinitario Spirito,

8
Questa impostazione giunge al suo culmine con J.B. Metz,
Memoria passionis. Un ricordo provocatorio nella società pluralista, Que-
riniana, Brescia 2009 [orig. 2006].
9
G. Colzani, Missiologia contemporanea. Il cammino evangelico
delle Chiese: 1945-2007, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010.

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che sta alla base del riconoscimento della libertà
religiosa e delle « misteriose » vie salvifiche, chie-
de una teologia che vada oltre la teoria dei semina
Verbi; chiede, inoltre, un ripensamento globale sia
della cristologia che della ecclesiologia. Le discus-
sioni si incentrarono sul superamento del model-
lo esclusivista proprio della teologia precedente e
nella prospettiva della visione del cristianesimo
come compimento dei processi umani (teoria
dell’inclusivismo). Questa prospettiva trovò una
momentanea sintesi nei primi capitoli di Redem-
ptoris Missio (1990); ma fu una sintesi provvisoria
perché molti teologi segnalarono la necessità di
andare oltre nella prospettiva di un equilibrio più
avanzato. Le diverse teorie del pluralismo religioso
pongono seriamente la questione del valore rive-
lativo e salvifico (e anche missiologico) delle
culture e religioni10. Questioni, queste, che hanno
il loro peso nella discussione sul compito missio-
nario della chiesa locale e della parrocchia; se
debbano cioè cercare la distinzione o la collabo-
razione alla azione missionaria dello Spirito in un
luogo o territorio11.
Alla questione missiologica seguirono im-
mediatamente le discussioni missionarie12. La pra-

10
C. Dotolo (a cura di), Pluralismo e missione. Sfide e opportu-
nità, Euntes Docete n.s., 58,1 (2005).
11
M. Elia, Cristo fuori le mura, Gribaudi, Torino 1985; Aa.vv.,
Il fuoco della missione. La missione « Ad gentes » interpella la Chiesa che
è in Italia, Emi, Bologna 1999.
12
Aa.vv., La missione negli anni 2000. Seminario di ricerca del
SEDOS sul futuro della missione, Emi, Bologna 1983; Appendix. Agenda

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tica missionaria vide l’ampliamento del suo com-
pito includendo il tema dell’amore di Dio come
shalom (salvezza integrale o promozione umana
di EN), come compito costante della missione
stessa. Altro tema emergente fu la considerazione
dei nuovi areopaghi e contesti di annuncio (RM
33-37); considerazioni che chiedevano innovazio-
ni pastorali sia sul piano delle azioni che della
ministerialità. La ministerialità, soprattutto, viene
ad assumere figure che relativizzano il servizio alla
trasmissione della grazia del mistero pasquale e
che chiedono sempre più competenze trasversali
e antropologiche. Da qui il fenomeno dell’amplia-
mento dei nuovi soggetti: la Chiesa locale, tutti i
battezzati, i fidei donum, le CEB (Comunità Eccle-
siali di Base), i nuovi movimenti, i gruppi missio-
nari ecc., accanto ai missionari tradizionali13.

La nuova evangelizzazione
come questione missiologica

La presa di coscienza della separazione tra


proposta cristiana e cultura/e, portò alla riflessio-

for Future Planning, Study, and Research in Mission, in W. Jenkinson-H.


O’Sullivan (editors), Trends in Mission. Towards the Third Millennium.
Essays in Celebration of Twenthy-five Years of Sedos, Orbis Books, Ma-
ryknoll-New York 1991, pp. 399-414.
13
P. Giglioni, Carismi e ministeri per una pastorale missionaria,
Pontificia Università Urbaniana, Roma 1996; L. Meddi, La ministerialità
missionaria. Riflessione pastorale, in Quaderni di Limone. Rinnovare la
missione rivisitando Comboni 2014 (prossima pubblicazione).

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ne sulla urgenza della NE. Il tema in verità è pre-
occupazione costante di tutta la modernità. Nella
prima e lunga fase, quella guidata dal concilio di
Trento (o meglio del tridentinismo), si affermò la
strategia nella negazione del valore della cultura
e della pastorale antimodernista. Posizioni che
culminarono con il Sillabo, la visione di rivelazio-
ne e fede del Vaticano I, la pastorale veritativa di
Pio X (e i suoi due strumenti fondamentali: il ca­
techismo e l’anticipazione della prima comunio-
ne). Ma successivamente e già a cavallo del XX
secolo, il fallimento progressivo della pastorale di
opposizione e di apologia, l’iniziale approfondi-
mento delle fonti teologiche, la progressiva ricon-
siderazione della storia come locus theologicum,
portarono anche il magistero a tentare vie più
moderate. Giovanni XXIII indicò la direzione da
seguire con la sua celebre espressione di aggior-
namento e i documenti del Vaticano II rappresen-
tano la bussola per questa nuova strada.
La prospettiva di NE propria del Concilio
subì una forte e drastica « revisione » a partire
dagli anni ’80. Al primato della evangelizzazione
si sostituì il primato della missione. I documenti
ecclesiali14 spostarono l’accento dalla qualità o
riforma della vita ecclesiale alla opposizione alla
religione propria delle culture (occidentali) chie-

14
Giovanni Paolo II, Discorso di Giovanni Paolo II ai parteci-
panti al VI Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali dell’Europa,
dell’11 ottobre 1985.

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dendo una pastorale di apologia, forte appartenen-
za, recupero delle diverse forme di religiosità e
migliore spiegazione della tradizione. Unica con-
cessione alla modernità venne con il riconosci-
mento della necessità di innovazione mediale, sia
del broadcasting sia della comunicazione relazio-
nale. Questo è l’impianto offerto dai documenti
pre-sinodali del 2012. Essi portano l’attenzione al
confronto-scontro con le culture, la difesa del
cristianesimo, il rinnovo dei metodi e la spiritua-
lità o slancio missionario15.

2. La prospettiva missionaria di Evangelii Gaudium

La recente Esortazione apostolica del 2013


ha dato una interpretazione particolare del tema
della NE: infatti quasi mai utilizza i termini pre-
senti nei documenti sinodali a partire dalla espres-
sione « NE » preferendole, giustamente, il termine
evangelizzazione16.

15 È interessante confrontare le riflessioni di R. Fisichella, La

nuova evangelizzazione. Una sfida per uscire dall’indifferenza, Mondadori,


Milano 2011, con quelle di W. Kasper, La nuova evangelizzazione: una
sfida pastorale, teologica e spirituale, in W. Kasper-G. Augustin (a cura
di), La sfida della nuova evangelizzazione. Impulsi per la rivitalizzazione
della fede, Queriniana, Brescia 2012, pp. 19-45.
16
Il lettore sa che una ricostruzione del pensiero altrui e soprat-
tutto di un testo magisteriale che per sua natura richiede la accoglienza
e la comprensione come receptio, non può mai sostituire la lettura del
testo e della personale valutazione. La presentazione che qui svolgo vuo-
le essere la più vicina al testo, ma inevitabilmente sottolinea aspetti che,
letti nella storia della recente NE, si avvertono più importanti e decisivi.

parrocchia, associazioni e... 171

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


Nuova evangelizzazione
come riforma della Chiesa

La proposta missionaria di papa Francesco


era già stata dichiarata ai Vescovi del Celam a Rio
de Janeiro il 28 luglio 201317.
Nel testo indicato, papa Francesco introdu-
ce una distinzione di metodo per la comprensione
dell’azione missionaria. Le decisioni vanno com-
prese a due livelli di riflessione e discernimento.
Chiama la prima « missione programmatica »;
questa consiste nella proposta e realizzazione di
atti di indole missionaria, ovvero decisioni opera-
tive che possono guidare l’azione immediata.
Chiama la seconda « missione paradigmatica
[che], invece, implica il porre in chiave missiona-
ria le attività abituali delle Chiese particolari ».
Questa riflessione, che va oltre le singole decisio-
ni, ha come scopo di continuare la riflessione per
la ricerca di un nuovo paradigma o modello-guida
della trasformazione missionaria del pensare la
pastorale stessa. È quindi una riflessione di nuova
evangelizzazione.
Dice il Papa:
« Qui si dà, come conseguenza [di riflettere su],
tutta una dinamica di riforma delle strutture eccle-
siali. Il “cambiamento delle strutture” (da caduche
a nuove) non è frutto di uno studio sull’organizza-

17
Cfr. L. Meddi, Papa Francesco e la missione. 1. Riforma della
chiesa e rapporto con le culture, in http://www.lucianomeddi.eu/?p=3265,
del 10 novembre 2013.

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zione dell’impianto funzionale ecclesiastico, da cui
risulterebbe una riorganizzazione statica, bensì è
conseguenza della dinamica della missione. Ciò
che fa cadere le strutture caduche, ciò che porta a
cambiare i cuori dei cristiani, è precisamente la
missionarietà ».

Non deve sfuggire la novità di questa rifles-


sione. Il rinnovamento infatti non è pensato in
termini sociologici e neppure nel senso del raffor-
zamento del ruolo tradizionale della Chiesa e del
suo dispositivo missionario. Questo è stato cen-
trato troppo sulla conservazione del racconto
tridentino della fede. Ne derivava una impostazio-
ne missionaria centrata sulla apologia e testimo-
nianza difensiva della fede. Il Papa chiede un
rinnovamento che si basa su una riconsiderazione
della cristologia di base del messaggio cristiano.
Egli afferma:
« Aparecida ha proposto come necessaria la Con-
versione Pastorale.  Questa conversione implica
credere nella Buona Novella, credere in Gesù Cri-
sto portatore del Regno di Dio, nella sua irruzione
nel mondo, nella sua presenza vittoriosa sul male,
credere nell’assistenza e guida dello Spirito Santo,
credere nella Chiesa, Corpo di Cristo e prolunga-
trice del dinamismo dell’incarnazione ».

Missione come inculturazione

Il secondo obiettivo da perseguire con la


missione della NE riguarda il rapporto con la cul-

parrocchia, associazioni e... 173

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tura. Papa Francesco ci dice che a tale proposito « è
bene ricordare le parole del concilio Vaticano II: le
gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli
uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri e
di quanti soffrono, sono a loro volta gioie e speran-
ze, tristezze e angosce dei discepoli di Cristo (cfr.
Gaudium et Spes n. 1) ». Dunque una missione a
partire dalla prospettiva di Gaudium et Spes!
Questa visione della missione a partire dal-
la condivisione della speranza di salvezza rappre-
senta un orizzonte prima che un compito. Egli la
pone come contenuto della relazione Chiesa-
mondo. Dice:
« Qui risiede il fondamento del dialogo col mondo
attuale. La risposta alle domande esistenziali
dell’uomo di oggi, specialmente delle nuove gene-
razioni, prestando attenzione al loro linguaggio,
comporta un cambiamento fecondo che bisogna
percorrere con l’aiuto del Vangelo, del Magistero e
della Dottrina Sociale della Chiesa ».

La prima parte dell’espressione indica il


compito della inculturazione. Essa consiste nel
dare risposte alle « domande esistenziali dell’uo-
mo di oggi », ovvero i bisogni di salvezza della
cultura. Non è quindi intesa solamente come
studio della comunicazione adatta per spiegare
meglio le verità della fede, ma ricerca teologica per
dare risposta alle manifestazioni dei bisogni salvi-
fici di oggi.
La seconda parte esprime le criteriologie di
questo compito missionario. L’inculturazione è il

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risultato del dialogo tra le vie di salvezza già spe-
rimentate dalla cultura, « prestando attenzione al
loro linguaggio »18 e le fonti del messaggio cristia-
no. Questo è descritto nei termini di Vangelo,
magistero e Dottrina sociale.
La conseguenza di questo discernimento
sarà quello che la missione chiama la lettura dei
segni dei tempi. Non solo come lettura delle ca-
ratteristiche socio-culturali del tempo e delle
culture (GS 4) ma come comprensione dell’azio-
ne di Dio nella storia e nella cultura (GS 11). Dio
infatti, come ripete spesso papa Francesco, pre-
cede e ispira la missione. Nella cultura, dunque,
troviamo espressioni della pratica messianica di
Gesù che la Chiesa va a riconoscere, accogliere e
utilizzare. Talvolta a integrare o purificare. Que-
ste « espressioni » sono a volte persone, oppure
idee o gruppi sociali con cui testimoniare insieme
l’amore di Dio. Interpreto così alcune istanze
molto recenti della teologia missionaria che spin-
gono verso un’apertura della missione alla con-
divisione del servizio al regno di Dio oltre che
all’annuncio19.
Le espressioni appaiono teologicamente for-
ti. La linea missionaria che il testo evoca, è la ri-
flessione che tende a superare l’espressione molto
usata di « inculturazione » e ad approdare alla

18
Sembrano essere una citazione quasi esplicita di GS 44 e
EN 63.
19
Dalla missione al mondo alla testimonianza interreligiosa,
in Concilium (2011) 47,1.

parrocchia, associazioni e... 175

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teologia della contestualizzazione20. Il testo infat-
ti dice che nel fare discernimento missionario c’è
il pericolo di rimanere « nei parametri de “la cul-
tura di sempre” ». L’analisi del contesto, invece,
permette alla missione di progettare se stessa
come risposta ai bisogni salvifici di una specifica
realtà e soprattutto come risposta alle diverse
presenze di Dio nella storia21. Questo, in fondo, è
quello che sosteneva la teologia della liberazione
delle origini.
Mi sembra di poter affermare che sono evi-
denti la continuità e la discontinuità di questa
impostazione con alcune impostazioni teologiche
e missionarie, anche nel Sinodo per la NE. Impo-
stazione che finalmente recupera e riunisce i due
polmoni missiologici: il mandato pre-pasquale e
il mandato post-pasquale. È una prospettiva che
illumina il dono della salvezza con la carica della
pratica messianica di Gesù; è una prospettiva che
riunisce nuovamente la storia quotidiana con il
dono della Grazia. Una prospettiva che dopo la
Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, che aveva formu-
lato l’espressione salvezza integrale come conte-
nuto del rapporto tra evangelizzazione e promo-
zione umana, avevamo perduto.

20
Una introduzione a queste problematiche in V. Neckebrouck,
La terza chiesa e il problema della cultura, San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI) 1990. Cfr. M. Amaladoss, Oltre l’inculturazione. Unità e pluralità
delle chiese, Emi, Bologna 2000 [orig. 1998].
21
Cfr. S.B. Bevans, Models of Contextual Theology, Orbis Book,
New York 2002.

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Le Propositiones, invece, rimangono ancora
nella definizione tradizionale di kerigma:
« Il fondamento di ogni proclamazione, la dimen-
sione kerigmatica, la Buona Novella, mette in ri-
salto l’annuncio esplicito della salvezza. “Vi ho
trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io
ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri pec-
cati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscita-
to il terzo giorno secondo le Scritture, e che appar-
ve a Cefa e quindi ai Dodici” (1Cor15,3-5) »
(Propositio, n. 9).

Questa impostazione porta papa Francesco


a porre alcuni criteri per valutare la qualità della
pastorale missionaria: il compito dei presbiteri sia
più pastorale che amministrativo; superare la
prospettiva reattiva ai complessi problemi che
sorgono; rendere partecipi della missione e dare
libertà di discernimento ai fedeli laici; servirsi dei
Consigli diocesani per il discernimento; sostenere
l’appartenenza degli operatori pastorali e dei fede-
li in generale.

L’orizzonte missionario dell’Esortazione

L’Esortazione appare come un orizzonte


dentro cui collocare il rinnovamento o conversio-
ne pastorale dell’intera Chiesa e delle sue singole
componenti. Per l’Esortazione la pastorale è mis-
sionaria se è azione di Chiesa estroversa (EG 24),
in cui ogni cristiano e ogni comunità discernerà
quale sia il cammino che il Signore chiede (EG

parrocchia, associazioni e... 177

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20): esige continua creatività pastorale (EG 33);
l’annuncio deve seguire la via dell’essenziale (EG
34-36); facendo attenzione alla questione del lin-
guaggio (EG 40-43) e della inculturazione (EG
68-70) perché lo Spirito precede il missionario
stesso. Alla dimensione integrale della missione è
dedicato l’intero cap. V (la dimensione sociale
della evangelizzazione) come attenzione alle po-
vertà e alla misericordia (il termine è presente in
tutto il testo).
La pastorale di evangelizzazione è azione di
tutto il popolo di Dio, si concentra nella predica-
zione e nella prospettiva della catechesi kerig­
matica (EG 160-175). Questa include un Primo
Annuncio perché principale, e che risponde all’a-
nelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano; a
cui segue una iniziazione mistagogica anche con
una rinnovata valorizzazione dei segni liturgici e
soprattutto tiene conto dell’inserimento in un
ampio processo di crescita e dell’integrazione di
tutte le dimensioni della persona in un cammino
comunitario di ascolto e di risposta. È una pasto-
rale che ritiene importante una pedagogia che
introduca le persone, passo dopo passo, alla piena
appropriazione del mistero. Per giungere a un
punto di maturità, cioè perché le persone siano
capaci di decisioni veramente libere e responsabi-
li, è indispensabile dare tempo, con una immensa
pazienza.

