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Vittorio Alfieri

Vita
Vittorio Alfieri nasce ad Asti il 16 gennaio 1749. Il padre, il conte Antonio Alfieri di Cortemila, muore in
quello stesso anno e la madre, la nobile savoiarda Monica Maillard di Toirron, si risposa con Giacinto
Alfieri. Nel 1758 Vittorio viene arruolato nell’esercito con il grado di porta-insegne del reggimento di Asti.
Completa la sua formazione con una lunga serie di viaggi che si protranno fino al 1772. Oltre alle consuete
tappe di Milano, Firenze e altre città europee, il suo giro si allunga fino in Scandinavia, sul Baltico ghiacciato
e a San Pietroburgo: Vittorio rivela una singolare irrequietezza che, in questa prima fase della sua vita, si
alterna a lunghi periodi di noia, ozio e malinconia. Nel 1772 ritorna finalmente a Torino.
Nel 1774 scrive la prima redazione di un’opera teatrale, una tragedia sulla morte di Cleopatra. Nel giungo del
1775 l’Antonio e Cleopatra viene rappresentato al teatro Carignano di Torino e ottiene un buon successo del
pubblico. Conscio dei propri limiti culturali e linguistici, inizia lo studio dei classici italiani e latini. Nel
1778 decide di liberarsi da questi vincoli e si “spiemontizza” donando tutti i suoi beni alla sorella Giulia in
cambio di una cospicua rendita.
Conosce a Firenze Luisa Stolberg, contessa d’Albany, moglie del pretendente al trono d’Inghilterra Carlo
Stuart, e se innamora. Alfieri si legherà a questo “degno amore” per il resto della vita. Frattanto nel 1783 a
Siena vengono stampati dall’editore Pazzini il primo e il secondo volume delle sue tragedie, il terzo è del
1785
Nel 1786 Alfieri si trasferisce a Parigi con la contessa d’Albany. Qui Alfieri assiste di persona ai primi
eventi della Rivoluzione francese, accoglie con entusiasmo lo sviluppo dei moti rivoluzionari e scrive un’ode
in cui si celebra la presa della Bastiglia. Quando comprende la ferocia e la determinazione della folla
parigina nel rovesciare il sistema dell’Ancien règime muta opinione sulla natura libertaria dei rivolgimenti
politici e sociali francesi. La Parigi rivoluzionaria gli appare ora come un “fetente ospedale che riunisce gli
incurabili e i pazzi”. Nel 1792 fugge dalla Francia insieme alla Stolberg, e i due si trasferiscono
definitivamente a Firenze. Di fronte all’avanzata delle truppe francesi, Alfieri reagisce chiudendosi in una
riservata solitudine e dedicandosi allo studio del greco e alla traduzione dei classici. Affida i suoi sferzanti
giudizi politici a un violento prosimetro antifrancese, rifiutando di riconoscere nel Regno d’Italia l’embrione
della liberà e dell’unità nazionale a cui aveva dedicato tanta parte della sua opera letteraria. Muore a
Firenze nel 1803.
Fra il 1806 e il 1808 la Soltberg e alcuni intimi amici curano la pubblicazione postuma di varie opere, tra
le quali alcuni esperimenti in stile comico, un libro di Rime e la redazione definitiva della sua autobiografia,
la Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso.

