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I SOFISTI. PROTAGORA E GORGIA.

Col termine "sofisti" vennero indicati, nel quinto secolo avanti Cristo, quegli intellettuali, dotati di vasta cultura
generale, che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso, fatto che appariva scandaloso
alla mentalità aristocratica greca, secondo cui il sapiente doveva essere disinteressato. Tant'è che Senofonte
chiamò i sofisti "prostituti della cultura". Ma furono soprattutto Socrate, Platone ed Aristotele a criticarli.
Ancora oggi il termine "sofista" è sinonimo di maestro di ragionamenti capziosi (ingannevoli), falsi e
artificiosi.
La critica odierna, invece, pur confermando determinati aspetti negativi, ha riabilitato l'importanza storica e
filosofica del movimento sofistico. In effetti, i sofisti hanno operato una vera e propria "rivoluzione
filosofica", spostando l'interesse della filosofia dalla riflessione sulla natura e sul cosmo alla riflessione
sull'uomo e sulla vita sociale. I temi dominanti divennero pertanto l'etica, la politica, la retorica, la lingua, le
leggi, la religione e l'educazione, cioè i temi concernenti, in generale, la cultura dell'uomo, che diedero l’avvio
ad una nuova concezione umanistica nell'ambito della filosofia antica.
Questo nuovo centro di interessi trova origine in un duplice ordine di cause. Da una parte, la filosofia della
natura si era via via esaurita, avendo svolto tutte le riflessioni all'epoca possibili sul tema della ricerca
naturalistica. Dall'altra parte, lo sviluppo della sofistica fu favorito da ampi mutamenti sociali, economici e
culturali che caratterizzarono l'evoluzione della storia greca e consistenti, in particolare, nella crisi della
aristocrazia per l'avvento di istituzioni più democratiche, nella accresciuta potenza della borghesia cittadina
(artigiani e commercianti) contro l'aristocrazia nobiliare terriera, nell'allargarsi dei traffici e dei commerci che
favorì il confronto con la cultura degli altri paesi.
La crisi dell’aristocrazia comportò anche la crisi dell'antica virtù ("aretè") e dei valori tradizionali, facendo
crollare sia la convinzione che virtuosi si nascesse e non si diventasse, sia la concezione di un sapere riservato
ai soli ceti nobiliari. L'avvento della democrazia, praticata attraverso la partecipazione alle assemblee nella
polis, rese particolarmente sentita l'esigenza di imparare l'arte dell'eloquenza e della retorica e di servirsi
dell'abilità discorsiva per esporre efficacemente e far prevalere la propria opinione. In tal modo venne altresì
rivalutata l'importanza dell'educazione e della formazione culturale e civica. La conoscenza ed il confronto con
i diversi usi, costumi e leggi degli altri popoli, con cui grazie ai commerci si venne sempre più a contatto,
contribuì a sfatare il pregiudizio della assoluta superiorità della civiltà greca, che fino ad allora aveva indotto a
considerare le altre popolazioni alla stregua di barbari. Si sviluppò di conseguenza una mentalità più aperta e
cosmopolita ed una nuova consapevolezza del relativismo culturale (=non c'è una cultura superiore, ma varie
culture, differenti e relative secondo lo sviluppo storico e sociale dei vari popoli).
È vero che i sofisti esigevano compensi per i loro insegnamenti, cosa ritenuta scandalosa a causa
dell’aristocratica concezione di un sapere disinteressato. Ma è anche vero che tale atteggiamento era basato
sulla considerazione di un sapere riservato solo a pochi privilegiati, cioè agli aristocratici e a ricchi, che non
avevano problemi economici e che traevano da altre fonti le loro risorse. Un compenso era invece necessario
per consentire ai sofisti di vivere e viaggiare per diffondere i loro insegnamenti anche a favore di altri ceti
sociali.
Per la libertà di spirito e di critica contro i miti, le credenze e i dogmi della tradizione nonché per la fiducia
posta nella ragione umana e nella diffusione del sapere, la sofistica è stata definita come una sorta di
"illuminismo greco", che concorse allo svecchiamento ed alla democratizzazione della cultura, pur non
mancando tra i sofisti profittatori e mestieranti disonesti.