178 luciano meddi

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Parrocchia e Movimenti soggetti missionari

In questo contesto si colloca la visione di


papa Francesco circa i soggetti che articolano la
chiesa locale. Il Papa annulla la prospettiva del
Sinodo del 2012 sulla NE, che di fatto aveva
espropriato la parrocchia della sua responsabilità
missionaria. Questa impostazione venne proposta
dalla relazione introduttiva del cardinale Wuel, il
quale prevedeva per la NE nuovi evangelizzatori
e preferiva sottolineare il ruolo dei nuovi movi-
menti ecclesiali (cfr. n. 7: Carismi della Chiesa di
oggi che assistono nella Nuova Evangelizzazione).
La medesima impostazione era stata notata al
congresso internazionale.
Il testo del Papa, dopo aver riaffermato il
valore della parrocchia per la NE e il suo compito
di essere « la Chiesa che vive in mezzo alle case dei
suoi figli e delle sue figlie » (CL 26), ne ricorda e
amplia la missione. Essa consiste nel formare la
missionarietà dei battezzati e lo fa attraverso un
processo di innovazione creativa delle sue pratiche
ma anche delle sue forme, di cui ne elenca alcune,
sempre a partire dal suo ruolo specifico rispetto ad
altri soggetti missionari: ascolto della Parola, cre-
scita della vita cristiana, dialogo, annuncio, carità
generosa, adorazione e celebrazione.
Ma per realizzare questa sua missione o
compito missionario di NE, la parrocchia deve
rinnovare se stessa. Già all’inizio aveva posto que-
sta condizione (« se è capace di riformarsi e adat-

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MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


tarsi costantemente ») e più avanti afferma che la
forma della parrocchia deve corrispondere ai suoi
compiti: essere comunità di comunità, santuario
dove gli assetati vanno a bere per continuare a
camminare, e centro di costante invio missionario.
L’espressione ben descrive i tre compiti che la
missione ecclesiale post-conciliare attribuisce alla
NE: essere Chiesa di popolo, nella forma della
comunione e della costante missione.
Nel medesimo documento papa Francesco
definisce anche i compiti dei nuovi movimenti
ecclesiali nella prospettiva missionaria (EG 29).
Recupera il ruolo delle CEB e afferma che queste
nuove forme apportano un nuovo fervore evange-
lizzatore e una capacità di dialogo con il mondo
che rinnova la Chiesa; ma – citando una delle in-
dicazioni dei Padri sinodali, la Propositio n. 26 – è
molto salutare che esse non perdano il contatto
con questa realtà tanto ricca della parrocchia del
luogo, e che si integrino con piacere nella pastora-
le organica della Chiesa particolare. Queste espres-
sioni aiutano la comprensione del compito missio-
nario della parrocchia nella Chiesa locale.
Le indicazioni di papa Francesco vanno
quindi nella direzione di una riaffermazione del
ruolo della parrocchia come soggetto privilegiato
della NE; un approfondimento del suo compito
che unisce socializzazione e formazione missiona-
ria dei battezzati; una riqualificazione della figura
o modello che continua a definire « comunità di
comunità » e « santuario o fontana del villaggio »

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ma a cui collega la prospettiva di « centro di co-
stante invio missionario » o stazione missionaria.
Ai movimenti e associazioni chiede di integrarsi in
modo organico. Una prospettiva che va compresa
nel ripensamento teologico e pastorale della par-
rocchia, con le sue luci e le sue ombre.

3. La qualità missionaria della parrocchia,


associazioni e movimenti,
soggetti della missione nella chiesa locale

I diversi soggetti ecclesiali o forme di vita


cristiana hanno realizzato diverse innovazioni
missionarie che hanno bisogno di una analisi at-
tenta. Una innovazione fatta di luce e ombre e che
ha bisogno di ulteriori approfondimenti.

Qualità della conversione missionaria

Per individuare una griglia che permetta di


valutare la direzione delle diverse forme di con-
versione che in questi anni stanno realizzando la
« svolta missionaria della pastorale » è utile met-
tere in ordine le indicazioni emerse nella ricostru-
zione storica e che abbiamo ritrovato, non senza
innovazione e profezia, nel testo dell’Esortazione
di papa Francesco. Questo elenco ci permetterà
un’analisi di qualità dei diversi progetti e anche di
indicare alcune prospettive innovative.

parrocchia, associazioni e... 181

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La teologia missionaria oggi riconosce che
l’azione missionaria e di NE si realizza tenendo in
conto alcune dimensioni portanti:
- La missione deve prendere atto che la fi-
nalità missionaria è plurale (testimonianza dell’a-
more di Dio-shalom; pratica del Regno; annuncio
di Gesù di Nazaret; iniziazione cristiana e inse-
rimento nella comunità). Non può continuare a
organizzarsi come se fosse in situazione di cri-
stianità e non deve sperare in un ritorno all’evan-
gelizzazione controllata dai sistemi politici e
culturali. L’evangelizzazione deve tornare a cam-
minare con le sue sole gambe e occuparsi nuo-
vamente di creare consenso autentico alle sue
proposte.
- La missione deve prendere atto che i sog-
getti sono plurali e carismatici (Chiesa locale,
l’intero popolo di Dio, diverse ministerialità laica-
li, nuovi gruppi missionari). I ministri ordi­nati
devono integrare nella propria identità e formazio-
ne la capacità/competenza di essere mediatori di
ministerialità e carismi e non solo amministratori
di una propria responsabilità. L’integrazione va
cercata in primo luogo a livello « locale », ovvero
diocesano, e in forma dinamica, ovvero che sappia
rispondere ai bisogni di salvezza concreti e non
rispondere ai principi ecclesiologici.
- La missione deve integrare le sue azioni e
movimenti tenendo in conto l’ampiamento teolo-
gico delle vie o strategie missionarie. Queste van-
no oltre la civilizzazione e predicazione (inclu-

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dendo la promozione umana, la inculturazione e
il dialogo interreligioso). Queste dimensioni sono
contenuto dell’azione missionaria, della testimo-
nianza dell’amore di Dio; ma sono anche vie e
strategie per l’adesione, la conversione, e l’inseri-
mento nella comunità dei discepoli e dipendono
dalla qualità della testimonianza e dell’annuncio.
- L’azione missionaria si deve organizzare
tenendo ben presente che fa riferimento a contesti
culturali e sociali specifici (azione contestuale,
teologia dei segni dei tempi). Sia la teologia dei
segni dei tempi di GS 4 e 11, sia il continuo rife-
rimento di papa Francesco alle periferie, alla crea­
tività e al discernimento, sono indicazioni chiare
del rapporto costante tra finalità della missione e
progettazioni secondo i diversi bisogni e risorse
salvifiche presenti nel contesto-territorio.
- Da ultimo le pratiche missionarie vanno
ripensate a partire dalla persona (comunicazione,
trasmissione-broadcasting, educazione, formazio-
ne, accompagnamento, mistagogia e interiorizza-
zione). Esse sono anche centrate sull’azione tra-
smettitiva e comunicativa mentre si deve prendere
molto sul serio la indicazione di Giovanni Paolo II
per il quale « tutte le vie della Chiesa conducono
all’uomo »22.

22
« L’uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere
personale e insieme del suo essere comunitario e sociale – nell’ambito
della propria famiglia, nell’ambito di società e di contesti tanto diversi,
nell’ambito della propria nazione, o popolo (e, forse, ancora solo del
clan, o tribù), nell’ambito di tutta l’umanità – quest’uomo è la prima

parrocchia, associazioni e... 183

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Queste indicazioni, se inserite nella pratica
pastorale la rendono missionaria o evangelizzatri-
ce (come preferisce dire papa Francesco).

La responsabilità missionaria

Una qualche forma di rinnovamento missio-


nario della Chiesa locale si aveva avuto già con la
pratica di NE della Mission de France23. Questa si
indirizzò verso il recupero della proposta evange-
lica o conversione, in dialogo con la cultura opera-
ia, la personalizzazione della relazione pastorale e
il decentramento delle forme di vita comunitaria.
A questa « conversione missionaria » si devono
collegare le trasformazioni della parrocchia degli
anni ’60, culminate nella visione di parrocchia co-
munitaria, come integrazione del principio parroc-
chiale, proprio di K. Klostermann e di K. Rahner24.

strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione:
egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo
stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’incarna-
zione e della Redenzione »; cfr. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis,
4 marzo 1979, n. 14.
23 Ricordiamo a questo proposito le indicazioni di H. Godin - Y.

Daniel, La France, Pays de mission?, Les Editions de l’Abeille [poi Cerf],


Paris 1943 [1950] analizzate in G. Michonneau, Paroisse communauté
missionnaire. Conclusions de cinq ans d’expérience en milieu populaire, Pa-
ris, Cerf 1945. Queste impostazioni risentono della riflessione di M.-D.
Chenu, Il vangelo nel tempo, Ave, Roma 1968 [orig. 1964].
24
K. Rahner, Trasformazione strutturale della chiesa come
compito e come chance, Queriniana, Brescia 1973 [orig. 1972]; F. Klo-
stermann, Chiesa: evento e istituzione. Riflessioni sulla problematica del
potere e dell’istituzione nella Chiesa, Cittadella, Assisi 1976; cfr. anche
F. Klostermann - N. Greinacher - A. Muller - R. Volkl, La chiesa locale.

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Posizioni che si unirono al rinnovamento della
pastorale di insieme o di ambiente.
Nel postconcilio italiano non si seguirono
queste indicazioni se non in piccola misura, anzi
crearono molta apprensione25. Il rinnovamento
missionario delle parrocchie italiane fu guidato da
Evangelizzazione e sacramenti (nn. 83-84), il primo
e più incisivo piano pastorale della Chiesa italiana.
Il documento proponeva la trasformazione della
parrocchia da « stazione di servizio » a « comunità
parrocchiale » con percorsi o itinerari catecumena-
li in stile di catechesi permanente. Le innovazioni
principali quindi si riferiscono al servizio catechi-
stico: il rinnovamento kerigmatico-antropologico
del sistema formativo; ma vanno ricordati anche la
riforma dei libri liturgici; l’introduzione della ec-
clesiologia di comunione e partecipazione; lo svi-
luppo delle ministerialità laicali.
Troppo spesso questa offerta formativa vie-
ne limitata a un generico invito alla partecipazio-
ne della vita parrocchiale per centrare la sua at-
tenzione sulla spiegazione (a volte solo rituale)
dei sacramenti. Non c’è ancora consenso sul ri-
pensamento di questi momenti pastorali in chiave

Diocesi, parrocchie, gruppi comunitari, Herder - Morcelliana, Roma -


Brescia 1973 [orig. 1968].
25
Una indagine approfondita sui modelli di parrocchia è stata
realizzata da F.R. Romersa, Il rinnovamento della parrocchia nella Chiesa
italiana dal Concilio ad oggi, Pontificia Università Lateranense-Mursia,
Roma 2000; una visione critica di presunte innovazioni si trova in L.
Meddi, Nuova immagine di parrocchia? in che senso?, in Orientamenti
Pastorali parrocchia/modelli (2001) 49,5, 39-47.

parrocchia, associazioni e... 185

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di NE. Tuttavia non vanno disprezzati. Essi rap-
presentano ancora uno degli accessi più « popola-
ri » della pastorale italiana.
Le parrocchie non hanno approfittato di que-
sta ricchezza con la conseguenza di permanere
nella visione di vita cristiana come sola sacramen-
talità e, al contrario, rendendo faticoso l’inseri-
mento e radicamento nel territorio delle esperien-
ze associative. Permane strutturale, quindi, la
separazione tra momento formativo-iniziatico ed
esercizio della vita cristiana26.
Una seconda tappa di rinnovamento preve-
deva la riarticolazione del tessuto delle comunità
(cfr. CL 34) nella prospettiva della comunionalità.
Tuttavia le intenzioni di Comunione e Comunità del
1981 non andarono oltre la riflessione sulla spiri-
tualità di comunione. A tale prospettiva, infatti,
non fecero seguito le conversioni necessarie. Esse
avrebbero dovuto riguardare lo stile comunicativo
e quindi decisionale per dare vero impulso all’a-
zione missionaria attraverso il ruolo dei Consigli
pastorali. Dovevano riguardare la crescita nella
comunionalità intesa come costruzione di relazio-
ni interpersonali stabili, attraverso la riarticolazio-
ne delle parrocchie in comunità di comunità. In-
fine non decollò la riflessione sulla struttura
vertebrale delle parrocchie ovvero la riconsidera-
zione della ministerialità laicale.

26
L. Meddi, Formare cristiani adulti. Desiderio e competenza del
parroco, Cittadella, Assisi 2013, pp. 52-59.

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In buona sostanza la parrocchia ebbe paura
di approfondire le esperienze di rinnovamento
proprie degli anni ’70 condannandosi inevitabil-
mente a essere troppo poco agenzia missionaria e
troppo legata alla funzione di socializzazione re-
ligiosa. In modo particolare i vescovi e i parroci
ebbero timore delle derive critiche dei gruppi o
comunità di base interne alle parrocchie.
Dobbiamo riconoscere che la parrocchia
entra in crisi per motivi sociologici e culturali, ma
soprattutto per il permanere in un modello mis-
sionario inadeguato. La crisi delle parrocchie de-
riva infatti dal fatto che non offrono ai loro adulti
un momento formativo. Una offerta adeguata nel
momento delle scelte e della progettazione di sé;
come vera iniziazione alla missione e correspon-
sabilità della Chiesa. Una formazione mistagogica
come avviene nella vita dei religiosi (persone
consacrate) e nei nuovi movimenti religiosi.
Anche le associazioni, già prima del Conci-
lio avevano indicato la via della formazione e
dell’accompagnamento dei battezzati nell’esercizio
della vita cristiana, sia nel momento della matu-
razione della fede che della testimonianza nella
vita professionale e lavorativa. Alcune di esse27
hanno rielaborato i loro percorsi insistendo so-
prattutto sulla dimensione biblica e l’abilitazione

27
Per una ricostruzione della ricchezza delle Associazioni vedi:
Pontificio Consiglio per i laici, Associazioni internazionali dei fedeli.
repertorio, LEV, Città del Vaticano 2004.

parrocchia, associazioni e... 187

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alla vita dei tria munera come insegnava Lumen
Gentium. Le innovazioni principali che troviamo
in esse riguardano la responsabilità ministeriale
dei laici, il rapporto quotidiano con i territori e le
culture, l’appartenenza intesa come vita di comu-
nità. Una prospettiva di testimonianza e di inseri-
mento nella cultura del nostro tempo. Sul campo
della testimonianza come servizio il postconcilio
ha registrato una fioritura vastissima; le associa-
zioni che si dedicano al servizio agli ultimi indi-
cano da sole la preziosità dello slancio conciliare.
La missionarietà dei movimenti ha percorso
strade parallele28. L’innovazione principale è la
laicità della ministerialità a cui segue il decentra-
mento dei luoghi di vita cristiana. La globalità
della esperienza cristiana e quindi della testimo-
nianza ma anche dei percorsi formativi. La plura-
lità dei kerigma e delle « traduzioni spirituali »
dell’esperienza cristiana. La predisposizione a

28 Sono classiche le indagini di A. Favale (a cura di), Movimenti

ecclesiali contemporanei. Dimensioni storiche teologico-spirituali ed apo-


stoliche, LAS , Roma 1982 (riviste ampliate nei suoi Comunità nuove nella
Chiesa, Emp, Padova 2003, e Segni di vitalità nella Chiesa. Movimenti e
muove comunità, Las, Roma 2009) e di J. Castellano, Carismi per il terzo
millennio. I movimenti ecclesiali e le nuove comunità, Edizioni Ocd, Roma
2001; segnalo anche S. Barlone - L. Marconi - V. Martano - L. Negri - G.
Salatiello - A. Sgariglia - F.J. Sotil Baylos, Oltre laicismo e clericalismo.
Il cristiano adulto, Chirico, Napoli 2002; M. Impagliazzo, Movimenti e
nuove comunità, in Id. (a cura di), La nazione cattolica. Chiesa e società
in Italia dal 1958 a oggi, Guerini e Associati, Milano 2004, pp. 251-264;
L. Caimi (a cura di), Spiritualità dei movimenti giovanili, Studium, Roma
2005. Per la ricostruzione storica F. Gonzalez Fernandez, I movimenti.
Dalla Chiesa degli apostoli a oggi, BUR, Milano 2000 [orig. 1999]; per
la impostazione critica cfr. J. Castellano, I movimenti ecclesiali. Criteri
di discernimento, in N. Ciola (a cura di), Servire Ecclesiae. Miscellanea in
onore di Mons. Pino Scabini, EDB, Bologna 1998, pp. 603-619.

