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STVDI MEDIEVALI

SERIE TERZA

Anno LX - Fasc. II

2019

FONDAZIONE
CENTR O ITALIA NO DI S T U DI
SULL’ALTO MEDIOE VO
SP OLETO
STUDI MEDIEVALI
Autorizzazione n. 14 del 9 settembre 1960 del Tribunale di Spoleto

Direttore: Enrico Menestò

Redazione: Ermanno Arslan, Paolo Cammarosano, Antonio Carile,


Guglielmo Cavallo, Giuseppe Cremascoli, Carla Falluomini, Paolo
Grossi, Massimo Montanari, Antonio Padoa Schioppa, Adriano
Peroni, Giuseppe Sergi,Francesca Romana Stasolla, Francesco Stella

Segreteria di redazione: a cura di Francesca Bernardini

ISBN 978-88-6809-262-7

© Copyright 2019 by « Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo »


Spoleto.

In adeguamento alle norme internazionali la Rivista ha fatto proprio il sistema


di accettazione dei saggi attraverso il ricorso sistematico ai referee. I referee
rimangono rigorosamente anonimi e sono scelti dalla Fondazione CISAM
tra gli studiosi italiani e stranieri maggiormente competenti per i soggetti
specifici degli articoli da esaminare.
Manoscritti e libri per recensione alla Direzione-Redazione: Studi Medievali,
palazzo Racani Arroni, via dell’Arringo - 06049 Spoleto (Pg).
studimedievali@cisam.org
Abbonamenti e vendite alla Fondazione Centro italiano di studi sull'alto me-
dioevo, palazzo Racani Arroni, via dell’Arringo - 06049 Spoleto (PG)
cisam@cisam.org
SOMMARIO DEL FASCICOLO

Luigi Provero Società contadina e giustizia regia nell’Italia


carolingia ..................................................................... pag. 501
RICERCHE
Pierpaolo Bonacini, Matilde e Irnerio. Origini e persistenze di
un’immagine medievale .................................................. » 533
Giuseppe Caputo, «Et in aliis multis regionibus publica vox
et fama». Dinamiche cultuali nelle raccolte di miracoli di san
Ludovico di Tolosa ......................................................... » 571
NOTE
Andrea Ghidoni, Pratiche arcaiche nelle letterature medievali:
note di poetica storica a partire da alcuni modelli culturologici .. » 601
Pietro Delcorno, Quaresimali ‘visibili’: il serafino, il guerriero,
il pellegrino ................................................................... » 645
EDITI ED INEDITI

Francesco Salvestrini, I volgarizzamenti italiani della regola


di san Benedetto ad uso delle religiose. Intorno al codice
vallombrosano Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, N. A.
1371 (anno 1502) ............................................................. » 689
vi sommario del fascicolo

DISCUSSIONI
Ernesto Sergio Mainoldi, I problemi critici del Periphyseon
di Giovanni Scoto Eriugena alla luce delle due recenti edizioni-
traduzioni italiane .......................................................... pag. 735
Magdalena Maria Kubas, La lauda spirituale e i moduli
litanici .......................................................................... » 771

LETTURE E CONGETTURE
Maria Rosaria Marchionibus, Le storie di santa Cecilia nella
chiesa di Santa Maria Assunta de’ Carpinelli tra manifesto
politico e devozione ......................................................... » 787
Luca De Angelis, Sir John Fortescue e l’utrumque ius. Un
riesame .......................................................................... » 813

IN MEMORIAM
Claudio Buccolini, Tullio Gregory, un ricordo ....................... » 849

RECENSIONI ................................................................ » 873

M. Mingardi - M. Padovan - N. Sansone, Il Medioevo. I luoghi, i protagonisti, gli


strumenti, la scrittura e le immagini (L. Albiero), p. 873; S. Romano e M. Tomasi (cur.),
Per Enrico Castelnuovo. Da Losanna, le vie della storia dell’arte (M. Orsero), p. 875; T.
Shawcross and I. Toth (eds.), Reading in the Byzantine Empire and Beyond (G. Ca-
vallo), p. 883; M. E. Cortese, L’aristocrazia toscana. Sette secoli (VI-XII) (L. Tabarrini),
p. 888; F. Veronese (cur.), Giona D’Orleans, Istruzioni di vita per laici (I. Volpi), p.
897; N. Zorzi - A. Berger - L. Lazzarini (cur.), I tondi di Venezia e Dumbarton Oaks.
Arte e ideologia imperiale tra Bisanzio e Venezia / The Tondi in Venice and Dumbarton
Oaks. Art and Imperial Ideolology between Byzantium and Venice (G.Vespignani), p. 901;
R. Zagnoni (cur), L’Abbazia di San Salvatore della Fontana Taona nel Medioevo (T.
Carrafiello), p. 909; T. De Angelis (cur.), Pietro da Eboli, De Euboicis Aquis (F.
Soffientino), p. 914; T. Leonardi e M. Rainini, Ordinare il mondo. Diagrammi e simboli
nelle pergamene di Vercelli (A. Jori), p. 921; F. Accrocca, Sulla via di Francesco. Saggi e
discussioni sugli scritti e le agiografie francescane (G. Cremascoli), p. 925; N. Bériou, Re-
ligion et communication. Un autre regard sur la prédication au Moyen Âge (C. Delcorno),
p. 932; V. Formentin, Baruffe muranesi. Una fonte giudiziaria medievale tra letteratura e
storia della lingua (M. Buzzoni), p. 940; M. Camiz, La saga islandese di san Benedetto
(A. Maraschi), p. 944; M. Cometa, Il Trionfo della morte di Palermo. Un’allegoria
della modernità (F. Soffientino), p. 947; F. Elsig, Antoine de Lonhy (G. Saroni), p. 949; T.
sommario del fascicolo vii

Brero, Rituels dynastiques et mises en scène du pouvoir. Le cérémonial princier à la cour de


Savoie (1450-1550) (G. Saroni), p. 953; D. Solvi, Il canone agiografico di San Bernardino
(post 1460) (M. Papasidero), p. 958; E.Tonello, L’altra poesia. Arte giullaresca e letteratura
nel Basso Medioevo (M. Saraceni), p. 960; G. De Angelis, «Raccogliere, pubblicare,
illustrare carte». Editori ed edizioni di documenti medievali in Lombardia tra Otto e Nove-
cento (G. Fiesoli), p. 965.

NOTIZIE DEI LIBRI RICEVUTI ................................. pag. 971


Abbiamo inoltre ricevuto ........................................................ » 1035
I libri della Fondazione CISAM .............................................. » 1074
I libri della SISMEL - Edizioni del Galluzzo ............................... » 1080

A cura di: A. Aviñó de Pablo, F. Berno, A. Bisanti, M. Campopiano, F. Canaccini, T.


Carrafiello, M. Cerno, M. Conti, C. Crialesi, F. Delle Donne, P. Golinelli, C. Lago-
marsini, C. La Martire, D. Melo Carrasco, L. Paganelli, G. P. G. Scharf, A. Schoysman,
F. Soffientino.

Si parla di: F. Accrocca, G. Agosti - D. Bianconi, R. Aist, G. Albanese - P. Pontari, J.


Albarrán Iruela, L. Albiero - I. Draelants, A. Alessandrini, M. Ambruoso, H. Amirav
- F. Celia, G. Archetti, R. Argenziano, P. Azzone, C. Baker - M. Cavagna - G. Clesse,
R. Balzaretti - J. Barrow - P. Skinner, F. Bambi, M. Barbato, E. Bartoli, A. Bartolomei
Romagnoli - M.Vedova, M. Bellomo, M. Benedetti, M. Benedetti - T. Subini, L. A.
Berto, L. Bianchi - O. Grassi - C. Panti, J. Blanchard - A. Calvet, J. Blanchard - M.
Quereuil, M. Boccuzzi - P. Cordasco, D. Brancato, C. W. Brockett, L. Bucciarelli
- V. Zorzetto, S. Bully - A. Dubreucq - A. Bully, L. Buono - F. De Vivo, G. M.
Caliman, M. Cameli, A. Campanini, S. Cartei, L. Catalani - R. de Filippis, P. Chiesa,
J. Chiffoleau - E. Hubert - R. Mucciarelli, C. Ciccopiedi, M. Clement, E. Coda,
C. Corradini - P. Golinelli - G. Z. Zanichelli, S. Cosentino - M. E. Pomero - G.
Vespignani, L. Cremaschi, F. Croci, N. D’Acunto, J. Dalarun, P. Dalena, E. D’Angelo,
S. De Fraja, A. Degl’Innocenti - P. Gatti - C. Giacomozzi, A. Dell’Anna Peccarisi, C.
Denoël - A.-O. Poilpré - S. Shimahara, C. Di Sciacca - C. Giliberto - C. Rizzo - L.
Teresi, L. J. Dorfbauer, M. Epifani, N. Everett, T. Falmagne - D. Stutzmann - A.-M.
Turcan-Verkerk, M. Feller, G. Ferrante, M. Forlivesi, A. J. Forte, P. Foschi, B. Frale,
B. Fuhrmann, M. Gadebusch Bondio - B. Kellner - U. Pfisterer, M.a A. García-
Menacho Osset - M.a M. Cárcel Ortí, S. Gasparri - S. Gelichi, P. Gautier Dalché
- M. R. Bonnet - P. Rigaud, G. Giontella - A. A. Santi, C. Giordano - R. Piro,
A. Giraudo - M. Rivoira, P. Grillo, E. Gritti, E. Guerrieri, P. Hamel, F. Hartmann
- T. B. Orth-Müller, M.-J. Heijkant, A. Honkapohja, G. Klaniczay, C. Krötzl - S.
Katajala-Peltomaa, A. A. Larson - A. Massironi, P. S. Leicht, C. Leonardi, M. Leonardi,
V. Leppin, V. Lucherini, A. Luhtala - A. Reinikka, G. P. Maggioni, A. Magoga, E.
Marigliano, C. Martello, M. Martorana - R. Pascual - V. Regoli, G. G. Merlo, S.
Meyer, M. Miglio - I.-A. Pop, P. Moran, M. Nisati, E. Odelman, F. Panarelli, C. Panti
viii sommario del fascicolo

- N. Polloni, A. Paravicini Bagliani - M. A.Visceglia,T. Patera, P. Pellegrini, G. Pfeifer,


A. O. Piagno, G. Pinto - L. Tanzini - S. Tognetti, T. Plebani, G. Polimeni, A. Pratesi,
E. Rammairone, R. Rao, M. Robson - P. Zutshi, G. Roussineau, G. S. Saiani, K.
Schlebusch, K. Schnabel, G. Seche, S. Serventi, R. L. J. Shaw, A. Silvestri, A. Spataro,
A. Speer, C. Steel - S.Vanden Broecke - D. Juste - S. Sela, F. Stroppa, S. Tramontana,
C. Tristano, E. Türk, M.Vannini, R.Vannucci, P.Vanzan, G. M.Varanini, «Vera amicitia
praecipuum munus», C. Veyrard-Cosme, O. Voskoboynikov, R. Zagnoni, H. Zepeda,
M. Zonta - P. Grezzi.
DISCUSSIONI

I problemi critici del Periphyseon


di Giovanni Scoto Eriugena alla luce
delle due recenti edizioni-traduzioni
italiane *

A lungo desiderata, una traduzione italiana integrale del Periphyseon


di Giovanni Scoto Eriugena, opera che rappresenta uno dei vertici della
speculazione filosofica e teologica alto-medievale, è apparsa non in una,
bensì in due versioni, uscite pressoché in concomitanza. La prima in
ordine di pubblicazione è quella con revisione critica del testo latino e
commenti a cura di Peter Dronke, con traduzione italiana di Michela
Pereira, accolta nella collana “Scrittori greci e latini” della Fondazione
Valla / Mondadori: scaglionata in cinque volumi, corrispondenti ai
cinque libri del capolavoro eriugeniano, ha visto uscire il primo volume
nel 2012 e l’ultimo nel 2017. La seconda, curata da Nicola Gorlani per
la collana “Il pensiero occidentale” di Bompiani, è uscita nel 2013,
nell’integralità del testo, stampato in un unico volume.Va sottolineato
che l’antefatto di entrambe le traduzioni è stato il completamento
dell’edizione critica del Periphyseon, realizzata da Édouard Jeauneau tra
il 1996 e il 2003 per il “Corpus Christianorum” (CCCM, 161-165).
Questa edizione ha messo a disposizione degli studiosi e dei traduttori
il testo latino dell’opera ricostruito nelle sue varie fasi redazionali,
colmando così una lacuna che obbligava gli studiosi di Giovanni Scoto
* Giovanni Scoto, Sulle nature dell’universo (Periphyseon), a cura di Peter Dronke,
con traduzione italiana di Michela Pereira, Milano, Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo
Mondadori Editore, 2012-2017, 5 voll., pp. lxxxvii-304, 2 tavv. f/t a colori (vol. I); lii-328 (vol.
II); li-420 (Vol. III); lxvi-410 (Vol. IV); lxiii-570 (Vol.V) (Scrittori greci e latini). Giovanni
Scoto Eriugena, Divisione della natura, a cura di Nicola Gorlani, Milano, Bompiani, 2013,
pp. 2568 (Il pensiero occidentale).
736 ernesto sergio mainoldi