È bene distinguere fra due categorie di sofisti: da un lato, i sofisti della prima generazione, rappresentata da
grandi e celebri maestri (Protagora, Gorgia, Ippia, Antifonte), che perseguirono anche nobili ideali; dall'altro
lato, i sofisti della seconda generazione, chiamati "eristi" (dal greco "eristica", che è l'arte di impostare
ragionamenti al solo scopo di far prevalere la propria opinione anche se falsa o in malafede), i quali condussero
alla crisi e alla degenerazione della sofistica.

Protagora.
Nasce ad Abdera intorno al 490 avanti Cristo. Soggiorna più volte ad Atene, da cui è costretto ad allontanarsi
perché accusato di empietà. È stato uomo di grande fascino intellettuale e di straordinaria eloquenza.
Opere: Le Antilogie (=contrapposizione di differenti ragionamenti sul medesimo argomento); Ragionamenti
demolitori.
La tesi fondamentale e divenuta famosa di Protagora risiede nel principio: "l'uomo è la misura di tutte le cose,
delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono". Il termine misura è da
intendersi come criterio di giudizio e l'espressione vuol dire che il significato delle cose non sta nelle cose
stesse ma dipende dall'uomo, dal soggetto che le valuta. Le cose cioè appaiono diversamente a seconda degli
individui e del loro modo di pensare e di sentire. Ognuno valuta le cose secondo la mentalità individuale e del
gruppo sociale cui appartiene. Se è così, allora è assurdo chiedersi chi di noi ha ragione perché, se le opinioni
sono soggettive e variano, nessuno è nel falso ma tutti sono nel (loro) vero.
Tre sono le principali caratteristiche della filosofia di Protagora:
1. rappresenta una forma di umanismo, in quanto il centro di giudizio sulla realtà è sempre l'uomo;
2. è una forma di fenomenismo, in quanto non conosciamo le cose come sono in se stesse, ma solo come
appaiono a noi ("fenomeno" significa infatti ciò che ci appare);
3. è una forma di relativismo conoscitivo e morale, in quanto non esiste una verità assoluta ed assoluti valori
morali, ma ci sono diversi punti di vista ed ogni verità o principio morale è relativo a chi giudica.
Nella concezione di Protagora è evidente il riferimento polemico al pensiero di Parmenide, per cui la verità,
l'essere, è solo una ed immutabile. Per Protagora invece l'essere, la realtà, cioè la verità e i valori morali, non
costituiscono un sistema unico, valido per tutti e per sempre, trattandosi invece di giudizi, credenze e costumi
relativi e mutevoli a seconda delle persone e dei vari gruppi sociali: le stesse cose possono essere buone per
alcuni o cattive per altri, giuste o ingiuste, vere o false, ecc.
Per Protagora quindi tutto è relativo. Tuttavia egli non conclude affermando che allora non c'è alcun criterio in
base al quale guidare i nostri comportamenti e le nostre scelte. Protagora cioè non perviene ad uno scetticismo
assoluto circa la morale e il fondamento della conoscenza poiché, egli dice, anche se tutto è relativo esiste
tuttavia qualcosa che è più utile, più conveniente e perciò più opportuno. Esiste quindi un criterio di scelta per
determinare il valore di un'opinione o di un comportamento rispetto ad un altro ed è il criterio della maggiore
utilità, non solo per il singolo individuo ma anche per la comunità. Protagora respinge dunque criteri di scelta
ispirati soltanto dall'egoismo individuale, poiché essi devono avere altresì un valore politico-sociale, pur se
non esplicita su quali basi sia possibile riconoscere ciò che è socialmente utile; a tal fine bisognerà attendere il
pensiero di Socrate. Comunque compito del sofista, per Protagora, è quello di farsi propagandista dell'utile, di
modificare cioè le opinioni, mediante l'arte della parola e del discorso, per indirizzarle verso ciò che è utile. Di
conseguenza l'esercizio della retorica è finalizzato anche a scopi politico-educativi. Certo, in tale posizione vi è
anche il rischio di ridurre il sofista a soggetto sfruttato come strumento di potere. Infatti chi nella città e nelle
assemblee stabilisce ciò che è utile se non i gruppi più forti, la classe dominante? Protagora tuttavia non
intendeva prestarsi a tale ruolo, concependo l'utile e le leggi in vista del benessere comune della polis. Solo più
tardi alcuni sofisti della seconda generazione avanzeranno la teoria della legge del più forte, ponendosi al
servizio, riccamente compensato, dei potenti.