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proporre e coinvolgere i già-cristiani; l’uso dei
nuovi media. Si deve quindi sottolineare che la
maggior parte delle innovazioni sono centrate
sulla dimensione del soggetto della esperienza
cristiana (dimensione carismatica, affettiva e rela-
zionale).
Bisogna anche ricordare che il loro succes­
so è legato ad alcuni « privilegi ». Innanzitutto la
ministerialità centrata non più sul parroco ma
sulla carismaticità dei catechisti laici. Questo ha
un peso notevole soprattutto nella situazione di
discontinuità missionaria creata dal cambio di
guida della comunità29. In secondo luogo la pos-
sibilità di non farsi carico della pastorale genera-
lista ha permesso l’offerta di percorsi basati sulla
libera richiesta di crescita di fede. In terzo, e de-
cisivo, luogo la possibilità di presentare l’annun-
cio e la vita cristiana secondo una personalizza-
zione carismatica, una spiritualità, che appare più
convincente e vicina ai diversi bisogni religiosi
delle persone.
Questo ha permesso una incisività nuova
alla missione che si configura come un ardore
nuovo derivato da un messaggio nuovo. Al contra-
rio, le parrocchie appaiono il luogo del già cono-
sciuto e dell’annuncio missionario già scontato.
Le recenti discussioni sui soggetti della NE sem-
brano marginalizzare le parrocchie a cui, dalla

29
L. Meddi, La parrocchia cambia parroco. Una risorsa per la
pastorale, Cittadella, Assisi 2012.

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lettura anche dei documenti italiani, appare esse-
re affidato l’incarico di occuparsi degli adulti solo
come primo livello di formazione. Un incarico
teso a rafforzare la loro appartenenza religiosa e
mantenere il loro impegno nella trasmissione
della fede.

Fragilità e dispersione
della conversione missionaria

Circa il tema della innovazione delle finalità


si deve riconoscere che permane prevalente quel-
la sacramentale, ovvero che il centro dell’offerta
cristiana sia nella questione redentiva propria di
una interpretazione semplificata di mistero pa-
squale. Le parrocchie hanno maggiormente illu-
strato questa visione con il linguaggio biblico, ma
la loro pastorale rimane legata al modello dell’of-
ferta che rimanda a una pratica individuale. I
movimenti, invece, hanno seguito la via di una
maggiore esperienzialità comunionale e affettiva.
Sia il momento della auto-evangelizzazione che
della conversione e soprattutto della mistagogia e
servizio missionario, sono vissuti e realizzati in-
sieme come soggetto comune.
Collegato al tema delle finalità della missio-
ne si può individuare anche la differenza di posi-
zione verso la cultura e la storia. Le parrocchie non
hanno una posizione culturale e non avvertono il
peso della dimensione interpretativa della realtà

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come importante per l’azione missionaria. La cul-
tura parrocchiale è infatti prevalentemente una
cultura religiosa e sacramentale-liturgica. Il tema
della responsabilità della storia rimane estranea a
queste istituzioni mentre è più presente nella vita
e progettualità delle associazioni laicali. Sembrano
essere queste espressioni diocesane, infatti, a farsi
carico del rapporto Chiesa-mondo. Sia sul piano
culturale attraverso la pratica della mediazione
culturale, sia sul piano della costruzione di luoghi
di servizio alla marginalità. Esse, le Associazioni,
si sono lasciate fecondare dalla mistica della Let-
tera a Diogneto molto presente nelle presentazioni
o nei progetti. I Movimenti, invece, troppo spesso
si pensano come portatori di una opposizione
culturale alla modernità, separando la carità dalla
ricerca della giustizia e riprendendo più il model-
lo del monastero che deve dissodare la desertifi-
cazione dei campi o del fortino posto a difesa
della cultura cristiana nei confronti di nuove on-
date di barbari. Queste esperienze religiose espri-
mono maggiormente una pratica di opposizione
alla cultura; la intendono non come via che con-
tiene la presenza dello Spirito, ma piuttosto come
luogo dove scoprire i semina Verbi. La prima visio-
ne missionaria porta alla pratica della condivisio-
ne e collaborazione (inculturazione del Vangelo);
la seconda alla purificazione, cristianizzazione e
sostituzione (evangelizzazione della cultura).
Fino all’uso spregiudicato della economia, della
politica e della psicologia di massa.

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Circa il tema della comunionalità, della re-
sponsabilità laicale della missione e della condi-
visione della esperienza cristiana, si manifesta
invece la maggiore distinzione. Le parrocchie
sono riuscite solo a trasformarsi in termini di
« comunità parrocchiale » intendendo con questa
espressione la riorganizzazione delle attività in
termini di Gruppi di servizio pastorale, ma senza
una vera soggettivazione delle rispettive comuni-
tà. Esse rimangono passive nei confronti del par-
roco; quasi esecutori della sua visione di fede. Lo
sviluppo della soggettività e delle ministerialità è
invece il punto di forza sia delle Associazioni che
dei Movimenti. Certamente le differenze di « ge-
stione » sono notevoli. Le prime adottano il mo-
dello ministeriale che permette un maggiore ac-
cesso alla responsabilità e un pluralismo di
prospettive al loro interno. I secondi preferiscono
il modello leaderistico o della piccola segreteria
decisionale che permette una maggiore decisiona-
lità missionaria, una maggiore compattezza e ri-
sultati di azione. Ma contiene dentro di sé il ri-
schio di una nuova formalizzazione nei passaggi
generazionali e/o di nuove forme di gerarchizza-
zione ecclesiale.
Tutto questo si riflette nella individuazione
del kerigma o nucleo centrale della pastorale di
Primo Annuncio che le diverse istituzioni missio-
narie preferiscono. Prima ancora degli studiosi,
infatti, sono stati i diversi gruppi a scoprire che il
kerigma non è così monolitico come possiamo

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pensare e che ciascuno può assumere dal NT l’in-
terpretazione dell’evento cristologico che più ri-
tiene a lui vicino. Nonostante le pressioni dei
documenti affinché l’unità del kerigma sia centra-
to nella visione post-pasquale e paolina, cioè alla
visione redentiva della esperienza pasquale30,
sono molte le sfumature interpretative che hanno
generato pratiche spirituali e missionarie differen-
ti. Le Associazioni sembrano privilegiare le inter-
pretazioni dell’annuncio portate dai Sinottici e
soprattutto la visione formativa del Vangelo di
Matteo e il « cammino » lucano31, ma alcune di
esse privilegiano chiaramente il kerigma pre-pa-
squale dell’annuncio messianico sia nella forma
della predica di Nazaret (cfr. Lc 4) sia nei conte-
nuti delle missioni pre-pasquali dei discepoli.
La missionarietà dei soggetti diocesani ita-
liani si è quindi disgiunta e si collega a paradigmi
molto differenti. Nei confronti del « ritorno del
religioso » questo non è necessariamente un segno

30 Questa è anche la scelta decisa di K. Argüello, Il Kerigma.

Nelle baracche con i poveri. Un’esperienza di Nuova Evangelizzazione: la


missio ad gentes, San Paolo, Cinisiello Balsamo (MI) 2013.
31 Occorre studiare la lettura che le Associazioni fanno di alcuni

autori tra cui il cardinale Martini: M. Vergottini (a cura di), Affinchè la


Parola corra. I verbi di Martini, Centro Ambrosiano, Milano 2007; C.M.
Martini, Il brivido santo della vostra fede. Protagonisti e metodi della
nuova evangelizzazione, Centro Ambrosiano-LDC, Milano-Leumann-
Torino 2005; D. Modena-V. Pontiggia (a cura di), Le ragioni del credere.
Scritti e interventi, Mondadori, Milano 2012; alla cui base credo si possa
mettere Iniziazione cristiana e teologia fondamentale. Riflessione sulle
tappe della maturità cristiana, in R. Latourelle-G. O’Collins (a cura di),
Problemi e prospettive di Teologia Fondamentale, Queriniana, Brescia
1980, pp. 85-91.

parrocchia, associazioni e... 193

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di debolezza ma crea certamente incertezza per il
futuro del cristianesimo.

4. La parrocchia missionaria in Italia


e le innovazioni necessarie

Prendo spunto da queste riflessioni per for-


mulare alcune considerazioni sulla possibilità di
un futuro missionario della parrocchia italiana.

Una debolissima riflessione


su parrocchia missionaria

Non sono mancate riflessioni sulla realtà


della parrocchia. Esse hanno affrontato il versan-
te teologico, della sua collocazione nella diocesi,
quello sociologico, della trasformazione o conver-
sione missionaria. Mi preme qui ricordare le ri-
flessioni dedicate alla configurazione della parroc-
chia come istituzione. Diversi autori hanno
riflettuto sul cambio o riconfigurazione del volto
parrocchiale. A. Mazzoleni32 lo affermava già nel

32 A. Mazzoleni, L’evangelizzazione nella comunità parrocchiale,

Roma, EP, 1975; cfr. il suo Le strutture comunitarie della nuova parrocchia,
EP, Roma 1973. Sul rinnovamento strutturale della parrocchia nella
prospettiva comunionale e missionaria si devono ricordare anche due
progetti: J.B. Cappellaro - G. Liut - L. Canesso - F. Cossu - J. McNaab,
Da massa a popolo. Progetto pastorale, Cittadella, Assisi 1981; e A. Fal-
lico, Parrocchia missionaria nel quartiere. Come rinnovare la parrocchia
in « comunità di comunità »: il ruolo delle comunità ecclesiali di base,
Chiesa-Mondo, Catania 1987.

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1975: « La sua vitalità ed efficienza vanno misu-
rate dalla capacità di inserirsi nell’attuale muta-
mento sociale come cellula viva della fede, luogo
di culto della comunità, centro di comunione e di
dinamismo missionario » (p. 7).
Il compito di collegare la missionarietà del-
la parrocchia alla realizzazione della sua soggetti-
vazione viene ripreso dai commentatori del Codi-
ce del 198333, ma il tema non ha seguito la linea
della soggettivazione dei ruoli34. Tema, questo,
che porterebbe alla assunzione di una vera strut-
tura di ministeri missionari nella parrocchia; sia
nella linea più forte della comunità ministeriale o
pastorale35, sia in quella più tradizionale del coo-
peratore laico della pastorale36. La riflessione e la
sperimentazione ha seguito invece la via più in-

33
Ricordo alcune riflessioni: S. Dianich, La teologia della parroc-
chia, in Aa.vv., Parrocchia e pastorale parrocchiale. Storia teologia e linee
pastorali, EDB, Bologna 1986, pp. 57-103; F. Coccopalmerio, Il concetto
di parrocchia, in Aa.vv., La parrocchia e le sue strutture, EDB, Bologna
1987, pp. 29-82; A. Borras, La parrocchia. Diritto canonico e prospettive
pastorali, EDB, Bologna 1997; F. Coccopalmerio, La Parrocchia. Tra
Concilio Vaticano II e Codice di Diritto Canonico, San Paolo, Cinisello
Balsamo (MI) 2000.
34 Anzi fortemente relativizzata come testimonia efficacemente

A. Montan, Incarichi, uffici, ministeri laicali nelle comunità ecclesiali:


parrocchie, unità pastorali, diocesi, in N. Ciola (a cura di), Servire Eccle-
siae, cit. pp. 555-578.
35 P. Vanzan-A. Auletta, La parrocchia per la nuova evangelizza-

zione: tra corresponsabilità e partecipazione, Ave, Roma 1998; Arcidiocesi


di Milano-Commissione Arcivescovile per la pastorale di insieme e le
nuove figure di ministerialità, La Comunità Pastorale, Centro Ambro-
siano, Milano 2009; L. Tonello, Il « gruppo ministeriale » parrocchiale,
Emp, Padova 2008.
36
Tra gli altri: Diocesi di Vicenza, Laici e ministeri ecclesiali,
1997; L. Soravito, I cooperatori parrocchiali religiosi e laici, in Orientamen-
ti Pastorali (1999) 47, 7, 88-93; W. Egger, Regolamento per gli « assistenti
pastorali », in Orientamenti Pastorali (2003) 51,12, 63-68.

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certa della riarticolazione della responsabilità del
parroco. Così infatti viene a essere interpretata la
stagione delle Unità Pastorali37. Troppo spesso,
inoltre, non si vuole collegare i due temi: si tratta
infatti di ripensare la ministerialità più che ridefi-
nire il ruolo del parroco38. Senza questa forte
considerazione del compito di soggettivazione
ministeriale difficilmente avremo una cultura mis-
sionaria forte della parrocchia. Inoltre si rendono
incerte le trasformazioni o innovazioni pastorali
proposte in molte riflessioni del primo decennio
del nostro secolo.
Una ricognizione simile andrebbe compiuta
sul tema del compito della parrocchia. Sono molti
infatti gli autori che appena dopo il Concilio hanno
confuso la fine del principio parrocchiale39 con la
fine della parrocchia. Inoltre l’analisi delle pubbli-
cazioni mostra la difficoltà a sostituire il compito
sacramentale con compiti più missionari. La ripe-
tizione continua di autori e documenti sul ruolo
insostituibile della parrocchia come prima localiz-

37 Cito soltanto G. Villata, Le unità pastorali a dieci anni dalle

prime esperienze. Lettura delle esperienze in atto, in Orientamenti Pastorali


(2003) 51,6-7, 6-26.
38 K. Nientiedt, Nuove parrocchie o nuovi ministeri? Pastorale e

territorio. Tra parrocchie e unità pastorali, in Il Regno (1999) 44,835,18,


632-634. In questa prospettiva va anche, mi sembra, G. Villata, Orien-
tamenti del futuro. Nuove forme di comunità fra parrocchie, Editrice
Esperienze, Fossano 2010.
39
Tra questi J. Homeyer, Il rinnovamento della parrocchia. Som-
mario bibliografico, in H. Rahner (a cura), La parrocchia. Dalla teologia
alla prassi, EP, Roma 1963 [1956], pp. 187-221; K. Rahner, Pacifiche
considerazioni sul principio parrocchiale, in id., in Saggi sulla Chiesa, EP,
Roma 1966; D. Hervieu-Léger, Verso un nuovo cristianesimo? Introduzione
alla sociologia del cristianesimo occidentale, Queriniana, Brescia 1989.

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zazione della Chiesa e di universale accesso alla
Chiesa-sacramento di salvezza suscita diversi pro-
blemi. Oltre l’incertezza teologica che l’espressione
porta con sé, si deve considerare che quasi inevita-
bilmente l’espressione viene considerata come ta-
cita distinzione di compiti: la parrocchia si occupa
della socializzazione religiosa mentre Associazioni
e Movimenti possono occuparsi della formazione
missionaria dei loro appartenenti. Peraltro è questa
la conclusione a cui sta portando l’attuale sistema
di cambio della guida di comunità40.
Non si può affermare che i documenti della
Conferenza Episcopale Italiana non abbiamo of-
ferto indicazioni sulle questioni indicate; tuttavia
si deve riconoscere che esse furono incerte e so-
prattutto non indicavano direzioni pratiche pos-
sibili. Si deve anche constatare che esse progres-
sivamente si limitarono a indicare la necessità
della conversione pastorale e missionaria senza
indagare le condizioni strutturali. Come dire:
senza individuare il/i soggetti della loro attuazio-
ne. Questo è anche il limite della riflessione del
documento dei vescovi sulla parrocchia di cui
celebriamo il decennale41.
Il documento introduceva nella pastorale il
modello catecumenale: il primo annuncio del
Vangelo (n. 6), l’itinerario di iniziazione cristiana,

40
L. Meddi, La parrocchia cambia parroco. Una risorsa per la
pastorale, Cittadella, Assisi 2012.
41
Conferenza Episcopale Italiana, Il volto missionario delle
parrocchie in un mondo che cambia. Nota Pastorale, 30 maggio 2004.

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sia ai fanciulli che agli adulti (n. 7), l’esperienza
eucaristica della parrocchia nel giorno del Signo-
re (n. 8), la necessità di farsi carico della situazio-
ne degli adulti, con particolare attenzione agli
affetti – e quindi soprattutto alla famiglia –, al
lavoro e al riposo (n. 9), offrivano indicazioni in
ordine all’impegno caritativo, sociale e culturale
(n. 10), si richiedeva la « pastorale integrata »:
nella diocesi, tra le parrocchie – con riferimento
anche alle unità pastorali –, con le altre realtà
ecclesiali (n. 11), indicava come protagonisti del-
la missione nella parrocchia: i sacerdoti, il parro-
co anzitutto, i diaconi, i religiosi e le religiose, i
laici (n. 12); ricordava gli atteggiamenti di fondo
per fare della parrocchia una casa che sia imma-
gine della « dimora di Dio tra gli uomini » (n. 13).
Queste innovazioni soffrono di alcuni limi-
ti decisivi e strutturali. Se, infatti, non si ha il
coraggio di coniugare la innovazione pastorale
con il cammino missiologico descritto, se non si
chiarisce il modello di NE, se non si definisce il
nodo della ministerialità, le innovazioni rimango-
no in realtà rafforzamenti del modello precedente.
Senza questo stretto rapporto tra teologia e
pratica pastorale, la finalità del « progetto parroc-
chiale » permane dentro il modello tridentino
della missione post-pasquale centrata sulla dimen-
sione liturgico-sacramentale; non trova adeguata
formulazione il compito di servizio al regno di
Dio; la cultura è vista come nemica e non come
via; la ministerialità laicale oscilla tra partecipa-

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zione e corresponsabilità; all’ecclesiogenesi (co-
munità di base) si preferisce l’ecclesiocentrismo;
mentre le forme di annuncio e di formazione ri-
mangono centrate sulla trasmissione della tradi-
zione e non sulla persona.

Le (future) innovazioni necessarie

Mi permetto di indicare alcuni orizzonti per


una riqualificazione del potenziale missionario
della parrocchia che tenga conto delle esperienze
carismatiche ma senza identificarsi con esse42.
Questi sono espressi come compiti da realizzare
nella pratica pastorale:
1. L’edificazione del soggetto comunitario at-
traverso la « comunità ministeriale ». La definizione
di parrocchia « comunità di fedeli » (codice 1983)
porta a « comunità soggetto » della propria mis-
sione e a « comunità di comunità » (EG 28). Ma
chiede una maggiore esplorazione della definizio-
ne del parroco come « pastore proprio » e mode-
ratore della pastorale. La soggettività si deve espri-
mere soprattutto nella progettazione, nel cambio
di guida, nella rappresentanza verso il territorio.