a leggere il testo della sua opera principale nell’edizione ottocentesca


di Joseph Heinrich Floss, pubblicata nella “Patrologia Latina”, oppure
nell’incompleta – sebbene più recente – edizione di Inglis Patrick
Sheldon-Williams, con traduzione inglese a fronte. L’edizione di
Jeauneau è giunta a compimento sovrapponendosi e soppiantando
quest’ultima edizione, intrapresa nel 1968 da Sheldon-Williams in
collaborazione con Ludwig Bieler per la collana “Scriptores Latini
Hiberniae”, ma rimasta in stallo sin dal 1973 a causa della sopravvenuta
scomparsa di entrambi gli editori. Fu lo stesso Jeauneau a rimettervi
mano, pubblicandone il quarto libro, nel 1995. Tuttavia lo studioso
francese aveva nel frattempo maturato un nuovo e differente punto
di vista intorno ai problemi relativi al testo del Periphyseon, cosa che
lo portò a concepire una nuova edizione, basata su criteri ecdotici
radicalmente differenti.
In vista della valutazione delle edizioni italiane ci sembra quindi
opportuno riassumere brevemente la problematica ecdotica – la quale
ben spiega le ragioni della lentezza con cui la filologia mediolatina
novecentesca ha affrontato l’edizione del Periphyseon –, rimandando
per una più dettagliata presentazione al nostro studio sulla tradizione
dei testi eriugeniani comparso in La trasmissione dei testi latini nel Me-
dioevo (Firenze, 2005). Il nocciolo del problema critico del Periphyseon
può essere ricondotto alla scoperta, fatta da Ludwig Traube nel 1905,
di due codici in cui è testimoniato il lavoro redazionale svolto dall’au-
tore stesso e dai sui più stretti collaboratori, i mss. Reims, Bibliothèque
Municipale, 875 [=R], e Bamberg, Staatsbibliothek, Philos. 2/1 [=B].
In essi sono trasmesse tre distinte e successive fasi redazionali del Pe-
riphyseon, prodotte da un lavoro di correzione e di ampliamento per
aggiunta di glosse. Gli interventi più rilevanti sono costituiti da cospi-
cue note marginali e interlineari scritte in grafia minuscola insulare
(riconducibili a due distinti copisti, convenzionalmente indicati come
i1 e i2), mentre una parte minore di esse è dovuta a copisti continentali,
che scrivono in minuscola carolina. Il testo principale di R attesta la
prima versione dell’opera; a margine e nell’interlinea del testo le due
mani irlandesi di i1 e di i2 hanno apposto numerose correzioni e ag-
giunte, da cui ha preso vita la seconda versione (R1); questa seconda
versione venne trascritta integralmente in B – con le glosse marginali
e interlineari, nonché le correzioni, integrate nel testo –, e di nuovo
sottoposta al medesimo trattamento di correzione e accrescimento
i problemi critici del periphyseon 737

per aggiunta di glosse (molto minore rispetto a R), questa volta da


parte del solo i2: il risultato costituisce la terza versione dell’opera (B1).
L’operazione redazionale non si fermò però qui: una quarta versione
venne prodotta a partire da B1, ma di questa versione non abbiamo
l’esemplare di lavoro, bensì due codici (incompleti) che ne copiavano
il testo finale: Bamberg, Staatsbibl., Philos. 2/2 [=J] e Paris, Bibl. Nat.,
lat. 12965 [=F]. Incidentalmente aggiungiamo che la quarta versione
consta per lo più di interventi su singole lezioni, modifica qualche
frase, ma non conosce il cospicuo arricchimento testuale per marginalia
che si è prodotto tra la prima e la terza versione, cioè da R a B1; la
situazione è poi resa ulteriormente complicata dal fatto che nessuno
di questi manoscritti riporta integralmente il testo del Periphyseon.
Con il riconoscimento dell’importanza dei mss. R e B, si affermò
tra gli studiosi l’assunto che l’edizione della principale opera eriuge-
niana avrebbe dovuto seguire un principio critico-genetico, in modo
da restituire un testo in cui fosse possibile distinguere tra le diver-
se fasi redazionali attestate dai mss. Il problema maggiore fu tuttavia
comportato dall’interpretazione del ruolo dei due copisti insulari, i1
e i2, che gli studiosi hanno identificato di volta in volta con Giovanni
Scoto o con un suo adiuvante (o con nessuno dei due), fino a quando
non prevalse la tesi di Terence Bishop, comunicata al convegno del-
la Society for the Promotion of Eriugenian Studies tenutosi a Laon
nel 1975, secondo la quale nella grafia i1 andava riconosciuta la mano
dell’Eriugena, soluzione questa che gode oggi del più vasto consenso
tra gli studiosi.
L’incertezza circa l’identità di i1 e i2, e il ruolo da essi avuto nell’in-
serimento delle glosse in R e in B, non ha mancato di influenzare gli
studi preparatori di tutti gli editori che durante il Novecento si sono
accinti all’edizione del capolavoro eriugeniano, arrivando sino a Shel-
don-Williams e a Jeauneau. Sheldon-Williams intraprese la sua edi-
zione prendendo una posizione paleograficamente insostenibile circa
il valore delle due mani – e di fatto non accettata da nessun altro –,
ovvero che entrambe attestassero l’autografia di Giovanni Scoto. Nella
sua edizione, gli interventi redazionali vengono segnalati attraverso
un sistema di parentesi all’interno del testo, senza tuttavia arrivare ad
evidenziare con chiarezza l’evoluzione delle varie fasi redazionali.
Jeauneau, nella sua edizione per il “Corpus Christianorum”, ha in-
vece preso una posizione del tutto inedita di fronte al supposto ruolo
738 ernesto sergio mainoldi

dei due copisti, accettando i1 come la mano dell’Eriugena – e consi-


derando quindi ogni intervento in questa grafia come autentico –, ma
vedendo invece in i2 un copista che non ha lavorato sempre nel rispet-
to delle decisioni dell’autore. Il motivo di questa posizione è dovuto al
fatto che alcune glosse di i2 appaiono intervenire in loci testuali in cui
l’Eriugena ha dato maggior prova della sua originalità interpretativa,
talvolta esprimendosi in contrasto con le posizioni teologico-esegeti-
che prevalenti al suo tempo (in particolare sulla controversia del Filio-
que e sulla fisicità del paradiso terrestre), ma anche in contraddizione
con posizioni sostenute da lui stesso in altri punti della sua opera: i2,
ritenuto da Jeauneau essere un allievo scrupoloso e preoccupato per
le critiche in cui il maestro avrebbe potuto incorrere, sarebbe dunque
intervenuto sul testo del Periphyseon con l’intenzione di moderare le
affermazioni più ardite attraverso correzioni o integrazioni volte a
sfumarne o addirittura censurarne il significato originario. Questi in-
terventi, in diversi casi, sarebbero stati finalizzati ad annacquare il sen-
so del testo attraverso la retorica di periodi ipotetici, ricorrendo spesso
alla formula dubitativa Nisi forte… (A meno che…, Forse che non…),
da cui Jeauneau ha ribattezzato lo scriba – e presunto discepolo – che
si cela dietro la grafia di i2 con il nome di fantasia “Nisifortinus”.
Conseguentemente, Jeauneau ha riconosciuto come autentica-
mente eriugeniana la sola seconda versione del testo, quella at-
testata da R ampliata dagli interventi di i1, la quale costituisce il
fondamento del textus constitutus dell’edizione intrapresa nel 1996.
Tuttavia Jeauneau, oltre a questo testo principale, accompagnato
soltanto dall’apparatus fontium, ha offerto anche l’edizione delle suc-
cessive fasi redazionali (dove possibile ricostruirle), organizzandola
in una sinossi di quattro colonne (Synopsis versionum) disposta in
una seconda sezione di ciascuno dei cinque volumi di cui si com-
pone l’edizione. In questa sinossi le prime tre colonne riportano
rispettivamente il testo di R, B e P (quest’ultimo ms., il Paris, BNF,
lat. 12964, è descriptus di F ed è l’unico completo della quarta ver-
sione), mentre nella quarta colonna è riportato ancora una volta
il textus constitutus. Ogni colonna è corredata a piè pagina dall’ap-
parato delle variae lectiones, grazie al quale e mediante il ricorso ad
accorgimenti tipografici (grassetto, corsivo e sottolineatura) risulta
agevole riconoscere per ciascuna versione gli interventi dei glossa-
tori e dei correttori.
i problemi critici del periphyseon 739

Al di là del valore che si può accordare all’ipotesi che i2 abbia agito


autonomamente rispetto all’Eriugena – ipotesi a cui lo stesso Jeau-
neau non ha voluto dare sempre carattere apodittico, mantenendo
ad esempio diverse integrazioni di i2 oppure i titoli da lui apposti in
margine a B (III versione) per segnalare l’argomento trattato nel testo
(considerato che alcuni titoli marginali erano già stati introdotti in R)
– l’edizione offerta dallo studioso francese ha di fatto seguito il crite-
rio critico-genetico richiesto dallo stato testuale del Periphyseon. Essa
mette a disposizione il testo della principale opera dell’irlandese nelle
sue quattro versioni e leggibile nelle sue fasi evolutive, a prescindere
dal peso che si voglia dare al problema dell’autenticità autoriale. Seb-
bene il testo a cui l’edizione accorda centralità sia quello della seconda
versione, trasmesso da R, anche delle altre versioni è offerta l’edizione,
consegnata nella Synopsis, anche se – facciamo notare – la quarta ver-
sione poteva essere ricostruita attraverso una collazione degli altri mss.
che la trasmettono, mentre essa è collazionata su tre soli mss. (F, J, P),
per quanto riguarda il quarto e il quinto libro, mentre per i primi tre
è data solo l’edizione semidiplomatica di P.
Alla luce di questo problema critico, appare evidente che le due
traduzioni italiane del Periphyseon, condotte in base all’edizione di Je-
auneau, risultano particolarmente importanti, in quanto permettono
di valutare la ricezione della proposta ecdotica di questa edizione –
con tutto quello che questo comporta ai fini della comprensione non
solo del testo nei suoi particolari, ma della figura stessa dell’Eriugena
–, in un contesto di fruizione in cui il lettore non ha più a disposizio-
ne la Synopsis versionum né un apparato di variae lectiones – fatto salvo
per il V libro nell’edizione Dronke, cosa su cui torneremo sotto – e
quindi non può valutare direttamente le scelte ecdotiche operate,
pendendo così in toto dai curatori e dal loro commento.
Ci sembra dunque appropriato dedicare una recensione compa-
rativa alle due edizioni italiane, in quanto entrambe hanno affrontato
gli stessi problemi lavorando direttamente sul testo latino stabilito da
Jeauneau senza precedenti né di traduzione (almeno in italiano) né di
studi che facciano il punto sul problema critico fin qui riassunto e sui
principi ecdotici adottati dall’editore francese. A questo bisogna poi
aggiungere che Dronke ha compiuto diversi interventi di emendatio
del testo latino, discostandosi così dall’edizione di Jeauneau nel caso
di non poche lezioni.
740 ernesto sergio mainoldi

Partiamo dal constatare che entrambi i curatori hanno accettato


l’impianto ecdotico stabilito da Jeauneau e la sua interpretazione del
ruolo di i2, alias “Nisifortinus”, senza un preliminare riesame della
questione – accontentandosi di riassumerla nei prolegomeni della loro
traduzione –, né ci risulta che essi si siano misurati altrove con le pro-
blematiche filologiche inerenti i marginalia in R e B. Ciò premesso, va
osservato che il testo stabilito da Jeauneau, se estrapolato dal quadro
ecdotico da questi concepito e privato degli apparati testuali in cui
emerge tutto il lavoro redazionale svolto intorno al capolavoro eriu-
geniano, toglie al lettore la possibilità di leggere il testo per come ci è
stato trasmesso dalla tradizione manoscritta.
Peter Dronke, nel cui vasto curriculum si annoverano diversi studi
sull’opera poetica di Giovanni Scoto, ha assunto una posizione deci-
samente favorevole all’ipotesi nisifortiniana. L’insigne mediolatinista
mostra infatti di sposare il paradigma ecdotico dell’«allievo che cor-
regge il maestro» – come Jeauneau ha definito i2 – in maniera ancor
più radicale dell’editore francese, arrivando addirittura ad apostrofare
l’adiuvante dell’Eriugena come un «presuntuoso» e un «bigotto» (vol.
I, p. lxix). Di certo Dronke ha le competenze che gli permettono di
argomentare con raffinatezza le scelte editoriali che lo hanno portato
ad accettare o meno gli interventi di i2, tuttavia applicare l’ipotesi “Ni-
sifortinus” al di fuori del contesto dell’edizione critica di Jeauneau,
escludendo come inautentica tutta una parte di materiali testuali che
l’editore francese ha comunque messo a disposizione nella Synopsis,
non si sottrae al rischio di restituire un testo mutilo e un’immagine
disfunzionale del capolavoro eriugeniano. Pur non essendo questo il
luogo per inoltrarci in una esaustiva disamina della questione, non
possiamo trattenerci dall’osservare che la supposta figura autoriale di
“Nisifortinus” rischia di trasformarsi in un fantasma dell’eriugenismo
del XXI secolo ineunte, andando dietro al quale i traduttori e i lettori
rischiano a loro volta di allontanarsi da una corretta messa a fuoco
dell’autore e della complessa gestazione della sua opera maggiore.
Certamente è stato Jeauneau a promuovere la traccia paleografica
i a un vero e proprio profilo autoriale, distinto e autonomo rispet-
2

