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LA RAGAZZA DI POLVERE
(The Closers, 2005)
PARTE PRIMA
LA MISSIONE
Bosch studiò la lista degli anni di cui si sarebbero occupati. Era stato
fuori città e in Vietnam per la maggior parte del primo blocco.
«The summer of love, l'estate dell'amore» disse. «Me la sono persa. For-
se è questo il mio problema.»
Lo disse tanto per dire qualcosa. Notò che il secondo blocco compren-
deva il 1972, l'anno in cui era entrato in servizio. Si ricordò della chiamata
in una casa di campagna nel Vermont durante il secondo giorno di pattu-
glia. Una donna che viveva sulla costa atlantica aveva chiesto di andare a
controllare la madre, che non rispondeva al telefono. Bosch la trovò anne-
gata nella vasca da bagno, le mani e i piedi legati con dei guinzagli. Insie-
me a lei nella vasca c'era il suo cane, anche lui morto. Bosch si domandò
se il caso dell'anziana assassinata fosse uno dei casi ancora aperti che ora
era incaricato di risolvere.
«Come ci si è arrivati? Voglio dire, perché ci sono toccati questi anni?»
«Ce li hanno lasciati gli altri team. Abbiamo alleggerito il loro carico. In
realtà, si erano già messi in moto su molti casi dei nostri anni. Venerdì ho
sentito che è saltato fuori un cold hit dell'88. Dobbiamo occuparcene a par-
tire da oggi. Immagino che si possa considerare il tuo regalo di bentorna-
to.»
«Cos'è un cold hit?»
«Quando inseriamo nel computer del Dipartimento di Giustizia un esa-
me del DNA o un indizio e salta fuori una corrispondenza.»
«Qual è il nostro caso?»
«Penso che abbiano trovato una corrispondenza nel DNA. Lo scoprire-
mo questa mattina.»
«Non ti hanno detto nulla la scorsa settimana? Sarei potuto entrare in
servizio nel week-end, lo sai.»
«Lo so, Harry, ma è un vecchio caso. Non c'è alcun bisogno di partire in
quarta nell'istante esatto in cui troviamo un pezzo di carta nella cassetta
della posta. Lavorare all'Unità Casi Irrisolti è diverso.»
«Sì? Come mai?»
Rider sembrava esasperata, ma prima che potesse rispondere sentirono
aprirsi la porta e la sala cominciò a riempirsi di voci.
Rider uscì dalla nicchia seguita da Bosch. Presentò il compagno agli altri
membri della squadra. Bosch conosceva bene due dei detective, Tim Mar-
cia e Rick Jackson, avevano collaborato a diversi casi. Le altre due coppie
era formate da Robert Renner e Victor Robleto, e Kevin Robinson con Je-
an Nord. Bosch li conosceva di nome, così come conosceva Abel Pratt,
l'ufficiale di comando dell'unità. Ognuno di loro era stato un elemento di
spicco della Omicidi.
Lo salutarono cordialmente, senza eccessivo calore, in maniera un po'
troppo formale. Bosch era consapevole che con tutta probabilità il suo in-
serimento nella squadra era visto con sospetto. Quell'unità era molto ambi-
ta da tutti gli uomini del dipartimento. Il fatto che avesse ottenuto il posto
dopo quasi tre anni di congedo aveva sollevato parecchi interrogativi.
Bosch sapeva, come gli aveva ricordato il capo della polizia, di dover rin-
graziare Rider. L'ultimo incarico della partner era stato nell'ufficio del co-
mandante, come analista delle politiche del dipartimento. Aveva capitaliz-
zato tutti i punti che si era guadagnata agli occhi del capo per ottenere che
Bosch fosse reintegrato e lavorasse ai casi insoluti insieme a lei.
Dopo tutte le strette di mano, Pratt invitò Bosch e Rider nel suo ufficio
per un discorsetto privato di benvenuto. Si sedette alla scrivania e i due
presero posto uno accanto all'altro su due sedie di fronte a lui. Nella stan-
zetta, grande come uno sgabuzzino, non c'era spazio per altra mobilia.
Pratt era di qualche anno più giovane di Bosch, più vicino ai cinquanta
che ai sessanta. Si manteneva in forma e possedeva lo spirito di corpo della
decantata Divisione Rapine e Omicidi, della quale l'Unità Casi Irrisolti era
soltanto una ramificazione. Pratt pareva sicuro dei propri mezzi e della ca-
pacità di comandare l'unità. Doveva esserlo per forza. La Rapine e Omicidi
si occupava dei casi più difficili. Bosch sapeva che se non pensavi di esse-
re più in gamba degli altri, più duro e più furbo della gente a cui davi la
caccia, allora non potevi appartenere alla squadra.
«Quello che dovrei fare sarebbe dividervi» iniziò. «Affiancarvi a qual-
cuno che si sia già acclimatato nell'unità, perché qui il lavoro è diverso da
quello che avete fatto in passato. Ma ho ricevuto l'ordine dal sesto piano, e
non lo discuterò. E comunque, ho sentito dire che tra di voi c'è una chimica
che funziona piuttosto bene. Perciò scordiamoci quello che dovrei fare e
lasciate che vi dica qualcosa riguardo a come si lavora nella nostra unità.
Kiz, so che hai già sentito questo discorso la settimana scorsa, ma dovrai
sorbirtelo di nuovo, okay?»
«Certo» disse Rider.
«Prima di tutto, dimenticatevi i casi chiusi. I casi chiusi sono una stron-
zata. Chiudere un caso è un termine usato dai media, qualcosa che scrivo-
no sui giornali per parlare dei cold case, dei "casi freddi". La chiusura del
caso è una presa per il culo. È una bugia del cazzo. Qui noi non facciamo
altro che fornire risposte. Le risposte devono bastare. Perciò non prendete-
vi in giro. Non prendete in giro i familiari delle vittime e non fatevi pren-
dere in giro da loro.»
Si fermò, in attesa di un commento, non ne ottenne e proseguì. Bosch
notò che la foto incorniciata e appesa al muro raffigurava un uomo acca-
sciato in una cabina telefonica tempestata di proiettili. Si trattava di quel
tipo di cabina telefonica che si vedeva solo nei vecchi film, al Farmers
Market o da Phillippe.
«Senza alcun dubbio, il nostro ufficio è il luogo più nobile di tutto il pa-
lazzo. Una città che si dimentica le sue vittime è una città perduta. Questo
è il luogo dove non si dimentica. Siamo come i giocatori che entrano al
nono inning, per vincere o per perdere la partita. Siamo i closers, gli ultimi
lanciatori, i lanciatori più importanti. Se non ci riusciamo noi, non ci riesce
nessuno. Se sbagliamo noi, la partita è persa, perché rappresentiamo l'ulti-
ma risorsa. Sì, siamo troppo pochi. Ci sono stati ottomila casi irrisolti dagli
anni Sessanta a oggi. Ma noi siamo imperterriti. Se riuscissimo a risolvere
anche un solo caso al mese - dodici all'anno - sarebbe già qualcosa. Siamo
quelli che fanno l'ultimo lancio, ragazzi. Se sei ossessionato dagli omicidi,
questo è il tuo posto.»
Bosch era colpito da tanto fervore. Riconobbe la sincerità, persino il do-
lore negli occhi di Pratt. Annuì. Capì all'istante che desiderava lavorare per
quell'uomo, un caso raro nei molti anni di esperienza al dipartimento.
«Non dimenticatevi che chiudere il caso non è la stessa cosa che essere il
closer» aggiunse Pratt.
«Chiaro» disse Bosch.
«Ora, so che voi due avete entrambi molta esperienza nella Omicidi.
Quello che qui troverete di diverso è il vostro rapporto con il caso.»
«Rapporto?» domandò Bosch.
«Sì, rapporto. Intendo dire che il cadavere fresco è un animale del tutto
diverso. Avete il corpo, avete l'autopsia, portate la notizia alla famiglia.
Qui si tratta di vittime scomparse da molto tempo. Non c'è nessuna auto-
psia, la scena del crimine non esiste più. Avete a che fare con il fascicolo
del delitto - se riuscite a trovarlo - e con gli archivi. Quando andate dalla
famiglia - e datemi retta, non fatelo prima di essere davvero pronti - trova-
te della gente che ha già subito lo shock e può aver trovato o no il modo di
superarlo. È qualcosa che logora. Spero che siate pronti.»
«Grazie dell'avvertimento» disse Bosch.
«Il lavoro sugli omicidi freschi è clinico, perché le cose si muovono ve-
loci. Quello sui casi vecchi è emotivo. Riscoprirete il tributo che il tempo
deve pagare alla violenza. Preparatevi.»
Pratt trascinò un grosso raccoglitore blu dal bordo al centro della scriva-
nia. Stava per porgerlo ai due agenti, ma si fermò.
«Un'altra cosa a cui bisogna prepararsi è il dipartimento stesso. Dovete
tenere conto che i dossier sono incompleti, addirittura mancanti. Dovete
essere consapevoli che le prove materiali sono state distrutte o sono scom-
parse. Per molti dei casi dovrete cominciare da pochi elementi raffazzona-
ti. Questa unità è stata istituita solo due anni fa. Abbiamo passato i primi
otto mesi a frugare negli archivi per estrarre i casi insoluti. Abbiamo recu-
perato il possibile dai database, ma anche quando abbiamo avuto successo,
siamo stati comunque ostacolati dalla natura frammentaria delle informa-
zioni. È stato terribile. È stato frustrante. Nonostante non esista la prescri-
zione per casi di omicidio, abbiamo scoperto che i reperti, gli interi dos-
sier, venivano di norma buttati a ogni cambio di amministrazione.
Quello che sto dicendo è che scoprirete che l'ostacolo maggiore alla riso-
luzione di questi casi potrebbe dimostrarsi proprio il dipartimento.»
«Si dice che è saltato fuori un cold hit relativo a uno dei nostri anni» in-
tervenne Bosch.
Aveva ascoltato abbastanza. Ora desiderava solo cominciare a muoversi
su qualcosa.
«Sì, è così» rispose Pratt. «Ci arriveremo in un secondo. Lasciami finire
il mio discorsetto. Dopotutto, non mi capita troppo spesso di poterlo tene-
re. In estrema sintesi, quello che cerchiamo di fare qui è applicare ai vecchi
casi le nuove tecnologie e le procedure moderne. Le tecnologie, in sostan-
za, si sono evolute su tre fronti: DNA, impronte digitali e perizie balisti-
che. In tutte e tre le aree lo sviluppo dell'analisi comparata è stato fenome-
nale negli ultimi dieci anni. Il problema del nostro dipartimento è che que-
sti strumenti innovativi non sono mai stati utilizzati per riaprire casi del
passato. Di conseguenza, stimiamo di avere all'incirca duemila casi per i
quali è disponibile la prova del DNA ma non è stata effettuata alcuna
comparazione. Dal 1960 a oggi ci sono quattromila casi con impronte digi-
tali che non sono mai state passate al computer. Fa ridere, se non fosse che
è una faccenda troppo triste per riderci sopra. Lo stesso si può dire della
balistica. Stiamo scoprendo che in molti dei casi le prove ci sono, ma sono
state ignorate.»
Bosch scosse il capo, avvertiva già la frustrazione di tutte le famiglie
delle vittime i cui casi erano stati spazzati via dal tempo, dall'indifferenza,
dall'incompetenza.
«Scoprirete anche che le procedure sono cambiate. Oggi alla Omicidi i
poliziotti sono molto più meticolosi dei loro colleghi degli anni Sessanta,
persino di quelli degli anni Ottanta. Perciò, ancor prima di trovare le prove
materiali, mentre rivedete il caso, arriverete a riconoscere dei particolari
che a voi adesso paiono lampanti, ma che non lo sono stati per nessuno
all'epoca dell'omicidio.»
Pratt annuì. Il discorso era finito.
«Veniamo al cold hit» concluse, spingendo il raccoglitore blu sbiadito
dall'altra parte del tavolo. «Datevi da fare con questo, ragazzi. È tutto vo-
stro. Risolvete il caso e sbattete qualcuno in prigione.»
Dopo aver lasciato l'ufficio di Pratt decisero che Bosch sarebbe andato a
prendere il secondo giro di caffè mentre Rider avrebbe cominciato a legge-
re il fascicolo del caso. Sapevano dalle passate esperienze che era lei la più
veloce a leggere, e non aveva senso dividere il fascicolo in due. Serviva a
entrambi leggerlo in modo lineare dall'inizio alla fine, per avere davanti
agli occhi le indagini secondo lo sviluppo temporale in cui si erano svolte
ed erano state documentate.
Bosch disse che così Rider avrebbe avuto un bel vantaggio. Aggiunse
che si sarebbe bevuto una tazza di caffè in caffetteria, ne sentiva la man-
canza. Del posto, non del caffè.
«Allora immagino che questo mi conceda qualche minuto per andare in
fondo al corridoio» disse lei.
Dopo che Kiz ebbe lasciato l'ufficio per raggiungere la toilette, Bosch
prese il foglio in cui erano elencati gli anni che gli erano stati assegnati e
se lo infilò nella tasca interna della giacca. Lasciò l'ufficio 503 e scese al
terzo piano con l'ascensore. Attraversò il salone principale della Rapine e
Omicidi e arrivò all'ufficio del capitano.
Era diviso in due locali, uno era l'ufficio vero e proprio, l'altro veniva
chiamato "la stanza dei delitti". Era arredata con un lungo tavolo da riu-
nioni dove si discutevano le indagini sui casi di omicidio; su due delle pa-
reti erano disposte file di scaffali che contenevano i codici legali e i registri
degli omicidi della città. Ogni delitto commesso a Los Angeles nell'ultimo
secolo era stato inserito in quei registri rilegati in pelle. Negli anni si era
diffusa la pratica di aggiornarli ogni volta che un caso veniva risolto. Era il
modo più semplice per il dipartimento di determinare quali casi erano an-
cora aperti e quali erano stati chiusi.
Bosch fece scorrere un dito sui dorsi crepati dei volumi. Su tutti c'era
scritto solo OMICIDI e, a seguire, l'elenco degli anni che vi erano stati re-
gistrati. Ognuno dei primi volumi comprendeva diversi anni. Ma a partire
dagli anni Ottanta erano stati commessi così tanti omicidi in città che un
tomo riusciva a contenere i resoconti di un anno soltanto. Notò che il 1988
era addirittura diviso in due volumi, e di colpo si fece un'idea del perché
quell'anno fosse stato attribuito proprio a lui e a Rider, gli ultimi arrivati
all'Unità Casi Irrisolti. Il picco di omicidi in quell'anno doveva comportare
anche un picco di casi irrisolti.
Raggiunto il tomo che partiva dal 1972, lo estrasse e si sedette al tavolo.
Sfogliò le pagine, lambì le storie, ascoltò le voci. Ritrovò l'anziana signora
annegata nella vasca da bagno. Il caso non era mai stato risolto. Andò a-
vanti, attraversò il 1973 e il 1974, sfogliò il libro che conteneva 1966, '67 e
'68. Lesse di Charles Manson e Robert Kennedy. Lesse di gente i cui nomi
non aveva mai sentito nominare. Nomi che erano stati strappati loro insie-
me a tutto quello che quegli individui possedevano o avrebbero potuto
possedere.
Mentre leggeva quei cataloghi di orrori della città, Bosch avvertì una
forza familiare che si impossessava di lui e ricominciava a scorrergli nelle
vene. Era tornato al lavoro da un'ora appena ed era già sulle tracce di un
assassino. Non importava quanto tempo prima fosse stato versato quel
sangue. C'era un omicida in libertà e Bosch stava arrivando. Come il figliol
prodigo, sapeva di essere tornato al proprio posto. Era stato battezzato di
nuovo nelle acque dell'unica vera chiesa. E quella era la sua missione. Sa-
peva che avrebbe trovato la propria salvezza in coloro che da tempo erano
venuti a mancare, in quelle bibbie polverose dove i morti erano incolonnati
uno sotto l'altro e i fantasmi popolavano ogni pagina.
«Harry Bosch!»
Sorpreso dall'intrusione, Bosch chiuse il libro con un colpo e alzò lo
sguardo. Il capitano Gabe Norona era in piedi sulla soglia dell'ufficio in-
terno.
«Capitano.»
«Bentornato.»
Avanzò e strinse con vigore la mano di Bosch.
«È bello essere di nuovo qui.»
«Vedo che ti hanno già dato da fare i compiti a casa.»
Bosch annuì.
«Cerco di acclimatarmi.»
«Tempi d'oro per i morti. Harry Bosch riprende in mano il caso.»
Bosch non disse nulla. Non capiva se il tono del capitano fosse sarcasti-
co.
«È il titolo di un libro che ho letto una volta» spiegò Norona.
«Oh.»
«Bene, buona fortuna. Vai là fuori e sbattili dentro.»
«È quello che voglio fare.»
Il capitano gli strinse di nuovo la mano, scomparve nel suo ufficio e
chiuse la porta.
Bosch si alzò, il momento sacro era stato rovinato da quell'intrusione.
Cominciò a risistemare i pesanti cataloghi sugli scaffali. Quando ebbe fini-
to, lasciò l'ufficio per andare alla caffetteria.
Kiz Rider era quasi a metà del fascicolo quando Bosch rientrò con il se-
condo giro di caffè. Gli prese la tazza dalle mani.
«Grazie, ho bisogno di qualcosa per tenermi sveglia.»
«Come? Non vorrai farmi credere che questo lavoro è più noioso che
passare carte nell'ufficio del comandante.»
«No, non è questo. È il fatto di mettersi in pari con tutte le informazioni
che ci mancano, leggere tutto. Dovremo arrivare a conoscere questo fasci-
colo come le nostre tasche. Dobbiamo essere pronti a ogni eventualità.»
Bosch notò che la collega aveva un blocco per appunti aperto accanto al
fascicolo, e la prima pagina era piena di appunti. Non riusciva a leggere
cosa ci fosse scritto, ma vedeva che la maggior parte delle righe terminava
con un punto di domanda.
«Comunque,» aggiunse la donna «ora uso dei muscoli diversi. Muscoli
che al sesto piano non usavo mai.»
«Capisco» disse lui. «Va bene se inizio anch'io adesso?»
«Accomodati.»
Aprì l'anello del raccoglitore e tirò fuori il fascio di documenti spesso
cinque centimetri che aveva già letto. Li passò a Bosch, che si era seduto
alla sua scrivania.
«Hai un altro blocco grande come quello?» domandò. «Io ho solo un
taccuino.»
Rider sospirò in maniera esagerata. Bosch sapeva che era tutta scena e
che la partner era contenta di lavorare di nuovo con lui. Aveva passato gli
ultimi due anni a studiare strategie e a risolvere problemi per il nuovo co-
mandante. Ma quello per cui era veramente tagliata era il lavoro vero del
poliziotto.
Fece scivolare un blocco verso di lui.
«Hai bisogno anche di una penna?»
«No, per quella penso di potermela cavare.»
Bosch posò i documenti sul tavolo e cominciò a leggere. Era pronto a
partire, e non aveva bisogno del caffè per mettersi in moto.
La prima pagina del fascicolo era una foto a colori contenuta in una bu-
sta di plastica trasparente con tre fori. La foto, presa da un annuario scola-
stico, ritraeva una ragazza attraente ed esotica, i cui occhi a mandorla di un
verde sorprendente si stagliavano contro la pelle color caffè. Aveva i ca-
pelli castani, ricci, con delle striature di biondo che parevano naturali e che
avevano catturato il flash della macchina fotografica. Gli occhi erano lu-
minosi e il sorriso naturale. Quel sorriso pareva dire che la ragazza custo-
diva segreti che nessun altro conosceva. Bosch non pensò che fosse bella.
Non ancora. I tratti somatici parevano in conflitto l'uno con l'altro, non co-
ordinati. Ma sapeva che la goffaggine degli adolescenti spesso si addolci-
sce e più tardi si trasforma in bellezza.
Ma per la sedicenne Rebecca Verloren non ci sarebbe mai stato un più
tardi. Il 1988 sarebbe stato il suo ultimo anno di vita. Il cold hit riguardava
l'omicidio della ragazza.
Becky, come la chiamavano i familiari e gli amici, era l'unica figlia di
Robert e Muriel Verloren. Muriel era casalinga, Robert era lo chef e il pro-
prietario di un famoso ristorante di Malibu, l'Island House Grill. Vivevano
sulla Red Mesa Way poco oltre la Santa Susana Pass Road a Chatsworth,
nell'angolo nord occidentale dell'agglomerato urbano che si congiungeva
con Los Angeles. Il giardino sul retro della loro casa si inerpicava sul pen-
dio alberato della Oat Mountain, la montagna che si ergeva sopra Cha-
tsworth e rappresentava il confine nord occidentale della città. Quell'estate
Becky aspettava di frequentare il terzo anno alla Hillside Preparatory
School, una scuola privata vicino a Porter Ranch, dove era nella lista degli
studenti meritevoli e dove sua madre lavorava come volontaria alla caffet-
teria, portando persino il pollo al jerk e altre specialità dalla cucina del ri-
storante del marito per la mensa dei professori.
La mattina del 6 luglio 1988, i Verloren scoprirono che la figlia non era
in casa. Trovarono la porta sul retro aperta, nonostante fossero sicuri di a-
verla chiusa a chiave la sera prima. Pensando che la ragazza potesse essere
uscita a fare una passeggiata, aspettarono in apprensione per un paio d'ore,
ma Becky non tornò. Quel giorno sarebbe dovuta andare al ristorante con
il padre, per lavorare al turno di mezzogiorno come aiutocameriera, ed era
passato da parecchio l'orario in cui sarebbero dovuti partire per Malibu.
Mentre la madre chiamava le amiche, nella speranza di localizzarla, il pa-
dre andò a cercarla sulla collina dietro casa. Quando tornò senza aver tro-
vato alcuna traccia di lei, i genitori decisero che fosse giunto il momento di
chiamare la polizia.
Furono inviati a casa Verloren degli agenti della Divisione Devonshire.
Non trovarono segni di effrazione. Per questa ragione, e per il fatto che la
ragazza era nell'età che contava la più alta percentuale di fughe, sembrava
probabile che Rebecca fosse scappata di casa. Si decise così di seguire la
procedura standard per le persone scomparse, a dispetto delle proteste dei
genitori che non credevano possibile che la figlia avesse lasciato la casa di
propria volontà.
Due giorni più tardi la tesi dei genitori si dimostrò tragicamente vera. Il
cadavere già in stato di decomposizione di Becky Verloren fu rinvenuto
accanto al tronco abbattuto di una quercia, a una decina di metri circa da
un sentiero per le passeggiate a cavallo sulla Oat Mountain. Una donna in
sella al suo appaloosa aveva lasciato il sentiero incuriosita da un odore ter-
ribile, e si era imbattuta nel cadavere. La cavallerizza avrebbe potuto be-
nissimo ignorare quel tanfo, ma aveva appena visto sui pali del telefono il
cartello con la foto della ragazza scomparsa nella zona.
Becky Verloren era morta a meno di quattrocento metri da casa. Era
probabile che il padre fosse passato a pochi metri, addirittura a pochi passi
dal corpo mentre si inerpicava sulla collina chiamando a gran voce il nome
della figlia. Ma quella mattina non c'era ancora nessun cattivo odore che
potesse attirare la sua attenzione.
Bosch era padre di una ragazzina. Sebbene la figlia vivesse lontana da
lui, con la madre, non era mai distante dai suoi pensieri. In quel momento
pensò a un padre che si arrampica sulla collina e chiama il nome della fi-
glia, che non tornerà mai più a casa.
Cercò di concentrarsi sui documenti.
La vittima era stata uccisa con un colpo di pistola al petto. L'arma, una
Colt semiautomatica calibro 45, era stata rinvenuta tra le foglie accanto al-
la caviglia sinistra della ragazza. Mentre studiava le foto della scena del
crimine, Bosch scorse quella che gli parve la bruciatura provocata da uno
sparo ravvicinato sulla stoffa della camicia da notte azzurra. Il foro del
proiettile si trovava appena sopra il cuore, e Bosch capì dal calibro
dell'arma e dalla dimensione della ferita che la morte doveva essere so-
praggiunta immediata. Il cuore era stato frantumato dal proiettile che aveva
attraversato il corpo.
Bosch esaminò a lungo le foto del cadavere. La vittima non aveva le
mani legate. Non c'erano tracce di violenza, né di colluttazione. Il viso era
rivolto verso il tronco caduto. Niente lasciava pensare a una molestia ses-
suale o a un'aggressione di qualsiasi genere.
Il fraintendimento da parte della polizia sulla scomparsa della ragazza
era stato aggravato da un secondo errore, nell'analisi della scena del delit-
to. Gli incartamenti dimostravano che il decesso era stato considerato un
probabile caso di suicidio, e come tale era stato presentato alla Omicidi dai
due detective che avevano risposto alla chiamata, Ron Green e Arturo
Garcia.
Ai tempi del delitto, e ancora adesso, la Divisione Devonshire era la sta-
zione di polizia più tranquilla del distretto di Los Angeles. Costituito da un
ampio quartiere dormitorio con proprietà immobiliari di valore e residenti
per lo più dell'alta borghesia, Devonshire era sempre stato al livello più
basso nelle statistiche sul crimine in città. Tra gli uomini del dipartimento
la stazione era soprannominata il Club Dev. Era un posto parecchio ambito
dagli agenti e dai detective che avevano alle spalle molti anni di servizio,
erano stanchi, o semplicemente avevano visto troppe azioni. Sotto la giuri-
sdizione della Divisione Devonshire ricadeva anche la parte della città at-
torno alla Simi Valley, una comunità tranquilla, pressoché priva di crimi-
nalità, nella Contea di Ventura, dove centinaia di agenti del Dipartimento
di Polizia di Los Angeles avevano deciso di andare a vivere. Essere asse-
gnati alla Devonshire significava viaggi brevi e il minor carico di lavoro di
tutto il dipartimento.
Il pedigree del Club Dev scorreva in fondo alla mente di Bosch mentre
leggeva i rapporti. Sapeva che buona parte del suo lavoro consisteva nel
giudicare l'operato di Green e Garcia, per determinare se fossero stati
all'altezza del loro ruolo. Non li conosceva, e non aveva avuto alcuna espe-
rienza con loro. Non aveva idea del loro livello di competenza e dedizione.
Sì, c'era l'erronea interpretazione iniziale, ma stando ai rapporti i due inve-
stigatori se n'erano resi conto per tempo e avevano preso subito in mano il
caso. I rapporti sembravano ben scritti, minuziosi e completi. Pareva che,
ogni volta che ne avevano avuto l'opportunità, gli investigatori avessero
compiuto un piccolo passo avanti.
Tuttavia, Bosch sapeva che era possibile manipolare il fascicolo di un
delitto per dare questa impressione. Avrebbe scoperto la verità solo sca-
vando a fondo e conducendo la propria indagine. Sapeva che avrebbe potu-
to esserci una considerevole differenza tra quanto era stato registrato e
quanto era stato omesso.
Secondo quanto diceva il fascicolo, Green e Garcia avevano cambiato
direzione alle indagini dopo che l'autopsia e l'analisi dell'arma del delitto li
avevano portati a scartare l'ipotesi del suicidio. Il caso era stato riclassifi-
cato come omicidio camuffato da suicidio.
Bosch arrivò alle prime rilevazioni dell'autopsia. Aveva letto un migliaio
di referti autoptici e aveva assistito a centinaia di analisi. Sapeva di dover
saltare tutte le misurazioni e le descrizioni della procedura e passare subito
alle conclusioni riassuntive e alle foto allegate. Non fu sorpreso di leggere
che la causa della morte era stata una ferita d'arma da fuoco al petto. L'ora
stimata del decesso era tra la mezzanotte e le due del mattino. Il 6 luglio.
Le conclusioni segnalavano che nessun testimone aveva dichiarato di aver
sentito gli spari, pertanto la stima sull'ora del decesso si basava esclusiva-
mente sulla perdita di temperatura del cadavere.
Le sorprese si trovavano negli altri accertamenti. Rebecca Verloren ave-
va capelli lunghi e folti. Alla base del collo, sul lato destro, sotto l'attacca-
tura dei capelli, il medico aveva riscontrato una piccola bruciatura circola-
re all'incirca del diametro di un bottone da camicia. A cinque centimetri da
questo segno, c'era un'altra bruciatura, molto più piccola della prima. Un
tasso elevato di globuli bianchi nel sangue attorno a queste ferite indicava
che entrambe erano state procurate un po' prima, non al momento della
morte.
Il rapporto concludeva che le bruciature dovevano essere state lasciate
da un'arma stordente: un dispositivo che emetteva una potente scarica elet-
trica, tale da togliere coscienza alla vittima per diversi minuti, o anche più
a lungo, a seconda della carica.
Di norma la scarica di un'arma stordente lasciava sulla pelle due segni
piccoli e quasi impercettibili, in coincidenza con il doppio punto di contat-
to. Ma se i due estremi del dispositivo venivano appoggiati in maniera di-
seguale contro il corpo della vittima, la carica elettrica bruciava l'epider-
mide nella maniera visibile sul collo di Becky Verloren.
Le conclusioni dell'autopsia facevano notare anche che un esame dei
piedi della ragazza non aveva evidenziato tracce di terra, tagli o lividi, che
sarebbero stati inevitabili se avesse camminato a piedi nudi sulla montagna
al buio.
Bosch tamburellò con la penna sul rapporto e rifletté su questo particola-
re. Sapeva che si trattava di un errore commesso da Green e Garcia. I piedi
della vittima avrebbero dovuto essere esaminati sul luogo del delitto, e da
questo i detective avrebbero dovuto capire subito che il suicidio era una
messinscena. Invece si erano lasciati sfuggire il particolare e avevano spre-
cato due giorni per aspettare l'autopsia con il week-end di mezzo. Quei due
giorni, più i due persi quando gli agenti dell'autopattuglia avevano sottova-
lutato la chiamata dei genitori e attribuito la scomparsa a una semplice fu-
ga, avevano costituito un pessimo inizio per le indagini. Non c'erano dub-
bi, la partenza dai blocchi era stata decisamente lenta. Bosch cominciava a
rendersi conto del pessimo servizio che il dipartimento aveva fatto a Re-
becca Verloren.
Il referto autoptico conteneva anche i risultati di un test per la ricerca di
eventuali residui di polvere da sparo sulle mani della vittima. Erano state
trovate tracce sulla mano destra di Becky, mentre non c'era nulla sulla sini-
stra. Nonostante Rebecca Verloren fosse destra, Bosch sapeva che quel test
era la riprova che la ragazza non poteva aver sparato con la pistola che l'a-
veva uccisa. L'esperienza - non importava quanto limitata - e il buon senso
avrebbero dovuto suggerire agli investigatori che la giovane avrebbe avuto
bisogno di entrambe le mani per sorreggere la pesante pistola, puntarla
contro il petto e premere il grilletto. In quel caso, il risultato del test avreb-
be dovuto segnalare la presenza di polvere da sparo anche sulla mano sini-
stra.
Nelle conclusioni del referto c'era un altro punto degno di nota. L'esame
del cadavere aveva stabilito che la vittima era sessualmente attiva, e alcune
ferite sulla parete dell'utero testimoniavano di un recente raschiamento per
interrompere una gravidanza. Il coroner che aveva effettuato l'autopsia a-
veva stimato che fosse accaduto all'incirca tra le quattro e le sei settimane
prima del decesso.
Bosch lesse il primo rapporto di sintesi delle indagini che era stato redat-
to e aggiunto al fascicolo dopo l'autopsia. Green e Garcia a quel punto
classificavano il decesso come omicidio e teorizzavano che qualcuno fosse
entrato nella stanza della ragazza mentre lei dormiva, l'avesse immobiliz-
zata con un'arma stordente e l'avesse portata fuori dalla camera e dalla ca-
sa. Era stata trasportata su per la montagna fino al luogo in cui si trovava la
quercia caduta, dove l'omicida, con tutta probabilità a seguito di una deci-
sione estemporanea, aveva cercato in maniera goffa di inscenare un suici-
dio. Il rapporto era stato compilato lunedì 11 luglio: cinque giorni dopo
che Rebecca Verloren era stata abbandonata senza vita sulla collina.
Bosch passò al rapporto sull'analisi dell'arma da fuoco. L'autopsia aveva
dato indicazioni più che convincenti della falsità del suicidio, e lo studio
dell'arma e la perizia balistica confermavano la teoria investigativa.
Sull'arma non c'erano altre impronte digitali oltre a quelle della mano
destra di Becky Verloren. Il fatto che non ci fossero impronte della mano
sinistra né macchie di alcun genere indicava agli investigatori che la pisto-
la era stata pulita con cura prima di essere piazzata nella mano di Becky.
L'arma era stata poi diretta verso il petto della ragazza e aveva sparato. Era
probabile che la vittima fosse priva di conoscenza, dopo essere stata colpi-
ta con l'arma stordente.
Il bossolo espulso dalla pistola quando era stato sparato il colpo fatale
era stato rinvenuto a poco meno di due metri dal cadavere. Non c'erano
impronte digitali né macchie nemmeno sul bossolo, segno che l'arma era
stata caricata indossando dei guanti.
La prova investigativa più importante era stata trovata proprio durante
l'analisi dell'arma del delitto. A dire il vero era stata trovata dentro l'arma
del delitto. La pistola era una Mark IV Serie 80, prodotta dalla Colt nel
1986, due anni prima dell'omicidio. Aveva la cresta del cane molto lunga,
un particolare di rilievo visto che l'arma aveva la reputazione di lasciare un
"tatuaggio" sulla mano di chi sparava se non veniva impugnata in maniera
corretta al momento di fare fuoco. Questo di solito accadeva quando si
stringeva l'impugnatura con due mani, in modo che la mano che premeva il
grilletto era posizionata troppo in alto, troppo vicina al cane. La pistola
sparava e il carrello scivolava automaticamente indietro per espellere il
bossolo; a quel punto, mentre il carrello tornava nella posizione di tiro,
pizzicava la mano - di solito la parte molle tra il pollice e l'indice - e porta-
va con sé un pezzo di pelle dentro il caricatore. Tutto questo succedeva in
una frazione di secondo, e il tiratore inesperto non capiva neppure cosa l'a-
vesse "morsicato".
Era proprio quello che era capitato con la pistola che aveva ucciso
Becky Verloren. Quando un esperto di armi da fuoco aveva aperto la pisto-
la, aveva trovato un frammento di pelle e del sangue essiccato all'interno
del carrello. Chi aveva pulito la pistola dall'esterno per cancellare le tracce
di sangue e le impronte digitali non avrebbe potuto notarlo.
Green e Garcia avevano aggiunto anche questo alla loro teoria investiga-
tiva. Nel secondo rapporto di sintesi avevano scritto che le prove eviden-
ziavano che il killer aveva stretto la mano di Becky Verloren attorno
all'arma e poi le aveva premuto la canna contro il petto. Il killer aveva usa-
to una o entrambe le mani per tenere dritta l'arma e aveva spinto il dito del-
la ragazza sul grilletto. La pistola aveva sparato e il carrello aveva "tatua-
to" l'assassino: si era portato un pezzo di pelle dentro il caricatore.
Bosch prese mentalmente nota del fatto che Green e Garcia non avevano
menzionato un'altra possibilità nella loro ricostruzione. E cioè che il
frammento di pelle e il sangue secco si trovassero già dentro l'arma prima
della notte dell'omicidio, che l'arma avesse "tatuato" qualcuno di diverso
dal killer, quando era stata usata in un momento precedente a quello
dell'omicidio.
Incuranti di questo potenziale ribaltamento del punto di vista, gli inve-
stigatori avevano fatto recuperare il sangue e il tessuto dalla pistola e, no-
nostante si sapesse già dall'autopsia che Becky non aveva ferite alle mani,
avevano richiesto un esame comparato del sangue della ragazza con quello
rinvenuto nell'arma. Quest'ultimo era di tipo 0; il sangue di Becky Verlo-
ren AB positivo. Gli investigatori conclusero che il sangue sull'arma era
quello dell'assassino. L'assassino aveva sangue del gruppo 0.
Ma nel 1988 l'uso del test del DNA per le indagini era tutt'altro che dif-
fuso e, ancora più importante, non veniva accettato come prova dalla corte
in California. I database contenenti i profili del DNA dei criminali sareb-
bero stati creati solo dopo qualche anno. Nel 1988 i detective avevano uni-
camente la possibilità di comparare il gruppo sanguigno degli indiziati con
quello trovato sull'arma. E nel caso dell'omicidio Verloren non c'era nes-
sun potenziale colpevole. Lavorarono a lungo, con molto impegno, ma alla
fine nessuno venne mai arrestato. E il caso si raffreddò.
«Fino ad ora» disse Bosch ad alta voce, senza rendersene conto.
«Cosa?» domandò Rider.
«Niente. Pensavo ad alta voce.»
«Vuoi cominciare a parlarne?»
«Non ancora. Prima voglio finire di leggere. Tu hai finito?»
«Quasi.»
«Sai chi dobbiamo ringraziare per questo, vero?» domandò Bosch.
Lei lo guardò senza capire. «Mi arrendo.»
«Mel Gibson.»
«Di che stai parlando?»
«Quand'è uscito Arma letale? All'incirca in quel periodo, no?»
«Direi di sì, ma cosa c'entra? Quei film erano così poco credibili.»
«È questo il punto. È stato quel film a dare inizio alla mania di tenere le
pistole di traverso e con due mani, una sopra l'altra. Abbiamo sangue nella
pistola perché chi ha sparato era un fan di Arma letale.»
Rider scosse la testa poco convinta.
«Vedrai» continuò Bosch. «Lo domanderò al tizio quando lo sbatteremo
dentro.»
«Sì, Harry, glielo domanderai.»
«Mel Gibson ha salvato un sacco di vite. Tutti quei tizi che sparano con
la pistola di traverso non possono colpire un cazzo. Dovremmo nominarlo
poliziotto onorario, o qualcosa del genere.»
«Okay, Harry, ora io torno a leggere, va bene? Voglio finirlo.»
«Sì, okay, anch'io.»
Con ancora addosso il disagio che gli aveva procurato il confronto con
Irving, Bosch si portò alla scrivania la seconda metà del fascicolo dell'o-
micidio e si sedette. Pensò che il miglior modo per dimenticare le minacce
che gli aveva rivolto Irving fosse immergersi di nuovo nel caso. Nel dos-
sier rimaneva una pila spessa di rapporti sussidiari e di aggiornamenti,
quelle cose che gli investigatori ammassano sempre in fondo al fascicolo, i
rapporti che Bosch amava definire "gli acrobati", perché sembravano di-
sparati, ma se venivano osservati dal lato giusto e riordinati in un'unica
trama, potevano rivelarsi fondamentali per la soluzione del caso.
Il primo era un referto di laboratorio in cui si affermava che i test non
erano in grado di stabilire con esattezza quanto a lungo il frammento di
pelle e il sangue fossero rimasti all'interno della pistola. Il rapporto diceva
che l'esame di alcune cellule selezionate evidenziava che la decomposizio-
ne non era in stato avanzato. L'esperto che aveva redatto il referto non era
in grado di dire se il sangue fosse già depositato sull'arma al momento
dell'omicidio, nessuno avrebbe potuto dirlo. Ma sarebbe stato disposto a
testimoniare che il sangue era rimasto nel caricatore «poco prima o conte-
stualmente al delitto».
Bosch sapeva che questo era un rapporto chiave in prospettiva di un e-
ventuale procedimento ai danni di Roland Mackey. Avrebbe permesso a
Mackey di costruire la propria difesa sulla dichiarazione di essere stato in
possesso della pistola prima dell'omicidio, ma non al momento del delitto.
Sarebbe stata una mossa rischiosa quella di ammettere di essere stato in
possesso dell'arma del delitto, ma la prova del DNA rendeva quell'opzione
obbligatoria. Con la scienza incapace di individuare con esattezza quando
il sangue e il tessuto si erano depositati sull'arma, Bosch vedeva un buco
sempre più largo nel procedimento. La difesa avrebbe potuto approfittarne
con facilità. Ancora una volta sentiva scivolare via le sicurezze che il cold
hit sembrava offrire. La scienza dà e toglie allo stesso tempo. Avevano bi-
sogno di molto di più.
Il documento successivo era un rapporto dell'Unità Armi da Fuoco, alla
quale era stato assegnato il compito di rintracciare il proprietario dell'arma.
Il numero di serie sulla Colt era stato limato, ma il laboratorio lo aveva re-
cuperato con l'applicazione di un acido che accentuava le asperità sul me-
tallo nel punto in cui i numeri erano stati impressi durante la fabbricazione.
Il numero riconduceva a un'arma acquistata presso il fabbricante nel 1987
da un negozio di armi di Northridge. Era stata poi rivenduta quell'anno
stesso a un uomo che viveva sulla Winnetka Avenue a Chatsworth. Il pro-
prietario aveva denunciato il furto della pistola quando la sua casa era stata
svaligiata, il 2 giugno del 1988: solo un mese prima che fosse utilizzata per
l'omicidio di Rebecca Verloren.
Questo rapporto avrebbe aiutato il caso perché, a meno che Mackey non
avesse legami con il proprietario originale dell'arma, la data del furto ridu-
ceva il periodo durante il quale poteva essere stato in possesso della pisto-
la. Rendeva più plausibile che l'arma fosse in mano sua la notte in cui
Becky Verloren era stata portata via da casa e uccisa.
La denuncia del furto era contenuta nel fascicolo. La vittima si chiamava
Sam Weiss. Viveva da solo e lavorava come tecnico del suono per la War-
ner Bros, a Burbank. Bosch analizzò il rapporto e trovò solo un'altra nota
degna di interesse. Nella sezione dedicata ai commenti degli agenti inve-
stigativi si affermava che la vittima del furto aveva comprato l'arma di re-
cente per proteggersi in seguito ad alcune telefonate minatorie nelle quali
l'interlocutore lo minacciava perché ebreo. La vittima aveva riferito che
non sapeva come il suo numero, che non compariva sull'elenco telefonico,
fosse finito nelle mani del molestatore e non sapeva cosa avesse causato
tali minacce.
Bosch lesse rapidamente il rapporto dell'Unità Armi da Fuoco, nel quale
era stato individuato il modello dell'arma stordente utilizzata per il rapi-
mento. Il rapporto diceva che la distanza di 57 millimetri tra i due punti di
contatto - evidenziata dai segni di bruciatura sulla pelle della vittima - era
una caratteristica inequivocabile del modello Professional 100 prodotto da
una società di Downey, la SafetyCharge. Il modello era venduto al banco o
per corrispondenza e all'epoca dell'omicidio erano stati distribuiti più di
dodicimila pezzi del Professional 100. Bosch sapeva che senza avere il
congegno in mano era impossibile collegare i segni sul corpo di Becky
Verloren con una pista che conducesse al proprietario. Quello era un vico-
lo cieco.
Andò avanti, sfogliò una serie di fotografie 12X15 scattate a casa dei
Verloren dopo che era stato rinvenuto il cadavere. Bosch era consapevole
che quel genere di foto serviva a pararsi il culo. Il caso era stato trattato - o
maltrattato - come la normale fuga di una ragazzina. Il dipartimento aveva
cominciato a occuparsene a pieno regime solo dopo che il cadavere era sta-
to rinvenuto e che l'autopsia aveva stabilito che si trattava di omicidio.
Cinque giorni dopo che era stata denunciata la scomparsa della ragazza, la
polizia era tornata indietro e aveva trasformato la casa nella scena del cri-
mine. La domanda era: cos'era andato perso in quei cinque giorni?
Le foto comprendevano scatti interni ed esterni di tutte e tre le porte
d'accesso all'abitazione - davanti, retro, garage - e diversi primi piani dei
serramenti delle finestre. C'erano anche numerosi scatti realizzati nella
camera da letto di Becky Verloren. La prima cosa che Bosch notò fu che il
letto era stato rifatto. Si domandò se fosse stato il rapitore a sistemarlo, per
avvalorare la tesi del suicidio; oppure la madre di Becky aveva semplice-
mente rifatto il letto in uno dei giorni in cui sperava ancora e aspettava che
la figlia tornasse a casa.
Era un letto a baldacchino con il copriletto bianco e rosa su cui erano di-
segnati dei gatti. Il copriletto, con le balze coordinate, ricordò a Bosch
quello che aveva scelto per la cameretta della figlia. Gli sembrava adatto a
una ragazzina molto più giovane di sedici anni e si domandò se Becky
Verloren lo avesse tenuto per nostalgia o come una sorta di coperta di
Linus. Le balze non arrivavano a terra in maniera uniforme. Erano troppo
lunghe di almeno cinque centimetri, si ammonticchiavano sul pavimento e
da una parte sporgevano in fuori, dall'altra sparivano sotto il letto.
C'erano foto della scrivania e del comodino. La stanza era ornata con a-
nimaletti di peluche che provenivano dagli anni dell'infanzia. Alle pareti
c'erano poster di gruppi musicali che erano durati poco. C'era la locandina
di un film di John Travolta vecchio di tre "resurrezioni". La stanza era
molto pulita e ordinata, e ancora una volta Bosch si domandò se quello
fosse lo stato in cui si trovava la mattina in cui Rebecca Verloren era
scomparsa o se sua madre l'avesse rassettata mentre aspettava il ritorno
della figlia.