Anche in campo politico e morale vale per Protagora la concezione relativistica: i valori politici e morali
variano in relazione al giudizio degli uomini. Ma pure in questo campo, per Protagora, esiste un'opinione
migliore, più conveniente ed opportuna, che è quella orientata verso gli interessi generali della collettività e che
non tiene conto dei particolarismi individuali.
Altresì in campo religioso Protagora è coerente con la sua visione relativistica: "Degli dei -egli dice- non
posso sapere né se sono né se non sono né quali sono". Il che non significa essere ateo, come qualcuno ha
interpretato. Protagora esprime invece il proprio punto di vista agnostico: l'uomo cioè non possiede adeguati
strumenti mentali né per dimostrare né per negare razionalmente l'esistenza di Dio. Da ciò l'accusa di empietà
di cui fu colpito.
Gorgia.
Nasce a Lentini (Sicilia) nel 485 a.C. Muore a Larissa (in Tessaglia), sembra ultra centenario.
Opere: Sul non essere o sulla natura; L'encomio di Elena.
Gorgia è assai più radicale di Protagora. Quest'ultimo giunge a conclusioni relativistiche, Gorgia giunge
invece ad una prima forma di nichilismo (dal latino “nihil”=niente: non credere assolutamente a niente;
niente ha qualche valore). Contro Parmenide dice infatti che:
- l'essere non esiste ed invece nulla esiste: non c'è l'essere perché se è infinito non è in nessun luogo (qui
l'infinito coincide con l'indefinito); non c'è nemmeno il non essere perché se ci fosse conseguirebbe che una
cosa può allo stesso tempo essere e non essere, il che è assurdo;
- anche se l'essere esistesse, esso non potrebbe essere conosciuto, perché non è vero che il nostro pensiero,
come sosteneva Parmenide, è sempre e solo pensiero dell'essere, cioè non tutto quello che noi pensiamo esiste
per il solo fatto che noi lo pensiamo: ci sono infatti cose pensate ma inesistenti, come ad esempio un cocchio
che corra sul mare;
- se pure l'essere fosse conoscibile non sarebbe comunicabile agli altri, perché se anche l'essere si facesse
vedere e percepire dai nostri sensi, non potrebbe comunque diventare comprensibile anche per gli altri
attraverso la sua descrizione da parte nostra dal momento che il nostro linguaggio è inadeguato ad esprimere
compiutamente la complessità dell'essere e della realtà.
Di conseguenza, Gorgia nega la coincidenza fra essere, pensiero e linguaggio proclamata da Parmenide.
Il ragionamento di Gorgia sembra uno scherzo di parole al solo scopo di sbalordire, ma ciò che intende è che la
realtà è ingannevole e che è impossibile pretendere di comprenderne l'essenza profonda e raggiungere
una verità assoluta, così come è impossibile conoscere quell'essere supremo che è Dio. La posizione di
Gorgia, quindi, è di totale scetticismo metafisico, cioè di sfiducia nelle possibilità conoscitive della nostra
mente, soprattutto quando pretende di andare oltre l'esperienza per cogliere la sostanza metafisica, profonda ed
essenziale, della realtà. Quello di Gorgia è la prima radicale critica delle pretese della metafisica, anticipatrice
della filosofia di Kant e di gran parte della filosofia contemporanea.
