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MICHAEL CONNELLY

LA RAGAZZA DI POLVERE
(The Closers, 2005)

Ai detective che devono scrutare


dentro l'abisso

PARTE PRIMA
LA MISSIONE

Secondo la prassi e il protocollo del Dipartimento di Polizia di Los An-


geles, la chiamata due-sei è quella che provoca la reazione più immediata e
nel contempo desta i maggiori timori dietro i giubbotti antiproiettile; per-
ché è una di quelle chiamate da cui spesso dipende tutta la carriera. Il no-
me deriva dall'accostamento tra il codice 2 della chiamata radio, «Rispon-
dere il prima possibile», e il numero del piano del Parker Center, il sesto,
dal quale il capo della polizia dirige il dipartimento. Una due-sei implica la
convocazione senza ingiustificato ritardo nell'ufficio del comandante, di
fronte alla quale nessun agente che conosca e abbia a cuore la propria po-
sizione nel dipartimento indugerà.
Nel suo primo periodo di servizio al dipartimento, durato venticinque
anni, il detective Harry Bosch non aveva mai ricevuto una convocazione
senza ingiustificato ritardo dal capo della polizia. Di fatto, a parte quando
gli avevano consegnato il distintivo nel 1972 all'Accademia, non aveva più
stretto la mano o parlato di persona con un comandante. Era sopravvissuto
a diversi di loro, e certo li aveva incontrati alle parate e ai funerali, ma non
se li era mai trovati sulla propria strada. La mattina in cui doveva rientrare
in servizio dopo tre anni di congedo, ricevette la sua prima due-sei mentre
si faceva il nodo alla cravatta davanti allo specchio del bagno. Un assisten-
te del capo lo aveva chiamato sul cellulare privato. Bosch non si preoccu-
pò di domandare come avessero recuperato il numero. Era comprensibile
che l'ufficio del comandante avesse il potere di allungare in questo modo i
propri tentacoli. Bosch rispose che sarebbe arrivato nel giro di un'ora, ma
l'assistente ribatté che era atteso prima. Harry finì di annodarsi la cravatta
sull'auto, mentre guidava alla velocità massima che il traffico gli consenti-
va sulla freeway 101 in direzione del centro.
Trascorsero ventiquattro minuti esatti tra il momento in cui Bosch inter-
ruppe la conversazione con l'assistente e quello in cui attraversò le doppie
porte degli uffici del comando al sesto piano del Parker Center. Pensò che
dovesse trattarsi di una specie di record, senza considerare che aveva par-
cheggiato in divieto di sosta sulla Los Angeles Street davanti al quartier
generale della polizia. Visto che conoscevano il suo numero di cellulare,
dovevano sapere anche che impresa era stata raggiungere l'ufficio del co-
mandante da Hollywood Hills in meno di mezz'ora.
Ma l'assistente, un tenente di nome Hohman, lo fissò con occhi disinte-
ressati e indicò un divano ricoperto di plastica sul quale sedevano già altre
due persone in attesa.
«È in ritardo» disse. «Si sieda.»
Bosch decise di non protestare, per non peggiorare ulteriormente la si-
tuazione. Raggiunse il divano e si sedette in mezzo ai due uomini in uni-
forme, che si stringevano ai braccioli. Erano seduti rigidi e non chiacchie-
ravano. Immaginò che anche loro avessero ricevuto la due-sei.
Passarono dieci minuti. Gli uomini ai lati di Bosch furono chiamati pri-
ma di lui, ed entrambi liquidati dal capo in cinque minuti secchi. Mentre il
secondo era dentro, Bosch ebbe l'impressione di sentire delle grida dallo
studio, e quando l'agente uscì aveva il viso cinereo. Doveva aver combina-
to qualche casino agli occhi del capo, e correva voce - una voce che era fil-
trata fino a Bosch in congedo - che questo nuovo comandante non tolleras-
se i casinisti. Bosch aveva letto un servizio sul Times a proposito di un
membro dello staff del comandante che era stato retrocesso per aver omes-
so di informarlo che il figlio di un consigliere cittadino, di solito schierato
contro il dipartimento, era stato beccato per un reato da due anni di galera.
Il capo lo aveva scoperto solo dopo che il consigliere aveva chiamato per
lamentarsi dell'arresto, come se fosse stato il Dipartimento di Polizia a co-
stringere il ragazzo a bersi sei vodka martini al Bar Marmount, a tornarse-
ne a casa in macchina e ad abbattere il tronco di un albero sul Mulholland.
Finalmente Hohman mise giù il telefono e puntò il dito in direzione di
Bosch. Era il suo turno. Venne chiuso in un ufficio d'angolo che si affac-
ciava sulla Union Station e sul deposito dei treni. Era una vista decente,
ma non grandiosa. Non aveva alcuna importanza, il palazzo sarebbe stato
presto demolito. Il dipartimento si sarebbe trasferito in una sede provviso-
ria mentre veniva ricostruito un nuovo e più moderno quartier generale
nello stesso punto. Gli agenti avevano soprannominato il quartier generale
"la casa di vetro", con tutta probabilità perché al suo interno non c'erano
segreti. Bosch si domandò come sarebbe stato chiamato il nuovo edificio.
Il capo della polizia era seduto dietro una grande scrivania, intento a
firmare delle carte. Senza alzare la testa dal lavoro ordinò a Bosch di ac-
comodarsi all'altro capo del tavolo. Nel giro di trenta secondi firmò l'ulti-
mo documento e levò lo sguardo su Bosch. Sorrise.
«Volevo incontrarla e darle il bentornato nel dipartimento.»
La voce era segnata da un accento dell'est. Dipa-timento. Per Bosch non
c'era problema. A Los Angeles tutti erano originari di qualche altro posto.
O almeno così pareva. Era insieme il punto di forza e la debolezza della
città.
«È bello essere di nuovo qui» disse Bosch.
«Capirà di essere tornato grazie al mio interessamento.»
Non si trattava di una domanda.
«Sì, signore. Lo so.»
«Come è ovvio, ho controllato con attenzione il suo operato prima di
approvare il reinserimento nei ranghi. Avevo qualche perplessità riguardo
al suo... possiamo definirlo "stile", ma alla fine il talento ha avuto la me-
glio. Deve anche ringraziare la sua partner, Kizmin Rider, per le pressioni
che ha esercitato su di me. È un buon agente e io mi fido di lei. E Rider si
fida di lei, Bosch.»
«L'ho già ringraziata, ma lo farò di nuovo.»
«So che sono passati solo tre anni da quando è andato in congedo, ma le
assicuro, detective, che non ritroverà lo stesso dipartimento che ha lascia-
to.»
«Capisco.»
«Lo spero. Sa della sentenza consensuale?»
Poco dopo che Bosch aveva lasciato il dipartimento, il precedente capo
era stato costretto a mettere in atto una serie di riforme per evitare che il
Dipartimento di Polizia di Los Angeles venisse commissariato a seguito di
un'indagine dell'FBI su casi di corruzione su larga scala, violenza e viola-
zione dei diritti umani. Dal capo all'ultimo dei pivelli, nessuno desiderava
il commissariamento.
«Sì» rispose Bosch. «Ho letto qualcosa in proposito.»
«Bene, sono contento che si sia tenuto aggiornato. E sono lieto di infor-
marla che, a dispetto di quanto avrà letto sul Times, facciamo grandi pro-
gressi, e vogliamo mantenere questo slancio. Stiamo anche cercando di
aggiornare il dipartimento dal punto di vista tecnologico. Stiamo spingen-
do dal lato dell'ordine pubblico. Stiamo facendo un mucchio di cose buo-
ne, detective Bosch, molte delle quali perderebbero valore agli occhi
dell'opinione pubblica se tornassimo ai vecchi sistemi. Capisce cosa inten-
do?»
«Penso di sì.»
«Il suo rientro non è garantito. Lei è in prova per un anno. Si consideri
di nuovo una recluta. Un pivello, il pivello più anziano d'America, a ben
vedere. Sono stato io ad approvare il suo reinserimento, posso anche sbat-
terla fuori in qualsiasi momento, alla prima occasione. Non me ne dia mo-
tivo.»
Bosch non rispose. Non pensava di essere tenuto a farlo.
«Venerdì diplomeremo una nuova classe di cadetti all'Accademia. Vor-
rei che ci fosse anche lei.»
«Signore?»
«Voglio che ci sia anche lei. Voglio che lei veda la dedizione sul volto
dei nostri giovani. Voglio che si riavvicini alle tradizioni di questo dipar-
timento. Penso che possa esserle utile, aiutarla a riconsacrarsi.»
«Se vuole che ci sia, ci sarò.»
«Bene. Ci vediamo lì, allora. Siederà sotto la tenda delle autorità, come
mio ospite.»
Prese un appunto riguardo all'invito su un blocchetto accanto al tampo-
ne, quindi posò la penna e alzò la mano per puntare il dito contro Bosch. I
suoi occhi assunsero un'espressione feroce.
«Mi ascolti, Bosch. Non le è consentito infrangere la legge, neppure per
difendere la legge. Il suo operato deve avere come guida la costituzione e
la compassione. Non accetterò alcun altro metodo. Questa città non accet-
terà alcun altro metodo. Siamo d'accordo su questo?»
«Siamo d'accordo.»
«Allora siamo pronti a partire.»
Bosch raccolse l'invito e si alzò. Il capo lo sorprese alzandosi a sua volta
e allungando il braccio. Bosch pensava che volesse stringergli la mano e la
distese verso il superiore. Il capo gli posò qualcosa sul palmo, Harry ab-
bassò lo sguardo e riconobbe il distintivo dorato dei detective. Gli era stato
assegnato il vecchio numero. Non lo avevano dato a qualcun altro. Quasi
sorrise.
«Ne sia all'altezza,» disse il capo della polizia «e lo porti con orgoglio.»
«Lo farò.»
Questa volta si strinsero la mano, ma mentre lo facevano, il capo non
sorrideva.
«Il coro delle voci dimenticate» aggiunse.
«Scusi, comandante?»
«È quello che penso quando rifletto sui casi irrisolti. È una galleria degli
orrori. La nostra peggiore vergogna. Tutti quei casi. Tutte quelle voci. O-
gnuna di loro è come un sasso gettato nello stagno. Le increspature
dell'acqua si allargano, propagate dal tempo e dalla gente. Familiari, amici,
vicini. Come possiamo definirci una città quando ci sono così tante incre-
spature, quando tante voci sono state dimenticate dal dipartimento?»
Bosch ritirò la mano e non disse nulla. Non c'era risposta per la domanda
del comandante.
«Ho cambiato il nome dell'unità quando sono arrivato al dipartimento.
Non sono cold case, casi "freddi", detective. Non si raffreddano mai. Al-
meno, non per qualcuno.»
«Capisco.»
«Allora vada laggiù e risolva quei casi. È in questo che consiste la sua
arte. Per questo abbiamo bisogno di lei, e per questo lei è qui. Ho scom-
messo su di lei, dimostri a quella gente che noi non dimentichiamo. Dimo-
stri che a Los Angeles i casi non si raffreddano.»
«Lo farò.»
Bosch lo lasciò lì, ancora in piedi, pareva perseguitato da quelle voci.
Condivideva quell'angoscia e pensò che forse per la prima volta aveva
avuto un punto di contatto con l'uomo al vertice. Nell'esercito si diceva che
tu vai al fronte, combatti e sei ansioso di morire per gli uomini che ti ci
hanno mandato. Bosch non aveva mai avuto quella sensazione quando si
muoveva nell'oscurità dei tunnel in Vietnam. Si era sentito solo, sentiva di
combattere per se stesso, per sopravvivere. Si era portato quell'impressione
nel dipartimento e a volte aveva avuto il dubbio di combattere a dispetto
degli uomini al vertice. Forse adesso le cose sarebbero state diverse.
Premette il tasto dell'ascensore con più forza di quanto fosse necessario.
Aveva troppa energia, era troppo eccitato, e lo capiva. Il coro delle voci
dimenticate. Pareva che il comandante conoscesse il canto intonato da
quelle voci. E di certo anche Bosch lo conosceva. Aveva trascorso gran
parte della sua vita ad ascoltare quel canto.