Il pensiero e la poetica
L’impegno letterario di Alfieri si svolge quasi per intero nell’ultimo quarto del XVIII secolo, in un’epoca che
vede il lento ma costante declino degli ideali dell’Illuminismo e in cui iniziano a formarsi i primi elementi
della sensibilità romantica. In questo periodo di trapasso si inquadrano agevolmente la vita e l’opera di
Alfieri: viaggiatore inqueto, pensatore razionale e sensista, poeta malinconico e spirito sdegnoso e
solitario.
Contro la tirannide: Le idee politiche di Alfieri sono fissate nei due libri del trattato Della tirannide,
scritto nel 1777. Il libro propone un’analisi stringata e vibrante dei fondamenti della tirannide: la paura
reciproca tra sudditi e tiranno, l’esercito, la nobiltà e la religione. Il secondo libro tratta della vita sotto la
tirannide. Un popolo da lungo tempo assoggettato a un governo oppressivo non è capace di rendersi conto
della propria schiavitù; per questo motivo Alfieri si rivolge ai “pochissimi uomini virtuosi e pensanti” e
consiglia loro di vivere con una prudenza che non sconfini in viltà. Solo in casi stremi di offesa privata un
singolo cittadino potrebbe giungere al tirannicidio, visto come un atto etico e personale più che come il
primo passo verso l’instaurazione di una repubblica. Soltanto una generale presa di coscienza del popolo sul
proprio stato di servitù potrebbe definitivamente rovesciare un tiranno.
Letteratura e potere: il secondo trattato di Alfieri, Del principe e delle lettere, iniziato nel 1778 ma
terminato molti anni dopo, è dedicato al rapporto fra cultura e potere. L’opera si divide in tre libri. Nel
primo libro Alfieri sostiene che il principe deve proteggere le arti e le lettere per controllarle. Nel secondo
afferma che il letterato deve essere indipendente, perché il fine ultimo della sua ricerca è la verità e sulla
strada della verità non possono esserci ostacoli. Nel terzo libro dimostra la superiorità delle lettere sulle arti
e sulle scienze, perché queste ultime per fiorire hanno bisogno di denaro e protezione, e di conseguenza sono
sottoposte al controllo del finanziatore o del committente. Il compito di tenere alta la fiaccola della libertà è
affidato a quei pochi uomini che per condizione economica, dignità familiare, capacità di “forte sentire” e
di concepire progetti ambiziosi possono rimanere immuni dal contagio della tirannide e ribellarsi. Nessun
affidamento può essere fatto sul popolo “sepolto nei pregiudizi”. Il suo fiero disprezzo per gli esiti della
Rivoluzione francese non è che la conseguenza dell’astrattezza della sua visione politica.
In un contesto storico ostile e dominato dalle tirannidi, agli uomini liberi rimane aperta solo via della
letteratura. Ancora una volta la riflessione di Alfieri ha un risvolto aristocratico: i veri letterati sono per
necessità molto pochi, una ristretta èlite di spiriti elevati mossi da una sorta d’impulso naturale che li spinge
a primeggiare, a superare i propri limiti e a desiderare ardentemente la gloria.