42
Una fondazione teorica si trova in L. Meddi, La forma missio-
naria della Chiesa. Istanze dalla prassi pastorale, in C. Aiosa - G. Giorgio
(a cura di), Credo la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, EDB,
Bologna 2011, pp. 71-111; per il loro ripensamento operativo cfr. L.
Meddi, Compiti e Pratiche di Nuova Evangelizzazione, in C. Dotolo - L.
Meddi, Evangelizzare la vita cristiana. Teologia e Pratiche di Nuova Evan-
gelizzazione, Cittadella, Assisi 2012, pp. 79-150.

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Questo rinnova il compito di far funzionare i
Consigli di corresponsabilità e/o partecipazione
attorno alla pratica di « progetto pastorale ». Per
la cui realizzazione si deve inoltre sviluppare una
qualche forma di « comunità ministeriale » che
raccoglie le diverse responsabilità in una forma di
vita condivisa, come la prima delle comunità.
2. Discernere la vocazione della comunità
parrocchiale. La soggettività si svela nella redazio-
ne del « progetto pastorale parrocchiale »: docu-
mento che delinea la definizione dei compiti,
delle vie e strategie più adatte, la descrizione
della ministerialità necessaria. Ma per progettare
se stessa, la parrocchia ha bisogno di compiere il
discernimento sulla vocazione o compito salvifico
in un luogo. Questa responsabilità rimanda all’i-
dea di missione e porterà a progettazioni (compi-
ti e ministerialità) specifiche. È questo che rende
la comunità parrocchiale differente e identificata
nell’ambito della diocesi.
3. Sviluppare il volto relazionale e comunita-
rio. La « comune responsabilità » comporta una
nuova qualità della comunicazione e relazione
interpersonale. Chiede di rivedere: il sistema in-
formativo, il modello relazionale e il modello
decisionale che si usano all’interno della parroc-
chia. Si deve infatti applicare veramente il dettato
del sensus-consensus fidelium (LG 12) e il ruolo
della comunità nella progressione della compren-
sione della fede (DV 8). Si devono introdurre
quindi pratiche di « collegialità » e non solo di

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« sinodalità ». A livello pratico comporta ripensa-
re la pastorale e la vita cristiana in modo che
permettano la relazione tra i membri e la assun-
zione di responsabilità locali. La via sperimentata
è quella delle piccole comunità, della dinamica dei
gruppi attraverso i diversi « progetti di comunità
di comunità ».
4. Sviluppare la ministerialità. La ministeria-
lità dell’intero popolo di Dio è la testimonianza,
la appartenenza e la partecipazione. Accanto alle
ministerialità (ministero ordinato, catechisti, ani-
matori liturgici e della carità), nascono ministeri
che derivano dai nuovi compiti missionari: ani-
matore di comunità, evangelizzatori, operatori
della Caritas e animatori culturali. Ma soprattutto
occorre passare alla logica della ministerialità
adatta alla vocazione della propria comunità par-
rocchiale. È necessario che i ministeri nascano
dentro una esperienza comunitaria; che si tenga
conto del ruolo ma soprattutto delle competenze
e dei carismi; che la loro formazione sia adeguata
e legata a tali compiti. Il Parroco e il Consiglio
pastorale hanno come compito decisivo la pasto-
rale vocazionale e la riprogettazione dei ministeri
necessari.
5. Progettare la cura pastorale. Compresa la
vocazione messianica della propria comunità si
possono introdurre le trasformazioni pastorali
necessarie. Si deve superare la logica della « pasto-
rale fotocopia » passando dalla idea di pastorale
come esercizio di azioni pastorali (sia nella decli-

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nazione di tria munera sia nella prospettiva dei
quattro servizi: parola, liturgia, servizio, comunio-
ne) alla idea di pastorale come vocazione che ri-
sponde a bisogni salvifici in un luogo attraverso
le dimensioni della vita cristiana. Il programma
annuale, infatti, non si deve costruire sulle attivi-
tà o sull’anno liturgico, ma come risposta alla lista
degli obiettivi/compiti compresi attraverso il di-
scernimento pastorale. Per questo la parrocchia
deve avere una certa autonomia dalla diocesi.
6. Pastorale integrata cioè in sinergia. Il pro-
getto e le programmazioni realizzano i compiti
salvifici (missionari) attraverso la circolarità (in-
tegrazione e interazione) delle dimensioni pasto-
rali stesse. Questa operazione viene chiamata
« pastorale integrata ». Si devono integrare: le at-
tività (ripensate in riferimento ai bisogni salvifici);
i soggetti ecclesiali (ministeri e carismi già presen-
ti o da innovare); le progettazioni di ambiente o
vicariali (incluse le nuove forme missionarie); i
soggetti non ecclesiali (anche non credenti come
associazioni e agenzie che agiscono sul territorio).
Inoltre si deve integrare la proposta pastorale con
i dinamismi propri delle persone e dei gruppi
umani (i destinatari, che vanno compresi come
co-agenti, co-attori, cioè « soggetti »). In questo
modo il Consiglio pastorale svolge il suo compito
specifico.
7. Pratiche pastorali missionarie. Nella pa-
storale di NE si stanno introducendo azioni nuo-
ve o rinnovate, riorganizzate attorno a tre dimen-

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sioni portanti: ripresentare l’annuncio, realizzare
azioni iniziatiche e offrire percorsi formativi ade-
guati. Ognuna di queste « innovazioni » soffre
della ambiguità descritta precedentemente circa il
tema della « salvezza integrale » come compito
missionario, e della cultura come via e non come
limite.
 
• Il compito di Primo Annuncio (PA). Il PA
viene declinato in molti modi: trasmettere, comu-
nicare, proporre, pubblicizzare, difendere, spiega-
re, testimoniare, far desiderare, entusiasmare.
Anche l’oggetto del PA viene descritto in modi
plurali: la tradizione, la dottrina, il Vangelo, la vita
cristiana, la religione, la spiritualità… Una que-
stione da non sottovalutare è che nel nostro con-
testo il PA è sempre un post-annuncio, rivolto a chi
ha ascoltato e non è stato entusiasmato. È un
annuncio per un contesto post-cristiano, plurali-
sta e critico. Il kerigma non è solo quello redenti-
vo della 1Cor 15. Il PA chiede, quindi, un discer-
nimento nella linea della inculturazione della
fede, dell’ermeneutica del messaggio e dell’adat-
tamento dei linguaggi.
• Il rinnovamento della Iniziazione Cristiana
(IC). Il carattere iniziatico della pastorale non si
esaurisce con i progetti di IC dei ragazzi, ma chie-
de di realizzare in ogni momento e per ogni età
attività in cui si fa esperienza o esercizi di vita cri-
stiana. In un clima di forte comunionalità e liber-
tà-progressività di risposta.

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• Il rilancio della formazione cristiana. La
mistagogia dei giovani e adulti sarà il futuro della
NE, ma al momento è la grande assente. Il termi-
ne esprime un modello di catechesi post-battesi-
male centrato sulla sperimentazione della vita
cristiana. Si parla a giusto proposito di formazione
come apprendistato, in comunità di pratica, per
l’esercizio di vita cristiana, da realizzarsi nei luo-
ghi e insieme a chi già vive la vita cristiana.
• La pastorale missionaria comporta il rin-
novamento di ogni momento pastorale ma anche
di introdurre nuovi luoghi e attività. Tra questi
suggerisco: la missione popolare, la visita alla fa-
miglia, la catechesi familiare, i gruppi di adulti, le
missioni giovani a livello inter-parrocchiale.
 
 

204 luciano meddi

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


L’ANNUNCIO EVANGELICO
TRA OMELIA, CATECHESI
E MISTAGOGIA
Ubaldo Montisci
 

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


Ubaldo Montisci, catecheta salesiano, è docente di Teo­
logia dell’Educazione presso l’Università Pontificia Salesiana di
Roma, dove attualmente è Coordinatore del Dipartimento di
Pastorale giovanile e Catechetica. Collabora con alcune rivi­
ste catechetiche e pastorali. Tra le pubblicazioni più recenti:
G. Benzi - P. Dal Toso - U. Montisci (a cura di), Dodici ceste
piene... Mc 6,43. Catechesi e formazione cristiana degli adulti,
LDC, Leumann-Torino 2013.

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Nello studio di un qualsiasi documento
­– come si sa – è determinante l’approccio, l’atteg-
giamento con il quale ci si pone di fronte al testo,
in modo che le giuste precomprensioni non diven-
tino pregiudizi e falsifichino in qualche modo
l’esito della ricerca. Nel leggere la Evangelii Gau-
dium (EG) crediamo vadano considerati alcuni
elementi che possono aiutare a inquadrare il testo
e a valutarne la portata:
- Il taglio tipico delle Esortazioni apostoliche,
a differenza delle Encicliche, è eminentemente
pastorale: si evidenziano questioni rilevanti, ma
senza giungere subito a conclusioni definite. Anche
questa Esortazione, elaborata « per mostrare l’im-
portante incidenza pratica » degli argomenti affron-
tati (EG 18), si limita a offrire i contenuti alla ri-
flessione delle Chiese locali e degli esperti (EG 16);
- come è stato ben documentato, in questo
caso specifico si è di fronte a un testo che è « il
frutto maturo di una riflessione che Jorge Mario
Bergoglio porta avanti da molto tempo ed esprime
in maniera organica la sua visione dell’evangeliz-
zazione e della missione della Chiesa nel mondo

l’annuncio evangelico 207

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


contemporaneo »1. Ora, l’evidente « personalizza-
zione » offre caratteri di novità e freschezza al te-
sto, ma dice anche la prospettiva limitata della
riflessione, per quanto autorevole;
- è comunque, di fatto, il discorso program-
matico dell’attuale pontificato. Come osserva qual-
cuno, « il lungo testo proposto dal Papa come
Esortazione apostolica è un testamento. Difficil-
mente Francesco potrà scriverne un altro analogo.
Scriverà e dirà certamente molto altro. Ma sarà per
ribadire, approfondire, applicare. Qui c’è tutto
quello che egli intende dire alla Chiesa e a questo
tempo »2. Peraltro, nel documento non mancano
gli inviti ad applicare fattivamente le indicazioni
contenute nel suo messaggio (EG 25, 33); quindi
il testo si propone come « bussola » per orientare
le comunità cristiane e le sue indicazioni non pos-
sono essere trascurate o disattese a cuor leggero.

1. L’orizzonte della nuova evangelizzazione


e una comunità tutta missionaria

Il « sogno » di papa Francesco è una Chiesa


in « stato permanente di missione » (EG 15, 25,
27). Andando oltre il dibattito sul senso da attri-

1
Antonio Spadaro, « Evangelii gaudium ». Radici, struttura e
significato della prima Esortazione apostolica di Papa Francesco, in La
Civiltà Cattolica 164/IV (2013) 417-433; qui 419.
2
Gianfranco Brunelli, Una chiesa con la gioia del Vangelo: il cuore
del papato di Francesco, in Corriere della Sera (4.12.2013) 42.

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buire al concetto di « nuova evangelizzazione »,
egli afferma che « in realtà, ogni autentica azione
evangelizzatrice è sempre “nuova” » (EG 11). La
nuova evangelizzazione è un’azione che si rivolge
primariamente alle stesse comunità cristiane e,
come viene ricordato, classicamente gli ambiti in
cui si realizza sono tre: la pastorale ordinaria,
orientata alla crescita dei credenti; l’attività con le
persone battezzate che però non vivono le esigenze
del Battesimo, affinché vivano una conversione che
le aiuti a riscoprire la gioia della fede e a impe-
gnarsi con il Vangelo; l’attenzione a coloro che non
conoscono Cristo e lo hanno sempre rifiutato, che
hanno il diritto di ricevere il Vangelo (EG 14).
Nello stesso tempo, però, non va persa la tensione
per l’annuncio, compito primo e massima sfida per
la Chiesa (EG 15).
Nel III capitolo – quello che ci interessa più
da vicino – si ricorda innanzitutto che il soggetto
dell’azione evangelizzatrice è l’intera comunità
cristiana: « Tutto il popolo di Dio annuncia il Van-
gelo » (EG 111-134). È una comunità dai mol­
teplici volti perché radicata in culture differenti,
la cui irriducibilità all’uno va accettata e accol­
ta come risorsa; in essa ogni battezzato è un di-
scepolo missionario, protagonista nell’azione
evangelizzatrice, che viene arricchita dal dono dei
carismi e dall’apporto di una teologia che sa avva-
lersi del contributo delle scienze dell’uomo.
Segue l’elenco di una serie di attività fina-
lizzate all’impegno evangelizzatore. Non ci soffer-

l’annuncio evangelico 209

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


miamo qui sulle prime, per quanto rilevanti: la
relazione da persona a persona e la pietà popolare;
ma proponiamo le nostre riflessioni su come l’o-
melia, la catechesi e la mistagogia siano presenta-
te nel documento.

2. Riferimenti all’omelia, catechesi e mistagogia


nel contesto del XIII Sinodo dei Vescovi

La tematica è vasta e richiede competenze


in diversi ambiti. Noi qui, tentiamo semplicemen-
te di mettere in luce l’originalità della sintesi di
papa Francesco, in riferimento soprattutto alla
riflessione elaborata nel contesto del XIII Sinodo
dei Vescovi, di elencare gli elementi qualificanti
in ciascuna di queste forme di annuncio, di indi-
viduare i punti di forza della proposta del Ponte-
fice e quegli aspetti bisognosi forse di ulteriore
ponderazione.

Omelia

È sicuramente la parte in cui appaiono di


più le convinzioni personali di papa Francesco. A
questa forma del ministero della Parola, infatti, era
stato dato uno spazio assai ridotto nell’insieme dei
lavori del Sinodo.

210 ubaldo montisci

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L’omelia nei lavori sinodali

Nei Lineamenta si era accennato all’omelia


come a una delle modalità ecclesiali di educazione
permanente della fede per alimentare il dono del-
la comunione nei fedeli (n. 12); richiamando la
necessità di una maggiore consapevolezza del
ruolo e potenza della parola di Dio, si denunciava
il « bisogno di una maggiore cura della proclama-
zione della parola di Dio nelle assemblee liturgi-
che e una dedizione più convinta al compito
della predicazione » (n. 13).
L’Instrumentum laboris affronta il tema in
tutt’altra prospettiva: riferendosi alla scarsezza di
Primo Annuncio nella vita quotidiana, il docu-
mento osserva che il Primo Annuncio può trova-
re spazio nelle pratiche ordinarie delle comunità
e, tra queste, viene indicata al primo posto la
predicazione (n. 142). Il concetto viene richiama-
to nel numero successivo: « Quanto alla predica-
zione, anzitutto l’omelia domenicale e anche le
tante forme di predicazione straordinaria (missio-
ni popolari, novene, omelie in occasione di fune-
rali, battesimi, matrimoni, feste) sono davvero
strumento privilegiato di primo annuncio » (n.
143). E, dopo aver ribadito la necessità di un’ac-
curata preparazione, si elencano alcune caratteri-
stiche che devono possedere l’omelia e le altre
forme di predicazione: occorre fare attenzione « al
cuore del messaggio che si vuole trasmettere, al
carattere cristologico che devono avere, all’uso di

l’annuncio evangelico 211

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


un linguaggio che susciti l’ascolto e abbia come
obiettivo la conversione dell’assemblea » (n. 143).
L’argomento non trova spazio nel Messaggio
al popolo di Dio, mentre è ripreso tra le Proposi-
zioni finali, là dove si presenta il rapporto tra la
nuova evangelizzazione e la lettura orante del­la
Bibbia: « La Scrittura deve permeare omelie, ca-
techesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede »
(n. 11).