Bosch prese l'ascensore e scese solo di un piano, fino al quinto. Anche


questo era per lui un territorio inesplorato. Il quinto piano era sempre stato
riservato ai civili. Ospitava essenzialmente uffici amministrativi di basso e
medio livello, la maggior parte dei quali era occupata da dipendenti che
non avevano prestato giuramento: contabili, analisti e scribacchini. Civili.
Prima di quel giorno non aveva mai avuto motivo di visitare il quinto pia-
no.
Uscito dall'ascensore non trovò alcuna targa a indicare la collocazione
dei vari uffici. Era il genere di piano in cui tutti sanno dove andare prima
di mettere piede fuori dall'ascensore. Ma Bosch non lo sapeva. I corridoi
formavano la lettera "H", e Harry prese due volte la direzione sbagliata
prima di trovare l'ufficio 503. Sulla porta c'era scritto solo il numero. Pri-
ma di aprirla si fermò un attimo a riflettere su quello che stava per fare, su
ciò che stava per cominciare. Sapeva che era la cosa giusta. Aveva la sen-
sazione di udire le voci che provenivano da dentro. Tutte e ottomila.
Kiz Rider era seduta su una scrivania, sorseggiava una tazza di caffè fu-
mante. La scrivania assomigliava alla postazione di una centralinista, ma
Bosch sapeva dalle frequenti telefonate delle settimane precedenti che per
quella squadra il centralino non era previsto. Non c'erano abbastanza soldi
per un simile lusso. Rider sollevò il polso e scosse il capo mentre guardava
l'orologio.
«Pensavo che fossimo d'accordo di vederci alle otto» esordì. «Andrà
sempre così, socio? Ti vedrò comparire tutte le mattine all'ora che ti gira?»
Bosch consultò a sua volta l'orologio. Erano le otto e cinque. Guardò la
donna e sorrise. Lei restituì il sorriso e disse: «Siamo finiti qua».
Rider era bassa, un po' sovrappeso, i suoi capelli corti mostravano le
prime striature di grigio, e la sua pelle nera rendeva il sorriso ancora più
smagliante. Scivolò giù dalla scrivania e prese una seconda tazza di caffè
per Harry.
«Vediamo se mi ricordo bene.»
Bosch verificò e annuì.
«Nero, proprio come i partner che preferisco.»
«Simpatico. Ti dovrò fare rapporto per questo.»
Fece strada. L'ufficio sembrava vuoto. Era grande, doveva ospitare nove
investigatori, quattro coppie e un ufficiale di comando. Le pareti erano tin-
teggiate di blu chiaro, il colore che Bosch vedeva spesso sugli schermi dei
computer. Moquette grigia. Nessuna finestra. Lungo le pareti, nei punti in
cui avrebbero dovuto trovarsi le finestre, c'erano delle bacheche e delle fo-
to incorniciate con cura che ritraevano la scena del crimine di delitti risa-
lenti a molti anni prima. Bosch era certo che gli autori di quegli scatti in
bianco e nero avessero posto la loro abilità artistica davanti alle esigenze
investigative. Le foto ricercavano gli stati d'animo, le ombre, ma non mo-
stravano molti dettagli della scena del crimine.
Rider doveva essersi accorta che Bosch guardava quelle immagini.
«Mi hanno detto che è stato James Ellroy, lo scrittore, a sceglierle e a
farle incorniciare per l'ufficio» commentò.
Lo accompagnò al di là di un tramezzo che divideva la stanza in due, en-
trarono in una rientranza dove erano collocate due scrivanie di metallo gri-
gio, accostate l'una all'altra in maniera che i due detective che ci lavorava-
no si guardassero in faccia. Rider posò il caffè su una delle scrivanie. So-
pra c'erano già delle cartellette impilate e alcuni oggetti personali, come
una tazza piena di penne e una cornice girata in modo tale da nascondere
alla vista la foto in essa contenuta. Un computer portatile aperto ronzava
sulla scrivania. Rider era entrata nella squadra la settimana precedente,
mentre Bosch sbrigava ancora le formalità di rito, vale a dire le visite me-
diche e la compilazione delle carte che gli avrebbero permesso di rientrare
in servizio.
L'altra scrivania era sgombra, vuota, aspettava lui. Harry scivolò dietro il
tavolo e appoggiò il caffè Trattenne un sorriso, per quanto poté.
«Bentornato, Roy» disse Rider.
Questo fece prorompere il sorriso. Essere chiamato di nuovo Roy lo fa-
ceva sentire bene. Era una tradizione portata avanti da molti detective della
squadra Omicidi della città. C'era stato un detective leggendario, di nome
Russell Kuster, che aveva operato alla Divisione Hollywood molti anni
prima. Era un grande professionista, il più grande, e molti dei detective che
lavoravano per la Omicidi erano passati prima o poi sotto la sua guida. Nel
1990 era rimasto ucciso in una sparatoria mentre non era in servizio. Ma la
sua abitudine di chiamare le persone Roy - qualunque fosse il loro vero
nome - gli era sopravvissuta. L'origine di quella tradizione era ormai sco-
nosciuta. Qualcuno diceva che fosse nata perché Kuster per un periodo a-
veva avuto un partner appassionato di Roy Acuff e aveva cominciato a u-
sare quel soprannome con lui. Altri sostenevano che a Kuster piacesse l'i-
dea che il poliziotto della Omicidi fosse un tipo alla Roy Rogers: con il
cappello bianco, pronto a correre in aiuto, a sistemare le cose. Ormai non
aveva alcuna importanza. Bosch sapeva che il semplice fatto di essere
chiamato di nuovo Roy era un onore.
Si sedette. La sedia era vecchia e malferma: garantito che gli avrebbe
fatto venire un gran mal di schiena se fosse rimasto seduto lì troppo a lun-
go. Ma sperava che non sarebbe successo. Nel suo primo periodo alla O-
micidi aveva seguito alla lettera il motto Alza il culo e bussa alle porte.
Non c'era alcuna ragione per cui questa volta la situazione dovesse cam-
biare.
«Dove sono tutti quanti?» domandò.
«A fare colazione. Me l'ero dimenticato. La settimana scorsa mi hanno
detto che al lunedì mattina si trovano tutti presto per fare colazione insie-
me. Di solito vanno al Pacific. Me ne sono ricordata solo quando sono ar-
rivata qui e ho trovato il posto deserto, ma dovrebbero rientrare presto.»
Bosch sapeva che il Pacific Dining Car era da sempre il locale preferito
dai pezzi grossi del Dipartimento di Polizia di Los Angeles e dagli agenti
della Divisione Rapine e Omicidi. Sapeva anche qualcos'altro.
«Dodici dollari per un piatto di uova. Immagino che questo significhi
che siamo finiti in una squadra in cui gli straordinari vengono pagati.»
Rider confermò con un sorriso.
«Proprio così. Ma comunque tu non avresti avuto nemmeno il tempo di
finirle, le tue belle uova, visto che sei stato convocato dal capo, senza in-
giustificato ritardo.»
«L'hai saputo, eh?»
«Ho ancora un orecchio su al sesto. Hai avuto indietro il distintivo?»
«Sì, me l'ha dato.»
«Gli ho detto io quale numero avresti voluto. Lo hai ricevuto?»
«Sì, Kiz, grazie. Grazie di tutto.»
«Questo me l'hai già detto, socio. Non c'è bisogno di continuare a ripe-
terlo.»
Bosch annuì e si guardò attorno. Notò che sulla parete dietro Rider c'era
la foto di due detective che confabulavano accanto a un cadavere adagiato
sul letto asciutto di cemento del Los Angeles River. Sembrava uno scatto
dei primi anni Cinquanta, a giudicare dai cappelli che indossavano i detec-
tive.
«Allora, da dove cominciamo?» domandò.
«I casi sono stati divisi in gruppi di tre anni ognuno. Questo garantisce
una certa continuità. Ritengono che così si possa arrivare a conoscere bene
il periodo e alcuni dei protagonisti del dipartimento di allora. È un buon
modo anche per individuare i delitti seriali. In due anni si sono già imbat-
tuti in quattro serial killer di cui nessuno sapeva nulla.»
Bosch annuì. Era colpito.
«Che anni ci sono capitati?» domandò.
«Ogni team ha quattro o cinque blocchi. Dato che noi siamo gli ultimi
arrivati, ne abbiamo quattro.»
Aprì il cassetto di mezzo della scrivania, tirò fuori un foglio e glielo por-
se.

Bosch/Rider - Casi assegnati


1966 1972 1987 1996
1967 1973 1988 1997
1968 1974 1989 1998

Bosch studiò la lista degli anni di cui si sarebbero occupati. Era stato
fuori città e in Vietnam per la maggior parte del primo blocco.
«The summer of love, l'estate dell'amore» disse. «Me la sono persa. For-
se è questo il mio problema.»
Lo disse tanto per dire qualcosa. Notò che il secondo blocco compren-
deva il 1972, l'anno in cui era entrato in servizio. Si ricordò della chiamata
in una casa di campagna nel Vermont durante il secondo giorno di pattu-
glia. Una donna che viveva sulla costa atlantica aveva chiesto di andare a
controllare la madre, che non rispondeva al telefono. Bosch la trovò anne-
gata nella vasca da bagno, le mani e i piedi legati con dei guinzagli. Insie-
me a lei nella vasca c'era il suo cane, anche lui morto. Bosch si domandò
se il caso dell'anziana assassinata fosse uno dei casi ancora aperti che ora
era incaricato di risolvere.
«Come ci si è arrivati? Voglio dire, perché ci sono toccati questi anni?»
«Ce li hanno lasciati gli altri team. Abbiamo alleggerito il loro carico. In
realtà, si erano già messi in moto su molti casi dei nostri anni. Venerdì ho
sentito che è saltato fuori un cold hit dell'88. Dobbiamo occuparcene a par-
tire da oggi. Immagino che si possa considerare il tuo regalo di bentorna-
to.»
«Cos'è un cold hit?»
«Quando inseriamo nel computer del Dipartimento di Giustizia un esa-
me del DNA o un indizio e salta fuori una corrispondenza.»
«Qual è il nostro caso?»
«Penso che abbiano trovato una corrispondenza nel DNA. Lo scoprire-
mo questa mattina.»
«Non ti hanno detto nulla la scorsa settimana? Sarei potuto entrare in
servizio nel week-end, lo sai.»
«Lo so, Harry, ma è un vecchio caso. Non c'è alcun bisogno di partire in
quarta nell'istante esatto in cui troviamo un pezzo di carta nella cassetta
della posta. Lavorare all'Unità Casi Irrisolti è diverso.»
«Sì? Come mai?»
Rider sembrava esasperata, ma prima che potesse rispondere sentirono
aprirsi la porta e la sala cominciò a riempirsi di voci.
Rider uscì dalla nicchia seguita da Bosch. Presentò il compagno agli altri
membri della squadra. Bosch conosceva bene due dei detective, Tim Mar-
cia e Rick Jackson, avevano collaborato a diversi casi. Le altre due coppie
era formate da Robert Renner e Victor Robleto, e Kevin Robinson con Je-
an Nord. Bosch li conosceva di nome, così come conosceva Abel Pratt,
l'ufficiale di comando dell'unità. Ognuno di loro era stato un elemento di
spicco della Omicidi.
Lo salutarono cordialmente, senza eccessivo calore, in maniera un po'
troppo formale. Bosch era consapevole che con tutta probabilità il suo in-
serimento nella squadra era visto con sospetto. Quell'unità era molto ambi-
ta da tutti gli uomini del dipartimento. Il fatto che avesse ottenuto il posto
dopo quasi tre anni di congedo aveva sollevato parecchi interrogativi.
Bosch sapeva, come gli aveva ricordato il capo della polizia, di dover rin-
graziare Rider. L'ultimo incarico della partner era stato nell'ufficio del co-
mandante, come analista delle politiche del dipartimento. Aveva capitaliz-
zato tutti i punti che si era guadagnata agli occhi del capo per ottenere che
Bosch fosse reintegrato e lavorasse ai casi insoluti insieme a lei.
Dopo tutte le strette di mano, Pratt invitò Bosch e Rider nel suo ufficio
per un discorsetto privato di benvenuto. Si sedette alla scrivania e i due
presero posto uno accanto all'altro su due sedie di fronte a lui. Nella stan-
zetta, grande come uno sgabuzzino, non c'era spazio per altra mobilia.
Pratt era di qualche anno più giovane di Bosch, più vicino ai cinquanta
che ai sessanta. Si manteneva in forma e possedeva lo spirito di corpo della
decantata Divisione Rapine e Omicidi, della quale l'Unità Casi Irrisolti era
soltanto una ramificazione. Pratt pareva sicuro dei propri mezzi e della ca-
pacità di comandare l'unità. Doveva esserlo per forza. La Rapine e Omicidi
si occupava dei casi più difficili. Bosch sapeva che se non pensavi di esse-
re più in gamba degli altri, più duro e più furbo della gente a cui davi la
caccia, allora non potevi appartenere alla squadra.
«Quello che dovrei fare sarebbe dividervi» iniziò. «Affiancarvi a qual-
cuno che si sia già acclimatato nell'unità, perché qui il lavoro è diverso da
quello che avete fatto in passato. Ma ho ricevuto l'ordine dal sesto piano, e
non lo discuterò. E comunque, ho sentito dire che tra di voi c'è una chimica
che funziona piuttosto bene. Perciò scordiamoci quello che dovrei fare e
lasciate che vi dica qualcosa riguardo a come si lavora nella nostra unità.
Kiz, so che hai già sentito questo discorso la settimana scorsa, ma dovrai
sorbirtelo di nuovo, okay?»
«Certo» disse Rider.
«Prima di tutto, dimenticatevi i casi chiusi. I casi chiusi sono una stron-
zata. Chiudere un caso è un termine usato dai media, qualcosa che scrivo-
no sui giornali per parlare dei cold case, dei "casi freddi". La chiusura del
caso è una presa per il culo. È una bugia del cazzo. Qui noi non facciamo
altro che fornire risposte. Le risposte devono bastare. Perciò non prendete-
vi in giro. Non prendete in giro i familiari delle vittime e non fatevi pren-
dere in giro da loro.»
Si fermò, in attesa di un commento, non ne ottenne e proseguì. Bosch
notò che la foto incorniciata e appesa al muro raffigurava un uomo acca-
sciato in una cabina telefonica tempestata di proiettili. Si trattava di quel
tipo di cabina telefonica che si vedeva solo nei vecchi film, al Farmers
Market o da Phillippe.
«Senza alcun dubbio, il nostro ufficio è il luogo più nobile di tutto il pa-
lazzo. Una città che si dimentica le sue vittime è una città perduta. Questo
è il luogo dove non si dimentica. Siamo come i giocatori che entrano al
nono inning, per vincere o per perdere la partita. Siamo i closers, gli ultimi
lanciatori, i lanciatori più importanti. Se non ci riusciamo noi, non ci riesce
nessuno. Se sbagliamo noi, la partita è persa, perché rappresentiamo l'ulti-
ma risorsa. Sì, siamo troppo pochi. Ci sono stati ottomila casi irrisolti dagli
anni Sessanta a oggi. Ma noi siamo imperterriti. Se riuscissimo a risolvere
anche un solo caso al mese - dodici all'anno - sarebbe già qualcosa. Siamo
quelli che fanno l'ultimo lancio, ragazzi. Se sei ossessionato dagli omicidi,
questo è il tuo posto.»
Bosch era colpito da tanto fervore. Riconobbe la sincerità, persino il do-
lore negli occhi di Pratt. Annuì. Capì all'istante che desiderava lavorare per
quell'uomo, un caso raro nei molti anni di esperienza al dipartimento.
«Non dimenticatevi che chiudere il caso non è la stessa cosa che essere il
closer» aggiunse Pratt.
«Chiaro» disse Bosch.
«Ora, so che voi due avete entrambi molta esperienza nella Omicidi.
Quello che qui troverete di diverso è il vostro rapporto con il caso.»
«Rapporto?» domandò Bosch.
«Sì, rapporto. Intendo dire che il cadavere fresco è un animale del tutto
diverso. Avete il corpo, avete l'autopsia, portate la notizia alla famiglia.
Qui si tratta di vittime scomparse da molto tempo. Non c'è nessuna auto-
psia, la scena del crimine non esiste più. Avete a che fare con il fascicolo
del delitto - se riuscite a trovarlo - e con gli archivi. Quando andate dalla
famiglia - e datemi retta, non fatelo prima di essere davvero pronti - trova-
te della gente che ha già subito lo shock e può aver trovato o no il modo di
superarlo. È qualcosa che logora. Spero che siate pronti.»
«Grazie dell'avvertimento» disse Bosch.
«Il lavoro sugli omicidi freschi è clinico, perché le cose si muovono ve-
loci. Quello sui casi vecchi è emotivo. Riscoprirete il tributo che il tempo
deve pagare alla violenza. Preparatevi.»
Pratt trascinò un grosso raccoglitore blu dal bordo al centro della scriva-
nia. Stava per porgerlo ai due agenti, ma si fermò.
«Un'altra cosa a cui bisogna prepararsi è il dipartimento stesso. Dovete
tenere conto che i dossier sono incompleti, addirittura mancanti. Dovete
essere consapevoli che le prove materiali sono state distrutte o sono scom-
parse. Per molti dei casi dovrete cominciare da pochi elementi raffazzona-
ti. Questa unità è stata istituita solo due anni fa. Abbiamo passato i primi
otto mesi a frugare negli archivi per estrarre i casi insoluti. Abbiamo recu-
perato il possibile dai database, ma anche quando abbiamo avuto successo,
siamo stati comunque ostacolati dalla natura frammentaria delle informa-
zioni. È stato terribile. È stato frustrante. Nonostante non esista la prescri-
zione per casi di omicidio, abbiamo scoperto che i reperti, gli interi dos-
sier, venivano di norma buttati a ogni cambio di amministrazione.
Quello che sto dicendo è che scoprirete che l'ostacolo maggiore alla riso-
luzione di questi casi potrebbe dimostrarsi proprio il dipartimento.»
«Si dice che è saltato fuori un cold hit relativo a uno dei nostri anni» in-
tervenne Bosch.
Aveva ascoltato abbastanza. Ora desiderava solo cominciare a muoversi
su qualcosa.
«Sì, è così» rispose Pratt. «Ci arriveremo in un secondo. Lasciami finire
il mio discorsetto. Dopotutto, non mi capita troppo spesso di poterlo tene-
re. In estrema sintesi, quello che cerchiamo di fare qui è applicare ai vecchi
casi le nuove tecnologie e le procedure moderne. Le tecnologie, in sostan-
za, si sono evolute su tre fronti: DNA, impronte digitali e perizie balisti-
che. In tutte e tre le aree lo sviluppo dell'analisi comparata è stato fenome-
nale negli ultimi dieci anni. Il problema del nostro dipartimento è che que-
sti strumenti innovativi non sono mai stati utilizzati per riaprire casi del
passato. Di conseguenza, stimiamo di avere all'incirca duemila casi per i
quali è disponibile la prova del DNA ma non è stata effettuata alcuna
comparazione. Dal 1960 a oggi ci sono quattromila casi con impronte digi-
tali che non sono mai state passate al computer. Fa ridere, se non fosse che
è una faccenda troppo triste per riderci sopra. Lo stesso si può dire della
balistica. Stiamo scoprendo che in molti dei casi le prove ci sono, ma sono
state ignorate.»
Bosch scosse il capo, avvertiva già la frustrazione di tutte le famiglie
delle vittime i cui casi erano stati spazzati via dal tempo, dall'indifferenza,
dall'incompetenza.
«Scoprirete anche che le procedure sono cambiate. Oggi alla Omicidi i
poliziotti sono molto più meticolosi dei loro colleghi degli anni Sessanta,
persino di quelli degli anni Ottanta. Perciò, ancor prima di trovare le prove
materiali, mentre rivedete il caso, arriverete a riconoscere dei particolari
che a voi adesso paiono lampanti, ma che non lo sono stati per nessuno
all'epoca dell'omicidio.»
Pratt annuì. Il discorso era finito.
«Veniamo al cold hit» concluse, spingendo il raccoglitore blu sbiadito
dall'altra parte del tavolo. «Datevi da fare con questo, ragazzi. È tutto vo-
stro. Risolvete il caso e sbattete qualcuno in prigione.»