Bosch sapeva che le foto avrebbero dovuto essere il primo passaggio del
processo investigativo. Non si vedeva da nessuna parte né la polvere per
rilevare le impronte digitali né alcuna traccia dello scompiglio che avrebbe
lasciato l'intervento della Scientifica.
Nel fascicolo le foto erano seguite da una pila di appunti sugli interroga-
tori a cui i poliziotti avevano sottoposto numerosi studenti della Hillside
Prep. Una lista all'inizio del mucchio indicava che tutti i compagni di clas-
se di Becky Verloren erano stati ascoltati, oltre a tutti i ragazzi che fre-
quentavano gli ultimi anni della scuola. C'erano anche i resoconti degli in-
terrogatori a diversi insegnanti della vittima e al personale di segreteria
della scuola.
Nella stessa sezione si trovava il resoconto di un colloquio telefonico
con un ex ragazzo di Becky Verloren, che si era trasferito alle Hawaii con
la famiglia l'anno prima dell'omicidio. Allegato al resoconto c'era la ratifi-
ca dell'alibi del ragazzo, nella quale si affermava che un superiore aveva
confermato che il ragazzo aveva lavorato all'autolavaggio e nel negozio di
accessori di un autonoleggio a Maui nei giorni immediatamente successivi
al delitto, il che rendeva improbabile che potesse essere andato a Los An-
geles per uccidere la ragazza.
C'era un dossier separato con i resoconti degli interrogatori ai dipendenti
dell'Island House Grill, il ristorante di cui Robert Verloren era proprietario.
La figlia aveva appena iniziato un lavoro estivo part-time al ristorante. Era
aiutocameriera all'ora di pranzo. La sua mansione era quella di accompa-
gnare gli ospiti al tavolo e portar loro i menu. Bosch sapeva che i ristoranti
hanno sovente l'abitudine di assoldare derelitti per lavorare nelle cucine,
ma Robert Verloren aveva evitato di assumere uomini con precedenti pe-
nali, preferendo attingere alla popolazione di surfisti e altri spiriti liberi che
fioccavano sulle spiagge di Malibu. Questa gente doveva aver avuto con-
tatti limitati con Rebecca, che lavorava nel salone, ma erano stati comun-
que tutti interrogati e a quanto pareva scartati dagli investigatori.
C'era anche una cronologia degli ultimi giorni della vittima nella quale
gli investigatori tratteggiavano gli spostamenti di Rebecca Verloren nelle
ore che avevano portato all'omicidio. Nel 1988 il 4 luglio cadeva di lunedì.
Rebecca aveva trascorso gran parte del giorno di festa a casa, era solo an-
data a dormire con altre tre amiche a casa di una di loro la domenica sera. I
resoconti degli interrogatori alle tre ragazze, allegati all'incartamento, era-
no molto estesi ma non contenevano alcuna informazione di rilievo.
Il lunedì, il giorno della festa, era rimasta a casa finché non era andata
con i genitori al Balboa Park per guardare uno spettacolo di fuochi d'artifi-
cio. Robert Verloren aveva di rado la sera libera e aveva insistito perché la
famiglia la trascorresse insieme. Dagli interrogatori risultava che Becky
fosse molto dispiaciuta perché si era persa una festa nella zona di Porter
Ranch.
Il martedì era ripresa la routine estiva, Rebecca si era recata al ristorante
con il padre per il turno di mezzogiorno. Alle tre il padre l'aveva accompa-
gnata a casa in auto. Era rimasto anche lui a casa per tutto il pomeriggio,
quindi era tornato al ristorante per il turno serale, all'incirca alla stessa ora
in cui Rebecca era uscita con l'auto della madre per andare in tintoria.
Bosch non vide nella cronologia niente che destasse in lui alcun sospet-
to, nulla che fosse sfuggito agli investigatori di allora.
Giunse quindi alla trascrizione di un interrogatorio formale con i genito-
ri. Era stato effettuato alla Divisione Devonshire il 14 luglio, più di una
settimana dopo la denuncia della scomparsa della ragazza. A quel punto gli
investigatori avevano accumulato molte informazioni sul caso e avevano
posto domande circostanziate. Bosch lesse con attenzione la trascrizione,
non solo per le risposte, ma anche per farsi un'idea del punto di vista degli
investigatori a quel punto delle indagini.
(Pausa)
- Green e Garcia
- madre/padre
- compagni di scuola/insegnanti
- ex ragazzo
- agente responsabile della libertà vigilata
- Mackey - scuola?
Sapeva che tutti gli appunti che aveva preso erano banali. Si rese conto
di quanti pochi elementi disponessero a parte il confronto del DNA. Anco-
ra una volta era a disagio nel dover ricostruire un caso senza nient'altro in
mano.
Bosch guardava i suoi appunti quando Kiz Rider entrò nell'ufficio. Era a
mani vuote, non sorrideva.
«Allora?» domandò Bosch.
«Cattive notizie. L'arma del delitto è andata. Non so se hai letto tutto il
fascicolo, ma si parla di un diario. La ragazza teneva un diario. È andato
anche quello. È andato tutto.»
Venti minuti dopo entrarono in uno dei posti che Bosch odiava di più in
città: l'Ufficio per la libertà condizionale e i servizi sociali del Dipartimen-
to di Correzione statale a Van Nuys. Era un edificio di mattoni a un solo
piano gremito di persone in attesa di incontrare gli agenti dei servizi sociali
e gli addetti alla libertà condizionale per consegnare i campioni di urina,
per firmare il registro, per aspettare di essere incarcerati o per implorare
un'altra chance di libertà. Era un luogo dove la disperazione, l'umiliazione
e la rabbia erano palpabili nell'aria. Era un luogo dove Bosch cercava di
non incrociare lo sguardo di nessuno.
Bosch e Rider possedevano qualcosa che nessuno degli altri aveva: il di-
stintivo. Questo permise loro di saltare la fila e ottenere subito udienza
dall'agente cui era stato assegnato Roland Mackey dopo essere stato arre-
stato due anni prima per atti osceni in luogo pubblico. Thelma Kibble era
relegata in un cubicolo all'interno di un open space affollato di spazi ana-
loghi a quello. La scrivania e lo scaffale di ordinanza, che il governo forni-
va insieme al cubicolo, erano ricolmi di schede sui condannati che le erano
stati affidati. Era una donna di media altezza, robusta. Gli occhi chiari bril-
lavano in contrasto con la pelle marrone scuro. Bosch e Rider si presenta-
rono come detective della Rapine e Omicidi. C'era solo una sedia davanti
alla scrivania di Kibble, perciò rimasero in piedi.
«Stiamo parlando di una rapina o di un omicidio?» domandò Kibble.
«Omicidio» ripose Rider.
«Allora perché uno di voi due non va a prendere un'altra sedia nel cubi-
colo laggiù? La collega è ancora a pranzo.»
Bosch prese la sedia e la portò alla scrivania, poi si sedettero e dissero a
Kibble che desideravano dare un'occhiata al dossier di Roland Mackey.
Bosch ebbe l'impressione che Kibble avesse riconosciuto il nome, ma non
il caso.
«È stato condannato per atti osceni, ti è stato affidato un paio di anni fa»
disse. «L'affidamento è durato dodici mesi.»
«Oh, non è attuale, allora. Be', devo andare a recuperare la pratica in ar-
chivio. Non ricor... ah, sì, sì che mi ricordo. Roland Mackey, sì. Mi è quasi
piaciuto lavorare con quel tizio.»
«Come?» domandò Rider.
Kibble sorrise.
«Diciamo che per lui non è stato semplice obbedire agli ordini di una
donna di colore. Aspettate, però, vado a prendere il dossier, così non ci
sbagliamo sui dettagli.»
Chiese conferma della grafia del cognome di Mackey, quindi lasciò il
cubicolo.
«Questo potrebbe aiutare» disse Bosch.
«Cosa?» domandò Rider.
«Se ha avuto problemi con lei, con tutta probabilità avrà problemi anche
con te. Potrebbe tornarci utile.»
Rider annuì. Bosch vide che la partner stava guardando un articolo di
giornale attaccato alla parete del cubicolo. Era ingiallito dal tempo. Bosch
si avvicinò, ma era comunque troppo distante per leggere altro che il titolo.
9
Il comandante Arturo Garcia era in piedi dietro la scrivania, in attesa che
Bosch e Rider fossero condotti nel suo ufficio dall'assistente in uniforme.
Anche Garcia era in divisa, la portava bene e con orgoglio. Aveva capelli
grigi come l'acciaio e baffi a spazzola dello stesso colore. Trasudava la si-
curezza che il dipartimento possedeva in passato e che stava lottando per
riconquistare.
«Detective, entrate» li salutò. «Sedetevi e dite a un vecchio investigatore
della Omicidi come vanno le cose.»
Si accomodarono sulle sedie di fronte alla scrivania.
«Grazie per aver accettato di riceverci così in fretta» disse Rider.
Bosch e Rider avevano deciso che sarebbe stata lei a condurre la conver-
sazione con Garcia, vista la maggior confidenza con il comandante che le
derivava dal lavoro nell'ufficio del capo della polizia. Bosch non era nem-
meno sicuro di essere in grado di nascondere il proprio disprezzo per Gar-
cia, per gli errori e i passi falsi che lui e il suo compagno avevano com-
messo nelle indagini sul caso Verloren.
«Be', quando la Rapine e Omicidi chiama, siete voi a stabilire i tempi,
giusto?»
Sorrise di nuovo.
«Noi in realtà lavoriamo all'Unità Casi Irrisolti» rettificò Rider.
Garcia perse il sorriso, e per un momento Bosch pensò di riconoscere un
lampo di dolore in fondo agli occhi dell'uomo. Rider aveva preso l'appun-
tamento tramite un assistente dell'ufficio del capo e non aveva rivelato a
quale caso stessero lavorando.
«Becky Verloren» disse il comandante.
«Come fa a saperlo?»
«Come faccio a saperlo? Sono stato io a chiamare il responsabile della
vostra unità e a dirgli che bisognava usare il DNA per il caso.»
«Il detective Pratt?»
«Sì, Pratt. Non appena l'unità è stata aperta ed è diventata operativa, l'ho
chiamato e gli ho detto di controllare Becky Verloren, 1988. Cosa avete?
Avete una corrispondenza, vero?»
Rider annuì.
«Abbiamo un'ottima corrispondenza.»
«Di chi si tratta? Ho aspettato diciassette anni. Qualcuno del ristorante,
vero?»
Questo fece riflettere Bosch. Nel fascicolo del delitto c'erano diversi in-
terrogatori a persone che lavoravano al ristorante di Robert Verloren, ma
niente che andasse oltre la routine. Niente che indicasse sospetti o una
traccia da seguire. Non c'era nulla nei rapporti investigativi che indirizzas-
se il caso verso il ristorante. Sentire ora che uno degli investigatori dell'e-
poca aveva il sospetto che l'omicida arrivasse da quella direzione, pareva
in conflitto con i rapporti che avevano letto per tutta la mattina.
«A dire il vero, no» rispose Rider. «Il DNA corrisponde a quello di un
uomo di nome Roland Mackey. Aveva diciotto anni all'epoca dell'omici-
dio. Viveva a Chatsworth in quel periodo. Non pensiamo che lavorasse al
ristorante.»
Garcia corrugò la fronte come se fosse sorpreso, o forse contrariato.
«Questo nome le dice niente?» domandò Rider. «Non compare mai sul
fascicolo.»
Garcia scosse la testa.
«Non riesco a inquadrarlo, ma è passato parecchio tempo. Chi è?»
«Non sappiamo ancora chi sia. Lo stiamo cercando. Abbiamo appena
cominciato.»
«Sono sicuro che mi sarei ricordato il nome. C'era il suo sangue sulla pi-
stola, giusto?»
«È quello che abbiamo. L'uomo ha una storia di piccoli reati. Furti con
scasso, ricettazione, droga. Pensiamo che possa essere lui l'autore del furto
in cui è stata sottratta la pistola.»
«Assolutamente» disse Garcia, come se mostrare entusiasmo per quell'i-
dea la potesse rendere più reale.
«Possiamo collegarlo all'arma al di là di ogni ragionevole dubbio» af-
fermò Rider. «Ma stiamo cercando il collegamento con la ragazza. Pensa-
vamo che magari lei ricordasse qualcosa.»
«Avete già parlato con il padre e la madre?»
«Non ancora. Lei è la nostra prima fermata.»
«Quella povera famiglia. È stata la fine per loro.»
«È rimasto in contatto con i genitori?»
«All'inizio sì. Fintanto che ho avuto in mano il caso. Ma quando sono
stato nominato tenente e sono tornato alle auto di pattuglia, ho dovuto la-
sciar perdere. Ho perso contatto con loro. Avevo parlato soprattutto con
Muriel, la madre. Il padre... gli stava capitando qualcosa. Le cose non an-
davano bene. Lasciò la casa. Divorziarono e tutto il resto. Perse il ristoran-
te. L'ultima volta che ho avuto sue notizie, viveva per strada. Di tanto in
tanto si presentava a casa e chiedeva a Muriel dei soldi.»
«Cosa le ha fatto pensare che si trattasse di qualcuno del ristorante
quando siamo venuti qui?»
Garcia scosse il capo, come se fosse frustrato dal tentativo di afferrare
un ricordo che non riusciva a raggiungere.
«Non lo so» disse. «Non riesco a ricordarlo. Era più che altro una sensa-
zione. C'era qualcosa che non andava nel caso. Qualcosa di sospetto.»
«In che senso?»
«Be', avete letto il fascicolo, ne sono sicuro. Non era stata violentata, l'a-
vevano trasportata in cima alla collina dove avevano inscenato un suicidio.
Era una cosa mal fatta. Si trattava di una vera e propria esecuzione. Perciò
non parlavamo di un intrusione casuale. Qualcuno che la ragazza conosce-
va bene, voleva la sua morte.»
«Pensa che possa esserci un legame con la gravidanza?» domandò Rider.
Garcia annuì.
«Pensavamo che ci fosse un collegamento, ma non riuscimmo mai a de-
finirlo.»
«MTL: non siete più riusciti a decifrare la sigla.»
Garcia la guardò, il volto confuso.
«M-T-L: le iniziali che Rebecca usava nel suo diario. Le avete menzio-
nate nell'interrogatorio formale con i genitori. My true love, il mio vero
amore. Ricorda?»
«Ah, sì, le iniziali. Erano una specie di codice. Non avemmo mai alcuna
certezza. Non scoprimmo mai a chi si riferissero. State cercando il diario?»
Bosch annuì, Rider parlò.
«Stiamo cercando tutto. Il diario, la pistola, l'intera scatola delle prove si
è persa da qualche parte all'ESB.»
Garcia scosse il capo, come se avesse trascorso tutta la vita a combattere
con le frustrazioni che gli provocava il dipartimento.
«Questo non mi sorprende. È la norma, giusto?»
«Giusto.»
«Vi dirò una cosa, però. Se troveranno lo scatolone, non ci sarà dentro
alcun diario.»
«Perché?»
«Perché l'ho restituito.»
«Ai genitori?»
«Alla madre. Come ho detto, sono diventato tenente e stavo per essere
trasferito, diretto al Bureau Sud. Ron Green era già andato in pensione.
Stavo passando il caso, e sapevo che sarebbe stata la fine delle indagini.
Nessuno avrebbe prestato più attenzione alla faccenda. Perciò dissi a
Muriel che sarei partito e le diedi il diario...
Quella povera donna. Sembrava che per lei il tempo si fosse fermato.
Era ibernata. Non riusciva ad andare avanti, non riusciva a tornare indietro.
Ricordo che andai a trovarla prima di partire. Era passato più o meno un
anno dall'omicidio. Mi fece vedere la camera di Becky. Era intatta. Era e-
sattamente come la notte in cui avevano portata via la ragazza.»
Rider annuì triste. Garcia non disse nient'altro. Alla fine Bosch si schiarì
la voce, si chinò in avanti e parlò, incalzando Garcia ancora una volta con
la stessa domanda.
«Quando siamo arrivati e le abbiamo riferito di avere una corrisponden-
za per il DNA, lei ha immaginato che si trattasse di qualcuno del ristoran-
te. Perché?»
Bosch guardò Rider, per vedere se fosse infastidita dall'intrusione. Non
sembrava lo fosse.
«Non so perché» rispose Garcia. «Come ho detto, ho sempre pensato
che dovesse arrivare da quella parte, avevo la sensazione che mi fosse
sfuggito qualcosa lì.»
«Si riferisce al padre?»
Garcia annuì.
«Il padre era losco. Non so se si usa ancora questa espressione. Ma allo-
ra la parola era losco.»
«In che senso?» domandò Rider. «In che senso il padre era losco?»
Prima che Garcia potesse rispondere alla domanda, uno degli assistenti
in uniforme entrò nell'ufficio.
«Comandante, sono tutti nella sala conferenze, pronti a cominciare.»
«Va bene, sergente. Arrivo tra un momento.»
Dopo che il sergente se ne fu andato, Garcia guardò Rider, come se si
fosse dimenticato la domanda. «Non c'è niente nel fascicolo del delitto che
adombri qualche sospetto sul padre» disse Rider. «Perché pensa che fosse
losco?»
«Oh, non lo so. È una specie di sensazione viscerale. Non si comportò
mai come ti aspetteresti che si comporti un padre, capite? Era troppo tran-
quillo. Non perdeva mai le staffe, non urlava. Voglio dire, qualcuno gli a-
veva portato via la sua bambina. Non prese mai da parte né me né Ron per
dire "Voglio essere io a sparare a quel tizio quando lo prendete". Io me lo
sarei aspettato.»
Per quanto ne sapeva Bosch, tutti quanti erano ancora sospetti, anche a-
desso che il cold hit collegava Mackey con l'arma del delitto. E tra questi
senza dubbio c'era anche Robert Verloren. Ma scartò immediatamente la
sensazione viscerale di Garcia basata sulla reazione emotiva del padre di
Becky. Sapeva, dopo aver lavorato a centinaia di omicidi, che non c'era
modo di giudicare tali reazioni o di costruire dei sospetti basandosi su di
esse. Bosch aveva visto tutte le possibili trasformazioni, e nessuna di que-
ste significava alcunché. Tra tutti i parenti delle vittime che aveva incon-
trato nel corso delle sue indagini, uno di quelli che urlava e si disperava di
più alla fine si era rivelato l'assassino.
Nel liquidare l'istinto e i sospetti di Garcia, Bosch liquidava Garcia stes-
so. Lui e Green avevano commesso degli errori iniziali, ma avevano recu-
perato conducendo un'indagine investigativa minuziosa. Il fascicolo ne era
la prova. Ma ora Bosch immaginava che qualsiasi cosa fosse stata fatta per
bene con tutta probabilità era stata gestita da Green. Sapeva che avrebbe
dovuto sospettarlo da subito quando aveva sentito che Garcia aveva lascia-
to la Omicidi per un ruolo manageriale.
«Per quanti anni ha lavorato alla Omicidi?» domandò Bosch.
«Tre anni.»
«Tutti alla Divisione Devonshire?»
«Esatto.»
Bosch eseguì un rapido calcolo. A Devonshire i casi non erano mai mol-
ti. Immaginò che Garcia avesse lavorato al massimo a una ventina di delit-
ti. Non aveva abbastanza esperienza per far bene. Decise di passare oltre.
«E il suo ex compagno?» domandò. «Aveva la stessa sensazione riguar-
do a Robert Verloren?»
«Voleva concedere a quell'uomo un po' di tempo in più.»
«Siete ancora in contatto?»
«Con chi, con il padre?»
«No, con Green.»
«No, è andato in pensione parecchio tempo fa.»
«Lo so, ma siete ancora in contatto?»
Garcia scosse il capo.
«No, è morto. Si era ritirato a Humboldt County. Avrebbe dovuto lascia-
re la sua pistola quaggiù. Tutto quel tempo, e niente da fare.»
«Si è ucciso?»
Garcia annuì.
Bosch abbassò lo sguardo. Non era la morte di Ron Green a turbarlo,
non conosceva Green. Era il fatto che in questo modo avevano perso ogni
legame con il caso. Sapeva che Garcia non sarebbe stato di grande aiuto.
«Che ne pensa della questione razziale?» domandò Bosch, ancora una
volta prevaricando Rider.
«Cosa dovrei pensare?» domandò Garcia. «In questo caso? Non la ve-
do.»
«Coppia mista, figlia meticcia, la pistola proveniva da una rapina com-
messa a casa di una vittima che era stata minacciata per motivi religiosi.»
«È una forzatura. C'entra qualcosa con il personaggio di questo Ma-
ckey?»
«Potrebbe esserci qualcosa.»
«Be', noi non avevamo il lusso di un indiziato ufficiale su cui lavorare.
Non c'era niente che facesse pensare alla questione razziale in quello che
avevamo allora.»
Garcia lo disse con vigore, e Bosch capì di aver toccato un nervo scoper-
to. Il comandante non gradiva essere giudicato con il senno di poi, era una
cosa che non piaceva a nessun detective, neppure a quelli senza esperienza.
«So che è lunedì mattina e che deve organizzare il lavoro dei suoi ragaz-
zi» intervenne Rider in fretta. «È solo una pista che stiamo esplorando.»
Garcia parve placato.
«Capisco» disse. «Non lasciate nulla d'intentato.»
Si alzò.
«Be', detective, mi dispiace mettervi fretta. Mi piacerebbe poter parlare
di questo per tutto il giorno. Un tempo mettevo la gente in prigione, ora mi
toccano solo riunioni su budget e tagli del personale.»
"È quello che ti meriti" pensò Bosch. Lanciò un'occhiata a Rider, si
chiedeva se si rendesse conto che erano scampati a un destino simile lavo-
rando insieme all'Unità Casi Irrisolti.
«Fatemi un favore» aggiunse Garcia. «Quando acchiappate quel Ma-
ckey, fatemelo sapere. Magari potrei venire a dargli un'occhiata da dietro il
vetro. Lo stavo aspettando da un bel po'.»
«Nessun problema, signore» disse Rider, distogliendo lo sguardo da
quello di Bosch. «Lo faremo. Se le venisse in mente qualsiasi cosa che
possa aiutarci nel caso, mi chiami. I miei numeri sono tutti qui.»
Si alzò e appoggiò un biglietto da visita sul tavolo.
«Lo farò.»
Garcia stava per girare attorno alla scrivania per raggiungere la sala riu-
nioni.
«C'è una cosa che avremmo bisogno che lei facesse» disse Bosch.
Garcia si fermò e lo guardò.
«Di cosa si tratta, detective? Devo andare alla riunione.»
«Potremmo cercare di far uscire allo scoperto l'uccellino con qualche ar-
ticolo di giornale. Non sarebbe male se venisse da lei: un ex agente della
Omicidi, ora comandante, ossessionato da un vecchio caso, chiama quelli
dell'Unità Casi Irrisolti e li convince a far passare il DNA negli archivi. E
così salta fuori un cold hit.»
Garcia fece un cenno di assenso. Bosch era sicuro che l'idea avrebbe sol-
leticato l'ego di quell'uomo.
«Sì, potrebbe funzionare. Fate come preferite. Chiamatemi per organiz-
zare tutto. Il Daily News? Ho dei contatti con loro. È il giornale della Val-
ley.»
Bosch annuì.
«Sì, è quello che pensavamo anche noi» disse.
«Bene. Fatemi sapere. Devo andare.»
Lasciò rapidamente l'ufficio. Rider e Bosch si guardarono, quindi lo se-
guirono. Fuori in corridoio, in attesa che arrivasse l'ascensore, Rider do-
mandò a Bosch cosa avesse in mente quando aveva chiesto a Garcia di es-
sere lui a parlare con i giornali.
«Sarà perfetto per la stampa, perché non ha idea di quello che dice.»
«Ed è proprio quello che non vogliamo. Noi dobbiamo essere cauti.»
«Non preoccuparti. Funzionerà.»
L'ascensore si aprì e i due detective entrarono. Non c'era nessun altro.
Non appena le porte si chiusero, Rider lo aggredì.
«Harry, chiariamo subito una cosa. O siamo partner o non lo siamo. A-
vresti dovuto avvisarmi che intendevi incalzarlo. Avremmo dovuto parlar-
ne prima.»
Bosch annuì. «Hai ragione. Siamo partner. Non succederà più.»
«Bene.»
Le porte dell'ascensore si aprirono e Rider uscì, lasciando indietro
Bosch.
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Dopo dieci minuti giunsero di fronte alla casa dei Verloren. Il quartiere
dove era vissuta Becky Verloren sembrava ancora gradevole e sicuro. La
Red Mesa Way era ampia, con marciapiedi da ambo i lati, e non le manca-
va certo l'ombra degli alberi. Le case erano per la maggior parte dei ranch
che si distendevano nel mezzo di terreni molto vasti. Negli anni Sessanta
era stata proprio l'ampiezza delle proprietà a spingere molte persone a tra-
sferirsi nell'angolo nord-occidentale della città. Quarant'anni dopo, gli al-
beri erano cresciuti e il quartiere cominciava a dare un senso di coesione.
La casa dei Verloren era una delle poche su due piani. Era sempre la
classica dimora in stile ranch, ma il tetto aggettava sul garage a due posti.
Bosch sapeva dal fascicolo del delitto che la camera da letto di Becky si
trovava al piano superiore, sul retro, sopra il garage.
La porta del garage era chiusa. Non c'erano segni evidenti che facessero
pensare che qualcuno fosse in casa. Quando Bosch suonò il campanello,
udì dall'interno l'eco del trillo, una singola nota che gli apparve molto di-
stante e solitaria.
Una donna con indosso un abito blu informe, che aiutava a nascondere il
corpo altrettanto informe, aprì la porta. Portava ai piedi dei sandali bassi. I
capelli erano tinti di un rosso che tendeva troppo all'arancione. Sembrava
un lavoro fatto in casa e riuscito male, ma era evidente che la donna non se
ne curava. Appena aveva dischiuso l'uscio, un gatto grigio era sgattaiolato
nel giardino.
«Smoke, non farti investire» urlò come prima cosa. Poi disse: «Posso
aiutarvi?».
«La signora Verloren?» domandò Rider.
«Sì, che succede?»
«Siamo della polizia. Vorremmo parlare con lei di sua figlia.»
Appena il detective aveva pronunciato la parola «polizia», e ancora pri-
ma che dicesse «figlia», Muriel Verloren si era portata entrambe le mani
alla bocca e aveva reagito come se avesse appreso in quel momento che la
ragazza era morta.
«Oh mio Dio! Oh mio Dio! Ditemi che l'avete preso. Ditemi che avete
preso il bastardo che mi ha portato via mia figlia.»
Kiz allungò una mano verso la spalla della donna, per consolarla.
«Non è così semplice, signora» spiegò. «Possiamo entrare e parlare un
momento?»
La donna indietreggiò e li fece entrare. Pareva che stesse sussurrando
qualcosa e Bosch pensò che si trattasse di una preghiera. Una volta dentro,
la donna chiuse la porta, dopo aver indirizzato un altro avvertimento al gat-
to fuggitivo.
A giudicare dall'odore della casa, il gatto non aveva molto spesso occa-
sione di uscire. Il salotto in cui la donna li fece accomodare era ordinato,
ma i mobili erano vecchi e consunti. Era impregnato dal puzzo di urina di
gatto. Bosch si rammaricò subito di non aver invitato Muriel Verloren al
Parker Center per interrogarla, ma sapeva che sarebbe stato un errore. A-
vevano bisogno di vedere il luogo del delitto.
Si sedettero fianco a fianco sul divano e Muriel si affrettò verso una se-
dia dall'altra parte del tavolo di vetro di fronte a loro. Bosch notò impronte
di zampe sul vetro.
«Che succede?» domandò in tono disperato. «Ci sono novità?»
«Be', immagino che la prima novità sia che ci stiamo occupando nuova-
mente del caso. Io sono il detective Rider, e questo è il detective Bosch.
Lavoriamo per l'Unità Casi Irrisolti al Parker Center.»
Mentre guidavano verso la casa, avevano stabilito di essere parchi nelle
informazioni che avrebbero fornito ai Verloren. Finché non avessero cono-
sciuto la situazione della famiglia sarebbe stato molto meglio prendere
piuttosto che dare.
«C'è qualcosa di nuovo?» domandò Muriel con impazienza.
«Be', abbiamo appena cominciato» rispose Rider. «Per ora stiamo riper-
correndo gran parte del terreno già battuto. Cerchiamo di metterci in pari.
Desideravamo solo passare a dirle che ci occupiamo di nuovo del caso.»
Parve un po' delusa. A quanto pareva aveva creduto che se la polizia si
era presentata dopo tanti anni, dovevano esserci novità. Bosch avvertì un
senso di colpa per aver scelto di omettere il fatto che avevano la pista, so-
lida come una roccia, del DNA, ma al momento era convinto che fosse la
cosa migliore.
«Ci sono un paio di elementi» disse, parlando per la prima volta. «In-
nanzitutto, studiando i documenti del caso ci siamo imbattuti in questa fo-
tografia.»
Tirò fuori dalla tasca la foto di Roland Mackey a diciotto anni e la posò
sul tavolino da caffè di fronte a Muriel. La donna si chinò subito in avanti
per guardarla.
«Non sappiamo che collegamento ci sia» proseguì. «Pensavamo che for-
se lei avrebbe potuto riconoscere quest'uomo.»
La donna continuò a guardare senza rispondere.
«È una foto del 1988» precisò Bosch, con l'intenzione di sollecitarla.
«Chi è?» domandò Muriel alla fine.
«Non lo sappiamo. Il suo nome è Roland Mackey. Ha qualche preceden-
te penale per piccoli crimini commessi dopo la morte di sua figlia. Non
sappiamo perché la sua foto si trovasse nel fascicolo. Lei lo riconosce?»
«Avete domandato ad Art o a Ron?»
Bosch stava per domandare chi fossero Art e Ron, quando capì.
«A dire il vero, il detective Green è andato in pensione ed è scomparso
parecchio tempo fa. Il detective Garcia ora è il comandante Garcia. Gli ab-
biamo parlato, ma non è stato in grado di aiutarci riguardo a Mackey. E
lei? Poteva essere un conoscente di sua figlia? Lo riconosce?»
«Può essere. C'è qualcosa in lui che mi sembra di riconoscere.»
Bosch annuì.
«Ha idea di dove potrebbe averlo visto?»
«No, non ricordo. Perché non me lo dite? Magari riuscireste a rinfre-
scarmi la memoria.»
Bosch rivolse una rapida occhiata a Rider. Non era una richiesta inaspet-
tata, ma la situazione si complicava sempre quando i genitori delle vittime
erano talmente ansiosi di fornire aiuto da domandare con semplicità cosa la
polizia volesse sentirsi dire. Muriel Verloren aspettava da diciassette anni
che l'assassino di sua figlia fosse portato davanti ai giudici. Era chiaro che
avrebbe scelto con cura le risposte per evitare di ostacolare la possibilità
che ciò accadesse. A quel punto poteva non importare che si trattasse di
una falsa soluzione. Gli anni passati erano stati crudeli con lei e con la
memoria di sua figlia. Qualcuno doveva pagare.
«Non possiamo dirlo perché non lo sappiamo, signora Verloren» disse
Bosch. «Ci pensi e ci faccia sapere se se lo ricorda.»
Annuì con mestizia, come se pensasse che fosse ancora un'altra opportu-
nità mancata.
«Signora Verloren, cosa fa per vivere?» domandò Rider.
Questo parve riportare la donna di nuovo di fronte a loro, strappandola
ai ricordi e alle illusioni.
«Vendo cose» disse, pragmatica. «On line.»
Attesero ulteriori spiegazioni, che non vennero.
«Davvero?» domandò Rider. «Che cosa vende?»
«Qualunque cosa riesca a trovare. Vado alle svendite. Trovo delle cose.
Libri, giocattoli, vestiti. La gente compra di tutto. Ed è disposta a pagare
per tutto. Questa mattina ho venduto due portatovaglioli per cinquanta dol-
lari. Erano molto vecchi.»
«Vorremmo domandare a suo marito della foto» disse allora Bosch. «Sa
dove lo potremmo trovare?»
Scosse il capo.
«Da qualche parte laggiù, nel paese dei balocchi. Non ho più sue notizie
da tanto, tanto tempo.»
Ci fu un cupo momento di silenzio. La maggior parte delle missioni per i
senzatetto di Los Angeles era ammassata al confine del Toy District, un
quartiere con diversi isolati di fabbriche di giocattoli, magazzini all'ingros-
so e qualche dettagliante. Spesso i senzatetto dormivano negli androni da-
vanti ai negozi.
Quello che Muriel Verloren stava dicendo era che il marito si era perso
insieme a quei relitti umani alla deriva nel mondo. Era precipitato dalle
stelle dei divi del cinema che rifocillava nel suo ristorante fino alla strada
dei senzatetto. Ma c'era una contraddizione. Aveva ancora una casa. Aveva
scelto di non viverci per quello che era successo. Eppure, sua moglie non
se ne sarebbe mai andata.
«Quando avete divorziato?» domandò Rider.
«Non abbiamo mai divorziato. Credo di aver sempre pensato che Robert
un giorno si sarebbe svegliato e avrebbe capito che non importa quanto
scappi lontano, non puoi fuggire da una cosa come quella che è successa a
noi. Pensavo che se ne sarebbe reso conto e che sarebbe tornato a casa.
Non è ancora successo.»
«Secondo lei, all'epoca sapevate tutto degli amici di vostra figlia?» do-
mandò Bosch.
Muriel rifletté su questa domanda per un lungo istante.
«Fino alla mattina in cui scomparve, lo credevo. Ma poi abbiamo saputo
delle cose. Aveva dei segreti. Penso che questo sia uno dei particolari che
mi turba di più. Non il fatto che avesse dei segreti con noi, ma che pensas-
se che fosse necessario. Credo che forse, se si fosse rivolta a noi, le cose
sarebbero andate in maniera diversa.»
«Si riferisce alla gravidanza?»
Muriel annuì.
«Cosa le fa pensare che abbia avuto un ruolo in ciò che le è accaduto?»
«Istinto materno. Non ho prove. Penso solo che sia incominciato tutto da
lì.»
Bosch annuì. Ma non poteva biasimare la figlia per il suo segreto. Quan-
do aveva quell'età, Bosch era cresciuto da solo, senza dei veri genitori.
Non aveva idea di come sarebbe stato il suo rapporto con una madre e un
padre.
«Abbiamo parlato con il comandante Garcia» disse Rider. «Ci ha detto
che molti anni fa le ha restituito il diario di sua figlia. Lo conserva anco-
ra?»
Muriel parve allarmata.
«Ne leggo alcune parti ogni sera. Non me lo porterete via, eh? È la mia
bibbia!»
«Abbiamo bisogno di prenderlo in prestito per fotocopiarlo. Il coman-
dante Garcia avrebbe dovuto farne una copia allora, ma non lo fece.»
«Non lo voglio perdere.»
«Non succederà, signora Verloren. Glielo prometto. Lo fotocopieremo e
lo riporteremo subito.»
«Lo volete adesso? È accanto al mio letto.»
«Sì, se potesse prenderlo.»
Muriel Verloren li lasciò e scomparve in fondo a un corridoio che con-
duceva verso l'ala sinistra della casa. Bosch guardò Kiz e sollevò le so-
pracciglia come a voler domandare alla partner cosa ne pensasse. Lei alzò
le spalle, a significare che ne avrebbero discusso più tardi.
«Una volta mia figlia voleva prendere un altro gatto» sussurrò Bosch.
«La mia ex disse di no, che uno era sufficiente. Ora capisco perché.»
Rider aveva un sorriso inopportuno quando Muriel tornò dentro con un
librettino con la copertina a fiori e la scritta Il mio diario stampata in rilie-
vo, in lettere dorate. L'oro si stava consumando. Il diario era stato maneg-
giato molto. Lo porse a Rider, che lo accettò con una sorta di timore reve-
renziale.
«Se non le dispiace, signora Verloren, gradiremmo guardarci un po' in
giro» disse Bosch. «Per collegare in qualche modo quello che abbiamo vi-
sto e letto nel fascicolo con le effettive caratteristiche della casa.»
«Che fascicolo?»
«Oh, mi scusi. È gergo da poliziotti. Tutti i documenti investigativi di
ogni caso sono raggruppati in un grande raccoglitore. Noi lo chiamiamo
fascicolo.»
«Un fascicolo del delitto?»
«Sì, esatto. Va bene se guardiamo in giro? Gradirei dare un'occhiata alla
porta sul retro e all'esterno.»
Sollevò un braccio per indicare da che parte dovevano andare. Bosch e
Rider si alzarono.
«È tutto cambiato» disse Muriel. «In passato non c'erano case lassù. Si
usciva dalla nostra porta e si poteva camminare su per la montagna. Ma
l'hanno terrazzata. Ora ci sono delle case. Milioni di dollari. Hanno co-
struito un enorme edificio nel punto in cui è stata trovata la mia bambina.
Lo odio.»
Non c'era nulla da dire. Bosch si limitò ad annuire e la seguì in fondo a
un breve corridoio e poi in cucina. C'era una porta a vetri che conduceva al
giardino sul retro. Muriel aprì la porta e li accompagnò fuori. Il giardino
era un ripido declivio che portava a un boschetto di eucalipti. Attraverso
gli alberi, Bosch riconobbe la sagoma di una grande casa con il tetto e le
tegole alla spagnola.
«Prima lassù era tutto aperto» disse Muriel. «C'erano solo alberi. Ora ci
sono delle case. Hanno messo un cancello. Non mi permettono di passeg-
giare come facevo. Pensano che sia una barbona o qualcosa del genere,
perché a volte salivo fino al punto in cui è stata ritrovata Becky e facevo
un picnic.»
Bosch annuì e per un momento rifletté sull'immagine di una madre che
fa un picnic nel luogo in cui è stata assassinata la figlia. Cercò di sbaraz-
zarsi di quel pensiero e si mise a esaminare il terreno. L'autopsia diceva
che Becky Verloren pesava quarantacinque chili. Per quanto fosse leggera,
sarebbe stato davvero impegnativo portarla su per quel declivio. Si inter-
rogò sulla possibilità che ci fosse più di un killer. Pensò a Bailey Sable,
che aveva parlato di loro.
Guardò Muriel Verloren, che era immobile e in silenzio, gli occhi chiusi.
Aveva reclinato il capo, in modo che il sole del tardo pomeriggio le scal-
dasse il viso. Bosch si domandò se non fosse anche quello un modo per
sentirsi in comunione con la figlia perduta. Come se avesse percepito di
essere guardata, la donna parlò, tenendo gli occhi chiusi.
«Amo questo posto. Non lo lascerò mai.»
«Possiamo guardare la stanza da letto di sua figlia?» domandò Bosch.
La donna aprì gli occhi.
«Pulitevi i piedi quando tornate dentro.»
Li riaccompagnò in casa attraverso la cucina e il corridoio. Le scale che
conducevano al piano superiore si trovavano accanto a quelle per scendere
in garage. La porta era aperta e Bosch intravide un minivan ammaccato e
circondato da pile di scatole e di oggetti che Muriel Verloren doveva aver
raccolto nei suoi giri. Notò anche quanto la porta fosse vicina alle scale.
Non sapeva se questo significasse qualcosa, ma si rammentò del rapporto
nel fascicolo del delitto in cui si ipotizzava che il killer si fosse nascosto da
qualche parte in casa e avesse atteso che la famiglia andasse a dormire. Il
garage era il luogo più probabile.
Le scale erano anguste, perché su ambo i lati c'erano scatole colme di
oggetti da vendere. Muriel fece cenno a Bosch di precederla, e quando lui
le passò accanto sussurrò: «Lei ha figli?».
Bosch annuì, sapeva che la sua risposta le avrebbe fatto male.
«Una figlia.»
La donna annuì a sua volta.
«Non la perda mai di vista.»
Bosch non le disse che la figlia viveva con la madre, lontana dal suo
sguardo. Si limitò ad annuire e si incamminò sulle scale.
Al secondo piano c'era un pianerottolo con due camere da letto e un ba-
gno. La stanza di Becky Verloren era sul retro, le finestre si affacciavano
sulla collina.
La porta era chiusa e Muriel l'aprì. Quando entrarono, fu come infilarsi
in una piega del tempo. La stanza era immutata rispetto alla foto di dicias-
sette anni prima che Bosch aveva studiato sul fascicolo. Il resto dell'appar-
tamento si era riempito di cianfrusaglie e dei detriti di una vita distrutta,
ma la stanza in cui Becky Verloren aveva dormito, parlato al telefono,
scritto il diario segreto, era identica al passato. Ormai era stata preservata
più a lungo di quanto non ci avesse vissuto la ragazza.
Bosch si inoltrò nella camera e si guardò attorno in silenzio. Neppure il
gatto osava violarla. C'era un profumo di fresco e di pulito.
«È esattamente com'era la mattina in cui è scomparsa» disse Muriel.
«Ho solo rifatto il letto.»
Bosch guardò il copriletto con i gattini. Le balze arrivavano a terra per-
fettamente dritte.
«Lei e suo marito dormivate nell'altra ala della casa, giusto?» domandò
Bosch.
«Sì, Rebecca aveva quell'età in cui si desidera la propria privacy. Ci so-
no due camere da letto di sotto. La prima cameretta di Becky era di sotto
con noi, ma a quattordici anni si trasferì quassù.»
Bosch annuì e si guardò attorno prima di domandare altro.
«Viene qui spesso, signora Verloren?» chiese Rider.
«Ogni giorno. A volte quando non riesco a dormire - il che succede di
frequente - salgo qui e mi sdraio. Non mi infilo sotto le coperte, però. Vo-
glio che rimanga il suo letto.»
Bosch si rese conto che stava di nuovo annuendo, come se quello che
aveva detto la donna per lui fosse sensato. Fece un passo verso la toletta.
C'erano delle foto infilate nella cornice dello specchio. In una, Bosch rico-
nobbe la giovane Bailey Sable. C'era anche una foto di Becky da sola da-
vanti alla Torre Eiffel. Indossava un basco nero. Non si vedeva nessun al-
tro dei compagni del Club dell'Arte.
Sullo specchio c'era anche la foto di un ragazzo insieme a Becky. Sem-
brava che fossero in gita a Disneyland, o forse lo scatto era stato preso sul
molo di Santa Monica.
«Questo chi è?» domandò.
Muriel si avvicinò e guardò.
«Il ragazzo? È Danny Kotchof. Il suo primo ragazzo.»
Bosch annuì. Il ragazzo che si era trasferito alle Hawaii.
«Quando se ne andò, le spezzò il cuore» aggiunse Muriel.
«Quando accadde, di preciso?»
«L'estate prima, a giugno. Tra il primo e il secondo anno delle superiori.
Lui aveva un anno in più di lei.»
«Perché la famiglia si trasferì? Lo sa?»
«Il papà di Danny lavorava per una società di autonoleggio e venne tra-
sferito per aprire un nuovo franchising a Maui. Era una sorta di promozio-
ne.»
Bosch rivolse un'occhiata alla partner per vedere se aveva colto l'impor-
tanza dell'informazione che Muriel gli aveva appena fornito. Kiz scosse la
testa. Non aveva capito. Ma Bosch voleva seguire quella traccia.
«Danny aveva frequentato la Hillside Prep?» domandò.
«Sì, si erano conosciuti lì.»
Bosch abbassò lo sguardo sulla toletta e notò un souvenir di Parigi, una
delle solite palle di vetro da quattro soldi, con la Torre Eiffel e la neve. Un
po' dell'acqua era evaporata e aveva lasciato una bolla in cima alla palla,
così la punta della torre sbucava nella sacca d'aria.
«Danny faceva parte del Club dell'Arte?» domandò. «Andò anche lui al-
la gita a Parigi?»
«No, si era trasferito prima» disse Muriel. «Era partito a giugno, mentre
il club andò a Parigi l'ultima settimana di agosto.»
«Lo vide o lo sentì ancora?» domandò.
«Oh, sì, si scrivevano e si telefonavano. All'inizio si chiamavano una
volta per uno, ma era troppo costoso. Allora cominciò a telefonare solo
Danny. Tutte le sere, prima di andare a letto. Durò quasi fino alla... alla sua
scomparsa.»
Bosch allungò una mano e prese la foto dal bordo dello specchio. Esa-
minò Danny Kotchof più da vicino.
«Cos'accadde quando sua figlia fu portata via? Come lo scoprì Danny?
Come reagì?»
«Be'... chiamammo e lo dicemmo al padre, perché si sedesse con Danny
e gli desse la cattiva notizia. Ci dissero che non la prese bene. Chi avrebbe
potuto?»
«Glielo comunicò il padre. Lei e suo marito avete mai più parlato di per-
sona con Danny?»
«No, ma il ragazzo mi scrisse una lunga lettera su Becky e su quanto
fosse importante per lui. Era molto triste e molto dolce. Ogni parola.»