LA VOCAZIONE TRAGICA
La scelta di Alfieri di dedicare la maggior parte della propria attività poetica alla scrittura di tragedie non
deve sorprendere, dal momento che la tragedia è sempre stata considerata il genere letterario più nobile,
strumento privilegiato per esprimere i sentimenti e le passioni più elevate. Nel corso del Settecento lo
spazio tragico sulle scene era stato lentamente ma definitivamente conquistato dal melodramma, che aveva
ottenuto un enorme successo unendo le trame e i temi della tragedia classica, in genere piegati verso un lieto
fine, alla musica e agli sfarzosi apparati scenici del teatro musicale. In un contesto simile Alfieri si propose
di dare all’Italia il grande poeta tragico che essa non aveva mai avuto.
Se con le sue tragedie Alfieri punta a instillare negli animi profondità di sentimento ed elevate virtù civiche
e morali, d’altro canto egli si rende ben conto del fatto che in un contesto politico lacerato e asservito le sue
opere non possono che rivolgersi a un pubblico ancora di là da venire: sono opere per i posteri più che per i
contemporanei.
La mancanza in Italia di un pubblico pronto ad apprezzare i valori letterali e civili della tragedia era anche la
conseguenza di una vita teatrale quasi esclusivamente centrata sul dramma musicale e sulla commedia. Le
compagnie teatrali erano composte da attori spesso molto espressivi ma poco colti. Per la riuscita di un
teatro come quello alfieriano, basato più sulla parola che sull’azione, la mancanza di buona compagnia di
attori tragici doveva costituire un ostacolo insormontabile. Egli era infatti consapevole che la riuscita del
testo teatrale si misurava principalmente sulla scena, e non sulla pagina scritta.
Dietro all’esaltazione di personalità a tutto tondo si legge anche il disprezzo di Alfieri per i suoi
contemporanei e per lo spirito del tempo, disprezzo che viene espresso chiaramente in una produzione
comica e satirica sostanziosa, anche se poco riuscita dal punto di vista poetico.
LE TRAGEDIE
La poetica teatrale di Alfieri è di stampo classicistico. Le sue tragedie rispettano i principi dettati dalla
tradizione del genere: divisione in cinque atti; sostanziale rispetto delle unità aristoteliche di tempo, luogo
e azione. Le principali novità vanno nella direzione della semplicità e dell’asciuttezza, rifiutando espedienti
teatrali quali le agnizioni e i colpi di scena. La stessa ricerca di semplicità permette allo spettatore di
concentrarsi sull’elemento centrale delle tragedie: la rappresentazione dei conflitti che oppongono i
personaggi.
Al centro delle prime tragedie si staglia la figura del tiranno, l’uomo che spinto dalla brama insaziabile di
potere dimentica la propria umanità. Le tragedie successive permettono ad Alfieri di trattare il tema del
potere in tutta la sua complessità umana. Si trova inoltre lo spazio per il personaggio positivo, l’eroe che si
contrappone al tiranno per portare la libertà.
Contemporaneamente alla stesura del trattato Della tirannide Alfieri elabora e porta a compimento alcune
tragedie di argomento quasi esclusivamente politico, che egli stesso definisce “tragedie della libertà”. è
indicativo della profonda ammirazione per il mondo classico che le due opere ambientate nell’antichità
abbiano una conclusione positiva. Alfieri si dedica anche ad altre tragedie ordite su trame affini, di
argomento romano (Bruto I e II) greco (Agide, Merope) e medioevale (Rosmunda), ma raggiunge esiti più
alti con due opere in cui l’attenzione è concentrata sulla tormentata psicologia dei personaggi: il Saul e la
Mirra.
Il Saul
Ideata. Stesa e verseggiata nel 1782 il Saul è l’unica tragedia alfieriana tratta da un soggetto biblico. La
scena si svolge sul campo di battaglia di Gelbobè, che vede opposti Ebrei e Filistei. Il vecchio re d’Israele
Samul ha disubbidito al volere di Dio e dei sacerdoti risparmiando la vita a un nemico sconfitto. Il profeta
Samuele unge David come nuovo re d’Israele. Saul si sente minacciato dal carisma di David e decide di
bandirlo come traditore. La tragedia si apre con David che dichiara la sua lealtà al re e gli offre la sua
spada in battaglia. Saul ascolta le preghiere e lo riaccoglie al suo fianco: la mente dell’anziano re è però
minata dall’insicurezza, dal timore e dalla follia. Sconvolto da sogni e visioni, temendo una congiura ai suoi
danni, rivolge ancora la sua ira contro David, che è costretto a fuggire. Tuttavia, di fronte alla completa
disfatta, in un ultimo empito di lucidità e orgoglio. Saul si toglie la vita per preservare la propria dignità
reale.
Saul è certamente uno dei personaggi meglio riusciti del teatro di Alfieri: riassume infatti nel suo conflitto
tutti i temi principali dell’opera alfieriana, è oppressore, perché sospetta ingiustamente di David, ma al
tempo stesso è vittima della terribile collera del Dio biblico.
La Mirra
Il culmine della focalizzazione sul conflitto interiore di un solo carattere esemplare è raggiunto nella Mirra.
Il tema è tratto dalla mitologia, anche se da una fonte inconsueta come le Metamorfosi di Ovidio.
Mirra, promessa sposa di Pereo, è ossessionata da una passione segreta nei confronti del padre Ciniro, re di
Cipro, e spera ingenuamente di soffocare la passione incestuosa sposando Pereo. Tuttavia, durante le nozze
la sua ossessione la fa delirare e nel delirio mostra chiaramente di non gradire il marito. Pereo disperato si
suicida. Ciniro incalza la figlia, che solo alla fine dell’ultimo atto pronuncia la sua dichiarazione d’amore
verso il genitore, lasciandolo muto e sconvolto. Dopo aver confessato la propria empietà Mirra si suicida
scagliandosi sulla spada del padre.
Il dramma della giovane donna è amplificato a dismisura anche dal distacco che la separa dagli altri
personaggi, poiché la sua solitudine non è dovuta alla malvagità altrui: Mirra si isola spontaneamente per
nascondere una passione abominevole. La strenua lotta per reprimere questo sentimento innaturale viene
rappresentata in uno spazio intimi, intimo, psichico. La rivelazione conclusiva, ritardata e reticente, giunge
insieme come una liberazione e come la catastrofe che accelera la fine del dramma.
La lingua del teatro alfieriano: Uno dei problemi più difficili che si poneva ad Alfieri nel suo tentativo di
rifondazione del teatro tragico in Italia era la ricerca di una lingua e di uno stile adeguati. Alfieri forma la sua
lingua sui classici della tradizione italiana, soprattutto Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. La chiave di volta
della rivoluzione alfieriana sarà dunque il recupero degli elementi della tradizione piegati a nuove
esigenze estetiche. Fra le sue mani l’endecasillabo sciolto. Anche il lessico recupera le forme della
tradizione poetica alta ma le rivitalizza con accostamenti inconsueti e con antitesi, organizzate in figure di
posizione, come chiasmi, iperbati e anastrofi.