Dopo aver lasciato l'ufficio di Pratt decisero che Bosch sarebbe andato a
prendere il secondo giro di caffè mentre Rider avrebbe cominciato a legge-
re il fascicolo del caso. Sapevano dalle passate esperienze che era lei la più
veloce a leggere, e non aveva senso dividere il fascicolo in due. Serviva a
entrambi leggerlo in modo lineare dall'inizio alla fine, per avere davanti
agli occhi le indagini secondo lo sviluppo temporale in cui si erano svolte
ed erano state documentate.
Bosch disse che così Rider avrebbe avuto un bel vantaggio. Aggiunse
che si sarebbe bevuto una tazza di caffè in caffetteria, ne sentiva la man-
canza. Del posto, non del caffè.
«Allora immagino che questo mi conceda qualche minuto per andare in
fondo al corridoio» disse lei.
Dopo che Kiz ebbe lasciato l'ufficio per raggiungere la toilette, Bosch
prese il foglio in cui erano elencati gli anni che gli erano stati assegnati e
se lo infilò nella tasca interna della giacca. Lasciò l'ufficio 503 e scese al
terzo piano con l'ascensore. Attraversò il salone principale della Rapine e
Omicidi e arrivò all'ufficio del capitano.
Era diviso in due locali, uno era l'ufficio vero e proprio, l'altro veniva
chiamato "la stanza dei delitti". Era arredata con un lungo tavolo da riu-
nioni dove si discutevano le indagini sui casi di omicidio; su due delle pa-
reti erano disposte file di scaffali che contenevano i codici legali e i registri
degli omicidi della città. Ogni delitto commesso a Los Angeles nell'ultimo
secolo era stato inserito in quei registri rilegati in pelle. Negli anni si era
diffusa la pratica di aggiornarli ogni volta che un caso veniva risolto. Era il
modo più semplice per il dipartimento di determinare quali casi erano an-
cora aperti e quali erano stati chiusi.
Bosch fece scorrere un dito sui dorsi crepati dei volumi. Su tutti c'era
scritto solo OMICIDI e, a seguire, l'elenco degli anni che vi erano stati re-
gistrati. Ognuno dei primi volumi comprendeva diversi anni. Ma a partire
dagli anni Ottanta erano stati commessi così tanti omicidi in città che un
tomo riusciva a contenere i resoconti di un anno soltanto. Notò che il 1988
era addirittura diviso in due volumi, e di colpo si fece un'idea del perché
quell'anno fosse stato attribuito proprio a lui e a Rider, gli ultimi arrivati
all'Unità Casi Irrisolti. Il picco di omicidi in quell'anno doveva comportare
anche un picco di casi irrisolti.
Raggiunto il tomo che partiva dal 1972, lo estrasse e si sedette al tavolo.
Sfogliò le pagine, lambì le storie, ascoltò le voci. Ritrovò l'anziana signora
annegata nella vasca da bagno. Il caso non era mai stato risolto. Andò a-
vanti, attraversò il 1973 e il 1974, sfogliò il libro che conteneva 1966, '67 e
'68. Lesse di Charles Manson e Robert Kennedy. Lesse di gente i cui nomi
non aveva mai sentito nominare. Nomi che erano stati strappati loro insie-
me a tutto quello che quegli individui possedevano o avrebbero potuto
possedere.
Mentre leggeva quei cataloghi di orrori della città, Bosch avvertì una
forza familiare che si impossessava di lui e ricominciava a scorrergli nelle
vene. Era tornato al lavoro da un'ora appena ed era già sulle tracce di un
assassino. Non importava quanto tempo prima fosse stato versato quel
sangue. C'era un omicida in libertà e Bosch stava arrivando. Come il figliol
prodigo, sapeva di essere tornato al proprio posto. Era stato battezzato di
nuovo nelle acque dell'unica vera chiesa. E quella era la sua missione. Sa-
peva che avrebbe trovato la propria salvezza in coloro che da tempo erano
venuti a mancare, in quelle bibbie polverose dove i morti erano incolonnati
uno sotto l'altro e i fantasmi popolavano ogni pagina.
«Harry Bosch!»
Sorpreso dall'intrusione, Bosch chiuse il libro con un colpo e alzò lo
sguardo. Il capitano Gabe Norona era in piedi sulla soglia dell'ufficio in-
terno.
«Capitano.»
«Bentornato.»
Avanzò e strinse con vigore la mano di Bosch.
«È bello essere di nuovo qui.»
«Vedo che ti hanno già dato da fare i compiti a casa.»
Bosch annuì.
«Cerco di acclimatarmi.»
«Tempi d'oro per i morti. Harry Bosch riprende in mano il caso.»
Bosch non disse nulla. Non capiva se il tono del capitano fosse sarcasti-
co.
«È il titolo di un libro che ho letto una volta» spiegò Norona.
«Oh.»
«Bene, buona fortuna. Vai là fuori e sbattili dentro.»
«È quello che voglio fare.»
Il capitano gli strinse di nuovo la mano, scomparve nel suo ufficio e
chiuse la porta.
Bosch si alzò, il momento sacro era stato rovinato da quell'intrusione.
Cominciò a risistemare i pesanti cataloghi sugli scaffali. Quando ebbe fini-
to, lasciò l'ufficio per andare alla caffetteria.

Kiz Rider era quasi a metà del fascicolo quando Bosch rientrò con il se-
condo giro di caffè. Gli prese la tazza dalle mani.
«Grazie, ho bisogno di qualcosa per tenermi sveglia.»
«Come? Non vorrai farmi credere che questo lavoro è più noioso che
passare carte nell'ufficio del comandante.»
«No, non è questo. È il fatto di mettersi in pari con tutte le informazioni
che ci mancano, leggere tutto. Dovremo arrivare a conoscere questo fasci-
colo come le nostre tasche. Dobbiamo essere pronti a ogni eventualità.»
Bosch notò che la collega aveva un blocco per appunti aperto accanto al
fascicolo, e la prima pagina era piena di appunti. Non riusciva a leggere
cosa ci fosse scritto, ma vedeva che la maggior parte delle righe terminava
con un punto di domanda.
«Comunque,» aggiunse la donna «ora uso dei muscoli diversi. Muscoli
che al sesto piano non usavo mai.»
«Capisco» disse lui. «Va bene se inizio anch'io adesso?»
«Accomodati.»
Aprì l'anello del raccoglitore e tirò fuori il fascio di documenti spesso
cinque centimetri che aveva già letto. Li passò a Bosch, che si era seduto
alla sua scrivania.
«Hai un altro blocco grande come quello?» domandò. «Io ho solo un
taccuino.»
Rider sospirò in maniera esagerata. Bosch sapeva che era tutta scena e
che la partner era contenta di lavorare di nuovo con lui. Aveva passato gli
ultimi due anni a studiare strategie e a risolvere problemi per il nuovo co-
mandante. Ma quello per cui era veramente tagliata era il lavoro vero del
poliziotto.
Fece scivolare un blocco verso di lui.
«Hai bisogno anche di una penna?»
«No, per quella penso di potermela cavare.»
Bosch posò i documenti sul tavolo e cominciò a leggere. Era pronto a
partire, e non aveva bisogno del caffè per mettersi in moto.