L’omelia nella Evangelii Gaudium

Di ben altro tenore è il valore che il Papa


attribuisce alla predicazione e ciò giustifica la
« meticolosità » con cui Francesco ha inteso trat-
tare l’argomento nell’Esortazione (EG 135). Non
può essere diversamente, se l’omelia costituisce il
« metro » con cui verificare la qualità relazionale
e la fecondità pastorale di un Pastore (n. 135).
Proprio su quest’aspetto, invece, emergono le
sofferenze dei fedeli (ma anche dei presbiteri) e
piovono non poche e fondate critiche. Sembra che
nella pratica raramente l’omelia sia ciò che do-
vrebbe essere: « Un’intensa e felice esperienza
dello Spirito, un confortante incontro con la Pa-
rola, una fonte costante di rinnovamento e di
crescita » (EG 135).
La riflessione del Pontefice è articolata in
due punti: l’omelia (EG 135-144) e la sua prepa-
razione (EG 145-159). Il contesto liturgico in cui

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si esplica, rende l’omelia « un genere peculiare »
(EG 138), differente dalla meditazione, dalla ca-
techesi, dalla lezione (anche esegetica), dalla con-
ferenza; la proclamazione liturgica della parola di
Dio è « il dialogo di Dio con il suo popolo, dialogo
in cui vengono proclamate le meraviglie della
salvezza e riproposte le esigenze dell’Alleanza »
(EG 137). Nella liturgia, la predicazione « viene
incorporata come parte dell’offerta che si conse-
gna al Padre e come mediazione della grazia che
Cristo effonde nella celebrazione » (EG 138).
Nel testo è enfatizzata la categoria del dia-
logo: è Dio che vuol mettersi in comunicazione
con il suo popolo e, in ciò, si avvale dell’azione
del predicatore. Il Papa sottolinea l’importanza
delle relazioni interpersonali tra il predicatore e il
popolo e con Dio: dalla loro qualità dipende in
gran parte l’efficacia dell’omelia. Quanto al conte-
nuto della predicazione, Francesco ricorda che
« un dialogo è molto più che la comunicazione
della verità. […] Nell’omelia, la verità si accom-
pagna alla bellezza e al bene » (EG 142).
Il punto di arrivo – che è anche « la » sfida
(EG 143) – è una predica inculturata. La predica
cristiana « trova nel cuore della cultura del popo-
lo una fonte d’acqua viva, sia per sapere che cosa
si deve dire, sia per trovare il modo appropriato di
dirlo » (EG 139). Per raggiungere questo risultato
va realizzato un clima « materno-ecclesiale » (EG
139-140), al quale contribuiscono non solo « la
vicinanza cordiale del predicatore, il calore del suo

l’annuncio evangelico 213

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tono di voce, la mansuetudine dello stile delle sue
frasi, la gioia dei suoi gesti » (EG 140), ma soprat-
tutto la « capacità di trasmettere la sintesi del
messaggio evangelico, e non idee o valori slegati »
(EG 143). L’eccessivo protagonismo personale e
la lunghezza oscurano il significato dell’omelia e
ne compromettono seriamente l’efficacia.
Ampio spazio viene pure riservato alle indi-
cazioni per la preparazione dell’omelia, « un com-
pito così importante che conviene dedicarle un
tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione
e creatività personale », un appuntamento setti-
manale, personale e comunitario, da non omette-
re (EG 145).
Il Papa propone un vero e proprio itinerario
per la preparazione dell’omelia: dopo l’invocazio-
ne dello Spirito Santo, l’attenzione va posta al te-
sto biblico, fondamento della predicazione: con
dedizione gratuita e prolungata, il predicatore
cerca di comprendere il significato autentico delle
parole e di scoprire il messaggio principale, che
conferisce struttura e unità al testo, contestualiz-
zandolo all’interno dell’intera Bibbia; segue la
personalizzazione della Parola. Strumenti adegua-
ti in questo impegno di fedeltà alla Parola e alla
vita, sono la lectio divina e l’ascolto dei bisogni del
popolo concreto al quale si rivolge: « Un predica-
tore è un contemplativo della Parola e anche un
contemplativo del popolo » (EG 154).
Tra le indicazioni concrete per una buona
omelia (EG 156-159), il Papa elenca la brevità, il

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linguaggio delle immagini, più evocativo e coinvol-
gente di quello degli esempi, la semplicità unita alla
chiarezza, la proposta positiva che orienta alla
speranza. Francesco auspica che presbiteri, diaconi
e laici si ritrovino periodicamente insieme per aiu-
tarsi a migliorare la qualità dell’omelia (EG 159).

Una valutazione globale

Il Papa, con la sua sensibilità personale,


porta l’attenzione su questa tipica forma di annun-
cio della parola di Dio. Con il suo stile piano ri-
chiama valori fondamentali che rischiano oggi di
essere disattesi. La Sacrosanctum Concilium quali-
fica l’omelia come il momento culminante della
proclamazione della parola di Dio (SC 24) e come
vertice espressivo della predicazione del Vangelo
(SC 35) – che, come ricorda la Dei Verbum 7 è
l’impegno più importante della missione della
Chiesa –, perché la sua funzione principale è quel-
la di predisporre i fedeli alla comprensione della
parola di Dio che è stata proclamata (SC 51-52).
Sulla scia dei Pontefici precedenti3, anche France-
sco mette in guardia dall’incuria nei confronti di
questo fondamentale momento liturgico.
Francesco sottolinea due aspetti essenziali:
l’ascolto, che non conduce solo a comprendere

3
Si veda Giovanni Paolo II, Dies Domini 40; Benedetto XVI,
Sacramentum Caritatis 46, e Verbum Domini 59.

l’annuncio evangelico 215

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razionalmente la Parola ma a trasformare i cuori,
in quanto permette un incontro autentico con il
Signore; il dialogo interpersonale frequente tra
tutti gli attori implicati: Dio, il fedele, il predica-
tore, che rappresenta la condizione che rende
possibile la fecondità dell’omelia.
Il Papa propone uno « stile » – che lui stesso
applica con coerenza – scomodo per predicatori
dalla vita cristiana mediocre che si vedono provo-
cati a una maggiore « raffinatezza » spirituale, cosa
che influisce moralmente sull’efficacia dell’omelia
(EG 149) e che, in ogni caso, li espone al rischio
di essere qualificati come « disonesti e irresponsa-
bili per i doni che hanno ricevuto » (EG 145).
Forse poteva essere meglio evidenziato il
fatto che, dal punto di vista pastorale, l’omelia non
può più essere considerata come un momento
esclusivo di formazione permanente dei credenti4;
anzi, si rivela oggi uno strumento privilegiato di
Primo Annuncio perché riesce a raggiungere an-
che i lontani che, episodicamente, sono costretti
dalle diverse situazioni della vita a partecipare a
una celebrazione liturgica. Ciò influisce indubbia-
mente sulla preparazione e sullo stile della predi-
cazione.

4
In questa prospettiva sembra collocarsi il documento della
Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi, LEV,
Città del Vaticano 1997, n. 48.

216 ubaldo montisci

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La catechesi

La riflessione sulla catechesi risulta più im-


pegnativa, perché investe un ambito molto più
ampio. Anche qui, proporremo un percorso in tre
passi: lo sviluppo della riflessione sul tema nei
lavori sinodali e nell’Esortazione, e poi una sinte-
si conclusiva.

La catechesi nel contesto del Sinodo dei Vescovi

La catechesi, pur non essendo stata al centro


del Sinodo, ne è rimasta coinvolta in forza del co-
mune oggetto in gioco: la trasmissione della fede5.
Nei Lineamenta, si dà della catechesi una
definizione molto ampia: « Dal Sinodo sulla cate-
chesi in poi la catechesi ormai non è altro che il
processo di trasmissione del Vangelo, così come
la comunità cristiana lo ha ricevuto, lo compren-
de, lo celebra, lo vive e lo comunica » (n. 14).
In riferimento al processo evangelizzatore
della Chiesa, sono compresenti una concezione
« stretta » e una « ampia » di questa specifica fun-
zione ecclesiale: dopo aver individuato nella con-
versione il compito del primo annuncio, si dice

5
Per un primo accostamento al tema della catechesi nel Sinodo
si veda, ad esempio, Cesare Bissoli, Nuova evangelizzazione e catechesi.
Alla luce delle proposizioni sinodali, in Catechesi 82 (2012-2013) 4, 60-
71; Ubaldo Montisci, La catequesis en la Nueva Evangelización, in Misión
Joven 438/439 (2013) 69-77.

l’annuncio evangelico 217

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che la Chiesa « inizia alla fede e alla vita cristiana,
mediante la catechesi e i sacramenti di iniziazione,
coloro che si convertono a Gesù Cristo, o quelli
che riprendono il cammino della sua sequela,
incorporando gli uni e riconducendo gli altri alla
comunità cristiana » (n. 12); ma, in seguito, si
aggiunge: « La relazione tra queste due forme del
ministero della Parola non è però sempre facile da
fare, e non necessariamente deve essere affermata
in modo netto. Si tratta di una duplice attenzione
che spesso si trova coniugata nella medesima
azione pastorale » (n. 19).
Il concetto di catechesi è preso in conside-
razione anche come « strumento »: il momento
della « catechesi » (che va a sostituire positiva-
mente quello di « catechismo ») viene distinto da
quello del « catecumenato », fonte ispiratore delle
altre forme di catechesi e assunto come modello
paradigmatico di strutturazione in tanti progetti
di riorganizzazione e rilancio della catechesi (n.
14). Nello stesso paragrafo viene ricordata la plu-
ralità dei metodi della catechesi, soggiacenti alla
dinamica traditio-redditio.
Si parla pure dei « catechisti », dono dello
Spirito (n. 14), oberati di lavoro (n. 15), bisogno-
si di formazione (n. 22), e del Catechismo della
Chiesa Cattolica, che ha il compito di sostenere e
rilanciare una fede che sia pensata, celebrata, vis-
suta e pregata (n. 11).
Le risposte offerte alle domande dei Linea-
menta producono una riflessione che si arricchi-

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sce di diversi particolari. Nell’Instrumentum labo-
ris – crediamo sia il particolare più rilevante – è
presente solo la concezione « ristretta » di cate-
chesi, riportata qui al n. 92. Si constata l’infecon-
dità della catechesi, le cui cause sono ricondotte
a « un problema ecclesiologico e spirituale » (n.
39) e al fatto che « viene ancora percepita come
preparazione alle varie tappe sacramentali, più
che educazione permanente della fede dei cristia-
ni » (n. 103).
Nel testo si esprime una nota negativa sulla
pluralità dei metodi: essi « sono segno di vitalità,
ma non sempre hanno permesso una piena matu-
razione per trasmettere la fede » (n. 104); perciò
« il Sinodo si interrogherà sul modo di realizzare
una catechesi che sia integrale, organica, che tra-
smetta in modo intatto il nucleo della fede, e allo
stesso tempo sappia parlare agli uomini di oggi,
dentro le loro culture, ascoltando le loro doman-
de, animando la loro ricerca della verità, del bene,
del bello » (n. 104).
Nel documento preparatorio al Sinodo si dà
più spazio al Catechismo della Chiesa Cattolica
(nn. 2, 100ss); anche il ruolo dei catechisti trova
ampia riflessione: da un lato, soprattutto per i
laici, se ne invoca la partecipazione agli organismi
di governo della Chiesa locale (nn. 106 e 108),
dall’altro si temono forme di « delega in bianco »
che oscurano l’apporto « insostituibile » del pre-
sbitero alla catechesi (n. 109). In ogni caso, il testo
contiene la richiesta di interrogarsi « sulla possi-

l’annuncio evangelico 219

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bilità di configurare per il catechista un ministero
stabile e istituito dentro la Chiesa » (n. 108).
Al n. 81 c’è un rapido accenno al fatto che
la catechesi è una delle forme in cui si esplica
l’impegno evangelizzatore delle parrocchie.
Il Messaggio finale riprende l’istanza di so-
stenere la presenza e l’azione pastorale dei cate-
chisti, curandone la formazione (nn. 8 e 13); ri-
badisce la rilevanza del Catechismo della Chiesa
Cattolica per la nuova evangelizzazione (n. 11);
riconosce nella catechesi una delle forme con cui
le Chiese locali esprimono l’impegno fattivo di
nuova evangelizzazione (n. 13).
Nelle Proposizioni finali del Sinodo, i riferi-
menti all’ambito catechistico sono ventinove in
tutto6. La proposizione che più ci riguarda è la n.
29, nella quale si attesta che « una buona cateche-
si è essenziale per la nuova evangelizzazione ».
Dall’insieme di riferimenti è possibile ricava­re
anche ulteriori importanti indicazioni. Innanzitut­to,
viene riconosciuta la « continuità tra la prima pro­
clamazione e la catechesi che ci istruisce nel deposi­
to della fede » (n. 9), con la richiesta di predispor­
re un « Piano Pastorale di Proclamazione iniziale ».

6 Il termine catechesi compare 16 volte (nn. 9, 11, 24, 26,

28-29, 37, 47-49, 51); (processo) catechetico 2 (n. 29); catechista/i 6


(nn. 29-30); catechismo (della chiesa cattolica) 2 (n. 29); catecumeno/
catecumenato/catecumenale 3 (nn. 28, 30). All’argomento sono dedicate
esplicitamente le Proposizioni 28 e 29, localizzate nella parte terza del
documento: « Risposte pastorali alle circostanze odierne ». Ci si avvale
della traduzione non ufficiale in italiano (proposta dal sito www.zenit.
org), curata da Paul De Maeyer.

220 ubaldo montisci

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


Inoltre, viene determinata la centralità della
catechesi con gli adulti: « Non si può parlare di
nuova evangelizzazione se la catechesi degli adul-
ti è inesistente, frammentata, debole o trascurata.
Quando questi difetti sono presenti, il ministero
pastorale affronta una sfida molto seria » (n. 28).
Ai giovani, poi, andrà rivolta una speciale atten-
zione (n. 51).
Viene confermata la scelta dell’ispirazione
catecumenale per i percorsi d’iniziazione cristiana:
« Perciò proponiamo che il processo tradizionale
di iniziazione cristiana, che è spesso diventato
semplicemente una preparazione approssimativa
ai sacramenti venga dappertutto considerata in
una prospettiva catecumenale, dando maggiore
rilevanza a una mistagogia permanente, e diven-
tando in questo modo una vera iniziazione alla
vita cristiana attraverso i sacramenti (cfr. DGC,
91) » (n. 38). Una particolare attenzione va data
al momento mistagogico dell’itinerario catecume-
nale (n. 37).
Quanto ai contenuti, viene ricordato lo
stretto legame con la Scrittura, che « deve permea­
re omelie, catechesi e tutti gli sforzi per trasmet-
tere la fede » (n. 11) e con la Dottrina sociale della
Chiesa (n. 24).
Nelle Proposizioni emerge una volta di più
l’attenzione al servizio indispensabile dei catechi-
sti, cui viene espressa una profonda gratitudine
per la loro dedizione. Si autorizzano le Conferen-
ze Episcopali a chiedere alla Santa Sede l’istituzio-

l’annuncio evangelico 221

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ne del ministero di catechista (n. 29), se ne auspi-
ca la formazione – per la quale il Catechismo della
Chiesa Cattolica e il suo Compendio sono una ri-
sorsa preziosa (n. 29) –, giungendo ad affermare
che « devono essere formati in istituzioni di edu-
cazione superiore » (n. 30) e che devono essere
istituiti dei centri appositi (n. 47). Per poter dare
un contributo adeguato, vanno anche sostenute e
qualificate le famiglie (n. 48) e i presbiteri (n. 49).

La catechesi nella Evangelii Gaudium

Il Pontefice, innanzitutto, mette in luce la


continuità tra il momento dell’annuncio e la cate-
chesi: « Il primo annuncio deve dar luogo anche
a un cammino di formazione e di maturazione »
(EG 160), un percorso di sviluppo « sempre pre-
ceduto dal dono » della grazia del Padre (EG 162),
che consiste in una crescita nell’amore piuttosto
che in una semplice formazione dottrinale (EG
161). La catechesi si pone al servizio « personaliz-
zato » di questa crescita, per aiutare ogni persona
a rispondere positivamente alla propria vocazione
(EG 160).
Il Papa rimanda ai testi catechistici ufficiali e
propone semplicemente qualche considerazione.
Si tratta di vere e proprie « esortazioni » a non tra-
scurare elementi importanti nell’evangelizzazione.
Il primo tra tutti è il kerygma o Primo Annun-
cio, la cui centralità nell’intero processo evangeliz-

222 ubaldo montisci

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zatore non va dimenticata (EG 164; Proposizione
9). Il « primo » annuncio è tale perché qualitativa-
mente superiore a tutti gli altri, perciò deve ritor-
nare continuamente in tutti i momenti del proces-
so evangelizzatore. Ciò vale anche per la catechesi:
« Non si deve pensare che nella catechesi il keryg-
ma venga abbandonato a favore di una formazione
che si presupporrebbe essere più “solida”. Non c’è
nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro,
di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione
cristiana è prima di tutto l’approfondimento del
kerygma […] » (EG 165).

Alcune caratteristiche dell’annuncio oggi


sembrano particolarmente necessarie:
« Che esprima l’amore salvifico di Dio previo
all’obbligazione morale e religiosa, che non im-
ponga la verità e che faccia appello alla libertà, che
possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed
un’armoniosa completezza che non riduca la pre-
dicazione a poche dottrine a volte più filosofiche
che evangeliche » (EG 165).

Francesco mette anche in rilievo il momento


mistagogico dell’iniziazione cristiana, cui ancora
non si è attribuita la giusta importanza. La cate-
chesi mistagogica rimanda essenzialmente alla
« necessaria progressività dell’esperienza formati-
va in cui interviene tutta la comunità e una rinno-
vata valorizzazione dei segni liturgici dell’inizia-
zione cristiana » (EG 166).
Il capitolo si chiude con tre sottolineature
per una catechesi che voglia mettersi efficacemen-

l’annuncio evangelico 223

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te al servizio della nuova evangelizzazione: è bene
che la catechesi presti una speciale attenzione alla
« via della bellezza », nelle sue diverse forme (EG
167); per quanto riguarda la proposta morale è
opportuno indicare sempre il bene desiderabile,
la proposta di vita, di realizzazione, alla cui luce
si può comprendere anche la denuncia dei mali
che possono oscurarla (n. 168); infine, c’è bisogno
di persone capaci di accompagnare individual-
mente i processi di crescita, facendosi prossimi e
guide « certificate » nei percorsi di maturazione
nella fede.