Emerge in Gorgia una visione tragica della vita e della realtà. Di fronte al sostanziale ottimismo razionalistico
dei filosofi precedenti e soprattutto di quelli successivi (Platone e Aristotele), che vedono la vita e l'essere (cioè
la realtà in generale) sempre guidati dal "logos", dalla ragione, Gorgia ritiene invece che l'esistenza sia
fondamentalmente irrazionale e misteriosa. Per Gorgia le azioni degli uomini non paiono rette dalla logica e
dalla verità, ma dalle circostanze, dalle passioni, dal caso o da un misterioso destino. È questo il senso di
ciò che di Gorgia vuol dire nella famosa opera "Encomio di Elena", dove sostiene che ella fece ciò che fece
solo per volere del caso o degli dei o del destino o perché sopraffatta dall'amore; in ogni caso Elena è
considerata più una vittima anziché colpevole.
Al contrario di Protagora, che diceva che tutto è vero in base ai diversi punti di vista di ogni uomo, Gorgia
conclude dicendo che tutto è falso, che su tutto domina la falsa apparenza e l'illusione. Per Gorgia è
inaffidabile anche la via dell'opinione, della conoscenza sensibile. Egli cerca una terza via, consistente
nell'analizzare ogni
volta la situazione in cui ci si trova per tentare di capire meglio, sia pur in termini relativi, ciò che si deve o non
si deve fare. In tal senso l'uomo può essere aiutato dal progresso delle tecniche, dall'agricoltura,
dall'urbanistica, ecc., ma anche dalle tecniche della politica, ossia le tecniche della convivenza sociale,
mediante le quali trasformare a proprio vantaggio il mondo circostante. Sorge così un nuovo modo di
considerare la storia umana. Anticamente la storia era vista come un regresso da una iniziale e mitica età
dell'oro, quale ad esempio narrata da Esiodo. Gorgia concepisce invece la storia come progresso, cioè come
faticoso, lento, ma costante sviluppo della società mediante la tecnica e le leggi.
Altrettanto nuova è la posizione di Gorgia nei confronti della retorica. Se non esiste una verità assoluta e tutto è
falso non resta allora che la potenza del linguaggio, la forza della parola, che permette il dominio degli stati
d'animo. La parola può essere portatrice di persuasione, di credenza e di suggestione. Da ciò, la celebrazione
della retorica, che è l'arte della parola, l'arte del persuadere. Le tesi di Gorgia sulla retorica hanno stimolato la
riflessione filosofica sul problema del linguaggio, cioè sul problema se l'origine e la natura del linguaggio siano
convenzionali o naturali, ossia se vi sia connessione diretta oppure no fra la parola e la cosa indicata; è derivato
pertanto un vivo interesse per lo studio dell'etimologia delle parole.
Gorgia fu il primo filosofo che cercò di teorizzare il valore anche estetico della parola e l'essenza della
poesia. L'arte, per Gorgia, è come la retorica, perché sa suscitare sentimenti ed emozioni ma, a differenza della
retorica, l'arte non mira ad interessi pratici (persuadere e far prevalere la propria opinione), bensì alla finzione
poetica, ad evocare suggestive illusioni. Sia Platone che Aristotele si richiameranno a questi pensieri, il primo
per negare la validità dell'arte, il secondo per scoprire la potenza catartica (purificatrice) del sentimento poetico.
Mentre i due maggiori sofisti, Protagora e Gorgia, hanno saputo elaborare concezioni significative su un'ampia
varietà di temi filosofico-culturali, gli altri sofisti si sono interessati per lo più a temi settoriali, in particolare
quelli della religione, della natura delle leggi e della politica.
Sulla religione.
Già abbiamo visto che Protagora ha sostenuto una posizione agnostica, affermando l'impossibilità umana di
dimostrare sia l'esistenza che l'inesistenza di Dio.
Per Prodico di Cleo (nato intorno al 470-460 a.C.) gli dei sono la personificazione dell'utile e del vantaggioso:
"Gli antichi consideravano dei, in virtù dell'utilità che ne derivava, il sole, la luna, i fiumi, le fonti e in generale
tutte le cose che giovano alla nostra vita".