to all’Eriugena, senza che altri eriugenisti si siano finora pronunciati


in modo esaustivo sulla questione. Tuttavia la grande conoscenza che
Jeauneau ha maturato delle opere del maestro irlandese nel loro com-
plesso vale a convincerci che alcuni degli interventi di i2 meritano
i problemi critici del periphyseon 741

particolare attenzione in ragione delle anomalie di significato che essi


veicolano, tali da suscitare il quesito circa la loro ragione oppure –
come fa Jeauneau – la loro fedeltà alla volontà originale dell’autore
(cioè dell’Eriugena). Peraltro, la scelta di Jeauneau non costringe il
lettore ad accettarla senza mettergli a disposizione, nella Synopsis ver-
sionum, la totalità degli interventi redazionali, consentendogli così di
verificare chi ha aggiunto o tolto qualcosa e, conseguentemente, acco-
gliere o meno il lavoro di correzione e ampliamento del testo. Inoltre
le singole scelte ecdotiche non sono accompagnate da commenti cen-
sori o scettici, come invece avviene nel commento di Dronke, dove il
lettore del Periphyseon viene convinto di non avere a che fare con un
unico autore, bensì con due: quello che il lettore credeva essere uno
dei più grandi filosofi del primo millennio cristiano e il suo puntiglio-
so censore – allievo che vuole essere di più del maestro –, il quale ne
mina l’opera dall’interno.
Nell’edizione Jeauneau, a partire dal secondo libro, quando ormai
l’editore era arrivato a maturare definitivamente i propri sospetti che
i2 avesse lavorato in autonomia, pressoché tutti gli interventi aggiun-
tivi, compresi quelli di i1, sono stati posti a piè di pagina. Pur ammet-
tendo la discontinuità metodologica rispetto al primo libro (dove tutti
gli interventi, per lo più di i1 e meno cospicui che nei successivi libri,
concorrono alla constitutio textus), Jeauneau giustifica il cambiamento
di atteggiamento a partire dal secondo libro interpretando i marginalia
come interventi da paragonarsi al moderno uso di apparati a piè di
pagina, destinati cioè a restare distinti dal testo principale.
Questa interpretazione solleva parecchi problemi e non appare
convincente, soprattutto perché, a ben vedere, essa è stata adottata più
che altro per trovare un criterio meccanico che giustifichi l’esclusione
di principio degli interventi di i2: se è pur vero che alcune glosse –
anche della mano dello stesso Eriugena – spezzano la sintassi di tante
frasi originali di R, appesantendole talvolta di corpose incidentali, esse
furono concepite con ogni evidenza per integrarsi, anche dal punto di
vista sintattico, nel testo al quale sono riferite e non per essere di com-
mento ad esso. Nella prassi scrittoria altomedievale, inoltre, le glosse
destinate a rimanere a margine erano sempre dovute a una distinta
figura autoriale, quella del commentatore, onde, proprio per evitare
dubbi circa la paternità del testo, era necessario che eventuali aggiunte
o rimaneggiamenti d’autore fossero integrati nel testo principale. La
742 ernesto sergio mainoldi

scelta fatta dai copisti del Periphyseon di integrare le glosse marginali di


R in B e quelle di B nell’antigrafo di F e J, risponde quindi pienamen-
te agli usi scrittori del tempo di Giovanni Scoto, e non può in nessun
modo essere assimilata a un moderno piè di pagina.
Questo è tanto più vero se si considera che le integrazioni operate
dalle due mani insulari sono state concepite per essere inserite, sin-
tatticamente e contenutisticamente, in precisi punti del testo (come
mostrano i signes de renvoi nei due manoscritti di lavoro del Periphyse-
on) e non hanno affatto la forma e il taglio di commenti a margine.
Queste note non sono state scritte nei margini laterali come avrebbe
fatto un vero commentatore, il quale avrebbe aggiunto il proprio
commento in corrispondenza di una precisa sezione del testo, bensì
sono state disposte in larga parte nei più vasti margini superiori e
inferiori e mostrano di esser state calcolate alla lettera, offrendo così
la prova che i due copisti trascrivevano da un testo antigrafo di cui
conoscevano esattamente la lunghezza. Verosimilmente questo anti-
grafo era stato scritto dall’autore su pergamene sciolte o tavolette di
cera (e in alcuni casi possiamo anche pensare alla dettatura): un simile
quadro lascia trapelare l’intenzione di produrre un ampliamento del
testo, non di commentarlo.
Se l’ecdotica di Jeauneau, in un’edizione critica dotata di molte-
plici apparati, può essere accettata, dal momento che il testo espunto,
dal secondo libro in poi, è agevolmente disponibile a piè di pagina ed
è riconoscibile grazie a una numerazione araba progressiva tra paren-
tesi uncinate (anche se manca una distinzione tipografica tra le mani
dei copisti, cosa che obbliga comunque lo studioso a seguire queste
vicissitudini testuali nella Synopsis), nel testo a fronte delle traduzioni
qui in esame le soluzioni adottate ci sembrano risentire di più di un
problema, conseguente al tentativo di rispettare le scelte funzionali
all’edizione critica: Gorlani sceglie di riportare le glosse a piè di pa-
gina con numerazione progressiva, ma senza dare possibilità al lettore
(neanche in nota) di distinguere tra gli interventi dovuti a i1 e quelli
dovuti a i2. Ora, dacché Gorlani segue l’impostazione jeauneauviana
per cui gli interventi di i2 non sono da ritenersi di Giovanni Scoto,
l’impossibilità di distinguere tra il testo dell’Eriugena e i supposti in-
serimenti abusivi del suo discepolo “ribelle” ci sembra costituire una
palese contraddizione, frutto di un approccio a un problema critico
non affrontato con la debita analisi.
i problemi critici del periphyseon 743

Dronke ha invece scelto di spostare le glosse non a piè di pagina,


bensì in un’appendice al testo intitolata “Aggiunte e correzioni in R”,
dove esse vengono discusse e commentate in base alla loro supposta
dipendenza o meno dalla volontà dell’Eriugena. Il fatto che le glosse
non siano date a piè di pagina del testo latino, bensì soltanto in questo
apparato posto alla fine di ogni volume, rende difficilmente seguibile
l’andamento del testo, soprattutto nel caso in cui le parti espunte non
consistano di cospicue aggiunte marginali, bensì nell’inserimento o
nella correzione di singole parole o di semplici espressioni. Con tut-
ta evidenza, nelle intenzioni dell’autore, queste minime correzioni,
spesso aggiunte di proprio pugno (i1), non volevano essere “note a
piè di pagina” ma correzioni e integrazioni minimali: ad esempio, nel
secondo libro, l’espunzione di a se ipso in 587B (n° 154), ritenuta – d’a-
près Jeauneau – ripetizione erronea, a noi pare essere inopportuna, in
quanto si tratta di una aggiunta (d’autore! = i1) chiaramente finalizzata
a precisare quanto detto: «Tutto ciò che sia compreso nel suo essere
[quid sit] da se stesso o da un altro, può essere definito da se stesso o da
un altro». Jeauneau non spiega il motivo di questa espunzione, per cui
possiamo ritenerla come una applicazione coerente dei suoi assunti
ecdotici, ma che Dronke tenti di spiegarla (vol. II, p. 320) scrivendo
che la ripetizione di a se ipso è sintomo della fretta con cui l’Eriugena
sta scrivendo (mentre in realtà sta rileggendo e correggendo) lascia
quantomeno perplessi, presentandosi come una divinatio arbitraria – e
forse, essa sì, frettolosa. L’inopportuna aggiunta di una virgola e l’aver
tralasciato che in B i2 abbia aggiunto uel ab alio alla seconda metà della
frase – con il fine evidente di completare la simmetria tra i comple-
menti d’agente –, non fanno che portare l’interpretazione della frase
in una direzione erronea.
Seguendo l’edizione di Jeauneau, Dronke ha espunto le glosse
marginali solo dai libri che vanno dal secondo al quarto, in quanto nel
caso del primo libro – come già detto – l’editore francese aveva in-
tegrato a testo gli interventi delle due mani insulari, mentre il quinto
libro è mancante in R (nonché in B), precludendo così la possibilità
di appurare il lavoro di revisione compiuto dall’autore e dai suoi adiu-
vanti. Considerato che Jeauneau si risolse ad espungere tutti marginalia
a libro primo ormai pubblicato, ci chiediamo perché Dronke non
abbia messo in pratica questo criterio, da lui pienamente accolto e
applicato nel caso degli altri libri, già a partire dal primo libro, aven-
744 ernesto sergio mainoldi

done tutta la possibilità, considerato che nella Synopsis di Jeauneau


gli interventi delle due mani sono agevolmente riconoscibili, senza la
necessità di andare a rivedere il manoscritto.
Un altro esempio problematico, conseguente a questo approccio,
viene dall’espunzione n° 127 del secondo libro, nei cui toni accora-
ti – in cui Dronke vede un «appello appassionato» – si coglierebbe la
strategia apologetica di i2 (vol. II, p. 310), salvo poi giustificare un’altra
aggiunta di i2 alla frase immediatamente successiva (mantenuta a testo
da Jeauneau) con la seguente spiegazione: «le parole da at in pristinum
statum a propter peccatum sono poste a margine e appartengono alla
mano i2, ma sono essenziali per completare il pensiero di i1 in questo
punto e sono state correttamente mantenute da Jeauneau nel testo
critico» (ibid.). Tralasciando il fatto che nell’edizione di Jeauneau era
adottata una diversa punteggiatura, che permetteva di capire meglio
la natura incidentale di questa aggiunta (ritenendola dovuta all’autore
stesso), non capiamo perché questo intervento (e gli esempi si po-
trebbero moltiplicare) sia necessario per «completare il pensiero di i1»
(ma i1 non era l’Eriugena?), mentre in tanti altri casi, spesso del tutto
anodini, si tratterebbe di interventi meritevoli di essere stigmatizzati,
se non addirittura ridicolizzati.
In PP II, 526A-B, una lunga glossa di i2 in R è mantenuta, sia da
Jeauneau sia dalle edizioni italiane: Dronke segnala nel commento che
«giustamente» Jeauneau l’ha mantenuta, ancora senza spiegare perché,
facendo inoltre riferimento a questo «lungo passo» non indicandone
né l’incipit né l’explicit (vol. II, p. 273): se nell’edizione critica la sua
estensione è riconoscibile grazie alla Synopsis, nel testo di Dronke,
questa informazione viene meno. Tanto valeva allora tacerla comple-
tamente (come peraltro fa Gorlani), risultando disorientante per il
lettore, il quale non può più rendersi conto di quale porzione di testo
si stia parlando. Tuttavia, ancor più disorientante risulta il trattamento
che una simile – cospicua – nota marginale di i2 in R riceve poco
dopo, in 527D-528A: Dronke, così la commenta: «La lunga nota mar-
ginale di mano di i2 è un contributo di altissimo livello, ed è stato
quasi certamente autorizzato dall’Eriugena come glossa aggiuntiva
alla precedente discussione» (vol. II, p. 273). Ora, se già nell’edizione
critica di Jeauneau la scelta di mettere a piè di pagina questa aggiunta
appare in contraddizione con la scelta effettuata in 526A di lasciare a
testo l’intervento di i2, ma resta comunque una scelta ben riconosci-
i problemi critici del periphyseon 745

bile dell’editore, il commento di Dronke indirizza invece il lettore in


una direzione verso cui Jeauneau non si è spinto, e cioè che i2 fosse
co-autore, o – se si vuole seguire la “teoria del piè di pagina” – un
commentatore autorizzato del Periphyseon, il quale, mentre fa il suo
lavoro di copista, aggiunge delle glosse in cui mostra di aver assimi-
lato perfettamente il pensiero e lo stile del suo maestro, e questi lo
approverebbe, avvallando questa e analoghe aggiunte alla sua opera. Il
quadro è quanto meno irreale.
Il fatto che Dronke lasci supporre che “Nisifortinus” proponesse
delle glosse di «alto valore» e l’Eriugena le approvasse apre uno sce-
nario in cui tutto diventa possibile, e l’unità dell’opera non trova più
giustificazione nella sua tradizione testuale, bensì nell’arbitrio dell’e-
ditore contemporaneo. Se Jeauneau lasciava intendere che “Nisifor-
tinus” operasse in camera caritatis per edulcorare il testo del maestro,
supponendo che questi ormai riposasse nel conforto dell’elemento
terroso della natura creata et non creans, Dronke eleva “Nisifortinus” a
co-autore del Periphyseon, facendone un doppio del maestro, per leva-
tura speculativa e autorità di intervenire sul testo.
L’andamento dei giudizi di Dronke sugli interventi di i2 è spesso
altalenante: in alcuni casi questi interventi potrebbero essere dei ri-
pensamenti dell’Eriugena, in altri (come visto) potrebbero essere del-
le brillanti aggiunte autorizzate dal maestro; spesso i2 è stigmatizzato
perché “sciupa” la bella forma del testo originario eriugeniano, ma,
soprattutto laddove si suppone che abbia agito in totale autonomia, lo
si riprende con severità, come in PP II, 544C: «la nota marginale mo-
ralistica sulle funzioni degli angeli <56> disturba la linea di pensiero
dell’Eriugena, ed è chiaramente un’intrusione di i2…». Il «chiaramen-
te» lascia intendere che l’attribuzione della paternità della glossa a i2 sia
ipotetica, mentre invece dall’apparato di Jeauneau risulta con chiarez-
za che questa glossa in R è dovuta a null’altri che alla mano di i2. Ci
chiediamo in cosa poi sia moralistica una nota che fa riferimento a un
significato che risponde perfettamente alla visione cristiana dell’etica,
cosa che non ci stupisce di leggere in un testo altomedievale.
Un altro caso di espunzione infelice è quella in PP II, 552A, per
Dronke la n° 73a, che non solo contiene un’importante digressione
su uno dei temi chiave del pensiero eriugeniano intorno alla crea-
zione (ovvero l’interpretazione del versetto del salmo 103 Omnia in
sapientia fecisti), ma elimina tutto uno sviluppo del dialogo formato da
746 ernesto sergio mainoldi