La prima pagina del fascicolo era una foto a colori contenuta in una bu-
sta di plastica trasparente con tre fori. La foto, presa da un annuario scola-
stico, ritraeva una ragazza attraente ed esotica, i cui occhi a mandorla di un
verde sorprendente si stagliavano contro la pelle color caffè. Aveva i ca-
pelli castani, ricci, con delle striature di biondo che parevano naturali e che
avevano catturato il flash della macchina fotografica. Gli occhi erano lu-
minosi e il sorriso naturale. Quel sorriso pareva dire che la ragazza custo-
diva segreti che nessun altro conosceva. Bosch non pensò che fosse bella.
Non ancora. I tratti somatici parevano in conflitto l'uno con l'altro, non co-
ordinati. Ma sapeva che la goffaggine degli adolescenti spesso si addolci-
sce e più tardi si trasforma in bellezza.
Ma per la sedicenne Rebecca Verloren non ci sarebbe mai stato un più
tardi. Il 1988 sarebbe stato il suo ultimo anno di vita. Il cold hit riguardava
l'omicidio della ragazza.
Becky, come la chiamavano i familiari e gli amici, era l'unica figlia di
Robert e Muriel Verloren. Muriel era casalinga, Robert era lo chef e il pro-
prietario di un famoso ristorante di Malibu, l'Island House Grill. Vivevano
sulla Red Mesa Way poco oltre la Santa Susana Pass Road a Chatsworth,
nell'angolo nord occidentale dell'agglomerato urbano che si congiungeva
con Los Angeles. Il giardino sul retro della loro casa si inerpicava sul pen-
dio alberato della Oat Mountain, la montagna che si ergeva sopra Cha-
tsworth e rappresentava il confine nord occidentale della città. Quell'estate
Becky aspettava di frequentare il terzo anno alla Hillside Preparatory
School, una scuola privata vicino a Porter Ranch, dove era nella lista degli
studenti meritevoli e dove sua madre lavorava come volontaria alla caffet-
teria, portando persino il pollo al jerk e altre specialità dalla cucina del ri-
storante del marito per la mensa dei professori.
La mattina del 6 luglio 1988, i Verloren scoprirono che la figlia non era
in casa. Trovarono la porta sul retro aperta, nonostante fossero sicuri di a-
verla chiusa a chiave la sera prima. Pensando che la ragazza potesse essere
uscita a fare una passeggiata, aspettarono in apprensione per un paio d'ore,
ma Becky non tornò. Quel giorno sarebbe dovuta andare al ristorante con
il padre, per lavorare al turno di mezzogiorno come aiutocameriera, ed era
passato da parecchio l'orario in cui sarebbero dovuti partire per Malibu.
Mentre la madre chiamava le amiche, nella speranza di localizzarla, il pa-
dre andò a cercarla sulla collina dietro casa. Quando tornò senza aver tro-
vato alcuna traccia di lei, i genitori decisero che fosse giunto il momento di
chiamare la polizia.
Furono inviati a casa Verloren degli agenti della Divisione Devonshire.
Non trovarono segni di effrazione. Per questa ragione, e per il fatto che la
ragazza era nell'età che contava la più alta percentuale di fughe, sembrava
probabile che Rebecca fosse scappata di casa. Si decise così di seguire la
procedura standard per le persone scomparse, a dispetto delle proteste dei
genitori che non credevano possibile che la figlia avesse lasciato la casa di
propria volontà.
Due giorni più tardi la tesi dei genitori si dimostrò tragicamente vera. Il
cadavere già in stato di decomposizione di Becky Verloren fu rinvenuto
accanto al tronco abbattuto di una quercia, a una decina di metri circa da
un sentiero per le passeggiate a cavallo sulla Oat Mountain. Una donna in
sella al suo appaloosa aveva lasciato il sentiero incuriosita da un odore ter-
ribile, e si era imbattuta nel cadavere. La cavallerizza avrebbe potuto be-
nissimo ignorare quel tanfo, ma aveva appena visto sui pali del telefono il
cartello con la foto della ragazza scomparsa nella zona.
Becky Verloren era morta a meno di quattrocento metri da casa. Era
probabile che il padre fosse passato a pochi metri, addirittura a pochi passi
dal corpo mentre si inerpicava sulla collina chiamando a gran voce il nome
della figlia. Ma quella mattina non c'era ancora nessun cattivo odore che
potesse attirare la sua attenzione.
Bosch era padre di una ragazzina. Sebbene la figlia vivesse lontana da
lui, con la madre, non era mai distante dai suoi pensieri. In quel momento
pensò a un padre che si arrampica sulla collina e chiama il nome della fi-
glia, che non tornerà mai più a casa.
Cercò di concentrarsi sui documenti.
La vittima era stata uccisa con un colpo di pistola al petto. L'arma, una
Colt semiautomatica calibro 45, era stata rinvenuta tra le foglie accanto al-
la caviglia sinistra della ragazza. Mentre studiava le foto della scena del
crimine, Bosch scorse quella che gli parve la bruciatura provocata da uno
sparo ravvicinato sulla stoffa della camicia da notte azzurra. Il foro del
proiettile si trovava appena sopra il cuore, e Bosch capì dal calibro
dell'arma e dalla dimensione della ferita che la morte doveva essere so-
praggiunta immediata. Il cuore era stato frantumato dal proiettile che aveva
attraversato il corpo.
Bosch esaminò a lungo le foto del cadavere. La vittima non aveva le
mani legate. Non c'erano tracce di violenza, né di colluttazione. Il viso era
rivolto verso il tronco caduto. Niente lasciava pensare a una molestia ses-
suale o a un'aggressione di qualsiasi genere.
Il fraintendimento da parte della polizia sulla scomparsa della ragazza
era stato aggravato da un secondo errore, nell'analisi della scena del delit-
to. Gli incartamenti dimostravano che il decesso era stato considerato un
probabile caso di suicidio, e come tale era stato presentato alla Omicidi dai
due detective che avevano risposto alla chiamata, Ron Green e Arturo
Garcia.
Ai tempi del delitto, e ancora adesso, la Divisione Devonshire era la sta-
zione di polizia più tranquilla del distretto di Los Angeles. Costituito da un
ampio quartiere dormitorio con proprietà immobiliari di valore e residenti
per lo più dell'alta borghesia, Devonshire era sempre stato al livello più
basso nelle statistiche sul crimine in città. Tra gli uomini del dipartimento
la stazione era soprannominata il Club Dev. Era un posto parecchio ambito
dagli agenti e dai detective che avevano alle spalle molti anni di servizio,
erano stanchi, o semplicemente avevano visto troppe azioni. Sotto la giuri-
sdizione della Divisione Devonshire ricadeva anche la parte della città at-
torno alla Simi Valley, una comunità tranquilla, pressoché priva di crimi-
nalità, nella Contea di Ventura, dove centinaia di agenti del Dipartimento
di Polizia di Los Angeles avevano deciso di andare a vivere. Essere asse-
gnati alla Devonshire significava viaggi brevi e il minor carico di lavoro di
tutto il dipartimento.
Il pedigree del Club Dev scorreva in fondo alla mente di Bosch mentre
leggeva i rapporti. Sapeva che buona parte del suo lavoro consisteva nel
giudicare l'operato di Green e Garcia, per determinare se fossero stati
all'altezza del loro ruolo. Non li conosceva, e non aveva avuto alcuna espe-
rienza con loro. Non aveva idea del loro livello di competenza e dedizione.
Sì, c'era l'erronea interpretazione iniziale, ma stando ai rapporti i due inve-
stigatori se n'erano resi conto per tempo e avevano preso subito in mano il
caso. I rapporti sembravano ben scritti, minuziosi e completi. Pareva che,
ogni volta che ne avevano avuto l'opportunità, gli investigatori avessero
compiuto un piccolo passo avanti.
Tuttavia, Bosch sapeva che era possibile manipolare il fascicolo di un
delitto per dare questa impressione. Avrebbe scoperto la verità solo sca-
vando a fondo e conducendo la propria indagine. Sapeva che avrebbe potu-
to esserci una considerevole differenza tra quanto era stato registrato e
quanto era stato omesso.
Secondo quanto diceva il fascicolo, Green e Garcia avevano cambiato
direzione alle indagini dopo che l'autopsia e l'analisi dell'arma del delitto li
avevano portati a scartare l'ipotesi del suicidio. Il caso era stato riclassifi-
cato come omicidio camuffato da suicidio.
Bosch arrivò alle prime rilevazioni dell'autopsia. Aveva letto un migliaio
di referti autoptici e aveva assistito a centinaia di analisi. Sapeva di dover
saltare tutte le misurazioni e le descrizioni della procedura e passare subito
alle conclusioni riassuntive e alle foto allegate. Non fu sorpreso di leggere
che la causa della morte era stata una ferita d'arma da fuoco al petto. L'ora
stimata del decesso era tra la mezzanotte e le due del mattino. Il 6 luglio.
Le conclusioni segnalavano che nessun testimone aveva dichiarato di aver
sentito gli spari, pertanto la stima sull'ora del decesso si basava esclusiva-
mente sulla perdita di temperatura del cadavere.
Le sorprese si trovavano negli altri accertamenti. Rebecca Verloren ave-
va capelli lunghi e folti. Alla base del collo, sul lato destro, sotto l'attacca-
tura dei capelli, il medico aveva riscontrato una piccola bruciatura circola-
re all'incirca del diametro di un bottone da camicia. A cinque centimetri da
questo segno, c'era un'altra bruciatura, molto più piccola della prima. Un
tasso elevato di globuli bianchi nel sangue attorno a queste ferite indicava
che entrambe erano state procurate un po' prima, non al momento della
morte.
Il rapporto concludeva che le bruciature dovevano essere state lasciate
da un'arma stordente: un dispositivo che emetteva una potente scarica elet-
trica, tale da togliere coscienza alla vittima per diversi minuti, o anche più
a lungo, a seconda della carica.
Di norma la scarica di un'arma stordente lasciava sulla pelle due segni
piccoli e quasi impercettibili, in coincidenza con il doppio punto di contat-
to. Ma se i due estremi del dispositivo venivano appoggiati in maniera di-
seguale contro il corpo della vittima, la carica elettrica bruciava l'epider-
mide nella maniera visibile sul collo di Becky Verloren.
Le conclusioni dell'autopsia facevano notare anche che un esame dei
piedi della ragazza non aveva evidenziato tracce di terra, tagli o lividi, che
sarebbero stati inevitabili se avesse camminato a piedi nudi sulla montagna
al buio.
Bosch tamburellò con la penna sul rapporto e rifletté su questo particola-
re. Sapeva che si trattava di un errore commesso da Green e Garcia. I piedi
della vittima avrebbero dovuto essere esaminati sul luogo del delitto, e da
questo i detective avrebbero dovuto capire subito che il suicidio era una
messinscena. Invece si erano lasciati sfuggire il particolare e avevano spre-
cato due giorni per aspettare l'autopsia con il week-end di mezzo. Quei due
giorni, più i due persi quando gli agenti dell'autopattuglia avevano sottova-
lutato la chiamata dei genitori e attribuito la scomparsa a una semplice fu-
ga, avevano costituito un pessimo inizio per le indagini. Non c'erano dub-
bi, la partenza dai blocchi era stata decisamente lenta. Bosch cominciava a
rendersi conto del pessimo servizio che il dipartimento aveva fatto a Re-
becca Verloren.
Il referto autoptico conteneva anche i risultati di un test per la ricerca di
eventuali residui di polvere da sparo sulle mani della vittima. Erano state
trovate tracce sulla mano destra di Becky, mentre non c'era nulla sulla sini-
stra. Nonostante Rebecca Verloren fosse destra, Bosch sapeva che quel test
era la riprova che la ragazza non poteva aver sparato con la pistola che l'a-
veva uccisa. L'esperienza - non importava quanto limitata - e il buon senso
avrebbero dovuto suggerire agli investigatori che la giovane avrebbe avuto
bisogno di entrambe le mani per sorreggere la pesante pistola, puntarla
contro il petto e premere il grilletto. In quel caso, il risultato del test avreb-
be dovuto segnalare la presenza di polvere da sparo anche sulla mano sini-
stra.
Nelle conclusioni del referto c'era un altro punto degno di nota. L'esame
del cadavere aveva stabilito che la vittima era sessualmente attiva, e alcune
ferite sulla parete dell'utero testimoniavano di un recente raschiamento per
interrompere una gravidanza. Il coroner che aveva effettuato l'autopsia a-
veva stimato che fosse accaduto all'incirca tra le quattro e le sei settimane
prima del decesso.
Bosch lesse il primo rapporto di sintesi delle indagini che era stato redat-
to e aggiunto al fascicolo dopo l'autopsia. Green e Garcia a quel punto
classificavano il decesso come omicidio e teorizzavano che qualcuno fosse
entrato nella stanza della ragazza mentre lei dormiva, l'avesse immobiliz-
zata con un'arma stordente e l'avesse portata fuori dalla camera e dalla ca-
sa. Era stata trasportata su per la montagna fino al luogo in cui si trovava la
quercia caduta, dove l'omicida, con tutta probabilità a seguito di una deci-
sione estemporanea, aveva cercato in maniera goffa di inscenare un suici-
dio. Il rapporto era stato compilato lunedì 11 luglio: cinque giorni dopo
che Rebecca Verloren era stata abbandonata senza vita sulla collina.
Bosch passò al rapporto sull'analisi dell'arma da fuoco. L'autopsia aveva
dato indicazioni più che convincenti della falsità del suicidio, e lo studio
dell'arma e la perizia balistica confermavano la teoria investigativa.
Sull'arma non c'erano altre impronte digitali oltre a quelle della mano
destra di Becky Verloren. Il fatto che non ci fossero impronte della mano
sinistra né macchie di alcun genere indicava agli investigatori che la pisto-
la era stata pulita con cura prima di essere piazzata nella mano di Becky.
L'arma era stata poi diretta verso il petto della ragazza e aveva sparato. Era
probabile che la vittima fosse priva di conoscenza, dopo essere stata colpi-
ta con l'arma stordente.
Il bossolo espulso dalla pistola quando era stato sparato il colpo fatale
era stato rinvenuto a poco meno di due metri dal cadavere. Non c'erano
impronte digitali né macchie nemmeno sul bossolo, segno che l'arma era
stata caricata indossando dei guanti.
La prova investigativa più importante era stata trovata proprio durante
l'analisi dell'arma del delitto. A dire il vero era stata trovata dentro l'arma
del delitto. La pistola era una Mark IV Serie 80, prodotta dalla Colt nel
1986, due anni prima dell'omicidio. Aveva la cresta del cane molto lunga,
un particolare di rilievo visto che l'arma aveva la reputazione di lasciare un
"tatuaggio" sulla mano di chi sparava se non veniva impugnata in maniera
corretta al momento di fare fuoco. Questo di solito accadeva quando si
stringeva l'impugnatura con due mani, in modo che la mano che premeva il
grilletto era posizionata troppo in alto, troppo vicina al cane. La pistola
sparava e il carrello scivolava automaticamente indietro per espellere il
bossolo; a quel punto, mentre il carrello tornava nella posizione di tiro,
pizzicava la mano - di solito la parte molle tra il pollice e l'indice - e porta-
va con sé un pezzo di pelle dentro il caricatore. Tutto questo succedeva in
una frazione di secondo, e il tiratore inesperto non capiva neppure cosa l'a-
vesse "morsicato".
Era proprio quello che era capitato con la pistola che aveva ucciso
Becky Verloren. Quando un esperto di armi da fuoco aveva aperto la pisto-
la, aveva trovato un frammento di pelle e del sangue essiccato all'interno
del carrello. Chi aveva pulito la pistola dall'esterno per cancellare le tracce
di sangue e le impronte digitali non avrebbe potuto notarlo.
Green e Garcia avevano aggiunto anche questo alla loro teoria investiga-
tiva. Nel secondo rapporto di sintesi avevano scritto che le prove eviden-
ziavano che il killer aveva stretto la mano di Becky Verloren attorno
all'arma e poi le aveva premuto la canna contro il petto. Il killer aveva usa-
to una o entrambe le mani per tenere dritta l'arma e aveva spinto il dito del-
la ragazza sul grilletto. La pistola aveva sparato e il carrello aveva "tatua-
to" l'assassino: si era portato un pezzo di pelle dentro il caricatore.
Bosch prese mentalmente nota del fatto che Green e Garcia non avevano
menzionato un'altra possibilità nella loro ricostruzione. E cioè che il
frammento di pelle e il sangue secco si trovassero già dentro l'arma prima
della notte dell'omicidio, che l'arma avesse "tatuato" qualcuno di diverso
dal killer, quando era stata usata in un momento precedente a quello
dell'omicidio.
Incuranti di questo potenziale ribaltamento del punto di vista, gli inve-
stigatori avevano fatto recuperare il sangue e il tessuto dalla pistola e, no-
nostante si sapesse già dall'autopsia che Becky non aveva ferite alle mani,
avevano richiesto un esame comparato del sangue della ragazza con quello
rinvenuto nell'arma. Quest'ultimo era di tipo 0; il sangue di Becky Verlo-
ren AB positivo. Gli investigatori conclusero che il sangue sull'arma era
quello dell'assassino. L'assassino aveva sangue del gruppo 0.
Ma nel 1988 l'uso del test del DNA per le indagini era tutt'altro che dif-
fuso e, ancora più importante, non veniva accettato come prova dalla corte
in California. I database contenenti i profili del DNA dei criminali sareb-
bero stati creati solo dopo qualche anno. Nel 1988 i detective avevano uni-
camente la possibilità di comparare il gruppo sanguigno degli indiziati con
quello trovato sull'arma. E nel caso dell'omicidio Verloren non c'era nes-
sun potenziale colpevole. Lavorarono a lungo, con molto impegno, ma alla
fine nessuno venne mai arrestato. E il caso si raffreddò.
«Fino ad ora» disse Bosch ad alta voce, senza rendersene conto.
«Cosa?» domandò Rider.
«Niente. Pensavo ad alta voce.»
«Vuoi cominciare a parlarne?»
«Non ancora. Prima voglio finire di leggere. Tu hai finito?»
«Quasi.»
«Sai chi dobbiamo ringraziare per questo, vero?» domandò Bosch.
Lei lo guardò senza capire. «Mi arrendo.»
«Mel Gibson.»
«Di che stai parlando?»
«Quand'è uscito Arma letale? All'incirca in quel periodo, no?»
«Direi di sì, ma cosa c'entra? Quei film erano così poco credibili.»
«È questo il punto. È stato quel film a dare inizio alla mania di tenere le
pistole di traverso e con due mani, una sopra l'altra. Abbiamo sangue nella
pistola perché chi ha sparato era un fan di Arma letale.»
Rider scosse la testa poco convinta.
«Vedrai» continuò Bosch. «Lo domanderò al tizio quando lo sbatteremo
dentro.»
«Sì, Harry, glielo domanderai.»
«Mel Gibson ha salvato un sacco di vite. Tutti quei tizi che sparano con
la pistola di traverso non possono colpire un cazzo. Dovremmo nominarlo
poliziotto onorario, o qualcosa del genere.»
«Okay, Harry, ora io torno a leggere, va bene? Voglio finirlo.»
«Sì, okay, anch'io.»