«Sono sicuro che lo fosse. Venne al funerale?»
«No, no, non venne. I suoi genitori pensarono che sarebbe stato meglio
per lui rimanere sulle isole. Il trauma, sa? Ci telefonò il signor Kotchof e ci
disse che non sarebbe venuto.»
Bosch annuì. Si voltò e si infilò la foto in tasca. Muriel non se ne accor-
se.
«E dopo cosa accadde?» domandò. «Dopo la lettera, intendo. Vi contattò
mai? Vi telefonò per parlare con voi?»
«No, penso di non aver mai più avuto sue notizie dopo la lettera.»
«Ce l'ha ancora, quella lettera?»
«Certo. Conservo tutto. Ho un cassetto pieno di lettere su Rebecca che ci
hanno inviato i suoi amici. Le volevano bene in tanti.»
«Abbiamo bisogno di prendere in prestito quelle lettere, signora Verlo-
ren» disse Bosch. «Tra qualche tempo potrebbe anche essere necessario
guardare nei cassetti.»
«Perché?»
«Perché non si sa mai» disse Bosch.
«Perché non vogliamo lasciare niente di intentato» aggiunse Rider.
«Siamo consapevoli di quanto tutto ciò sia devastante per lei, ma la prego,
si ricordi che sappiamo quello che facciamo. Vogliamo trovare la persona
che ha portato via sua figlia. È passato molto tempo, ma non significa che
il colpevole debba farla franca.»
Muriel Verloren annuì. Senza pensarci, aveva preso dal letto un piccolo
cuscino e lo stringeva al petto con entrambe le mani. Aveva un quadratino
blu con un cuore di feltro rosso cucito al centro, poteva benissimo averlo
fatto Becky molti anni prima. Con quel cuscino stretto al petto, Muriel
Verloren sembrava un bersaglio.
13
Mentre Bosch guidava, Kiz leggeva la lettera che Danny Kotchof aveva
inviato ai Verloren dopo l'omicidio di Becky. Era composta da un'unica
pagina, per lo più colma dei ricordi affettuosi della ragazza perduta.
«Posso dirvi solo che mi dispiace che sia dovuto succedere. Mi manche-
rà per sempre. Con amore, Danny. È tutto.»
«Che francobollo c'è?»
Girò la busta e guardò.
«Maui, 29 luglio 1988.»
«Si è preso il suo tempo per scrivere.»
«Forse era difficile per lui. Perché ti sei fissato sul ragazzo, Harry?»
«Non mi sono fissato. È solo che Garcia e Green si sono basati su una
telefonata per scagionarlo. Ricordi cosa c'era scritto sul fascicolo? Diceva
che il supervisore del ragazzo aveva confermato che il giorno della scom-
parsa di Becky e quello successivo Danny aveva lavato macchine in un au-
tonoleggio. Non avrebbe avuto il tempo di volare a Los Angeles, di ucci-
dere Becky e di tornare.»
«Sì, e allora?»
«Be', adesso abbiamo scoperto da Muriel che il suo vecchio gestiva un
autonoleggio. Non c'era niente in proposito nel fascicolo del delitto. Garcia
e Green lo sapevano? Quanto scommettiamo che papà gestiva il posto do-
ve il figlio lavava le auto? Quanto vuoi scommettere che il supervisore che
ha fornito l'alibi al figlio era un dipendente del padre?»
«Ragazzi, io scherzavo quando parlavo di andare a Parigi. A quanto pare
tu stai ponendo le basi per un viaggio a Maui.»
«Non mi piacciono i lavori malfatti. Lasciano troppi fili slegati. Dob-
biamo parlare con Danny Kotchof e scagionarlo di persona. Se è ancora
possibile, dopo tanti anni.»
«AutoTrack, baby.»
«Potrà aiutarci a rintracciarlo. Non a scagionarlo.»
«Anche se dovessimo distruggere il suo alibi, cosa diresti, che questo
ragazzino di sedici anni è sgattaiolato qui dalle Hawaii, ha fatto fuori la
sua ex ragazza ed è tornato a casa senza che nessuno lo vedesse?»
«Forse il piano non era questo. E comunque aveva diciassette anni,
Muriel ha detto che era di un anno più grande di lei.»
«Oh, diciassette» disse Rider con sarcasmo, come se questo facesse la
differenza.
«Quando avevo diciotto anni, io ho trascorso la prima licenza dal Viet-
nam alle Hawaii. Non avevamo il permesso di raggiungere altri stati da lì.
Appena arrivato mi cambiai d'abito, comprai una valigia da civile e attra-
versai il posto di blocco della Polizia Militare per prendere un aereo per
Los Angeles. Penso che un diciassettenne potrebbe aver fatto lo stesso.»
«Va bene, Harry.»
«Senti, dico solo che è stato un lavoro trasandato. Secondo il fascicolo
del delitto, Green e Garcia scagionarono il ragazzo con una telefonata. Non
si parla di controlli con le linee aeree, e ora è troppo tardi. Mi infastidisce.»
«Capisco. Ma ricordati, c'è un triangolo da chiudere. Possiamo collegare
Danny a Becky con facilità, e la pistola collega Becky a Mackey. Ma cosa
collega Danny a Mackey?»
Bosch annuì. Era un buon argomento. Ma non gli dava una sensazione
migliore riguardo a Danny Kotchof.
«Un'altra cosa è quello che ha scritto nella lettera» disse. «Dice che gli
dispiace che sia dovuto succedere. Dovuto succedere, cosa significa?»
«È un modo di dire, Harry. Non puoi costruirci sopra un caso.»
«Non sto parlando di costruire un caso. Mi domando solo perché abbia
scelto di esprimersi in quel modo.»
«Se è ancora vivo, lo troveremo e glielo potrai domandare di persona.»
Erano passati sotto la 405 ed erano arrivati a Panorama City. Bosch la-
sciò cadere la discussione su Danny Kotchof e Rider affrontò l'argomento
Muriel Verloren.
«È congelata» disse Rider.
«Già.»
«Fa pietà. Non c'era alcuna ragione perché portassero sua figlia sulla
collina. Avrebbero potuto tranquillamente ammazzarli tutti quanti. Lo
hanno fatto comunque.»
Bosch pensò che fosse un modo duro di guardare la faccenda. Ma non
disse nulla.
«Portassero?» domandò invece.
«Cosa?»
«Hai detto che non c'era alcuna ragione perché portassero sua figlia sul-
la collina. Hai parlato come Bailey Sable.»
«Non lo so. Guardando quella collina, mi è sembrato che sarebbe stato
difficile per una persona sola. È ripida.»
«Già, ho pensato la stessa cosa. Due persone.»
«La tua idea di spaventare Mackey funzionerebbe ancora meglio. Se fos-
se stato lì, potrebbe portarci al complice, che sia Kotchof o qualcun altro.»
Bosch svoltò verso sud sul Van Nuys Boulevard e si fermò davanti a un
vecchio complesso di appartamenti che occupava metà isolato. Si chiama-
va Le Suites del Belvedere. Alla sinistra della porta a vetri dell'atrio c'era
un cartello con scritto UFFICIO LOCAZIONI. Diceva anche che era pos-
sibile affittare unità immobiliari per periodi di un mese o anche di una set-
timana. Bosch mise l'auto in folle.
«A parte Kotchof, cosa hai pensato, Harry?»
«Ho pensato che voglio rintracciare le altre due amiche e parlarci un po'.
Magari tu puoi prenderti la lesbica. Ma il padre è la mia priorità, se riu-
sciamo a trovarlo.»
«Va bene, tu prendi il padre e io prendo la lesbica. Forse mi toccherà
andare a San Francisco.»
«È ad Hayward. E se hai bisogno di aiuto, conosco un ispettore lì che
potrà rintracciarla e far risparmiare alla polizia di Los Angeles il costo del
viaggio.»
«Non sei per niente divertente, Harry. Non mi dispiacerebbe spassarmela
un po' con le sorelle del nord.»
«Il capo sapeva di te?»
«In principio no. Quando l'ha scoperto, se n'è fregato.»
Bosch annuì. Il capo gli piaceva per questo.
«Cos'altro?» domandò Rider.
«Sam Weiss.»
«Chi è?»
«La vittima del furto. Il proprietario della pistola con cui è stata uccisa la
ragazza.»
«Perché?»
«Ai tempi non avevano Roland Mackey. Potrebbe essere utile fargli sen-
tire il nome.»
«Proviamo.»
«Dopo, penso che saremo pronti a fare la mossa con Mackey. Vediamo
come reagisce.»
«Allora sbrighiamo questa e andiamo a parlare con Pratt.»
Aprirono lo sportello in contemporanea e scesero dall'auto. Mentre gira-
va attorno al SUV, Bosch avvertì lo sguardo della partner che lo studiava.
«Che c'è?» domandò.
«C'è qualcos'altro.»
«In che senso?»
«Parlo di te. Quando ti viene quella piccola increspatura sul sopracciglio
sinistro, vuol dire che succede qualcosa.»
«La mia ex moglie mi diceva sempre che sarei stato un pessimo giocato-
re di poker. Troppi segni.»
«Be', allora?»
«Non lo so ancora. Qualcosa su quella stanza.»
«La camera della ragazza? Dici che è folle che l'abbia tenuta così com'e-
ra?»
«No, questo per me è normale. Penso di capirlo. Si tratta di qualcos'altro.
Qualcosa che non torna. Qualcosa di diverso. Ci rimugino e ti faccio sape-
re quando ci sono arrivato.»
«Va bene Harry, è quello che fai meglio.»
Attraversarono le porte a vetri delle Suite del Belvedere. Dopo dieci mi-
nuti, ebbero la conferma di quello che già sapevano; Mackey si era trasfe-
rito appena terminato il periodo di libertà vigilata.
Come previsto, non aveva lasciato alcun indirizzo a cui inoltrare la cor-
rispondenza.
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Abel Pratt uscì dall'ufficio con indosso la giacca. Notò Bosch seduto alla
scrivania nel suo bugigattolo, mentre batteva a macchina con due dita un
rapporto sulla conversazione telefonica con Muriel Verloren. Sul tavolo
c'erano i resoconti delle telefonate con Grace Tanaka e Daniel Kotchof.
«Dov'è Kiz?» domandò Pratt.
«A casa, a lavorare sulla richiesta di autorizzazione per le intercettazio-
ni. Riesce a pensare meglio là.»
«Quando arrivo a casa io, non posso più pensare. Posso solo difendermi.
Ho due gemelli.»
«Buona fortuna.»
«Già, ne ho bisogno. Ora vado. Ci vediamo domani, Harry.»
«Okay.»
Ma Pratt non si allontanava. Bosch alzò lo sguardo dalla macchina da
scrivere. Pensò che, forse, c'era qualcosa che non andava. Forse era la
macchina da scrivere.
«L'ho trovata su una scrivania in fondo» disse Bosch. «Mi sembrava che
non la stesse usando nessuno.»
«Non la usa nessuno. Ormai quasi tutti usano i computer. Sei proprio
uno della vecchia scuola, Harry.»
«Immagino di sì. Di solito è Kiz a redigere i rapporti, ma ho un po' di
tempo da ammazzare.»
«Lavori fino a tardi?»
«Devo andare al Nickel.»
«Fifth Street? Cosa cerchi da quelle parti?»
«Il padre della nostra vittima.»
Pratt scosse il capo tristemente.
«Un altro di quelli. Ne abbiamo visti tanti finire così.»
Bosch annuì.
«Effetti collaterali» disse.
«Già, effetti collaterali» convenne Pratt.
Bosch pensò di proporgli di uscire insieme, di fare quattro chiacchiere
per potersi conoscere un po' meglio, ma il suo cellulare cominciò a squilla-
re. Lo estrasse dalla cintura e vide il nome di Sam Weiss sul display.
«Meglio che risponda.»
«Va bene, Harry. Sii prudente laggiù.»
«Grazie, capo.»;
Aprì il telefono.
«Detective Bosch» disse.
«Detective?»
Bosch ricordò allora di non aver lasciato alcuna informazione nel mes-
saggio a Weiss.
«Signor Weiss, il mio nome è Harry Bosch. Sono un detective della
LAPD. Vorrei rivolgerle qualche domanda riguardo a un'indagine che sto
svolgendo.»
«Ho tutto il tempo che desidera, detective. Riguarda la mia pistola?»
La domanda colse Bosch alla sprovvista.
«Cosa glielo fa pensare, signore?»
«Be', so che è stata usata in un delitto che non è mai stato risolto. Ed è
l'unica cosa su cui penso che la polizia possa volermi interrogare.»
«Be', sì, signore, riguarda la pistola. Posso parlare con lei?»
«Se significa che sta cercando di scoprire chi ha ucciso quella ragazza,
allora mi può chiedere tutto quello che vuole.»
«Grazie. La prima cosa che vorrei sapere è quando e come ha saputo o le
è stato detto che l'arma che le era stata rubata era servita per un omicidio.»
«Era sui giornali - parlavano dell'omicidio - e io feci due più due. Chia-
mai il detective assegnato alle indagini sul furto nel mio appartamento,
chiesi e ottenni le risposte che avrei preferito non avere.»
«Perché dice così, signor Weiss?»
«Perché ho dovuto convivere con il senso di colpa.»
«Ma lei non ha fatto nulla di sbagliato, signore.»
«Questo lo so, ma non serve a farmi sentire meglio. Comprai la pistola
perché avevo dei problemi con un gruppo di teppisti. Desideravo proteg-
germi. Poi l'arma che avevo acquistato divenne lo strumento della morte di
quella ragazzina. Non pensi che non abbia riflettuto su come avrei potuto
cambiare volto a questa storia. Voglio dire, cosa sarebbe successo se non
fossi stato così ostinato? Se avessi deciso di fare i bagagli e di trasferirmi,
invece che comprare quella maledetta cosa? Capisce cosa intendo?»
«Capisco.»
«Ora, detto questo, cos'altro vuole sapere, detective?»
«Ho alcune domande. Chiamare lei è stato come sparare nel buio. Ho
pensato che sarebbe stato più facile che cercare da solo di orientarmi in
mezzo a rapporti e racconti vecchi di diciassette anni. Ho il primo rapporto
sul furto e l'investigatore indicato è John McClellan. Lo ricorda?»
«Certo che lo ricordo.»
«Ha mai risolto il caso?»
«Per quanto ne so io, no. All'inizio John pensava che potesse essere col-
legato con i teppisti che mi minacciavano.»
«Ed era così?»
«John mi disse di no. Ma io non ne fui mai del tutto convinto. I ladri mi
rivoltarono la casa. Non sembrava che stessero semplicemente cercando
qualcosa da rubare. Volevano distruggere tutto, le mie cose. Entrai nell'ap-
partamento e, amico, la rabbia era palpabile.»
«Perché dice ladri? La polizia ritenne che si fosse trattato di più di una
persona?»
«John si era fatto l'idea che dovessero essere minimo due o tre. Io ero
stato fuori solo un'ora, ero andato al negozio. Un uomo solo non avrebbe
potuto causare tutti quei danni in così poco tempo.»
«Il rapporto dice che vennero sottratti la pistola, una collezione di mone-
te e un po' di contante. Più tardi risultò che mancava qualcos'altro?»
«No, nient'altro. Era abbastanza. Almeno le monete mi furono restituite,
erano la cosa di maggior valore. La collezione di mio padre, di quando era
ragazzino.»
«Come fece a riottenerle?»
«Grazie a John McClellan. Me le riportò un paio di settimane più tardi.»
«Le disse dove le aveva recuperate?»
«Parlò di un monte dei pegni a West Hollywood. E poi, certo, sappiamo
che fine fece la pistola. Ma quella non mi fu mai restituita. Io comunque
non l'avrei presa.»
«Capisco, signore. Il detective McClellan le disse mai chi pensava che
avesse svaligiato casa sua? Aveva qualche teoria?»
«Pensava che si trattasse di qualche altro gruppo di teppisti. Non gli Otto
di Chatsworth.»
Sentir nominare gli Otto di Chatsworth risvegliò qualcosa in Bosch, ma
non riuscì a capire cosa.
«Signor Weiss, faccia conto che io non sappia nulla. Chi erano gli Otto
di Chatsworth?»
«Era una gang della Valley. Erano tutti ragazzetti bianchi. Skinhead. Nel
1988 commisero diversi crimini da queste parti. Crimini d'odio, così li de-
finivano i giornali. All'epoca era il termine in voga per definire i crimini
con motivazioni razziali o religiose.»
«E lei era il bersaglio di questa gang?»
«Sì, cominciai a ricevere delle telefonate. La tipica roba da "ammazza
l'ebreo."»
«Ma poi la polizia le disse che non erano stati gli Otto a svaligiare casa
sua.»
«Esatto.»
«Strano, no? Non videro alcun collegamento?»
«È quello che pensai anch'io allora, ma era lui il detective, non io.»
«Perché gli Otto la scelsero come bersaglio, signor Weiss? So che è e-
breo, ma cosa li indusse a scegliere proprio lei?»
«Semplice. Uno di quei piccoli stronzi viveva nel mio quartiere. Billy
Burkhart, stava a quattro isolati da casa mia. Io avevo messo una menorah
alla finestra durante Hanukah e così cominciò tutto.»
«Che ne è stato di Burkhart?»
«Andò in galera. Non per quello che fece a me, ma a degli altri. Presero
lui e i suoi compagni per qualche altro crimine. Avevano dato fuoco a una
croce a pochi isolati da qui. Nel giardino di una famiglia di neri. E fecero
dell'altro, cattiverie, atti vandalici. Tentarono anche di dar fuoco a una si-
nagoga.»
«Ma non svaligiarono casa sua.»
«Esatto. È quello che mi disse la polizia. Vede, non c'erano scritte o se-
gni che facessero pensare a motivazioni religiose. L'appartamento era stato
semplicemente rivoltato. Perciò non classificarono il furto come un crimi-
ne d'odio.»
Bosch esitò, si chiedeva se ci fosse altro da domandare. Decise di non
saperne abbastanza per poter porre domande argute.
«Va bene, signor Weiss, la ringrazio per il tempo che mi ha concesso. E
mi dispiace aver ridestato brutti ricordi.»
«Non si preoccupi di questo, detective. Mi creda, non erano sopiti.»
Bosch chiuse il telefono. Cercò di pensare a chi potesse telefonare per
avere chiarimenti su quella vicenda. Non conosceva John McClellan e le
probabilità che si trovasse ancora alla Divisione Devonshire diciassette
anni dopo erano esigue. Poi gli venne un'idea: Jerry Edgar. Il suo vecchio
compagno alla Divisione Hollywood in precedenza era stato assegnato alla
Devonshire. Doveva essere assegnato lì nel 1988.
Bosch chiamò la Omicidi a Hollywood, ma trovò la segreteria telefoni-
ca. Erano usciti tutti presto. Compose il numero dell'ufficio investigativo
centrale e chiese se Edgar fosse da quelle parti. Bosch sapeva che i detec-
tive dovevano firmare prima di uscire. L'usciere che rispose al telefono
disse che Edgar aveva firmato e per quel giorno non era più in servizio.
La terza telefonata fu al cellulare di Edgar. Il vecchio collega rispose su-
bito.
«Ehi, voi della Hollywood ve ne andate a casa presto» disse Bosch.
«Chi cavolo...? Harry, sei tu?»
«Sono io. Come te la passi, Jerry?»
«Mi chiedevo quando avrei avuto tue notizie. Hai ripreso oggi?»
«Il più vecchio pivello del mondo. E ho già per le mani una gatta da pe-
lare. Kiz e io stiamo lavorando a un caso insoluto.»
Edgar non replicò e Bosch si rese conto che menzionare Rider era stato
un errore. Il fossato tra loro non solo esisteva ancora, ma a quanto pare si
era congelato.
«Comunque, ho bisogno del tuo cervellone. Per una storia che risale ai
tempi del Club Dev.»
«Quando?»
«1988. Gli Otto di Chatsworth. Te li ricordi?»
Ci fu un silenzio durante il quale Edgar rifletté per un momento.
«Sì, ricordo gli Otto. Erano un branco di buzzurri che pensavano che ra-
sarsi la testa e tatuarsi facesse di loro degli uomini. Fecero un sacco di
merdate, poi li beccarono. Non durarono molto.»
«Ricordi un tizio di nome Roland Mackey? Doveva avere sui diciotto
anni all'epoca.»
Dopo una pausa Edgar disse di non ricordare il nome.
«Chi lavorava agli Otto?» domandò Bosch.
«Non il Club Dev, amico. Tutto quello che li riguardava finiva dritto
nella tana del coniglio.»
«PDU?»
«L'hai detto.»
PDU, la Public Disorder Unity, l'Unità Ordine Pubblico. Una squadra
che lavorava nell'ombra, raccoglieva dati e informazioni di intelligence
sulle organizzazioni criminali, ma seguiva direttamente pochi casi. Nel
1988 la PDU era sotto l'egida dell'allora comandante Irvin Irving. L'unità
non esisteva più. Quando Irving era salito al livello di vicecapo, aveva
smantellato la PDU, cosa che molti nel dipartimento considerarono una
mossa per insabbiare le attività dell'unità e prenderne le distanze.
«Questo non mi facilita il compito» disse Bosch.
«Mi dispiace. A cosa lavori?»
«All'omicidio di una ragazza sulla Oat Mountain.»
«Quella che era stata portata via da casa?»
«Sì.»
«Me la ricordo. Non ci lavoravo in prima persona, ma ne avevamo parla-
to alla Omicidi. Sì, me la ricordo. Dici che c'entravano gli Otto?»
«No. Solo che è saltato fuori un nome che potrebbe avere un legame con
gli Otto. Otto significa quello che penso?»
«Sì, amico, otto sta per "H". Ottantotto per "HH". E "HH" per Heil...»
«...Hitler. Sì, l'ho pensato anch'io.»
Allora Bosch realizzò che Kiz Rider aveva visto giusto quando aveva
pensato che l'anno dell'omicidio fosse significativo. Sia l'omicidio sia tutti
gli altri crimini commessi dagli Otto erano stati perpetrati nel 1988. Tutto
rientrava in una confluenza di particolari solo all'apparenza insignificanti.
E ora anche Irvin Irving e la PDU erano finiti nello stesso calderone. La
corrispondenza fra un insoluto e il DNA di uno sfigato autista di carro at-
trezzi cominciava a germogliare e a trasformarsi in qualcosa di più grande.
«Jerry, ricordi un tizio della Devonshire e che si chiamava John McClel-
lan?»
«John McClellan? No, non me lo ricordo. A cosa lavorava?»
«Si occupava di un caso di furto collegato all'omicidio.»
«No, sono sicuro che non fosse nella squadra Furti. Io lavoravo ai furti
prima di passare alla Omicidi. Non c'era nessun John McClellan. Chi è?»
«Come ti ho detto, solo un nome in un rapporto. Lo scoprirò.»
Per Bosch questo significava che McClellan apparteneva alla PDU e che
le indagini del furto a casa di Sam Weiss erano state inglobate in quelle
sugli Otto di Chatsworth. Non gli importava discutere tutto questo con E-
dgar.
«Jerry, perciò eri nuovo al tavolo degli omicidi in quel periodo?»
«Esatto.»
«Conoscevi bene Green e Garcia?»
«No. Io ero appena arrivato e loro non rimasero alla Omicidi ancora per
molto. Green andò in pensione e un anno dopo Garcia divenne sergente.»
«Da quello che hai potuto vedere, che opinione ti sei fatto di loro?»
«In che senso?»
«Come uomini della Omicidi.»
«Be', Harry, ero un novellino allora. Voglio dire, che ne sapevo? Stavo
ancora imparando. Ma la voce su di loro era che Green fosse il motore.
Garcia era solo la governante. La gente diceva che Garcia non sarebbe sta-
to capace di trovare la merda nei propri baffi con uno specchio e un petti-
ne.»
Bosch non rispose. Etichettandolo come una governante, Edgar intende-
va dire che Garcia viveva alle spalle del suo compagno. Green era il vero
poliziotto della Omicidi, e Garcia era quello che gli copriva le spalle, tene-
va in ordine i libri e aggiornava i dati. Molte partnership si riducevano a
questo genere di relazione. Un segugio di prima categoria e il suo assisten-
te.
«Immagino che non ne abbia poi avuto bisogno» disse Edgar.
«Bisogno di cosa?»
«Di trovare la merda nei propri baffi. Ha fatto strada, è diventato sergen-
te e si è tirato fuori. Sai che al momento è secondo in comando nella Val-
ley?»
«Sì, lo so. In effetti, se dovessi incontrarlo, faresti meglio a non menzio-
nare quella storia dei baffi.»
«Già, meglio lasciar perdere.»
Bosch rifletté su ciò che questo poteva aver comportato nell'indagine
Verloren. Una piccola crepa si stava allargando sotto la superficie.
«È tutto, Harry?»
«Ho sentito dire che Green si è mangiato la pistola un anno dopo esser-
sene andato in pensione.»
«Sì, me l'hanno detto. Ricordo che non ne fui sorpreso. Aveva sempre
l'aspetto di chi si porta dietro un carico pesante. Andrai a ficcare il naso
nella PDU, Harry? Lo sai che era la squadra di Irving, vero?»
«Sì, Jerry, lo so. Dubito che mi ci immischierò.»
«Sii prudente se decidi di farlo, amico mio.»
Bosch voleva cambiare argomento prima di riagganciare. Edgar era
sempre stato un pettegolo. Harry non voleva che il suo ex compagno si la-
sciasse scappare che Bosch si voleva mettere tra i piedi di Irving ora che
aveva recuperato il distintivo.
«Allora, come vanno le cose alla Hollywood?» domandò.
«Siamo appena tornati nei vecchi uffici dopo il terremoto. Ti sei perso
l'intera faccenda. Siamo stati sbattuti in archivio per più di un anno.»
«Com'è?»
«Ora sembra l'ufficio di un'assicurazione. Tra una scrivania e l'altra ci
sono le pareti insonorizzate. Tutto in grigio governativo. Grazioso, ma non
è lo stesso.»
«Già. So cosa vuoi dire.»
«Poi hanno dato ai capoccia il doppio dello spazio: scrivanie con i cas-
setti su due lati. Noialtri abbiamo quelle con una cassettiera sola.»
Bosch sorrise. Piccoli affronti come quelli venivano ingigantiti al dipar-
timento, e gli amministratori che prendevano simili decisioni non impara-
vano mai dai propri errori. Come quando buona parte degli Affari Interni
era stata trasferita dal Parker Center al vecchio Bradbury Building e si era
sparsa la voce che il capitano laggiù avesse il camino in ufficio.
«Allora, cosa farai, Jerry?»
«Le stesse vecchie cose, le stesse vecchie cose, ecco cosa farò. Alzerò il
culo e butterò giù le porte.»
«Ci sentiamo, amico.»
«Guardati le spalle, Harry.»
«Sempre.»
Dopo aver riagganciato, Bosch rimase seduto immobile alla scrivania
per qualche momento, mentre ripensava alla conversazione e alla nuova
luce che gettava sul caso. Se ci fosse stato un legame tra le indagini e la
PDU, allora si sarebbe aperta una partita del tutto nuova.
Abbassò lo sguardo sul fascicolo del delitto, ancora aperto sul rapporto
del furto, e fissò la firma scarabocchiata di John McClellan. Alzò il telefo-
no e compose il numero del Dipartimento Operativo al Parker Center.
Chiese di parlare con l'agente di servizio per sapere a quale dipartimento
fosse stato assegnato un detective di nome John McClellan. Lesse il nume-
ro di distintivo sul rapporto del furto. Quando venne messo in attesa, si a-
spettò di sentirsi dire che McClellan era in pensione da tempo. Erano pas-
sati diciassette anni.
Ma quando l'agente di servizio tornò in linea riferì che l'agente di nome
John McClellan era ora un sergente ed era stato assegnato all'Ufficio dei
Piani Strategici. Le sinapsi si attivarono nel cervello di Bosch. Diciassette
anni prima McClellan lavorava per Irving alla PDU. Ora l'assegnazione e il
grado erano diversi, ma lavorava ancora per lui. E Irving aveva incontrato
Bosch per caso alla caffetteria del Parker Center proprio nel giorno in cui
era stato riaperto un caso legato alla PDU.
«Porca miseria» sussurrò Bosch mentre riagganciava.
Come una corazzata che avvia le manovre per la virata, il caso stava len-
tamente e inesorabilmente prendendo un'altra direzione. Bosch avvertiva
qualcosa che gli si andava formando in fondo al petto. Pensò alla coinci-
denza di Irving che aveva incrociato i suoi passi. Sempre che di coinciden-
za si trattasse. Bosch si domandò se il vicecapo sapesse già, in quel mo-
mento, a quale caso avrebbero applicato il cold hit, e dove li avrebbe con-
dotti.
Il dipartimento seppelliva segreti tutti i giorni. Era un dato di fatto. Ma
chi avrebbe detto, diciassette anni prima, che un test chimico effettuato in
un laboratorio di Sacramento avrebbe conficcato una pala nella terra
sdrucciolevole e avrebbe riportato in superficie il passato, riportato alla lu-
ce quel segreto?
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Mentre guidava verso casa, Bosch rifletté sulle molte diverse ramifica-
zioni dell'indagine che si stavano avvolgendo come tentacoli attorno al ca-
davere di Rebecca Verloren. Sapeva che doveva tenere lo sguardo fisso
sull'obiettivo. Quello che aveva scoperto era la chiave risolutiva. Le dina-
miche politiche del dipartimento, la possibile corruzione, le coperture, fa-
cevano pensare a un high jingo, uno di quei casi che suscitavano l'interesse
di chi stava ai piani alti. Tutto questo poteva essere pericoloso e fuorvian-
te, distrarlo dalla meta. Doveva evitarlo e allo stesso tempo guardarsene
con attenzione.
Alla fine riuscì a mettere da parte i pensieri dell'ombra di Irving sulle in-
dagini e a concentrarsi sul caso. La riflessione, in qualche modo, lo portò
alla camera da letto di Rebecca, a come la madre l'avesse lasciata immuta-
ta nel tempo. Si domandò se fosse stata la perdita della figlia a indurre un
tale comportamento, o le circostanze della perdita. È diverso se non hai più
un figlio per cause naturali, per un incidente o in conseguenza di un divor-
zio? Bosch vedeva di rado la figlia. Questo gli pesava. Sapeva che, lontana
o vicina che fosse, la bambina lo lasciava del tutto vulnerabile, che ri-
schiava di finire come la madre che preservava la camera da letto della fi-
glia come un museo, o il padre che da tempo si era perso per il mondo.
Qualcosa riguardo alla stanza lo turbava, al di là di queste domande.
Non riusciva ad afferrare di cosa si trattasse, ma sapeva che c'era una nota
stonata, che lo tormentava. Guardò dalla sopraelevata verso Hollywood,
alla sua sinistra. C'era ancora un po' di luce in cielo, ma cominciava a cala-
re la sera. Le tenebre avevano atteso abbastanza. Le luci che provenivano
dall'incrocio tra la Hollywood e la Vine si intersecavano all'orizzonte. Gli
sembravano belle. Si sentiva a casa.
Quando giunse nel suo appartamento in cima alla collina, controllò la
cassetta della posta e la segreteria telefonica, quindi si tolse l'abito che a-
veva acquistato per il rientro in servizio. Lo appese con cura nell'armadio,
pensando che lo avrebbe potuto usare almeno ancora una volta prima di
portarlo in tintoria. Si infilò i blue-jeans, le scarpe da tennis e un pullover
nero. Mise una giacca sportiva, logora sulla spalla destra, a causa del vizio
di passare sempre troppo vicino agli angoli. Trasferì la pistola, il distintivo
e il portafogli. Tornò in auto e si diresse in centro, verso il Toy District.
Decise di fermarsi a Japantown, nel parcheggio del museo, per non do-
versi preoccupare che qualcuno si infilasse nell'auto o compisse atti vanda-
lici. Da lì camminò fino alla Fifth Street, e a mano a mano che procedeva
incontrava una massa sempre più densa di derelitti. La maggior parte dei
ricoveri per i senzatetto della città e delle missioni che davano loro da
mangiare era allineata in un tratto di cinque isolati sulla Fifth Street, a sud
della Los Angeles Street. I marciapiedi davanti alle missioni e ai miseri al-
berghetti erano punteggiati da scatoloni di cartone e carrelli della spesa ri-
colmi dei miseri, luridi averi di quella gente perduta. Era come se una sorta
di bomba avesse causato una frantumazione sociale, e le schegge di disa-
dattati e disperati fossero state scagliate ovunque. Lungo tutta la strada c'e-
rano uomini e donne urlanti, le cui grida incomprensibili erano come lugu-
bri nonsensi nella notte. Pareva una città con le proprie regole e le proprie
ragioni, una città lacerata, con una ferita tanto profonda che le bende che le
missioni vi applicavano non potevano fermare l'emorragia.
Mentre camminava, Bosch notò che nessuno, neppure una volta, gli si
avvicinò per chiedergli soldi o sigarette. Non gli sfuggì l'ironia del caso: a
quanto pareva, il quartiere della città con la più alta concentrazione di sen-
zatetto era l'unico posto dove un cittadino era al sicuro dall'accattonaggio.
La Los Angeles Mission e l'Esercito della Salvezza avevano qui i loro
principali centri d'accoglienza. Bosch decise di partire da loro. Aveva con
sé una foto di Robert Verloren, presa dalla patente vecchia di dodici anni, e
uno scatto ancora più datato, risalente al funerale della figlia. Le mostrò al-
le persone che operavano nei centri di assistenza e nelle cucine, dove si
preparava cibo gratis per centinaia di persone ogni giorno. Non ottenne
molte risposte, finché un tizio che lavorava in cucina riconobbe Verloren
come un "cliente" che qualche anno prima andava a mangiare lì con una
certa regolarità.
«È un po' ormai che non lo vedo più» disse l'uomo.
Dopo aver trascorso un'ora in ciascuno dei centri, Bosch si dedicò alle
strade, entrò nelle missioni più piccole e negli alberghetti per mostrare le
foto. Qualcuno riconobbe Verloren, ma nessuno lo aveva visto di recente.
Niente di utile per rintracciare l'uomo, che era scomparso dagli schermi dei
radar dell'umanità ormai da parecchi anni. Ci lavorò ancora fino alle dieci
e trenta, poi decise di tornare il giorno dopo per finire di perlustrare le
strade. Mentre camminava verso Japantown, fu sopraffatto dalla depres-
sione, per via dell'universo nel quale si era appena immerso e delle esigue
speranze di riuscire a trovare Robert Verloren. Camminava a testa bassa, le
mani in tasca, perciò non scorse i due uomini prima che loro vedessero lui.
Sbucarono dal vicolo tra due negozi di giocattoli proprio mentre Bosch
passava. Uno gli bloccò la strada. L'altro si mise dietro. Bosch si fermò.
«Ehi, missionario» disse l'uomo di fronte a lui.
Nel tenue bagliore di un lampione a mezzo isolato da loro Bosch scorse
il riflesso di una lama lungo il fianco dell'uomo. Si voltò appena per con-
trollare il tizio alle sue spalle. Era più piccolo. Bosch non ne era sicuro, ma
sembrava che stringesse nella mano solo un blocco di cemento. Un pezzo
di marciapiede rotto. Entrambi erano vestiti a strati, una vista consueta in
questa zona della città. Uno era nero e l'altro bianco.
«Le cucine sono tutte chiuse e noi abbiamo ancora fame» disse quello
con il coltello. «Hai qualche bigliettone per noi? Sai, qualcosa che po-
tremmo prendere in prestito.»
Bosch scosse la testa.
«No, non ho niente.»
«Non hai niente? Ne sei sicuro, amico? Hai l'aspetto di uno che ha in ta-
sca un portafogli bello pieno, sai? Non prenderci in giro.»
Una rabbia nera crebbe dentro Bosch. In un istante di straordinaria luci-
dità seppe cosa avrebbe dovuto fare e cosa avrebbe fatto. Avrebbe estratto
la pistola e avrebbe ficcato una pallottola in corpo a ciascuno di quei due
individui. Sapeva che se la sarebbe cavata con una semplice indagine in-
terna. Il riflesso della lama rappresentava la via d'uscita, e Bosch ne era
consapevole. Nessuno dei due aveva idea di chi fosse la persona in cui si
erano imbattuti. Era come quando, molti anni addietro, si trovava in quei
tunnel. Tutto si riduceva a uno spazio infinitamente esiguo. Non c'era altra
scelta che uccidere o essere uccisi. C'era qualcosa di puro in tutto ciò, as-
soluto, niente zone grigie, niente spazio per qualsiasi altra considerazione.
Poi, di colpo, l'istante mutò. Bosch vide che il tipo con il coltello lo fis-
sava con attenzione, aveva letto qualcosa nei suoi occhi, un predatore che
prendeva le misure dell'altro. L'uomo col coltello parve divenire più picco-
lo, in maniera quasi impercettibile. Indietreggiò, ma senza farlo fisicamen-
te.
Bosch era a conoscenza dell'esistenza di persone di cui si credeva che
sapessero leggere nel pensiero della gente. La verità era che sapevano leg-
gere la mente. La loro abilità consisteva nel saper riconoscere la miriade di
muscoli degli occhi, della bocca, delle sopracciglia. Da questo decifravano
le intenzioni. Bosch era abbastanza abile. La sua ex moglie si guadagnava
da vivere giocando a poker, perché era ancora più brava di lui. L'uomo con
il coltello era altrettanto dotato. E questa volta la sua abilità gli aveva sal-
vato la vita.
«Non importa» disse. Fece un passo indietro verso il vicolo tra i magaz-
zini.
«Buonanotte, missionario» disse, mentre scompariva nell'oscurità.
Bosch si voltò completamente e guardò l'altro tizio, anche questo scivolò
nel suo nascondiglio, per aspettare la vittima successiva.
Bosch guardò la strada, da una parte e dall'altra. Ora pareva deserta. Si
voltò e si diresse verso l'automobile. Mentre camminava estrasse il cellula-
re e chiamò l'ufficio pattuglie della Divisione Centrale. Riferì all'agente di
guardia dei due uomini che aveva incontrato e chiese di inviare una pattu-
glia.
«Questo genere di cose capitano di continuo in quell'inferno» disse l'a-
gente. «Cosa vuole che faccia?»
«Voglio che mandi un'auto ad arrestarli. Ci penseranno due volte prima
di fare del male a qualcuno.»
«Be', perché non li ha arrestati lei?»
«Perché sto lavorando a un caso, agente, e non posso perdere tempo a fa-
re il vostro lavoro o a sbrigare le vostre carte.»
«Senti, amico, non venirmi a dire come devo fare il mio lavoro. Voi in
borghese siete tutti uguali. Pensate...»
«Senta, agente, domattina controllerò l'elenco dei crimini. Se leggerò
che a qualcuno è successo qualcosa quaggiù, e che si sospetta di un bianco
e un nero che hanno agito in coppia, allora lei avrà più gente in borghese
attorno che ai grandi magazzini. Glielo garantisco.»
Bosch chiuse il telefono, cassando un'ultima protesta dell'agente di
guardia. Accelerò il passo, raggiunse l'auto e tornò sulla freeway 101.
Quindi si diresse di nuovo verso la Valley.
18
19
PARTE SECONDA
IL GIOCO DEL POTERE
20
Alle sette e cinquanta del mattino, il giorno seguente, Bosch era tornato
sulla Nickel. Stava guardando la fila per il cibo al Metro Shelter e teneva
d'occhio la schiena di Robert Verloren nella cucina dietro i tavoli fumanti.
Bosch era stato fortunato. Era quasi come se alla mattina presto ci fosse un
cambio di turno fra i senzatetto. Le persone che si aggiravano per le strade
con l'oscurità ora dormivano per dimenticare i fallimenti notturni. Erano
state rimpiazzate dal primo turno di senzatetto, quelli abbastanza furbi da
nascondersi di notte. L'intenzione di Bosch era quella di ricominciare dai
grandi centri e di partire da lì. Ma non appena era arrivato nella zona dei
senzatetto, dopo aver parcheggiato di nuovo a Japantown, aveva comincia-
to a mostrare le foto di Verloren ai più lucidi tra gli abitanti della strada e
quasi subito aveva ricevuto risposte positive. La gente del giorno ricono-
sceva Verloren. Alcuni dicevano di aver visto il tizio della foto in giro, ma
che ora era molto più vecchio. Alla fine Bosch si imbatté in un uomo che
disse in tono pratico: «Sì, questo è Chef», e indirizzò Bosch verso il Metro
Shelter.
Il Metro era uno dei ricoveri-satellite più piccoli, che si ammassavano
attorno a quelli dell'Esercito della Salvezza e della Los Angeles Mission, e
aveva lo scopo di gestire l'afflusso straordinario di senzatetto, in special
modo nei mesi invernali, quando il clima più mite di Los Angeles spingeva
i poveracci a migrare a miriadi dalle zone fredde del nord del paese. Questi
centri più piccoli non avevano i mezzi per fornire tre pasti al giorno e si
specializzavano in un unico servizio. Il Metro Shelter offriva la colazione
tutte le mattine a partire dalle sette. Quando Bosch arrivò, la fila di uomini
e donne malfermi e arruffati si estendeva fino a fuori dalla porta, e alle
lunghe file di tavoli da pic-nic all'interno non c'era più un buco libero. Per
strada si diceva che il Metro servisse la miglior colazione della Nickel.
Bosch si era fatto strada fino all'ingresso mostrando il distintivo, e aveva
subito individuato Verloren in cucina, dietro i tavoloni di servizio. Non
sembrava che svolgesse un qualche lavoro in particolare, pareva piuttosto
che sovrintendesse alla preparazione. Aveva tutta l'aria del responsabile.
Era ben vestito, con una casacca da cucina bianca a doppio petto e dei pan-
taloni scuri, un grembiule immacolato che scendeva fin sotto le ginocchia
e un alto cappello da cuoco.
La colazione era composta da uova strapazzate con pepe verde e rosso,
frittelline di patate, farina di avena e salsiccia. Aveva un buon aspetto e un
buon profumo. Bosch era uscito di casa senza mangiare perché aveva fretta
di entrare in azione. Alla destra della fila c'era la zona caffè, con due ampi
distributori self service. Addossate alle pareti, rastrelliere con tazze di por-
cellana spessa, ingiallite con il tempo. Bosch prese una tazza e la riempì
con il caffè nero, lo sorseggiò mentre aspettava. Quando Verloren si avvi-
cinò al tavolo, servendosi del grembiule per reggere il peso di una seconda
padella di uova roventi, Bosch fece la sua mossa.
«Ehi, Chef» lo chiamò, sopra il tintinnare dei cucchiai e le voci.
Verloren alzò lo sguardo, e Bosch notò che aveva subito stabilito che lui
non era un "cliente". Come la sera precedente, Bosch era vestito in manie-
ra informale, ma pensò che Verloren doveva aver persino intuito che era
un poliziotto. Si allontanò dal tavolo e si avvicinò. Ma non del tutto. Pare-
va esserci una riga invisibile sul pavimento, la linea di demarcazione tra la
cucina e lo spazio per la mensa. Verloren non la varcò. Rimase in piedi,
servendosi del grembiule per reggere la padella quasi vuota che aveva rim-
piazzato l'altra.
«Posso aiutarla?» domandò.
«Sì, ha un minuto? Mi piacerebbe parlare con lei.»
«No, non ho un minuto. Sono nel mezzo della colazione.»
«Si tratta di sua figlia.»
Bosch lesse una leggera esitazione negli occhi di Verloren. Si abbassa-
rono per un secondo, quindi si sollevarono di nuovo.
«È della polizia?»
Bosch annuì.
«Possiamo aspettare quest'ondata? Stiamo mettendo fuori gli ultimi vas-
soi.»
«Nessun problema.»
«Vuole mangiare? Sembra affamato.»
«Uh...»
Bosch si guardò attorno, osservò i tavoli affollati della sala. Non sapeva
dove avrebbe potuto sedersi. Era a conoscenza del fatto che in quelle men-
se si rispettava lo stesso protocollo implicito delle prigioni. Se si aggiun-
geva l'elevato tasso di malattie mentali nella popolazione dei senzatetto,
sarebbe stato facile passare il segno solo scegliendo il posto sbagliato dove
sedersi.
«Venga con me» disse Verloren. «Abbiamo un tavolo sul retro.»
Bosch si voltò verso l'uomo, ma il cuoco era già diretto alle cucine.
Bosch lo seguì, attraversarono la zona dei fornelli e raggiunsero una stanza
sul retro dove c'era un tavolo di metallo con un posacenere pieno.
«Si accomodi.»
Verloren prese il posacenere e lo tenne dietro la schiena. Non sembrava
che volesse nasconderlo, pareva piuttosto un cameriere o un maitre deside-
roso di far accomodare il cliente a un tavolo perfetto. Bosch lo ringraziò e
si sedette.
«Torno subito.»
Dopo meno di un minuto, Verloren tornò con un piatto con il menu
completo della casa. Quando l'uomo appoggiò le posate, Bosch notò che
gli tremavano le mani.
«Grazie, ma mi stavo chiedendo se ce ne sarà abbastanza. Intendo, per le
persone che arrivano.»