Per Crizia (460-403 a.C.), uno dei Trenta tiranni, gli dei sono un'invenzione dei governanti per sottomettere e
ottenere più obbedienza da parte dei sudditi attraverso i precetti religiosi ed il timore degli dei (concezione della
religione come "instrumentum regni").
Sulla natura delle leggi e la politica.
Anticamente le leggi e le norme sociali erano concepite come direttamente derivate dagli dei (concezione
sacrale e religiosa delle leggi). I sofisti proclamano invece l'origine esclusivamente umana delle leggi. Da ciò la
domanda: se le leggi sono solamente opere umana, che cosa obbliga a rispettarle?
Abbiamo già visto che per Protagora e Gorgia l'uomo diventa tale solo entrando in società ed inventando le
tecniche. Ma la società non può esistere senza leggi e senza quella tecnica della convivenza sociale che è la
politica. Quindi le leggi devono essere rispettate perché altrimenti non ci sarebbe la società e quindi l'uomo.
Importante divenne anche il dibattito della corrispondenza od antitesi fra legge naturale e legge umana, cioè la
legge positiva posta dagli uomini, intendendosi invece per legge naturale un insieme di norme immutabili,
valide in ogni paese e in ogni tempo, derivanti dalla stessa natura ed istinto sociale dell'uomo. La legge umana,
o positiva, è quella scritta, emanata dai diversi popoli, mutevole e varia secondo gli usi e costumi di ciascun
popolo.
Per Ippia di Elide (nato intorno al 443 a.C.) vi è contrapposizione e non corrispondenza fra legge naturale e
legge positiva ed è da preferire senz'altro la legge naturale, perché la natura unisce gli uomini al di là dello
spazio e del tempo, mentre le differenti leggi umane dividono e tiranneggiano gli uomini e le popolazioni.
Emerge l'ideale cosmopolita ed egualitario che ha caratterizzato la prima sofistica.
Antifonte di Atene (seconda metà del quinto secolo avanti Cristo) radicalizza la teoria di Ippia, dissacrando le
leggi positive. Egli ritiene vera solo la legge di natura, mentre quella umana è opinabile oppure decisamente
falsa. Accentuando l'ideale cosmopolita ed egualitario, afferma l'uguaglianza di natura fra tutti gli uomini, a
prescindere se nobili o plebei, civili o barbari. Non giunge tuttavia dire in che cosa consista l'uguaglianza tra gli
uomini e quale ne sia il fondamento. Anche in tal senso bisognerà attendere Socrate per avere una soluzione del
problema.
Trasimaco di Calcedonia (nato nel 460 a.C.) ha invece una visione pessimistica delle leggi e della giustizia.
Sono un'illusione perché in natura vale la legge del più forte. Perciò è addirittura giusto, per lui, che le leggi
siano soltanto strumenti di cui si servono i governanti e gli uomini di potere per tutelare i propri interessi e
dominare i deboli.
Anche per Crizia, già citato, le leggi sono soltanto dei paraventi, una maschera, per giustificare e sostenere chi
detiene il potere.
Pure Callicle (V secolo a.C., di cui si sa ben poco) esprime il medesimo concetto mediante un diverso punto di
vista: la legge di natura si identifica col diritto del più forte, mentre le leggi umane, le leggi civili, sono state
inventate dai più deboli per difendersi dai potenti.
La crisi della sofistica: l'eristica.
La crisi della sofistica coincide con la crisi della polis, e di Atene in particolare, nonché con l'estremizzazione
dei principi originariamente innovativi introdotti dai sofisti della prima generazione. La sofistica si ridusse
sempre di più ad "eristica", cioè ad arte artificiosa di ragionamenti costruiti al solo scopo di prevalere
sull'avversario, chiamati "sofismi". La sofistica, divenuta eristica, decadde ponendosi al servizio degli uomini
politici, non quelli più giusti ma quelli più "furbi" ed opportunisti. Anziché aiutare la democrazia aiutò la
demagogia, cioè l'arte di incantare le folle a proprio esclusivo vantaggio e potere personale.

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