Poco dopo che il LAPD, il Dipartimento di Polizia di Los Angeles, ave-


va istituito l'Unità Casi Irrisolti, le prove del DNA nel caso Verloren erano
state inviate al Dipartimento di Giustizia della California. Il laboratorio per
le analisi le aveva ricevute insieme a quelle di decine di altri casi, rinvenu-
te dalla unità nel corso delle indagini iniziali sugli omicidi irrisolti. Il Di-
partimento di Giustizia gestiva il database principale della California sul
DNA. Gli arretrati dei confronti richiesti al laboratorio, che disponeva di
scarse risorse e troppo poco personale, erano fermi a più di un anno prima.
A causa della marea di richieste provenienti dalla nuova unità del LAPD,
c'erano voluti più di diciotto mesi perché i dati del caso Verloren fossero
inseriti nei computer dagli analisti del dipartimento e comparati con le mi-
gliaia di profili nel database dello stato. L'indagine produsse un unico ri-
sultato, un cold hit, nel gergo degli esperti di DNA.
Bosch guardò il rapporto del Dipartimento di Giustizia, una sola pagina
posata sulla scrivania di fronte a lui. Diceva che dodici su quattordici pos-
sibili indicatori facevano combaciare il DNA trovato nella pistola usata per
uccidere Rebecca Verloren con quello di un uomo, ormai trentacinquenne,
di nome Roland Mackey. Originario di Los Angeles, il suo ultimo indiriz-
zo conosciuto era a Panorama City. Mentre leggeva il rapporto, Bosch sen-
tì il sangue che cominciava a scorrere un po' DÌÙ rapidamente. Panorama
City si trovava nella San Fernando Valley, a non più di quindici minuti da
Chatsworth, persino in condizioni di traffico terribili. Questo aggiungeva
un notevole livello di credibilità al risultato dell'analisi. Non che Bosch
non si fidasse della scienza. Si fidava. Ma sapeva anche che la scienza non
basta mai per convincere una giuria al di là di ogni ragionevole dubbio.
Devi collegare il dato scientifico alle prove circostanziali e sostenerlo con
il buon senso. E questo era il genere di collegamento che ci voleva.
Bosch notò la data sulla lettera di accompagnamento del rapporto del
Dipartimento di Giustizia.
«Hai detto che l'abbiamo appena ricevuto?» domandò a Rider.
«Sì, penso che sia arrivato venerdì. Perché?»
«La data è di due venerdì fa. Dieci giorni.»
Rider alzò le spalle.
«Burocrazia» disse. «Immagino che sia il tempo che ci ha messo ad arri-
vare quaggiù da Sacramento.»
«So che il caso è vecchio, ma immaginavo che si muovessero un po' più
alla svelta di così.»
Rider non rispose. Bosch lasciò perdere e si mise a leggere. Il DNA di
Mackey si trovava nel computer del Dipartimento di Giustizia perché chi-
unque avesse subito una condanna per reati sessuali in California era co-
stretto dalla legge dello stato a fornire campioni di sangue e saliva per farsi
inserire nella banca dati. Il reato che aveva causato l'inserimento del DNA
di Mackey nel database era al limite della normativa: due anni prima, Ma-
ckey era stato condannato per atti osceni a Los Angeles. Il rapporto del
Dipartimento di Giustizia non forniva ulteriori dettagli, ma affermava che
Mackey era stato dodici mesi in libertà vigilata, a riprova che si trattava di
un reato minore.
Bosch stava per scrivere un appunto sul taccuino quando alzò lo sguardo
e vide Rider chiudere il fascicolo.
«Fatto?»
«Fatto.»
«E ora?»
«Pensavo di andare su all'ESB e recuperare la scatola, mentre tu finisci
di leggere.»
Bosch non ebbe problemi a ricordare il significato di quelle parole. Si
era reinserito con facilità nel mondo degli acronimi e nel gergo dei poli-
ziotti. ESB stava per Evidence Storage Building, l'edificio dove venivano
archiviate le prove, nel complesso del Piper Tech. Sarebbe andata lì a
prendere le prove materiali del caso. Oggetti come l'arma del delitto, i ve-
stiti della vittima e tutto quello che era stato accumulato nel corso delle
prime indagini. Di solito veniva raccolto tutto in una scatola di cartone
chiusa con il nastro adesivo e sistemata su uno scaffale. Facevano eccezio-
ne solo le prove deperibili e biologiche - come per esempio il sangue e il
frammento di pelle ritrovate nella pistola che aveva ucciso la Verloren -
che erano conservate nei laboratori della Scientifica.
«Mi sembra una buona idea» disse Bosch. «Ma prima perché non fai
passare questo tizio nel DMV e nel NCIC per vedere se riusciamo a trova-
re un indirizzo?»
«Già fatto.»
Girò il computer portatile per mostrare lo schermo al collega. Bosch ri-
conobbe la maschera di ricerca del National Crime Index Computer. Al-
lungò una mano sulla tastiera e iniziò a far scorrere la schermata, mentre
gli occhi esaminavano le informazioni.
Rider aveva inserito i dati di Roland Mackey nel programma del NCIC e
ne aveva ricavato la fedina penale. La condanna per atti osceni di due anni
prima era solo l'ultimo di una catena di arresti che aveva avuto inizio
quando aveva diciotto anni, lo stesso anno dell'omicidio di Rebecca Verlo-
ren. Qualunque misfatto avesse compiuto prima non poteva risultare per-
ché la legge sulla tutela dei minori impediva di consultare quella parte del-
la sua schedatura. La maggior parte dei crimini elencati erano reati contro
la proprietà o legati all'uso e allo spaccio di droga: un'auto rubata, un furto
con scasso, due condanne per possesso di sostanze stupefacenti, due per
guida in stato di ebbrezza, ancora un furto con scasso e riciclaggio di mate-
riale rubato. C'era anche un'accusa per sfruttamento della prostituzione.
Tutto sommato era il pedigree tipico del piccolo criminale con problemi di
droga. A quanto pareva Mackey non era mai finito nelle prigioni di stato
per questi crimini. Gli era sempre stata offerta una seconda chance e poi,
grazie ai patteggiamenti di pena, gli era sempre stata concessa la libertà vi-
gilata o brevi periodi di detenzione nella prigione della contea. Il periodo
più lungo che aveva passato in carcere era stato di sei mesi, all'età di ven-
totto anni, per riciclaggio. In quell'occasione era stato detenuto al Wayside
Honor Rancho.
Dopo aver finito di far scorrere le informazioni sullo schermo, Bosch si
appoggiò allo schienale. Quello che aveva appena letto lo inquietava. Ma-
ckey aveva quel genere di fedina che poteva essere interpretata come una
strada spianata verso l'omicidio. Ma in questo caso l'omicidio era venuto
prima - quando Mackey aveva solo diciotto anni - e i piccoli crimini erano
arrivati dopo. Qualcosa non tornava.
«Che c'è?» domandò Rider, avvertendo lo stato d'animo del partner.
«Non so. Pensavo che ci sarebbe stato di più. È come al contrario. Que-
sto tizio è passato dall'omicidio ai piccoli reati? Non mi pare che i conti
tornino.»
«Be', queste sono solo le cose per cui è stato incriminato. Non è detto
che sia tutto quello che ha fatto.»
Bosch annuì.
«Reati da minore?»
«Forse. Probabile. Ma non otterremo mai quelle informazioni. Con tutta
probabilità sono scomparse da tempo.»
Era vero. Lo stato rinunciava ad alcune prassi per proteggere la privacy
dei minori. I reati minorili difficilmente seguivano i delinquenti nel siste-
ma giudiziario degli adulti. Nonostante questo, Bosch pensava che potes-
sero esserci dei crimini commessi prima dei diciotto anni che avrebbero
spiegato meglio l'omicidio a sangue freddo di una sedicenne stordita con
una scarica elettrica e portata via dalla sua casa. Bosch cominciò a provare
una sensazione inquietante riguardo al cold hit su cui stavano lavorando.
Cominciava a sentire che Mackey non era il bersaglio giusto. Era solo un
mezzo per arrivare all'obiettivo.
«Lo hai inserito nell'archivio della motorizzazione per trovare l'indiriz-
zo?» domandò.
«Harry, non essere vecchia scuola. Sei tenuto ad aggiornare la patente
solo una volta ogni quattro anni. Se vuoi trovare qualcuno devi rivolgerti
alla AutoTrack.»
Aprì il fascicolo e porse al partner un foglio singolo. Era una stampata
con la dicitura AutoTrack in testa. Rider spiegò che si trattava di una so-
cietà privata che forniva servizi al Dipartimento di Polizia. Si occupava di
ricerche informatiche su tutti gli archivi pubblici - compresi quelli della
DMV, ossia la motorizzazione, delle utenze pubbliche e della TV via cavo,
oltre ai database privati come quelli delle agenzie di credito - per determi-
nare l'indirizzo passato e presente di qualsiasi individuo. Bosch vide che la
stampata conteneva un elenco di diversi indirizzi di Roland Mackey, che
partiva da quando il ragazzo aveva diciotto anni. Negli ultimi documenti,
compresa la patente di guida e il libretto di circolazione, risultava residente
a Panorama City. Ma sul foglio Rider aveva segnato con un cerchio l'indi-
rizzo dove Mackey aveva vissuto dai diciotto ai vent'anni: gli anni dal
1988 al 1990. Era un appartamento sul Topanga Canyon Boulevard a Cha-
tsworth. Questo significava che al momento del delitto Mackey viveva
molto vicino alla casa di Rebecca Verloren. Il risultato della ricerca fece
sentire Bosch un po' meglio riguardo alla faccenda. La prossimità era un
tassello chiave per comporre il mosaico. A parte i dubbi sul pedigree cri-
minale di Mackey, sapere che l'uomo nel 1988 si trovava nelle immediate
vicinanze e che pertanto poteva aver visto o addirittura conosciuto Rebec-
ca Verloren rappresentava un bel segno di spunta nella colonna delle voci
all'attivo.
«Ti fa stare un po' meglio, Harry?»
«Un po'.»
«Bene. Allora vado.»
«Mi trovi qui.»
Dopo che Rider se ne fu andata, Bosch si immerse di nuovo nella lettura
del fascicolo. Il terzo rapporto di sintesi si concentrava sul modo in cui
l'assassino si era introdotto nella casa. Né le porte né le finestre mostrava-
no segni di effrazione, e tutte le chiavi erano in mano ai membri della fa-
miglia e a una domestica che era al di sopra di ogni sospetto. Gli investiga-
tori teorizzarono che l'intruso potesse essersi intrufolato attraverso il gara-
ge, che era stato lasciato aperto, e che poi fosse passato in casa dalla porta
di collegamento, che di solito non veniva chiusa a chiave prima che Robert
tornasse a casa dal lavoro a tarda sera.
Secondo il racconto di Robert Verloren, il garage era aperto quando era
rientrato dal ristorante verso le ventidue e trenta del 5 luglio. La porta che
collegava il garage all'appartamento non era chiusa a chiave. L'uomo era
entrato in casa, aveva chiuso il garage e la porta di collegamento. La teoria
degli investigatori era che a quell'ora l'assassino si trovasse già nell'appar-
tamento.
La spiegazione che i Verloren avevano dato al fatto che il garage fosse
aperto era che la figlia aveva di recente preso la patente e di tanto in tanto
aveva il permesso di usare l'auto della madre. Non aveva ancora preso l'a-
bitudine di chiudere il garage quando usciva o rientrava, ed era stata rim-
proverata più di una volta dai genitori per questo motivo. Nel tardo pome-
riggio, il giorno del suo rapimento, Rebecca era uscita a sbrigare una
commissione, doveva andare alla lavanderia. Aveva usato l'auto della ma-
dre. Gli investigatori confermarono che aveva ritirato i vestiti alle dicias-
sette e quindici e che poi era tornata a casa. Era convinzione degli investi-
gatori che ancora una volta si fosse dimenticata di chiudere la saracinesca
del garage e la porta di collegamento. La madre disse che quella sera non
controllò il garage, presumendo, erroneamente, che fosse chiuso.
Due vicini, interrogati dopo l'omicidio, testimoniarono di aver visto il
garage aperto. In questo modo la casa era risultata accessibile fino al ritor-
no di Robert Verloren.
Bosch pensò a quante volte negli anni aveva visto degli errori all'appa-
renza insignificanti segnare in modo irreparabile il destino di qualcuno.
Una commissione da niente, andare a ritirare la biancheria, aveva concesso
all'omicida l'opportunità di intrufolarsi nella casa. La stessa Becky Verlo-
ren aveva, in maniera inconsapevole, provocato la propria morte.
Bosch spinse la sedia all'indietro e si alzò in piedi. Aveva terminato la
lettura della prima metà del fascicolo. Decise di prendere un'altra tazza di
caffè prima di affrontare la seconda parte. Chiese a tutti i colleghi se qual-
cuno avesse bisogno di qualcosa dalla caffetteria e ricevette l'ordine per un
caffè da Jean Nord. Scese a piedi, entrò in caffetteria e riempì due tazze,
pagò e andò al bancone dei condimenti per prendere la panna e lo zucchero
per Nord. Mentre versava uno schizzo di panna nella tazza della collega,
avvertì una presenza. Si fece da parte, ma nessuno allungò la mano per
prendere qualcosa. Si voltò verso la presenza e si trovò davanti il viso sor-
ridente di Irvin S. Irving, il vicecapo.
Quella tra Bosch e Irving non era mai stata una grande storia d'amore. Il
vicecapo era stato in diversi momenti fiero avversario o involontario salva-
tore. Ma Bosch aveva saputo da Rider che adesso Irving era stato tagliato
fuori. Il nuovo comandante gli aveva tolto dalle mani tutto il potere, senza
troppe cerimonie, e gli aveva affidato un incarico di fatto insignificante
fuori dal Parker Center.
«Mi sembrava che fosse lei, detective Bosch. Le offrirei una tazza di
caffè, ma vedo che ne ha già preso abbastanza. Le va comunque di sedersi
un minuto con me?»
Bosch sollevò le due tazze.
«Sono nel bel mezzo di una cosa, capo. E devo portare una di queste di
sopra.»
«Solo un minuto, detective» insistette Irving. Un tono severo si era im-
possessato della sua voce. «Il caffè sarà ancora caldo quando arriverà dove
deve andare. Glielo prometto.»
Senza aspettare una risposta, si voltò e raggiunse il tavolo vicino. Bosch
lo seguì. Irving aveva ancora la testa rasata e luccicante. La mascella pro-
minente era la sua caratteristica principale. Si sedette con la schiena dritta
come un bastone. Non parlò finché Bosch non si fu accomodato a sua vol-
ta. Ritornò a un tono di voce cortese.
«Volevo solo darle il benvenuto al dipartimento» disse.
Sorrise da squalo. Prima di rispondere Bosch esitò, come un uomo che
sta per infilarsi in una botola.
«Sono contento di essere tornato, capo.»
«L'Unità Casi Irrisolti. Penso che sia la collocazione adatta per un uomo
con le sue capacità.»
Bosch prese un sorso dalla tazza di caffè fumante. Non sapeva se Irving
gli avesse appena fatto un complimento o l'avesse insultato. Desiderava
andare via.
«Bene, vedremo» replicò. «Spero di sì. Credo che sia meglio...»
Irving spalancò le braccia, come a mostrare che non nascondeva nulla.
«Tutto qui» concluse. «Può andare. Volevo solo darle il benvenuto. E
ringraziarla.»
Bosch ebbe un attimo di esitazione, ma poi abboccò.
«Ringraziarmi per cosa?»
«Per avermi ridato la speranza di tornare in questo dipartimento.»
Bosch scosse la testa e sorrise, come a dire che non aveva capito.
«Non ci arrivo, capo» disse. «Come potrei averlo fatto? Voglio dire, lei
sta dall'altra parte della strada, nella succursale del municipio, no? Cos'è,
l'ufficio delle programmazioni strategiche? Da quanto ho sentito dire, ha
dovuto lasciare la pistola a casa.»
Irving incrociò le braccia e si chinò verso Bosch. La buona disposizione,
vera o pretesa che fosse, era svanita di colpo. Parlò con decisione, ma con
calma.
«Già, è lì che sto. Ma le garantisco che non sarà per molto. Specie ora
che quelli come lei vengono riammessi nel dipartimento.»
Si appoggiò allo schienale e all'improvviso assunse un atteggiamento ri-
lassato, come per proseguire una tranquilla chiacchierata amichevole.
«Sa cos'è lei, Bosch? È uno pneumatico ricostruito. A questo nuovo ca-
po piace montare sulla sua auto le ruote con il battistrada ricostruito. Ma sa
cosa succede agli pneumatici vecchi? Le suture cedono. L'attrito, il surri-
scaldamento... sono troppo per loro. Sa cosa succede? Scoppiano. E allora
la macchina va fuori strada.»
Annuì in silenzio mentre lasciava che Bosch riflettesse sulle sue parole.
«Vede, Bosch, lei è il mio biglietto d'ingresso. Si sputtanerà, se mi passa
l'espressione. È scritto nella sua storia. Fa parte della sua natura. È garanti-
to. E quando si sputtanerà, il nostro illustrissimo nuovo capo si sputtanerà
per aver scelto di mettere una ruota di pessima qualità sulla nostra auto.»
Sorrise. Bosch pensò che gli mancasse solo un orecchino d'oro per com-
pletare il quadro. Mastro Lindo all'opera.
«E quando lui andrà giù, le mie azioni ricominceranno a salire. Io sono
un uomo paziente. Sono quarant'anni che aspetto in questo dipartimento.
Posso aspettare ancora.»
Bosch pensava che ci fosse dell'altro, ma il discorso era finito. Irving
annuì e si alzò in piedi. Si voltò rapido e uscì dalla caffetteria. Bosch av-
vertì la rabbia salirgli dal fondo della gola. Abbassò lo sguardo sulle due
tazze di caffè e si sentì un'idiota per essere rimasto lì come un garzone in-
difeso mentre Irving lo schiaffeggiava con le parole. Si alzò e buttò en-
trambe le tazze nel cestino della spazzatura. Decise che quando sarebbe ar-
rivato nell'ufficio 503 avrebbe detto a Jean Nord di andarsi a prendere da
sola il suo maledetto caffè.