«Oggi non manderemo via nessuno. Nessuno di quelli che arrivano in
orario. Com'è il suo caffè?»
«Buono, grazie. Sa, non è che non volessi sedermi là fuori con loro. È
solo che non sapevo dove mettermi.»
«Capisco. Non c'è bisogno che me lo spieghi. Mi lasci portare fuori que-
sti vassoi, poi potremo parlare. C'è stato un arresto?»
Bosch lo guardò. Negli occhi di Verloren c'era uno sguardo speranzoso,
quasi implorante.
«Non ancora» disse Bosch. «Ma siamo vicini a qualcosa.»
«Torno il prima possibile. Mangi. Io le chiamo uova strapazzate alla
Malibu.»
Bosch abbassò lo sguardo sul piatto. Verloren tornò in cucina.
Le uova erano buone. Come tutta la colazione. Mancava il pane tostato,
ma sarebbe stato chiedere troppo. La sala dove si trovava era in mezzo tra
la cucina e uno stanzone enorme occupato da due uomini che caricavano
una lavastoviglie industriale. Era rumorosa, e il frastuono rimbalzava sulle
pareti e riecheggiava sulle piastrelle grigie. C'erano due porte che condu-
cevano al vicolo sul retro. Una era aperta, e l'aria fredda che lasciava entra-
re compensava il vapore della lavastoviglie e il caldo che proveniva dalla
cucina.
Dopo che Bosch ebbe svuotato il piatto e finito il caffè, si alzò e uscì nel
vicolo per fare una telefonata lontano da tutto quel rumore. Vide subito
che era un vero e proprio accampamento. Lungo i muri delle missioni e
delle fabbriche di giocattoli c'era una schiera ininterrotta di capanne co-
struite con il cartone o con la tela. C'era silenzio. Dovevano essere i ripari
abborracciati del popolo della notte. Non è che non ci fosse posto per loro
nei dormitori delle missioni; il fatto era che quei letti venivano concessi se
si rispettavano determinate regole, e la gente nel vicolo non era disposta a
sottomettersi ad alcuna norma.
Chiamò Kiz Rider al cellulare e lei rispose subito. Era già nella stanza
503 e aveva finito di consegnare le richieste per mettere sotto controllo il
telefono. Bosch parlò sottovoce.
«Ho trovato il padre.»
«Ottimo lavoro, Harry. Sei ancora quello di una volta. Cosa ti ha detto?
Ha riconosciuto Mackey?»
«Non gli ho ancora parlato.»
Le spiegò la situazione e le chiese se ci fossero novità da parte sua.
«La richiesta di intercettazione è sulla scrivania del capitano. Abel la
spingerà di persona se non riceveremo risposta entro le dieci, poi comince-
rà a risalire tutta la catena.»
«A che ora hai cominciato?»
«Presto. Volevo fare il prima possibile.»
«Sei riuscita a leggere il diario della ragazza ieri sera?»
«Sì, me lo sono portata a letto. Non è di grande aiuto. Sono le solite cose
da liceale. Amori irrequieti, cotte di una settimana, cose del genere. Com-
pare MTL, ma non ci sono indizi sulla sua identità. Potrebbe persino essere
una figura di fantasia, a giudicare da come descrive quanto è speciale. Pen-
so che Garcia abbia fatto bene a restituirlo alla madre. Non ci aiuterà in al-
cun modo.»
«Quando parla di MTL dice lui?»
«Uhm, Harry, domanda intelligente. Non ci ho fatto caso. Ce l'ho qui,
ora controllo. Sai qualcosa che io non so?»
«No, cerco solo di non trascurare nulla. E Danny Kotchof? C'è?»
«All'inizio compare il suo nome. Poi non ne parla più e viene sostituito
dal misterioso MTL.»
«Mr. X...»
«Senti, tra poco ho un appuntamento al sesto piano. Vedo se riesco ad
avere accesso a quei vecchi file di cui abbiamo parlato ieri.»
Bosch notò che non aveva menzionato esplicitamente la PDU. Si chiese
se lì attorno ci fosse qualcuno, Pratt o altri, e lei fosse prudente per timore
di essere ascoltata.
«C'è qualcuno lì, Kiz?»
«Esatto.»
«Prendi tutte le precauzioni, va bene?»
«Certo.»
«Bene. Buona fortuna. A proposito, hai trovato un telefono all'indirizzo
sulla Mariano?»
«Sì» disse. «C'è un telefono, ed è a nome di William Burkhart. Deve es-
sere il suo coinquilino. Questo tizio ha soltanto qualche anno più di Ma-
ckey, e ha dei precedenti per crimini d'odio. Niente di recente, ma le impu-
tazioni risalgono al 1988.»
«E indovina un po',» disse Bosch «era anche vicino di casa di Sam
Weiss. Devo essermi dimenticato di dirtelo ieri sera, quando ci siamo par-
lati.»
«Stanno saltando fuori troppe informazioni.»
«Già. Sai, mi chiedevo una cosa. Come mai il cellulare di Mackey non
risulta su AutoTrack?»
«In questo sono più avanti io. Ho controllato il numero, non è suo. È re-
gistrato a nome di Belinda Messier, che vive a Melba, sempre sulle Wood-
land Hills. Non ha precedenti, a parte qualche traffico. Forse è la sua ra-
gazza.»
«Forse.»
«Appena ho un po' di tempo cerco di rintracciarla. Sento che c'è qualco-
sa, Harry. I pezzi cominciano a combaciare. Tutta quella roba dell'88. Ho
provato a estrarre il file dei crimini d'odio, ma...»
«Ordine Pubblico?»
«Esattamente. Ed è per questo che vado al sesto.»
«Okay, c'è altro?»
«Per prima cosa ho sentito quelli della ESB. Non hanno ancora trovato
la scatola con le prove. Non abbiamo ancora l'arma. Comincio a chiedermi
se sia andata persa o sia stata sottratta.»
«Già» disse Bosch, che nutriva lo stesso dubbio. Se il caso si estendeva
all'interno del dipartimento, le prove potevano essere state smarrite di pro-
posito, e per sempre.
«Va bene» disse Bosch. «Prima che vada a interrogare il padre, torniamo
un momento al diario. C'è qualcosa riguardo alla gravidanza?»
«No, non ne parla. In tutte le pagine c'è la data, ha smesso di scrivere al-
la fine di aprile. Forse proprio quando ha scoperto di essere incinta. Penso
che abbia smesso per timore che i genitori lo leggessero di nascosto.»
«Nomina qualche locale in particolare? Sai, posti dove passava le sera-
te.»
«Scrive di un sacco di film» disse Rider. «Non dice con chi ci andava,
solo che film vedeva e come le sembravano. A cosa pensi? Al luogo in cui
potrebbe essersi trasformata in un bersaglio?»
Dovevano sapere dove potevano essersi incrociate le strade di Mackey e
Rebecca Verloren. Era un buco nelle indagini, a prescindere dalle motiva-
zioni. Dove Mackey aveva incontrato Rebecca e aveva puntato gli occhi su
di lei?
«In un cinema» disse Bosch. «È lì che potrebbero essersi incrociati.»
«Esatto. E dato che tutti i cinema della Valley, se non sbaglio, sono in
un centro commerciale, la zona del possibile incontro risulta ancora più
ampia.»
«È un dato su cui riflettere.»
Bosch disse che sarebbe tornato in ufficio dopo aver parlato con Robert
Verloren. Riattaccarono. Bosch tornò nella sala dove aveva mangiato e il
rumore dalla stanza delle lavastoviglie gli parve ancora più forte. Il servi-
zio era quasi terminato e le lavapiatti erano cariche. Bosch si sedette al ta-
volo e notò che qualcuno aveva portato via il piatto vuoto. Cercò di riflet-
tere sulla conversazione con Rider. Sapeva che un centro commerciale of-
friva ampie possibilità di incontro, era un luogo in cui sarebbe stato facile
che un individuo come Mackey incrociasse la propria strada con quella di
una ragazza come Rebecca Verloren. Si domandò se il delitto potesse esse-
re stato provocato da un incontro casuale. Era possibile che Mackey avesse
visto una ragazza il cui volto, gli occhi, i capelli denunciavano chiaramente
il suo sangue misto e si fosse acceso al punto da seguirla a casa, per poi
tornare da solo o con dei complici per rapirla e ucciderla?
Sembrava un'ipotesi remota, ma molte teorie cominciavano con ipotesi
remote. Rifletté sulle prime indagini e sulla possibilità che fossero state
corrotte dall'interno del dipartimento. Non c'era niente sul fascicolo del de-
litto che facesse riferimento a un crimine di matrice razziale. Ma nel 1988
il dipartimento avrebbe tradito se stesso tralasciando quella linea di inda-
gine. Nel 1988 il dipartimento e il municipio avevano una zona d'ombra.
Un'epidemia di odio razziale si stava insinuando sotto la superficie, ma il
dipartimento e la municipalità chiudevano un occhio. Qualche anno dopo,
la pellicola che occultava il fermento si lacerò e la città venne devastata da
tre giorni di sommosse, le peggiori del paese nell'ultimo quarto di secolo.
Bosch doveva prendere in considerazione la possibilità che le indagini
sull'omicidio di Rebecca Verloren fossero state insabbiate per trattenere il
malessere sotto la superficie.
«È pronto?»
Bosch alzò lo sguardo e vide Robert Verloren in piedi accanto a lui. A-
veva il viso sudato per lo sforzo. Ora teneva il cappello da cuoco in mano,
e un leggero tremore continuava a scuotere il braccio.
«Sì certo. Si vuole sedere?»
Verloren prese posto di fronte a Bosch.
«È sempre così?» domandò. «Così affollato?»
«Tutte le mattine. Oggi abbiamo servito centosessantadue piatti. Molte
persone contano su di noi. No, aspetti, centosessantatré. Mi ero dimentica-
to di lei. Com'era?»
«Maledettamente buona. Grazie, avevo bisogno di carburante.»
«È la mia specialità.»
«Un po' diverso rispetto a cucinare per Johnny Carson e il jet-set di Ma-
libu, eh?»
«Sì, ma non ne sento la mancanza. Per niente. È stata soltanto una fer-
mata lungo la strada per trovare il luogo a cui appartengo. Ma ora sono
qui, grazie al Signore Gesù, ed è qui che voglio stare.»
Bosch annuì.
Intenzionalmente o meno, Verloren stava comunicando a Bosch che
questa nuova vita era stata raggiunta grazie all'intervento della fede. Bosch
aveva sempre pensato che quelli che ne parlavano di più in realtà fossero i
meno convinti.
«Come ha fatto a trovarmi?» domandò Verloren.
«La mia collega e io abbiamo parlato con sua moglie ieri, e ci ha detto
che l'ultima volta che aveva avuto sue notizie, lei era qui. Ho iniziato a
cercare ieri sera.»
«Non mi aggirerei per queste strade di notte, se fossi in lei.»
C'era un leggero accento caraibico nella sua voce. Ma era ormai imper-
cettibile, perduto nei recessi del tempo.
«Pensavo di trovarla in fila per prendere da mangiare, non tra quelli che
servono i pasti.»
«Be', non molto tempo fa ero in fila. Ho dovuto stare di là per poter arri-
vare dove sono adesso.»
Bosch annuì di nuovo. Aveva già sentito prima quel mantra "un giorno
alla volta".»
«Da quanti anni ha smesso di bere?»
Verloren sorrise.
«Questa volta? Poco più di tre anni.»
«Senta, io non voglio costringerla a rivivere il trauma di diciassette anni
fa, ma abbiamo riaperto il caso.»
«Per me va bene, detective. Io riapro il caso tutte le sere quando chiudo
gli occhi e tutte le mattine quando rivolgo le mie preghiere a Gesù.»
Bosch annuì di nuovo.
«Vuole che ne parliamo qui o preferisce fare due passi fino alla centrale
di Parker Center dove possiamo metterci in una stanza tranquilla?»
«Qui va bene. Sono a mio agio qui.»
«Okay. Allora mi lasci ricapitolare quello che sta accadendo. Io lavoro
per l'Unità Casi Irrisolti. Al momento stiamo esaminando il caso di sua fi-
glia perché abbiamo delle informazioni nuove.»
«Che informazioni?»
Bosch decise di tentare un approccio diverso con lui. Mentre con la ma-
dre aveva scelto di tenere nascosti alcuni aspetti, al padre decise di dire tut-
to.
«Abbiamo una corrispondenza tra il sangue trovato sull'arma del delitto
e un individuo che quasi sicuramente viveva a Chatsworth al momento
dell'omicidio. È stato effettuato il test del DNA. Sa di cosa si tratta?»
Verloren annuì.
«So cos'è. Come per O J.»
«È una prova consistente. Non significa che questo individuo abbia uc-
ciso Rebecca, ma significa che è vicino al crimine, e questo avvicina anche
noi.»
«Chi è?»
«Ci arrivo tra un minuto. Ma prima, signor Verloren, vorrei rivolgerle
alcune domande su di lei e sul caso.»
«Perché su di me?»
Bosch avvertì la tensione che cresceva. La pelle attorno agli occhi di
Verloren si fece più tirata. Il detective si rese conto che avrebbe dovuto es-
sere più cauto con quell'uomo, aveva frainteso la sua posizione in cucina
come un segno di buona salute e aveva dimenticato gli ammonimenti di
Kiz Rider sulla popolazione dei senzatetto.
«Be',» disse «vorrei avere qualche informazione su quello che le è acca-
duto da quando Rebecca è stata portata via.»
«Cosa c'entra?»
«Magari niente, ma lo voglio sapere.»
«Quello che mi è accaduto è che sono inciampato e sono precipitato in
un buco nero. Ci ho impiegato molto tempo per vedere la luce e riuscire a
tirarmi fuori. Lei ha figli?»
«Una bambina.»
«Allora capirà cosa intendo. Se perdesse sua figlia come io ho perso la
mia, non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro. Diventi come una botti-
glia vuota gettata fuori dal finestrino. L'auto continua a correre, ma tu sei
al margine della strada, in frantumi.»
Bosch annuì. Lo sapeva. Si sentiva vulnerabile, sapeva che quello che
sarebbe potuto accadere in una città distante avrebbe potuto significare per
lui la vita o la morte, avrebbe potuto precipitarlo nello stesso buco nero in
cui era finito Verloren.
«Dopo la morte di sua figlia, perse il ristorante?»
«Esatto. Fu la cosa migliore che potesse capitarmi. Avevo bisogno che
succedesse per poter scoprire chi ero veramente. E per trovare la mia stra-
da qui.»
Bosch sapeva che simili barriere emotive erano fragili. Seguendo la lo-
gica di Verloren, si sarebbe potuto affermare che la morte di sua figlia era
la miglior cosa che potesse essergli capitata, perché gli aveva causato la
perdita del ristorante e, di conseguenza, tutte le favolose scoperte personali
che aveva poi realizzato. Erano stronzate, e lo sapevano entrambi; solo che
uno dei due non poteva ammetterlo.
«Signor Verloren, parli con me» disse Bosch. «Lasci stare le frasi che ha
imparato ai corsi di auto-aiuto. Mi racconti come è inciampato. Mi dica
come è caduto nel buco nero.»
«L'ho appena fatto.»
«Non tutti quelli che perdono un figlio precipitano così a fondo. Lei non
è l'unica persona a cui sia successa una cosa del genere, signor Verloren.
Alcuni finiscono in televisione, altri corrono per il Congresso. A lei cos'è
capitato? In cosa è diverso dagli altri? E non mi dica che è perché lei ama-
va di più sua figlia. Tutti noi amiamo i nostri figli.»
Verloren rimase in silenzio per un momento. Premette le labbra una con-
tro l'altra mentre si ricomponeva. Bosch era sicuro di averlo fatto arrabbia-
re, ma andava bene così. Aveva bisogno di smuovere la situazione.
«Va bene» disse alla fine Verloren. «Va bene.»
Ma non aggiunse altro. Bosch vedeva come i muscoli della mascella ne
tradivano la tensione. Il dolore degli ultimi diciassette anni si era insediato
sul suo viso. Bosch poteva leggerlo come un menu. Primo, secondo, des-
sert. Frustrazione, rabbia, lutto inconsolabile.
«Cosa va bene, signor Verloren?»
Verloren annuì. Rimosse l'ultima barriera.
«Potrei biasimare la sua gente, ma devo biasimare me stesso. Ho abban-
donato mia figlia alla morte, detective. E allora l'unico luogo in cui trovai
rifugio per quel tradimento fu la bottiglia. La bottiglia aprì il buco nero.
Capisce?»
Bosch annuì. «Ci sto provando. Mi dica cosa intende quando dice biasi-
mare la sua gente. Si riferisce ai poliziotti? Si riferisce ai bianchi?»
«Mi riferisco a tutto quanto.»
Verloren si girò sulla sedia e appoggiò la schiena alla parete accanto al
tavolo, gli occhi rivolti verso la porta che dava sul vicolo. Non guardava
Bosch. Bosch voleva incrociare il suo sguardo, ma preferì non interferire
finché Verloren continuava a parlare.
«Allora cominciamo dai poliziotti» disse. «Perché biasima i poliziotti?
Cosa hanno fatto i poliziotti?»
«Lei si aspetta che io le parli di quello che ha fatto la sua gente?»
Bosch rifletté con cautela prima di rispondere. Avvertiva che quello era
il punto chiave dell'interrogatorio e sentiva che l'uomo aveva qualcosa di
importante da comunicare.
«Partiamo dal fatto che lei amava sua figlia, giusto?» disse Bosch.
«Certo.»
«Be', signor Verloren, quello che è accaduto non sarebbe dovuto accade-
re. Io non ci posso fare niente, ma posso cercare di parlare per conto di
Becky. Per questo sono qui. Io non farò quello che hanno fatto i poliziotti
diciassette anni fa. Molti di loro sono morti, ormai. Se lei ama ancora sua
figlia, se venera la sua memoria, allora mi deve raccontare tutto. Mi aiuterà
a parlare per suo conto. È l'unica occasione per rimediare a quello che fece
allora.»
Verloren iniziò ad annuire a metà dell'appello di Bosch. Bosch sapeva di
averlo in pugno, si sarebbe aperto. Era una questione di redenzione. Non
importava quanti anni fossero trascorsi. La redenzione era sempre il fulcro
di ogni rinascita.
Una singola lacrima scivolò lungo la guancia sinistra di Verloren, quasi
impercettibile sulla pelle scura. Un uomo con un grembiule bianco inzac-
cherato entrò nella sala con una cartelletta tra le mani, ma Bosch lo scacciò
con un rapido gesto. Il detective attese e infine Verloren parlò.
«Ho scelto me stesso invece che lei, e alla fine mi sono perso comun-
que» disse.
«Cos'è successo?»
Verloren si coprì la bocca con la mano, come se cercasse di impedire al
segreto di uscire. Alla fine la abbassò e iniziò il racconto.
«Un giorno lessi su un giornale che mia figlia era stata uccisa con una
pistola che proveniva da un furto in un appartamento. Green e Garcia non
me l'avevano detto. Perciò chiesi conto di questo al detective Green, e lui
mi disse che l'uomo a cui avevano rubato la pistola l'aveva comprata per-
ché era spaventato. Era ebreo e aveva subito delle minacce. Pensai...»
Si fermò, e Bosch dovette imbeccarlo.
«Pensò che forse Rebecca fosse stata presa di mira perché era di sangue
misto? Perché suo padre era nero?»
Verloren annuì.
«Lo pensai, sì. Perché di tanto in tanto c'erano stati dei commenti. Non
tutti vedevano la bellezza in lei. Non come la vedevamo noi. Io avrei volu-
to vivere nel Westside, ma Muriel, era di lassù. Là si sentiva a casa.»
«Cosa le disse Green?»
«Mi disse che no, non poteva essere. Avevano indagato e non c'era alcu-
na possibilità. Non era... non mi sembrava giusto. Stavano ignorando que-
sto aspetto. Continuavo a chiamare e a domandare. Diventavo insistente.
Alla fine andai da un cliente del ristorante che era membro della commis-
sione della polizia. Gli raccontai tutta la faccenda e lui mi disse che avreb-
be effettuato un controllo per me.»
Verloren annuì, più a se stesso che a Bosch. Cercava di convincersi della
giustezza delle proprie azioni di padre in cerca di giustizia per la figlia.
«E poi cosa accadde?» insistette Bosch.
«Poi ricevetti la visita di due poliziotti.»
«Non Green e Garcia?»
«No, non loro. Degli altri. Vennero al ristorante.»
«Come si chiamavano?»
Verloren scosse il capo.
«Non mi diedero mai i loro nomi. Si limitarono a mostrarmi i distintivi.
Penso che fossero detective. Mi dissero che mi sbagliavo riguardo a quello
per cui tormentavo Green. Mi dissero di smetterla, perché stavo solo con-
fondendo le acque. Dissero proprio così, "confondendo le acque". Come se
la cosa riguardasse me, non mia figlia.»
Scosse il capo con forza, la rabbia era ancora acuta dopo tutti quegli an-
ni. Bosch gli pose una domanda scontata, scontata perché sapeva molto
bene come lavorava il Dipartimento di Polizia di Los Angeles a quei tem-
pi.
«La minacciarono?»
Verloren sbuffò.
«Sì, mi minacciarono» disse con calma. «Mi dissero che sapevano che
mia figlia aveva interrotto una gravidanza, ma che non riuscivano a trovare
la clinica dove era andata ad abortire. Perciò non c'era modo di identificare
il padre. Non c'era modo di dimostrare chi fosse o non fosse. Dissero che
non avrebbero dovuto fare altro che porre qualche domanda ai clienti su lei
e me, e le voci avrebbero cominciato a diffondersi. Dissero che sarebbero
bastate poche domande al posto giusto e al momento giusto, e la gente a-
vrebbe creduto che il padre fossi io.»
Bosch non lo interruppe. Sentiva la rabbia che gli serrava la gola.
«Dissero che sarebbe stato difficile per me continuare a lavorare se tutti
avessero pensato che... che avevo fatto una cosa del genere a mia figlia...»
Ora altre lacrime solcarono il viso scuro. Non tentò di frenarle.
«E così feci quello che volevano. Mi tirai indietro e lasciai perdere. La
smisi di confondere le acque. Mi dissi che non importava; che comunque
Becky non sarebbe tornata in vita. Perciò non chiamai mai più il detective
Green... e il caso non fu mai risolto. Dopo qualche tempo, cominciai a bere
per dimenticare quello che avevo perso e quello che avevo fatto, avevo
messo me stesso, il mio orgoglio, la mia reputazione e il mio lavoro davan-
ti a mia figlia. E molto presto, prima di rendermene conto, giunsi a quel
buco nero di cui le parlavo prima. Ci caddi dentro, e sto ancora cercando di
uscirne.»
Dopo un momento si voltò e guardò Bosch.
«Cosa gliene pare del mio racconto, detective?»
«Mi dispiace, signor Verloren. Mi dispiace che sia successo. Tutto que-
sto.»
«Era la storia che voleva sentire, detective?»
«Io volevo solo conoscere la verità. Che lei ci creda o meno, mi aiuterà.
Mi aiuterà a parlare per Rebecca. Saprebbe descrivere i due uomini che
vennero da lei?»
Verloren scosse il capo.
«È passato molto tempo. Con tutta probabilità li riconoscerei se me li
trovassi davanti. Ricordo solo che erano tutti e due bianchi. Uno dei due
sembrava Mastro Lindo, perché era pelato e stava con le braccia incrociate
come il tizio del detersivo.»
Bosch annuì e sentì la rabbia tendergli i muscoli delle spalle. Sapeva chi
era Mastro Lindo.
«Quanto sa sua moglie di questa vicenda?» domandò con voce calma.
Verloren scosse il capo.
«Muriel non ne sapeva nulla. Glielo tenni segreto. Ero io a dover portare
il peso.»
Verloren si asciugò le guance, pareva aver trovato sollievo dopo essere
riuscito finalmente a raccontare quella storia.
Bosch prese dalla tasca dei pantaloni la foto di Roland Mackey. La posò
sul tavolo di fronte a Verloren.
«Riconosce questo ragazzo?»
Verloren lo fissò a lungo prima di scuotere il capo.
«Dovrei? Chi è?»
«Si chiama Roland Mackey. Aveva un paio di anni più di sua figlia nel
1988. Non andava a scuola alla Hillside, ma viveva a Chatsworth.»
Bosch attese, ma non ne cavò nulla. Verloren fissava la foto sul tavolo.
«È una foto segnaletica. Cos'ha fatto?»
«Ha rubato un'automobile. Ma è stato condannato anche per dei legami
con gli estremisti di Potere bianco. Ha fatto la spola dentro e fuori dalla
galera. Il nome significa qualcosa per lei?»
«No. Dovrebbe?»
«Non lo so. Chiedo solo. Ricorda se sua figlia menzionò mai questo no-
me, o magari qualcuno che si chiamava Ro?»
Verloren scosse il capo.
«Stiamo cercando di capire se si siano mai incrociati in qualche modo.
La Valley è molto grande. Potrebbero aver...»
«In che scuola è andato?»
«Alla Chatsworth High, ma non la finì. Prese il diploma intermedio.»
«Rebecca andò alla Chatsworth High per i corsi per la patente nell'estate
prima di essere portata via.»
«Vuole dire nel 1987?»
Verloren annuì.
«Controllerò.»
Ma Bosch non pensava che fosse una buona pista. Mackey aveva lascia-
to la scuola prima dell'estate del 1987, e solo nel 1988 c'era tornato per il
diploma intermedio. Comunque, valeva la pena dare un'occhiata.
«E i cinema? Le piaceva andare al cinema o nei centri commerciali?»
Verloren alzò le spalle.
«Aveva sedici anni. Certo che le piaceva andare al cinema. Quasi tutte le
sue amiche avevano la macchina. Appena compiuti i sedici e presa la pa-
tente, erano sempre in giro. Mia moglie le chiamava le tre "M": Movies,
Malls e Madonna, film, centri commerciali e Madonna.»
«Quali centri commerciali? Quali cinema?»
«Andavano al Northridge Mall perché era vicino. Ma gli piaceva anche
andare al drive-in di Winnetka. Così potevano rimanere in macchina e
chiacchierare anche durante il film. Una delle ragazze aveva una decappot-
tabile, gli piaceva andare con quella.»
Bosch si focalizzò sul drive-in. Se n'era dimenticato quando prima aveva
parlato dei cinema con Rider. Ma una volta Mackey era stato arrestato
mentre svaligiava lo stesso drive-in di Winnetka. Era un possibile punto di
intersezione.
«Rebecca e le sue amiche andavano spesso al drive-in?»
«Penso che le piacesse andarci al venerdì sera, quando uscivano i film
nuovi.»
«Incontravano dei ragazzi?»
«Immagino di sì. Vede, col senno di poi è tutto diverso. Non c'era niente
di sbagliato o di innaturale nel fatto che nostra figlia andasse al cinema con
le amiche e lì incontrasse dei ragazzi. Fu solo in seguito, dopo che si era
verificato il peggior scenario possibile, che la gente cominciò a chiedere:
"Perché non sapevate con chi era vostra figlia?". Noi pensavamo che an-
dasse tutto bene. La mandavamo alla scuola migliore che avevamo trovato.
Le sue amiche erano di buona famiglia. Non potevamo sorvegliarla tutti i
minuti. Il venerdì sera - al diavolo, tutte le sere - io lavoravo fino a tardi al
ristorante.»
«Capisco. Non la giudico come genitore, signor Verloren. Non ci vedo
niente di sbagliato nel vostro comportamento, okay? Sto solo gettando una
rete. Raccolgo più informazioni possibili, non si sa mai quale di queste si
rivelerà importante.»
«Già, ma quella rete si è impigliata e strappata sulle rocce molti anni fa.»
«Forse no.»
«Lei pensa che sia stato Mackey?»
«È coinvolto in qualche modo, è l'unica cosa di cui siamo sicuri. Presto
sapremo di più. Glielo prometto.»
Verloren si voltò e guardò Bosch dritto negli occhi per la prima volta.
«Quando arriverà a quel punto parlerà per conto di mia figlia, vero, de-
tective?»
Bosch annuì lentamente. Pensava di sapere quello che gli stava chieden-
do Verloren.
«Sì, signore, lo farò.»
21
Kiz Rider era seduta alla scrivania con le braccia conserte, come se a-
vesse aspettato Bosch per tutta la mattina. Aveva un'espressione tetra, e
Bosch capì che era successo qualcosa.
«Hai trovato i file della PDU?» domandò.
«Ho potuto guardarli. Non sono stata autorizzata a prenderli.»
«Roba buona?» domandò.
«Dipende da che punto di vista.»
«Be', ho qualcosa anch'io.»
Si guardò attorno. La porta dell'ufficio di Abel Pratt era aperta e Bosch
vide che il detective era dentro, chinato sul piccolo frigorifero che teneva
accanto alla scrivania, abbastanza vicino da sentire. Non che Bosch non si
fidasse di lui, anzi, ma non voleva metterlo nella posizione di ascoltare
qualcosa per cui non era pronto. Come aveva fatto Rider quando poco
prima avevano parlato al telefono.
Tornò a guardare la collega.
«Ti va di fare due passi?»
«Sì.»
Si diressero fuori. Quando passò davanti alla porta dell'ufficiale in co-
mando, Bosch sbirciò dentro. Ora Pratt era al telefono. Bosch attirò la sua
attenzione e gli mimò il gesto di bere una tazza di caffè, come per invitar-
lo. Pratt scosse il capo per rifiutare l'offerta e sollevò un vasetto di yogurt,
come a dire che aveva già ciò che gli serviva. Bosch vide dei pezzettini
verdi nella poltiglia. Cercò di pensare a un frutto verde e gli venne in men-
te soltanto il kiwi. Si allontanò rimuginando sul fatto che l'unica maniera
per rendere lo yogurt ancora più cattivo era aggiungerci il kiwi.
Presero l'ascensore, scesero nell'atrio e camminarono verso la fontana
commemorativa.
«Dove vuoi andare?» domandò Kiz.
«Dipende da quanto c'è da parlare.»
«Molto, direi.»
«L'ultima volta che ho lavorato al Parker Center ero un fumatore. Quan-
do avevo bisogno di camminare e pensare andavo alla Union Station e
compravo le sigarette dal tabaccaio che c'è lì. Mi piaceva quel posto. Ci
sono delle sedie molto comode nel salone principale. O perlomeno, un
tempo c'erano.»
«Per me va bene.»
Si avviarono in quella direzione, presero la Los Angeles Street verso
nord. Il primo edificio che oltrepassarono era quello che ospitava gli uffici
federali, e Bosch notò che le barriere in cemento armato erette nel 2001
per difendere il palazzo da eventuali attacchi con auto bomba erano ancora
al loro posto. La minaccia non sembrava preoccupare la gente in fila da-
vanti all'edificio. Aspettavano di entrare nell'ufficio immigrazione, strin-
gendo in mano i documenti per presentare domanda di cittadinanza. Atten-
devano sotto i mosaici della facciata, che rappresentavano uomini e donne
vestiti come angeli, lo sguardo rivolto al cielo, in attesa del paradiso.
«Perché non cominci, Harry?» lo esortò Rider. «Dimmi di Robert Verlo-
ren.»
Bosch camminò ancora un po' prima di parlare.
«Mi è piaciuto il tipo» disse. «Si sta trascinando fuori dal baratro. Prepa-
ra cento e più colazioni ogni mattina, laggiù. Ne ho avuto un piatto, ed era
proprio roba buona.»
«E scommetto che i prezzi sono molto più economici che al Pacific Din-
ing Car. Cosa ha tirato fuori per farti arrabbiare così?»
«Di cosa parli?»
«Tu capisci me, io capisco te. So che ti ha detto qualcosa che ti ha messo
in moto.»
Bosch annuì. Non sembrava davvero che fossero passati tre anni dall'ul-
tima volta che avevano lavorato insieme.
«Irving. O quantomeno io penso che abbia tirato fuori Irving.»
«Dimmi.»
Bosch le riferì quanto Verloren le aveva raccontato meno di un'ora pri-
ma. Concluse con la descrizione, per quanto limitata, dei due uomini con il
distintivo che erano andati a minacciarlo al suo ristorante per convincerlo a
non insistere sulla questione razziale.
«Pare anche a me che possa essere Irving» disse Rider.
«E uno dei suoi tirapiedi. Magari McClellan.»
«Forse. Perciò pensi che Verloren avesse ragione? Ha vissuto parecchio
per la strada.»
«Penso di sì. Sostiene di non bere da tre anni. Ma sai com'è, quando ti
arrovelli su qualcosa per diciassette anni, capita che le impressioni diven-
tino fatti. Eppure tutto quello che mi ha detto sembra combaciare con l'in-
telaiatura di questa storia. Penso che abbiano manipolato il caso, Kiz. Sta-
va andando in una direzione e loro lo hanno spinto dall'altra parte. Magari
sapevano cosa sarebbe successo, che la città si sarebbe infiammata. Rod-
ney King non era la benzina, era solo la scintilla. La marea stava montan-
do, e forse chi aveva il potere ha scelto per il bene pubblico di nascondere
la verità. Hanno sacrificato la giustizia e Rebecca Verloren.»
Stavano passando sopra la freeway 101, sulla sopraelevata di Los Ange-
les Street. Otto corsie trafficate fumavano sotto di loro. Il sole era limpido,
si rifletteva sui parabrezza, sugli edifici, sul cemento. Bosch infilò i Ray-
Ban.
Il traffico era rumoroso e Rider dovette alzare la voce.
«Non è da te, Harry.»
«Cosa?»
«Cercare una giustificazione per le cose sbagliate che hanno fatto. Tu
cerchi sempre gli aspetti sinistri.»
«Mi stai dicendo che hai trovato gli aspetti sinistri in quei file della
PDU?»
Annuì accigliata.
«E così ti hanno lasciato guardare tranquillamente i documenti?»
«Per prima cosa, questa mattina sono andata a incontrare il mio uomo.
Gli ho portato una tazza di caffè di Starbucks, odia quella merda della caf-
fetteria. In questo modo sono riuscita a entrare. Poi gli ho detto cosa ave-
vamo e cosa intendevamo fare, e alla fine si è fidato di me. Perciò mi ha
lasciato dare un'occhiata in giro nell'Archivio Speciale.»
«L'Unità Ordine Pubblico è nata ed è scomparsa prima che lui arrivasse.
Ne sapeva qualcosa?»
«Sono sicura che, dopo aver ottenuto il lavoro, ne è stato informato. For-
se addirittura prima di accettare il lavoro.»
«Gli hai parlato in modo specifico di Mackey e degli Otto di Cha-
tsworth?»
«No, non sono entrata in dettagli. Gli ho detto solo che il caso in cui ci
siamo imbattuti era connesso con una vecchia indagine della PDU e che
avevo bisogno di entrare all'Archivio Speciale per cercare un documento.
Ha mandato il tenente Hohman con me. Siamo entrati, abbiamo trovato il
file e io l'ho scorso, mentre Hohman era seduto davanti a me dall'altra par-
te del tavolo. Sai una cosa, Bosch? Ci sono un sacco di documenti nell'Ar-
chivio Speciale.»
«Dove sono seppelliti tutti i cadaveri...»
Bosch avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non sapeva che parole
usare. Rider lo guardò e capì.
«Cosa, Harry?»
In principio non disse nulla, ma lei attese.
«Kiz, hai detto che l'uomo del sesto piano si fida di te. Tu ti fidi di lui?»
Lo fissò negli occhi quando rispose.
«Come mi fido di te, Harry. Okay?»
Bosch la guardò.
«A me basta.»
Kiz Rider fece per voltare verso l'Arcadia, ma Bosch indicò il vecchio
pueblo, il luogo dove la Città degli Angeli era stata fondata. Voleva pren-
dere la via più lunga.
«Non vengo da queste parti da parecchio tempo. Diamo un'occhiata.»
Attraversarono i cortili circolari dove i padres benedicevano gli animali
in occasione della Pasqua, quindi passarono accanto all'Istituto Culturale
Messicano. Seguirono le bancarelle di churro e di souvenir da quattro sol-
di. Da altoparlanti invisibili proveniva una musica di mariachi registrata,
ma in contrappunto si udiva il suono di una chitarra dal vivo.
Trovarono il musicista seduto su una panchina di fronte all'Avila Adobe.
Si fermarono e ascoltarono il vecchio che suonava una ballata messicana
che Bosch pensava di aver già sentito, ma che non riusciva a identificare.
Bosch studiò l'edificio con le mura di fango dietro il musicista e si chie-
se se don Francisco Avila avesse un'idea di quello che stava per mettere in
moto quando aveva avanzato la propria pretesa su quel luogo nel 1818. Da
quel punto sarebbe cresciuta una città alta e immensa. Una città grande
come molte altre, e altrettanto malvagia. Una città che era una meta, una
città di invenzioni e rinascite. Un luogo in cui i sogni sembravano facili da
raggiungere come le insegne che li reclamizzavano sulle colline, ma dove
la realtà era sempre qualcosa di diverso.
La strada che conduceva a quelle insegne era sbarrata da un cancello
chiuso.
Era una città piena di possidenti e nullatenenti, stelle del cinema e figu-
ranti, piloti e pilotati, prede e predatori, crapuloni e affamati, con poco
spazio a separarli. Una città che, nonostante tutto questo, spingeva ancora
la gente a mettersi in fila ogni giorno dietro i suoi cancelli per entrare e per
rimanere.
Bosch estrasse un rotolo di banconote dalla tasca e lasciò cadere un bi-
glietto da cinque nel cesto del musicista.
Attraversò poi, insieme a Rider, la vecchia Cucamonga Winery, le cui
cantine erano state convertite in gallerie d'arte, e uscirono sulla Alameda.
Attraversarono la strada e raggiunsero la stazione ferroviaria, la torre
dell'orologio si ergeva di fronte a loro. Sul marciapiede antistante la sta-
zione oltrepassarono una meridiana con un'iscrizione sul piedistallo di gra-
nito.
La Union Station era stata progettata per rispecchiare la città che serviva
e il suo funzionamento. Era un melting pot di diversi stili architettonici: il
coloniale ispanico, il missionario, il modernista, l'art déco, il sudoccidenta-
le e il moresco spiccavano tra gli altri. Ma a differenza del resto della città,
dove il calderone spesso feriva lo sguardo, gli stili della stazione ferrovia-
ria si mescolavano con dolcezza in un qualcosa di unico, bello.
Bosch la amava per questo.
Attraverso le porte di vetro giunsero nell'atrio cavernoso, dove un pas-
saggio ad arco alto tre piani conduceva nell'immensa sala d'attesa sul retro.
Non appena Bosch vi entrò, si ricordò che non aveva l'abitudine di passeg-
giare in quel luogo solo per le sigarette, ma anche per rigenerarsi un po'.
Andare alla Union Station era come recarsi in visita in chiesa, in una catte-
drale dove si incontravano le armoniose ricerche architettoniche, la fun-
zionalità e l'orgoglio civico. Le voci dei viaggiatori si innalzavano negli al-
ti spazi vuoti della sala d'aspetto centrale e si tramutavano in un languido
coro di sussurri.
«Amo questo posto» disse Rider. «Hai mai visto Blade Runner?»
Bosch annuì. L'aveva visto.
«Questa era la stazione di polizia, giusto?» domandò.
«Già.»
«E tu hai mai visto L'assoluzione?» chiese.
«No, era bello?»
«Sì, dovresti vederlo. Un altro punto di vista sulla Dalia Nera e la cospi-
razione del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.»
Gemette.
«Grazie, ma non penso che sia quello di cui ho bisogno in questo mo-
mento.»
Presero due tazze di caffè all'Union Bagel, poi entrarono nella sala d'at-
tesa, dove c'erano file di sedili di pelle marrone allineate come lussuose
panchine.
Bosch alzò lo sguardo, come era sempre spinto a fare. Anche Rider
guardò in su.
Si sedettero sui morbidi sedili imbottiti e posarono le tazze sugli ampi
braccioli di legno.
«Sei pronto a parlarne adesso?» domandò Rider.
«Se sei pronta tu» rispose. «Cosa c'era nel file che hai visto nell'Archivio
Speciale? Cosa c'era di tanto sinistro?»
«Intanto per cominciare, c'era Mackey.»
«Come sospetto del caso Verloren?»
«No, il file non aveva niente a che vedere con i Verloren. Il nome Verlo-
ren non è neppure comparso sullo schermo per tutto il tempo in cui ho
scorso i documenti. Riguardava un'indagine che era stata avviata e insab-
biata ancora prima che Rebecca Verloren rimanesse incinta, e tanto meno
strappata dal suo letto nel cuore della notte.»
«Va bene, allora cosa ha a che fare con noi?»
«Forse niente, o forse tutto. Conosci il tizio con cui vive Mackey, Wil-
liam Burkhart?»
«Sì.»
«C'è anche lui. Solo che all'epoca era meglio conosciuto come Billy
Blitzkrieg. Era il suo pseudonimo nella gang, gli Otto.»
«Okay.»
«Nel marzo del 1988 Billy Blitzkrieg finì dentro per un anno per aver
compiuto atti vandalici in una sinagoga nella zona nord di Hollywood.
Danneggiamenti, graffiti, feci e tutto il resto.»
«Il crimine d'odio. Fu l'unico a essere beccato?»
Rider annuì.
«Lo incastrarono grazie a una bomboletta spray trovata in un canale di
scolo a circa un isolato dalla sinagoga. Così si costituì. Decise di confessa-
re per evitare una condanna esemplare.»
Bosch annuì. Non voleva dire nulla che potesse interrompere il flusso
del discorso.
«Nei rapporti e sulla stampa Burkhart - o Blitzkrieg, o come diavolo ti
pare - venne dipinto come il leader degli Otto. Dichiarò che annunciavano
il 1988 come l'anno della sollevazione razziale ed etnica per onorare il loro
amato Adolf Hitler. Conosci quella merda. RaHoWa, revenge of the white,
la vendetta dei bianchi, spazzatura simile. Giravano con le maglie dei
Minnesota Vikings: a quanto pare i vichinghi erano una razza pura. Indos-
savano tutti quanti il numero ottantotto.»
«Comincio a scorgere il quadro.»
«Comunque, avevano parecchio su Burkhart. Avevano la storia della si-
nagoga, e i federali erano ansiosi di fargli sulla testina appuntita una bella
danza dei diritti civili. Moltissimi crimini erano cominciati proprio con l'i-
nizio dell'anno, quando avevano brindato all'88 incendiando una croce nel
giardino di una famiglia nera a Chatsworth. Dopo di quella altre croci era-
no state bruciate, e poi c'erano state telefonate minatorie e bombe intimida-
torie. L'irruzione nella sinagoga. Distrussero persino un asilo nido ebraico
a Encino. Tutto questo all'inizio di gennaio. Cominciarono anche ad aggi-
rarsi per i centri di raccolta dei lavoranti, caricavano in macchina i messi-
cani e li portavano nel deserto, dove li aggredivano e li abbandonavano.
Per usare la loro terminologia, stavano fomentando il disaccordo, cosa che,
secondo loro, avrebbe portato alla separazione delle razze.»
«Già, conosco l'adagio.»
«Okay, be', come ho detto, erano pronti a fare di Burkhart il capro espia-
torio per tutta la faccenda. Se lo avessero portato davanti a una corte, sa-
rebbe finito per minimo dieci anni in una prigione federale.»
«Perciò non c'erano alternative. Accettò lo scambio.»
Rider annuì.
«Si prese un anno a Wayside e cinque anni di libertà vigilata, per il resto
la fece franca. E gli Otto la fecero franca con lui. Si sciolsero, e così cessa-
rono le minacce. Tutta questa storia si concluse per la fine di marzo, molto
prima dell'omicidio Verloren.»
Mentre rifletteva sul racconto, Bosch osservò una donna che trascinava
una ragazzina per la mano verso i binari delle linee metropolitane. La don-
na trasportava anche una pesante valigia ed era concentrata sul cancello
davanti a sé. La bambina si faceva tirare con il viso rivolto verso l'alto e gli
occhi sul soffitto. Sorrideva a qualcosa. Bosch alzò lo sguardo e vide un
palloncino contro uno dei quadrati del soffitto a volta. Il dramma di un
bambino provocava il sorriso segreto di un'altra. Il palloncino era arancio-
ne e bianco, a forma di pesce, e Bosch sapeva, grazie a sua figlia, che si
trattava di un personaggio dei cartoni animati di nome Nemo. Gli compar-
ve davanti agli occhi l'immagine della figlia, ma la ricacciò subito via per
potersi concentrare. Guardò Kiz Rider.
«Dov'era Mackey in tutta questa faccenda?» domandò.
«Era il più piccolo della nidiata» rispose Rider. «Uno dei servi. Era la
recluta perfetta. Aveva lasciato la scuola e non aveva né una vita né alcuna
prospettiva. Era in libertà vigilata per un furto con scasso, e la fedina pena-
le era zeppa di furti d'auto, rapine, traffico di droga. Era proprio il tipo che
cercavano. Un perdente che potevano trasformare in un guerriero bianco.