Il romanzo di una vocazione letteraria: La Vita

La Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso stesso si inserisce nella fortuna letteraria del genere
autobiografico della seconda metà del Settecento ma presenta caratteri del tutto peculiari che la fanno
apparire come una delle opere in prosa più rilevanti del secolo, realizzata come la storia di una vocazione
letteraria e uscita postuma nel 1806. La prima delle due parti dell’opera comprende gli avvenimenti dalla
nascita al 1790, suddivisi in quattro “epoche” corrispondenti alle quattro età dell’uomo: Puerizia,
Adolescenza, Giovinezza, Virilità. La seconda parte aggiorna la narrazione fino al tempo della scrittura e si
presenta come la continuazione della quarta epoca.
Le tappe di un cammino verso la letteratura: Alfieri si dedica a costruire la propria vita individuando a
posteriori gli elementi premonitori della sua futura carriera letteraria, gli episodi rivelatori della sua
indole ma anche i traviamenti di una vita fatta di noia e di ignoranza. La penna dello scrittore maturo si
sofferma allora su alcuni episodi della Puerizia, inconsistenti per se stessi, ma in qualche misura anticipatori
di un carattere appassionato. L’Adolescenza fornisce il deprimente ritratto di un giovane aristocratico
sottoposto a un percorso di “non studi” e “ineducazione”, che ne mortifica gli interessi culturali e lo abitua
solo alla frivolezza e all’ozio.
L’epoca più movimentata e romanzesca è senza dubbio la Giovinezza, in cui sono narrati “circa dieci anni di
viaggi e dissolutezze”. Alcuni paesaggi naturali, inconsueti e sublimi nella loro potenza, fanno breccia nel
suo animo sensibile e nella monotonia di una vita dissipata; allo scrittore ormai anziano che ritorna a essi con
la memoria si presentano come occasioni poetiche perdute e inespresse per mancanza di strumenti letterari
adeguati. Nel racconto dei suoi viaggi più volte Alfieri esprime giudizi sulle forme di governo dei paesi che
attraversa: è molto critico sulle maggiori monarchie illuminate del tempo, mentre apprezza la monarchia
costituzionale inglese
Un ritratto per i posteri: Solo con la quarta epoca, la Virilità, a seguito della conversione letteraria e della
stabile relazione on Luisa Stolberg, ha inizio la carriera poetica di Alfieri. L’ultima parte della Vita si
presenta come un diario artistico, che ripercorre le tappe della “ri-educazione” letteraria, basata sullo
studio dei classici. Il prolungamento della Virilità, redatta a poche settimane dalla morte, contribuisce a
delineare un ritratto di Alfieri isolato e solitario, che trascorre a Firenze, l’ultima parte della vita dividendo il
suo tempo tra la rielaborazione delle proprie opere, sempre più pervaso da sentimenti antifrancesi.
Gli aspetti più interessanti e innovativi dell’autobiografia alfieriana devono essere cercati nella narraione dei
primi anni di vita, ricca di penetranti intuizioni psicologiche e curiosi aneddoti; nella descrizione dei viaggi
per l’Europa, delle burrascose relazioni amorose e così via. Da ultimo è da notare la scrittura brillante,
sintatticamente varia ed efficace, con un lessico in bilico fra espressivi arcaismi e sorprendenti neologismi.