Con ancora addosso il disagio che gli aveva procurato il confronto con
Irving, Bosch si portò alla scrivania la seconda metà del fascicolo dell'o-
micidio e si sedette. Pensò che il miglior modo per dimenticare le minacce
che gli aveva rivolto Irving fosse immergersi di nuovo nel caso. Nel dos-
sier rimaneva una pila spessa di rapporti sussidiari e di aggiornamenti,
quelle cose che gli investigatori ammassano sempre in fondo al fascicolo, i
rapporti che Bosch amava definire "gli acrobati", perché sembravano di-
sparati, ma se venivano osservati dal lato giusto e riordinati in un'unica
trama, potevano rivelarsi fondamentali per la soluzione del caso.
Il primo era un referto di laboratorio in cui si affermava che i test non
erano in grado di stabilire con esattezza quanto a lungo il frammento di
pelle e il sangue fossero rimasti all'interno della pistola. Il rapporto diceva
che l'esame di alcune cellule selezionate evidenziava che la decomposizio-
ne non era in stato avanzato. L'esperto che aveva redatto il referto non era
in grado di dire se il sangue fosse già depositato sull'arma al momento
dell'omicidio, nessuno avrebbe potuto dirlo. Ma sarebbe stato disposto a
testimoniare che il sangue era rimasto nel caricatore «poco prima o conte-
stualmente al delitto».
Bosch sapeva che questo era un rapporto chiave in prospettiva di un e-
ventuale procedimento ai danni di Roland Mackey. Avrebbe permesso a
Mackey di costruire la propria difesa sulla dichiarazione di essere stato in
possesso della pistola prima dell'omicidio, ma non al momento del delitto.
Sarebbe stata una mossa rischiosa quella di ammettere di essere stato in
possesso dell'arma del delitto, ma la prova del DNA rendeva quell'opzione
obbligatoria. Con la scienza incapace di individuare con esattezza quando
il sangue e il tessuto si erano depositati sull'arma, Bosch vedeva un buco
sempre più largo nel procedimento. La difesa avrebbe potuto approfittarne
con facilità. Ancora una volta sentiva scivolare via le sicurezze che il cold
hit sembrava offrire. La scienza dà e toglie allo stesso tempo. Avevano bi-
sogno di molto di più.
Il documento successivo era un rapporto dell'Unità Armi da Fuoco, alla
quale era stato assegnato il compito di rintracciare il proprietario dell'arma.
Il numero di serie sulla Colt era stato limato, ma il laboratorio lo aveva re-
cuperato con l'applicazione di un acido che accentuava le asperità sul me-
tallo nel punto in cui i numeri erano stati impressi durante la fabbricazione.
Il numero riconduceva a un'arma acquistata presso il fabbricante nel 1987
da un negozio di armi di Northridge. Era stata poi rivenduta quell'anno
stesso a un uomo che viveva sulla Winnetka Avenue a Chatsworth. Il pro-
prietario aveva denunciato il furto della pistola quando la sua casa era stata
svaligiata, il 2 giugno del 1988: solo un mese prima che fosse utilizzata per
l'omicidio di Rebecca Verloren.
Questo rapporto avrebbe aiutato il caso perché, a meno che Mackey non
avesse legami con il proprietario originale dell'arma, la data del furto ridu-
ceva il periodo durante il quale poteva essere stato in possesso della pisto-
la. Rendeva più plausibile che l'arma fosse in mano sua la notte in cui
Becky Verloren era stata portata via da casa e uccisa.
La denuncia del furto era contenuta nel fascicolo. La vittima si chiamava
Sam Weiss. Viveva da solo e lavorava come tecnico del suono per la War-
ner Bros, a Burbank. Bosch analizzò il rapporto e trovò solo un'altra nota
degna di interesse. Nella sezione dedicata ai commenti degli agenti inve-
stigativi si affermava che la vittima del furto aveva comprato l'arma di re-
cente per proteggersi in seguito ad alcune telefonate minatorie nelle quali
l'interlocutore lo minacciava perché ebreo. La vittima aveva riferito che
non sapeva come il suo numero, che non compariva sull'elenco telefonico,
fosse finito nelle mani del molestatore e non sapeva cosa avesse causato
tali minacce.
Bosch lesse rapidamente il rapporto dell'Unità Armi da Fuoco, nel quale
era stato individuato il modello dell'arma stordente utilizzata per il rapi-
mento. Il rapporto diceva che la distanza di 57 millimetri tra i due punti di
contatto - evidenziata dai segni di bruciatura sulla pelle della vittima - era
una caratteristica inequivocabile del modello Professional 100 prodotto da
una società di Downey, la SafetyCharge. Il modello era venduto al banco o
per corrispondenza e all'epoca dell'omicidio erano stati distribuiti più di
dodicimila pezzi del Professional 100. Bosch sapeva che senza avere il
congegno in mano era impossibile collegare i segni sul corpo di Becky
Verloren con una pista che conducesse al proprietario. Quello era un vico-
lo cieco.
Andò avanti, sfogliò una serie di fotografie 12X15 scattate a casa dei
Verloren dopo che era stato rinvenuto il cadavere. Bosch era consapevole
che quel genere di foto serviva a pararsi il culo. Il caso era stato trattato - o
maltrattato - come la normale fuga di una ragazzina. Il dipartimento aveva
cominciato a occuparsene a pieno regime solo dopo che il cadavere era sta-
to rinvenuto e che l'autopsia aveva stabilito che si trattava di omicidio.
Cinque giorni dopo che era stata denunciata la scomparsa della ragazza, la
polizia era tornata indietro e aveva trasformato la casa nella scena del cri-
mine. La domanda era: cos'era andato perso in quei cinque giorni?
Le foto comprendevano scatti interni ed esterni di tutte e tre le porte
d'accesso all'abitazione - davanti, retro, garage - e diversi primi piani dei
serramenti delle finestre. C'erano anche numerosi scatti realizzati nella
camera da letto di Becky Verloren. La prima cosa che Bosch notò fu che il
letto era stato rifatto. Si domandò se fosse stato il rapitore a sistemarlo, per
avvalorare la tesi del suicidio; oppure la madre di Becky aveva semplice-
mente rifatto il letto in uno dei giorni in cui sperava ancora e aspettava che
la figlia tornasse a casa.
Era un letto a baldacchino con il copriletto bianco e rosa su cui erano di-
segnati dei gatti. Il copriletto, con le balze coordinate, ricordò a Bosch
quello che aveva scelto per la cameretta della figlia. Gli sembrava adatto a
una ragazzina molto più giovane di sedici anni e si domandò se Becky
Verloren lo avesse tenuto per nostalgia o come una sorta di coperta di
Linus. Le balze non arrivavano a terra in maniera uniforme. Erano troppo
lunghe di almeno cinque centimetri, si ammonticchiavano sul pavimento e
da una parte sporgevano in fuori, dall'altra sparivano sotto il letto.
C'erano foto della scrivania e del comodino. La stanza era ornata con a-
nimaletti di peluche che provenivano dagli anni dell'infanzia. Alle pareti
c'erano poster di gruppi musicali che erano durati poco. C'era la locandina
di un film di John Travolta vecchio di tre "resurrezioni". La stanza era
molto pulita e ordinata, e ancora una volta Bosch si domandò se quello
fosse lo stato in cui si trovava la mattina in cui Rebecca Verloren era
scomparsa o se sua madre l'avesse rassettata mentre aspettava il ritorno
della figlia.
Bosch sapeva che le foto avrebbero dovuto essere il primo passaggio del
processo investigativo. Non si vedeva da nessuna parte né la polvere per
rilevare le impronte digitali né alcuna traccia dello scompiglio che avrebbe
lasciato l'intervento della Scientifica.
Nel fascicolo le foto erano seguite da una pila di appunti sugli interroga-
tori a cui i poliziotti avevano sottoposto numerosi studenti della Hillside
Prep. Una lista all'inizio del mucchio indicava che tutti i compagni di clas-
se di Becky Verloren erano stati ascoltati, oltre a tutti i ragazzi che fre-
quentavano gli ultimi anni della scuola. C'erano anche i resoconti degli in-
terrogatori a diversi insegnanti della vittima e al personale di segreteria
della scuola.
Nella stessa sezione si trovava il resoconto di un colloquio telefonico
con un ex ragazzo di Becky Verloren, che si era trasferito alle Hawaii con
la famiglia l'anno prima dell'omicidio. Allegato al resoconto c'era la ratifi-
ca dell'alibi del ragazzo, nella quale si affermava che un superiore aveva
confermato che il ragazzo aveva lavorato all'autolavaggio e nel negozio di
accessori di un autonoleggio a Maui nei giorni immediatamente successivi
al delitto, il che rendeva improbabile che potesse essere andato a Los An-
geles per uccidere la ragazza.
C'era un dossier separato con i resoconti degli interrogatori ai dipendenti
dell'Island House Grill, il ristorante di cui Robert Verloren era proprietario.
La figlia aveva appena iniziato un lavoro estivo part-time al ristorante. Era
aiutocameriera all'ora di pranzo. La sua mansione era quella di accompa-
gnare gli ospiti al tavolo e portar loro i menu. Bosch sapeva che i ristoranti
hanno sovente l'abitudine di assoldare derelitti per lavorare nelle cucine,
ma Robert Verloren aveva evitato di assumere uomini con precedenti pe-
nali, preferendo attingere alla popolazione di surfisti e altri spiriti liberi che
fioccavano sulle spiagge di Malibu. Questa gente doveva aver avuto con-
tatti limitati con Rebecca, che lavorava nel salone, ma erano stati comun-
que tutti interrogati e a quanto pareva scartati dagli investigatori.
C'era anche una cronologia degli ultimi giorni della vittima nella quale
gli investigatori tratteggiavano gli spostamenti di Rebecca Verloren nelle
ore che avevano portato all'omicidio. Nel 1988 il 4 luglio cadeva di lunedì.
Rebecca aveva trascorso gran parte del giorno di festa a casa, era solo an-
data a dormire con altre tre amiche a casa di una di loro la domenica sera. I
resoconti degli interrogatori alle tre ragazze, allegati all'incartamento, era-
no molto estesi ma non contenevano alcuna informazione di rilievo.
Il lunedì, il giorno della festa, era rimasta a casa finché non era andata
con i genitori al Balboa Park per guardare uno spettacolo di fuochi d'artifi-
cio. Robert Verloren aveva di rado la sera libera e aveva insistito perché la
famiglia la trascorresse insieme. Dagli interrogatori risultava che Becky
fosse molto dispiaciuta perché si era persa una festa nella zona di Porter
Ranch.
Il martedì era ripresa la routine estiva, Rebecca si era recata al ristorante
con il padre per il turno di mezzogiorno. Alle tre il padre l'aveva accompa-
gnata a casa in auto. Era rimasto anche lui a casa per tutto il pomeriggio,
quindi era tornato al ristorante per il turno serale, all'incirca alla stessa ora
in cui Rebecca era uscita con l'auto della madre per andare in tintoria.
Bosch non vide nella cronologia niente che destasse in lui alcun sospet-
to, nulla che fosse sfuggito agli investigatori di allora.
Giunse quindi alla trascrizione di un interrogatorio formale con i genito-
ri. Era stato effettuato alla Divisione Devonshire il 14 luglio, più di una
settimana dopo la denuncia della scomparsa della ragazza. A quel punto gli
investigatori avevano accumulato molte informazioni sul caso e avevano
posto domande circostanziate. Bosch lesse con attenzione la trascrizione,
non solo per le risposte, ma anche per farsi un'idea del punto di vista degli
investigatori a quel punto delle indagini.

Caso numero 88-641


Verloren Rebecca (data del decesso: 06.07.88)
Responsabile dell'interrogatorio. A. Garcia: #993
14.07.88 - 14.15, Dipartimento Omicidi, Devonshire.
GARCIA: Grazie di essere venuti. Spero che non vi dispiaccia,
ma registreremo la nostra conversazione per redigere un verbale.
Come state?
ROBERT VERLOREN: Come può immaginare. Siamo distrutti.
Non sappiamo cosa fare.
MURIEL VERLOREN: Continuiamo a pensare: cosa potevamo
fare per evitare che capitasse una cosa del genere alla nostra bam-
bina?
GREEN: Ci dispiace davvero molto, signora. Ma voi non avete
alcuna colpa per quello che è accaduto. Per quanto ne sappiamo,
non ha niente a che vedere con qualcosa che avreste potuto fare o
non fare Non biasimate voi stessi. Biasimate la persona che ha
fatto questo.
GARCIA: E lo prenderemo. Non dovete temere. Ora, ci sono al-
cune domande che dobbiamo farvi. Alcune potranno risultare do-
lorose ma ci servono le risposte se vogliamo arrivare a questo ti-
zio.
ROBERT VERLOREN: Continuate a dire "tizio". Ci sono sospet-
ti? Sapete che è stato un uomo?
GARCIA: Non sappiamo nulla con sicurezza, signore. È una que-
stione statistica. Ma la collina dietro casa vostra è molto ripida.
Becky e stata senza dubbio trasportata sul pendio. Non era una
ragazza robusta, ma siamo certi che deve essere stato un uomo.
MURIEL VERLOREN: Ma avete detto che non è stata... che non
ci sono tracce di violenza sessuale.
GARCIA: È vero, signora. Ma questo non preclude l'ipotesi che il
movente del delitto sia di carattere sessuale.
ROBERT VERLOREN: Cosa volete dire?
GARCIA: Ci arriveremo, Signore. Se non vi dispiace, lasciateci
porre le nostre domande, poi arriveremo alle vostre se lo desidera-
te.
ROBERT VERLOREN: Andate avanti, prego. Mi dispiace. È so-
lo che non riusciamo a capire cosa sia accaduto. È come se fossi-
mo sempre sott'acqua.
GARCIA: È del tutto comprensibile. Come ho detto, avete la no-
stra totale comprensione. E anche quella di tutto il dipartimento.
Stiamo impiegando al meglio tutti i mezzi a nostra disposizione
per studiare il caso con grande cura.
GREEN: Per cominciare, vorremmo fare un passo indietro a pri-
ma della scomparsa. Magari a un mese prima. Vostra figlia era
mai andata via durante quel periodo?
ROBERT VERLOREN: Cosa intende con "via"?
GARCIA: Era stata fuori per qualche giorno?
ROBERT VERLOREN: No. Aveva sedici anni. Andava a scuola.
Non andava via per conto proprio.
GREEN: Era andata qualche volta a dormire dalle amiche?
MURIEL VERLOREN: No, non penso.
ROBERT VERLOREN: Dove volete arrivare?
GREEN: Si è mai sentita male nel mese prima della sua scompar-
sa?
MURIEL VERLOREN: Sì, ha avuto l'influenza la prima settima-
na dopo la fine della scuola. Per questo rimandò l'inizio del lavoro
da Bob.
GREEN: Rimase a letto melata?
MURIEL VERLOREN: Per la maggior parte del tempo. Non ca-
pisco cosa c'entri questo...
GARCIA: Signora Verloren, sua figlia si fece visitare da qualche
dottore in quel periodo?
MURIEL VERLOREN: No, diceva di avere solo bisogno di ripo-
so. A dire la verità, noi pensammo che semplicemente non avesse
voglia di andare a lavorare al ristorante. Non aveva né la febbre
né il raffreddore. Pensavamo che fosse pigra.
GREEN: Allora non vi confidò di essere incinta?
ROBERT VERLOREN: Senta, detective, cosa ci sta dicendo?
GREEN: L'autopsia ha rivelato che Becky aveva subito un proce-
dimento denominato dilatazione e raschiamento all'incirca un me-
se prima della sua morte. Un aborto. La nostra idea è che nel peri-
odo in cui vi disse di avere l'influenza si stesse riposando e rista-
bilendo dall'operazione.
GARCIA: Desiderate fare una pausa?
GREEN: Perché non facciamo una pausa? Usciamo e ci prendia-
mo tutti un po' d'acqua.

(Pausa)

GARCIA: Okay, eccoci di nuovo qui. Spero che possiate capirci e


perdonarci. Non abbiamo fatto la domanda o tentato di scioccarvi
per ferirvi. Abbiamo bisogno di seguire un metodo che ci permet-
ta di ottenere informazioni non influenzate da percezioni precon-
cette.
ROBERT VERLOREN: Comprendiamo quello che state facendo.
Ormai fa parte della nostra vita. Di quello che ne rimane.
MURIEL VERLOREN: State dicendo che nostra figlia era incinta
e ha scelto di abortire?
GARCIA: Sì, è così. E pensiamo che possa esistere un legame
con quello che le è successo un mese dopo. Avete un'idea di dove
possa essere andata per l'operazione?
MURIEL VERLOREN: No, non sapevo nulla. Nessuno di noi sa-
peva nulla.
GREEN: E come già avete detto, non è mai rimasta fuori per la
notte in quel periodo?
MURIEL VERLOREN: No, è rimasta a casa tutte le sere.
GARCIA: Con chi poteva avere la relazione? Avete un'idea? Nel-
le precedenti chiacchierate avete detto che all'epoca non aveva un
fidanzato.
MURIEL VERLOREN: Be', è evidente che ci sbagliavamo in
proposito. Però no, non abbiamo idea di chi vedesse o chi possa
aver... fatto questo.
GREEN: Qualcuno di voi due ha mai letto il diario che teneva vo-
stra figlia?
ROBERT VERLOREN: No, finché voi non lo avete trovato nella
sua stanza non sapevamo neppure che tenesse un diario.
MURIEL VERLOREN: Mi piacerebbe riaverlo. Posso?
GREEN: Abbiamo bisogno di tenerlo per tutto il periodo delle in-
dagini, ma alla fine ve lo restituiremo.
GARCIA: Sul diario compare molto spesso un individuo denomi-
nato MTL. È una persona che vorremmo identificare e interroga-
re.
MURIEL VERLOREN: Così su due piedi, non conosco nessuno
con quelle iniziali.
GREEN: Abbiamo consultato l'annuario scolastico. C'è un ragaz-
zo che si chiama Michael Lewis. Ma abbiamo controllato, il suo
secondo nome è Charles. Pensiamo che le iniziali fossero un codi-
ce, un acronimo. My True Love. Il mio vero amore.
MURIEL VERLOREN: Allora è evidente che ci fosse qualcuno
di cui non sapevamo niente, che Becky ci teneva nascosto.
ROBERT VERLOREN: Non ci posso credere. Voi due ci state
dicendo che non conoscevamo affatto la nostra bambina.
GARCIA: Mi dispiace, Bob. Certe volte le ferite provocate da ca-
si come questo vanno molto a fondo. Ma è nostro dovere seguire
le indagini fino a dove ci conducono. Questo è il punto a cui sia-
mo arrivati adesso.
GREEN: In poche parole, dobbiamo approfondire questo aspetto
dell'indagine e scoprire chi è MTL. Il che significa che dobbiamo
fare domande sugli amici e i conoscenti di vostra figlia. Temo che
possa spargersi la voce della gravidanza.
ROBERT VERLOREN: Ne siamo consapevoli, detective. Affron-
teremo anche questo. Come abbiamo detto il giorno in cui ci sia-
mo incontrati, fate ciò che dovete. Trovate la persona che ha fatto
questo.
GARCIA: Grazie, signore. Lo faremo.