Ma una volta che lo tirarono dentro scoprirono che era - per citare Bur-
khart - più scemo di un negro con l'anello al naso. A quanto pare era così
stupido che dovettero escluderlo dalle scorribande con le bombolette spray
perché non era neppure capace di compitare il loro vocabolario elementare
razzista. All'interno del gruppo cominciarono a chiamarlo Wej, Jew, ebreo,
al contrario. Perché una volta sul muro di una sinagoga l'aveva scritto co-
sì.»
«Dislessico.»
«Direi.»
Bosch scosse il capo.
«Con gli indizi che abbiamo, io questo tizio non ce lo vedo proprio
nell'omicidio Verloren.»
«Sono d'accordo. Penso che abbia avuto un ruolo, ma non quello di pro-
tagonista. Non ha niente in mezzo alle orecchie.»
Bosch decise di lasciar perdere Mackey e di tornare all'inizio del reso-
conto.
«Se avevano scoperto tutte queste cose sulla gang, com'è che solo Bur-
khart finì dentro?»
«Ci sto arrivando.»
«È a questo punto che entrano in scena i pezzi grossi, l'high jingo?»
«Indovinato. Vedi, Burkhart era un leader degli Otto, ma non il leader.»
«Ah.»
«Il leader era stato identificato con un tizio di nome Richard Ross. Era
più vecchio degli altri. Un vero credente. Aveva ventun anni ed era un vero
manipolatore. Era lui che aveva reclutato Burkhart e la maggior parte degli
altri, e faceva andare avanti la banda.»
«Questo Richard Ross, era Richard Ross Junior?»
«Esatto. Il figlio diletto del buon capitano Ross.»
Il capitano Richard Ross era stato per molto tempo a capo della Divisio-
ne Affari Interni nel periodo iniziale della carriera di Bosch al dipartimen-
to. Ora era in pensione.
Per Bosch la vicenda tornava alla perfezione.
«Perciò tennero Junior fuori da questa storia e risparmiarono a Senior e
al dipartimento l'imbarazzo» disse. «Gettarono tutto sulle spalle di Bur-
khart, il secondo in comando di Ross. Il nostro venne messo dentro a Way-
side e il gruppo fu smembrato. La faccenda venne ridotta a una scappatella
giovanile.»
«Indovinato.»
«E fammi indovinare ancora: tutte le soffiate arrivarono da Richard Ross
Junior.»
«Sei bravo. Faceva parte dell'accordo. Richard Junior avrebbe tradito i
compagni, la PDU non aveva bisogno di altro per spaccare il gruppo senza
clamore. Junior così sarebbe stato tenuto completamente fuori.»
«Tutto in un solo giorno di lavoro per Irving.»
«E sai qual è la cosa divertente? Penso che Irving sia un nome ebreo.»
Bosch scosse il capo. «Che lo sia o meno, non è molto divertente» disse.
«Sì, lo so.»
«Non se Irving ci ha visto uno spiraglio.»
«A leggere tra le righe del rapporto, direi che li ha visti tutti, gli spira-
gli.»
«Questo accordo gli diede il controllo degli Affari Interni. Voglio dire
un reale controllo su chi veniva indagato e su come venivano condotte le
indagini. Aveva Ross in pugno. Questo spiega molto bene quello che suc-
cedeva allora.»
«Era prima che arrivassi io.»
«Perciò si presero cura degli Otto, e Irving ottenne una bella ricompensa,
poté mettere il guinzaglio a Richard Ross Senior e alla sua squadra» pensò
Bosch a voce alta. «Ma poi Rebecca Verloren finì uccisa da una pistola
appartenuta a un tizio che gli Otto minacciavano, una pistola che con tutta
probabilità era stata rubata da uno dei piccoli bastardi che avevano lasciato
a piede libero. Tutto il loro accordo sarebbe crollato se l'omicidio fosse ri-
caduto sugli Otto e quindi su di loro.»
«Giusto. Perciò si fecero avanti e si intromisero nelle indagini. Le ma-
novrarono, e nessuno andò mai a fondo.»
«Figli di puttana» sussurrò Bosch.
«Povero Harry. Devi avere addosso ancora un bel po' di ruggine dal tuo
congedo. Hai pensato che avessero manipolato il caso per salvare la città
da una rivolta. Non c'era niente di così eroico.»
«No, stavano solo cercando di salvarsi il culo e la posizione che l'accor-
do con Ross aveva dato a Irving.»
«Queste sono tutte supposizioni» lo frenò Rider.
«Già, stiamo leggendo tra queste cazzo di righe.»
Bosch sentì il desiderio di una sigaretta, più intenso di quanto lo avesse
mai provato nell'ultimo anno. Guardò le edicole e vide tutti i pacchetti in
ordine negli scaffali dietro il bancone. Distolse lo sguardo. Levò gli occhi
verso il palloncino intrappolato contro il soffitto. Pensò di sapere come
doveva sentirsi Nemo appiccicato lassù.
«Quando è andato in pensione Ross?» chiese.
«Nel '91. Tirò avanti fino ai venticinque anni di servizio poi andò in
pensione. Ho controllato, si è trasferito nell'Idaho. Ho passato al computer
anche il nome di Junior, si era spostato lassù prima del padre. Con tutta
probabilità in una di quelle enclave recintate per bianchi dove doveva sen-
tirsi a casa.»
«E con altrettanta probabilità era lassù a ridere come un maiale quando
questo posto è saltato per aria dopo la storia di Rodney King nel '92.»
«Probabile, ma non per molto. È rimasto ucciso in un incidente nel '93,
guidava ubriaco di ritorno da un comizio antigovernativo fuori città. Quel-
lo che si semina si raccoglie, immagino.»
Bosch sentì come un colpo sordo allo stomaco. Cominciava a piacergli
Richard Ross Junior come autore dell'omicidio Verloren. Avrebbe potuto
servirsi di Mackey per procurarsi l'arma e magari per farsi aiutare a tra-
sportare la vittima su per la collina. Ma ora era morto. Le loro indagini po-
tevano condurli a un vicolo cieco come quello? Sarebbero dovuti tornare
dai genitori di Rebecca Verloren e dir loro che la figlia, scomparsa da di-
ciassette anni, era stata uccisa da un ragazzo anche lui morto da tempo?
Che razza di giustizia era quella?
«So cosa pensi» disse Rider. «Avrebbe potuto essere il nostro uomo. Ma
non credo. Secondo il computer, ha ottenuto la patente di guida dell'Idaho
nel maggio del 1988. È presumibile che fosse già lì quando Rebecca Ver-
loren venne uccisa.»
«Già.»
Bosch non era convinto da un semplice controllo al computer. Ripassò
tutte le informazioni al setaccio, per vedere se saltava fuori qualcos'altro.
«Okay, mandiamo indietro il nastro per un momento, vediamo se ho tut-
to chiaro. Nel 1988 abbiamo un gruppo di ragazzoni della Valley che si
fanno chiamare gli Otto, vanno in giro con le casacche da football e cerca-
no di far scoppiare una guerra santa razziale. Il dipartimento butta un oc-
chio e scopre abbastanza presto che il cervello del gruppo è il figlio del ca-
pitano Ross degli Affari Interni. Il comandante Irving intuisce da che parte
tira il vento e pensa: "Uhm, credo di potermene servire a mio vantaggio".
Perciò lascia perdere Richard Junior e decide di sacrificare William-Billy-
Blitz Burkhart al Dio della giustizia. Gli Otto vengono smantellati, un pun-
to per i bravi ragazzi. E Richard Junior se la svigna, un punto per Irving,
perché ora ha Richard Senior in pugno. E vissero tutti felici e contenti. Ho
sbagliato qualcosa?»
«A dire il vero è Billy Blitzkrieg.»
«Blitzkrieg, allora. Perciò tutta questa vicenda era cotta e mangiata per
l'inizio della primavera?»
«Per la fine di marzo. E all'inizio di maggio Richard Ross Junior si era
già trasferito nell'Idaho.»
«Okay, perciò, allora, a giugno qualcuno fa irruzione a casa di Sam
Weiss e gli ruba la pistola. Poi a luglio - il giorno dopo l'anniversario della
nascita della nostra nazione - una ragazza di sangue misto viene prelevata
dalla propria casa e uccisa. Non violentata, ma uccisa: un particolare im-
portante da non dimenticare. L'omicidio viene orchestrato in modo da ap-
parire un suicidio. Ma è malfatto, evidentemente da qualcuno inesperto.
Garcia e Green prendono il caso, alla fine capiscono di cosa si tratta e con-
ducono un'indagine che non li porta da nessuna parte perché, in modo con-
sapevole o inconsapevole, vengono spinti nella direzione sbagliata. Ora,
diciassette anni dopo, l'arma del delitto è legata in maniera incontrovertibi-
le a qualcuno che appena qualche mese prima dell'omicidio se la faceva
con gli Otto. Dove ho sbagliato?»
«Penso che sia tutto giusto.»
«Perciò la domanda è: è possibile che gli Otto non si fossero sciolti? Che
avessero continuato ad agire, solo che ora camuffavano la loro firma? E
che avessero alzato la posta fino all'omicidio?»
Rider scosse lentamente il capo.
«Tutto è possibile. Ma non ha molto senso. Gli Otto erano un proclama,
un proclama pubblico. Bruciavano croci e profanavano le sinagoghe. Ma
non è più un proclama se compi un omicidio e cerchi di farlo passare per
un suicidio.»
Bosch annuì. Rider aveva ragione. Il ragionamento non filava liscio.
«Diciamo allora che sapevano di avere la polizia alle calcagna» disse.
«Magari alcuni di loro continuarono a operare, ma come una sorta di mo-
vimento sotterraneo.»
«Come ho detto, tutto è possibile.»
«Okay, allora abbiamo Ross Junior nell'Idaho e Burkhart a Wayside. I
due leader. Chi rimaneva a parte Mackey?»
«Ci sono altri cinque nomi nel file, ma non mi dicono niente.»
«Per ora questa è la nostra lista di sospetti. Dobbiamo passarli al compu-
ter e vedere da dove arrivano. Aspetta un minuto. Burkhart era ancora a
Wayside? Hai detto che si era beccato un anno, giusto? Questo significa
che potrebbe essere uscito cinque o sei mesi dopo, a meno che non avesse
combinato qualche casino. Quando è entrato con precisione?»
Kiz Rider scosse il capo.
«No, doveva essere alla fine di marzo o all'inizio di aprile quando è arri-
vato a Wayside. Non può aver...»
«Non importa quando è entrato a Wayside. Conta quando l'hanno becca-
to. Quando è stata la faccenda della sinagoga?»
«Era gennaio. All'inizio di gennaio. C'è la data esatta sul file.»
«Va bene, inizio di gennaio. Hai detto che alcune impronte su una bom-
boletta potevano portare a Burkhart. Quanto ci sarebbe voluto nel 1988,
quando queste cose si facevano ancora a mano? Una settimana per un caso
caldo come quello? Se hanno beccato Burkhart alla fine di gennaio e non
ha chiesto di uscire su cauzione...»
Allargò le braccia e lasciò che la Rider finisse la frase.
«Febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno» disse in tono eccitato. «Cin-
que mesi. Potrebbe benissimo essere uscito per l'inizio di luglio!»
Bosch annuì. Il sistema penitenziario della contea ospitava detenuti in
attesa di giudizio o che scontavano la pena per un anno o meno. Da decen-
ni il sistema era sovraffollato, sottoposto a interventi del tribunale che fis-
savano il tetto massimo della popolazione consentita. Questo aveva reso
normali le scarcerazioni anticipate di detenuti in base a dei coefficienti le-
gati al tempo e alla popolazione carceraria, coefficienti che a volte arriva-
vano fino a tre giorni di sconto per ogni giorno di pena sostenuta.
«Mi sembra la strada giusta, Harry.»
«Forse troppo giusta. Dobbiamo verificarla.»
«Appena torniamo mi metto al computer e cerco di scoprire quando ha
lasciato Wayside. Cambia qualcosa per le intercettazioni?»
Bosch rifletté un momento sull'ipotesi di rallentare le cose.
«Penso che dobbiamo andare avanti con le intercettazioni. Se le date a
Wayside coincidono, allora sorveglieremo Mackey e Burkhart. Dobbiamo
comunque innervosire Mackey, perché è il più debole. Lo facciamo quan-
do è al lavoro, lontano da Burkhart. Se abbiamo ragione, lo chiamerà.»
Si alzò.
«Ma dobbiamo comunque controllare gli altri nomi, gli altri membri de-
gli Otto» aggiunse.
Kiz Rider levò lo sguardo su di lui.
«Pensi che funzionerà?»
Bosch alzò le spalle.
«Deve.»
Si guardò attorno nell'enorme stazione. Controllò i visi e gli occhi, cer-
cando qualcuno che distogliesse subito lo sguardo. Quasi si aspettava di
scorgere Irving in mezzo alla folla di passeggeri. Mastro Lindo in azione.
Era quella l'immagine che aveva Bosch quando Irving compariva sulla sce-
na di un crimine.
Kiz Rider si alzò. Gettarono le tazze vuote in un cestino dei rifiuti e si
avviarono verso l'ingresso anteriore della stazione. Quando vi giunsero,
Bosch si guardò alle spalle, ancora in cerca di un segugio. Sapeva che ora
avrebbero dovuto considerare l'ipotesi di essere pedinati. Il luogo che solo
venti minuti prima gli era sembrato accogliente e invitante, ora gli pareva
sospetto e ostile. Le voci non erano più dei graziosi sussurri. Avevano as-
sunto una nota tagliente. Suonavano rabbiose.
Quando uscirono notarono che il sole si era spostato dietro le nuvole.
Non avrebbe più avuto bisogno degli occhiali scuri.
«Mi dispiace, Harry» disse Rider.
«Cosa?»
«Avevo pensato che il tuo ritorno sarebbe stato diverso. Ora siamo qui,
il tuo primo caso, e cosa abbiamo? Un caso che puzza di marcio lontano
un miglio.»
Bosch annuì mentre attraversavano il marciapiede. Vide la meridiana e
le parole scolpite sul granito. Gli occhi si fermarono sull'ultima riga.
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23
Kiz Rider era ancora seduta nella sala d'attesa davanti alla camera di
consiglio del giudice Anne Demchak quando arrivò Bosch. Era rimasto in-
trappolato nel traffico di metà pomeriggio, tra le auto che tornavano in
centro da Van Nuys, e temeva di essersi perso l'audizione con il magistra-
to. Rider leggeva una rivista, ma il primo pensiero di Bosch fu che, a quel
punto delle indagini, lui non sarebbe più stato capace di sfogliare oziosa-
mente un settimanale. A quel punto l'attenzione era interamente focalizzata
sul caso. In una strana maniera, lui associava le indagini al surf, che tra
l'altro non praticava dall'estate del 1964, quando era scappato dalla fami-
glia a cui era stato affidato e aveva vissuto per un po' sulla spiaggia.
Erano passati molti anni da allora, ma ricordava ancora tutto. L'obiettivo
era infilarsi nel tunnel, il punto in cui l'onda si richiudeva completamente
su di te, dove non c'era nient'altro che acqua. Ora Bosch era in quel tunnel.
Non c'era nient'altro che il caso.
«Da quanto tempo sei qui?» domandò.
Rider consultò l'orologio. «Una quarantina di minuti.»
«È lì dentro da tutto questo tempo?»
«Già.»
«Sei preoccupata?»
«No. Sono già stata da lei altre volte. Una volta in un caso della Hol-
lywood, dopo che tu te n'eri andato. È soltanto molto pignola. Legge tutte
le pagine. Ci vuole un po', ma è una di quelle buone.»
«L'articolo esce domani. Abbiamo bisogno che firmi oggi.»
«Lo so, Harry. Rilassati. Siediti.»
Bosch rimase in piedi. I giudici lavoravano a rotazione sulle autorizza-
zioni. Finire con la Demchak era stato un colpo di fortuna.
«Non ho mai avuto a che fare con lei prima» disse. «Era un pubblico
ministero?»
«No. Stava dall'altra parte. Avvocato d'ufficio.»
Bosch grugnì. La sua esperienza era che i difensori dei criminali che di-
ventavano giudici si portavano dietro almeno l'ombra della loro alleanza
con gli imputati.
«Siamo nei guai» disse.
«No, non lo siamo. Andrà tutto bene. Per favore, siediti. Mi innervosi-
sci.»
«Judy Champagne è ancora in attività? Magari potremmo chiederle di
metterci una buona parola.»
Judy Champagne era un ex pubblico ministero sposato con un ex poli-
ziotto. Di loro si diceva che lui li pescava e lei li cucinava. Da quando era
diventata giudice, era la preferita di Bosch per le richieste di mandato. Non
perché pendesse dalla parte dei poliziotti, ma perché era equa. Ed era que-
sta la cosa più importante per Bosch.
«Non possiamo andarcene in giro a cercare consensi dentro il palazzo di
giustizia. Lo sai, Harry. Ora, per favore, ti puoi sedere? Ho qualcosa da
mostrarti.»
Bosch si sedette su una sedia accanto alla collega.
«Cosa?»
«Ho il documento sulla libertà vigilata di Burkhart.»
Estrasse una cartelletta dalla borsa, la aprì e la fece scivolare davanti a
Bosch sul tavolino da caffè. Picchiettò con il dito su una frase stampata sul
decreto di scarcerazione.
«Rilasciato da Wayside il 1° luglio 1988. Si è presentato all'ufficio per la
libertà vigilata di Van Nuys il 5 luglio.»
Bosch si raddrizzò sulla sedia e guardò Rider.
«Allora è in gioco.»
«Assolutamente. Lo hanno messo dentro per atti vandalici in una sina-
goga il 26 gennaio, ed è uscito da Wayside cinque mesi dopo. È in gioco
eccome, Harry.»
Bosch sentì una scarica di adrenalina, il mosaico si componeva.
«Okay, bene. Hai modificato la richiesta di intercettazioni per includere
anche i suoi telefoni?»
«L'ho fatto, ma senza troppo clamore. Mackey è ancora il collegamento
diretto, a causa della pistola.»
Bosch annuì e guardò il banco vuoto su cui di solito sedeva l'assistente
del giudice. La targa con il nome diceva: Kathy Chrzanowski, e Bosch si
domandò come si pronunciasse quel nome e dove fosse la donna.
Decise di non pensare a cosa stava succedendo dentro la camera di con-
siglio.
«Vuoi sentire le ultime novità dal comandante Garcia?» chiese.
Kiz Rider stava infilando il documento nella borsa.
«Certo.»
Bosch passò i successivi dieci minuti a riferire i particolari dell'incontro
nell'ufficio di Garcia, dell'intervista e della rivelazione finale del coman-
dante.
«Pensi che ti abbia detto tutto?» domandò la Rider.
«Ti riferisci a quanto sapeva di ciò che era successo ai tempi? No, ma mi
ha detto tutto quello che poteva.»
«Io penso che dovesse far parte dell'accordo. Non posso immaginare che
un partner stringa un accordo e riesca a lasciare l'altro all'oscuro. Impossi-
bile in un caso del genere.»
«Allora se era coinvolto, perché ha chiamato Pratt e gli ha detto di pas-
sare il DNA al Dipartimento di Giustizia? Non poteva continuare a fare
finta di niente come aveva fatto per diciassette anni?»
«Non è detto. Il senso di colpa lavora in maniera strana, Harry. Forse
sono anni che Garcia è tormentato da questa storia e ha deciso di chiamare
Pratt per sentirsi meglio. In più, diciamo che allora avesse stretto un accor-
do con Irving. Potrebbe essersi sentito al sicuro ora che Irving è stato mes-
so da parte dal nuovo capo.»
Bosch pensò alla reazione di Garcia quando gli aveva detto che Green
forse era tormentato da quelli che aveva lasciato scappare. Forse Garcia si
era scaldato così perché era lui quello tormentato.
«Non lo so» disse Bosch. «Può darsi...»
Il cellulare di Bosch trillò. Mentre lo tirava fuori dalla tasca, Rider disse:
«Sarà meglio che tu lo spenga prima che entriamo. Questa è una delle cose
che il giudice Demchak non gradisce in camera di consiglio. Ho sentito di
un procuratore generale a cui ha confiscato il cellulare».
Bosch annuì, aprì il telefono e rispose.
«Detective Bosch?»
«Sì.»
«Sono Tara Wood. Pensavo che avessimo un appuntamento.»
Prima che la donna completasse la frase, Bosch si rese conto di essersi
dimenticato l'appuntamento alla CBS e la scodella di gumbo che aveva in
programma di mangiare per pranzo. Non aveva neppure avuto il tempo per
pranzare.
«Tara, mi dispiace davvero molto. Si è verificato un inconveniente, ab-
biamo dovuto occuparcene subito. Avrei dovuto chiamarla, ma mi è passa-
to di mente. Dobbiamo prendere un altro appuntamento, se vorrà ancora
parlare con me dopo quello che ho combinato.»
«Uhm, certo, nessun problema. Avevo un paio di sceneggiatori del pro-
gramma in mezzo ai piedi che ci tenevano a parlare con lei.»
«Quale programma?»
«Casi Irrisolti. Ricorda, gliene ho parlato...»
«Oh, giusto, il programma. Be', mi dispiace.»
Ora Bosch non si sentiva più tanto in colpa. Aveva cercato di approfitta-
re del loro incontro per ottenere dei vantaggi pubblicitari. Si domandò se
quella donna provasse ancora il minimo sentimento per Rebecca Verloren.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Tara gli chiese del caso.
«È successo qualcosa che riguarda il caso? È per questo che non è venu-
to?»
«Più o meno. Stiamo facendo dei progressi, ma non c'è niente che posso
dirle così... anzi, forse una cosa ci sarebbe. Ha ripensato al nome che le ho
fatto l'altra sera? Roland Mackey? Le dice niente?»
«No, ancora niente.»
«Ne ho un altro. Che mi dice di William Burkhart. O forse Bill Bur-
khart?»
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale Wood cercò nella memoria.
«No, mi dispiace. Non penso di conoscerlo.»
«E il nome Billy Blitzkrieg?»
«Billy Blitzkrieg? Sta scherzando, vero?»
«No, perché, lo riconosce?»
«No, per niente. Sembra il nome di un cantante heavy metal o qualcosa
del genere.»
«Non è un cantante. Ma è sicura che nessuno di questi nomi le dice nien-
te?»
«Mi dispiace, detective.»
Bosch alzò lo sguardo e vide una donna che li chiamava con un cenno da
dietro la porta aperta della camera di consiglio. Rider gli lanciò un'occhiata
e si passò un dito lungo la gola.
«Senta, Tara, ora devo andare. Mi farò sentire appena posso per fissare
l'incontro. Mi scusi di nuovo, la chiamerò presto. Grazie.»
Chiuse il telefono prima che la donna potesse rispondere e lo spense.
Seguì Rider attraverso la porta tenuta aperta da una donna che Bosch
suppose fosse Kathy Chrzanowski.
In fondo alla sala le tende scure erano abbassate sulle vetrate che anda-
vano da terra al soffitto. La stanza era illuminata soltanto da una lampada
da tavolo. Alla scrivania Bosch scorse una donna che doveva avere quasi
settant'anni. Pareva piccola dietro il grande tavolo di legno. Aveva un viso
gentile, che diede a Bosch la speranza di uscire dall'ufficio con l'approva-
zione per le intercettazioni telefoniche.
«Detective, entrate e sedetevi» disse. «Mi dispiace di avervi fatto aspet-
tare tanto.»
«Nessun problema, Vostro Onore» rispose Rider. «Apprezziamo che ab-
bia esaminato con attenzione i documenti.»
Bosch e Kiz si sedettero su due sedie davanti alla scrivania. Il giudice
non indossava la toga. Bosch la vide appesa a un attaccapanni nell'angolo.
Accanto all'attaccapanni c'era appesa una foto di Demchak con un noto
membro liberale della corte suprema. Bosch avvertì una stretta allo stoma-
co. Poi vide sulla scrivania due fotografie incorniciate. Una rappresentava
un uomo anziano e un ragazzino con in mano le mazze da golf. Il marito e
il nipote forse. Nell'altra fotografia c'era una bambina di nove o dieci anni
in altalena. Ma i colori erano sbiaditi. Era una vecchia foto. Forse si tratta-
va della figlia. Bosch si mise in testa che il collegamento con i figli avreb-
be potuto fare la differenza.
«Sembra che abbiate una certa fretta» disse il giudice. «C'è una ragione
per questo?»
Bosch guardò Rider, che si chinò in avanti per rispondere. Era lei la pro-
tagonista. Lui era una semplice comparsa, si era presentato solo per dimo-
strare al giudice che per loro la questione era molto importante. I poliziotti
dovevano sostenersi a vicenda in certe occasioni.
«Sì, Vostro Onore, ci sono un paio di motivi» iniziò Rider. «Il principale
è che crediamo che domani sul Daily News uscirà un articolo. Potrebbe in-
durre il nostro principale sospettato, Roland Mackey, a contattare qualche
altro indiziato - uno dei quali è nominato nella domanda - e a parlare del
delitto. Come ha visto nella richiesta di autorizzazione, crediamo che ci sia
più di una persona coinvolta nell'omicidio, ma abbiamo un collegamento
diretto solo con Mackey. Se saremo in grado di ascoltare le telefonate di
Mackey quando uscirà l'articolo sui giornali, potremmo individuare le altre
persone coinvolte.»
Il giudice annuì, senza guardarli. Teneva gli occhi sul modulo dell'auto-
rizzazione. Aveva un aspetto serio, e Bosch cominciò ad avvertire una pes-
sima sensazione. Dopo qualche minuto di silenzio, la donna disse: «E l'al-
tra ragione della vostra fretta?».
«Oh, sì» disse Rider, che evidentemente se n'era dimenticata. «L'altra
ragione è che crediamo che Roland Mackey possa essere coinvolto in nuo-
ve attività criminose. Al momento non sappiamo con precisione quali, ma
siamo sicuri che più in fretta cominceremo ad ascoltare le sue conversa-
zioni, prima lo accerteremo e saremo in grado di impedire che qualcun al-
tro sia trasformato in vittima. Come ha visto sulla domanda, sappiamo che
in passato è stato coinvolto quantomeno in un omicidio. Siamo convinti
che non ci sia tempo da perdere.»
Bosch si compiacque della risposta di Rider. Era preparata con cura e
avrebbe messo molta pressione sul giudice perché firmasse l'autorizzazio-
ne. Dopo tutto, la sua era una carica elettiva. Doveva considerare le conse-
guenze di un'eventuale ricusazione. Se Mackey stava per commettere un
delitto che poteva essere fermato se la polizia avesse ascoltato le sue tele-
fonate, il giudice sarebbe stato ritenuto responsabile dall'elettorato, a cui
non sarebbe interessato niente della motivazione che l'aveva spinta a sal-
vaguardare i diritti civili di un criminale.
«Capisco» rispose Demchak con freddezza. «Cosa vi fa pensare che pos-
sa essere coinvolto in attività illecite, se non siete in grado di citare neppu-
re uno specifico crimine?»
«Diverse considerazioni, giudice. Roland Mackey ha terminato dodici
mesi fa un periodo di libertà vigilata a seguito di un reato di natura sessua-
le, e si è subito trasferito a un nuovo indirizzo, ma il suo nome non compa-
re in nessun atto o contratto di affitto. Non ha lasciato alcun recapito né
all'ex proprietario né all'ufficio postale. Divide la casa con un ex detenuto
con il quale in passato aveva condiviso attività criminali. Si tratta di Wil-
liam Burkhart, anche lui nominato nella domanda. E, come ha potuto ri-
scontrare dai documenti, si serve di un telefono che non ha registrato a
proprio nome. È evidente che sta volando sotto il livello dei radar, Vostro
Onore. Si direbbe proprio che abbia preso tutte le precauzioni per celare il
proprio coinvolgimento in attività illegali.»
«O forse vuole solo evitare le intrusioni del governo» disse il giudice.
«La vostra linea è molto esile, detective. Avete altro? Mi serve di più.»
Rider lanciò un'occhiata a Bosch, con gli occhi spalancati. La sicurezza
che aveva ostentato in sala d'aspetto l'aveva abbandonata. Bosch sapeva
che la partner aveva messo tutto nella domanda e nei commenti esposti da-
vanti al giudice. Cosa rimaneva? Bosch si schiarì la voce e si chinò in a-
vanti per parlare a sua volta.
«L'attività criminale cui prese parte insieme all'uomo con cui ora vive
consisteva in reati determinati dall'odio razziale, giudice. Questi individui
hanno ferito e minacciato molte persone. Molte persone.»
Si appoggiò allo schienale, sperando di aver alzato il livello della pres-
sione, almeno di un po'.
«A quanto tempo fa risalgono tali crimini?» domandò il giudice.
«Furono perseguiti alla fine degli anni '80» disse Bosch. «Ma chi sa per
quanto sono andati avanti. È evidente che il legame tra questi due uomini
non è mai stato interrotto.»
Il giudice non disse nulla per un altro minuto. Sembrava che leggesse e
rileggesse le conclusioni riassuntive della domanda di Rider. Su un lato
della scrivania si accese una piccola luce rossa. Bosch intuì che l'udienza
che doveva avere in programma stava per cominciare. Tutti gli avvocati e
le parti in causa erano presenti.
Alla fine, il giudice Demchak scosse il capo.
«Non penso che ci siano gli elementi, detective. Sapete che ha usato la
pistola, ma non che l'ha usata per il delitto. Potrebbe aver maneggiato l'ar-
ma giorni o settimane prima dell'omicidio.»
Fece un gesto in direzione delle carte sparse davanti a lei sulla scrivania,
come se volesse sbarazzarsene.
«Il fatto che abbia svaligiato un drive-in dove sia lui sia la vittima anda-
vano abitualmente è quantomeno inconsistente. Mi mettete in imbarazzo,
mi chiedete di firmare qualcosa che non esiste.»
«Esiste» disse Bosch. «Sappiamo che esiste.»
Kiz Rider gli posò una mano sul braccio, un ammonimento perché non
si lasciasse andare.
«Io non lo vedo, detective» disse Demchak. «Mi state chiedendo di ga-
rantirvi. Non avete abbastanza ragioni plausibili, e mi state chiedendo di
trascurare quello che manca. Non posso farlo. Non così come stanno le co-
se.»
«Vostro Onore» disse Rider. «Se non otterremo una sua firma, perdere-
mo l'opportunità di sfruttare la stampa.»
Il giudice le sorrise.
«Questo non ha niente a che vedere con me e con il mio ruolo, detective.
Lo sa. Io non sono un braccio del Dipartimento di Polizia. Sono indipen-
dente e devo considerare i fatti come mi si presentano.»
«La vittima era di sangue misto» disse Bosch. «È provato che questo ti-
zio sia un razzista. Rubò la pistola, e questa venne usata per uccidere una
ragazza di sangue misto. Il collegamento sta qui.»
«Non è un collegamento supportato da prove, detective. Si fonda sulla
deduzione.»
Bosch fissò il giudice per un momento, la donna non abbassò lo sguardo.
«Lei ha dei figli, giudice?» domandò.
Subito le guance del giudice presero colore.
«Cosa c'entra questo?»
«Vostro Onore» intervenne Kiz Rider. «Torneremo con le prove.»
«No» disse Bosch. «No, non torneremo. Ne abbiamo bisogno adesso,
giudice. Questo tizio è rimasto libero per diciassette anni. E se Rebecca
Verloren fosse stata sua figlia? Avrebbe potuto distogliere gli occhi? Re-
becca Verloren era figlia unica.»
Lo sguardo del giudice Demchak si incupì. Quando parlò lo fece con
calma rabbiosa.
«Io non distolgo gli occhi, detective. Si dà il caso che io sia l'unica in
questa stanza a vedere le cose come stanno. E potrei aggiungere che se
continuerà a insultare e a mettere in discussione la corte, la farò incrimina-
re per oltraggio. Posso far arrivare un ufficiale giudiziario in cinque secon-
di. Forse potrebbe approfittare di questo tempo per riflettere sulle lacune
della vostra presentazione.»
Bosch proseguì imperterrito.
«La madre vive ancora nella stessa casa» disse. «La camera da letto da
cui è stata portata via la ragazza è rimasta esattamente com'era il giorno in
cui venne uccisa. Lo stesso copriletto, gli stessi cuscini... tutto uguale. La
stanza - e la madre - sono congelate nel tempo.»
«Questi fatti non sono pertinenti.»
«Il padre divenne alcolizzato. Perdette il ristorante di cui era proprieta-
rio, poi la moglie e la casa. Sono stato da lui sulla Fifth Street questa mat-
tina. È lì che vive adesso. So che neppure questo è pertinente, ma pensavo
che potesse interessarle. Immagino che i fatti in nostro possesso non siano
sufficienti per lei, ma abbiamo un sacco di discrepanze, Vostro Onore.»
Il giudice gli puntò gli occhi addosso, e Bosch capì di avere due sole al-
ternative, o finire in prigione o andarsene con l'autorizzazione firmata. Do-
po un momento riconobbe un lampo di dolore negli occhi della donna.
Chiunque passi qualche tempo nella trincea del sistema giuridico - da qual-
siasi parte si trovi - finisce per avere quello sguardo dopo un po'.
«Molto bene, detective» disse alla fine.
Abbassò gli occhi e scarabocchiò una firma ai piedi dell'ultima pagina, e
cominciò a riempire gli spazi che indicavano la durata delle intercettazioni.
«Ma non sono ancora del tutto convinta» disse in tono severo. «Perciò vi
concedo settantadue ore.»
«Vostro Onore...» disse Bosch.
Ma Kiz posò di nuovo la mano sul braccio di Bosch, cercando di impe-
dirgli di trasformare un sì in un no. Poi fu lei a parlare.
«Vostro Onore, settantadue ore sono un periodo davvero molto limitato.
Noi speravamo di avere come minimo una settimana.»
«Avete detto che l'articolo sul giornale uscirà domani» replicò il giudice.
«Sì, giudice, deve uscire domani, ma...»
«Allora scoprirete qualcosa molto in fretta. Se sentite il bisogno di pro-
lungare, venite da me venerdì e cercate di convincermi. Settantadue ore, e
voglio un resoconto quotidiano sul mio tavolo tutte le mattine. Se non lo
ricevo, vi incrimino entrambi. Non ho intenzione di permettervi di andare
a pesca. Se quello che trovo sui vostri rapporti non va nella direzione che
pensate, vi scarico subito. È tutto chiaro?»
«Sì, Vostro Onore» dissero Bosch e Rider all'unisono.
«Bene. Adesso ho un'udienza preliminare in aula. Vi prego di andarve-
ne, devo rimettermi al lavoro.»
Rider raccolse i documenti e i due detective ringraziarono. Mentre si di-
rigevano verso la porta, il giudice Demchak li fermò.
«Detective Bosch?»
Bosch si voltò e la guardò.
«Sì, giudice?»
«Ha visto la foto, vero?» disse. «Di mia figlia. E ha dedotto che fosse fi-
glia unica.»
Bosch la scrutò per un momento, poi annuì.
«Ne ho una sola anche io» disse. «So cosa vuol dire.»
Lo fissò dritto negli occhi prima di parlare.
«Potete andare adesso» disse.
Bosch annuì e seguì Kiz Rider oltre la porta.
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Abel Pratt convocò tutti i membri dell'Unità Casi Irrisolti, oltre a quattro
altri detective della Omicidi prestati alla unità per la sorveglianza. La riu-
nione venne tenuta da Bosch e Rider, che impiegarono mezz'ora a riferire a
voce tutti i dettagli del caso. Su una bacheca alle loro spalle avevano attac-
cato degli ingrandimenti delle foto più recenti di Roland Mackey e Wil-
liam Burkhart. Gli altri detective rivolsero loro qualche domanda. Alla fine
Bosch e Kiz Rider ripassarono la palla a Pratt.
«Va bene, avremo bisogno di tutti per questo caso» disse. «Lavoreremo
su base sei. Due coppie nella camera del suono, due coppie su Mackey,
due coppie su Burkhart. Voglio le squadre della Casi Irrisolti su Mackey e
nella camera del suono. I quattro in prestito dalla Rapine e Omicidi lavore-
ranno su Burkhart. Kiz e Harry hanno la precedenza, e hanno scelto il se-
condo turno su Mackey. Gli altri possono decidere tra loro come dividersi i
turni rimanenti. Iniziamo domattina alle sei, all'incirca all'ora in cui i gior-
nali cominceranno a circolare.»
Il piano si traduceva in sei coppie di detective che coprivano turni rispet-
tivamente di dodici ore. Il turno cambiava alle sei del mattino e alle sei del
pomeriggio. Visto che era il loro caso, a Bosch e a Rider spettava la prima
scelta e avevano optato per il turno su Mackey dalle sei del pomeriggio in
poi. Questo comportava lavorare per tutta la notte, ma Bosch aveva la sen-
sazione che se Mackey avesse compiuto una mossa o chiamato qualcuno,
lo avrebbe fatto di sera. E lui voleva essere lì quando sarebbe accaduto.
Si sarebbero alternati con una delle altre squadre. Le due coppie rima-
nenti della Casi Irrisolti avrebbero lavorato a turno nella Città dell'Indu-
stria, dove una ditta privata, che si chiamava ListenTech, disponeva di un
centro per l'ascolto delle intercettazioni di cui si servivano tutte le forze
dell'ordine della contea di Los Angeles. Stare seduti su un furgoncino ac-
canto al palo del telefono da cui passava la linea che stavi ascoltando era
una cosa che apparteneva al passato. La ListenTech forniva una sala tran-
quilla, con l'aria condizionata, dove c'erano delle consolle elettroniche im-
postate per monitorare e registrare conversazioni telefoniche inviate o ri-
cevute da qualsiasi numero della contea, compresi i cellulari. C'era persino
un bar con caffè fresco e distributori di snack. Se necessario, si poteva or-
dinare anche la pizza.
La ListenTech poteva coprire fino a novanta intercettazioni in contem-
poranea. Rider aveva detto a Bosch che la società si era ingigantita nel
2001, quando le forze dell'ordine avevano cominciato ad approfittare della
maggiore facilità con cui si ottenevano i permessi. Una società privata a-
veva annusato la crescita della domanda e si era fatta avanti con centri di
intercettazione regionali, noti anche come "camere del suono". Rendevano
il lavoro più facile, ma c'erano comunque delle regole da rispettare.
«Troveremo qualche difficoltà nella camera del suono» disse Pratt. «La
legge richiede ancora che ogni linea sia monitorata da una persona, non si
possono ascoltare due linee contemporaneamente. Noi abbiamo bisogno di
monitorare tre linee con due poliziotti, perché non abbiamo altro persona-
le. Allora come possiamo fare per rimanere entro i termini della legge? Ci
alterniamo. Una linea è il cellulare di Mackey. Quello lo controlliamo a
tempo pieno. Le altre due sono secondarie. Ed è qui che ci avvicenderemo.
Si trovano nella proprietà dove abita e nel posto dove lavora. Perciò stiamo
sulla prima linea quando è a casa e poi dalle quattro a mezzanotte, quando
è al lavoro, passiamo alla linea della stazione di servizio. Comunque trac-
ceremo le chiamate in entrata e in uscita su tutte e tre le linee ventiquattro
ore su ventiquattro.»
«Non potremmo avere un altro prestito dalla Rapine e Omicidi per co-
prire la terza linea?» domandò Rider.
Pratt scosse il capo.
«Il capitano Norona ci ha concesso quattro uomini, fine» disse Pratt.
«Non ci perderemo molto. Come ho detto avremo i tracciati.»
La tracciatura faceva parte del processo di monitoraggio. Mentre agli in-
vestigatori era concesso ascoltare solo una linea alla volta, i macchinari re-
gistravano tutte le chiamate in entrate e in uscita sulle linee oggetto dell'in-
tercettazione, anche se in quel momento non venivano ascoltate. Questo
forniva agli investigatori una lista delle telefonate, con l'ora e la durata, ol-
tre ai numeri in uscita e in entrata.
«Domande?» chiese Pratt.
Bosch non pensava che ci fossero domande. Il piano era abbastanza
semplice. Ma poi un detective della Casi Irrisolti di nome Renner alzò la
mano, Pratt annuì.
«Abbiamo l'autorizzazione del giudice?»
«Sì» rispose Pratt. «Ma come ho detto prima, per ora ci ha concesso solo
settantadue ore.»
«Be', speriamo che le settantadue ore bastino» disse Renner. «Devo an-
dare a pagare il campo estivo per mio figlio a Malibu.»
Gli altri risero.
Tim Marcia e Rick Jackson si offrirono di lavorare in strada in alternan-
za con Bosch e Rider. Gli altri quattro si fecero dare i dettagli sulla camera
del suono, Renner e Robleto presero il turno di giorno, Robinson e Nord lo
stesso orario che avevano Bosch e Rider. Il centro della ListenTech era
grazioso e confortevole, ma alcuni poliziotti non gradivano stare rinchiusi,
indipendentemente dalle circostanze. Alcuni sceglievano sempre e comun-
que la strada, come Marcia e Jackson. Anche Bosch era uno di questi.
Pratt concluse la riunione passando a ciascuno un foglio con i numeri dei
cellulari di tutti e la frequenza radio su cui avrebbero dovuto sintonizzarsi
durante la sorveglianza.
«Per le squadre sul campo, ci sono delle ricetrasmittenti che vi aspettano
nel deposito delle attrezzature» disse Pratt. «Assicuratevi di tenerle accese.
Harry, Kiz, ho dimenticato qualcosa?»
«Penso che sia tutto» disse Rider.
«Visto che abbiamo poco tempo,» aggiunse Bosch «Kiz e io abbiamo un
piano per smuovere le acque in caso non succedesse niente prima di do-
mani sera. Abbiamo l'articolo del giornale e dobbiamo essere sicuri che lo
veda.»
«Come farà a leggerlo se è dislessico?» domandò Renner.
«Ha preso il diploma intermedio, dovrebbe sapere quantomeno leggere.
Dobbiamo solo essere sicuri che in qualche modo gli finisca davanti agli
occhi.»
Tutti quanti annuirono e Pratt mise la parola fine.
«Va bene, ragazzi, è tutto» disse. «Vi chiamerò per sentire come vanno
le cose, giorno e notte. Andateci cauti con questi tizi. Non vogliamo che la
situazione possa rivoltarsi contro di noi. Quelli che hanno il primo turno
ora possono andare a casa a dormire. Ricordatevi, abbiamo i minuti conta-
ti. Abbiamo tempo fino a venerdì sera, poi la carrozza si trasforma in zuc-
ca. Quindi andate là fuori e fate quello che dovete. Noi siamo gli ultimi
battitori. Perciò portiamo a casa il punto.»
Bosch e Rider si alzarono e scambiarono qualche chiacchiera con gli al-
tri riguardo al caso, poi Bosch tornò alla sua scrivania. Tirò fuori dalla pila
di documenti quello riguardante la libertà vigilata. Non aveva ancora avuto
l'opportunità di leggerlo con attenzione. E ora era il momento giusto.
Il fascicolo era a strati: siccome Mackey veniva arrestato di continuo e
per tutta la vita aveva attraversato il sistema giudiziario, i rapporti e i ver-
bali venivano semplicemente aggiunti in cima al dossier. Così i documenti
comparivano in ordine cronologico inverso. Bosch era più interessato ai
primi anni. Andò in fondo al fascicolo con l'idea di leggerlo al contrario.
Il primo arresto di Mackey era avvenuto appena un mese dopo che aveva
compiuto diciotto anni. Nell'agosto del 1987 era stato beccato, a seguito di
un incidente, alla guida di un'auto rubata. All'epoca viveva a casa dei geni-
tori e aveva rubato la Corvette di un vicino. Era saltato sull'auto ed era par-
tito quando si era accorto che il vicino l'aveva lasciata in moto sul vialetto
d'accesso ed era rientrato in casa perché aveva dimenticato gli occhiali da
sole.
Mackey si era dichiarato colpevole, il rapporto che precedeva la senten-
za faceva riferimento a dei reati minorili, ma non citava gli Otto di Cha-
tsworth. Nel settembre del 1987 il giovane ladro di automobili fu condan-
nato a un anno di libertà vigilata da un giudice della corte suprema, che
cercò di convincere Mackey a rinunciare alla vita criminale.
Nel dossier c'era la trascrizione della sentenza. Bosch lesse le due pagine
di discorso, nel quale il giudice diceva a Mackey di aver visto centinaia di
giovani come lui. Asseriva che Mackey si trovava sull'orlo dello stesso
precipizio di tutti gli altri. Un solo crimine poteva essere una lezione di vi-
ta, oppure poteva rappresentare il primo passo lungo una spirale discen-
dente. Esortava Mackey a non intraprendere la strada sbagliata. Lo invita-
va a riflettere e a scegliere la direzione giusta.