Vita scritto da esso, vol.1, cap IV “L’infinito di Marsiglia”

Contest Alfieri appena diciasettenne inizia il suo primo viaggio: nel giro di due anni visiterà le
o maggiori città italiane, la Francia, l’Inghilterra e l’Olanda. Nella primavera del 1767
lascia l’Italia e arriva a Marsiglia. Questo brano testimonia l’acuta sensibilità del
giovane viaggiatore per i paesaggi naturali, specie per gli spazi sconfinati e solitari, e
l’irrequietezza che lo spinge a spostarsi freneticamente da un luogo all’altro.
Metrica Prosa

Temi Nel corso dei suoi viaggi Alfieri viene affascinato dalle manifestazioni della natura che
ispirano il sentimento del “sublime”, un senso di smarrimento accentuato dalla
condizione di solitudine. L’angoscia e lo smarrimento, trasposti all’interno della
coscienza, animeranno anche il dramma di molti eroi tragici alfieriani. Le “immensità”
del cielo e del mare, le sconfinate foreste scandinave.
L’aspetto culturale del viaggio, però, è messo da Alfieri in secondo piano; ai
monumenti ae alla vista delle città vengono preferiti gli spazi aperti e i continui
spostamenti in carrozza e a cavallo. La frenesia del viaggio è il corrispettivo fisico e
spaziale dell’irrequietezza interiore, costantemente pungolata dalla noia e dalla
malinconia da cui il poeta si dichiara perennemente afflitto.
Stile

Le Rime

Uno scrittore come Alfieri, incline all’autobiografia tanto da sfiorare a tratti il narcisismo, non poteva non
cimentarsi con il genere poetico tradizionalmente dedicato all’espressione dell’io: la lirica. La produzione
poetica affiancherà continuamente la scrittura drammatica e la meditazione politica, fino a cristallizzarsi in
un volume di Rime. Le rime, ordinate per genere metrico e costituite prevalentemente da sonetti, formano un
accurato diario in versi, in cui ogni poesia è accompagnata dalla data di composizione e da una nota
sull’occasione che l’ha ispirata. Il tema centrale della raccolta è quello amoroso, ma l’amore è solo uno degli
stimoli che permettono all’autore di sondare il proprio animo e di esprimere la propria individualità
drammatica ed eccezionale.
Il modello linguistico e stilistico è Petrarca, ma l’armonia del petrarchismo arcadico viene messa da parte a
favore di un’energia interna che percorre i versi con enjambement e clausole del tutto nuove.

Le Rime, “Tacito orror di solitaria selva”

Contest Il manoscritto riporta l’indicazione della data e del luogo in cui il sonetto fu concepito.
o Il dato biografico, di per sé non necessario per comprendere la poesia, serve a
sottolineare l’importanza dell’esperienza personale nella creazione poetica, sempre più
espressione della psicologia individuale
Metrica Sonetto con rime ABBA ABBA CDC CDC

Temi Al centro delle Rime alfieriane è l’io dell’autore, che filtra attraverso la sua
soggettività gli elementi del paesaggio esterno e i giudizi sulla società umana. La
natura non ha valore di per sé, non è la madre benefica che consola i suoi figli o il
luogo della perfezione idilliaca: è solo un riparo dalla meschinità degli uomini e dalla
decadenza del tempo. Il poeta è isolato a causa della sua eccezionalità: dichiara di non
sentirsi superiore ma ritiene di esser l’unico che percepisce in maniera insopportabile la
tirannia che domina il secolo
Stile La lingua poetica di Alfieri deriva in larga parte dall’esempio di Petrarca, ma nella
visione di una natura piegata a esprimere gli stati d’animo personali si può leggere
un’anticipazione del sentimento romantico del paesaggio. Il sonetto rielabora
formule e sintagmi petrarcheschi, ma la tensione espressiva viene mantenuta alta con
elementi di sapore dantesco.

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