(Fine dell'interrogatorio: 14.40)

Bosch lesse la trascrizione una seconda volta, questa volta prendendo


appunti sul taccuino. Passò quindi alle altre tre trascrizioni formali di inter-
rogatori. Erano state effettuate con le tre amiche più intime di Becky Ver-
loren: Tara Wood, Bailey Koster e Grace Tanaka. Ma nessuna delle ragaz-
ze - ragazze a quel tempo - aveva detto di essere a conoscenza della gravi-
danza di Becky o della relazione segreta che l'aveva provocata. Dicevano
tutte e tre di non averla vista durante la settimana dopo la fine della scuola,
perché lei non rispondeva alle telefonate, e quando avevano chiamato il
numero della famiglia Muriel Verloren aveva detto loro che la figlia era
malata. Tara Wood, che si spartiva con Becky i turni come aiutocameriera
all'Island House Grill, aggiungeva che l'amica era intrattabile e riservata
nelle settimane precedenti l'omicidio, e aveva sempre respinto i tentativi
della Wood di scoprire cosa non andasse.
L'ultima parte del fascicolo era la rassegna stampa. Lì, Garcia e Green
avevano raccolto gli articoli di giornale che si erano accumulati nella pri-
ma fase delle indagini. Il crimine aveva maggior rilievo sul Daily News
che sul Times. Era comprensibile, perché il News circolava principalmente
nella San Fernando Valley, mentre il Times di norma trattava la Valley
come un figliastro indesiderato, relegando le notizie che provenivano da
quelle zone nelle pagine interne.
Non c'era alcuna copertura della scomparsa iniziale di Becky Verloren.
Era evidente che i giornali avevano dato la stessa interpretazione della po-
lizia. Ma dopo che era stato trovato il cadavere, ci furono numerosi articoli
sulle indagini, sul funerale e sull'impatto che il decesso della ragazza aveva
avuto sulla scuola. C'era persino un articolo molto ispirato che riguardava
l'Island House Grill. Si trattava di un reportage del Times che, a quanto pa-
re, era stato un tentativo di dare peso al caso per i lettori del Westside. Un
ristorante a Malibu era un posto al quale gli abitanti del Westside potevano
sentirsi legati.
Entrambe le testate collegavano l'arma del delitto a un furto avvenuto un
mese prima dell'omicidio, ma nessuna delle due riportava l'aspetto antise-
mita. Nessun articolo riferiva neppure delle tracce di sangue rinvenute sul-
la pistola. Bosch immaginò che il ritrovamento del sangue e della pelle
fosse l'asso nella manica degli investigatori, la prova che si tenevano stret-
ta per utilizzarla nel momento in cui avrebbero identificato un sospetto di
rilievo.
Alla fine, Bosch notò che i media non avevano intervistato i genitori in
lutto. I Verloren a quanto pareva avevano scelto di non mettere in piazza il
proprio dolore. Bosch li apprezzava per questo. Aveva l'impressione che la
stampa e la televisione spingessero sempre di più le vittime di tragedie a
portare in pubblico il cordoglio, davanti alla telecamera e sulle pagine dei
giornali. I genitori di figli assassinati diventavano opinionisti che compari-
vano sull'etere come esperti quando un altro ragazzino veniva ucciso e
un'altra coppia di genitori lo piangeva. Tutto questo non andava a genio a
Bosch. A lui pareva che il modo migliore per onorare la memoria dei de-
funti fosse tenersi il loro ricordo stretto al cuore, non condividerlo con il
mondo al di là dello schermo.
In fondo al fascicolo c'era una tasca che conteneva una busta commer-
ciale con l'indirizzo e il logo a forma di aquila del Times in un angolo.
Bosch tirò fuori la busta, l'aprì e ne estrasse una serie di foto a colori
12X15 scattate al funerale di Rebecca Verloren, una settimana dopo l'omi-
cidio. A quanto pareva c'era stato un accordo: le foto in cambio della pos-
sibilità di partecipare alla cerimonia. Bosch si ricordava di aver stretto in-
tese simili in passato, quando la tempistica o il budget limitato gli impedi-
vano di mandare un fotografo della polizia alle esequie. Allora prometteva
al reporter che seguiva la storia di concedergli un'esclusiva se il fotografo
del giornale avesse accettato di scattare una serie di foto a tutti i parteci-
panti al servizio funebre. Non si sa mai quando il killer decide di presen-
tarsi per godersi l'angoscia e il dolore che ha provocato. I reporter accetta-
vano sempre il patto. Los Angeles era uno dei mercati più competitivi del
mondo per i media e i reporter vivevano e morivano in base ai varchi che
riuscivano ad aprirsi.
Bosch studiò le foto, ma era intralciato nella ricerca dal fatto di non sa-
pere che aspetto avesse Roland Mackey nel 1988. Le foto che Kiz Rider
aveva trovato tramite il computer risalivano all'ultimo arresto. Mostravano
un uomo dalla calvizie incipiente, con la barbetta e gli occhi scuri. Sarebbe
stato difficile rintracciare quel viso in mezzo ai volti dei teenager lì riuniti
per seppellire una di loro.
Per un momento osservò i genitori di Becky Verloren in una delle im-
magini. Erano in piedi accanto alla tomba, appoggiati l'uno all'altra come
se si sostenessero a vicenda per non cadere. Le lacrime rigavano i loro vol-
ti. Robert Verloren era nero e Muriel bianca. Bosch ora sapeva dove Becky
aveva preso quella bellezza acerba. I figli di sangue misto sono spesso do-
tati di una grazia particolare, che travalica le difficoltà sociali che la me-
scolanza di razze talvolta comporta.
Bosch posò le foto e rifletté un istante. Nel fascicolo non compariva da
nessuna parte l'ipotesi che i problemi razziali avessero giocato un qualche
ruolo nell'omicidio. Ma il fatto che l'arma del delitto provenisse dal furto
in casa di un uomo che era stato minacciato per motivi religiosi pareva da-
re corpo alla possibilità che ci fosse quantomeno un esile legame con l'o-
micidio di una ragazza di sangue misto.
Il fatto che questo non fosse menzionato nel fascicolo non significava
nulla. Gli aspetti razziali erano sempre tenuti nascosti al Dipartimento di
Polizia di Los Angeles. Mettere per iscritto certe considerazioni voleva di-
re renderle note a tutto il dipartimento, poiché i rapporti investigativi veni-
vano consultati lungo tutto l'iter delle indagini. Avrebbero potuto verificar-
si fughe di notizie che avrebbero trasformato il caso in qualcos'altro, in un
fatto politico. Perciò l'assenza di riferimenti razziali per Bosch non rappre-
sentava una manchevolezza delle indagini. Non per ora, almeno.
Dovevano esserci più di trecento pagine di documenti e fotografie nel
fascicolo, e da nessuna parte aveva scorto il nome di Roland Mackey.
Possibile che non fosse rientrato neppure in via marginale nelle indagi-
ni? In tal caso, era davvero plausibile che fosse lui l'assassino?
La domanda infastidiva Bosch. Cercava sempre di prestare fede al fasci-
colo di un delitto, il che significava che secondo lui le risposte si trovavano
sempre all'interno di quelle copertine di plastica. Ma questa volta faceva
fatica a seguire la strada indicata dal cold hit. Non che non credesse alla
scienza. Non dubitava che il sangue di Mackey corrispondesse a quello
trovato all'interno dell'arma del delitto. Ma credeva che ci fosse qualcosa
di sbagliato. Che mancasse qualche elemento.
Abbassò lo sguardo sul taccuino. Aveva preso pochi appunti: solo una
lista di persone con cui desiderava parlare.

- Green e Garcia
- madre/padre
- compagni di scuola/insegnanti
- ex ragazzo
- agente responsabile della libertà vigilata
- Mackey - scuola?

Sapeva che tutti gli appunti che aveva preso erano banali. Si rese conto
di quanti pochi elementi disponessero a parte il confronto del DNA. Anco-
ra una volta era a disagio nel dover ricostruire un caso senza nient'altro in
mano.
Bosch guardava i suoi appunti quando Kiz Rider entrò nell'ufficio. Era a
mani vuote, non sorrideva.
«Allora?» domandò Bosch.
«Cattive notizie. L'arma del delitto è andata. Non so se hai letto tutto il
fascicolo, ma si parla di un diario. La ragazza teneva un diario. È andato
anche quello. È andato tutto.»