Era evidente che le parole di ammonimento fossero cadute nel vuoto. Sei
settimane più tardi Mackey era stato arrestato per aver svaligiato la casa di
due vicini, mentre i coniugi che ci vivevano erano fuori al lavoro. Mackey
aveva tagliato i cavi dell'impianto di allarme, ma l'interruzione della cor-
rente era stata registrata dalla società di sorveglianza. Era stata inviata
un'auto di pattuglia. Quando Mackey era uscito dalla porta posteriore con
una videocamera, diverse apparecchiature elettroniche e gioielli, aveva
trovato due agenti ad aspettarlo con le pistole in pugno.
Siccome era in libertà vigilata per il furto d'auto, era stato trattenuto nel-
la prigione della contea in attesa di giudizio. Dopo trentasei giorni, si era
presentato di fronte allo stesso giudice e, a quanto riferivano le trascrizio-
ni, aveva implorato il perdono e un'altra chance. Questa volta la documen-
tazione riferiva che i test tossicologici avevano rilevato che Mackey faceva
uso di marijuana e che aveva iniziato a frequentare un gruppo di giovani
delinquenti della zona di Chatsworth.
Bosch sapeva che quei giovani dovevano essere gli Otto. Era l'inizio di
dicembre e il loro piano di terrore in omaggio ad Adolf Hitler sarebbe en-
trato in azione dopo appena qualche settimana. Ma non c'era niente di tutto
questo nella documentazione preliminare. Il rapporto affermava solo che
Mackey frequentava cattive compagnie. Quando aveva emesso la sentenza,
il giudice con tutta probabilità non sapeva quanto cattive fossero quelle
compagnie.
Mackey era stato condannato a tre anni di reclusione, ridotti del tempo
che aveva già scontato. Gli erano stati anche concessi due anni di libertà
vigilata. Il giudice, che sapeva che la prigione non avrebbe fatto altro che
completare la formazione del giovane delinquente, aveva scelto una pena
mite, e sperava così di mitigare Mackey. Questi era uscito libero dal tribu-
nale, ma il giudice aveva posto pesanti restrizioni alla libertà vigilata. Do-
veva sottoporsi a test tossicologici settimanali, mantenere un impiego red-
ditizio e ottenere il diploma intermedio entro nove mesi. Il giudice aveva
detto a Mackey che se avesse fallito su uno solo di questi punti, lo avrebbe
mandato in una prigione di stato a scontare tutti e tre gli anni di pena.
«Potrà considerare questa condanna severa, signor Mackey» aveva detto
il giudice. «Ma io la ritengo piuttosto benevola. Le sto offrendo un'ultima
opportunità. Se mi deluderà ancora, finirà senza ombra di dubbio in pri-
gione. La società smetterà di cercare un modo per aiutarla. Si limiterà a
sbarazzarsi di lei. Mi capisce?»
«Sì, Vostro Onore» aveva risposto Mackey.
Il dossier continuava con i rapporti, richiesti dalla corte, sugli Otto di
Chatsworth. Mackey aveva ottenuto il diploma intermedio nell'agosto del
1988, poco più di un mese dopo che Rebecca Verloren era stata portata via
dalla sua camera da letto e assassinata.
Nonostante gli sforzi del giudice per raddrizzare Mackey fossero stati
ammirevoli, Bosch non poteva fare a meno di domandarsi se tali sforzi non
fossero costati la vita a Rebecca Verloren. Che Mackey avesse o meno
premuto il grilletto, l'arma del delitto era comunque passata per le sue ma-
ni. Era ragionevole pensare che la catena di eventi che aveva portato alla
morte di Rebecca sarebbe stata interrotta se Mackey fosse stato dietro le
sbarre? Bosch non ne era sicuro. Poteva darsi che il ruolo di Mackey si
fosse limitato alla consegna dell'arma. Se non l'avesse fatto lui, avrebbe
potuto farlo qualcun altro. Bosch sapeva che non aveva alcun senso pensa-
re a quello che sarebbe potuto accadere o non accadere.
«Trovato niente?»
Bosch si ridestò dai suoi pensieri e chiuse il fascicolo. Kiz Rider era in
piedi davanti alla scrivania.
«No, niente. Stavo leggendo la documentazione sulla libertà vigilata. Le
prime cose. Un giudice si è interessato a lui all'inizio, ma poi in un certo
senso lo ha lasciato andare. Il massimo che ha ottenuto è stato fargli pren-
dere il diploma intermedio.»
«Che gli è servito proprio tanto, vero?»
«Già.»
Bosch non disse nient'altro. Anche lui aveva soltanto quel diploma. An-
che lui una volta era stato davanti a un giudice per aver rubato una mac-
china. Anche nel suo caso una Corvette. Solo che non apparteneva a un vi-
cino. Era del padre affidatario. Bosch l'aveva presa per provocazione e per
protesta, ma l'ultima parola era toccata al padre affidatario. Bosch era stato
rimandato in orfanotrofio.
«Mia madre è morta quando avevo undici anni» disse all'improvviso
Bosch.
Rider lo guardò e fece quella sua cosa con le sopracciglia.
«Lo so. Perché lo tiri fuori adesso?»
«Non lo so. Ho passato un mucchio di tempo in orfanotrofio. Cioè, sono
stato per un po' presso alcune famiglie affidatarie, ma non duravano mai
molto a lungo. Finivo per tornare sempre lì.»
Rider attese, ma Bosch non proseguì.
«E allora?» lo spronò.
«Be', in orfanotrofio non c'erano delle vere e proprie gang, ma si viveva
in una sorta di naturale segregazione. Sai, i bianchi legavano tra loro. Poi
c'erano i neri e gli ispanici. Allora non c'erano asiatici.»
«Che cosa stai dicendo, ti dispiace per quello stronzo di Mackey?»
«No.»
«Ha ucciso una ragazza, o quantomeno ha aiutato a ucciderla, Harry.»
«Lo so, Kiz. Non è questo il punto.»
«Qual è il punto?»
«Non lo so. Mi stavo solo interrogando. Cos'è che spinge le persone a
scegliere strade diverse? Com'è che questo tizio è diventato razzista? Per-
ché io non lo sono diventato?»
«Harry, pensi troppo. Vai a casa e fatti un bel sonno. Ne hai bisogno,
perché domani notte non dormiremo.»
Bosch annuì, ma non si mosse.
«Te ne vai, sì o no?» domandò Rider.
«Sì, tra poco. Tu esci?»
«Sì, a meno che tu non voglia affrontare con me il problema della corru-
zione a Hollywood.»
«No, mi basta quello che c'è. Ne riparliamo domani dopo che sono usciti
i giornali.»
«Già, non so dove riuscirò a trovare il Daily News nel South End. Forse
dovrò chiamarti e chiederti di leggermelo al telefono.»
Il Daily News aveva una vasta distribuzione nella Valley, ma a volte era
difficile trovarlo fuori dal centro. Rider viveva vicino a Inglewood, nello
stesso quartiere dov'era cresciuta.
«Tranquilla. Dammi un colpo di telefono, io ce l'avrò di sicuro. C'è un
distributore ai piedi della collina sotto casa mia.»
Kiz Rider aprì uno dei cassetti della scrivania e tirò fuori la borsetta.
Guardò Bosch e fece ancora una volta quella sua smorfia con le sopracci-
glia.
«Sei proprio sicuro di volerlo fare, di volerti marchiare in quel modo?»
Si riferiva al loro piano per spingere Mackey a vedere il giornale. Bosch
annuì.
«Devo riuscire a fargliela bere» disse. «E comunque, potrò indossare le
maniche lunghe per un po'. Non è ancora estate.»
«E se non fosse necessario? Se leggesse l'articolo e si mettesse a telefo-
nare, fregandosi da solo?»
«Qualcosa mi dice che non accadrà. Comunque, non è permanente. Vi-
cki Landreth mi ha assicurato che dura un paio di settimane al massimo,
dipende da quanto spesso ti fai la doccia. Non è come quei tatuaggi
all'henné che i bambini si fanno al molo di Santa Monica. Quelli durano di
più.»
Rider annuì, era d'accordo.
«Okay, Harry. Ci incrociamo domattina, allora.»
«Ci vediamo, Kiz. Stammi bene.»
La donna si avviò per uscire.
«Ehi, Kiz» la chiamò Bosch.
«Cosa?» disse, fermandosi e voltandosi.
«Cosa pensi? Sei contenta di esserci di nuovo dentro?»
Sapeva di cosa stava parlando. Si riferiva alle indagini sull'omicidio.
«Oh, sì, Harry, sono contenta. Sarò davvero estasiata quando avremo in-
castrato il cavaliere pallido e avremo risolto il mistero.»
«Già» disse Bosch.
Dopo che Rider se ne fu andata, Bosch rifletté per qualche momento a
cosa avesse voluto dire quando aveva chiamato Mackey "il cavaliere palli-
do". Pensò che potesse trattarsi di un riferimento biblico, ma non riuscì a
venirne a capo. Forse nel South End era così che chiamavano i razzisti.
Decise di chiederle delucidazioni il giorno seguente. Ricominciò a esami-
nare il fascicolo, ma presto lasciò perdere. Sapeva che era ora di concen-
trarsi sul momento presente. Non sul passato. Non sulle scelte compiute e
le strade che non erano state percorse. Si alzò e si infilò il dossier sulla li-
bertà vigilata e il fascicolo del delitto sotto braccio. Se ci fossero stati mol-
ti tempi morti durante la sorveglianza del giorno dopo, almeno avrebbero
avuto da leggere. Infilò la testa nell'ufficio di Abel Pratt per salutarlo.
«Buona fortuna, Harry» disse Pratt. «Chiudete il caso.»
«Lo faremo.»
26
Bosch lasciò l'auto nel parcheggio sul retro ed entrò dalla porta posterio-
re della Divisione Hollywood. Era passato parecchio tempo dall'ultima
volta che era stato lì, e la trovò subito diversa. La ristrutturazione a seguito
del terremoto di cui aveva parlato Edgar pareva aver toccato ogni singolo
angolo dell'edificio. Trovò il posto di guardia in un punto in cui prima c'e-
ra una cella e scoprì che agli agenti di pattuglia era stata destinata una
stanza per scrivere i rapporti, mentre in passato dovevano rubare un po' di
spazio nell'ufficio dei detective.
Prima di salire alla Buoncostume, entrò nel bureau dei detective per ve-
dere se riusciva a recuperare un file di cui aveva bisogno. Percorse il corri-
doio posteriore, passò davanti a un sergente che si chiamava McDonald, di
cui non ricordava il nome di battesimo.
«Ehi, Harry, sei tornato? È un pezzo che non ti vedevo, amico.»
«Sono tornato, Sei.»
«Bella notizia.»
"Sei" era la designazione radiofonica della Divisione Hollywood. Chia-
mare il sergente di pattuglia Sei era come chiamare un detective della O-
micidi Roy. Funzionò e permise a Bosch di superare l'imbarazzo dovuto
alla cattiva memoria. Quando giunse in fondo al corridoio si ricordò che il
sergente si chiamava Bob.
La Omicidi si trovava in fondo all'ampio stanzone dei detective. Edgar
aveva ragione. Era diverso da tutti gli uffici che Bosch aveva mai visto.
Era grigio e impersonale. Sembrava uno di quei call-center dove si faceva-
no fredde telefonate per tirare fregature alle vecchie signore e vendere
penne sopracosto o unità immobiliari in multiproprietà. Riconobbe la testa
di Edgar che sbucava da sopra una parete divisoria tra due cubicoli. Sem-
brava l'unico rimasto in tutto l'ufficio. Era tardi, ma non così tardi.
Camminò fino al muro divisorio e guardò Edgar da sopra la parete. A-
veva la testa chinata ed era concentrato sulle parole crociate del Times. Era
sempre stato un rito per Edgar. Faceva i cruciverba tutto il giorno, se li
portava al bagno, in mensa o fuori, quando era di sorveglianza. Non gli
piaceva tornare a casa senza averli completati.
Edgar non aveva notato la presenza di Bosch, che indietreggiò senza fare
rumore ed entrò nel cubicolo accanto a quello dell'ex partner. Prese con
cautela il cestino di metallo da sotto la scrivania e tornò nella posizione di
prima, dietro Edgar. Si raddrizzò e fece cadere il cestino sul linoleum da
un metro e mezzo di altezza. Il suono che ne uscì fu forte e tagliente, quasi
come uno sparo. Edgar saltò in piedi, la penna gli volò verso il soffitto.
Stava per urlare qualcosa quando riconobbe Bosch.
«Accidenti, Bosch!»
«Come te la passi, Jerry?» chiese Bosch, riuscendo a malapena a parlare
per le risate.
«Accidenti, Bosch!»
«Sì, l'hai detto. Mi pare di intuire che stasera le cose procedono con
calma a Hollywood.»
«Cosa cazzo ci fai qui? Voglio dire, a parte farmi cagare addosso.»
«Lavoro, amico. Ho un appuntamento con la truccatrice della Buonco-
stume. Tu cosa fai?»
«Avevo quasi finito, stavo per uscire.»
Bosch si chinò e vide che la griglia del cruciverba era quasi completata.
C'erano molti segni di cancellature. Edgar non lavorava mai a un cruciver-
ba con la penna biro. Bosch notò che aveva tirato giù dallo scaffale e posa-
to sulla scrivania il vecchio dizionario rosso.
«Imbrogli ancora, Jerry? Lo sai che non dovresti usare il dizionario.»
Edgar si abbandonò sulla sedia. Sembrava esasperato, per lo spavento e
per la domanda.
«Balle. Posso fare quello che voglio. Non esistono regole, Harry. Perché
non te ne vai di sopra e non mi lasci in pace? Dille di metterti un po' di
eyeliner e di mandarti a battere il marciapiede.»
«Già, ti piacerebbe. Saresti il mio primo cliente.»
«Va bene, va bene. C'è qualcosa di cui hai bisogno o sei passato solo per
farmi scoppiare le coronarie?»
Edgar finalmente sorrise, e Bosch capì che era tutto a posto tra loro.
«Tutte e due le cose» disse Bosch. «Ho bisogno di recuperare un vec-
chio file. Dove li tengono adesso?»
«Quanto vecchio? Hanno cominciato a mandare la roba in centro per far-
la trasferire su microfilm.»
«Deve essere del 2000. Ti ricordi Michael Allen Smith?»
Edgar annuì.
«Certo che mi ricordo. Uno come me non può dimenticare Smith, Cosa
cerchi in quella storia?»
«Voglio solo la foto di Smith. Quel file è ancora qui?»
«Sì, i documenti recenti sono ancora da queste parti. Seguimi.»
Accompagnò Bosch a una porta chiusa. Edgar aveva la chiave e presto si
ritrovarono in una stanzetta le cui pareti erano coperte da scaffali ricolmi
di raccoglitori blu. Edgar individuò il fascicolo di Michael Allen Smith e
lo prese dallo scaffale. Lo fece cadere nelle mani di Bosch. Era pesante. Si
era trattato di un caso difficile.
Bosch portò il fascicolo nel piccolo scomparto accanto a quello di Edgar
e cominciò a sfogliarlo finché arrivò a una sezione di fotografie che mo-
stravano il busto di Smith e diversi primi piani dei suoi tatuaggi. I tatuaggi
erano serviti per identificarlo e condannarlo per l'omicidio di tre prostitute
cinque anni prima. Bosch, Edgar e Rider avevano lavorato al caso. Smith
era un macho bianco, razzista dichiarato, che caricava di nascosto travestiti
neri sul Santa Monica Boulevard. Poi, oppresso dal senso di colpa per aver
tradito le proprie convinzioni razziali e sessuali, li uccideva. In qualche
modo questo gli faceva superare la trasgressione. La chiave di volta era
stata la deposizione resa a Rider da un travestito che aveva visto salire una
delle vittime sul furgone di un cliente. Era riuscito a descrivere un tatuag-
gio sulla mano del tizio. Questo alla fine li aveva portati a Smith, che ave-
va collezionato una varietà di tatuaggi nei diversi soggiorni in prigione in
giro per il paese. Venne giudicato, condannato e inviato nel braccio della
morte, dove per ora aveva evitato l'iniezione letale con una serie di appelli.
Bosch scelse le foto del collo, delle mani e del bicipite sinistro, tutte par-
ti del corpo ornate con l'inchiostro della galera.
«Ho bisogno di queste mentre sono su. Se stai andando e devi chiudere
l'archivio, te le posso lasciare sulla scrivania.»
Edgar annuì.
«Va bene. Allora, in cosa ti sei cacciato, amico? Hai intenzione di met-
terti addosso quella merda?»
«Esatto. Voglio essere come Mike.»
Edgar socchiuse gli occhi.
«Ha a che fare con la storia degli Otto di Chatsworth di cui abbiamo par-
lato ieri?»
Bosch sorrise.
«Sai, Jerry, dovresti fare il detective. Saresti bravo.»
Edgar annuì, come se si preparasse a un'altra ondata di sarcasmo.
«Ti farai anche tagliare i capelli?» domandò.
«No, non pensavo di spingermi a tanto» disse Bosch. «Penso che farò la
parte dello skinhead riformato.»
«Capito.»
«Senti, hai da fare stasera? Non dovrei metterci molto lassù. Se ti va di
aspettare, finisci il cruciverba e ci andiamo a mangiare una bistecca da
Musso.»
Solo a dirlo, Bosch sentì che gli veniva fame. Aveva voglia di una bella
bistecca e di un martini vodka.
«No, Harry, devo andare allo Sportsmen's Lodge per la festa del pensio-
namento di Sheree Riley. Per questo ammazzavo il tempo in ufficio. A-
spettavo che il traffico si calmasse un po'.»
Sheree Riley era una detective che si occupava di crimini sessuali.
Bosch aveva lavorato con lei di tanto in tanto, ma non avevano mai legato.
Quando sesso e omicidio si intrecciavano, i casi di solito erano così brutali
e complessi che non rimaneva molto spazio per dedicarsi ad altro che al
lavoro. Bosch non sapeva che fosse sul punto di andare in pensione.
«Magari potremmo prendere quella bistecca un'altra volta» disse Edgar.
«È okay per te?»
«È okay, Jerry. Divertiti e dille che la saluto e che le auguro buona for-
tuna. E grazie per le foto. Le trovi domani sulla scrivania.»
Bosch tornò verso il corridoio, ma sentì Edgar che imprecava. Si voltò e
vide il vecchio partner in piedi nel cubicolo con le braccia aperte.
«Dove cavolo è la matita?»
Bosch perlustrò il pavimento senza successo. Alla fine levò lo sguardo e
la vide incastrata tra due pannelli insonorizzati sul soffitto, sopra la testa di
Edgar.
«Jerry, delle volte quello che sale non scende più.»
Edgar guardò su e vide la matita. Gli ci vollero due salti per prenderla.
La porta della Buoncostume al secondo piano era chiusa a chiave, ma
era normale. Bosch bussò, gli rispose un agente in incognito che Bosch
non riconobbe.
«C'è Vicki? Mi aspettava.»
«Allora entri.»
L'agente fece un passo indietro e lasciò entrare Bosch. Quella stanza non
era cambiata in maniera sostanziale durante la ristrutturazione. Era una
lunga sala con scrivanie che correvano su ambo i lati. Sopra lo spazio de-
stinato a ogni agente c'era il poster incorniciato di un film. Alla Divisione
Hollywood era permesso adornare le pareti soltanto con poster di film che
erano stati girati entro la loro giurisdizione. Trovò Vicki Landreth al lavo-
ro sotto il poster di Blue Neon Night, un film che Bosch non aveva visto.
Nell'ufficio c'erano solo lei e l'altro agente. Bosch pensò che tutti gli altri
fossero già in strada per il turno di notte.
«Ehi, Bosch» disse Landreth.
«Ehi, Vic. Hai ancora il tempo per fare queste cose?»
«Per te, tesoro, avrò sempre il tempo.»
Landreth era una ex truccatrice di Hollywood. Un giorno, vent'anni pri-
ma, era stata convinta a farsi un giro di ronda con un agente che si occupa-
va della sicurezza sul set. Il tizio voleva solo passare un po' il tempo, spe-
rava che magari il giro la eccitasse e ci potesse scappare qualcosa di più.
Invece la conseguenza era stata che Landreth si era iscritta all'Accademia
di polizia ed era diventata un'agente ausiliaria, faceva un paio di turni al
mese sulle auto e copriva i buchi quando era necessario. Poi qualcuno alla
Buoncostume aveva scoperto il mestiere che faceva di giorno e le aveva
chiesto di sfruttare la propria abilità per far assomigliare di più a prostitute
e papponi gli agenti travestiti. Presto Vicki trovò il lavoro con la polizia
più interessante di quello nel cinema, così divenne un'agente a tempo pie-
no. Le sue doti di truccatrice erano molto richieste, e la nicchia che si era
ritagliata nella Divisione Hollywood era più che sicura.
Bosch le mostrò le foto dei tatuaggi di Michael Allen Smith e lei le stu-
diò per qualche momento.
«Carino, eh?» disse alla fine.
«Uno dei migliori.»
«E vuoi che ti faccia tutta questa roba stasera?»
«No. Pensavo alle saette sul collo. E magari al bicipite, se puoi.»
«È tutta roba da galera. Non è arte vera. Un solo colore. Certo che posso.
Siediti lì e togliti la camicia.»
Lo accompagnò a una postazione per il trucco, dove lui si sedette su uno
sgabello accanto a uno scaffale con diversi colori per il corpo e delle pol-
veri. Su una mensola più in alto c'erano delle teste di manichini con la par-
rucca e i baffi. Sotto qualcuno aveva scritto i nomi di diversi personaggi
dell'unità.
Bosch si sfilò la camicia e la cravatta. Indossava una T-shirt.
«Voglio che si vedano, ma non che siano troppo sfacciati» disse. «Pen-
savo che potessi realizzarli in modo che, con indosso una maglietta come
questa, ne sbucasse una parte. Quanto basta perché si capisca cosa sono e
cosa significano.»
«Non è un problema. Rimani fermo.»
Usò un pezzo di gesso per tracciare delle linee sulla pelle nel punto in
cui arrivavano il collo e le maniche della maglietta.
«Queste sono le linee di demarcazione» spiegò. «Mi devi dire quanto
vuoi che vada sopra e sotto.»
«Capito.»
«Ora toglila, Harry.»
Lo disse con un tono palesemente sensuale. Bosch si sfilò la maglietta
da sopra la testa e la gettò su una sedia insieme alla camicia e alla cravatta.
Si voltò verso la donna, che gli esaminò il petto e le spalle. Vicki allungò
una mano e sfiorò la cicatrice sulla spalla sinistra.
«Questa è nuova» disse.
«È vecchia.»
«Be', è passato parecchio tempo dall'ultima volta in cui ti ho visto nudo,
Harry.»
«Già, direi di sì.»
«Quando eri ancora un ragazzo in divisa e mi avresti convinto a fare
qualsiasi cosa, persino arruolarmi nella polizia.»
«Io ti convinsi a entrare nella mia auto, non nel dipartimento. Prenditela
con te stessa per questo.»
Bosch era in imbarazzo e si sentì arrossire. La loro relazione di vent'anni
prima era finita solo perché nessuno dei due sentiva il bisogno di impe-
gnarsi troppo. Avevano preso strade diverse, ma erano rimasti buoni amici.
Soprattutto quando Bosch era stato trasferito alla squadra Omicidi della
Divisione Hollywood e lavoravano nello stesso edificio.
«Ma guardati, sei arrossito» disse Landreth. «Dopo tutti questi anni.»
«Be', sai...»
Non disse nient'altro. Landreth avvicinò lo sgabello a Bosch. Allungò la
mano e passò il pollice sul tatuaggio del topo nel tunnel che aveva sul
braccio destro.
«Questo lo ricordo» disse. «Non se la passa tanto bene, eh?»
Aveva ragione. Il tatuaggio che si era fatto in Vietnam aveva perso le li-
nee e con il tempo i colori si erano confusi. Il personaggio del topo che u-
sciva dal tunnel con la pistola in pugno non era più riconoscibile. Il tatuag-
gio ormai appariva come un doloroso livido.
«Non me la passo tanto bene neppure io, Vicki» disse Bosch.
La donna ignorò la lamentela e si mise al lavoro. Per prima cosa usò un
eyeliner per schizzare i soggetti sulla pelle. Michael Allen Smith aveva
quello che lui chiamava un bavero della Gestapo tatuato attorno al collo.
Su entrambi i lati della gola c'erano le saette gemelle, simbolo delle SS.
Rappresentavano gli emblemi sul bavero dell'uniforme della forza di élite
di Hitler. Landreth tracciò il disegno senza difficoltà e in fretta. Faceva il
solletico, e Bosch faticò a rimanere fermo. Poi arrivò il turno del bicipite.
«Quale braccio?» domandò.
«Penso il sinistro.»
Rifletté sulla messinscena con Mackey. Era più probabile che finisse se-
duto alla destra di Mackey. Questo avrebbe significato che il braccio sini-
stro sarebbe stato il più visibile.
Landreth gli chiese di reggere la foto del braccio di Smith accanto al su-
o, così avrebbe potuto copiare. Sul bicipite dell'uomo c'era un teschio che
aveva sulla fronte una svastica inscritta in un cerchio. Smith non aveva
mai confessato i delitti di cui era accusato, ma ammetteva apertamente di
essere razzista e spiegava senza remore l'origine dei molti segni sul suo
corpo. Il teschio sul bicipite, aveva detto, era stato copiato da un manifesto
propagandistico della Seconda guerra mondiale.
Ora che il lavoro si era spostato dal collo al braccio, Bosch poteva respi-
rare con maggiore tranquillità e Landreth intavolò una conversazione.
«Allora, che novità hai?»
«Nessuna.»
«Il congedo è stato noioso?»
«Puoi dirlo.»
«Cosa hai fatto, Harry?»
«Ho lavorato a un paio di vecchi casi, ma soprattutto ho passato il tempo
a Las Vegas a cercare di conoscere mia figlia.»
La donna fece un passo indietro e guardò Bosch con gli occhi colmi di
stupore.
«Sì, anche io mi sono molto stupito quando l'ho scoperto.»
«Quanti anni ha?»
«Quasi sei.»
«Riesci ancora a vederla ora che sei tornato al lavoro?»
«Non importa, non è qui.»
«Be', dov'è?»
«La madre l'ha portata a Hong Kong per un anno.»
«Hong Kong? Che ci fa a Hong Kong?»
«Lavoro. Ha firmato un contratto annuale.»
«Non si è consultata con te in proposito?»
«Non so se consultarsi sia la parola giusta. Mi ha detto che sarebbe par-
tita. Ho parlato con un avvocato, ma non c'era molto che potessi fare.»
«Non è giusto, Harry.»
«Va bene. La sento al telefono una volta alla settimana. Appena accumu-
lo un po' di vacanze, la vado a trovare.»
«Non sto parlando di te. Sto parlando di lei. Una bambina dovrebbe stare
vicino al proprio padre.»
Bosch annuì, perché non poteva fare altro. Qualche minuto più tardi,
Landreth terminò lo schizzo, aprì una valigia ed estrasse una boccetta di
inchiostro per finti tatuaggi, insieme a un applicatore simile a una penna.
«Questo è il Bic blu» disse. «È quello che usa la maggior parte di loro
nelle prigioni. Non perforerò la pelle, così dovrebbe andare via in un paio
di settimane.»
«Dovrebbe?»
«Va via quasi sempre. C'è stato un attore a cui tatuai un asso di spade sul
braccio, e la cosa buffa è che non andava più via. Non c'era modo. Perciò
finì che si fece un vero tatuaggio sopra il mio disegno. Non era troppo con-
tento.»
«Nemmeno io sarò troppo contento se mi resteranno due saette sul collo
per il resto della vita. Prima che cominci a mettermi quella roba addosso,
Vicki, c'è qualche...»
Si fermò quando si accorse che la donna rideva.
«Scherzavo, Bosch. È la magia di Hollywood. Viene via con un paio di
strofinate decise, okay?»
«Okay, allora.»
«Adesso stai fermo e lasciami lavorare.»
Si mise all'opera, applicò l'inchiostro blu scuro sul disegno che aveva re-
alizzato. Lo tamponò con una spugnetta e invitò più volte Bosch a smettere
di respirare, cosa che lui disse di non poter fare. Finì in meno di mezzora.
Gli diede uno specchio e lui si esaminò il collo. Era un bel lavoro, nel sen-
so che sembrava vero. Pareva strano vedere una simile manifestazione di
odio sulla propria pelle.
«Posso mettermi la maglietta?»
«Aspetta qualche minuto.»
Gli sfiorò ancora una volta la cicatrice sulla spalla.
«Te la sei procurata quando ti hanno sparato in quel tunnel in città?»
«Sì.»
«Povero Harry.»
«Direi piuttosto fortunato Harry.»
La donna cominciò a raccogliere gli strumenti, mentre Bosch rimaneva
seduto senza maglietta, sentendosi a disagio.
«Allora, cosa devi fare stasera?» domandò, tanto per dire qualcosa.
«Io? Niente.»
«Hai finito?»
«Sì, oggi avevo il turno di giorno. Delle ragazze hanno invaso l'hotel vi-
cino al Kodak Center. Non si possono fare cose del genere nella nuova
Hollywood, no? Così abbiamo ingabbiato quattro di loro.»
«Mi dispiace, Vicki. Non pensavo di trattenerti. Sarei venuto più presto.
Cavolo, ero qua sotto a sparare stronzate con Edgar prima di salire. Avresti
dovuto dirmi che aspettavi me.»
«Non c'è problema. È stato un piacere vederti. E volevo dirti che sono
contenta che tu sia rientrato in servizio.»
All'improvviso Bosch pensò una cosa.
«Ehi, ti va di cenare da Musso, o devi andare allo Sportsmen's Lodge?»
«Scordati lo Sportsmen's Lodge. Queste cose mi ricordano troppo le fe-
ste di fine riprese. Non mi piacevano neanche quelle.»
«Allora cosa dici?»
«Non so se ho voglia di farmi vedere da quelle parti con un porco razzi-
sta.»
Questa volta Bosch sapeva che stava scherzando. Sorrise, e lei disse che
la cena era una buona idea.
«Vengo, ma a una condizione» disse.
«Quale?»
«Che ti rimetta la camicia.»
27
La mattina seguente, senza bisogno della sveglia, Bosch si alzò alle cin-
que e mezza. Non era una novità per lui. Succedeva sempre quando si infi-
lava nel tunnel di un caso. Le ore di veglia soverchiavano le ore di sonno.
Come nel surf, uno faceva tutto il possibile per rimanere in piedi sulla ta-
vola e dentro il tunnel d'acqua. Nonostante non dovesse entrare in servizio
prima di dodici ore, sapeva che quella sarebbe stata la giornata chiave per
il caso. Non poteva dormire di più.
Si vestì al buio in quel luogo poco familiare e uscì dalla stanza per anda-
re in cucina, dove trovò un blocchetto per l'elenco della spesa. Scrisse un
biglietto e lo appoggiò davanti alla macchina del caffè, che la sera prima
Vicki Landreth aveva impostato perché entrasse in funzione alle sette. Il
biglietto non diceva molto di più che grazie per la serata e arrivederci. Non
c'erano promesse o ci vediamo più tardi. Bosch sapeva che Vicki non si
aspettava nulla. Entrambi erano consapevoli che non era cambiato niente
nei vent'anni trascorsi tra le due relazioni. Si piacevano, ma questo non ba-
stava certo per mettere su casa insieme.
Le strade tra l'abitazione di Vicki Landreth e Cahuenga Pass erano neb-
biose e grigie. Gli automobilisti guidavano con i fari accesi, sia perché a-
vevano viaggiato tutta la notte, sia perché pensavano che questo potesse
aiutarli a svegliare il mondo. Bosch sapeva che l'alba non aveva niente a
che vedere con il tramonto. L'alba arrivava sempre in maniera brutale, co-
me se il sole fosse goffo e di fretta. Il tramonto era più delicato, la luna più
aggraziata. Forse perché la luna aveva più pazienza. Nella vita e nella na-
tura, pensò Bosch, le tenebre sono sempre in agguato.
Cercò di levarsi dalla testa il pensiero della sera precedente, per potersi
concentrare sul caso. Sapeva che gli altri ora stavano prendendo posizione
sulla Mariano Street a Woodland Hills e alla ListenTech nella Città
dell'Industria. Mentre Roland Mackey dormiva, le forze dell'ordine strin-
gevano silenziosamente il cerchio attorno a lui. Era così che Bosch vedeva
la cosa. Era questo che gli faceva correre il sangue nelle vene. Pensava an-
cora che fosse improbabile che Mackey avesse tirato il grilletto nell'omici-
dio di Rebecca Verloren. Ma Bosch sentiva senza ombra di dubbio che
l'uomo aveva fornito l'arma del delitto all'assassino e che li avrebbe portati
a lui, che fosse William Burkhart o qualcun altro.
Entrò nel parcheggio di fronte al Poquito Mas ai piedi della collina su
cui si trovava casa sua. Lasciò la Mercedes in moto e andò a piedi verso la
fila di distributori con i giornali. Vide il volto di Rebecca Verloren che lo
fissava da dietro la finestra di plastica di uno di essi. Avvertì una piccola
accelerazione del battito cardiaco. Non importava che cosa diceva l'artico-
lo, erano in gioco.
Infilò la moneta nel distributore e prese il giornale. Ripeté l'operazione e
pescò una seconda copia. Una per l'archivio e una per Mackey. Non si
scomodò a leggere l'articolo prima di arrivare a casa. Mise a scaldare il
caffè e lesse l'articolo in piedi in cucina. La foto della finestra ritraeva
Muriel Verloren seduta sul letto della figlia. La stanza era pulita e il letto
rifatto alla perfezione, le balze sfioravano il pavimento. C'era un inserto
con la fotografia di Rebecca nell'angolo in alto. Risultò che l'archivio del
Daily News conservava la stessa foto dell'annuario. Il titolo sopra la foto-
grafia centrale diceva: LA LUNGA VEGLIA DI UNA MADRE.
Lo scatto della camera da letto era attribuito a Emerson Ward, a quanto
pare la fotografa usava il nome per intero. Sotto c'era una didascalia che
recitava: «Muriel Verloren seduta nella stanza da letto della figlia. La ca-
mera, come il dolore della signora Verloren, è rimasta immutata nel tem-
po».
Sotto la fotografia e sopra l'articolo c'era quello che una volta un reporter
gli aveva detto chiamarsi "cappello": una descrizione completa e sintetica
della vicenda. Diceva: «TORMENTATA: Muriel Verloren ha aspettato 17
anni di sapere chi ha rubato la vita di sua figlia. In uno sforzo rinnovato, la
LAPD potrebbe essere vicina alla soluzione del caso».
Bosch pensò che il cappello fosse perfetto. Se e quando Mackey l'avesse
visto, avrebbe avvertito le dita gelide della paura che gli stringevano il pet-
to. Bosch lesse con impazienza l'articolo.
Di McKenzie Ward
Diciassette anni fa, in estate, una giovane e bella ragazza delle
scuole superiori, di nome Rebecca Verloren, venne rapita dalla
sua casa a Chatsworth e brutalmente assassinata sulla Oat
Mountain. Il caso non fu mai risolto, e si lasciò alle spalle una
famiglia distrutta, agenti di polizia tormentati e una comunità in-
capace di trovare un epilogo a questa tragedia.
Ma, rinnovando le speranze della madre della vittima, il Diparti-
mento di Polizia di Los Angeles ha intrapreso nuove indagini che
potrebbero condurre alla soluzione del caso e restituire un po' di
pace a Muriel Verloren. Questa volta i detective hanno qualcosa
che non potevano avere nel 1988: il DNA del killer.
L'Unità Casi Irrisolti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles
ha deciso di concentrarsi sull'omicidio Verloren dopo che uno dei
detective originari - ora un comandante d'area della Valley - ha
insistito perché due anni fa, quando venne formata la squadra che
doveva investigare sui casi irrisolti, fosse riaperto il caso.
«Appena ho sentito che saremmo tornati a indagare sui casi privi
di soluzione, ho preso il telefono e li ho chiamati» ha dichiarato
ieri il comandante Arturo Garcia nel suo ufficio nel centro diretti-
vo della Valley. «Questo caso mi ha sempre colpito. Quella bel-
lissima giovane portata via dalla sua casa a quel modo. Nessun
omicidio è accettabile nella nostra società, ma questo ferisce più
degli altri. Mi tormenta da allora.»
E tormenta anche Muriel Verloren. La madre di Rebecca ha con-
tinuato a vivere nella casa sulla Red Mesa Way da cui fu strappata
la figlia sedicenne. La stanza da letto di Rebecca è rimasta inalte-
rata dalla notte in cui la ragazza venne trascinata fuori dalla porta
sul retro e non tornò mai più.
«Non voglio modificare nulla» ha dichiarato la madre tra le la-
crime ieri, mentre con la mano carezzava la trapunta sul letto del-
la figlia. «È il mio modo per rimanere vicina a lei. Non cambierò
mai questa stanza e non lascerò mai questa casa.»
Il detective Harry Bosch, cui sono state assegnate le nuove inda-
gini, ha dichiarato al News che ci sono molti indizi promettenti.
L'aiuto maggiore al caso è stato fornito dai passi avanti che la tec-
nologia ha compiuto dal 1988 a oggi. Del sangue che non appar-
teneva a Rebecca Verloren è stato rinvenuto sull'arma del delitto.
Il detective Bosch ha spiegato che il percussore della pistola ha
"pizzicato" lo sparatore sulla mano, strappandogli un campione di
sangue e pelle. Nel 1988 poté essere solo analizzato, registrato e
conservato. Ora sarebbe possibile confrontarlo con quello di un
indiziato. La sfida consiste nel trovare quell'indiziato.
«Le indagini originali sono state condotte in maniera meticolosa»
ha sostenuto Bosch. «Sono state interrogate centinaia di persone,
sono state seguite centinaia di tracce. Stiamo ripercorrendo una a
una quelle strade, ma la nostra reale speranza risiede nel DNA.
Sarà questo l'elemento risolutivo, ne sono convinto.»
Il detective ci ha spiegato che sebbene la vittima non sia stata vio-
lentata, si riscontrano elementi che inducono a pensare a un cri-
mine di natura psico-sessuale. Dieci anni or sono il Dipartimento
di Giustizia ha costituito un archivio contenente campioni di DNA
delle persone condannate per reati a sfondo sessuale. Al momento
si sta procedendo a comparare il DNA proveniente dal caso Ver-
loren con tali campioni. Il detective Bosch ritiene probabile che
l'omicidio di Rebecca Verloren non sia un crimine isolato.
«Penso che sia inverosimile che l'assassino abbia commesso que-
sto solo delitto e poi abbia condotto una vita irreprensibile. La na-
tura del reato suggerisce che il soggetto abbia con ogni probabilità
commesso altri crimini. Se fosse stato preso almeno una volta, e il
suo DNA fosse stato inserito nel database, identificarlo sarà solo
una questione di tempo.»
Rebecca fu strappata dalla sua casa e condotta alla morte la notte
del 5 luglio 1988. Per tre giorni la polizia e i membri della comu-
nità la cercarono. Una donna che cavalcava sulla Oat Mountain
trovò il cadavere nascosto dietro un albero caduto. Nonostante gli
investigatori abbiano riscontrato molti particolari, tra cui il fatto
che sei settimane prima di morire Rebecca aveva subito un'inter-
ruzione di gravidanza, la polizia è stata incapace di determinare
chi fosse il killer e come fosse riuscito a intrufolarsi in casa.
Negli anni trascorsi da allora, questo delitto ha lasciato il segno su
molte vite. I genitori della vittima si sono separati e Muriel Ver-
loren non è stata in grado di dirci dove si trovi al momento il ma-
rito, Robert Verloren, un ex ristoratore di Malibu. La donna ha af-
fermato che la disgregazione del loro matrimonio è stata causata
dalla tensione e dal dolore provocati dall'omicidio della figlia.
Uno degli investigatori del caso, Ronald Green, è andato in pen-
sione e qualche anno più tardi si è suicidato. Garcia ha riferito di
essere convinto che il caso di Rebecca Verloren non sia stato e-
straneo alla decisione dell'ex partner di togliersi la vita.
«Ronnie prendeva sempre tutto molto a cuore, e penso che quel
caso lo abbia sempre turbato» ha dichiarato Garcia.
Presso la Hillside Preparatory School, dove Rebecca Verloren era
una studentessa molto popolare, esiste qualcosa che la ricorda in
vita e in morte. Una targa eretta dai compagni di classe campeg-
gia sulla parete del corridoio principale del prestigioso istituto.
«Non dimenticheremo mai una persona come Rebecca» ha dichia-
rato il preside Gordon Stoddard, che insegnava nella scuola quan-
do Rebecca Verloren venne uccisa.
Una delle amiche e compagne di Rebecca attualmente insegna al-
la Hillside. Bailey Koster Sable trascorse la notte con Rebecca so-
lo due giorni prima che la ragazza venisse assassinata. La perdita
la tormenta da allora, e ha confessato di pensare all'amica di con-
tinuo. «Ci penso perché sento che avrebbe potuto succedere a chi-
unque di noi» ci ha detto la professoressa Sable dopo le lezioni di
ieri. «E questo mi induce a pormi sempre la stessa domanda: per-
ché lei?» È la stessa domanda a cui la polizia di Los Angeles spe-
ra di poter dare risposta quanto prima.
28
Kiz Rider era già nel luogo dell'incontro quando arrivò Bosch. Uscì
dall'auto e portò il fascicolo del delitto e gli altri documenti alla macchina
di lei, una Taurus bianca poco appariscente.
«C'è posto nel bagagliaio?» domandò prima di salire.
«È vuoto. Perché?»
«Aprilo. Mi sono dimenticato di lasciare a casa la ruota di scorta.»
Tornò alla sua auto, un SUV Mercedes-Benz, tirò fuori la ruota di scorta
e la trasferì nel bagagliaio della Rider. Si servì di un cacciavite che prese
dalla cassetta degli attrezzi per rimuovere le targhe e le infilò a loro volta
nel bagagliaio. A quel punto salì e percorsero la Tampa verso il centro
commerciale di fronte alla stazione di servizio dove lavorava Mackey. La
squadra diurna, Marcia e Jackson, li attendeva nel parcheggio.
Lo spazio accanto alla loro auto era libero e Rider vi si infilò. Abbassa-
rono i finestrini per poter parlare e trasferire le ricetrasmittenti senza dover
scendere dall'auto. Bosch prese le radio, ma sapeva che lui e Rider non le
avrebbero usate.
«Allora?» domandò Bosch.
«Allora niente» disse Jackson. «A quanto pare stiamo trivellando un
pozzo asciutto, Harry.»
«Proprio niente?» domandò Rider.
«Non è successo assolutamente nulla che possa far pensare che Mackey
o qualcuno che conosce abbia visto il giornale. Abbiamo verificato una
ventina di minuti fa, questo tizio non ha ricevuto neppure una telefonata,
altro che conversazioni sull'argomento. Da quando è in servizio non ci so-
no state neanche chiamate per il carro attrezzi.»
Bosch annuì. Non era ancora preoccupato. A volte le cose avevano biso-
gno di una spintarella. Ed era quello che era pronto a fare.
«Spero che tu abbia un buon piano, Harry» intervenne Marcia ad alta
voce. Era al posto di guida, distante da Bosch che si trovava dal lato del
passeggero dell'auto di Rider.
«Potete trattenervi ancora un po'?» replicò Bosch. «Non serve aspettare
ancora se non è successo niente. Sono pronto a mettermi in movimento.»
Jackson annuì.
«Per me è lo stesso» disse. «Hai bisogno che ti copriamo le spalle?»
«Ne dubito. Ho solo intenzione di andare a piantare un seme. Ma non si
sa mai. Male non farebbe.»
«Va bene. Ti daremo un'occhiata. Per ogni evenienza, che segnale userai
per avvisarci?»
Bosch non ci aveva pensato.
«Immagino che suonerò il clacson» disse. «Oppure sentirete gli spari.»
Sorrise, tutti annuirono. Rider mise in moto e tornò sulla Tampa verso la
macchina di Bosch.
«Sei sicuro di quello che fai?» domandò Rider mentre si fermava accan-
to alla Mercedes.
«Sono sicuro.»
Lungo la strada Bosch aveva notato che la partner aveva portato con sé
una voluminosa cartelletta a soffietto, che aveva depositato in mezzo ai
due sedili.
«Cos'è quella?»
«Visto che mi hai svegliata presto, ho deciso di mettermi all'opera. Ho
rintracciato gli altri cinque membri degli Otto di Chatsworth.»
«Ottimo lavoro. Qualcuno di loro è ancora da queste parti?»
«Due sono ancora in giro. Ma pare che siano cresciuti e abbiano perso la
loro cosiddetta impulsività giovanile. Niente precedenti. Hanno dei lavori
decenti.»
«E gli altri?»
«L'unico che sembra credere ancora nella causa è un tizio di nome Frank
Simmons. Si trasferì qui dall'Oregon quando andava alle superiori. Un paio
di anni dopo si unì agli Otto. Ora vive a Fresno. Ma si è fatto due anni a
Obispo per aver venduto delle mitragliatrici.»
«Potrebbe tornarmi utile. Quando c'è stato?»
«Aspetta un secondo.»