due interventi dell’Alumnus e da uno del Nutritor. Pur ammettendo


che questo inserimento è «con ogni probabilità autenticamente eriu-
geniano» (vol. II, p. 294), Dronke lo espunge, quando Jeauneau l’aveva
lasciato a testo. Dronke motiva la sua scelta affermando che questa ag-
giunta è probabilmente fuori posto, senza peraltro proporre un’ipotesi
di posizionamento alternativa, ma soprattutto senza una preliminare
verifica sul manoscritto, cosa che una simile radicale decisione edito-
riale avrebbe richiesto: come è infatti possibile verificare in base a una
semplice occhiata dalle riproduzioni di R allegate nel volume The au-
tographa of John Scottus, dovuto allo stesso Jeauneau e al suo allievo Paul
Dutton, tutte le glosse aggiunte a questo manoscritto sono riferite a
un preciso punto del testo attraverso un segno di rimando. Dronke
giustifica la sua ipotesi facendo notare che una domanda dell’Alumnus
era rimasta senza risposta – e questa è una giusta osservazione –, ma la
risposta era offerta nella terza versione, in un’aggiunta per mano di i2
(esclusa quindi per principio tanto da Jeauneau quanto da Dronke e
da Gorlani, dal momento che essi considerano del tutto spuria la terza
versione).
Questi interventi di espunzione fanno conseguentemente sorgere
il dubbio che il testo offerto dalle edizioni-traduzioni italiane non ri-
specchi fedelmente le intenzioni dell’autore, ma costituisca, piuttosto,
uno specchio impreciso della sua opera principale, per cui il lettore si
trova in diversi casi nell’impossibilità di apprezzarne gli sviluppi reda-
zionali, – anche quando questi sono riconosciuti come «probabilmen-
te eriugeniani» –, e in definitiva si trovi precluso nella genuina com-
prensione del suo pensiero. La sfiducia nella trasmissione dell’opera
per come è attestata nei manoscritti ancora nelle sue prime fasi reda-
zionali e la moltiplicazione delle responsabilità autoriali che avrebbero
agito dietro di essa può infatti portare a radicali incomprensioni del
testo, come nel seguente caso: in PP II, 575A-B, la natura umana dopo
la resurrezione viene messa a confronto con la natura angelica: nella
terza versione, i2 cancella un non e sostituisce un sed con un deque, che
nel testo originale, copiato da R in B, poneva in forma avversativa la
co-dignità della natura umana e angelica rispetto alla loro uguaglianza
nell’immortalità. La correzione eliminava una palese contraddizione
con quanto viene affermato subito dopo, cioè che la natura umana
e quella angelica vennero create in eguale dignità, sicché, una volta
cancellati gli effetti del peccato sulla natura umana, tali saranno anche
i problemi critici del periphyseon 747

nella condizione escatologica. Rigettare le correzioni di i2 comporta


dunque l’introduzione di un’incongruenza che rende contradditto-
rio il testo e incomprensibile il pensiero dell’autore (angeli e uomini
hanno co-dignità di natura? Solo prima del peccato o anche dopo la
resurrezione?), come peraltro è stato notato anche da Valery Petroff
(Theoriae of the Return, in History and Eschatology in John Scottus Eriuge-
na and His Time, Leuven, 2002, p. 539), che pure suggeriva la necessità
di mantenere il suddetto intervento di i2. Se l’edizione di Jeauneau
permetteva di risolvere l’incongruenza verificando l’evoluzione del
testo attraverso la Synopsis, il testo proposto da Dronke e da Gorlani
e la relativa traduzione restituiscono un senso contraddittorio e con-
trario a quello che l’autore ha voluto qui intendere – come in altri
punti della sua opera – circa la co-dignità protologica ed escatologica
di uomini e angeli.
Questi esempi ci mostrano quanto sia inopportuno lanciarsi
nell’emendatio di testi filosofici medievali sulla base di una supposta
migliore comprensione del significato in essi trasmesso, opponendo-
si l’interpretazione dell’editore moderno, che si auto-suppone cor-
retta, a quanto invece attestato dalla tradizione manoscritta. Que-
sto è tanto più vero per un pensatore della levatura speculativa e
dell’originalità di Giovanni Scoto, i cui testi hanno già in passato
messo alla prova gli editori, costringendoli in alcuni casi a clamorosi
dietro-front, come fu il caso dell’espressione quae sunt et quae non
sunt che compare sia all’inizio del Periphyseon sia all’inizio dell’O-
melia “Vox spiritualis” e fa riferimento a tutte le cose create (tanto a
quelle dotate di essere, quanto a quelle non dotate di essere), il cui
senso sfuggì agli editori critici dell’Omelia (Édouard Jeauneau per
le “Sources Chrétiennes”, e Marta Cristiani ancora per le Edizioni
Valla / Mondadori) al punto che essi introdussero una significativa
emendatio testuale in corrispondenza di questa espressione, contro
l’accordo dell’intera – cospicua – tradizione manoscritta, finché Gu-
stavo Piemonte non fece notare in un suo intervento al convegno
eriugeniano di Montréal del 1983 (ai cui atti consegnò un articolo
destinato ad avere grande influenza sugli studi eriugeniani a venire,
intitolato L’expression “quae sunt et quae non sunt”: Jean Scot et Ma-
rius Victorinus) che il testo originale dell’Omelia era perfettamente
coerente con la concezione eriugeniana della divisione della natura.
L’esito di questa incontrovertibile prova spinse i due editori a ritira-
748 ernesto sergio mainoldi

re la prima tiratura della propria edizione per ripristinare la lezione


anodinamente attestata dai manoscritti.
Desta quindi stupore constatare che un’occorrenza dell’espressione
et quae non sunt si trovi espunta anche dalla nuova edizione del Pe-
riphyseon, in quanto rea di essere stata inserita su rasura in B da un co-
pista carolingio (non da i2!) che l’ha aggiunta subito dopo la locuzione
quae sunt nelle battute iniziali del primo libro (442B). Se la Synopsis
jeauneauviana permette di valutare questo rilevante episodio testuale
(perché se anche non fosse aggiunta voluta dall’autore, sarebbe co-
munque prova significativa della corretta ricezione della sua dottrina
meontologica da parte di uno dei suoi allievi/copisti, e di certo questa
non era materia corrente tra i suoi contemporanei), le edizioni italia-
ne non solo escludono dal testo e dai suoi apparati questa importante
aggiunta redazionale, ma neanche la segnalano nei commenti, sicché
essa risulta svanita nel nulla.
Tali espunzioni testuali, arbitrariamente operate sul testo del Pe-
riphyseon, ci pongono il problema di quale sia l’approccio più corretto
che gli storici della filosofia e della letteratura mediolatina devono se-
guire nell’affrontare un testo che presenta un surplus di informazione
relativa alla sua fase redazionale: privilegiare la ricerca puristica di una
presunta autenticità autoriale, espungendo tutti gli interventi testuali
ritenuti spuri, o adottare un atteggiamento finalizzato alla valutazione
del testo attraverso la sua trasmissione manoscritta, tenendo fermo il
principio che il testo e il suo autore si comprendono solo attraverso la
trasmissione testuale presa nel suo insieme e non attraverso una prese-
lezione basata su assunti ipotetici?
La risposta non può che venire dalla valutazione di quei singoli
episodi testuali in cui gli editori hanno scelto di discostarsi dalla tra-
dizione manoscritta con l’idea di ripristinare il testo supposto auten-
tico: ad es., in PP I, 512A, l’Eriugena presenta un elenco di creature
che fanno parte del mondo visibile, tra cui la balena. In R, il nome
di questo animale è scritto in caratteri latini (cete), avendo l’autore
verosimilmente in testa la forma greca κήτη. Non ci stupisce dunque
che in B, cioè nella terza versione, questo stesso passo presenti la stessa
parola volta in onciale greca, KHTH. Jeauneau, seguito da Dronke e
Gorlani, ripristina la lezione cete. Il fatto però che in PP III, 742A-B,
il termine KHTH sia oggetto di un’ampia digressione grammaticale
e vi compaia in caratteri greci ben otto volte, lascerebbe pensare che
i problemi critici del periphyseon 749

proprio in seguito a questa digressione, l’Eriugena sia tornato al primo


libro e abbia volto la parola in caratteri greci. In questo caso abbiamo
un fraintendimento di quella che a nostro avviso si presenta come una
normale prassi di maquillage redazionale del testo.
Ma in un altro caso, il fraintendimento diventa addirittura gros-
solano, laddove si rigetta la correzione in PP I, 511B, della generica
affermazione de his alibi disputandum nel più preciso riferimento in
quinto latius disputabitur, correzione che mostra come l’autore, scriven-
do il primo libro, avesse in mente di trattare nel prosieguo dell’opera
l’argomento in questione (la redenzione escatologica dal male), e così,
una volta trattato esaustivamente l’argomento nel quinto libro, egli sia
tornato su questa anticipazione, per precisare il luogo della trattazione
nel seguito dell’opera. Ora, questa innocua ma interessante precisa-
zione redazionale, è stata introdotta da i2 in R: Jeauneau la mantiene a
testo, seguito da Gorlani, mentre per Dronke «questa interferenza da
parte di i2 non doveva essere accolta nel testo critico» (vol. I, p. 295),
perché sarebbe «un segno di avventatezza piuttosto che di attenzione
erudita da parte sua [di i2]», anticipando la conoscenza del quinto libro
in una fase di scrittura in cui esso non era stato ancora pianificato; una
spiegazione che non ci dice perché l’Eriugena, a opera ormai conclu-
sa, non avrebbe potuto far trapelare retroattivamente nel primo libro
che l’insieme dell’opera sarebbe constato di cinque libri.
Dal punto di vista metodologico risulta inoltre problematico met-
tere sullo stesso piano l’emendatio di refusi grammaticali con l’emen-
datio basata su ipotetici criteri mimetici: se la prima è ineccepibile in
quanto, evidentemente, un refuso grammaticale non è mai voluto da
un autore o da un copista, la seconda non ci dà nessuna certezza sulla
volontà dell’autore. Un esempio di emandatio per analogia viene dalla
correzione optata da Dronke in merito all’occorrenza in PP I, 449D
della triade pseudo-dionisiana purgatio, illuminatio, perfectio nell’ordi-
ne inconsueto illuminata, purgata, perfecta; quest’ordine potrebbe essere
dovuto sia a una svista dell’autore sia ad altri motivi, ma siccome non
pregiudica la comprensione del testo andava lasciata come tale, come
ha fatto Jeauneau, seguito da Gorlani (nel cui commento ha opportu-
namente notato che nel testo pseudo-dionisiano – fonte di Giovan-
ni Scoto – i tre termini della triade non si presentano sempre nello
stesso ordine); Dronke invece cambia l’ordine testuale dei tre termi-
ni basandosi sull’analogia con altre occorrenze della triade nell’opera
750 ernesto sergio mainoldi

