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Come risolvere definitivamente il problema delle

muffe, materiali, sistemi e metodi più indicati

Marco Argiolas, Patologo Edile®

La presenza di muffe negli edifici, prevalentemente in quelli ad uso abitativo, rappresenta un rischio
per la salute degli occupanti ed è causa di danni importanti a quanto contenuto nei locali, dai
prodotti alimentari agli arredi e corredi, fino agli indumenti e ad altri oggetti di grande valore
affettivo. Le modalità di prevenzione e correzione delle patologie derivanti dalle muffe in molti casi
sono relativamente semplici da mettere in pratica. In questo articolo impareremo insieme come fare.

Cause ed effetti delle muffe


Le muffe sono dei microrganismi molto resistenti che possono svilupparsi in condizioni estreme, quasi
dappertutto e sono in grado di nutrirsi di numerose sostanze, anche in quantità minime, ampiamente
disponibili in natura. Hanno bisogno di sole tre cose per poter vivere e riprodursi: una superficie sulla quale
insediarsi, una minima quantità di cibo che possono ottenere anche dalla polvere aerodispersa nell’aria e un
livello sufficiente di umidità, oltre all’ossigeno dell’aria essendo degli organismi aerobi.
Possono arrestare i loro processi vitali per tempi anche abbastanza lunghi in assenza di umidità sufficiente,
oppure quando le temperature scendono sotto certi limiti, per poi riprendere vitalità appena le condizioni
ambientali ritornano entro determinati valori.

Fig. 1 – Diagramma che indica approssimativamente la differenza fra la temperatura della superficie e quella
alla quale avviene la condensazione sulla superficie stessa, cioè il punto di rugiada, in funzione dell’Umidità
Relativa dell’aria. Si osserva che all’aumentare dell’RH cioè dell’Umidità Relativa, questa differenza si
assottiglia sempre di più, aumentando il rischio di condensazione. (3)

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In natura sono presenti in tutti i climi e a tutte le latitudini, purché abbiano una quantità sufficiente di umidità
a disposizione. Alcune muffe presenti negli ambienti aridi producono delle sostanze igroscopiche per trarre
dall’aria l’umidità necessaria al loro metabolismo anche quando l’Umidità Relativa ambientale è molto bassa.
Negli ambienti abitativi ci sono alcune specie di muffe che possono svilupparsi in tempi relativamente lunghi,
nell’ordine dei mesi, anche con valori di Umidità Relativa del 65%, su supporti nutrienti come carta, legno,
cuoio e lana. Invece quando l’Umidità Relativa dell’aria in prossimità delle superfici di insediamento è più alta
e prossima alla saturazione, fra il 95 ed il 99%, lo sviluppo diventa molto rapido ed è nell’ordine dei giorni.
Le muffe che possono vivere e riprodursi con bassi valori di umidità sono classificate come “xerofile” mentre
quelle che preferiscono umidità molto alta prendono il nome di “idrofile”.
Poiché l’unico fattore che possiamo controllare per impedire lo sviluppo e la proliferazione delle muffe negli
ambienti è l’acqua, più precisamente l’umidità perché nell’acqua liquida le muffe non possono vivere, tutte
le nostre azioni dovranno orientarsi a ridurre il livello dell’umidità negli ambienti portandole al di sotto dei
valori limite ammessi dalle muffe.
Non possiamo certo privare i nostri ambienti abitativi e lavorativi delle superfici, della polvere, dell’ossigeno
e di tutte le sostanze nutrienti per le muffe, che sono numerosissime. Oltre alla carta, il legno e più in generale
la cellulosa, le muffe si cibano anche di colle, plastiche viniliche, pitture acriliche e di altre sostanze che
neppure immaginiamo.
Un altro accorgimento, utile per impedire lo sviluppo delle muffe sulle superfici, consiste nell’impiego di
materiali non nutrienti e molto basici, sui quali hanno difficoltà ad attecchire. Per esempio, sul calcare il pH
di equilibrio è di circa 10 e le muffe con questi valori di basicità hanno grosse difficoltà a svilupparsi. Però, se
sulle superfici con pH molto alto, si deposita uno strato di polvere o di altro materiale a basso pH e nutriente,
come la polvere, la muffa potrà crescere e riprodursi su questo ultimo strato perché l’ambiente di questi
microrganismi si sviluppa solo fra la superficie dei materiali e fino a pochi decimi o centesimi di mm di
spessore.

Il pH di una soluzione ci indica quanto questa sia acida o basica, può variare da 0 a 14 con il valore neutro di
7 che corrisponde all’acqua distillata. Con il pH da 7 a 14 si hanno soluzioni via via più basiche mentre da 7 a
0 le soluzioni sono progressivamente più acide.