Aprì il file e scavò finché non tirò fuori una busta commerciale con so-
pra il nome di Frank Simmons. La aprì e mostrò a Bosch una foto segnale-
tica di Simmons.
«Sei anni fa» disse.
Bosch esaminò la foto, sforzandosi di memorizzare i dettagli della figura
di Simmons. Aveva i capelli neri tagliati corti e gli occhi scuri. La pelle era
molto chiara e il volto segnato dalle cicatrici dell'acne. Cercava di masche-
rarle con un pizzetto che aveva anche lo scopo di farlo apparire più duro.
«Dov'è stato arrestato, qui?»
«No a Fresno. A quanto pare si è trasferito dopo i problemi che c'erano
stati da queste parti.»
«A chi vendeva le mitragliatrici?»
«Ho chiamato l'ufficio dell'FBI di laggiù, ho parlato con un agente. Non
ha voluto collaborare con me prima di aver controllato le mie credenziali.
Sto ancora aspettando che mi richiami.»
«Grandioso.»
«Ho la sensazione che l'interesse del bureau per il signor Simmons sia
ancora vivo, e che l'agente non fosse in vena di condividere le informazio-
ni.»
Bosch annuì.
«Dove viveva Simmons all'epoca del delitto Verloren?»
«Non lo so. Era uno dei più giovani, perciò con tutta probabilità viveva
con i genitori. L'AutoTrack non lo ha rintracciato prima del '90. Ma allora
era già a Fresno.»
«Perciò, a meno che i suoi genitori non si siano trasferiti dopo quella
storia, è molto probabile che si trovasse ancora nella Valley.»
«È possibile.»
«Okay, è una buona cosa, Kiz. Potrebbe tornarmi utile. Seguimi fino al
Balboa Park accanto alla Woodley. Penso che sia un buon punto. C'è un
campo da golf con il parcheggio. Ci saranno un mucchio di auto. Potrete
parcheggiare lassù, e da lì coprirmi le spalle. Okay?»
«Okay.»
«Dillo agli altri.»
Tirò fuori il distintivo, le manette e la pistola d'ordinanza e posò tutto sul
pavimento dell'auto.
«Harry, hai un'arma di riserva?»
«Ho te, no?»
«Dico sul serio.»
«Sì, Kiz, ho una piccola automatica alla caviglia. Andrà tutto bene.»
Scese dall'auto di Rider e salì sulla sua. Sulla strada verso il parcheggio,
ripassò la messinscena. Era pronto, si sentiva euforico.
Dieci minuti più tardi si fermò sulla strada sotto il parcheggio, spense il
motore e scese dall'auto. Andò al lato anteriore destro, aprì la valvola e fe-
ce uscire l'aria dalla ruota. Siccome sapeva che alcuni carri attrezzi erano
equipaggiati con un dispositivo per l'aria compressa, aprì il coltello a ser-
ramanico e tagliò il cannello della valvola. La gomma avrebbe dovuto es-
sere riparata, non gonfiata.
Pronto a mettersi in azione, aprì il cellulare e chiamò la stazione di ser-
vizio dove lavorava Mackey. Disse che aveva bisogno di un carro attrezzi
e venne messo in attesa. Passò un minuto buono prima che un'altra voce
arrivasse in linea. Roland Mackey.
«Posso esserle utile?»
«Mi serve un carro attrezzi. Ho una gomma a terra e la valvola mi sem-
bra sputtanata.»
«Che tipo di macchina è?»
«Un SUV Mercedes nero.»
«E la ruota di scorta?»
«Me l'ha rubata qualche negro, me l'hanno fregata la settimana scorsa
quando ero a South-Central.»
«Che peccato. Non doveva andarci.»
«Non avevo scelta. Mi può trainare o no?»
«Okay, okay. Dove si trova?»
Bosch glielo disse. Era abbastanza vicino e questa volta Mackey non
cercò di convincerlo a chiamare qualcun altro.
«Va bene, dieci minuti» disse Mackey. «Si faccia trovare accanto alla
macchina quando arrivo.»
«Non saprei dove altro andare.»
Bosch chiuse il telefono e aprì il portellone posteriore del SUV. Si sfilò
la camicia dai pantaloni e poi se la tolse. Ora i nuovi tatuaggi erano par-
zialmente in mostra. Si sedette sul paraurti posteriore e attese. Due minuti
più tardi gli squillò il cellulare.
Era Kiz Rider.
«Harry, sono riusciti a trasferirmi la chiamata dalla ListenTech. Mi sei
sembrato credibile.»
«Bene.»
«Ho appena parlato con i ragazzi. Mackey si sta muovendo. Loro lo se-
guono.»
«Okay, sono pronto.»
«Rimpiango di non averti messo addosso un microfono. Non si sa mai
cosa ti dirà quel tizio.»
«Sarebbe stato troppo rischioso, sono in maglietta. Comunque, le chance
che il tizio dica a un estraneo che è stato lui a uccidere la ragazza non sono
di più di quelle che avrei di vincere la lotteria comprando un solo bigliet-
to.»
«Immagino.»
«Devo andare, Kiz.»
«Buona fortuna, Harry. Sii prudente.»
«Come al solito.»
Chiuse il telefono.
29
Bosch guidò fino al punto in cui aveva incontrato Rider all'inizio del
turno di sorveglianza, la partner era lì ad aspettarlo. Parcheggiò e salì sulla
Taurus.
«Ci sei andato vicino» disse Rider. «È saltato fuori che forse conoscevi
davvero quel tizio. Jerry Townsend. Ti dice niente? Quando è andato via
abbiamo passato al computer la targa del suo pick-up e lo abbiamo identi-
ficato.»
«Jerry Townsend? No, il nome non mi dice niente. Ho solo riconosciuto
il viso.»
«È stato condannato per omicidio colposo nel '96. Si è fatto cinque anni.
Pare che si trattasse di un caso di violenza domestica, ma è tutto quello che
sono riusciti a tirare fuori dal computer. Scommetto che se prendessimo in
mano i documenti ci troveremmo il tuo nome. Per questo lo hai riconosciu-
to.»
«Pensi che sia collegato al nostro caso?»
«Ne dubito. L'unica certezza è che chiunque sia il proprietario di quella
stazione di servizio, non si fa problemi ad assumere ex detenuti. Sono più
economici, sai? E se dovessero imbrogliare sulle riparazioni, chi vuoi che
vada a lamentarsi?»
«Be', torniamo indietro e vediamo che succede.»
Rider avviò l'auto e si immise sulla Tampa, per dirigersi verso l'incrocio
dove si trovava la stazione di servizio.
«Com'è andata con Mackey?» domandò.
«Piuttosto bene. Mi mancava soltanto di leggergli l'articolo. Non si è la-
sciato andare, ma il seme è stato senza dubbio piantato.»
«Ha visto i tatuaggi?»
«Sì, hanno funzionato bene. Ha iniziato a farmi domande subito dopo
averli notati. E anche le tue informazioni su Simmons sono servite. È salta-
to fuori nella conversazione. E per quello che può valere, Mackey ha una
cicatrice sulla pelle accanto al pollice destro. Il pizzicotto.»
«Harry, amico, non ti sei fatto scappare niente. Immagino che ormai non
ci resti altro che stare seduti qua a vedere che succede.»
«Gli altri hanno staccato?»
«Appena arriviamo, se ne vanno.»
Quando giunsero all'incrocio tra la Tampa e la Roscoe, videro il carro at-
trezzi di Mackey che aspettava di immettersi sulla Roscoe in direzione o-
vest.
«Ha ricevuto una chiamata» disse Bosch. «Perché nessuno ce l'ha det-
to?»
Aveva appena finito di pronunciare quelle parole quando il cellulare di
Rider squillò. La donna lo passò a Bosch, per poter rimanere concentrata
sulla guida. Tagliò a sinistra, per seguire Mackey lungo la Roscoe. Bosch
aprì il telefono. Era Tim Marcia. Spiegò che Mackey era uscito senza che
alla stazione fossero arrivate chiamate. Jackson aveva controllato con la
camera del suono. Non c'erano state telefonate sulle linee che tenevano
sotto controllo.
«Va bene» disse Bosch. «Quando ero sul carro attrezzi ha detto qualcosa
riguardo ad andare a prendere la cena. Forse è uscito per quello.»
«Forse.»
«Okay, Tim, ora ce l'abbiamo noi. Grazie di essere rimasti in giro. Dillo
anche a Rick.»
«Buona fortuna, Harry.»
Seguirono il carro attrezzi fino a un centro commerciale e guardarono
Mackey che entrava in un fast food. Non aveva con sé il giornale che
Bosch aveva lasciato sul carro attrezzi e, dopo aver preso la cena, si sedette
a uno dei tavoli interni e cominciò a mangiare.
«Ti sta venendo fame, Harry?» domandò Rider. «Sarebbe l'ora giusta.»
«Mi sono fermato da Dupar prima, sono a posto. A meno che non ci sia
un Cupid da queste parti. Non mi dispiacerebbe.»
«Non se ne parla. Da quando sei andato via, non mangio più la merda
dei fast food.»
«Cosa vuoi dire? Ci trattavamo bene. Non andavamo da Musso tutti i
giovedì?»
«Se per te il pasticcio di pollo è una cena salutare, sì, mangiavamo bene.
Comunque, io parlo degli appostamenti. Hai sentito di Riso e Fagioli alla
Hollywood?»
Riso e Fagioli era il soprannome di una coppia di detective che si occu-
pava di rapine alla Divisione Hollywood. I veri nomi erano Choi e Ortega,
ed erano già lì quando Bosch lavorava alla divisione.
«No, cos'è successo?»
«Stavano sorvegliando quel tizio che rapinava le prostitute in strada. Or-
tega era seduto in macchina a mangiare un hot dog, gliene andò di traverso
un pezzo, non riusciva a sputarlo fuori. Era diventato porpora, si indicava
la gola, e Choi lo guardava come a dire "Che cazzo succede?". Perciò alla
fine Fagioli saltò fuori dalla macchina e Choi capì cos'era successo. Uscì
di corsa per fargli la manovra di Heimlich. Fece schizzare l'hot dog sul co-
fano e addio appostamento.»
Bosch rise, si immaginava la situazione. Sapeva che era una storia di cui
Riso e Fagioli non si sarebbero mai più liberati, non con in giro uno come
Edgar che l'avrebbe raccontata e ripetuta a tutti quelli che si sarebbero tra-
sferiti alla divisione.
«Be', vedi? Non c'è Cupid giù a Hollywood» disse. «Se avesse mangiato
un morbido hot dog di Cupid, non gli sarebbe mai capitata una cosa del
genere.»
«Non mi interessa, Harry. Niente hot dog negli appostamenti. Niente
merda. È la nuova regola. Non voglio che la gente parli di me in quel mo-
do per il resto dei miei giorni...»
Il telefono di Bosch trillò. Era Robinson, a cui, con Nord, era toccato
l'ultimo turno nella camera del suono.
«Hanno appena ricevuto una chiamata alla stazione di servizio. Hanno
messo giù e hanno telefonato a Mackey. Credo che non si trovi più sul po-
sto di lavoro.»
Bosch spiegò la situazione e si scusò per non aver aggiornato i colleghi.
«Dove deve andare con il carro attrezzi?» domandò.
«C'è stato un incidente tra Reseda e la Parthenia. Penso che la macchina
sia malridotta. La deve trainare da un carrozziere.»
«Okay, siamo con lui.»
Dopo qualche minuto Mackey uscì dal fast food con in mano un grande
bicchiere di carta da cui sbucava una cannuccia. Lo seguirono all'incrocio
tra il Reseda Boulevard e Parthenia Street, dove una Toyota con il muso
rientrato era stata spinta a lato della strada. Un altro carro attrezzi stava
agganciando la seconda auto, un grande SUV con la parte posteriore ap-
piattita dall'incidente. Mackey parlò brevemente con l'autista dell'altro car-
ro attrezzi - uno scambio di cortesie tra colleghi - e si mise al lavoro sulla
Toyota. Nel parcheggio all'angolo della piazza c'era un'auto di pattuglia del
Dipartimento di Polizia di Los Angeles, l'agente all'interno stava redigendo
un verbale. Bosch non vide nessuno degli automobilisti. Immaginò che
fossero stati trasportati tutti e due in ospedale.
Mackey trainò la Toyota fino a un carrozziere in fondo al Van Nuys
Boulevard. Mentre la depositava nel vialetto di servizio, Bosch ricevette
un'altra chiamata. Robinson gli disse che Mackey era stato convocato di
nuovo. Questa volta al Northridge Fashion Center, dove un'impiegata della
libreria Borders aveva bisogno di ricaricare la batteria dell'auto.
«Il nostro amico non avrà il tempo di leggere il giornale se continua a
saltabeccare a destra e a sinistra» disse Rider, dopo che Bosch le riferì del-
la telefonata.
«Non so» disse Bosch. «Mi chiedo persino se sappia leggere.»
«Ti riferisci alla dislessia?»
«Sì, ma non solo a quello. Non gli ho visto leggere né scrivere nulla. Ha
chiesto a me di riempire il modulo per il traino. Poi non ha voluto o non è
stato in grado di compilare la ricevuta. E infine c'era quell'appunto per lui
sulla scrivania.»
«Che appunto?»
«Lo ha preso e lo ha fissato a lungo, ma non sono sicuro che sia riuscito
a capire cosa ci fosse scritto.»
«Tu sei riuscito a leggerlo? Cosa diceva?»
«Era un appunto di quelli del turno di giorno. La Visa aveva chiamato
per avere conferma che il suo lavoro fosse effettivamente quello indicato
sulla richiesta della carta di credito.»
Rider aggrottò le sopracciglia.
«Cosa?» domandò Bosch.
«Mi sembra solo strano, lui che fa richiesta per avere la carta di credito.
Diventerebbe rintracciabile, pensavo cercasse di evitarlo.»
«Forse comincia a sentirsi al sicuro.»
Mackey andò dritto al centro commerciale, dove riavviò il motore
dell'auto di una donna, poi voltò il carro attrezzi in direzione della base.
Erano quasi le dieci di sera quando rientrò alla stazione di servizio. Le de-
boli speranze di Bosch tornarono a galla quando, dalla sua postazione
dall'altra parte della strada, vide con il binocolo Mackey che si allontanava
dal furgone.
«Forse siamo ancora in gioco» disse a Rider. «Ha il giornale con lui.»
Era difficile seguire gli spostamenti di Mackey all'interno della stazione.
L'ufficio aveva due pareti di vetro, ma le porte del garage ora erano chiuse
e spesso Mackey scompariva in zone dove Bosch non poteva vederlo.
«Vuoi che lo tenga d'occhio io per un po'?» domandò Rider.
Bosch abbassò il binocolo e la guardò. Nell'oscurità dell'auto riusciva a
malapena a intravedere il viso della partner.
«No, non c'è problema. Tu già guidi, comunque. Perché non ti riposi? Ti
ho svegliata presto stamattina.»
Risollevò il binocolo.
«Sto bene» disse Rider. «Ma in qualunque momento dovessi avere biso-
gno di una pausa...»
«Comunque» disse Bosch, «in un certo senso mi sento responsabile per
questo tizio.»
«Cosa vuoi dire?»
«Lo sai. Tutta questa storia. Avremmo potuto semplicemente prendere
Mackey e strizzarlo per cercare di tirargli fuori qualcosa. Invece abbiamo
scelto questa strada. Insomma, il piano è mio e io mi sento responsabile.»
«Se non dovesse funzionare, potremo sempre strizzarlo in seguito. E te-
mo che sia proprio quello che ci toccherà fare.»
Il telefono di Bosch trillò.
«Forse è la chiamata che aspettiamo» disse mentre rispondeva.
Era Nord.
«Harry, non avevi detto che questo tizio ha preso almeno il diploma in-
termedio?»
«Infatti. Che succede?»
«Ha dovuto telefonare a una persona per farsi leggere l'articolo del gior-
nale.»
Bosch si raddrizzò sul sedile. Erano in ballo. Non aveva importanza il
modo in cui l'articolo fosse arrivato sotto gli occhi di Mackey, la cosa rile-
vante era che lui aveva voluto sapere cosa diceva.
«Chi ha chiamato?»
«Una donna di nome Michelle Murphy. Sembrava una vecchia fidanza-
ta. Le ha domandato se comprava ancora il giornale tutti i giorni, come se
non ne fosse più sicuro. Lei ha detto sì e lui le ha chiesto di leggergli l'arti-
colo.»
«Ne hanno parlato dopo che gliel'ha letto?»
«Sì, lei gli ha domandato se conosceva la ragazza di cui parlava il gior-
nale. Lui ha risposto di no, ma poi ha aggiunto: "Conoscevo la pistola".
Solo questo. Ha detto che ai tempi non aveva voluto sapere niente. Basta.
Hanno riagganciato.»
Bosch rifletté su ciò che aveva sentito. La messinscena aveva funziona-
to. Erano riusciti a rivoltare una roccia che non veniva smossa da diciasset-
te anni. Era galvanizzato, sentiva la carica montare nel sangue.
«Riesci a girarci la registrazione? La voglio sentire.»
«Penso di sì» disse Nord. «Lasciami bloccare uno dei tecnici che si aggi-
rano qua attorno. Ehi, Harry, ti devo richiamare. Mackey sta telefonando.»
«D'accordo.»
Bosch chiuse in fretta il cellulare, per permettere a Nord di tornare al
monitor. Era euforico e raccontò a Rider quanto gli era stato riferito sulla
telefonata tra Mackey e Michelle Murphy. Ebbe l'impressione che anche
Rider fosse elettrizzata.
«Il ballo è cominciato, Harry.»
Bosch guardava Mackey attraverso il binocolo. Era seduto dietro la scri-
vania dell'ufficio e parlava al cellulare.
«Andiamo, Mackey» sussurrò Bosch. «Vuota il sacco. Raccontaci la sto-
ria.»
Ma Mackey chiuse il telefono. Bosch sapeva che la telefonata era stata
troppo breve.
Dieci secondi dopo, Nord richiamò.
«Ha appena chiamato Billy Blitzkrieg.»
«Cos'ha detto?»
«Ha detto: "Potrei essere nei guai" e "Potrei aver bisogno di fare una
mossa", ma Burkhart lo ha interrotto: "Non mi interessa di cosa si tratta,
non parlarne al telefono". Perciò si sono accordati per incontrarsi alla fine
del turno di Mackey.»
«Dove?»
«Mi è sembrato a casa. Mackey ha detto: "Sarai ancora alzato?" e Bur-
khart ha risposto di sì. Allora Mackey ha domandato: "E Belinda? È anco-
ra lì?" e Burkhart ha replicato che la donna sarebbe stata a letto e che non
c'era da preoccuparsi per lei. Poi hanno concluso la conversazione.»
Bosch percepì subito che le speranze di chiudere il caso quella notte
stessa erano crollate in maniera fragorosa. Se Mackey avesse incontrato
Burkhart in casa, non avrebbero potuto ascoltare quello che si sarebbero
detti e tutto il piano sarebbe andato in fumo.
«Chiamami se fa altre telefonate» disse rapido, quindi riappese.
Guardò Rider, che aspettava ansiosa.
«Niente di buono?» domandò. Ovviamente aveva intuito qualcosa dal
tono con cui il partner si era rivolto a Nord.
«Niente di buono.»
Le disse delle chiamate e dell'ostacolo che avrebbero dovuto affrontare
se Mackey avesse incontrato Burkhart per discutere i suoi "guai" a porte
chiuse.
«Non è tutto perduto, Harry» disse lei, dopo aver ascoltato con attenzio-
ne. «Ha fatto un'ammissione inequivocabile parlando con la donna, e una
meno esplicita con Burkhart. Ma ci siamo vicini, perciò non ti deprimere.
Cerchiamo di trovare una soluzione. Come possiamo intervenire per riusci-
re a farli incontrare fuori casa? Tipo a uno Starbucks o qualcosa del gene-
re.»
«Sì, proprio, me lo vedo Mackey che ordina un caffelatte.»
«Sai cosa intendo.»
«Anche se riuscissimo a indurli a uscire, in che modo potremmo avvici-
narli? Impossibile. Ci serve una telefonata. È il punto debole di tutta questa
faccenda.»
«Dobbiamo solo rimanere seduti e vedere che succede. Non possiamo
fare altro in questo momento. Senti, sarebbe ottimo poter ascoltare la loro
chiacchierata, ma forse non tutto è perduto. Mackey ha già detto al telefo-
no che ha bisogno di fare una mossa. Se scappasse, una giuria potrebbe
considerare la fuga come un'ammissione di colpevolezza. E se ci aggiungi
le conversazioni che abbiamo già su nastro, ce n'è abbastanza per spremer-
gli tutta la storia quando alla fine lo porteremo dentro. Perciò non tutto è
perduto, okay?»
«Okay.»
«Vuoi che chiami Abel? Penso che vorrebbe essere informato.»
«Sì, d'accordo. Chiamalo. Non c'è niente da dire, ma fai pure.»
«Rilassati, Harry.»
Bosch la zittì sollevando il binocolo per guardare Mackey. Era ancora
dietro la scrivania e pareva immerso nei propri pensieri. L'altro uomo del
turno serale, quello che doveva essere Kenny, era seduto su una sedia con
il viso rivolto verso la televisione. Rideva di qualcosa che stava guardan-
do.
Mackey guardava fisso davanti a sé con il viso rannuvolato. Scrutava
qualcosa nella memoria.
L'attesa fino alla mezzanotte fece di quei novanta minuti i più lunghi che
Bosch avesse mai trascorso. Mentre aspettavano che la stazione di servizio
chiudesse e Mackey si dirigesse verso il suo appuntamento con Burkhart,
non successe nulla. I telefoni rimasero muti e Mackey non si mosse da die-
tro la scrivania. Bosch non riuscì a imbastire né un piano per sviare il ren-
dez-vous né trovò il modo di intrufolarsi nel loro incontro. Pareva tutto
congelato, finché l'orologio segnò la mezzanotte.
Finalmente le luci esterne della stazione di servizio si spensero e i due
uomini chiusero per la notte. Mackey uscì portando con sé il giornale che
non era in grado di leggere. Bosch sapeva che lo avrebbe mostrato a Bur-
khart e che con tutta probabilità avrebbero discusso dell'omicidio.
«E noi non ci saremo» borbottò mentre seguiva Mackey con il binocolo.
L'uomo salì sulla Camaro e fece rombare il motore. Si immise sulla
Tampa e si diresse a sud, verso casa, il luogo dell'incontro. Rider attese
quanto necessario, poi uscì dal parcheggio del centro commerciale, e si di-
resse a sud. Bosch chiamò Nord nella camera del suono e le disse che Ma-
ckey aveva lasciato la stazione di sevizio; avrebbero dovuto spostare il
monitoraggio sulla linea di casa.
Le luci dell'auto di Mackey erano a un centinaio di metri davanti a loro.
Il traffico era rado e Rider si mantenne a distanza di sicurezza. Quando
passarono accanto al parcheggio in cui aveva lasciato la macchina, Bosch
controllò la Mercedes per appurare che fosse ancora lì.
«Oh, oh» disse Rider.
Bosch si voltò verso la strada, appena in tempo per vedere l'auto di Ma-
ckey che compiva un'inversione a "U". Ora era diretta verso di loro.
«Harry, che faccio?» domandò Rider.
«Niente. Non fare niente di troppo palese.»
«Sta tornando verso di noi. Deve essersi accorto di essere seguito!»
«Stai calma. Magari ha riconosciuto la mia macchina parcheggiata là
dietro.»
Il rombo profondo del motore della Camaro li raggiunse ben prima
dell'auto stessa. Suonava minaccioso e maligno, un mostro che ruggiva e
correva loro incontro.
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PARTE TERZA
LE TENEBRE ATTENDONO
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La rampa di accesso dalla Tampa alla Ronald Reagan Freeway era chiu-
sa e il traffico veniva deviato lungo la Rinaldi fino all'entrata dal Porter
Ranch Drive. Tutta la rampa era intasata da auto della polizia. La Divisio-
ne Scientifica del LAPD, la Polizia stradale e l'ufficio del medico legale
erano tutti rappresentati, insieme ai membri della Unità Casi Irrisolti. Abel
Pratt aveva fatto delle chiamate e aveva ottenuto che il caso fosse affidato
proprio a loro. Poiché l'omicidio era avvenuto sulla rampa di una freeway
statale, tecnicamente ricadeva sotto la giurisdizione della Stradale, che tut-
tavia si dimostrò ben lieta di passare la palla, soprattutto quando fu chiaro
che il delitto era collegato con un'indagine in corso del LAPD. In altre pa-
role, avrebbero concesso al Dipartimento di Polizia di Los Angeles di ri-
mettere ordine nel casino che aveva fatto.
Il comandante della locale caserma della Polizia stradale offrì l'aiuto del-
la squadra di esperti in incidenti e Pratt accettò la proposta. Oltre a questo,
Pratt aveva radunato alcuni dei migliori tecnici di cui il dipartimento pote-
va disporre e tutto nel cuore della notte.
Bosch e Rider trascorsero gran parte del tempo dedicato all'esame della
scena del crimine seduti sui sedili posteriori dell'auto di Pratt, dove furono
interrogati a lungo prima dallo stesso Pratt e poi da Tim Marcia e Rick Ja-
ckson, che erano stati convocati per occuparsi delle indagini sulla morte di
Mackey. Siccome Bosch e Rider erano parte attiva in alcuni eventi e testi-
moni di altri, era fondamentale che non fossero loro i responsabili delle in-
dagini. Si trattava di una formalità tecnica. Era chiaro che Bosch e Rider
avrebbero continuato a occuparsi del caso Verloren, e per fare questo a-
vrebbero ovviamente dato la caccia anche all'assassino di Roland Mackey.
Verso le tre di notte, gli investigatori della Scientifica si riunirono con i
detective della Omicidi per confrontarsi sugli elementi in loro possesso fi-
no a quel momento. Il corpo di Mackey era appena stato rimosso da sotto
il furgone e la scena del crimine era stata fotografata con cura, videoregi-
strata e disegnata. Ora era considerata una scena aperta, dove tutti poteva-
no muoversi in libertà.
Pratt chiese all'investigatore della Stradale, un uomo alto di nome David
Allmand, di parlare per primo. Allmand usò un puntatore laser per eviden-
ziare le tracce degli pneumatici sulla strada e sulla ghiaia che, secondo la
sua opinione, erano collegate all'omicidio di Mackey. Diresse il raggio la-
ser anche sul retro del carro attrezzi, dove erano stati tracciati dei cerchi
con il gesso attorno a diversi graffi e ammaccature sullo spesso portellone
d'acciaio. Disse di essere giunto alle stesse conclusioni cui erano arrivati
Bosch e Rider subito dopo il ritrovamento di Mackey. Era stato assassina-
to.
«Le tracce degli pneumatici suggeriscono che la vittima abbia fermato il
carro attrezzi sulla corsia d'emergenza circa trenta metri a ovest di questo
punto» disse Allmand. «Con tutta probabilità lo ha fatto per evitare il vei-
colo in panne che si trovava già sulla corsia d'emergenza. Poi il carro at-
trezzi è stato fatto indietreggiare fino alla posizione attuale. L'autista ha
messo in folle e ha tirato il freno a mano prima di uscire dal furgone. Se
era di fretta, come suggeriscono le informazioni sussidiarie che ci avete
fornito, potrebbe essere andato subito sul retro per abbassare il dispositivo
per il traino. E qui l'assassino l'ha sorpreso.
È evidente che l'auto non fosse davvero in panne. Il guidatore ha premu-
to sull'acceleratore e l'auto è scattata in avanti, colpendo l'autista del carro
attrezzi e schiacciandolo contro il retro del furgone e l'attrezzatura per il
traino. La vittima doveva essersi chinata in avanti per liberare il gancio e
prepararsi al traino e questo spiegherebbe le ferite alla testa. Per prima co-
sa ha sbattuto la faccia contro il dispositivo. C'è del sangue sul braccio del
traino.»
Per illustrare quanto diceva, Allmand passò l'occhio rosso del laser sul
gancio del carro attrezzi.
«L'auto poi è indietreggiata» proseguì. «Ed è in quel momento che sono
rimasti i segni sull'asfalto, qui. Poi si è mossa ancora in avanti per sferrare
un altro colpo. La vittima con tutta probabilità era già ferita a morte in
conseguenza del primo impatto. Ma non era ancora morta. È probabile che
l'uomo sia caduto a terra dopo il primo urto e con le sue ultime forze sia
scivolato sotto il furgone per evitare il secondo. In ogni caso, il veicolo ha
colpito il furgone una seconda volta. E la vittima è morta a causa delle feri-
te mentre si trovava sotto il furgone.»
Allmand fece una pausa in attesa di domande, ma ci fu solo un silenzio
atterrito. A Bosch non veniva in mente nulla da chiedere. Allmand terminò
il resoconto puntando il laser su due delle tracce rimaste sulla ghiaia e
sull'asfalto.
«La distanza tra le ruote del veicolo che ha colpito la vittima non è mol-
to ampia» disse. «Questo elimina qualche modello. Doveva essere una pic-
cola auto straniera. Ho eseguito delle misurazioni, appena avrò effettuato
delle comparazioni, sarò in grado di fornirvi un elenco delle auto che po-
trebbero aver lasciato quelle tracce. Vi farò sapere.»
Visto che nessuno diceva nulla, Allmand utilizzò il laser per cerchiare
una piccola macchia sull'asfalto.
«In aggiunta, il veicolo perdeva olio. Non molto, ma potrebbe essere
importante per permettere al pubblico ministero di determinare quanto a
lungo il killer sia rimasto qui in attesa della vittima. Una volta rinvenuto il
veicolo, sarà possibile misurare la perdita e farci un'idea di quanto tempo
può esserci voluto perché si formasse una macchia di queste dimensioni.»
Pratt annuì.
«Buono a sapersi» disse.
Pratt ringraziò Allmand e chiese al viceispettore medico, Ravi Patel, di
riferire sull'esame preliminare del cadavere. Patel iniziò dalle numerose
ossa rotte e dalle ferite evidenti a un esame esterno del corpo. Disse che
era probabile che l'impatto avesse fratturato il cranio di Mackey, rotto l'or-
bita oculare sinistra e slogato la mascella. L'uomo aveva il bacino spezza-
to, così come la parte superiore sinistra del busto. Anche il braccio e la co-
scia sinistra erano rotti.
«È probabile che tali ferite siano state procurate dal primo impatto» dis-
se. «La vittima doveva essere in piedi e il colpo è arrivato sul lato posterio-
re destro del corpo.»
«Può essere riuscito a strisciare sotto il furgone?» domandò Rick Ja-
ckson.
«È possibile» rispose Patel. «Abbiamo visto l'istinto di sopravvivenza
spingere la gente a fare cose sorprendenti. Non ne sarò certo finché non lo
avrò aperto, ma quello che di solito riscontriamo in casi come questo è che
la compressione perfora i polmoni, che si riempiono di sangue. Non è un
processo rapido. Potrebbe essere scivolato verso quella che per lui era la
salvezza.»
"Per morire, invece, al margine della freeway" pensò Bosch.
Il prossimo a riferire doveva essere l'investigatore capo della Scientifica,
che era il fratello di Ravi Patel, Raj. Bosch li conosceva entrambi da pre-
cedenti casi e sapeva che erano tra i migliori nei rispettivi campi.
Raj Patel fornì le informazioni basilari sull'esame della scena del crimine
e riferì che gli sforzi di Mackey per salvarsi la vita scivolando sotto il fur-
gone avrebbero alla fine permesso agli investigatori di catturare il suo as-
sassino.
«Il secondo impatto contro il furgone è avvenuto senza il corpo a fare da
scudo. Metallo contro metallo. Ci sono sia tracce di metallo sia di vernice,
abbiamo raccolto diversi campioni. Se lo trovassimo, potremmo individua-
re il veicolo con una precisione del cento per cento.»
"Un po' di luce in tutta questa oscurità" pensò Bosch.
Dopo che Patel terminò il rapporto, la scena del crimine venne sgombra-
ta e gli investigatori si dispersero in varie direzioni per eseguire i diversi
incarichi che Pratt voleva fossero portati a termine prima che l'intera unità
si incontrasse al Pacific Dining Car alle nove del mattino per discutere il
caso.
Marcia e Jackson avevano il compito di perquisire la casa di Mackey.
Questo avrebbe significato strappare un giudice dal letto e ottenere una
firma sul mandato di perquisizione, visto che Mackey condivideva la casa
con William Burkhart, e Burkhart era un possibile sospetto. La casa - dove
si presumeva si trovasse Burkhart - era sotto sorveglianza al momento in
cui Mackey era stato falciato sulla freeway. Ciononostante, Burkhart a-
vrebbe potuto mandare qualcuno a compiere l'omicidio, il che lo poneva
tra i sospetti, almeno finché non avrebbe fugato ogni dubbio sul proprio
coinvolgimento.
Una delle prime chiamate che Bosch e Rider avevano effettuato dopo
aver trovato Mackey sotto il carro attrezzi, era stata a Kehoe e Bradshaw, i
due detective della Rapine e Omicidi che controllavano la casa sulla Ma-
riano Street. Erano entrati subito nell'appartamento e avevano preso in cu-
stodia Burkhart e una donna identificata come Belinda Messier.
Ora i due attendevano di essere interrogati al Parker Center, compito che
Pratt aveva affidato a Bosch e Rider.
Ma appena si voltarono per risalire la rampa verso l'auto di Rider, Pratt
chiese loro di aspettare. Si avvicinò e parlò in modo che nessun altro po-
tesse sentire.
«Immagino che non sia necessario che vi dica che ci prenderemo qual-
che scottatura per questa storia» disse.
«Lo sappiamo» rispose Rider.
«Non so ancora in che forma, ma un accertamento ci sarà. Potete contar-
ci.»
«Saremo pronti» disse Rider.
«Magari è meglio che vi facciate una chiacchierata mentre andate in cen-
trale» suggerì. «Tanto per trovare una linea comune.»
Bosch sapeva che Pratt stava dicendo di farsi un'idea precisa della storia
da raccontare, così che avrebbero potuto presentare una versione univoca,
anche se fossero stati interrogati separatamente.
«Andrà tutto bene» disse Rider.
Pratt lanciò un'occhiata a Bosch, poi distolse lo sguardo e lo rivolse al
furgone.
«Lo so» disse Bosch. «Se qualche testa dovrà cadere per questa storia,
sarà la mia. Va bene. È stata una mia idea.»
«Harry» disse Rider. «Non è...»
«Era mio il piano» la interruppe Bosch. «Sarò io a pagare.»
«Be', forse non pagherà nessuno» disse Pratt. «Prima mettiamo insieme i
tasselli di questa vicenda, meglio ne usciamo. Il successo fa scomparire un
sacco di merda. Perciò inchiodiamo questo stronzo entro l'ora di colazio-
ne.»
«L'hai detto, capo» disse Rider.
Bosch e Rider si diressero in silenzio verso la salita.
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Bosch andò a casa per farsi una doccia, infilarsi dei vestiti puliti e maga-
ri chiudere gli occhi per un po' prima di tornare in centro per la riunione
della unità. Ancora una volta guidò attraverso una città che si stava appena
svegliando. E ancora una volta gli parve orribile, colma di spigoli e sguardi
induriti. Tutto gli pareva brutto adesso.
Non era ansioso di andare alla riunione, sapeva che tutti gli occhi sareb-
bero stati su di lui. Per i detective dell'Unità Casi Irrisolti era chiaro che
ora, dopo la morte di Mackey, le loro azioni sarebbero state analizzate e
giudicate con il senno di poi. Se sentivano il bisogno di cercare una ragio-
ne per un arresto della carriera, non avrebbero dovuto andare troppo lonta-
no.
Bosch gettò le chiavi sul bancone della cucina e controllò il telefono.
Nessun messaggio. Consultò l'orologio e stabili che gli restavano come
minimo un paio d'ore prima di avviarsi verso il Pacific Dining Car. Con-
trollare l'ora gli ricordò l'ultimatum che aveva dato a Irving durante il con-
fronto che avevano avuto fuori dalla Rapine e Omicidi. Ma Bosch ormai
dubitava che avrebbe avuto notizie del vicecapo o di McClellan. Sembrava
proprio che tutti andassero a vedere i suoi bluff.
Sapeva che, con tutto quel peso addosso, dormire un paio d'ore non sa-
rebbe stata un'opzione praticabile. Si era portato a casa il fascicolo del de-
litto e tutti i file accumulati. Decise di lavorarci sopra. Sapeva che quando
tutto il resto andava storto, c'era sempre il fascicolo. Doveva tenere gli oc-
chi sull'obiettivo. Sul caso.
Avviò il bollitore del caffè, fece una doccia di cinque minuti e si rimise
al lavoro. Rilesse i documenti mentre un'edizione rimasterizzata di Kind of
Blue usciva dal lettore CD.
La sensazione che si stesse perdendo qualcosa che doveva trovarsi pro-
prio sotto i suoi occhi lo opprimeva. Sentiva che sarebbe stato tormentato
dal caso, che non sarebbe più riuscito a scrollarselo di dosso, a meno che
non fosse scattato qualcosa che gli avrebbe permesso di scovare ciò che
mancava. E sapeva che questo qualcosa poteva trovarsi solo nel fascicolo.
Decise che questa volta non avrebbe letto i documenti nell'ordine in cui
erano stati presentati dai primi investigatori del caso. Aprì gli anelli ed e-
strasse le pagine. Cominciò a leggerle in ordine sparso, prendendosi tutto il
tempo, accertando di aver assorbito ogni nome, ogni parola, ogni fotogra-
fia.
Quindici minuti dopo, stava guardando di nuovo le fotografie scattate
dalla Scientifica nella camera da letto di Rebecca Verloren quando sentì lo
sportello di un'auto che si chiudeva davanti a casa. Curioso di sapere chi
stesse parcheggiando là fuori così presto, si alzò e andò alla porta. Attra-
verso lo spioncino scorse un uomo che si avvicinava da solo. Non poteva
vederlo con chiarezza dietro la lente convessa del piccolo foro. Aprì co-
munque la porta, prima che l'ospite potesse bussare.
L'uomo fu sorpreso dal fatto di essere stato spiato mentre si avvicinava.
Era chiaro dal suo atteggiamento che si trattava di un poliziotto.
«McClellan?»
Annuì.
«Tenente McClellan. Presumo che lei sia il detective Bosch.»
«Avrebbe potuto chiamare.»
Bosch indietreggiò per farlo entrare. Nessuno dei due offrì all'altro la
mano da stringere. Bosch pensò che fosse tipico di Irving mandare il suo
uomo a casa. Una procedura standard, la classica strategia intimidatoria: so
dove abiti.
«Ho pensato che sarebbe stato meglio parlare faccia a faccia» disse
McClellan.
«Ha pensato? O lo ha pensato il vicecapo Irving?»
McClellan era un uomo grosso, con i capelli biondi, quasi trasparenti, e
ampie guance floride. Bosch pensò che il modo migliore per descriverlo
sarebbe stato ben nutrito. Le sue guance assunsero una tinta più scura alla
domanda di Bosch.
«Senta, sono qui per collaborare con lei, detective.»
«Bene. Posso offrirle qualcosa? Ho dell'acqua.»
«L'acqua andrà bene.»
«Si accomodi.»
Bosch andò in cucina, scelse dalla credenza il bicchiere più impolverato
e lo riempì con l'acqua del rubinetto. Girò l'interruttore della macchinetta
del caffè. Non aveva intenzione di mettere McClellan a proprio agio.
Quando tornò in salotto McClellan stava guardando oltre le porte a vetri
scorrevoli e la veranda. L'aria era limpida sul passo. Ma era ancora presto.
«Bella vista» disse McClellan.
«Lo so. Non vedo documenti nelle sue mani, tenente. Spero che questa
non sia una visita di cortesia, né una chiacchierata come quelle che fece
con Robert Verloren diciassette anni fa.»
McClellan si voltò verso Bosch e accettò il bicchiere d'acqua e l'insulto
con la medesima espressione vuota.
«Non ci sono documenti. Se ci fossero stati, sarebbero scomparsi molti
anni fa.»
«E dunque? È qui per cercare di convincermi con i suoi ricordi?»
«È vero, io ricordo molto bene quel periodo. Deve capire una cosa, io
ero un detective di primo grado assegnato alla PDU. Se mi veniva affidato
un lavoro, io lo svolgevo. Non si discutono gli ordini in quelle situazioni.
Lo fai una volta e sei fuori.»
«Perciò era un buon soldato che compiva bene il proprio lavoro. Ho ca-
pito. E che mi dice degli Otto di Chatsworth e dell'omicidio di Rebecca
Verloren? Che mi dice degli alibi?»
«C'erano otto membri negli Otto. Verificai tutti i loro alibi. E non pensi
che l'abbia fatto perché desideravo scagionarli. Mi venne chiesto di verifi-
care se qualcuno di quei disgraziati fosse coinvolto. E io controllai, ma ri-
sultarono tutti puliti, quantomeno per quanto riguardava l'omicidio.»
«Mi parli di Roland Mackey e William Burkhart.»
McClellan si sedette su una sedia accanto al televisore. Appoggiò sul ta-
volino da caffè il bicchiere d'acqua, da cui ancora doveva bere. Bosch
spense Miles Davis nel mezzo di Freddie Freeloader e rimase in piedi con
le mani in tasca, vicino alle porte scorrevoli.
«Be', per quello che riguarda Burkhart, fu facile. Quella sera lo stavamo
già sorvegliando.»
«Si spieghi.»
«Era appena uscito da Wayside. Ci era stato riferito che mentre era den-
tro si era verificata una recrudescenza dei conflitti etnico-religiosi, perciò
pensammo che fosse prudente vedere se avrebbe tentato di rimettere in
piedi la banda.»
«Chi diede l'ordine?»
McClellan si limitò a guardarlo.
«Irving, naturalmente» rispose Bosch. «Per mettere l'accordo al sicuro.
Perciò la PDU sorvegliava Burkhart. Continui.»
«Burkhart era uscito e aveva legato con due tizi del vecchio gruppo. Un
tipo di nome Withers e un altro di nome Simmons. Sembrava che potesse-
ro progettare qualcosa, ma la notte in questione erano in una sala da biliar-
do sulla Tampa a bere fino allo stordimento. Era un alibi solido. Due poli-
ziotti travestiti sono rimasti con loro tutto il tempo. È questo che sono ve-
nuto a dirle, detective. Erano alibi solidi.»
«Sì? Be', mi dica di Mackey. Il PDU non lo sorvegliava, no?»
«No, Mackey no.»
«E allora com'è che il suo alibi era così solido?»
«Quello che ricordo di Mackey è che nella notte in cui la ragazza venne
presa era sotto tutoraggio alla Chatsworth High. Frequentava le scuole se-
rali per prendere il diploma intermedio. Un giudice gliel'aveva ordinato
come condizione per la libertà sulla parola. Solo che doveva superare l'e-
same, ma non stava andando troppo bene. Tutte le sere libere le passava
con un tutor quando a scuola non c'erano lezioni. E la sera in cui la ragazza
venne portata via era con il tutor. Lo confermo.»
Bosch scosse il capo. McClellan stava cercando di fargli bere una storia
assurda.
«Mi sta dicendo che Mackey studiava con un tutor nel cuore della notte?
O sta mentendo o ha creduto a un sacco di stronzate. Mackey e il suo tutor.
Chi era l'insegnante?»
«Non ricordo il nome del tizio adesso, ma finirono al più tardi verso le
undici, poi se ne andarono ciascuno per la propria strada. Mackey andò a
casa.»
Bosch era esterrefatto.
«Questo non è un alibi, tenente! La ragazza è morta alle due di notte.
Non lo sapeva?»
«Certo che lo sapevo. Ma l'ora della morte non era l'unico elemento per
verificare l'alibi. Mi vennero dati i rapporti messi insieme dai tizi che se-
guivano il caso. Nessuno degli ingressi della casa era stato forzato. E il pa-
dre aveva fatto il giro per controllare che tutte le porte fossero chiuse dopo
essere rientrato alle dieci. Questo significa che il killer a quell'ora doveva
già essere dentro. Era nascosto, in attesa che tutti andassero a dormire.»
Bosch si sedette sulla poltrona e si chinò in avanti, con i gomiti sulle gi-
nocchia. All'improvviso si rese conto che McClellan aveva ragione, e che
tutto adesso era diverso. Aveva visto lo stesso rapporto che McClellan a-
veva letto diciassette anni prima, ma non ne aveva registrato il significato.
L'assassino era già in casa quando Robert Verloren era rientrato dal lavoro.
Questo cambiava molte cose. Cambiava il modo in cui Bosch doveva
guardare non solo alle indagini originarie, ma anche alle proprie.
Non registrando il tumulto interiore di Bosch, McClellan proseguì.
«Perciò Mackey non poteva essere entrato in quella casa perché era con
il suo tutor. Era pulito. Tutti quei piccoli bastardi erano puliti. Quindi feci
al mio capo un resoconto verbale e lui lo riferì ai due che lavoravano sul
caso. E con questo tutto finì, finché non è saltata fuori la storia del DNA.»