dell’Irlandese, non prendendo invece in considerazione la fonte. Nel


commento, egli equipara metodologicamente questa correzione all’e-
mendatio di un errore grammaticale presente più o meno nello stesso
locus, che nessuno dei copisti o degli editori moderni aveva notato
(450B: incomprehensibilem in incomprehensibile; commentato in vol. I, p.
245): questa correzione, trattandosi di un errore di declinazione, era
assolutamente opportuna, ma poco ha a che spartire con l’intervento
di cui sopra – di cui non è chiara l’opportunità.
Il quinto libro costituisce un’ulteriore sfida agli editori, in quanto
esso non è trasmesso da R e di conseguenza non permette di applicare
il paradigma “nisifortiniano” in modo meccanico. Per questo libro la
seconda versione è resa tuttavia accessibile da due codici copiati nel
XII secolo (H = Avranches, Bibliothèque Municipale, 230, esemplato
a Mont Saint-Michel; M = Cambridge,Trinity College, O.5.20 [James
1301], esemplato a Malmesbury) e dalla Clavis Physicae di Onorio di
Ratisbona, opera ugualmente del XII secolo che compendia i primi
quattro libri del Periphyseon e riporta il quinto in copia. In questo caso
Jeauneau non ha dato la preferenza a un manoscritto in particolare,
ma ha seguito tanto H ed M quanto il manoscritto Paris, BNF, lat.
6734 della Clavis (= A), che presenta in diversi casi lezioni migliori
degli altri due, spesso coincidenti con la IV versione, alla quale viene
data fiducia in alcuni casi.
Dronke ha invece optato di seguire rigorosamente la seconda ver-
sione, collazionando H, M ed A, segnalando le variae lectiones in un
apparato a piè pagina del testo latino (negli altri quattro libri non dava
alcun apparato a piè pagina, limitandosi a discutere – sebbene non
esaustivamente – le lezioni adottate nelle appendici di commento). In
diversi casi Jeauneau ha ritenuto per il libro V le lezioni della IV ver-
sione, anche contro i testimoni della II versione. Leggendo l’apparato
delle lezioni adottate da Dronke possiamo allo stesso modo constatare
che in molti casi esse coincidono con quelle della IV versione, ma
quando se ne discosta, le lezioni scelte si presentano in non pochi casi
come dubbie o erronee (879A: subsistens per obsistens/resistens dovuto
verosimilmente a un errore di copista; 866A inditio per iudicio; 863C:
viene emendato Epiphanius in Hieronimus come fonte corretta di una
citazione, ma per quanto ne sappiamo la responsabilità è dell’autore
stesso e quindi la fonte andava lasciata a testo così com’è e discussa in
nota). In alcuni casi la lezione della IV versione viene adottata contro
i problemi critici del periphyseon 751

quella della II (866C: nereis contro aeris; 871A: immobile contro mobile;
872C: deiformitate contro deformitate ecc.). Questo modo di procedere
non manca però di dare vita a delle incongruenze metodologiche: in
905C si espungono le parole de ordine theophaniarum seguendo la IV
versione (come fa Jeauneau), ma senza darne alcuna informazione
al lettore né in apparato né in commento, dove per contro troviamo
un’accorata giustificazione dell’eliminazione di un successivo passo,
ritenuto «spurio» (il <3>); inoltre viene qui adottata la lezione caetera
dalla II versione, contro l’edizione Jeauneau (che segue la IV, come
per tutto il passo) e questo ancora senza alcuna segnalazione. Va infi-
ne detto che, quando il ms. A e la IV versione concordano contro H
ed M, l’apparato segnala soltanto A e omette di indicare anche la IV
versione (ad es.: 903A: diffusionis contro diuisioni; 910B: uisibili contro
inuisibili; 951D: fugiunt contro fiunt). Perché? Forse per evitare di far
sorgere il dubbio che la IV versione andasse considerata in modo
diverso?
Ma un’altra clamorosa espunzione dal testo operata da Dronke è
quella del nome di Wulfad, l’abate di Saint-Médard di Soissons a cui
l’opera viene dedicata nella chiusa del quinto libro. Al posto di Vulfa-
de, Dronke adotta (contro Jeauneau) la lezione uel, presente nei codici
della seconda versione, H ed M, ma anche attestata in J, codice del IX
secolo riportante la IV versione: l’editore inglese attribuisce a questo
uel, abbinato a un successivo et, valore copulativo. La dedica risulta
così indirizzata genericamente a un anonimo «amatissimo…collabo-
ratore nello studio della sapienza»: ci sembra tuttavia che in un libro
destinato alla pubblicazione una dedica che non offra un minimo ri-
ferimento al dedicatario sia una cosa del tutto inutile, motivo per cui
è più probabile che questo uel vada interpretato come abbreviazione
del nome uul<fade> che un copista ha mutato in uel per lectio facilior.
Dronke non mette peraltro in dubbio che l’opera sia davvero of-
ferta all’abate di Saint-Médard di Soissons, elevato all’episcopato di
Bourges nell’866, ma egli costringe ancora una volta il lettore a recu-
perare questa informazione nelle note sparpagliate tra l’Introduzione
e il Commento, senza peraltro informarlo, né qui né nell’Introduzione
generale, che la menzione di Wulfad è particolarmente importante,
perché essa costituisce il terminus ante quem – largamente accettato da-
gli studiosi – del completamento del Periphyseon. I toni intimi con cui
l’Eriugena si rivolge al dedicatario («dilectissimo frater [sic!]… in studiis
752 ernesto sergio mainoldi

sapientiae cooperatori») non avrebbero infatti potuto essere indirizzati a


un vescovo, carica che Wulfad ricoprì a partire dall’866.
In base ai casi riportati abbiamo potuto verificare come una con-
stitutio textus che muova dai principi ecdotici qui adottati (ma non
sempre rigorosamente rispettati) approdi nel caso di non pochi luo-
ghi testuali a scelte infelici. Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma
quello che ci sembra maggiormente gettare un’ombra di incertezza
sull’affidabilità del testo proposto è proprio l’approccio metodologico
che ammette la liceità di cambiare il testo quando non lo si capisce
o non aggrada: un esempio del primo caso è l’aggiunta di un <non>
in PP I, 454B, vedendo un fantomatico lapsus calami contro l’intera
tradizione manoscritta. Dronke si associa qui a Jeauneau (che a sua
volta segue l’editor princeps Thomas Gale e Sheldon-Williams, contro
però Floss) nel negare mediante questo non l’esistenza dell’intelletto
in assenza di pensieri e memoria, laddove invece l’Eriugena dice mol-
to chiaramente che l’intelletto esiste anche prima di manifestarsi in
pensieri e memoria, essendo invisibile e noto soltanto a Dio e a noi
stessi. Essere invisibile non significa non esistere. L’inserimento optato
dagli editori moderni e contemporanei costituisce dunque un errore
di comprensione di uno degli aspetti centrali del pensiero eriugenia-
no, il rapporto tra essere e manifestazione. Un esempio del secondo
caso, ci viene dall’Introduzione generale, dove Dronke – cercando
di negare gli accenni di polemica anti-giudaica presenti in Giovanni
Scoto – propone di emendare l’incipit del poema Graculus Iudaeus…
in Gra<e>culus, Iudaeus… Tuttavia, questo emendamento per divinatio,
non ci sembra affatto pertinente, in quanto il poema si apre enume-
rando i popoli che non hanno accolto il Cristo (gli ebrei, gli islamici
e i pagani vichinghi). Difficilmente l’Eriugena, alla fine del IX secolo,
avrebbe potuto considerare i Graeci estranei alla Nuova Alleanza, tanto
più che nelle sue opere i Graeci sono i Padri orientali, i quali ottengo-
no la sua preferenza anche rispetto ai Padri latini.
Un’altra constatazione che si può avanzare circa gli sforzi editoriali
qui in disamina – e che certo non ha favorito in positivo il lavoro dei
curatori – è la minore considerazione da essi tributata alla letteratura
critica più recente relativa all’opera di Giovanni Scoto, e forse un
confronto allargato ad altri studiosi dell’Eriugena, cosa che avrebbe
permesso di migliorare in molti punti le scelte che sono state infine
consegnate alla cerchia dei lettori non specialisti. Un esempio può
i problemi critici del periphyseon 753

essere indicato nel seguente caso: in PP I, 449D-450A, Giovanni Sco-


to riferisce la teoria per cui l’intelletto diventa tutto ciò che esso può
comprendere, richiamandosi esplicitamente all’autorità di Massimo il
Confessore. Jeauneau dichiara di non aver trovato il locus nell’opera
dell’autore riferito, onde propone un rimando al De anima di Ari-
stotele. Tuttavia, la plausibile fonte era stata identificata dall’edizione
Sheldon-Williams nell’undicesimo capitolo degli Ambigua di Massi-
mo il Confessore (testo che ricordiamo esser stato tradotto in latino
dall’Eriugena). La svista dell’editore non è certo la fine del mondo,
tuttavia essa era stata segnalata successivamente da Giulio d’Onofrio,
il quale aveva richiamato il locus indicato da Sheldon-Williams e tra-
lasciato da Jeauneau in un contributo pubblicato nei già citati atti del
convegno eriugeniano History and Eschatology in John Scottus Eriuge-
na and His Time (Cuius esse est non posse esse. La “quarta species” della
natura eriugeniana, tra logica, metafisica e gnoseologia, p. 388). In relazio-
ne a questo locus, Dronke non solo non arriva a reintegrare la svista
dell’editore francese, ma si spinge addirittura ad attribuire all’Eriu-
gena un atteggiamento disinvolto nell’uso delle fonti, cosa che non
rende giustizia all’attenzione con cui l’Irlandese ha sempre guardato
alle sue auctoritates, in modo particolare a quelle patristiche greche: se
Jeauneau si era limitato a riferire «locum non inveni», Dronke accusa
l’Eriugena di introdurre «ancora una volta … un’autorità fittizia» (vol.
I, p. 245). Gorlani omette anche il riferimento aristotelico, limitandosi
ad asserire che «non è possibile individuare il passo cui Eriugena fa
riferimento» (p. 1820).
Sempre nel citato contributo (p. 400), d’Onofrio richiama l’atten-
zione su un passo che compare in PP II, 545AB, e risulta esser stato
aggiunto da i2 a B: questo intervento compare solo nella Synopsis,
e di conseguenza sparisce del tutto dal testo di Dronke e di Gorla-
ni. Eppure questa frase, oltre all’interesse dovuto al fatto che in essa
si attesta l’espressione unum argumentum, le cui risonanze nella storia
del pensiero medievale non sono trascurabili, comporta un’estensione
cristologica del discorso sulla coincidenza tra l’intelletto e i suoi con-
tenuti, in linea con quanto era stato detto in precedenza attraverso il
richiamo agli Ambigua di Massimo; essa inoltre offre, ancora una volta,
un’interessante testimonianza sulle modalità del lavoro redazionale: la
glossa infatti si chiude preannunciando che l’argomento toccato sarà
trattato ulteriormente nel quinto libro, lasciando così comprendere
754 ernesto sergio mainoldi

che essa venne interpolata quando l’opera era conclusa o arrivata alle
sue ultime battute. Da questo e da altri analoghi interventi possia-
mo comprendere che la revisione del Periphyseon mosse anche dalla
necessità di fornire al lettore dei rimandi utili a navigare in un testo
che aveva ormai assunto dimensioni cospicue, ma soprattutto lascia
intuire che parte degli interventi di revisione del testo non si collo-
carono temporalmente a ridosso della prima stesura, ma dovettero
verosimilmente arrivare diverso tempo dopo e questo spiegherebbe
i ripensamenti che l’autore avrebbe potuto avere nel lasso di tempo
intercorso. I curatori delle due edizioni italiane non danno neanche
nelle note un commento a questa espunzione. Anche ammesso che i2
abbia aggiunto questa glossa di suo pugno, la possibilità di sapere che
egli la introdusse a libro quinto scritto o in scrittura è un fatto non
indifferente per la comprensione della genesi redazionale del testo, al
di là di chi gestì la revisione.
Sulla non adeguata considerazione della letteratura secondaria
possiamo ancora osservare il seguente caso: nel commento di Dron-
ke al vol. I, p. 252, troviamo una digressione sul significato di sub-
stantia. Egli richiama opportunamente il significato che l’Eriugena
attribuisce a questo termine, anche se la sua conclusione – che l’Ir-
landese usi generalmente substantia come sinonimo di essentia – non
può che trovarci in disaccordo, in quanto l’Irlandese muove sì da
questa sinonimia, che è tipica della tradizione speculativa latina e
mediolatina, come è facile verificare dalla sua precedente opera, il
De praedestinatione, ma successivamente, a fronte di una accresciuta
conoscenza e preferenza per la teologia orientale, egli si risolse di
utilizzare substantia come calco di ὑπόστασις, ed essentia per tradur-
re οὐσία. Questo uso si è radicato con la scrittura del Periphyseon, e
seppure delle oscillazioni di significato si riscontrano, soprattutto nel
primo libro, tuttavia queste non sono senza una ragione filosofica,
come ad esempio nel riferimento alle substantiae dell’aer e dell’ignis.
La sbrigativa nota di Dronke rischia dunque di portare fuori strada
il lettore, mentre avrebbe potuto giovarsi degli approfondimenti of-
ferti dalla letteratura secondaria – su tutti C. Martello, Alle origini del
lessico filosofico latino. YPOΣΤΑΣΙΣ/SUBSTANTIA in Giovanni Scoto,
in Hyparxis e hypostasis nel neoplatonismo, Firenze, 1994, pp. 169-184.
Da quest’ultima osservazione ricaviamo l’impressione che Dronke,
oltre a seguire l’impostazione ecdotica di Jeauneau, in pratica si sia
i problemi critici del periphyseon 755