3. Un bilancio complessivo

Non è facile trovare un « filo rosso » che


attraversi unitariamente l’insieme delle riflessioni
sull’omelia e la catechesi, dai Lineamenta del Si-
nodo fino alla Evangelii Gaudium. L’indole « pasto-
rale » del documento papale, poi, non consente di
individuare se non delle direzioni di percorso,
senza entrare nelle disquisizioni teoretiche. Tut-
tavia, senza pretese di esaustività, è possibile trac-
ciare un bilancio generale e richiamare alcuni
elementi peculiari, alcuni pienamente condivisi-
bili, altri meno.
Il documento di papa Francesco si fa ap-
prezzare non per la novità delle cose che dice, ma
per lo stile con cui le offre ai lettori: semplice,
pacato, costruttivo. Il Pontefice si propone come

224 ubaldo montisci

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esponente di una Chiesa non arroccata sulle di-
fensive, ma disposta al dialogo con la cultura e
anche a una sana autocritica. E disegna l’immagi-
ne di un credente dall’identità chiara ma dialogica.
Per quanto riguarda l’omelia, il testo ha il
merito di valorizzare una risorsa preziosa perché
inserita nella pastorale ordinaria. Di fronte alla
tipologia dei potenziali uditori, sempre più « oc-
casionali » e meno credenti e praticanti, bisognerà
studiare meglio come renderla efficace in un con-
testo di primo annuncio. La formazione iniziale e
permanente di coloro che predicano non potrà
trascurare l’abilitazione a questa importante com-
petenza pastorale.
Per quanto riguarda la catechesi, occorre
denunciare l’utilizzo di una terminologia che, dal
punto di vista scientifico, non sempre è rigorosa-
mente univoca o comunemente accettata: l’equipa-
razione di kerygma a Primo Annuncio, ad esempio,
lascia qualche perplessità, come pure l’espressione
« catechesi kerygmatica »; tuttavia, il testo del Papa
segna delle acquisizioni significative.
Innanzitutto, sembra trovare conferma il
ridimensionamento dottrinale a favore di una ca-
techesi intesa in primo luogo come atto relaziona-
le e comunicativo. La catechesi, cioè, è chiamata
non tanto – o non solo – a trasmettere un bagaglio
di conoscenze ma a favorire la comunione del
convertito con Gesù Cristo; suo scopo definitivo,
infatti, come afferma il Direttorio Generale per la
Catechesi, « è di mettere qualcuno non solo in

l’annuncio evangelico 225

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contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù
Cristo » (DGC 80). Si può aggiungere che il cristo-
centrismo trinitario, nell’economia della storia del-
la salvezza, è indicato come punto di riferimento
anche nella proposta dei contenuti nella catechesi.
Da apprezzare, poi, il riferimento alla cen-
tralità del Primo Annuncio, come fondamento per-
manente dell’esperienza cristiana e chiave della sua
comprensione: esso non è solo « l’inizio », ma è il
« centro » e il « cuore » del nostro credere. Più
problematico, nelle sue possibili conseguenze, il
rapporto con la catechesi. Se è vero che l’annuncio
è condizione irrinunciabile per la fecondità della
catechesi e che tra i due momenti del processo
evangelizzatore, nella pratica, non è possibile in-
dividuare confini netti, va anche detto che un
concetto « forte » di catechesi7 – così come il Si-
nodo aveva prodotto – « alleggerirebbe » il peso
delle responsabilità pastorali di quest’ultima e
favorirebbe la nascita di figure diversificate e com-
plementari di operatori.
Ancora, positivamente, il documento sotto-
linea la necessità di una organizzazione catechi-
stica che si ispiri al modello del catecumenato e che

7 Al momento, ci si muove tra due polarità: a) la difesa di un

concetto « forte » di catechesi, che si qualifica per avere il compito


peculiare di accompagnare la « crescita » del cristiano, distinguendosi
così dal primo annuncio, al quale spetta invece l’onere di favorire la
« generazione » della fede; b) la posizione di chi insiste sull’urgenza di
una catechesi missionaria, una catechesi che si può definire globalmente
kerygmatica, che mantiene cioè come obiettivo primario e come finalità
ultima la proposta della fede e l’invito alla conversione.

226 ubaldo montisci

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curi in particolar modo il momento mistagogico
della proposta. L’esperienza dice che la trascura-
tezza formativa in questa specifica tappa del per-
corso di maturazione nella fede è frequentemente
causa della « tiepidezza » nel resto della vita cri-
stiana e, comunque, è segno di una grave debo-
lezza dell’attuale pastorale.
Il Papa sottolinea pure la rilevanza dell’in-
culturazione: non è possibile non tener conto del­
la situazione esistenziale, dell’estrazione sociale,
dell’età, della capacità di accoglienza di ciascuno
degli interlocutori. La proposta catechistica deve
essere « personalizzata » e l’attenzione alle situa-
zioni concrete dei soggetti – così eterogenee –
comporta una presa di distanza dalle risposte or-
dinarie, abitudinarie, alle esigenze della vita e
delle comunità cristiane così come siamo stati fi-
nora abituati.
E ciò introduce il tema centrale della comu-
nità cristiana, chiamata frequentemente in causa
da Francesco. Molto, infatti, dipende dalla qualità
della sua vita e della sua testimonianza perché i
giovani e gli adulti di oggi domani verranno in
chiesa per scelta e non per tradizione, per dovere
o per paura; verranno perché ne avranno voglia e
a patto che si sentano interessati dall’ambiente in
quanto scoprono nella Chiesa uno spazio in cui si
vivono realtà che non si sperimentano in nessun
altro luogo e che dona qualità, fecondità e pienez-
za alla vita: l’esperienza dell’incontro con Dio,
l’esperienza della fraternità e l’esperienza dell’im-

l’annuncio evangelico 227

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pegno di solidarietà e di trasformazione. È indi-
spensabile, quindi, un continuo lavoro di forma-
zione delle comunità per far sì che queste, una
volta evangelizzate, possano diventare sorgente di
evangelizzazione.
Il richiamo alla valorizzazione dei segni li-
turgici e della « via della bellezza », inoltre, è un
invito al recupero di tutta l’armonica dei linguaggi
della fede, per non fermarsi a una catechesi esclu-
sivamente dottrinale. Alla razionalità è possibile
affiancare il linguaggio narrativo, legato alle Scrit-
ture, quello simbolico, legato alla liturgia; quello
della sintesi nelle formulazioni dogmatiche, quel-
lo estetico della poesia e dell’arte, quello argomen-
tativo, quello della preghiera.
Un punto su cui, forse, l’Esortazione avreb-
be potuto far tesoro della riflessione sinodale, è
quello che riguarda la centralità della catechesi con
gli adulti. Questa tematica vitale appare un po’
mortificata nel documento papale.
Sicuramente, invece, è forte l’insistenza sul-
la necessità di avere nelle comunità cristiane ope-
ratori pastorali di qualità, a cominciare dai presbi-
teri: la centralità dell’azione dei catechisti e la
rilevanza della loro qualificazione è un dato indi-
scutibile per tutti; infatti, qualsiasi attività pasto-
rale, che non faccia assegnamento per la sua rea-
lizzazione su persone veramente formate e
preparate, mette a rischio la sua qualità.

228 ubaldo montisci

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Conclusione

Tracciare bilanci non è mai facile. Lo stesso


documento ha avuto accoglienze entusiastiche
accanto a reazioni distaccate se non gelide. È un
documento scomodo, che scuote un modo « ada-
giato », « accomodato », di vivere il cristianesimo.
A conclusione del nostro intervento, vorremmo
suggerire un modo pastoralmente accorto di ac-
cogliere l’Esortazione.
Quando si fanno bilanci o si prospettano
strategie, il rischio dei pregiudizi e delle contrap-
posizioni tra i diversi operatori pastorali è tutt’al-
tro che remoto. Ciò avviene perché non è corretto
l’approccio alla problematica: normalmente, infat-
ti, nell’esprimere il proprio parere sulle diverse
proposte ci si limita a una lunga elencazione di
vantaggi (se si è favorevoli) o di svantaggi (se si è
contrari), senza pervenire a una visione panora-
mica globale che tenga conto di tutti gli elementi
in causa. È necessario, invece, operare tramite un
approccio sistemico, che non si riduce a presentare
uno dopo l’altro gli elementi, ma
« li considera all’interno del sistema di rapporti che
li collega, tra di loro e con quelli già esistenti. In
questo modo emergono le ambivalenze ed è pos-
sibile prendere sul serio i punti controversi: in un
sistema, infatti, una variazione in un punto provo-
ca dei cambiamenti altrove, e in qualche misura su
tutto l’insieme. A un vantaggio in un punto può
corrispondere uno svantaggio in un altro. L’elenco
lineare e irenico dei vantaggi […] diventa facil-

l’annuncio evangelico 229

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mente astratto, così come un ipotetico elenco degli
svantaggi diventerebbe sterile »8.

È una mentalità sanamente critica da acqui-


sire e da applicare sempre, persino per le proposte
pastorali indicate ufficialmente dai documenti del
magistero ecclesiale: a problemi complessi non si
possono dare soluzioni semplicistiche o univoche
ed è indispensabile un serio lavoro di discerni-
mento, proprio come pretende la nuova evange-
lizzazione.
Forse, in questi casi, possono ritornare uti-
li le indicazioni per la pratica attribuite a sant’A-
gostino: « Nelle cose certe unità, nelle cose dubbie
libertà, in tutte carità ».
 
 

8
Ugo Lorenzi, La riforma dell’iniziazione cristiana dei ragazzi.
Uno sguardo d’insieme e alcune proposte. 1, in La Rivista del Clero Italiano
92 (2011) 6, 442-470; qui 444.

230 ubaldo montisci

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LA CITTÀ,
LA GIOIA E LA CARITÀ
NELLA SIMBOLIZZAZIONE
DELL’EVANGELII GAUDIUM
Vincenzo Lombino

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Vincenzo Lombino, presbitero della Chiesa di Agrigento,
è docente di Patristica presso la Facoltà Teologica San Giovanni
Evangelista di Palermo e Prefetto degli Studi nello Studio Teo-
logico San Gregorio Agrigentino di Agrigento. In precedenza,
ha insegnato in altre istituzioni accademiche d’Italia e ha tenu-
to corsi all’Istituto Teologico San Paolo di Cremisan (Israele) e
alla Facoltà Teologica Cattolica di Tübingen (Germania). Ha
pubblicato molti saggi e contributi in riviste specializzate; con
diversi lemmi ha contribuito all’edizione del Nuovo Dizionario
Patristico e di Antichità Cristiane (Marietti). Tra le più recenti
pubblicazioni: (con V. Messana), Vescovi, Sicilia, Mediterraneo
nella tarda antichità, (Caltanissetta - Roma 2012); (con S. Pani-
molle), Sacerdozio e sacrificio nei Padri dei primi secoli (Roma
2013); Il pastore e le pecore. Giovanni Battista Peruzzo e il sacri-
ficio inutile (Caltanissetta 2013); (con V. Cuffaro), Data per il
mondo. Famiglia e percorsi di vita cristiana per la società europea
(Caltanissetta 2013).

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L’Evangelii Gaudium si presenta con la sem-
plicità del linguaggio quotidiano, ornato di slogan
e soprattutto contiene qualche neologismo. È un
rilievo niente affatto anodino. Gli studiosi di lin-
guistica contemporanea notano infatti che la for-
mazione di neologismi è frutto di una vivace
creatività delle persone che li sfornano. In questi
soggetti, da un punto di vista psicologico, l’esigen-
za di esprimersi con parole nuove dimostrerebbe
la presenza di un’interiorità che trova insufficien-
te il lessico comune per comunicare tutta la por-
tata del proprio pensiero1.
Nell’EG, il linguaggio di papa Francesco
rivela appunto un profondo processo di medita-
zione circa la natura della Chiesa. Difficilmente si
può comprendere la portata teologica, missionaria
e catechetica dell’Esortazione apostolica se non la

1
Il linguaggio di papa Francesco ha attirato l’attenzione di mol-
ti osservatori. Un allievo argentino del papa, Jorge Milia, ha pubblicato
su Terre d’America (www.terredamerica.com) una serie di articoli sul
« gergo di Francesco ». In questo volume, un’attenzione al linguaggio e
alla comunicazione del Papa si ritrova nella relazione di N. Vara. Soprat-
tutto cfr. D. Sala, Parole nuove, in Il Regno LVIII (15 dicembre 2013) 701.

la città, la gioia e la carità 233

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si pone continuamente a confronto con la tradi-
zione teologica e spirituale della Chiesa2, oppure
con altri suoi scritti, discorsi e omelie3.
Questi espliciti riferimenti però non bastano
per sondare la profondità del pensiero del Papa e
individuarne le fonti. A volte, queste ultime sem-
brano non del tutto evidenti4. Di fatto, pare che il
Papa possieda una dote particolare di intuizione, di
discernimento e di proposizione nuova di questioni
affrontate in altri ambiti e in altri tempi. La mobili-
tà delle sue riflessioni, ripescate da altri contesti e

2 Nell’edizione dell’EG sono annotati riferimenti al Gorgia di

Platone, a sant’Agostino, san Tommaso, Isacco della Stella, Tommaso


da Kempis, Pietro Favre, Teresa di Lisieux, J.-H. Newman, Bernanos, de
Lubac, Romano Guardini, senza contare il riferimento al magistero di
altri Papi, Vescovi o conferenze episcopali. Cfr. l’indice analitico dell’e-
dizione della San Paolo: Papa Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione
apostolica, con introduzione di Mons. Marcello Semeraro, Cinisello
Balsamo (MI) 2013, pp. 297-305.
3
A titolo di esempio, sulla questione sociale, il Papa si sofferma
molto su quattro principi « relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni
realtà sociale » (EG 221). Il pensiero del Papa al riguardo si comprende
meglio leggendo quanto scrive in J.-M. Bergoglio, Noi come cittadini, Noi
come popolo, LEV-Jaca Book, Milano 2013 (prima edizione argentina
2011), pp. 61-69.
4 Sia all’interno dell’Esortazione apostolica, ma anche in altri

suoi scritti, emerge ad esempio costante il riferimento ad alcuni autori


della tradizione più antica della Chiesa e in special modo il riferimento
ai Padri. Cosicché essi sono bensì ricordati, ma riproposti dopo una
personale « ruminazione » del loro pensiero. Basti qui l’esempio di una
citazione della formula di fede del concilio di Calcedonia, spostata sul
registro dell’impegno cristiano nel mondo. In Dio nella città, al tempo in
cui ancora non era stato eletto papa, il cardinale Bergoglio scriveva: « Sto
forse dicendo che la fede, di per sé, migliora la città? Sì, nel senso che
solo la fede ci libera dalle generalizzazioni e astrazioni in uno sguardo
illuministico che dà come unico frutto altri illuminismi. La prossimità,
il coinvolgimento e il sentire come il fermento faccia crescere la massa
portano la fede al desiderio di migliorare ciò che le è proprio, lo specifico
cristiano: per poter vedere indivise e inconfuse l’altro, il prossimo, la fede
desidera “vedere Gesù” » (J. M. Bergoglio, Dio nella città, San Paolo,
Cinisello Balsamo (MI) 2013, p. 41).