Bosch annuì, ma erano altre le cose a cui pensava.
«Se Mackey era pulito, come si spiega il DNA sull'arma del delitto?»
domandò.
«Non so cosa dire. Non lo so spiegare. L'ho scagionato dal coinvolgi-
mento nell'omicidio, ma deve essere...»
Non terminò la frase.
Bosch pensò che sembrasse davvero ferito all'idea di aver potuto aiutare
un assassino a farla franca, o quantomeno la persona che aveva fornito
l'arma del delitto. Sembrava che tutto d'un colpo si fosse reso conto di es-
sere stato corrotto da Irving. Aveva un aspetto desolato.
«Irving è ancora deciso a passare tutta la faccenda ai media e agli Affari
Interni?» domandò Bosch con calma.
McClellan scosse lentamente il capo.
«No» disse. «Mi ha detto di portarle un messaggio. Mi ha pregato di dir-
le che un accordo rimane un accordo soltanto se entrambe le parti vi ten-
gono fede. Tutto qui.»
«Un'ultima domanda» disse Bosch. «La scatola con le prove del caso
Verloren è scomparsa. Lei ne sa niente?»
McClellan lo fissò. Bosch si rese conto di averlo pesantemente insultato.
«Lo dovevo chiedere» disse Bosch.
«Io so solo che quella roba è sparita» disse McClellan con la mascella
serrata. «Chiunque potrebbe averla portata via in questi diciassette anni.
Ma non sono stato io.»
Bosch annuì. Si mise in piedi.
«Be', devo rimettermi al lavoro» disse.
McClellan raccolse l'invito e si alzò. Parve ingoiare la rabbia per l'ultima
domanda, forse aveva accettato la spiegazione di Bosch. Era una domanda
che non poteva essere evitata.
«Va bene, detective» disse. «Buona fortuna. Spero che riesca a catturare
il tizio. E lo dico sul serio.»
Porse la mano a Bosch. Bosch non conosceva la storia di McClellan, non
conosceva tutte le circostanze della vita del PDU nel 1988, ma sentiva che
McClellan avrebbe lasciato la casa con un fardello più greve di quello con
cui era entrato. Perciò decise che avrebbe potuto stringergli la mano.
Dopo che McClellan se ne fu andato, Bosch si sedette di nuovo, riflet-
tendo sul fatto che l'assassino di Rebecca Verloren doveva essere nascosto
nella casa. Si alzò e andò al tavolo della sala da pranzo, dove aveva spar-
pagliato i documenti. Sfogliò i rapporti finché non trovò quello della
Scientifica sull'analisi delle impronte digitali.
Il rapporto era lungo diverse pagine e conteneva l'analisi di molte im-
pronte lasciate sulla superficie degli oggetti contenuti nella casa dei Verlo-
ren. Il resoconto riassuntivo concludeva che nessuna delle impronte rinve-
nute nella casa aveva origine sconosciuta, pertanto era probabile che il so-
spetto o i sospetti indossassero i guanti, o che semplicemente avessero evi-
tato di toccare superfici sulle quali avrebbero potuto lasciare le impronte.
Il resoconto diceva che le impronte rilevate coincidevano con quelle dei
membri della famiglia Verloren o di persone che avevano ragioni valide
per essere state nella casa e aver toccato gli oggetti su cui erano rimaste le
tracce.
Questa volta Bosch lesse il resoconto in maniera differente e nella sua
interezza. Non era più interessato ai risultati, voleva sapere dove i tecnici
avevano cercato le impronte.
Il rapporto aveva la data del giorno successivo al ritrovamento del corpo
di Rebecca. Dettagliava i passaggi di routine della ricerca di impronte. Tut-
te le superfici erano state analizzate. Le maniglie delle porte e le chiavi. I
davanzali delle finestre e gli infissi. Tutti i punti sui quali sarebbe stato lo-
gico che l'assassino potesse aver lasciato impronte durante il crimine.
Mentre erano state rinvenute diverse impronte sulle finestre e sulle serratu-
re, che coincidevano con quelle di Robert Verloren, il rapporto affermava
che non erano state trovate tracce utilizzabili sulle maniglie delle porte
all'interno della casa. Non si trattava di una cosa insolita, a causa delle
sbavature che si verificavano ogni volta che la maniglia veniva girata.
Fu quello che non era scritto nel rapporto a rivelare a Bosch la falla at-
traverso la quale l'assassino poteva essersi salvato. La Scientifica era entra-
ta nella casa un giorno dopo la scoperta del corpo della vittima, dopo che il
caso era stato mal interpretato già due volte. Prima si era pensato alla fuga
di un'adolescente, poi a un suicidio. Come se non bastasse, quando alla fi-
ne erano state avviate le indagini per omicidio, la squadra era stata manda-
ta all'interno della casa senza alcuna indicazione.
A quel punto, gli investigatori non si erano ancora fatti un'idea del caso.
L'ipotesi che il killer potesse essere rimasto nascosto nel garage o da qual-
che altra parte per diverse ore non era ancora stata formulata. La ricerca di
impronte digitali e di altre prove, come capelli e fibre, non era mai andata
oltre l'ovvio, oltre la superficie.
Bosch sapeva che ormai era troppo tardi. Erano trascorsi troppi anni. Un
gatto si aggirava per la casa e chissà quanti oggetti comprati dai robivecchi
erano entrati e usciti dal luogo in cui l'assassino era rimasto nascosto ad
aspettare.
I suoi occhi si posarono sulle foto sparpagliate sul tavolo, e lui fu colpito
da un dettaglio. La camera da letto di Rebecca era l'unico locale che non
era stato contaminato dal tempo. Era come un museo con le sue opere d'ar-
te inscatolate e sigillate.
Bosch sparse sul tavolo le foto della camera da letto. C'era qualcosa che
lo aveva infastidito fin dalla prima volta. Non riusciva ancora a capire co-
sa, ma ora sentiva l'urgenza di andare a fondo. Studiò gli scatti dello scrit-
toio, del comodino e poi dell'armadio aperto. Da ultimo esaminò il letto.
Pensò alle foto che erano state pubblicate sul giornale e prese la seconda
copia dell'articolo che aveva conservato nel file con i documenti della se-
conda indagine.
Studiò gli scatti di Emmy Ward e li paragonò con le fotografie di dicias-
sette anni prima.
La stanza sembrava esattamente la stessa, come se fosse rimasta inviola-
ta dal dolore che emanava, ardente come una fornace. A un tratto notò una
piccola differenza. Nello scatto sul Daily News il letto era stato tirato e li-
sciato con cura, negli scatti più vecchi della Scientifica, il letto era rifatto,
ma la sopraccoperta da una parte era ripiegata verso l'interno, dall'altra era
scivolata verso l'esterno.
Gli occhi di Bosch si mossero avanti e indietro da una foto all'altra. Sentì
qualcosa che si scioglieva dentro di lui. Avvertì una piccola scarica elettri-
ca nel sangue. Ecco cosa l'aveva turbato. Era quel quid che non quadrava.
«Dentro e fuori» si disse.
C'era la possibilità che la sopraccoperta fosse stata tirata verso l'interno
del letto da qualcuno che era scivolato sotto, mentre, dall'altro lato, era sta-
ta spinta in fuori quando la persona era sgattaiolata fuori.
Dopo che tutti quanti si erano addormentati.
Bosch si alzò e cominciò a camminare a grandi passi, ripensando a tutta
la vicenda. Nelle foto scattate dopo il rapimento e l'omicidio, il letto mo-
strava in modo chiaro la possibile via di entrata e di uscita. L'assassino di
Rebecca poteva aver atteso proprio sotto il letto che la ragazza si addor-
mentasse.
«Dentro e fuori» disse di nuovo Bosch.
Ci lavorò ancora. Sapeva che non erano state rinvenute impronte digitali
leggibili nella casa. Ma erano state analizzate solo le superfici più ovvie.
Questo non significava per forza di cose che l'assassino indossasse i guan-
ti. Voleva dire solo che era stato abbastanza furbo da non toccare niente a
mani nude, o che aveva confuso le impronte dove era stato indispensabile
lasciarle. Anche se avesse indossato i guanti quando era entrato in casa,
possibile che l'assassino non li avesse mai tolti mentre aveva aspettato -
con tutta probabilità per ore - sotto il letto?
Valeva la pena di fare un tentativo. Bosch andò in cucina, chiamò la
Scientifica e chiese di Raj Patel.
«Raj, che stai facendo?»
«Catalogo le prove che abbiamo rinvenuto ieri notte sulla freeway.»
«Ho bisogno che il tuo uomo migliore venga con me a Chatsworth.»
«Ora?»
«Proprio ora, Raj. Più tardi potrei non avere più un lavoro. Dobbiamo
farlo adesso.»
«Cos'è che dobbiamo fare?»
«Voglio sollevare un letto e guardarci sotto. È importante, Raj. Se tro-
viamo qualcosa, ci porterà all'assassino.»
Ci fu un breve silenzio, poi Patel rispose.
«Sono io il mio uomo migliore, Harry. Dammi l'indirizzo.»
«Grazie, Raj.»
Gli diede l'indirizzo e riagganciò. Tamburellò le dita sul bancone, chie-
dendosi se era il caso di chiamare Kiz Rider. Era demoralizzata e depressa
quando erano usciti dal Parker Center, tanto da dichiarare che desiderava
solo mettersi a dormire. Avrebbe dovuto svegliarla per il secondo giorno di
fila? Sapeva che non era quello il punto. Il punto era che preferiva aspetta-
re di vedere se c'era qualcosa sotto il letto prima di ridestare le sue speran-
ze.
Decise di attendere che ci fosse qualcosa di concreto prima di chiamarla.
Invece prese il telefono e svegliò Muriel Verloren. Le disse che stava an-
dando a casa sua.
36
Bosch arrivò alla riunione della squadra al Pacific Dining Car in ritardo,
a causa del traffico di rientro dalla Valley. Erano tutti in una sala privata
interna. In molti erano già stati serviti.
La sua eccitazione doveva essere evidente. Pratt interruppe un resoconto
di Tim Marcia per guardare Bosch e disse: «O in queste due ore di libertà
hai avuto un colpo di fortuna, o non te ne frega niente della merda in cui
siamo sprofondati».
«Ho avuto un colpo di fortuna» disse Bosch, mentre prendeva posto
sull'unica sedia vuota. «Ma non nel senso che intendi tu. Raj Patel ha ap-
pena trovato l'impronta di un palmo e di due dita su un'assicella di legno
sotto il letto di Rebecca Verloren.»
«Bene» disse Pratt. «Cosa significa?»
«Significa che appena Raj passerà le impronte al database, potremmo
avere il nostro assassino.»
«Come avresti fatto?» domandò Rider.
Bosch non l'aveva più chiamata. Sentiva già una vibrazione ostile nel to-
no di voce della partner.
«Non ti volevo svegliare» disse Bosch. Poi si rivolse agli altri. «Stavo
esaminando i rapporti sulle impronte digitali nel fascicolo del delitto. Mi
sono reso conto che la Scientifica era andata a cercare le impronte solo il
giorno successivo al ritrovamento del corpo. Non ci erano più tornati dopo
che si era concretizzata la possibilità che il rapitore fosse entrato nella casa
prima di sera, quando la porta del garage era ancora aperta, e che si fosse
nascosto in attesa che tutti si addormentassero.»
«Allora perché il letto?» domandò Pratt.
«Le foto della scena del crimine mostrano che il copriletto ai piedi del
letto è stato spinto in dentro. Come se qualcuno vi fosse scivolato sotto.
Non se ne accorsero perché non cercavano quello.»
«Bel lavoro, Harry» disse Pratt. «Se Raj trova un riscontro, cambiamo
direzione e lavoriamo su quello. Va bene, torniamo ai nostri rapporti. Puoi
farti riferire dalla tua partner quello che ti sei perso fino ad ora.»
Pratt si volse quindi verso Robinson e Nord all'altro capo del lungo tavo-
lo e chiese: «A che conclusioni siete arrivati con la chiamata per il carro
attrezzi?».
«Non molto che possa essere d'aiuto» disse Nord. «La telefonata è arri-
vata dopo che avevamo spostato il monitoraggio sulla casa di Burkhart,
perciò non abbiamo una registrazione. Ma abbiamo la traccia della chiama-
ta, da cui risulta che era diretta alla Tampa Towing, prima di essere dirotta-
ta sul servizio di risposta della Tripla A. Arrivava da un telefono pubblico
di fronte al Seven-Eleven sulla Tampa, vicino all'entrata della freeway.
Con tutta probabilità, il nostro uomo ha effettuato la chiamata, poi è sceso
lungo la rampa e si è fermato ad aspettare.»
«Impronte sul telefono?» domandò Pratt.
«Abbiamo chiesto a Raj di dare un'occhiata» disse Robinson. «Il telefo-
no è stato pulito.»
«Figuriamoci» disse Pratt. «Avete parlato con la Tripla A?»
«Sì, nessun indizio, a parte la conferma che a chiamare è stato un uo-
mo.»
Si rivolse verso Bosch.
«Hai qualcosa da aggiungere che la tua partner non ci abbia ancora det-
to?»
«Sono sicuro che vi abbia detto tutto. Sembra che Burkhart sia pulito e a
quanto pare aveva un alibi solido anche la sera dell'omicidio Verloren. In
entrambi i casi era sotto sorveglianza del Dipartimento di Polizia di Los
Angeles.»
Kiz Rider lo guardò interrogativa, le sopracciglia aggrottate. Bosch ave-
va ancora altre informazioni di cui lei non era a conoscenza. Bosch distolse
lo sguardo.
«Be', mi sembra perfetto» commentò Pratt. «Allora, questo a cosa ci por-
ta, gente?»
«Be', il nostro piano con la stampa si è ritorto contro di noi» disse Rider.
«Mackey ha sentito il bisogno di parlare di Rebecca Verloren, ma non ne
ha avuto l'opportunità. Qualcun altro ha letto l'articolo.»
«E quel qualcuno è l'assassino» disse Pratt.
«Esatto» disse Rider. «La persona che Mackey ha aiutato, o a cui ha dato
la pistola diciassette anni fa. E questo tizio doveva anche sapere che non
era suo il sangue sulla pistola, e che quindi doveva essere di Mackey. Sa-
peva che Mackey era il collegamento che ci avrebbe portati a lui, perciò
doveva farlo sparire.»
«Come si è organizzato?» domandò Pratt.
«O è stato abbastanza furbo da immaginare che la storia era un'esca e
che noi stavamo sorvegliando Mackey, oppure ha supposto che il modo
migliore per arrivare a Mackey fosse quello che ha usato. Farlo uscire da
solo. Come ho detto, è stato scaltro. Ha scelto un'ora e un luogo in cui sa-
peva che Mackey sarebbe stato solo e vulnerabile. Su quella rampa sei in
alto sopra la freeway, anche con le luci del carro attrezzi accese, non sa-
rebbe stato possibile vedere quello che succedeva lassù.»
«Era anche un buon posto nel caso Mackey fosse stato pedinato» ag-
giunse Nord. «L'assassino doveva sapere che, se qualcuno stava seguendo
Mackey, in quel punto avrebbe dovuto tirare dritto.»
«Non stiamo dando a questo tizio un po' troppo credito?» domandò
Pratt. «Come avrebbe potuto capire che i poliziotti erano addosso al suo
uomo? Solo da un articolo di giornale? Andiamo.»
Né Bosch né Rider risposero, e il silenzio di tutti gli altri confermò l'ipo-
tesi latente che l'assassino avesse un legame con il dipartimento o, ancora
più precisamente, con le indagini.
«Va bene, cosa c'è ancora?» disse Pratt. «Penso che questa storia possa
essere tenuta sotto controllo al massimo per altre ventiquattro ore. Dopo di
che andrà a finire sui giornali e salirà le scale fino al sesto, e ci saranno un
sacco di spifferi dalle pareti se non impacchettiamo tutto per benino prima
che succeda. Che facciamo?»
«Prendiamo i tabulati telefonici» disse Bosch, parlando per sé e per Ri-
der. «E partiamo da quelli.»
Bosch stava pensando all'appunto per Mackey che aveva visto il giorno
prima sulla scrivania della stazione di servizio. Una chiamata della Visa
per verificare che fosse impiegato lì. Come aveva fatto notare Rider quan-
do glielo aveva riferito la prima volta, Mackey non era il tipo da lasciare
tracce come pagamenti con carta di credito. Era una nota stonata, e pertan-
to voleva indagarla meglio.
«Abbiamo qui tutti i tabulati» disse Robinson. «La linea più impegnata
era quella della stazione di servizio. Tutte chiamate di lavoro.»
«Okay, Harry, Kiz, volete le registrazioni?» domandò Pratt.
Rider guardò Bosch e poi Pratt.
«Se è quello che vuole Harry. Sembra che oggi sia in pista.»
Con straordinario tempismo, il telefono di Bosch cominciò a suonare.
Guardò il display. Era Raj Patel.
«Vedremo subito se siamo pronti al decollo» disse, mentre apriva il tele-
fono.
Patel disse di avere una notizia buona e una cattiva.
«La buona è che abbiamo ancora qui in archivio le impronte che furono
prese allora nella casa. Le impronte rilevate questa mattina non coincidono
con nessuna di quelle. Hai trovato un personaggio nuovo, Harry. Potrebbe
essere il tuo assassino.»
Questo significava che i campioni di impronte dei membri della famiglia
Verloren e degli altri che avevano avuto accesso alla casa si trovavano an-
cora negli archivi della Scientifica. Nessuno di quei campioni coincideva
con le impronte delle dita e del palmo ritrovate quella mattina sotto il letto
di Rebecca Verloren. Di certo le impronte digitali non potevano essere da-
tate, ed era possibile che quelle scoperte quella mattina fossero state lascia-
te da chi aveva montato il letto, ma sembrava improbabile. Le impronte
provenivano dalla parte inferiore della doga di legno. Chiunque le avesse
lasciate, con tutta probabilità si trovava sotto il letto.
«E la cattiva notizia?» domandò Bosch.
«Le ho appena passate al Dipartimento di Giustizia della California.
Nessun risultato.»
«E l'FBI?»
«È la prossima mossa, ma non sarà così veloce. Le devono trattare. Glie-
le invierò con la procedura d'urgenza, ma sai come vanno queste cose.»
«Lo so, Raj. Fammi sapere appena scopri qualcosa, e grazie per l'impe-
gno.»
Bosch chiuse il telefono. Provava un notevole disappunto, e il suo volto
lo tradiva. Capì che gli altri avevano colto il risultato delle ricerche prima
ancora che potesse dar loro la notizia.
«Non hanno trovato riscontri sul database del Dipartimento di Giustizia»
disse. «Proverà con l'archivio dei federali, ma ci vorrà un po' di tempo.»
«Merda!» disse Renner.
«A proposito di Raj Patel,» disse Pratt «suo fratello ha fissato l'autopsia
per le due di questo pomeriggio. Voglio una squadra là. Chi si offre?»
Renner alzò la mano con poca convinzione. Se ne sarebbero occupati lui
e Robleto. Era un incarico semplice, se uno non si lasciava turbare dalla
vista.
La riunione terminò dopo che Pratt ebbe destinato Robinson e Nord alla
stazione di servizio, a interrogare i colleghi di Mackey. Marcia e Jackson
avrebbero lavorato a mettere insieme i rapporti e al fascicolo del delitto.
Erano ancora i responsabili dell'indagine e l'avrebbero coordinata dalla
stanza 503.
Pratt guardò il conto, lo divise per nove e disse a tutti di mettere un deca.
Questo significava che Bosch doveva tirare fuori dieci dollari nonostante
non avesse preso neppure una tazza di caffè. Non protestò. Era il prezzo
per essere arrivato in ritardo e aver ficcato tutti quanti in quel guaio.
Mentre i detective si alzavano, incrociò lo sguardo di Rider.
«Sei venuta direttamente qui o ti ha portato qualcuno?»
«Mi ha dato un passaggio Abel.»
«Torniamo insieme?»
«Certo.»
Fuori dal ristorante, Rider punì Bosch con il trattamento del silenzio.
Mentre aspettavano che il parcheggiatore portasse loro la macchina, rimase
a fissare il grande manzo di plastica sopra l'insegna del locale. Aveva sot-
tobraccio una cartelletta con i tabulati delle telefonate.
Finalmente arrivò l'auto e ci salirono. Prima di uscire dal parcheggio,
Bosch si voltò e la guardò.
«Va bene, dillo.»
«Cosa?»
«Qualunque cosa tu voglia dire che possa farti sentire meglio.»
«Avresti dovuto chiamarmi, Harry. Tutto qui.»
«Senti, Kiz, ti ho chiamata ieri e mi hai insultato. Ho solo reagito a un'e-
sperienza recente.»
«Questa volta era diverso, e lo sai. Ieri mi hai chiamato perché eri eccita-
to per qualcosa. Oggi stavi seguendo una traccia. Avrei dovuto essere con
te. E non ho scoperto a cosa eri arrivato finché non sei entrato là dentro e
non l'hai detto a tutti quanti. È stato imbarazzante, Harry. Grazie.»
Bosch annuì, era davvero dispiaciuto.
«Su questo punto hai ragione. Mi dispiace. Avrei dovuto chiamarti sulla
via del ritorno. È solo che me ne sono dimenticato. Sapevo di essere in ri-
tardo e ho tenuto tutte e due le mani sul volante per cercare di arrivare il
prima possibile.»
Lei non disse nulla, perciò parlò di nuovo lui.
«Ora possiamo tornare a occuparci del caso?»
Rider alzò le spalle e Bosch avviò il motore. Sulla strada verso il Parker
Center cercò di aggiornarla su tutti i dettagli che non aveva menzionato
durante la riunione a colazione. Le disse della visita di McClellan a casa
sua e di come questa l'avesse condotto alla scoperta delle impronte sotto al
letto.
Venti minuti dopo erano nella loro nicchia nella stanza 503. Bosch fi-
nalmente aveva davanti una tazza di caffè. Si sedettero uno di fronte all'al-
tro e sparpagliarono i tabulati delle telefonate sulle scrivanie.
Bosch era concentrato sui rapporti relativi ai numeri della stazione di
servizio. L'elenco conteneva come minimo un paio di centinaia di voci -
chiamate in entrata e in uscita dei due telefoni della stazione - tra le sei del
mattino, quando era iniziata la sorveglianza, fino alle quattro del pomerig-
gio, quando Mackey si era presentato al lavoro e Renner e Robleto aveva-
no cominciato a monitorare le linee di persona.
Bosch esaminò la lista. Non c'era nulla che a prima vista apparisse fami-
liare. Molte erano chiaramente telefonate di lavoro, che provenivano o e-
rano destinate a utenti il cui nome era legato alle automobili. Molte altre
provenivano dal centralino della Tripla A, ed era verosimile che si trattasse
di chiamate per il carro attrezzi.
C'erano anche diverse telefonate che venivano da numeri privati. Bosch
guardò con attenzione i nomi ma niente gli saltò agli occhi. Nessuna delle
persone elencate era tra gli attori del caso.
C'erano quattro voci nella lista che erano state attribuite alla Visa, tutte
allo stesso numero. Bosch alzò il telefono e chiamò. Non sentì squillare.
Udì soltanto il suono stridulo del collegamento a un computer. Era così
forte che persino Rider lo sentì.
«Cos'è quello?»
Bosch riagganciò.
«Sto cercando di concentrarmi su quell'appunto che ho visto sulla scri-
vania alla stazione di servizio, quello sulla Visa che avrebbe chiamato per
aver conferma dell'impiego di Mackey. Ti ricordi che tu stessa hai detto
che non ti quadrava?»
«Me n'ero dimenticata. Era quello il numero?»
«Non lo so. La Visa compare quattro volte nel tabulato ma... aspetta un
minuto.»
Realizzò che le chiamate alla Visa erano solo in uscita.
«Non importa, queste erano chiamate in uscita. Deve essere il numero
che compone la macchina quando un cliente paga con la carta di credito.
Non ci sono chiamate in entrata dalla Visa.»
Bosch alzò di nuovo il ricevitore e chiamò il cellulare di Nord.
«Siete già alla stazione di servizio?»
La collega rise.
«Siamo appena usciti da Hollywood. Ci arriveremo tra mezzora.»
«Chiedete di un messaggio telefonico che qualcuno ha lasciato ieri per
Mackey. Qualcosa tipo la Visa che ha chiamato per avere conferma
dell'impiego indicato su una richiesta di carta di credito. Domandate cosa
ricordano della telefonata e, ancora più importante, a che ora è arrivata.
Cercate di ottenere l'ora esatta, se potete. Chiedetelo come prima cosa e ri-
chiamatemi subito.»
«Sì, signore. Desidera anche che veniamo a prendere la sua biancheria
sporca?»
Bosch si rese conto che non era la mattina giusta per pestare i piedi ai
colleghi.
«Scusa» disse. «Qui lavoriamo con una pistola puntata alla tempia.»
«Non è così per tutti noi? Ti chiamo appena abbiamo sentito il tizio.»
Nord riagganciò, Bosch posò il ricevitore e guardò Rider. La donna os-
servava la foto di Rebecca Verloren sull'annuario scolastico che avevano
preso in prestito.
«A cosa pensi?» domandò, senza alzare lo sguardo su Bosch.
«Questa storia della Visa mi disturba.»
«Lo so, perciò cosa pensi?»
«Be', diciamo che tu sei l'assassino e che hai avuto da Mackey l'arma
con cui hai commesso il delitto.»
«Allora ti sei arreso con Burkhart? Ieri sera ti ha proprio convinto.»
«Diciamo che i fatti mi stanno persuadendo. Per ora, okay?»
«Okay, vai avanti.»
«Va bene, perciò tu sei l'assassino e hai avuto la pistola da Mackey. È
l'unica persona al mondo che può far convergere le indagini su di te. Ma
sono passati diciassette anni e non è mai successo nulla, perciò ti senti al
sicuro e forse hai anche perso le tracce di Mackey.»
«Okay.»
«E poi ieri prendi il giornale, vedi la foto di Rebecca Verloren e leggi
che è saltata fuori una traccia di DNA. Il sangue non è tuo, perciò o si trat-
ta di un grande bluff dei poliziotti o il sangue è di Mackey. E in quel mo-
mento sai cosa devi fare.»
«Mackey deve sparire.»
«Esatto. I poliziotti si stanno avvicinando troppo. Deve sparire. Perciò
come lo trovi? Be', Mackey ha passato tutta la vita - quando non era in ga-
lera - a guidare carri attrezzi. Se sai questo, fai esattamente quello che ab-
biamo fatto noi. Sfogli le pagine gialle e cominci a chiamare le stazioni di
servizio.»
Rider si alzò e raggiunse gli armadietti con i dossier lungo la parete della
stanza. C'era sopra una pila disordinata di elenchi del telefono. Dovette
mettersi in punta di piedi per raggiungere le pagine gialle della Valley.
Tornò alla scrivania e aprì l'elenco alla pagina dei servizi di carro attrezzi.
Passò il dito sulla lista di indirizzi finché raggiunse la Tampa Towing, do-
ve lavorava Mackey. Alzò il telefono e compose il numero della stazione
di servizio che precedeva la Tampa sull'elenco, la Tall Order Towing Ser-
vice. Non mise il viva voce, e Bosch poté sentire soltanto lei.
«Sì, con chi parlo?»
Rimase un momento in attesa.
«Sono il detective Kiz Rider della polizia di Los Angeles. Sto indagando
su un caso di frode, posso farle alcune domande?»
Rider annuiva, a quanto pareva aveva ottenuto un «faccia pure».
«Il sospetto su cui sto concentrando le mie ricerche chiama diverse so-
cietà di servizi e si qualifica come un dipendente della Visa. Dice di tele-
fonare per una verifica sulla dichiarazione di impiego di qualcuno che ha
fatto richiesta per ottenere la carta di credito. Le dice niente? Abbiamo al-
cune informazioni che ci portano a credere che questo individuo ieri abbia
operato nella Valley. Tende a prendere come bersaglio il settore dei servizi
per l'automobile.»
Rider attese, mentre riceveva una risposta alla sua domanda; guardò
Bosch ma non diede alcuna indicazione.
«Sì, me la può passare per cortesia?»
Rider ripeté la stessa solfa a un'altra persona e pose la stessa domanda.
Poi si chinò in avanti e parve assumere una postura più rigida. Coprì il mi-
crofono e guardò Bosch.
«Bingo» disse.
Tornò alla telefonata e ascoltò ancora un momento.
«Era un uomo o una donna?»
Scrisse qualcosa.
«E a che ora ha chiamato?»
Scarabocchiò un altro appunto e Bosch si alzò per poter leggere rima-
nendo dietro la propria scrivania. La partner aveva scritto su un foglietto:
uomo, circa 13.30. Mentre la conversazione continuava, Bosch controllò il
tabulato delle telefonate e vide una chiamata in ingresso alla Tampa Tow-
ing alle tredici e quaranta. Proveniva da un numero privato. Il nome regi-
strato era Amanda Sobek. Il prefisso indicava che si trattava di un cellula-
re. Né il nome né il numero dicevano niente a Bosch. Ma non aveva alcuna
importanza. Pensò che potevano essere vicini a qualcosa.
Rider terminò la telefonata chiedendo alla persona con cui stava parlan-
do se ricordasse il nome dell'impiegato della Visa. Dopo aver evidente-
mente ricevuto una risposta negativa, domandò: «Le dice niente il nome
Roland Mackey?».
Attese.
«Ne è sicura?» insistette. «Okay, grazie per il suo tempo, Karen.»
Riattaccò e guardò Bosch. L'eccitazione nei suoi occhi aveva cancellato
il disappunto per essere stata esclusa dalla faccenda delle impronte.
«Avevi ragione» disse. «Hanno ricevuto una chiamata. Ha persino rico-
nosciuto il nome, Roland Mackey. Harry, qualcuno cercava di rintracciarlo
mentre noi lo tenevamo d'occhio.»
«E ora noi rintracceremo quel qualcuno. Se hanno seguito l'ordine alfa-
betico, la chiamata successiva è stata alla Tampa Towing. Il registro mo-
stra una chiamata alle tredici e quaranta da una certa Amanda Sobek. Non
è un nome che conosco, ma potrebbe essere la telefonata che cerchiamo.»
«Amanda Sobek» ripeté Rider mentre apriva il computer portatile. «Ve-
diamo cosa c'è su di lei sull'AutoTrack.»
Mentre rintracciava il nome, Bosch ricevette una telefonata da Robinson,
che era arrivato con Nord alla Tampa Towing.
«Harry, il tizio del turno di giorno ha detto che la chiamata è arrivata tra
l'una e le due. Lo sa perché era appena tornato dal pranzo, ed è uscito per
un traino alle due. Una chiamata della Tripla A.»
«Chi ha chiamato dalla Visa era uomo o donna?»
«Uomo.»
«Okay, nient'altro?»
«Sì, quando il tizio ha confermato che Mackey lavorava qui, quello della
Visa ha chiesto che orari facesse.»
«Bene. Puoi fargli un'altra domanda?»
«Ce l'ho qui.»
«Chiedi se hanno una cliente di nome Sobek. Amanda Sobek.»
Bosch attese che la domanda venisse posta.
«Nessuna cliente di nome Sobek» riferì Robinson. «È una buona noti-
zia?»
«Funzionerà.»
Dopo aver messo giù, Bosch si alzò e girò attorno alla scrivania per
guardare lo schermo del computer di Rider. Le disse quello che Robinson
le aveva appena riferito.
«Niente su Amanda Sobek?» domandò.
«Sì, c'è questo. Vive nella West Valley. Sulla Farralone Avenue a Cha-
tsworth. Ma non c'è molto di più. Niente carte di credito o mutui. Penso
che significhi che sia tutto intestato a nome del marito. Deve essere una
casalinga. Sto passando l'indirizzo per vedere se posso tirare fuori il nome
del coniuge.»
Bosch aprì l'annuario della classe di Rebecca Verloren. Iniziò a sfogliare
le pagine in cerca del nome Sobek o Amanda.
«Eccolo qui» disse Rider. «Mark Sobek. Tutto intestato a nome suo:
quattro auto, due case, un mucchio di carte di credito.»
«Non c'era nessuno che si chiamava Sobek nella sua classe» disse
Bosch. «Ma c'erano due ragazze che si chiamavano Amanda. Amanda Re-
ynolds e Amanda Riordan. Pensi che sia una di loro?»
Rider scosse il capo.
«Non penso. L'età non coincide. Qui dice che Amanda Sobek ha quaran-
tuno anni. Rebecca ne avrebbe otto in meno. Qualcosa non quadra. Pensi
che dovremmo semplicemente chiamarla?»
Bosch chiuse bruscamente l'annuario. Rider sobbalzò sulla sedia.
«No» disse. «Andiamoci.»
«Dove? A trovarla?»
«Sì. È ora che cominci ad alzare il culo e ad andare a bussare alle porte.»
Abbassò lo sguardo su Kiz Rider e vide che non era divertita.
«Non mi riferisco al tuo culo in particolare. È un modo di dire figurato.
Andiamo, dai.»
La donna si alzò.
«Sei piuttosto esuberante per uno che potrebbe non avere più il lavoro
alla fine della giornata.»
«È l'unico modo di fare, Kiz. La tenebra ci attende, e alla fine arriva
sempre, che tu ti comporti in un modo o nell'altro.»
La precedette fuori dall'ufficio.
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La cucina al Metro Shelter era buia. Bosch entrò nel piccolo atrio
dell'hotel accanto e parlò con l'uomo dietro il vetro. Chiese il numero di
stanza di Robert Verloren.
«È andato, amico.»
Il carattere risolutivo del tono scavò un buco nel petto di Bosch. Non
suonava come se Robert Verloren fosse uscito per la serata.
«Cosa vuol dire andato?»
«Vuol dire andato. L'ha fatto ed è andato. Questo è quanto.»
Bosch fece un passo verso il vetro. L'uomo teneva un romanzo in edi-
zione economica aperto sul bancone e non aveva alzato gli occhi dalle pa-
gine ingiallite.
«Ehi, guardami.»
L'uomo ripiegò il libro per non perdere il segno e alzò lo sguardo. Bosch
gli mostrò il distintivo. Poi abbassò gli occhi e vide che il libro si intitolava
Chiedi alla polvere.
«Sì, agente.»
Bosch scrutò gli occhi stanchi dell'uomo.
«Cosa vuol dire l'ha fatto e cosa vuol dire è andato?»
L'uomo alzò le spalle.
«È arrivato ubriaco, e questa è l'unica regola che abbiamo qui. Non si
beve. Niente ubriachi.»
«È stato licenziato?»
L'uomo annuì.
«E la sua stanza?»
«Le stanze vengono con il lavoro. Come ho detto, è andato.»
«Dove?»
L'uomo alzò le spalle ancora una volta. Indicò la porta che conduceva al
marciapiede sulla Fifth Street. Stava dicendo a Bosch che Verloren era là
fuori, da qualche parte.
«Succede» disse.
Bosch tornò a guardarlo.
«Quando è andato?»
«Ieri. Siete stati voi poliziotti a fargli questo, lo sa.»
«Cosa vuol dire?»
«Ho sentito dei poliziotti entrare qua dentro, dirgli delle merdate. Non so
cosa riguardassero, ma è stato appena prima di..., mi capisce insomma. Ha
lasciato il lavoro, è uscito e ci ha preso gusto di nuovo. E questo è tutto. Io
so solo che ora abbiamo bisogno di un nuovo chef perché il tizio che sta-
vano inserendo non è capace di cucinare neanche una merda di uovo.»
Bosch non disse nient'altro. Si allontanò dalla vetrata e andò alla porta.
Fuori dal ricovero la strada brulicava di gente. Il popolo della notte. I feriti
e i disadattati. Gente che si nascondeva dagli altri e si nascondeva da se
stessa. Gente che scappava dal passato, dalle cose che aveva fatto e da
quelle che non aveva fatto.
Bosch sapeva che la storia sarebbe uscita sui giornali il giorno seguente.
Avrebbe voluto essere lui a dirlo a Robert Verloren.
Decise di cercare l'uomo fuori da lì. Non sapeva che reazione avrebbe
provocato la notizia che portava. Non sapeva se avrebbe tirato Verloren
fuori dal suo buco o lo avrebbe spinto più a fondo. Forse niente poteva più
aiutarlo, ormai. Ma glielo voleva dire lo stesso. Il mondo era pieno di gen-
te che non era capace di andare oltre. Non c'era fine e non c'era pace. La
libertà non ti libera, ma puoi sempre andare oltre. Era questo che Bosch gli
avrebbe detto. Puoi dirigerti verso la luce, arrampicarti, scavare e combat-
tere per trovare la via per uscire dal buco.
Bosch spalancò la porta e si diresse fuori, nella notte.
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Bosch cercò Robert Verloren per tre delle sette notti successive, ma lo
trovò solo quando ormai era troppo tardi.
Una settimana dopo la cerimonia del diploma, Bosch e Rider erano se-
duti uno di fronte all'altro alle rispettive scrivanie, presi a dare le ultime
pennellate al caso contro Gordon Stoddard. L'imputato d'omicidio era stato
chiamato in giudizio dal tribunale di San Fernando all'inizio della settima-
na e si era dichiarato non colpevole. Ora il balletto giudiziario aveva avuto
inizio. Bosch e Rider avrebbero dovuto mettere insieme un impianto accu-
satorio che doveva tracciare le linee guida del caso contro Stoddard. Sa-
rebbe stato consegnato alla pubblica accusa e utilizzato nella negoziazione
con l'avvocato difensore di Stoddard. Dopo aver incontrato Muriel Verlo-
ren, Bosch e Rider, la pubblica accusa aveva impostato la propria strategia.
Se Stoddard avesse scelto di andare al processo, lo Stato avrebbe chiesto la
pena di morte per l'aggravante della premeditazione. L'alternativa per
Stoddard era evitare il rischio della pena capitale dichiarandosi colpevole
di omicidio di primo grado e patteggiando l'ergastolo senza la possibilità di
accedere alla libertà vigilata.
In un caso o nell'altro, il rapporto che Bosch e Rider avrebbero redatto
sarebbe stato di vitale importanza, perché avrebbe mostrato a Stoddard e al
suo avvocato quanto erano solide le prove in loro possesso. Sarebbero riu-
sciti a forzare la mano, avrebbero spinto Stoddard a scegliere tra la tetra al-
ternativa di trascorrere l'esistenza in carcere o di giocarsi la vita sull'esile
speranza di convincere una giuria della propria innocenza.
Era stata una buona settimana fino a quel momento. Rider si era ripresa
dallo spavento che le aveva provocato la pallottola di Stoddard e aveva ri-
conquistato la consueta abilità nell'elaborare i documenti di sintesi delle
indagini. Bosch aveva trascorso tutto il lunedì a ricostruire i passaggi del
caso con un investigatore della Affari Interni e, il giorno seguente, era sta-
to scagionato. Il verdetto «non atto a procedere» significava che all'interno
del dipartimento Bosch era pulito, anche se i numerosi articoli che affolla-
vano i giornali continuavano a sollevare domande sul perché il dipartimen-
to avesse usato Mackey come esca.
Bosch era pronto a passare all'indagine successiva. Aveva già confidato
a Rider che desiderava dare un'occhiata al caso della donna che avevano
trovata legata e annegata nella vasca da bagno il giorno in cui lui era entra-
to in servizio.
Lo avrebbero esaminato appena terminate le pratiche su Stoddard.
Abel Pratt uscì dall'ufficio e si infilò nel loro bugigattolo. Aveva sul viso
un'espressione funerea. Annuì in direzione dello schermo del computer di
Rider.
«State lavorando al caso Stoddard?»
«Sì» disse Rider. «Che succede?»
«Potete lasciar perdere. È morto.»
Nessuno disse nulla per un lungo istante.
«Morto?» domandò alla fine Rider. «Che cosa significa morto?»
«È morto nella sua cella della prigione di Van Nuys. Due ferite da perfo-
razione al collo.»
«Lo ha fatto da solo?» domandò Bosch. «Non pensavo che ne avrebbe
avuto la forza.»
«No, è stato qualcun altro.»
Bosch si irrigidì sulla sedia.
«Aspetta un minuto» disse. «Era in isolamento in un reparto di massima
sicurezza. Nessuno avrebbe potuto...»
«Qualcuno lo ha fatto questa mattina» disse Pratt. «E adesso arriva il
brutto.»
Pratt sollevò un taccuino che aveva in mano. C'erano degli appunti sca-
rabocchiati. Li lesse.
«Lunedì sera un uomo è stato arrestato sul Van Nuys Boulevard per u-
briachezza molesta. Ha anche aggredito uno degli agenti che lo avevano
fermato. Gli sono state prese le impronte ed è stato condotto nel carcere di
Van Nuys. Non aveva documenti e ha dichiarato di chiamarsi Robert
Light. Il giorno seguente, si è dichiarato colpevole di tutti i capi d'accusa e
il giudice lo ha condannato a una settimana nella prigione di Van Nuys. Le
impronte non erano ancora state passate al computer.»
Bosch avvertì un profondo strappo allo stomaco. Era terrorizzato. Sape-
va dove sarebbe arrivato il racconto.
Pratt proseguì servendosi degli appunti per ricostruire la vicenda.
«L'uomo che aveva dichiarato di chiamarsi Robert Light è stato assegna-
to alle cucine, poiché aveva sostenuto e dimostrato di avere esperienza nel
campo della ristorazione. Questa mattina ha barattato il proprio lavoro con
quello di un altro addetto alle cucine e si è occupato del carrello con le vi-
vande per i detenuti sotto sorveglianza speciale. Secondo quanto hanno ri-
ferito due guardie, quando Stoddard si è avvicinato alla finestrella scorre-
vole sulla porta della cella per ritirare il vassoio, Robert Light ha allungato
la mano attraverso le sbarre e lo ha afferrato. Lo ha poi pugnalato ripetu-
tamente con un punteruolo realizzato affilando un cucchiaio rotto.
Stoddard ha subito due ferite da perforazione al collo prima che le guardie
potessero soccorrerlo. Ormai era troppo tardi. Le arterie della carotide di
Stoddard erano tagliate e l'uomo è morto dissanguato prima che i secondini
potessero prestargli soccorso.»
Pratt si fermò ma Bosch e Rider non gli rivolsero domande.
«Per pura coincidenza,» riprese Pratt «le impronte di Robert Light veni-
vano finalmente passate al computer proprio mentre lui uccideva Stoddard.
Il computer ha smascherato un inganno: il detenuto aveva fornito delle fal-
se generalità. Il vero nome, come sono certo avrete già immaginato, era
Robert Verloren.»
Bosch fissò Rider dall'altra parte del tavolo ma non riuscì a reggere a
lungo il suo sguardo. Abbassò gli occhi sulla scrivania. Si sentiva come se
fosse stato preso a pugni. Chiuse gli occhi e si strofinò il viso con le mani.
Aveva la sensazione che in qualche modo fosse colpa sua. Era lui che ave-
va la responsabilità di occuparsi di Robert Verloren. Lo avrebbe dovuto
trovare.
«Come vi pare come conclusione?»
Bosch lasciò cadere le mani e si alzò. Guardò Pratt.
«Dov'è?»
«Verloren? È ancora lì. Se ne sta occupando la Omicidi di Van Nuys.»
«Ci vado.»
«Cosa farai?» domandò Rider.
«Non lo so. Tutto quello che posso.»
Uscì dalla nicchia e si lasciò alle spalle Rider e Pratt. In corridoio pre-
mette il tasto dell'ascensore e attese. La pesantezza al petto non si allenta-
va.
Sapeva che era il senso di colpa, la sensazione di non essere stato pronto
per il caso e di aver commesso degli errori che erano costati molto cari.
«Non è colpa tua, Harry. Ha fatto quello che aspettava da diciassette an-
ni.»
Bosch si voltò. Rider lo aveva raggiunto.
«Lo avrei dovuto trovare prima.»
«Non voleva essere trovato. Aveva un piano.»
La porta dell'ascensore si aprì. Era vuoto.
«Qualunque cosa tu abbia intenzione di fare,» disse Rider «io vengo con
te.»
Bosch annuì. Insieme a lei sarebbe stato più semplice. La invitò a entrare
nell'ascensore e la seguì. Mentre scendevano, avvertì la determinazione
che cresceva dentro di lui. La determinazione a portare avanti la sua mis-
sione. La determinazione a non dimenticare Robert, Muriel e Rebecca Ver-
loren. E si ripromise che avrebbe parlato sempre per conto dei morti.
Ringraziamenti
L'autore desidera ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alle ri-
cerche e alla stesura di questo romanzo. Tra di essi ci sono Michael
Pietsch, Asya Muchnick, Jane Wood e Peggy Leith Anderson, oltre a Jane
Davis, Linda Connelly, Terrill Lee Lankford, Mary Capps, Judy Couwels,
John Houghton, Jerry Hooten e Ken Delavigne. Un ringraziamento molto
speciale ai detective Tim Marcia, Rick Jackson e David Lambkin del Di-
partimento di Polizia di Los Angeles, oltre che al sergente Bob McDonald
e al capo della polizia William Bratton.
FINE