rifatto allo stesso Jeauneau come unica fonte secondaria di interpre-


tazione del pensiero eriugeniano.
Alla luce di quanto visto possiamo affermare che l’utilizzo del te-
sto del Periphyseon stabilito da Jeauneau, una volta estrapolato dagli
apparati dell’edizione critico-genetica di cui Dronke e Gorlani hanno
voluto seguire l’impostazione ecdotica, lascia spazio a molti dubbi e
perplessità. Se è vero che le glosse scritte di pugno di i2 possono su-
scitare in alcuni casi dei quesiti circa le motivazioni che hanno por-
tato l’autore o l’adiuvante a introdurre determinate affermazioni, una
conoscenza più approfondita e meditata dell’opera dell’Eriugena nel
suo complesso avrebbe suggerito maggiore prudenza nell’omettere
molte e significative porzioni di testo, ricche di interesse filologico e
filosofico. Nell’opera dell’Eriugena infatti la problematica dell’evo-
luzione redazionale non è endemica delle sole glosse scritte da i2 nei
due codici di lavoro del Periphyseon. Abbiamo infatti diverse evidenze
che Giovanni Scoto era solito tornare sulle sue opere con intento
migliorativo. Il Periphyseon non è la sola opera di cui ci restano diverse
redazioni: l’opera istituzionalmente più importante eseguita dall’Eriu-
gena, la traduzione del Corpus Dionysiacum, ci è giunta in due versioni
(secondo recenti studi addirittura in tre). Il commento a Marziano
Capella si presenta in diverse versioni, all’interno delle quali troviamo
anche duplici redazioni di parti dei singoli libri. Inoltre, nel caso delle
numerose e spesso voluminose citazioni nel Periphyseon di passi delle
opere dei Padri greci tradotte integralmente dall’Irlandese, constatia-
mo che quasi mai egli si sia accontentato di riprendere quei testi tali e
quali li aveva tradotti: infatti questi passi vengono citati quasi sempre
con modifiche, miglioramenti e talvolta adattamenti al contesto in
cui sono citati, in alcuni casi discostandosi dal loro senso originario.
Alcuni di questi interventi farebbero addirittura sospettare della pa-
ternità eriugeniana, se non che le apparenti divergenze possono essere
spiegate come incomprensioni di dettatura o revisioni d’autore fatte
in assenza del testo greco originale: purtroppo anche in questo caso la
letteratura secondaria in cui questo fenomeno è stato analizzato non
viene minimamente presa in considerazione dalle edizioni italiane.
Dronke ha peraltro notato il fenomeno, ma si è limitato a riportare in
una tabella sinottica l’elenco delle divergenze più significative tra le
citazioni del De imagine di Gregorio di Nissa nel Periphyseon e il testo
originale della traduzione (vol. V, p. xliv), senza spingersi oltre nella
756 ernesto sergio mainoldi

disamina della problematica sottesa, dando così l’impressione che essa


riguardi soltanto l’opera del Nisseno, quando invece essa coinvolge
tutte le opere dei Padri tradotte dal maestro palatino.
L’opera eriugeniana presenta uno stato testuale paragonabile a un
fluido in continuo movimento, la cui direzione e la cui composizione
meglio saranno comprese qualora se ne considererà la funzionalità alla
luce del ruolo che Giovanni Scoto ha occupato all’interno del pano-
rama intellettuale del suo tempo. Pensare che l’Eriugena scrivesse di
filosofia al di fuori di ogni coinvolgimento teologico-politico-cultu-
rale, significherebbe ricadere in un quadro storiografico vetusto, che
vedeva nell’Irlandese un gigante isolato nel suo tempo, incompreso e
sbeffeggiato dai suoi avversari, allo stesso tempo buontempone e al-
legro conviviale. Talmente poco rispettato che un suo allievo avrebbe
potuto permettersi di correggerne il testo a piacimento. Le edizioni di
Dronke e di Gorlani non fanno che riproporre questa vulgata, che de-
cenni di studi eriugeniani hanno posto in critica e hanno ricondotto
all’interno di un quadro storico maggiormente dettagliato, mostrando
tutta la pregnanza dei legami tra Giovanni Scoto e l’ambiente cultu-
rale del suo tempo: la centralità della sua figura nelle scuole franche
della seconda metà del IX secolo, il suo coinvolgimento nel dibattito
teologico e il suo ruolo nella politica culturale di Carlo il Calvo. La
fama di Giovanni Scoto arrivò fino a Roma e il suo ingaggio da parte
del re franco come traduttore ufficiale dei Padri greci ebbe importanti
ricadute politico-culturali. Il fatto che dell’Eriugena ci siano arrivati
tanti codici redazionali, a cui si accompagnano moltissimi frammen-
ti e diverse autografie (tra cui una lettera), mostra tutta la riverenza
tributatagli dall’ambiente culturale in cui egli fu attivo, e allo stesso
tempo palesa la sollecitudine condivisa in questo ambiente al fine di
conservare il suo prezioso lascito testuale.
Proprio la considerazione dei legami tra l’Eriugena e il suo am-
biente culturale avrebbe dovuto far suonare molti campanelli d’allar-
me, invitando alla prudenza prima di andare ad adottare interpreta-
zioni che minassero lo stato della testualità del Periphyseon. Un primo
campanello d’allarme viene dai dati codicologici, in base ai quali è
possibile rifocalizzare il problema della collaborazione tra l’Eriugena
e il suo copista-adiuvante i2: i tre manoscritti stemmaticamente più
alti dell’opera (R, B e J), compresi quindi i due mss. di lavoro con le
glosse di mano insulare, sono infatti stati esemplati a Saint-Médard di
i problemi critici del periphyseon 757

Soissons nel ¾ del IX secolo. Questo dato codicologico e paleogra-


fico, presentato da Bernhard Bischoff al convegno eriugeniano del
1975 a Laon, è caduto nell’oblio negli ultimi anni, al punto che non
ci sembra essere stato preso in considerazione neppure da Jeauneau
nell’imbastire la sua edizione. Neanche le edizioni italiane ne danno
notizia. Eppure questa coincidenza spazio-temporale tra la copiatura
dei manoscritti che attestano tutte e quattro le fasi redazionali del Pe-
riphyseon suggerisce che l’opera potrebbe esser stata scritta e conclusa
dal suo autore durante la sua permanenza presso l’abbazia guidata da
Wulfad (questa permanenza è anche comprovata da un carme ironico
dello stesso Eriugena, sicché, alla luce anche di questo fatto, la dedica
dell’opera a Wulfad assume ancor maggiore rilevanza).
Il fatto poi che l’Eriugena ebbe a disposizione ingenti mezzi ma-
teriali per portare avanti la sua opera, come testimonia già da solo il
lavoro redazionale sul Periphyseon, senza contare il fatto che nume-
rosi furono gli scribi che lavorarono alla copiatura di R e B, molti
dei quali non professionisti, quindi, verosimilmente, allievi dello stesso
Giovanni Scoto (cfr. P. Dutton: Eriugena’s Workshop: the Making of the
Periphyseon in Rheims 875, in History and Eschatology in John Scottus
Eriugena and His Time cit., pp. 141-167), ci indirizza verso la consta-
tazione che il Periphyseon venne alla luce nell’ambiente di una scuola
monastica (del resto esso si presenta nella veste letteraria di un dialogo
tra un maestro e il suo allievo), onde risulta assai arduo immaginare lo
scenario per cui un copista si arroghi la libertà di correggere a piaci-
mento i manoscritti o, addirittura, produrre nuove versioni dell’opera
di un così rinomato maestro.
Le supposizioni di Jeauneau sull’indipendenza del lavoro di
Nisifortinus, nelle introduzioni delle edizioni italiane vengono proposte
al lettore non specialista come fatti comprovati, lasciando trasparire
un quadro davvero poco realistico, per non dire di pura fantasia: «il
copista i2, che spesso lavorava seguendo le istruzioni del filosofo, si
arrischiò anche – forse dopo la morte dell’Eriugena e soprattutto in
B – a intervenire sul testo e a modificarlo, talvolta in maniera del
tutto erronea, nonché ad aggiungere lunghe note e commenti propri»
(Dronke, vol. I, p. lxvii); «[Nisifortinus] discepolo collaboratore di
Eriugena stesso che se ne potrebbe essere servito come copista per poi
lasciargli in eredità il suo testo (R), dopo la morte. Se l’ipotesi è vera,
le note di questo Nisifortinus apparterrebbero a due epoche distinte
758 ernesto sergio mainoldi

corrispondenti a diverse fasi del suo lavoro: alcune durante la vita del
maestro, quindi più fedeli al suo pensiero, mentre altre successive e più
libere rispetto al pensiero del maestro» (Gorlani, p. 57).
L’insistere sulla morte dell’Eriugena, della quale peraltro non si sa
nulla, introduce un paradosso ancora maggiore: perché un allievo si
sarebbe messo a correggere ed emendare il testo del suo maestro, se
questi fosse davvero morto, non avendo quindi più motivo di preoc-
cuparsi dei contraccolpi che questi avrebbe subito per aver profes-
sato dottrine eterodosse? Siccome il terminus post quem della morte
dell’Eriugena è riconosciuto nell’870, come pensare che l’allievo si sia
arrogato il compito di trasformare l’opera del maestro, che era stata
per giunta dedicata a un personaggio di primo piano del regno franco,
quale fu Wulfad, e verosimilmente a lui consegnata in uno o più esem-
plari in bella copia (come ci conferma anche il catalogo superstite
dei libri posseduti dall’abate, per cui cfr. M. Cappuyns, Les «Bibli Vul-
fadi» et Jean Scot Érigène, in «Recherches de théologie et philosophie
médiévales», 33 [1966], pp. 137-139)? Avrebbe potuto, vivente il ma-
estro, cambiarne l’opera a piacimento e autonomamente? Altrettanto
inverosimile è che egli abbia atteso quattro anni come minimo – dalla
conclusione dell’opera all’ipotetico decesso (866-870) – per rimettere
mano con libertà al capolavoro eriugeniano e produrne non una nuo-
va versione, bensì due!
Un altro campanello d’allarme – peraltro notato anche dagli
editori e traduttori – è costituito dal fatto che anche nel testo di
R lo stesso Eriugena utilizza formule dubitative analoghe a quel-
le del supposto scriba infedele (come nisi forte o fortasis quis dicet;
cfr. ad es. 584C, 607B, 612C, 620D, 636B) – espressioni, queste,
che appaiono rientrare anodinamente nella retorica dialogica e
nella metodologia dialettica con le quali l’Eriugena ha sviluppato
gli argomenti esposti lungo tutto il corso della sua opera –, ma a
questo si deve anche aggiungere che nell’unico manoscritto in
cui sono attestate entrambe le mani insulari (R) si può notare
una ordinata divisione delle parti in cui sono state introdotte le
rispettive glosse e questo dovrebbe far sospettare che i2 non tornò
sul lavoro del maestro in assenza di questi, ma i due si divisero in
modo pianificato – insieme ad altri copisti carolingi – il lavoro di
copiatura delle glosse marginali. Senza contare che, come notato
da Paul Dutton nel citato contributo, in R le cancellature sono ef-
i problemi critici del periphyseon 759

fettuate soltanto da i1 – e questo è un altro tratto distintivo di una


responsabilità autoriale non condivisa con altri.
Il vero fondo della questione è che l’ipotesi di autonomia del la-
voro intellettuale di i2 si è andata delineando nella visione ecdotica
di Jeauneau non per l’esistenza delle glosse in sé, ma dal momento
che un limitato numero di esse presenta contenuti che sono sembrati
all’editore francese in contraddizione con posizioni sostenute altrove
dall’Eriugena. Il problema ecdotico, nell’approccio di Jeauneau, non si
configura dunque in base a fattori esterni, codicologici o paleografici,
o a notizie storiche che permettano di escludere la supervisione del
maestro irlandese sul lavoro dei suoi adiuvanti; si basa invece su motivi
interni di interpretazione del testo. Tuttavia testo, autore e ambiente
storico sono inscindibili nella loro mutua interrelazione ed è solo in
base a un’approfondita comprensione di questo legame che è possibile
arrivare a un’interpretazione in cui i dati storici e filologici concorra-
no a una ricostruzione rigorosa, senza che questo precluda la formula-
zione di ipotesi, ma allo stesso tempo – laddove le ipotesi non trovino
conferme apodittiche – non si arrivi a sacrificare l’oggettività dei dati,
ovvero il testo e la sua trasmissione, nonché le notizie storiche, al fine
di corroborare le ipotesi.
La questione ecdotica relativa al capolavoro eriugeniano costituisce
solo uno dei tanti aspetti di questa problematica, benché risulti essere
fondamentale, in quanto è da essa che hanno preso le mosse le due
proposte editoriali in questione – e per questo ci è sembrato opportu-
no dedicarvi particolare attenzione. L’immagine dell’Eriugena, quale
viene consegnata al lettore dalle due edizioni italiane qui in esame,
risulta infatti non poco defocalizzata, non solo perché risulta sdoppia-
ta nella sua autorialità, ma anche perché la sua presentazione manca
di rendere conto della complessità dei rapporti tra l’Eriugena e il suo
tempo, dell’insieme delle fonti da lui utilizzate (bibliche, patristiche e
filosofiche), dando infine poco spazio alla questione della sua ricezio-
ne (soprattutto nel IX secolo). L’introduzione di Dronke si sofferma
con acutezza su diversi dettagli, prediligendo tuttavia un approccio
narrativo, o la rassegna di determinati episodi, piuttosto che tentare di
restituire a tutto tondo la figura del pensatore – quale l’Eriugena in
primo luogo fu –, cosa che sarebbe stata più utile per il lettore non
specialista nell’intraprendere la lettura del lungo dialogo. Dronke stes-
so avverte nell’introduzione di aver scelto di limitarsi a «richiamare
760 ernesto sergio mainoldi