I fattori che favoriscono lo sviluppo delle muffe negli ambienti sono i seguenti:
A. Elevata umidità in corrispondenza delle superfici
che può essere dovuta o a valori molto alti di Umidità Relativa dell’aria, o alla bassa temperatura della
superficie stessa, oppure alla presenza di umidità all’interno del materiale se questo è poroso, ad esempio
legno oppure intonaco. I diversi fattori elencati possono influenzarsi reciprocamente compensandosi in
modo da ridurne gli effetti, oppure agendo sinergicamente in modo da aggravare la situazione rendendo
ancora più facile la crescita delle muffe.
Per esempio, se l’Umidità Relativa dell’aria ambiente è alta, questa tenderà ad essere ancora più alta in
prossimità di una superficie più fredda, fino a raggiungere e superare il valore di soglia che consente lo
sviluppo delle muffe cioè fra il 70 e l’80%. Se invece la superficie anziché essere più fredda dell’aria ambiente
è più calda, in quel caso lo straterello d’aria che si trova al suo contatto avrà localmente un’Umidità Relativa
più bassa.
Un caso più complesso è quello di un materiale poroso con alta umidità al suo interno e non solo in superficie.
In funzione della sua temperatura, l’umidità contenuta all’interno tenderà ad evaporare facendo innalzare
localmente l’umidità della superficie, che diventerà quindi maggiore di quella dell’aria ambiente, anche se la

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superficie è più calda dell’aria, quindi andando in direzione contraria rispetto a quella che porta alla
condensazione.
Si definisce in questo modo l’Umidità Relativa in Equilibrio (ERH) che tiene conto appunto degli effetti sulla
superficie in conseguenza dell’adsorbimento e del desorbimento che avvengono sul materiale costituente il
supporto quando questo è poroso.
Le muffe sono sensibili all’ERH e non alla sola RH (Umidità Relativa) in superficie.
I fenomeni di adsorbimento e di desorbimento che avvengono sulla superficie, possono modificare
sensibilmente il comportamento localizzato del vapore acqueo creando delle condizioni inaspettate che a
loro volta possono inspiegabilmente favorire la formazione di muffe anche quando dal mero calcolo della RH
dovessero risultare dei valori di sicurezza in superficie.
Ciò avviene perché in funzione dei diversi parametri, il valore di ERH risulta maggiore dell’RH, ed è l’ERH a
determinare la crescita della muffa in superficie.
Se un materiale poroso in un determinato istante sta emettendo vapore nell’aria avente un dato valore di
RH, in quel momento l’ERH è superiore all’RH e viceversa.
Riassumendo i concetti esposti per maggior chiarezza, le migliori condizioni per la muffa con riferimento
all’umidità e alla temperatura, sono:
• Elevata Umidità Relativa dell’aria (RH o UR)
• Bassa temperatura della superficie (corrispondentemente maggiore RH)
• Materiale poroso con alta umidità al suo interno (alta ERH)
• Oscillazioni cicliche della temperatura e dell’RH (aumento della ERH per isteresi)
Ne deriva che le condizioni peggiori per la muffa, che in ultima analisi e oltre certi limiti possono renderne
impossibile la formazione, sono le seguenti:
• Bassa umidità relativa dell’aria
• Alta temperatura delle superfici
• Materiale non poroso oppure poroso ma non umido (ERH = RH)
• Massima stabilità della temperatura e dell’umidità senza oscillazioni (ERH = RH)

B. Superfici costituite da materiali nutrienti


I materiali nutrienti più comunemente utilizzati nelle costruzioni sono il legno, la carta, i tessuti, il cuoio e la
lana animale. Questi diventano i primi ad essere aggrediti dalle muffe quando le condizioni ambientali di
elevata umidità e di basse temperature raggiungono i valori di soglia.
È possibile trattare le superfici nutrienti con dei materiali che li rendono non più appetibili per le muffe.
Esistono in commercio dei prodotti liquidi, sostanzialmente degli impregnanti antimuffa, che non hanno
odore e non danneggiano le superfici ma rendono i materiali nutrienti non più aggredibili dalle muffe.
Un’altra alternativa è quella di utilizzare nei punti più sensibili e delicati, cioè dove si ritiene più probabile la
formazione di muffe dei materiali che sono intrinsecamente antimuffa, perché hanno un pH di equilibrio
molto alto, di almeno 10 e non sono in alcun modo nutrienti come gli intonaci e le pitture di calce, il calcio
silicato, le schiume minerali ecc.

Come creare le condizioni per impedire lo sviluppo delle muffe


Il fattore chiave per la corretta gestione dell’edificio atta a eliminare la possibile formazione delle muffe è
l’umidità che dovrà essere mantenuta stabilmente bassa evitando i picchi e le repentine oscillazioni.