234 vincenzo lombino

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


riformulate in modo attuale, denunciano una gran-
de versatilità nella « simbolizzazione »5. Insomma,
il Papa, mi si passi l’immagine, possiede un « cuore
simbolico », la cui più elevata efficacia si rivelerebbe
nella mediazione della gioia del Vangelo6.
In questo contributo, tale dote è richiamata
come presupposto e principio ermeneutico, per

5 « Per simbolizzazione si intende il processo psichico attraver-

so cui una persona produce e attribuisce significato a una realtà tramite


un’altra. Esso consente di incontrare una realtà tramite un’altra » (G.
Sovernigo, La capacità di simbolizzazione della persona. Normalità e
interferenze, in M. G. Muzj (a cura di), Simbolo cristiano e linguaggio
umano. Per una reintegrazione della teologia simbolica nella teologia.
Secondo Convegno Internazionale Charles André Bernard, Vita e Pensiero,
Milano 2013 p. 68).
6 La mediazione della gioia del Vangelo è di tipo fondamental-

mente teologico. Secondo L.-M. Chauvet, il simbolo, che ha una funzio-


ne essenzialmente mediatrice, è capace di aprire la comunicazione tra
Dio e l’uomo. Nel silenzio, che succede al tempo del nostro parlare su
Dio, Dio stesso comincia a comunicarsi a noi. La distanza incolmabile
tra il cielo e la terra, si accorcia grazie al simbolo (Cfr. L.-M. Chauvet,
Linguaggio e simbolo. Saggio sui sacramenti, Elledici, Leumann-Torino
1979, pp. 77-78). Questa modalità di aprirsi a Dio è propria della mistica
e il Papa riconosce di essersi alimentato della spiritualità mistica della
Compagnia di Gesù. Egli ovviamente attinge a sant’Ignazio di Loyola e
a una corrente spirituale presente all’interno della Compagnia di Gesù,
che ha privilegiato la mistica all’ascesi. In un breve articolo, G. Mucci
fa notare che sant’Ignazio fu anche un mistico e la « mistica, nel suo
significato teologico più ampio, è la disposizione e la frequenza nello
spirito umano a ricevere i lumi e le mozioni dello Spirito Santo causate
da un’attività distinta da quella umana ordinaria. Questi lumi e mozioni
attuano i doni dello Spirito Santo già infusi nell’anima. La vita mistica,
così intesa, nient’altro è che la docilità abituale dello Spirito di Dio.
La mistica, in senso stretto, è invece la contemplazione infusa in una
delle sue forme e gradi: un sentimento ineffabile, un’esperienza della
presenza del Signore che l’uomo non può in nessun modo provocare.
[…] e di tanto autore si dichiara oggi allievo il Papa » [G. Mucci sj,
Papa Francesco e la spiritualità ignaziana, in La Civiltà Cattolica 3921
(2013) IV/284-287]. Alla fine, Mucci si riferisce qui non a sant’Ignazio,
ma a Louis Lallemant, gesuita francese vissuto a cavallo tra il XVI e il
XVII secolo. Per quanto riguarda l’EG, possiamo dunque ritenere che
nell’ultimo capitolo dedicato agli Evangelizzatori con Spirito si rispecchia
l’interiorità mistica di papa Francesco.

la città, la gioia e la carità 235

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


toccare alcuni fondamenti teologici dell’EG, che
è possibile cogliere in tutta la loro portata se ci
richiamiamo appunto al « cuore simbolico » di
papa Francesco. Mi riferisco in particolare a tre
temi: la gioia, la carità e la città. Sono simboli7 già
presenti e sviluppati nella tradizione della Chiesa,
specie in quella patristica, ma certamente essi
fungono da metafore generative8 valide per tutti i
tempi. Inizierò, dunque, trattando più estesamen-

7 Per comprendere il senso in cui qui adottiamo la parola

« simbolo », è necessario ricorrere a un esempio, per altro riportato da


Giuseppe Sovernigo. L’uomo si serve sempre della sua capacità simbolica
per esprimersi, ma i simboli espressi non sono per tutti univoci. Ad
esempio, la parola-simbolo « madre » per alcuni può evocare tenerezza,
per altri invece timore, per altri ancora ribellione, a seconda del tipo di
interiorizzazione che ognuno ha fatto sulla base della propria esperienza
(elemento conscio del soggetto) e sulla base di un significato soggettivo
inconscio. [Cfr. G. Sovernigo, La capacità di simbolizzazione della perso-
na. Normalità e interferenze, in M. G. Muzj (a cura di), Simbolo cristiano
e linguaggio umano. Per una reintegrazione della teologia simbolica nella
teologia. Secondo Convegno Internazionale Charles André Bernard, Vita e
Pensiero, Milano 2013, pp. 69-75].
8 L’espressione « metafore generative » è ripresa da W.A. Meeks,

che le applica ad alcuni aspetti delle concezioni etiche delle antichità


patristiche. In un certo qual modo, esse hanno a che fare con il processo
di simbolizzazione. Più precisamente: nel nostro tempo, non possia-
mo replicare l’etica del passato glorioso dei Padri, ma per una certa
somiglianza di situazioni possiamo rilevare alcune metafore della vita
cristiana della prima Chiesa, dotate di grande vitalità generativa anche
per l’oggi (Cfr. W.A. Meeks, Le origini della morale cristiana. I primi due
secoli, Vita e pensiero, Milano 2000, pp. 265-267). Ho adottato tale me-
todo di studio in un contributo che prendeva a tema la concezione della
famiglia di Giovanni Crisostomo. Negli scritti del grande predicatore
antiocheno, ho individuato tre metafore-radici valide per la famiglia di
oggi: l’« elogio della madre », della « città » e dell’« atletica »: la prima,
come rivalutazione esistenziale degli affetti familiari, la seconda, come
assunzione di compassione cristiana del povero, e la terza, come eserci-
zio etico di rifiuto della mondanità, attraverso il mantenimento di uno
stile di vita sobrio rispetto ai beni materiali. Cfr. V. Lombino, Famiglie
cristiane nella società imperiale tardoantica. Metafore generative nell’ideale
coniugale e familiare di san Giovanni Crisostomo, in Ho Theológos 29
(2011) 195-218.

236 vincenzo lombino

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te della città e, a mo’ di chiusura, mi concentrerò
sulla gioia e sulla carità.

1. La città

Il tema della città si presenta per la pri‑


­ma volta nella terza parte dell’EG, dove il Papa
prende in considerazione l’ambito della missio‑
ne evangelizzatrice della Chiesa. Il Papa confes-
sa che egli si accosta a questo importante capito-
lo non da un punto di vista sociologico, ma da
una prospettiva di fede e ai fini di un discerni-
mento autenticamente evangelico. Citando Gio-
vanni Paolo II, dice che il suo non vuol essere
altro che « lo sguardo del discepolo missionario
che si nutre della luce e della forza dello Spirito
Santo » (EG 50).
Quando tale sguardo si posa sulla città, dice:
« La nuova Gerusalemme, la Città santa (Ap 21,2-
4), è la meta verso cui è incamminata l’intera
umanità. È interessante che la rivelazione ci dica
che la pienezza dell’umanità e della storia si rea-
lizza in una città. Abbiamo bisogno di riconoscere
la città a partire da uno sguardo contemplativo,
ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che
abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue
piazze » (EG 71).

Il Papa, riprendendo il documento dei Ve-


scovi sudamericani riuniti ad Aparecida, in una
sua densa e breve pubblicazione precedente, ave-
va detto più laconicamente: « Dio vive nella cit-

la città, la gioia e la carità 237

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


tà »9. Egli vive tra i cittadini che cercano e pro-
muovono la solidarietà, la fraternità, il desiderio
di bene, di verità, di giustizia. La presenza di Dio,
dice nell’EG, « non deve essere fabbricata, ma
scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che
lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano
a tentoni, in modo impreciso e diffuso »10.
Gesù, continua il Papa, « vuole spargere
nella città vita in abbondanza » (EG 75). Dinanzi
alle problematiche e ai mali che la vita nella città
può creare, il miglior rimedio è la stessa vita del
credente, illuminata dal Vangelo (ibidem). Pertan-
to gli atteggiamenti della Chiesa e del credente-
missionario verso la città saranno improntati
all’incontro, all’accompagnamento e al desiderio
di creare in essa un fermento evangelico. Nella
città, lo « specifico cristiano », ovvero l’identità
cristiana, sarà concepito come « lievito che già sta
fermentando la massa »11.
L’immagine del lievito ricorda la ben nota
parabola evangelica12, ma in combinazione al

9 Cfr. J.M. Bergoglio, Dio nella città, p. 31.


10 EG 71.
11 Cfr. J.M. Bergoglio, Dio nella città, p. 31.
12 Cfr. Mt 13,33. La parabola può però avere un duplice signi-

ficato, positivo uno, negativo l’altro. Il primo trova un’analogia nell’im-


magine del seme, che seminato nella storia dell’uomo, alla fine produrrà
frutto. Il secondo rimanda invece a una concezione drammatica della
storia dell’uomo, poiché il lievito (zyme), che nella concezione ebraica
era negativo, rappresenta il peccato che può guastare tutta quanta la
pasta-umanità, se non si adottano le precauzioni adeguate. La parabola,
in ogni caso, non punta a porre in risalto il lievito in quanto tale, ma la
dynamis che esso possiede per far fermentare una quantità enorme di
farina. Tale potenza presente prima solo in Gesù e nei suoi discepoli è

238 vincenzo lombino

MARIA RITA RANDISI - mariarita.randisi@virgilio.it - 07/03/2020


tema della città la si riscontra in una robusta ri-
flessione di É. Gilson sulla metamorfosi nei se-
coli della concezione di Città di Dio13. In questa
sede, l’associazione tra Gilson e il Papa mi pare
plausibile perché in entrambi i casi ci si rivolge
alla Gerusalemme celeste, ovvero alla Città di
Dio e alla sua costruzione, in tempi di profonda
crisi sociale e al contempo di costruzione di una
nuova società14.
Ebbene, dopo aver passato in rassegna le
varie concezioni di Città di Dio e di città terrene,
a partire da Agostino fino ad Auguste Comte,
Gilson dichiara che, nel corso di quasi 1700 anni
di storia, la secolarizzazione della Città di Dio in
terra è stata fallimentare, quando non si è dimo-

destinata ad accrescersi e a estendersi a tutta la terra. Cfr. H. Windisch,


voce zyme, in GLNT III, 1565-1566. Cfr. anche A. Maillot, Le parabole
di Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1997, pp. 30-32.
13 Cfr. É. Gilson, Le metamorfosi della città di Dio, Cantagalli,

Siena 2010.
14 Gilson pubblica questo saggio nel 1952, quando in Europa si

cercava un nuovo assetto politico unitario, a fronte del blocco comunista


e dell’America. Più precisamente, egli aveva tenuto un ciclo di conferen-
ze a Lovanio nel 1952, per l’inaugurazione della cattedra del Cardinale
Mercier, riscuotendo un enorme successo. Ma il libro che le raccoglieva
fu accolto con freddezza, a motivo dell’affaire Gilson. Il grande medie-
vista era stato accusato da un professore americano, d’origine russa, di
diffondere il vangelo del disfattismo e precisamente di propagandare la
neutralità della Francia nello scontro tra la Russia e l’America, ma, in
seguito, la vera questione si era allargata a tutta l’Europa e al suo assetto
politico nella guerra fredda. Il volume sunnominato contiene il pensiero
di Gilson sull’Europa. Egli non nega che il Vecchio Continente possa
avere una sua anima autonoma, ma sconfessa l’idea che esso possa avere
un’essenza distinta da quella americana, russa, islamica o altro. Quando
si parla di una civitas universale, come pretende di essere l’Europa, non
si può limitare la sua identità a se stessa. La civiltà europea è usufruttua-
ria di molti e disparati apporti culturali. Cfr. M. Borghesi, Introduzione
a É. Gilson, Le metamorfosi della città di Dio, pp. 5-42.

la città, la gioia e la carità 239

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strata addirittura nefasta15. Pertanto, conclude
Gilson, all’ombra della croce, « la città degli uo-
mini non può elevarsi che come sobborgo della
Città di Dio »16.
Il papa Francesco comincia lì dove Gilson
finisce o meglio lì dove Gilson incontra il limite
della sua analisi, segnato da una modalità di com-
prensione eccessivamente agostiniana della Città
di Dio, ovvero di una irriducibilità assoluta della
Città di Dio a città terrena17. La prospettiva del

15 Gli esiti della secolarizzazione della Città di Dio si ritrovano

nella lunga storia europea della costruzione della città terrena, intesa
come tentativo umano di edificare una città del tutto “autonoma”, dove
la religione, anche quella cristiana, assume il compito di religio civilis.
I risultati di questo tentativo furono segnati innanzi tutto dal sorgere
dell’ideologia politica della cosiddetta ragion di stato (N. Macchiavelli)
e dell’utopia. Quest’ultima sfociò in due esiti politici differenti. Da una
parte, l’idea utopica, dopo essere stata nel Rinascimento solo un’ela-
borazione teorica, trova una realizzazione concreta nelle Riduzioni,
istituite dai gesuiti in Sud America, dove la vita sembra fosse regolata
dal modello di società cristiana descritta negli Atti degli Apostoli. D’altra
parte, invece, l’utopia sognata e propagandata dai Lumi si realizza alla
fine nel regime del terrore di Robespierre, in cui « la libertà dei culti è
rispettata dal trionfo della ragione » e dalla radicale diversità del « Dio
della natura dal Dio dei preti » (Discorso di Robespierre sull’Essere
supremo pronunciato il 7 maggio 1794 alla Convenzione Nazionale).
Cfr. P. Petruzzi, La città ideale. La secolarizzazione di una immagine, dal
Medioevo all’Illuminismo, in Parole, Spirito e Vita 50 (2004) 299-254.
16 É. Gilson, Le metamorfosi della città di Dio, p. 306.
17 La concezione di Gilson della Città di Dio agostiniana è

condizionata dal clima ecclesiale in cui visse. Nel suo tempo, molti
studiosi di Agostino provarono a sganciare il grande Africano dal trion-
falismo ecclesiastico, che in passato aveva creato non pochi problemi
nei rapporti nella società europea circa il modo di intendere la relazione
Chiesa-mondo. In Gilson, la drastica dissociazione agostiniana della
Città di Dio e quindi della Chiesa dalla città storica degli uomini era
stata addolcita da una sovrapposizione a essa di concezioni aristoteliche-
tomiste, grazie alle quali era pur plausibile teologicamente un impegno
della Chiesa nella città terrena, ovvero nel mondo. Per questa riflessione
rimando alla relazione inaugurale di Marco Rizzi (Università Sacro
Cuore di Milano) alla Giornata di Studi, organizzata a Palermo, in Fa-

240 vincenzo lombino

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Papa è invece determinata da uno sguardo diver-
so, anch’esso altamente teologico. Egli unisce il
suo sguardo a quello del Padre e alla sua decisione
salvifica dell’invio del Figlio nella sua incarnazio-
ne. Il Papa non fa che auspicare ed esortare la
Chiesa, affinché ripercorra e continui tale evento
salvifico nella storia e nella città. Pertanto tra Cit-
tà di Dio (e Chiesa al suo servizio) da una parte e
città terrena, dall’altra, non si presenta l’opposi-
zione irriducibile dell’estraneità, ma piuttosto si
propone la tensione verso l’assunzione, ovvero
verso l’incontro, l’accompagnamento dell’uomo
della città e la pazienza dell’attesa che tutto il
contesto sociale sia fermentato evangelicamente.
Più estesamente, nello scritto Dio nella città,
papa Francesco dice che il dinamismo del credente
e della Chiesa non deve seguire la triplice consueta
sequenza della costatazione della città terrena – con-
templazione della Città di Dio – ritorno alla città
terrena, ovvero dell’analisi sociologica (l’« eccesso
diagnostico » di EG 50), della contemplazione del
modello trascendente e del ritorno alla situazione
sociale storica allo scopo di contribuire alla sua
redenzione18. Piuttosto il movimento deve essere

coltà Teologica di Sicilia, il 6 dicembre 2013. Cfr. M. Rizzi, La città nel


cristianesimo antico tra metafora e realtà, in V. Lombino et alii (a cura
di), I cristiani e la città (secc. I-V), (in corso di stampa).
18
Il Papa riprende esplicitamente la spiritualità di sant’Ignazio.
Vale la pena riprendere il passo: « Lo sguardo che propone Ignazio non è
quello che ascende dal tempo all’eternità in cerca della visione beatifica
definitiva, per poi “dedurne” un ordine temporale ideale. Ignazio pro-
pone uno sguardo che permette al Signore di “incarnarsi di nuovo” (ES
109) nel mondo così com’è. Lo sguardo delle Tre persone è uno sguardo

la città, la gioia e la carità 241

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unico e seguire appunto quello dell’incarnazione:
Dio vede e coglie nella città le realtà più dolorose,
ovvero quelle determinate dal peccato, e decide di
raggiungerle per guarirle. Il cristiano-missionario
non può, se animato dalla misericordia divina che
lo ha già raggiunto, non può, dunque, non assecon-
dare lo stesso dinamismo dell’incarnazione salvifi-
ca19. Dio abita nella città. E tale inabitazione, lungi
dal seguire la legge della staticità, segue quella di-
namica dell’amore che si inabissa sempre più nelle
profondità più ambigue e dolorose della città
dell’uomo in modo da raggiungere nel tempo e
nello spazio ogni singolo uomo e tutta l’umanità
bisognosa di Dio (cfr. EG 274).
Insomma, qui, c’è un abbandono del model-
lo agostiniano delle due civitates che corrono
parallele lungo i secoli e della Chiesa terrena come
una societas permixta, a favore di una concezione
che si richiama al cristianesimo originario, im-
piantatosi nella città degli uomini20. « Le immagi-
ni del Vangelo che più mi piacciono », diceva
l’allora cardinale Bergoglio, « sono quelle che mo-

che “si coinvolge” […] La visione più profonda e più alta non porta ad
altre visioni, ma all’azione umile, situata e concreta » (J.M. Bergoglio,
Dio nella città, pp. 46-47).
19 In chiusura dell’EG, riprendendo le parole di Giovanni Paolo

II, il Papa dice che si deve respingere la tentazione di una spiritualità


intimistica, centrata su se stessi, e scegliere invece le esigenze della carità
e la logica dell’incarnazione (EG 262).
20
Cfr. C. M. Galli, Dios vive en la ciudad. Hacia una nueva pasto-
ral urbana a la luz de Aparecida, Agape Libros, Buenos Aires 20122, cit.
da A. Spadaro, « Evangelii Gaudium ». Radici, struttura e significato della
prima Esortazione apostolica di Papa Francesco, in La Civiltà Cattolica
164 (2013/IV) 426.

242 vincenzo lombino

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strano ciò che Gesù suscita nella gente quando la
incontra per le strade. L’immagine di Zaccheo
[…], l’immagine di Bartimeo […], dell’emorrois-
sa […]. Sono immagini di incontri fecondi. Il Si-
gnore passa semplicemente “facendo del bene”.
Ci si può meravigliare dinanzi a quello che c’è nel
cuore di tante persone che, escluse dalla società e
ignorate da molti, entrando in contatto con il Si-
gnore si riempiono di una vita di pienezza; una
vita che cresce integralmente, migliorando a sua
volta la vita della città »21.