l’attenzione su alcuni motivi fra i più insoliti del Periphyseon» (vol. I,


p. xxxv), ma ridurre all’«intreccio di profondità e arguzia» quello che
ha reso il dialogo eriugeniano «unico fra le grandi realizzazioni della
filosofia medievale» (ibid., p. xxxiii) ci sembra alquanto riduttivo nei
confronti della figura speculativa dell’Eriugena e del grandioso pro-
getto di sintesi filosofico-teologico-esegetica che è il Periphyseon.
Dal punto di vista della collocazione dell’Eriugena nella storia
del pensiero, Dronke enfatizza, senza entrare troppo nel dettaglio, i
contatti con le fonti della filosofia antica, quali il Timeo di Platone
e l’Organon di Aristotele, opere che l’Irlandese conosceva solo par-
zialmente o attraverso intermediari latini (come Macrobio, Calcidio
e Boezio), definendo poi i Padri della Chiesa dall’Eriugena tradotti
come «neoplatonici cristiani di lingua greca» (ibid., p. xxxii): in que-
sto modo la contestualizzazione degli orizzonti spirituali e culturali
ai quali l’Eriugena guardò risulta alquanto sfumata, proponendosi per
contro una sua immagine di pensatore libero «non […] vincolato a
nessuna scuola, ad alcun punto di vista o autorità» (ibid.), che so-
stiene una propria imago mundi, dove «le coordinate fondamentali
di un’immagine del mondo cristiana: Dio, la creazione, la caduta, la
redenzione» sono assunte «come presupposti, ma allo stesso tempo
[interpretate] in maniera decisamente individuale» (p. xxxv). Insom-
ma un Eriugena sine radicibus.
Risulta così accantonato in secondo piano uno dei fils rouges che
attraversano l’intero Periphyseon, ovvero il dialogo intessuto con i di-
battiti teologici del tempo, condotto non attraverso lo scontro pole-
mico diretto (come era avvenuto con il coinvolgimento dello stesso
Eriugena nella disputa sulla predestinazione), bensì attraverso la di-
scussione argomentativa dei principali temi dibattuti al suo tempo.
La questione teologica è stata per contro presa in considerazione
da Dronke limitatamente alla discussione del Filioque in PP II, sulla
quale peraltro anche Jeauneau si era largamente diffuso e dalla quale
aveva maturato la sua ipotesi circa le licenze nisifortiniane; tuttavia
che la questione della generazione del Figlio e della processione del-
lo Spirito venga presentata come «cosmogonia» (vol. II, p. xxiv) ci
sembra un altro esempio della tendenza del curatore a intendere la
cultura teologica come una declinazione della speculazione neopla-
tonica, come ben si può constatare a partire da affermazioni come la
seguente, che sembrano attribuire all’Eriugena cose che egli mai ha
i problemi critici del periphyseon 761

affermato: «…che lo Spirito proceda (nel linguaggio neoplatonico si


direbbe emani)…» (ibid.).
Tanto le introduzioni che aprono ciascuno dei cinque volumi
quanto il commento che li accompagna offrono una nutrita serie di
osservazioni al testo, le quali costituiscono indubbiamente il contri-
buto più interessante e utile del lavoro di Dronke (ineccepibilmente
tradotto in italiano da Michela Pereira ed Elisa Chiti). Le introduzioni
stesse sono concepite piuttosto come un commento generale al testo
che non come una presentazione sistematica degli argomenti toccati
e delle loro problematiche. Il commento segue spesso l’andamento di
una parafrasi commentata al testo, ma in tanti casi le note linguistiche,
i problemi di traduzione del greco dei Padri e la discussione delle
fonti dell’edizione critica mettono a disposizione del lettore un am-
pio e prezioso materiale di ragguaglio. Rimane tuttavia l’impressione
che un tentativo di maggior sintesi, in luogo delle lunghe parafrasi
argomentate avrebbero aiutato il lettore non specialista a farsi un’idea
d’insieme, così come l’inserimento degli opportuni riferimenti alla
letteratura secondaria sarebbe andato a vantaggio dei lettori interessati
ad approfondire lo studio del Periphyseon, dando loro contezza dell’ef-
fettivo stato dell’arte.
L’introduzione di Gorlani presenta la figura dell’Eriugena e la sua
attività all’interno di un quadro storicamente e argomentativamente
più sistematico, benché restituisca in alcuni casi l’impressione di segui-
re schemi storiografici datati – ad esempio, nel riferire il Periphyseon
a un fantomatico trittico con altre opere della maturità (p. 52), che
l’Eriugena mai intese come tale, ricalcandosi qui Cappuyns che uti-
lizzò questa definizione con intento più che altro enfatico. Sebbene lo
sforzo di Gorlani per appropriarsi della ricchezza e della complessità
dell’universo eriugeniano in un lasso di tempo che si intuisce esser
stato piuttosto breve sia ammirevole, questo non toglie che diverse
imprecisioni siano rimaste nella sua presentazione, risentendo ancora
di letture storiografiche ampiamente superate: ad esempio, l’afferma-
zione che l’ultima opera tradotta per intero dall’Eriugena sia il De
imagine di Gregorio di Nissa (p. 50), quando è in realtà probabile che
questa fu la prima opera da lui tradotta, ancor prima del Corpus Dio-
nysiacum; anche la notizia che dopo la morte del maestro irlandese la
sua opera fu dimenticata per qualche secolo fino alla “rinascita eriuge-
niana” del XII secolo (p. 145) si scontra con le numerose tracce lasciate
762 ernesto sergio mainoldi

dall’insegnamento eriugeniano nei testi delle scuole tra Francia, Ger-


mania e Italia durante il X e l’XI secolo. L’introduzione offre poi una
sintesi dei contenuti dell’intera opera, capitolo per capitolo, molto uti-
le per orientarsi nei contenuti del dialogo eriugeniano, mentre le note
al testo mostrano l’opportuna attenzione alla letteratura secondaria,
offrendo inoltre, dei passi identificati come fonti dell’Eriugena, tanto
il testo originario (per il greco soltanto alcune espressioni) quanto la
traduzione italiana (tuttavia sarebbe stato più economico e più utile al
fine della comprensione proporre delle sintesi di questi passi, invece
che appesantire l’apparato di note con testi talvolta eccessivamente
lunghi).
Il lavoro di Gorlani si conclude con un saggio integrativo di 284
pagine dedicato agli aspetti neoplatonici del pensiero dell’Eriugena,
intitolato Le causae primordiales e l’uomo: aspetti neoplatonici nel Pe-
riphyseon di Giovanni Scoto Eriugena. Centrale in esso è il raffronto
tra l’Eriugena e le sue fonti patristiche orientali, dal quale si cerca di
far emergere il debito del pensatore irlandese verso il neoplatonismo
tardo-antico. Il saggio segue un approccio più di presentazione com-
mentata che di posizione di problemi a cui viene fatto seguire un ap-
profondimento critico-speculativo, per cui gli “aspetti neoplatonici”
in questione risultano essere più un assioma di partenza che non il
risultato di un percorso dimostrativo. Nel saggio si affronta un’im-
portante problematica, finora toccata solo parzialmente in saggi che
non avevano avuto la pretesa di offrire una disamina a trecentosessanta
gradi come quella qui offerta da Gorlani, ovvero il quesito relativo
alla ricezione e all’interpretazione da parte di Giovanni Scoto degli
insegnamenti dei Padri da lui conosciuti e tradotti: l’analisi proposta
da Gorlani affronta con correttezza l’argomento in questione e riesce
a mettere in luce diversi aspetti dell’originalità (talvolta, dell’infedeltà)
con cui l’Eriugena ha ripreso temi e testi patristici, anche se il quadro
restituito appare come una disamina comparatistica di dottrine pre-
sentate in modo avulso dai contesti storici in cui si mossero gli autori
neoplatonici pagani, i Padri e lo stesso Giovanni Scoto. Ne emerge
così l’impressione che le modalità con cui l’Eriugena, e prima di lui
i Padri, si sarebbero rapportati alla tradizione filosofica sia quella di
una ripresa strutturalistica di filosofemi ritenuti adatti per costruire un
sistema speculativo personale, quando sarebbe stato opportuno con-
siderare anche le esigenze di rispondere alle sfide poste dal contesto
i problemi critici del periphyseon 763

storico in cui gli autori si mossero quale canale di comprensione dei


loro obiettivi speculativi e delle modalità con cui essi utilizzarono le
loro fonti. Questo vale a convincerci che il saggio in questione avreb-
be potuto trovare una sua elaborazione indipendente dalla traduzione
del Periphyseon, e, arricchito di una maggiore considerazione per i pa-
radigmi storico-filosofici in gioco, trovare una collocazione editoriale
a parte.
Vogliamo infine concludere con qualche osservazione in merito
alla resa in italiano del testo del Periphyseon offerta nelle due edizio-
ni, ricordando che per l’edizione Dronke la versione italiana è stata
realizzata da Michela Pereira. Entrambi i traduttori hanno cercato di
mantenersi il più possibile aderenti al testo latino, decisione del tutto
apprezzabile. Tuttavia la scelta di Dronke-Pereira di seguire nella tra-
duzione l’uso latino delle maiuscole/minuscole (per cui incontriamo
‘Cristo’, ‘Adamo’, ‘dio’, ‘scrittura’) – scelta presentata in una nota alla
traduzione senza una motivazione – ci sembra un vezzo inutile che
non migliora la leggibilità del testo, bensì costringe il lettore a uno
sforzo di disambiguazione nel caso di parole che, ad esempio, hanno
una connotazione teologica (Padre, Figlio, Verbo, Spirito, ma anche
il pronome ‘Colui’ quando rivolto a Dio ecc.). Per quanto nell’in-
sieme delle due traduzioni il giudizio non possa esimersi dal tenere
in considerazione la fatica compiuta per tradurre un testo di queste
proporzioni e complessità, da una loro accurata disamina possiamo ri-
cavare un’impressione analoga a quella che abbiamo maturato in base
all’analisi del testo latino e alla presentazione della figura dell’Eriugena
proposta nelle due edizioni.
Questo a partire dal titolo: Dronke-Pereira titolano a frontespizio
Sulle nature dell’universo e Periphyseon nel sottotitolo tra parentesi (sot-
totitolo che tuttavia non compare in sovracopertina). Non staremo a
dilungarci su quanto poco questo titolo sia coerente con il significato
del titolo originale, in quanto le ‘nature’ a cui l’Eriugena fa riferimen-
to (con il genitivo plurale del greco φύσις), sono le quattro specie del
genere universale che risponde al nome di natura (ΦΥΣΙΣ), quindi
l’argomento dell’opera è la totalità del Creato e dell’Increato, la natura,
non l’‘universo’, termine che introduce un’ambiguità, in quanto con
esso l’Eriugena intende in netta prevalenza la totalità creata. Conte-
stabile anche la scelta di far sparire il soprannome ‘Eriugena’ tanto dal
frontespizio, quanto dalla sovracopertina, essendo la forma Giovanni
764 ernesto sergio mainoldi

Scoto Eriugena (Iohannes Scottus Eriugena), (non ‘Giovanni Eriuge-


na’, né ‘Scoto Eriugena’), quella da preferirsi secondo un’onomastica
mediolatina scientificamente stabilita (per cui cfr. BISLAM – Biblio-
theca Scriptorum Latinorum Medii Recentiorisque Aevi, a cura di R.
Gamberini, Firenze, 2003).
La scelta di Gorlani è ancora meno condivisibile: Divisione della
natura è la traduzione del titolo adottato nell’editio princeps seicente-
sca (De divisione naturae), la quale attribuisce erroneamente all’intera
opera il titolo del primo paragrafo. Questo titolo ha avuto certo un
considerevole radicamento nella storiografia medievistica, venendo
reiterato fino a tempi recenti (ancora l’edizione Sheldon-Williams
lo dava come sottotitolo dell’opera), ma Jeauneau, in base alla recensio
dell’intera tradizione manoscritta, ha definitivamente chiarito che il
titolo marginale de divisione naturae (ΠΕΡΙ ΦΥCEΩC ΜΕΡΙCΜΟΥ)
non vuole far altro che segnalare l’argomento trattato nelle prime
battute dell’opera.
Siccome i curatori, nelle loro introduzioni e commenti, hanno uti-
lizzato univocamente il corretto titolo Periphyseon, ci sembra di com-
prendere che la scelta degli improbabili ed erronei titoli in frontespi-
zio e copertina non sia altro che il frutto di scelte editoriali finalizzate
a venire incontro al più vasto pubblico.
Entrambe le traduzioni sono lineari e ben intellegibili. Quella che
accompagna l’edizione Dronke può tuttavia vantare la maggior con-
suetudine con il latino medievale da parte della traduttrice, dovuta
alla di lei lunga esperienza di insegnamento e di traduzione di testi
mediolatini. Questo emerge nelle non sporadiche divergenze di signi-
ficato riscontrabili tra le due traduzioni, l’una risultando sovente più
corretta dell’altra: in 478B, Gorlani traduce ambitus con «cerchio» («il
luogo non è altro se non il cerchio…»), mentre sarebbe stato prefe-
ribile utilizzare ‘ambito’ o ‘perimetro’ (Pereira), in quanto l’immagine
visiva del cerchio non è cercata dall’autore e risulta essere disorien-
tante; in 566B (espunzione <113>) operationes discretae, viene tradotto
con «attività separate», aggettivo questo che andava evitato, trattan-
dosi di operazioni della Trinità, nella traduzione corretta di Pereira
«operazioni distinte» (vol. II, p. 306); il senso della frase illam naturam
quae cognoscit se ipsam et esse et quid sit, et illam quae tantum conoscit se
esse non autem intelligit quid sit non viene colto da Gorlani, che così la
traduce: «quella natura che conosce se stessa e l’esistenza e l’essenza, e
i problemi critici del periphyseon 765

quella che conosce soltanto l’esistenza, ma non comprende l’essenza»