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Si consideri che il valore ottimale della UR per l’aria interna è del 50%, sono comunque accettabili i valori
compresi fra il 40 ed il 60%. Nei paesi più freddi come, ad esempio, la Svizzera o il Canada, si considera
ottimale il valore del 40% ammettendo oscillazioni fra il 30 ed il 50%.
Per ottenere i migliori risultati occorre agire su due fronti: ridurre il più possibile la generazione del vapore
all’interno dei locali e favorire al massimo la sua evacuazione.
Le condizioni più efficaci da mettere in atto per impedire la formazione delle muffe riguardano sia la
realizzazione dell’edificio che la sua gestione.

Fig. 2 – La qualità costruttiva dell’edificio e la sua adeguata gestione sono due fattori strettamente
interdipendenti. È possibile che un edificio realizzato in maniera corretta ma gestito male possa dar luogo a
fenomeni rilevanti di muffe e condense, così come una gestione molto attenta ed accurata può far fronte a
diversi errori costruttivi, come ad esempio dei ponti termici molto marcati.

Fattori favorevoli legati alla realizzazione dell’edificio


• Eliminazione totale di qualsiasi infiltrazione di acque meteoriche, che si possono ottenere per mezzo
di adeguata impermeabilizzazione delle coperture, e delle perdite da tubazioni e impianti
• Eliminazione di qualsiasi infiltrazione di aria esterna attraverso l’involucro edilizio
• Eliminazione di qualsiasi esfiltrazione di aria interna attraverso l’involucro edilizio
• Rendere la base dell’edificio impermeabile all’acqua e al vapore provenienti dal terreno
• Rendere le facciate impermeabili all’acqua piovana ma permeabili al vapore in maniera
progressivamente maggiore man mano che si procede dall’interno verso l’esterno, affinché possano
evacuare facilmente l’umidità residuale di costruzione. La permeabilità delle pareti e degli altri
elementi edilizi non ha la funzione di far fuoriuscire il vapore in eccesso prodotto all’interno dei
locali.
• Bassa dispersione di calore ed elevata inerzia termica dell’involucro edilizio, che può essere ottenuta
mediante un adeguato isolamento a cappotto esterno o per mezzo di elementi strutturali come i
blocchi murari isolanti di forte spessore
• Massima attenuazione dei ponti termici, per evitare che vi siano delle superfici localizzate aventi
temperature molto più basse rispetto al resto dell’involucro edilizio
• Utilizzo di materiali aventi superfici non nutrienti con pH di equilibrio elevato come la calce, le lastre
in calcio silicato e le schiume minerali
• Con estrema attenzione, utilizzare dei materiali fortemente igroscopici per gli intonaci interni e per i
rivestimenti, come ad esempio la terra cruda, l’argilla, la calce-canapa, ecc. con la funzione di
“moisture buffering” cioè di attenuazioni dei picchi di umidità.
• Evitare pitture acriliche per gli interni

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• Evitare il cartongesso nelle situazioni di elevata umidità ambientale
• Presenza di impianti o di apparati automatici di ventilazione a funzionamento continuo
• Localizzazione dell’edificio in zona ventilata e soleggiata

Fattori favorevoli legati alla gestione dell’edificio


• Nel regime invernale mantenere adeguati valori di temperatura interna, fra i 20°C ed i 21°C
• Mantenere il più possibile stabile la temperatura, evitare il riscaldamento discontinuo
• Garantire una adeguata aerazione, tramite l’apertura frequente delle finestre, o la ventilazione di
tipo automatico per mezzo di apparati dotati di elettroventole, che dovrà essere il più possibile
continua e ininterrotta
• Limitare al massimo la produzione di vapore in eccesso nell’edificio e dove ciò non sia possibile,
aumentare il tasso di ventilazione
• Mantenere il più possibile i locali puliti eliminando la polvere sulle superfici

Le indicazioni di legge impongono al progettista di verificare l’assenza di formazione di condensa superficiale


con i parametri dell’aria interna del 65% di UR e di 20°C di temperatura nel regime invernale.
In queste condizioni la condensa si forma a partire da temperature inferiori a circa 13°C.
Le norme tecniche invece, la UNI 10350:1999 e la UNI EN ISO 13788:2003 prevedono oltre al controllo delle
prestazioni igrotermiche, rischio di condensa superficiale e interstiziale, anche la verifica del “rischio muffa”,
cioè il calcolo con l’Umidità Relativa in superficie dell’80%, che avviene intorno ai 16°C circa.