2. La gioia e la carità

Il cuore simbolico di papa Francesco si met-


te in moto anche in riferimento ai temi della gioia
e della carità. Le radici prossime del simbolo della
gioia per l’annuncio del Vangelo sono state messe
in luce da Antonio Spadaro in un articolo su La
Civiltà Cattolica e qui da Giuseppe Alcamo e Sergio
Tanzarella. Esso si ritrova già in molti documenti
del magistero degli ultimi Papi, da Giovanni XXIII
(Gaudet Mater Ecclesia), a Paolo VI (Gaudete in
Domino), a Benedetto XVI - Lumen fidei (47 e 53:
la gioia cristiana è la fidei laetitia) e quindi la gioia
è citata sedici volte nel motu proprio Porta Fidei22.

J.M. Bergoglio, Dio nella città, pp. 11-12.


21

Cfr. A. Spadaro, « Evangelii Gaudium », 421-422. Cfr. anche


22

M. E. Gandolfi - G. Mondin, La « Gioia » in pubblico, in Il Regno LVIII


(15 dicembre 2013) 700-702.

la città, la gioia e la carità 243

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Non è questa la sede per aprire nuovi que-
siti, ma parlando di gioia nell’EG mi pare che sia
del tutto lecito chiedersi di che tipo di gioia si
tratta. Benché il titolo dell’Esortazione sia abba-
stanza eloquente, poiché nel Nuovo Testamento
la « gioia » è strettamente connessa all’annuncio
del Vangelo, ovvero alla predicazione della sal-
vezza23, tuttavia all’interno del documento il
Papa non si preoccupa di chiarire il senso del
gaudium. Ancora una volta lo si deve desumere
da altri contesti e non necessariamente si può far
riferimento a un motivo della spiritualità igna-
ziana del Papa24. Qui, la gioia di cui parla il Papa
ci sembra ancora legata alla sfera dell’annuncio
del Vangelo.
Nei dizionari specialistici circa la catecheti-
ca e la pastorale, la gioia non pare che sia trattata
specificamente. Eppure il magistero petrino
dell’ultimo cinquantennio, come è stato già ricor-
dato, ha richiamato ai fedeli l’importanza di que-

23 Cfr. In Paolo, la gioia (chará) non deriva mai da una condi-

zione profana. Essa è sempre connessa alla fede e alla speranza, oppure
scaturisce dalla nuova condizione di libertà-salvezza donata dalla fede
in Cristo Gesù (Rm 12,5). La gioia è poi essenziale al rapporto tra Paolo
e la comunità (Rm 15,32; Fil 2,28s; 2Cor 2,3. Cfr. H. Conzelmann, voce
chará, in GLNT XV, 515-522.
24 Lo stesso Antonio Spadaro si pone la domanda: « Di quale

gioia sta parlando papa Francesco? ». Per rispondere, Spadaro si appella


al n. 2 dell’EG, dichiarando che la gioia « è frutto dello Spirito Santo
che sgorga dal cuore di Cristo risorto ». Non per andare a cavillare, ma
mi pare che il papa non si riferisca affatto alla gioia, ma, come dice
esplicitamente, alla vita del cristiano. Non sembra che, nel seguito
dell’articolo, sia data una risposta diretta al quesito. Cfr. A. Spadaro,
« Evangelii Gaudium », 421-422.

244 vincenzo lombino

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sta dimensione dell’evangelizzazione. Ad ogni
modo, ritroviamo già un saldo collegamento tra
gioia e annuncio evangelico nella tradizione pa-
tristica e notoriamente in sant’Agostino e nel fa-
mosissimo De catechizandis rudibus, dedicato al
diacono Deogratias, tediato dalla ripetitività della
prima catechesi fornita ai principianti. Nel De
catechizandis rudibus, circa la gioia dell’evangeliz-
zatore, scopriamo un’indicazione abbastanza de-
cisa del Santo: « […] il catechista insegni con
gioia […], è questo il massimo impegno a cui
occorre dedicarsi » (2,4)25. Il Papa simbolizza
forse la gioia a partire da Agostino?
Sarebbe azzardato dare una risposta affer-
mativa a un processo psicologico della formazione
del linguaggio in cui è coinvolto per una certa
parte anche il subconscio della persona26. In ogni
caso, è innegabile constatare una certa aria di fa-
miglia quando si confrontano le indicazioni cate-
chetiche di entrambi. Basti pensare quanto sia
importante per entrambi la comunicazione e il
linguaggio dell’evangelizzazione. Il capitolo di
papa Francesco dedicato alla preparazione dell’o-

25 Su questo tema: O. Wermelinger, Aurelius Augustinus. Vom

ersten katechetischen Unterricht, München 1985, 110s.; P. Siniscalco,


Sant’Agostino. Prima catechesi cristiana, Città Nuova, Roma 2001, pp.
157-159. (La traduzione dei brani citati è ripresa da questo stesso
autore).
26
G. Sovernigo, La capacità di simbolizzazione della persona.
Normalità e interferenze, in M. G. Muzj (a cura di), Simbolo cristiano e
linguaggio umano. Per una reintegrazione della teologia simbolica nella
teologia. Secondo Convegno Internazionale Charles André Bernard, Vita e
Pensiero, Milano 2013, pp. 69-75.

la città, la gioia e la carità 245

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melia, trova infatti un antecedente illustre proprio
nello stesso Agostino, che aveva pensato e istruito
il catecheta come un maestro di eloquenza sacra27.
Circa la gioia e la carità nell’annuncio del Vangelo,
vale dunque la pena richiamare sinteticamente la
dottrina di Agostino-catecheta allo scopo di un
confronto ermeneutico dell’insegnamento di papa
Francesco.
Parlando in generale, per Agostino la gioia
è la premessa, la possibilità e l’espressione della
« vita beata », che costituisce la meta di ogni at-
tività umana. E pertanto, nei suoi scritti, la gioia
riveste innanzitutto un importante significato
etico ed esistenziale28. Tuttavia Agostino ci fa
intendere che la gioia autentica non ha una sca-
turigine dall’uomo. Egli mette infatti in guardia
il credente dinanzi a quella gioia, pur legittima,
che deriva dall’uso delle cose del mondo29. Nelle
sue opere, egli però ci invita a guardare altrove.
È il caso del racconto autobiografico circa l’in-
contro a Milano con quell’ubriaco, che spensie-
rato, era in preda all’ebbrezza provocata dal vino.
Dice Agostino: « La gioia del mendicante non era
vera gioia […] certo ha una grande importanza

27 Ci riferiamo qui al IV libro del De doctrina christiana, anche

se è riduttivo considerare tale libro come un trattatello di omiletica.


Cfr. L. Alici (a cura di), Sant’Agostino d’Ippona. La dottrina cristiana,
Paoline, Milano 1989, pp. 39-40.
28
Cfr. O. Michel, Freude, in Reallexikon für Antike und Chri-
stentum 8 (1972) 412-414.
29
Confessioni 10, 28, [39]; Sermo 171,1; de bono coniugali, 16
[18]. Cfr. O. Michel, Freude, 413.

246 vincenzo lombino

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di dove viene la nostra felicità »30. Insomma, la
vera gioia possiede una radice teologica31 e non
psicologica.
Un capitolo particolare spetta però alla gioia
della catechesi, dove essa riveste innanzitutto un
grande valore psicologico e pedagogico32. Ciò che
fa la differenza rispetto a ogni notazione di meto-
dologia della pratica catechetica, è che Agostino
ha tracciato anche in questo caso un percorso
eminentemente teologico alla gioia, anche quan­
do essa appartiene alla psicologia del catechista.
La gioia a cui Deogratias deve dedicarsi è quella
che promana dall’esperienza dell’incontro con
Dio. Essa è congiunta alla carità. Viene da Dio
come amore personale ed è concessa largamente
a coloro che spandono nel mondo il buon seme
del Vangelo:

30 Confessioni VI, 6; anche in Sermo 224, 3, PL 39,2160, in cui

si distingue il gaudium in hoc mundo dal verum gaudium. In merito alle


Confessioni e secondo una recente analisi, l’opera verte tutta sul piacere
e va a fondo nella ricerca introspettiva sulla felicità umana. Cfr. M.R.
Miles, Desiderio e piacere. Una nuova lettura delle Confessioni di Agostino,
Lindau, Torino 20072.
31 La gioia, per Agostino, è un bene. Essa nasce dal possesso o

dal piacere di un valore spirituale o materiale per il quale vale la pena


vivere e consumarsi. Ma la vera gioia è quella spirituale che è assoluta-
mente indipendente dai beni terreni. Cfr. Ep. 264,2. Ma soprattutto è
Dio il possessore della vera gioia, in quanto Creatore (Conf. 4,11 [17]),
in quanto giusto e misericordioso giudice (sermo 91,4), in quanto Verità
che promette e concede beni che danno la vera gioia, la redenzione, la
giustizia e la grazia (En. in Ps. 148,1; 125,6; Contra ep. Parmen. 3,2 [5]).
Cfr. O. Michel, Freude, pp. 412-414.
32
Per completezza di analisi è necessario precisare che il voca-
bolario di Agostino è modulato su una terminologia non monocorde,
poiché, nel De catechizandis, egli parla di gioia, adottando hilaritas, ma
spesso impiega anche il verbo gaudere. Cfr. P. Siniscalco, Sant’Agostino.
Prima catechesi cristiana, p. 157.

la città, la gioia e la carità 247

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« Se Dio, infatti, ama chi dona con gioia i beni
materiali, quanto più amerà chi dispensa con gio-
ia i beni spirituali? Quanto poi al fatto che una tale
gioia sia presente al tempo opportuno, dipende
dalla misericordia di Colui che la raccomanda »33.

La gioia di cui parla l’EG è egualmente quel-


la del dono, di percepirsi amati da Dio e dell’incon-
tro con Lui. Basta al riguardo l’incipit dell’Esorta-
zione: « La gioia del Vangelo riempie il cuore e la
vita intera di coloro che si incontrano con Gesù »
(EG 1). È una gioia donata che si accresce e diven-
ta operante nella missione: « La nostra gioia è
missionaria »34. In quanto donata, non è sforzo
etico del catechista-missionario, ma dipende total-
mente da Dio e pertanto è anche sicura: « La gioia
del Vangelo è quella che niente e nessuno ci potrà
togliere (Gv 16,22) » (EG 84). Essa attira, « segna-
la un orizzonte bello » (EG 14) ed è donata al
momento opportuno « per condurre la fragilità del
nostro popolo verso la gioia evangelica »35.
Da quanto detto, credo tuttavia di indovina-
re che tutti siano d’accordo nel ravvisare la sostan-
za dell’Esortazione concernente la missione-cate-
chesi della Chiesa almeno in due note che
dovremmo tenere come punti fermi per la vita

33
De catechizandis rudibus 2,4.
34
J.M. Bergoglio, In Lui solo la speranza. Esercizi spirituali ai
vescovi spagnoli (15-22 gennaio 2006), Jaca Book - LEV, Milano - Città
del Vaticano 2013, p. 74.
35
J.M. Bergoglio, È l’amore che apre gli occhi, Rizzoli, Milano
2013, p. 261. Le citazioni sono state riprese da A. Spadaro, « Evangelii
Gaudium », pp. 420-422.

248 vincenzo lombino

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della Chiesa dei prossimi anni: l’annuncio gioioso
del Vangelo e la carità come criterio e come pun-
to iniziale, medio e finale di ogni azione missio-
naria. Dice il Papa:
« Io sono una missione su questa terra, e per questo
mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere se
stessi come marcati a fuoco da tale missione di
illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire,
liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il ma-
estro nell’animo, il politico nell’animo, quelli che
hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e
per gli altri » (EG 273).

Mi sia consentito di chiudere, collegando


queste indicazioni di direzione di marcia con la
famosa catena aurea della catechesi di Agostino.
Le parole del Papa, in fondo, aggiornano la bellez-
za della sintesi retorica proposta dal grande Santo.
Egli pensava al cristiano catechista come a un
Cicerone cristiano, un oratore sacro che avrebbe
dovuto perseguire il proposito di insegnare, dilet-
tare e commuovere gli ascoltatori36. La differenza
con l’eloquenza del mondo risiede nella finalità.
Per Agostino, la catechesi mira a cambiare la vita
del credente e a migliorarla infondendo in essa
una salutare tensione tra la ricezione e l’esercizio
della carità divina:

36
« Il nostro oratore, dunque, quando parla di cose giuste e
sante e buone – né potrebbe parlare diversamente –, quando parla così,
per quanto gli è possibile, deve fare in modo di essere compreso dagli
ascoltatori, di riuscire loro gradito, di renderli obbedienti » (De doctrina
christiana IV, 35,32, trad. Manlio Simonetti (a cura di), Sant’Agostino.
L’istruzione cristiana, Mondadori, Milano 2006, p. 301).

la città, la gioia e la carità 249

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« […] grande disgrazia è un uomo superbo, ma più
grande misericordia è un Dio umile. Pertanto, –
dice al diacono Deogratias – dopo esserti proposto
un tale amore come fine a cui orientare tutto ciò
che dici, esponi ogni cosa in modo che chi ti ascol-
ta, ascoltando creda, credendo speri e sperando
ami »37.

37 De catechizandis rudibus 4,8.

250 vincenzo lombino

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INDICE

Introduzione pag. 5 

LA CATECHESI
DALL’EVANGELII NUNTIANDI
ALL’EVANGELII GAUDIUM
Giuseppe Alcamo
 
1. L’Evangelii Nuntiandi
nell’Evangelii Gaudium » 17
2. L’Evangelii Gaudium » 27
 

L’EVANGELII GAUDIUM
E I BISOGNI CONCRETI
DELLA STORIA
Sergio Tanzarella
 
1. Un nuovo modello di evangelizzazione » 55
2. Né occupazione di spazi
né cristallizzazione di processi » 60
3. Il concilio Vaticano II
nella Evangelii Gaudium » 65
4. Cosa comporta accogliere concretamente
la storia » 71
5. Bisogni concreti della storia » 75
6. Fuggire o sperare nella storia » 77
 
 

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LA CHIESA NELLA SUA FEDE,
« FAVILLA, CHE SI DILATA IN FIAMMA »
INDIVIDUALITÀ NELL’UNITÀ
Rosario La Delfa
 
1. Una suggestione tratta da Lumen Fidei pag. 85
 

PER UNA CRITERIOLOGIA


TEOLOGICO-PASTORALE
DELLA DOTTRINA TEOLOGICA
E DELL’AGIRE PASTORALE
Carmelo Torcivia
 
1. Il criterio teologico-pastorale di missione » 114
2. I « criteri ecclesiologici » » 118
3. Il criterio del tradere » 121
4. Il criterio teologico-pastorale
dell’essenziale tra missionarietà
e gerarchia delle verità » 128
 
 
« CRESCERE NELLA FEDELTÀ
ALLO STILE DI VITA
DEL VANGELO »
Antonio Parisi
 
1. Evangelii Gaudium e morale » 139
2. Lo « stile di vita del Vangelo »:
una morale della grazia
e della misericordia » 142
3. Il cristocentrismo dell’annuncio
della salvezza e della morale » 146

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4. La dimensione sociale dell’annuncio
della salvezza pag. 150
5. L’accompagnamento alla crescita » 153
 

PARROCCHIA,
ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI
NELL’UNICA MISSIONARIETÀ
DELLA CHIESA
Luciano Meddi
 
1. Il rinnovamento missionario » 163
2. La prospettiva missionaria
di Evangelii Gaudium » 171
3. La qualità missionaria della parrocchia,
associazioni e movimenti,
soggetti della missione nella chiesa locale » 181
4. La parrocchia missionaria in Italia
e le innovazioni necessarie » 194
 

L’ANNUNCIO EVANGELICO
TRA OMELIA, CATECHESI
E MISTAGOGIA
Ubaldo Montisci
 
1. L’orizzonte della nuova evangelizzazione
e una comunità tutta missionaria » 208
2. Riferimenti all’omelia,
catechesi e mistagogia
nel contesto del XIII Sinodo dei Vescovi » 210
3. Un bilancio complessivo » 224
 

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LA CITTÀ, LA GIOIA E LA CARITÀ
NELLA SIMBOLIZZAZIONE
DELL’EVANGELII GAUDIUM
Vincenzo Lombino
 
1. La città pag. 237
2. La gioia e la carità » 243

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99B 6
L’Evangelii Gaudium è il nuovo programma pastorale
che papa Francesco indica alla Chiesa del terzo millennio.
Attraverso questo documento, il Papa chiede a tutti i
singoli cristiani e alle Chiese locali un ri-centramento
della vita cristiana attorno alla gioia del Vangelo e a
tutte le sue implicanze.
La Facoltà Teologica di Sicilia, coinvolgendo docenti
di diverse realtà accademiche e le Chiese locali dell’Isola,
desidera entrare nella stessa tensione spirituale ed eccle-
siale di Francesco, per dare un apporto di approfondi-
mento e di applicazione di questo nuovo programma,
in modo da promuovere una vita cristiana vissuta nella
gioiosa fedeltà al Vangelo.

Giuseppe AlcAmo ubAlDo montisci


RosARio lA DelfA Antonio pARisi
Vincenzo lombino seRGio tAnzARellA
luciAno meDDi cARmelo toRciViA

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