(586A), ma il cui senso corretto leggiamo in Pereira: «quella natura
che di se stessa sa di essere e che cos’è, e quella che sa soltanto di essere
ma non comprende che cos’è».
Da notare che Gorlani aveva tradotto correttamente il binomio
quid est – quia est in 443C; ma in concomitanza leggiamo qui un’im-
precisione di traduzione in relazione alla citazione dionisiana, cara
all’Eriugena, esse omnium est super esse diuinitas (443B), cioè «l’essere
di tutte le cose è la divinità al di sopra dell’essere» e non «l’essere di
tutte le cose è il super-essere della divinità». Ma vero e proprio erro-
re risulta il tradurre in secretissimis sinibus creaturae ab eo factae et in eo
existentis consideratus incomprehensibilis est con «è considerato incom-
prensibile anche nei più segreti recessi della creatura [!] da lui creata
e in lui esistente» (443B), per cui si vedrà la corretta versione di Pe-
reira: «è incomprensibile anche quando lo contempliamo nei recessi
più segreti della creazione [!] fatta da lui e in lui esistente» (anche se
‘contempliamo’ può far sorgere l’equivoco che si tratti qui di visione,
mentre è qui questione di comprensione intellettuale).
Alle volte l’ordine delle parole rende difficile cogliere il senso della
frase: «il Figlio è nato e lo Spirito Santo procede dall’essenza del Padre
o dalla sostanza?» (613A), contro la più lineare traduzione di Pereira:
«è dall’essenza o dalla sostanza del padre che il figlio è nato e lo spirito
santo procede?».
La differente consuetudine con la terminologia filosofica medieva-
le emerge ancora nella traduzione data da Gorlani della locuzione tri-
na proprietas con «triplice specificità» (613B), non scorretta in assoluto,
ma più vaga rispetto a «triplice/trina proprietà», trattandosi qui delle
proprietà trinitarie (che traduce il greco ἰδιότητες). La terminologia
trinitaria occorrente in questo luogo incontra peraltro qualche impre-
cisione anche nella traduzione di Pereira: «designando […] la proprie-
tà delle tre sostanze coi vocaboli che indicano le tre persone». Qui in
realtà non è questione di una proprietà comune alle tre sostanze, ma
delle singole proprietà delle tre ipostasi (substantiae) trinitarie, le quali
sono indicate con i nomi delle tre persone: significantes […] trinam uero
substantiarum proprietatem trium personarum uocabulis.
In 613C, orthodoxa fides è tradotto da Gorlani con «corretta fede»,
cosa non sbagliata in assoluto (meglio sarebbe stato però «retta fede»),
ma si lascia dietro tutte le implicazioni storico-confessionali che l’e-
766 ernesto sergio mainoldi

spressione comporta, qualora tradotta più correttamente con «fede or-


todossa». Sempre in questo luogo possiamo notare un’altra divergenza
di traduzione, che vede tuttavia ribaltati i ruoli, con la più o meno
corretta traduzione di Gorlani e la svista di Pereira, da cui risulta una
curiosa lettura della frase Sanctus quoque Augustinus caeterique sancti pa-
tres latialiter scribentes… (613B), interpretata in senso pleonastico come
affermazione che anche Agostino fosse santo: «Ma Agostino, anch’egli
santo, e tutti gli altri santi padri che scrivevano in latino…»; in Gor-
lani invece il senso di quoque è colto con correttezza, ma è sfuggito il
senso di latialiter scribentes: «Anche sant’Agostino e gli altri santi padri
latini…». È probabile che l’Eriugena abbia qui fatto ricorso all’espres-
sione «che scrissero in latino» per il fatto che non poteva annoverare
l’africano Agostino tra i latini.
In 615D torniamo a preferire la traduzione di Pereira: qui infat-
ti l’Eriugena definisce le causae primordiales come principalia exempla,
espressione che Gorlani rende con il calco scorretto «esempi princi-
pali», perdendo tutto il senso ontologico qui implicato, mentre Perei-
ra rende con il più libero ma almeno chiaro «esemplari archetipici».
«Modelli principali/originari» poteva essere una traduzione ugual-
mente accettabile e lessicalmente più aderente al latino. In 616C i
diuini sapientes sono tradotti da Gorlani tout court come i «sapienti»
e questa è un’imprecisione, poiché con «divini sapienti» o «sapienti
ispirati da dio» (come Pereira traduce) l’Eriugena intende i Padri della
Chiesa o gli autori sacri.
Queste sviste di traduzione, pur non precludendo del tutto il sen-
so del testo, tengono la versione italiana di Gorlani un passo indietro
dall’esprimere pienamente l’universo intellettuale dell’Eriugena; in
diversi casi, tuttavia, la minor consuetudine con gli orizzonti del suo
pensiero ha dato vita a scelte problematiche: in 869C, ad esempio,
leggiamo l’espressione conceptiones rationabilis animi, che è una defi-
nizione propria della terminologia dialettica, ripresa dall’Eriugena
dalla tradizione tardo antica delle arti liberali, con cui sono indicati
i concetti assiomatici dell’intelletto umano (cfr. G. d’Onofrio, Fons
scientiae. La dialettica nell’Occidente tardo-antico, Napoli, Liguori, 1986);
tradurla con «attività dell’animo razionale», come fa Gorlani, com-
porta la perdita del riferimento al sapere liberale, oggetto di que-
sta parte del testo. Pereira la traduce correttamente con «concezioni
dell’animo razionale», ma il commento di Dronke a questo luogo
i problemi critici del periphyseon 767

resta nel generico del discorso sulla dialettica e non entra nel merito
di questa significativa definizione.
Poco più sotto incontriamo una frase ben più problematica: modus
iste argumentationis, qui ex intelligibilibus sumitur (869C). Come inter-
pretare intelligibilibus? Come sostantivo (intelligibilia) o come aggettivo
(intellegibilis, -e)? E in quest’ultimo caso, riferito a quale sostantivo? Pe-
reira traduce «realtà intellegibili», dando un senso platonizzante a tutta
la frase; Gorlani legge «discipline intelligibili». Curiosamente i due
traduttori prendono qui delle decisioni opposte alle scelte fatte solo
pochi paragrafi prima per tradurre ex intelligibilium contemplationibus
(868C): Pereira sceglie un’espressione più neutrale: «dalle riflessioni
sulle cose intelligibili», poiché il contesto qui riguarda esplicitamente i
concetti della mente (anche se Dronke nel commento insiste sul senso
platonico dell’espressione), mentre Gorlani opta per «contemplazione
[al singolare] degli enti intelligibili», di sapore fortemente platonico.
Ora senza negare che per l’Eriugena i procedimenti argomentativi
della dialettica abbiano una corrispondenza con la struttura ontologi-
ca della realtà, bisogna guardarsi dal vedere nel suo pensiero le realtà
intelligibili alla stregua di paradigmi ontologicamente autosussitenti.
Per l’Eriugena infatti gli intellegibili non sono una sussistenza sepa-
rata dell’essere come nel platonismo, bensì concetti della mente, e
andrebbero compresi non tanto alla luce di un generico richiamo
alla filosofia platonica, quanto del realismo ontologico altomedievale
di cui l’Eriugena fu eminente propalatore (per cui cfr. Ch. Erismann,
L’homme commun: La genèse du réalisme ontologique durant le haut Moyen
Âge, Paris, 2011).
L’espressione ea quae sunt et ea quae non sunt, vero marchio di fab-
brica del pensiero eriugeniano, viene tradotta da Gorlani nell’incipit
dell’opera con «quelle [realtà] che sono e quelle che non sono» (441A);
il termine «realtà» – prediletto da Gorlani, cfr. anche 616AB et passim
– non ci sembra peraltro la scelta più opportuna per tradurre la termi-
nologia ontologica alto-medievale, ma non comprendiamo perché nel
seguito del testo questo binomio ontologico venga trasformato in un
binomio esistenziale, come in 871C: «Se infatti Dio è principio di tutte
realtà esistenti e non esistenti»; e analogamente, in 948D, nel tradurre
l’espressione super omnia quae sunt: «al di sopra delle realtà esistenti».
Pereira traduce quae sunt et quae non sunt in modo più aderente al testo
latino: «dio è il principio di tutte le cose che sono e che non sono».
768 ernesto sergio mainoldi

Concludiamo infine con una piccolo esempio delle insidie della


retorica contenute nel testo eriugeniano: parlando degli apostoli Giu-
da Iscariota e Simon Pietro, l’Eriugena contrappone la loro relazione
al Cristo mediante un sottile ricorso alla figura retorica della conversio,
per la quale due termini vengono ripresentati in due frasi successive in
ordine inverso, con volgimento dei sostantivi in aggettivi e viceversa
o uso dei sostantivi in funzione aggettivale, come leggiamo in 983D:
unus avarus uendidit hominem deum, alter theologus cognouit deum homi-
nem. La traduzione non può dunque accontentarsi di ricalcare, come
fanno all’unisono Gorlani e Pereira, l’inversione di posizione dei so-
stantivi Deus e homo nel testo latino: «uno avido vendette l’uomo Dio,
l’altro teologo riconobbe il Dio uomo», giacché, in questo modo si
perde tutta l’enfasi drammatica e il significato teologico che l’uso ag-
gettivale conferisce alla frase, che andrebbe tradotta così: «L’uno, in
quanto avaro, ha venduto Dio come uomo; l’altro, in quanto teologo,
ha riconosciuto l’uomo come Dio».
Molto altro si potrebbe ancora aggiungere sulle questioni filosofi-
che emergenti dalle traduzioni qui in oggetto, ma quello che ci è sem-
brato importante sottolineare nelle brevi note qui tracciate è come il
latino dell’Eriugena richieda non soltanto una buona conoscenza del
lessico filosofico mediolatino, ma anche una grande padronanza della
sua opera, presa nella sua integralità, e della complessità del suo pen-
siero, affrontato senza preconcetti storiografici; due capitoli che molto
spesso comportano problemi di interpretazione anche a chi lo abbia
frequentato per lunghi anni.
Per quanto riguarda gli indici, l’edizione Gorlani offre un utile
Indice degli argomenti, un Indice dei passi biblici e un Indice degli
autori citati direttamente; da questo quadro il lettore si renderà conto
della vastezza delle letture che stanno dietro all’opera, ma allo stesso
tempo del ruolo non secondario che l’esegesi della Scrittura in essa
occupa. L’edizione Dronke-Pereira offre invece un Indice dei nomi
e uno delle Parole notevoli, che assomma le principali occorrenze di
termini latini e greci. Nel caso degli indici dunque le due edizioni
non si sovrappongono, ma si completano.
In definitiva non si può che rivolgere gratitudine ai curatori, alla
traduttrice e all’adiuvante di queste rilevanti imprese editoriali, so-
prattutto per aver rotto il ghiaccio su un testo ancora problematico
e per aver richiamato l’attenzione di studiosi, studenti e lettori su
i problemi critici del periphyseon 769

una delle opere più straordinarie del pensiero medievale. Agli studiosi
viene posto il problema del testo critico e di tanti aspetti dell’inter-
pretazione del pensiero eriugeniano, agli studenti viene messo a di-
sposizione un testo su cui essi potranno sviluppare proficue ricerche
(non senza approfondire però i problemi critici ad esso soggiacenti),
al lettore, infine, viene data la possibilità di avvicinarsi a uno degli
indiscutibili vertici della riflessione filosofica dell’Europa medievale –
dove l’esegesi scritturistica e la teologia si sposano e si armonizzano
con la speculazione razionale. Da qui ci sembra possibile concludere
affermando che l’insegnamento più attuale che l’Eriugena ha da ri-
volgere al nostro tempo è che «la vera filosofia è la vera religione, e
allo stesso modo la vera religione è la vera filosofia».

Ernesto Sergio Mainoldi

Abstract. This paper review is devoted to the Italian translations


of the main work of John Scottus Eriugena, the Periphyseon, which have
concomitantly appeared between the years 2012 and 2017, and have been
respectively edited by Peter Dronke (with a translation by Michela Pereira)
and Nicola Gorlani. Both editions are accompanied by the Latin text which
has been critically established by Édouard Jeauneau, but both skip its vast
critical apparatus; moreover, the text proposed by Dronke also presents
several interventions on the Latin text in respect of Jeauneau’s edition. An
analysis of the choices made by both the editors is proposed, arriving to the
conclusion that it would have been more prudent to maintain a conservative
attitude with respect to the text: although Jeauneau’s edition is based on
the hypothetical ecdotic assumption that a part of the glosses added to the
earliest manuscripts of the Eriugenian masterpiece is due to an unfaithful
copyist, the French editor has neverthless reported the entirety of the textual
materials transmitted by the manuscripts, while the editions-translations under
examination have left outside several important and interesting additions to
the text. This review also considers the way in which the speculative figure
of Eriugena is presented by both editions and their commentary apparatus.
Finally, several observations are reserved to the choices that have been made
by the translators.

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