Altri fattori determinanti


La cappa della cucina deve essere obbligatoriamente collegata con l’esterno per mezzo di una apposita
tubazione, per poter evacuare correttamente sia i vapori di cottura che i fumi di combustione; infatti, ciò è
prescritto dalla norma UNI-CIG 7129 che riguarda la sicurezza degli impianti a gas. Molto spesso invece, la
cappa funziona solo a ricircolo interno e non evacua all’esterno né i vapori di cottura e neppure i fumi di
combustione.
Aumenta perciò l’umidità interna nei locali a causa della non corretta evacuazione e si incorre nel rischio di
accumulo di ossido di carbonio nel caso di combustione difettosa del gas. Anche se si utilizza un sistema a
piastra elettrica nella cucina, è sempre necessario che la cappa possa evacuare all’esterno almeno i vapori di
cottura, in alternativa occorre realizzare in alto un apposito foro di aerazione.
Il mancato collegamento della cappa con l’esterno, in molti casi è responsabile di un buon 30% dei problemi
di umidità eccessiva negli edifici ad uso abitativo.

La caldaia a gas che fornisce l’acqua calda sanitaria nelle abitazioni, chiamata anche scaldabagno a gas, può
avere un ruolo inaspettato ma determinante nella prevenzione della muffa in casa.
Gli apparati di combustione di tipo B sono quelli più datati, che prelevano l’aria comburente dai locali ed
emettono i fumi di combustione all’esterno tramite un’apposita tubazione di scarico. L’aspirazione dell’aria
comburente, sia a tiraggio naturale che a tiraggio forzato, genera come effetto secondario, molto utile per
ridurre l’umidità, un ricambio dell’aria interna dovuto appunto alla portata d’aria necessaria per la
combustione del gas.
Quando nelle abitazioni si sostituisce la vecchia caldaia a gas di tipo B con una più moderna di tipo C, cioè
stagna che è indipendente rispetto al locale dove viene installata, questa preleva l’aria comburente

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dall’esterno ed emette i fumi di combustione sempre all’esterno. In questo caso viene a mancare quella
portata di ricambio dell’aria interna che prima veniva assicurata dalla caldaia di tipo B.
Questa semplice sostituzione della caldaia può essere responsabile della variazione del valore di equilibrio
dell’Umidità Relativa dell’aria interna di circa il 10%.
Frequentemente, la sola sostituzione della caldaia a gas da una di tipo B a una nuova di tipo C, diventa la
causa di insorgenza di problemi di muffa anche molto consistenti.

Fig. 3 – La sola sostituzione di un vecchio scaldabagno a gas di tipo B con uno stagno di tipo C a parità di altre
condizioni, può modificare il valore di equilibrio dell’UR dell’aria interna anche del 10%.

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Il vespaio aerato, nonostante venga considerato vantaggioso o addirittura necessario per eliminare o almeno
per limitare gli apporti indesiderati di umidità provenienti dal terreno che penetrano nell’edificio, in realtà
non ha alcuna utilità pratica.
Si tratta di una tecnica ormai desueta, adottata quasi esclusivamente in Italia che veniva impiegata in passato,
quando non erano disponibili oppure erano troppo costosi gli altri sistemi di impermeabilizzazione e di
protezione dell’umidità dal terreno. Oggi invece è possibile impiegare un’ampia varietà di materiali e di
tecniche costruttive, molto più sicure, efficaci e meno costose rispetto ai vespai aerati. In alcune situazioni il
vespaio aerato può causare anche un incremento di apporti sia di umidità che di pericoloso gas Radon
all’interno dei locali (4).

Fig. 4 - Questa e la più frequente modalità di realizzazione del vespaio nelle costruzioni nuove. L’umidita del
terreno non può in nessun modo trasferirsi al muro o al pavimento, perché c’è una separazione fisica fra i due
elementi: il cemento armato da una parte e il vespaio dall’altra. La funzione del vespaio può essere sostituita
da un semplice telo impermeabile. Tuttavia, la migliore protezione in assoluto dall’umidita del terreno è la
platea di cemento armato. Se al posto del vespaio si realizza una platea, la diffusione verticale dell’umidita e
ugualmente impedita. Si ottiene però l’enorme ulteriore vantaggio di evitare la vasca di accumulo costituita

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dai volumi vuoti e di mettersi al sicuro dai pericolosi fenomeni di sifonamento nel caso di costruzioni interrate,
oltre agli indubbi vantaggi, anche di resistenza sismica, dovuti alla monoliticità della struttura. (2)

Bibliografia
ANIT: Muffa, condensa e ponti termici (1)
Argiolas M.: Umidità domestica, cause, effetti, soluzioni (2)
Australian Building Codes Board: Condensation in Building (3)
Building Science Corporation (4)

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