Decisero che il miglior modo per affrontare e discutere le cattive notizie


fosse andare a mangiare. Tra l'altro, niente rendeva Bosch più affamato del
restarsene seduto in un ufficio tutta la mattina a leggere un dossier. Anda-
rono al Chinese Friends, un piccolo locale sulla Broadway alla fine di Chi-
natown, dove sapevano di poter ottenere ancora un tavolo se arrivavano
presto. Era un posto in cui potevi mangiare bene e in abbondanza spen-
dendo a malapena cinque dollari. Il problema era che si riempiva in fretta,
soprattutto con il personale della stazione dei vigili del fuoco, i distintivi
d'oro del Parker Center e i burocrati del municipio. Se non arrivavi per
mezzogiorno, dovevi ordinare da portare via ed eri costretto a mangiare
sulle panchine della fermata dell'autobus di fronte, al sole.
Lasciarono il fascicolo in auto, per non incomodare gli altri avventori,
visto che i tavoli erano attaccati tra loro come i banchi alla scuola pubbli-
ca. Si portarono però gli appunti e discussero il caso servendosi di una ste-
nografia inventata al momento, pensata per mantenere la conversazione ri-
servata. Rider spiegò che quando aveva detto che il diario e l'arma manca-
vano dall'ESB intendeva che in un'ora di ricerche i due impiegati dell'ar-
chivio non avevano trovato neppure la scatola con le prove relative al loro
caso. Non fu una gran sorpresa per Bosch. Pratt li aveva messi in guardia:
per decenni il dipartimento aveva prestato scarsa attenzione alle prove. Le
scatole di cartone con i reperti venivano registrate e riposte su degli scaffa-
li in ordine cronologico, senza alcun tipo di separazione in base al tipo di
crimine. Di conseguenza, le prove di un omicidio potevano trovarsi sullo
scaffale accanto a quelle di un furto. E quando gli impiegati procedevano
periodicamente a eliminare gli oggetti per cui erano scaduti i termini
dell'obbligo di conservazione, a volte venivano gettate le scatole sbagliate.
Tra l'altro, per anni la sicurezza dell'ESB non era rientrata tra le priorità del
dipartimento. Per chiunque possedesse un distintivo della LAPD non era
difficile accedere al magazzino. Perciò gli scatoloni erano soggetti a furti.
Non era insolito che sparissero le armi da fuoco, o altri reperti provenienti
da casi famosi come quelli della Dalia Nera di Charles Manson o del Fab-
bricante di bambole.
Nel caso dei Verloren niente faceva pensare a un furto di prove. Si trat-
tava con maggior probabilità di un esempio di incuria: non era facile cerca-
re una scatola che era stata riposta diciassette anni prima in una stanza di
quattromila metri quadrati piena di cartoni tutti uguali.
«La troveranno» disse Bosch. «Magari potresti chiamare il tuo amico del
sesto piano perché gli dia una bella strigliata. Così la troverebbero di sicu-
ro.»
«Sarebbe il caso. Il DNA non ci serve a niente senza la pistola.»
«Non ti capisco.»
«Harry, le prove sono concatenate. Non puoi andare in giudizio con il
DNA e non avere la possibilità di mostrare alla giuria l'arma da cui provie-
ne. Non possiamo neppure presentarci al procuratore distrettuale senza
l'arma. Ci sbatterebbero fuori a calci nel sedere.»
«Senti, io dico solo che al momento noi due siamo gli unici a sapere che
non abbiamo la pistola. Possiamo bluffare.»
«Di cosa stai parlando?»
«Non pensi che questa storia porterà noi e Mackey in una stanzetta? Vo-
glio dire, anche se avessimo l'arma, non saremmo in grado di dimostrare
oltre ogni ragionevole dubbio che il tizio ci abbia lasciato il sangue mentre
sparava a Becky Verloren. L'unica cosa che possiamo dimostrare è che il
sangue è suo. Perciò, se vuoi la mia opinione, dobbiamo ottenere una con-
fessione. Lo chiuderemo nella stanza, lo affronteremo con la prova del
DNA e vedremo se abbocca. Tutto qui. Perciò dico che dobbiamo solo
cercare di procurarci qualche oggetto di scena per l'interrogatorio. Andia-
mo all'arsenale, prendiamo in prestito una Colt 45 e la tiriamo fuori dallo
scatolone mentre siamo nella stanza insieme a lui. Lo convinciamo che ab-
biamo le prove, e lui abbocca o non abbocca.»
«Non mi piacciono i trucchetti.»
«I trucchetti fanno parte del gioco. Non c'è niente di illegale. Lo ha per-
sino stabilito la corte.»
«Io penso che abbiamo bisogno di qualcosa di più del DNA per inca-
strarlo.»
«Anch'io. Pensavo che...»
Bosch si fermò e attese che la cameriera finisse di posare sul tavolo i
piatti fumanti. Bosch aveva ordinato riso saltato con gamberi. Rider costi-
ne di maiale. Senza una parola, Harry sollevò il piatto e versò metà del
contenuto in quello di Kiz. Si servì quindi della forchetta per prendere tre
delle sei costine di Rider. Quasi sorrise mentre lo faceva.
Erano tornati a lavorare insieme da meno di un giorno e avevano già ri-
preso il ritmo tranquillo della loro vecchia collaborazione. Era felice.
«Ehi, come se la passa Jerry Edgar?» domandò.
«Non lo so. Non gli parlo da parecchio tempo. Non abbiamo mai supera-
to del tutto quella cosa.»
Bosch annuì. Quando lavorava con Kizmin Rider alla Divisione Hol-
lywood, nella Omicidi le squadre erano formate da tre persone. Jerry Edgar
era il terzo partner. Poi Bosch era stato messo in aspettativa e Rider pro-
mossa alla sede centrale. Edgar era rimasto a Hollywood e si era sentito i-
solato e scavalcato. E ora che Bosch e Rider lavoravano di nuovo insieme
ed erano stati assegnati alla Rapine e Omicidi, da Edgar era arrivato solo
silenzio.
«Cosa stavi dicendo, Harry, quando sono arrivati i piatti?»
«Solo che hai ragione tu. Abbiamo bisogno di qualcosa in più. Una cosa
che pensavo è che dopo l'11 settembre e il Patriot Act sarà più facile otte-
nere l'autorizzazione per delle intercettazioni.»
Rider mangiò un gambero prima di rispondere.
«Sì, è vero. È una delle cose che monitoravo per il capo. Le richieste so-
no aumentate all'incirca del trecento per cento, e sono molte di più anche
quelle che vengono accettate. Sembra che si sia sparsa la voce che si tratta
di uno strumento che ora si può utilizzare. Nel nostro caso come potrebbe
funzionare?»
«Pensavo di mettere sotto controllo il telefono di Mackey e poi di far u-
scire qualche articolo sui giornali. Non so, dire che abbiamo riaperto il ca-
so, magari citare il DNA, qualcosa di nuovo. Non direi che abbiamo trova-
to una corrispondenza, ma che potremmo trovarla. Poi ci sediamo, lo te-
niamo d'occhio, lo ascoltiamo e vediamo che succede. Potremmo anche
andare a fargli una visitina, vedere se questo smuove un po' le acque.»
Rider rifletté mentre mangiava una costina con le mani. Sembrava a di-
sagio per qualcosa, e non poteva essere il cibo.
«Che c'è?» domandò Bosch.
«Chi chiamerebbe?»
«Non so. La persona con cui l'ha fatto, o per cui l'ha fatto.»
Rider annuì pensierosa mentre masticava.
«Non lo so, Harry. Sei tornato al lavoro da meno di un giorno, dopo tre
anni passati a goderti il sole, e già leggi tra le righe delle indagini cose che
io non vedo. Immagino che tu rimanga sempre il maestro.»
«È solo che ti sei arrugginita a rimanere seduta dietro quella grande scri-
vania al sesto piano.»
«Dico sul serio.»
«Anch'io. O quasi. Penso di aver aspettato così a lungo questo momento
che tutti i miei sensi sono all'erta.»
«Dimmi solo come la vedi, Harry. Non hai bisogno di trovare delle scu-
se per il tuo istinto.»
«A dire il vero non la vedo ancora con chiarezza, e questo è parte del
problema. Il nome di Roland Mackey non compare mai nel fascicolo
dell'omicidio, e questo è un altro punto dolente. Sappiamo che il nostro
uomo si trovava da quelle parti, ma non abbiamo nulla che lo colleghi alla
vittima.»
«Cosa dici? Abbiamo l'arma con il DNA.»
«Il sangue lo collega alla pistola, non alla ragazza. Hai letto il fascicolo.
Non possiamo dimostrare che il DNA sia finito sulla pistola al momento
dell'omicidio. Questo singolo particolare potrebbe mandare all'aria tutto il
caso. È un buco enorme, Kiz. Abbastanza grande da permettere a una giu-
ria di infilarcisi dentro. Al processo, Mackey non dovrebbe fare altro che
alzarsi in piedi e dire: "Sì, ho rubato la pistola durante un furto a Winnetka.
Poi sono andato sulla collina e ho sparato qualche colpo, giocavo a fare
Mel Gibson, e l'ultima cosa che mi ricordo è che quella maledetta mi ha
pizzicato, mi ha strappato via un pezzo di mano. A Mel non succede mai.
Allora mi sono incazzato, ho buttato quella maledetta pistola in mezzo agli
sterpi e sono andato a casa a mettermi un cerotto". Il rapporto della Scien-
tifica - il nostro maledetto rapporto - confermerebbe la sua storia, fine del
processo.»
Rider non sorrise durante il racconto. Harry vide che si erano capiti.
«Non avrebbe bisogno di dire nient'altro, Kiz, avrebbe il ragionevole
dubbio dalla sua, e noi non potremmo dimostrare nulla. Non abbiamo im-
pronte sulla scena del delitto, non abbiamo capelli, frammenti di pelle, non
abbiamo niente. E oltre a questo c'è il suo profilo. Se avessi letto quei do-
cumenti prima di avere la prova del DNA, non avresti mai considerato
quel tizio un killer. Magari uno che poteva perdere la testa o scaldarsi in
un momento di passione, ma non un individuo capace di una cosa del ge-
nere, pianificata, e di sicuro non a diciotto anni.»
Rider scosse la testa in maniera quasi malinconica.
«Qualche ora fa questo caso ci è stato consegnato come un regalo di
benvenuti a bordo. Ce lo hanno servito su un piatto d'argento...»
«Il DNA fa sempre saltare alle conclusioni. È questo che non va nel
mondo. La gente pensa che con la tecnologia tutto diventi facile. Guardano
tutti troppa TV.»
«È il tuo modo per dirmi che non pensi sia stato lui?»
«Ancora non so cosa penso.»
«Allora gli mettiamo il sale sulla coda, gli controlliamo il telefono, lo
chiudiamo in un angolo e vediamo come si comporta, se chiama qualcu-
no.»
Bosch annuì. «È quello che pensavo» disse.
«Prima dobbiamo chiarirci con Abel.»
«Seguiamo la procedura. Come mi ha detto oggi il capo.»
«Porco cane, il nuovo Harry Bosch.»
«Ce l'hai davanti.»
«Prima di richiedere le intercettazioni dobbiamo fare bene tutti i compiti.
Dobbiamo controllare che Roland Mackey non conoscesse nessuno dei
protagonisti. Verificato questo, andremo a parlare con Pratt.»
«Mi pare giusto. Cos'altro hai trovato leggendo?»
Prima di essere lui a tirarlo fuori, voleva vedere se anche la partner ave-
va individuato l'aspetto razziale in sottofondo.
«Solo quello che c'era scritto» rispose Rider. «C'è qualcosa che mi sono
persa?»
«Non lo so... niente di lampante.»
«Allora cosa?»
«Pensavo al fatto che la ragazza era meticcia. Nel 1988 c'era ancora gen-
te a cui la cosa non piaceva. Poi ci aggiungi il furto della pistola: il pro-
prietario era ebreo, e lo stavano minacciando, per questo aveva comprato
la pistola.»
Rider annuì meditabonda mentre finiva un boccone di riso.
«È un aspetto da approfondire» commentò. «Ma per ora non mi pare
sufficiente per investirci troppo.»
«Non c'era niente nel fascicolo...»
Mangiarono in silenzio per qualche minuto. Bosch aveva sempre pensa-
to che il Chinese Friends facesse i gamberi più teneri e dolci che avesse
mai mangiato nel riso saltato. Le costolette di maiale, sottili come i piatti
di plastica su cui gliele avevano servite, erano altrettanto perfette. E Kiz
aveva ragione, erano più buone mangiate con le mani.
«Che mi dici di Green e Garcia?» domandò Rider alla fine.
«In che senso?»
«Che voto gli dai?»
«Non lo so. Sufficiente, a voler essere di manica larga. Hanno commes-
so molti errori e rallentato le indagini. Dopo sembra che abbiano fatto il
minimo indispensabile. Tu?»
«Uguale. Hanno redatto un buon fascicolo, ma ci leggi sopra dappertutto
la sigla CIC, "Copriti Il Culo". Come se avessero saputo che non sarebbero
mai arrivati a una conclusione, ma volessero dare l'impressione di aver ten-
tato ogni strada.»
Bosch annuì e abbassò lo sguardo sul taccuino appoggiato sulla sedia
vuota di fianco a lui. Osservò l'elenco delle persone da interrogare.
«Dobbiamo parlare con i genitori e con Garcia e Green. Dobbiamo an-
che procurarci una foto di Mackey. Di quando aveva diciotto anni.»
«Penso che sarebbe meglio andare dai genitori dopo aver parlato con tut-
ti gli altri. Saranno anche i più importanti, ma meglio lasciarli per ultimi.
Voglio raccogliere più informazioni possibili prima di ributtare loro ad-
dosso un fardello simile dopo diciassette anni.»
«Giusto. Forse dovremmo cominciare dagli uffici per la libertà vigilata.
Il nostro uomo si è ripulito solo un anno fa. Probabile che sia stato asse-
gnato alla stazione di Van Nuys.»
«Giusto. Potremmo passare di là e poi andare a parlare con Art Garcia.»
«Lo hai trovato? È ancora in giro?»
«Non ho dovuto cercare molto. È il comandante del Bureau della Valley
adesso.»
Bosch annui. Non era sorpreso. Garcia aveva lavorato bene. Il rango di
comandante del Bureau lo poneva appena al di sotto del vicecapo. Signifi-
cava che era il secondo in comando sui cinque distretti di polizia della Val-
ley, compreso il Devonshire, dove anni addietro aveva lavorato al caso
Verloren.
Rider proseguì.
«Nell'ufficio del capo della polizia, oltre ai progetti che seguivamo rego-
larmente, a ognuno di noi assistenti particolari era stato affidato un rappor-
to privilegiato con uno dei quattro Bureau. A me era capitato quello della
Valley. Perciò il comandante Garcia e io abbiamo parlato di tanto in tanto.
Più spesso ho avuto a che fare con il suo staff, soprattutto con il suo vice,
Vartan.»
«So cosa vuoi dirmi: la mia partner ha le conoscenze giuste. Eri tu che
dicevi a Vartan e Garcia come gestire la Valley.»
Lei scosse il capo, fingendosi seccata.
«Non rompermi le palle. Lavorare al sesto piano mi permetteva un'am-
pia prospettiva sul dipartimento e sul suo funzionamento.»
«O malfunzionamento. A proposito, c'è una cosa che ti devo dire.»
«Che cosa?»
«Mi sono imbattuto in Irving quando sono sceso a prendere il caffè. Su-
bito dopo che tu te n'eri andata.»
Rider apparve subito preoccupata.
«Cos'è successo? Che ti ha detto?»
«Non molto. Solo che sono uno pneumatico ricostruito, che sono desti-
nato a scoppiare e che quando succederà trascinerò con me il capo della
polizia, perché è lui che ha deciso di reintegrarmi. Poi, naturalmente,
quando il casino sarà finito, Mastro Lindo sarà pronto a farsi avanti.»
«Cristo, Harry, un giorno di lavoro e c'è già Irving che ti morde il culo?»
Bosch spalancò le braccia, quasi colpendo la spalla di un uomo seduto al
tavolo accanto.
«Io sono solo andato a prendere un caffè. Lui era lì. È lui che è venuto
da me, Kiz. Io mi stavo facendo gli affari miei. Te lo giuro.»
Lei chinò il capo e guardò il piatto. Continuò a mangiare senza parlare.
Gettò l'ultima costoletta senza finirla.
«Basta, non ce la faccio più. Usciamo da qui.»
«Sono pronto.»
Bosch lasciò sul tavolo più soldi di quanto fosse necessario, e Rider dis-
se che la volta successiva sarebbe toccato a lei. Usciti dal ristorante, sali-
rono sull'auto di Bosch, un SUV nero della Mercedes, e attraversarono
Chinatown fino all'entrata della 101, in direzione nord. Percorsero tutto il
tragitto fino alla freeway prima che Rider parlasse di nuovo di Irving.
«Harry, non prenderlo alla leggera» disse. «Sii prudente.»
«Sono sempre stato prudente, Kiz, e non ho mai preso quell'uomo alla
leggera.»
«Io dico solo che è stato già scavalcato due volte nella scalata al posto di
comando. Potrebbe essere disperato.»
«Già. Sai che cosa non capisco? Perché il tuo amico non si è sbarazzato
di lui quando è arrivato qui? Voglio dire, perché non ha fatto un bel repuli-
sti? Spostare Irving dall'altra parte della strada non significa porre fine alla
minaccia. Lo sanno tutti.»
«Non può sbatterlo fuori. Irving ha più di quarant'anni di servizio. Ha un
mucchio di appoggi che si spingono al di là del dipartimento, fino al muni-
cipio. E sa dove sono nascosti molti scheletri. Il comandante non può fare
mosse contro di lui prima di essere sicuro che non ci sarebbero contraccol-
pi.»
Seguì ancora qualche minuto di silenzio. Il traffico del primo pomerig-
gio in direzione della Valley non era sostenuto. Si erano sintonizzati sulla
KFWB, la stazione radio di notiziari e informazioni sul traffico, e non era
segnalato alcun problema sul resto del tragitto. Bosch controllò il carbu-
rante e vide che aveva ancora mezzo serbatoio pieno. Era più che suffi-
ciente.
Avevano deciso in precedenza di alternare l'uso delle rispettive auto pri-
vate. Avevano richiesto e ottenuto l'assegnazione di un'auto di servizio, ma
sapevano entrambi che la richiesta e l'approvazione erano la parte più
semplice della trafila. Con tutta probabilità ci sarebbero voluti mesi per ot-
tenere una vettura. Il dipartimento non aveva auto di riserva e non posse-
deva neppure il denaro per acquistarle. L'approvazione della richiesta era
solo un pezzo di carta che gli sarebbe servito per addebitare al dipartimen-
to il costo della benzina e il rimborso chilometrico per l'utilizzo delle loro
auto. Bosch sapeva che con il tempo avrebbe percorso così tanti chilometri
con il suo SUV che alla fine le spese per il dipartimento avrebbero supera-
to il costo dell'acquisto di una vettura nuova.
«Senti,» disse «so a cosa stai pensando, anche se non lo dici. Non sei
preoccupata solo per me. Hai puntato i piedi e hai convinto il comandante
a riprendermi. Credimi, Kiz, sono consapevole di non essere solo io a fare
affidamento su questo... su questo pneumatico ricostruito. Non devi preoc-
cuparti. Ho capito. Non ci sarà nessuno scoppio. Nessuno subirà contrac-
colpi per causa mia.»
«Bene, Harry. Sono lieta di sentirtelo dire.»
Cercò di pensare a qualcosa da aggiungere per convincerla. Sapeva che
le parole non erano altro che parole.
«Sai, non so se te l'ho mai detto, ma dopo aver lasciato il dipartimento,
all'inizio la mia nuova vita quasi mi piaceva. Trovarmi fuori dalla squadra,
avere la possibilità di fare tutto quello che mi pareva... Il lavoro ha comin-
ciato a mancarmi, e ho ripreso a dedicarmi alle indagini. Per conto mio.
Comunque, a un certo punto ho cominciato a zoppicare.»
«Zoppicare?»
«Una cosa da niente. Come se uno dei tacchi fosse più basso dell'altro.
Come se fossi storto.»
«Be', hai controllato le scarpe?»
«Non c'era bisogno di controllare le scarpe. Il problema non erano le
scarpe. Il problema era la pistola.»
Le lanciò un'occhiata. La donna guardava fisso davanti a sé, le sopracci-
glia tracciavano la "V" profonda che gli rivolgeva spesso. Bosch tornò a
guardare la strada.
«Ho portato la pistola così a lungo che non averla più mi sbilanciava.
Ero storto.»
«Harry, è uno strano racconto.»
Stavano attraversando il Cahuenga Pass. Bosch guardò il pendio fuori
dal finestrino, cercò la sua casa annidata in mezzo alle altre tra le pieghe
della montagna. Gli parve di scorgere la veranda sul retro che sbucava in
mezzo ai cespugli.
«Vuoi chiamare Garcia e vedere se possiamo fare un salto da lui dopo?»
domandò.
«Sì, lo farò, appena arrivi al dunque del tuo racconto.»
Rifletté a lungo prima di rispondere.
«Il punto è che ho bisogno di una pistola. Ho bisogno del distintivo. Al-
trimenti sono sbilanciato. Ho bisogno di tutto questo. Okay?»
Diede un'occhiata a Rider. Lei ricambiò lo sguardo, ma non rispose.
«So che cosa mi gioco con questa opportunità. Perciò vaffanculo Irving
e il suo pneumatico ricostruito. Non manderò tutto a puttane.»

Venti minuti dopo entrarono in uno dei posti che Bosch odiava di più in
città: l'Ufficio per la libertà condizionale e i servizi sociali del Dipartimen-
to di Correzione statale a Van Nuys. Era un edificio di mattoni a un solo
piano gremito di persone in attesa di incontrare gli agenti dei servizi sociali
e gli addetti alla libertà condizionale per consegnare i campioni di urina,
per firmare il registro, per aspettare di essere incarcerati o per implorare
un'altra chance di libertà. Era un luogo dove la disperazione, l'umiliazione
e la rabbia erano palpabili nell'aria. Era un luogo dove Bosch cercava di
non incrociare lo sguardo di nessuno.
Bosch e Rider possedevano qualcosa che nessuno degli altri aveva: il di-
stintivo. Questo permise loro di saltare la fila e ottenere subito udienza
dall'agente cui era stato assegnato Roland Mackey dopo essere stato arre-
stato due anni prima per atti osceni in luogo pubblico. Thelma Kibble era
relegata in un cubicolo all'interno di un open space affollato di spazi ana-
loghi a quello. La scrivania e lo scaffale di ordinanza, che il governo forni-
va insieme al cubicolo, erano ricolmi di schede sui condannati che le erano
stati affidati. Era una donna di media altezza, robusta. Gli occhi chiari bril-
lavano in contrasto con la pelle marrone scuro. Bosch e Rider si presenta-
rono come detective della Rapine e Omicidi. C'era solo una sedia davanti
alla scrivania di Kibble, perciò rimasero in piedi.
«Stiamo parlando di una rapina o di un omicidio?» domandò Kibble.
«Omicidio» ripose Rider.
«Allora perché uno di voi due non va a prendere un'altra sedia nel cubi-
colo laggiù? La collega è ancora a pranzo.»
Bosch prese la sedia e la portò alla scrivania, poi si sedettero e dissero a
Kibble che desideravano dare un'occhiata al dossier di Roland Mackey.
Bosch ebbe l'impressione che Kibble avesse riconosciuto il nome, ma non
il caso.
«È stato condannato per atti osceni, ti è stato affidato un paio di anni fa»
disse. «L'affidamento è durato dodici mesi.»
«Oh, non è attuale, allora. Be', devo andare a recuperare la pratica in ar-
chivio. Non ricor... ah, sì, sì che mi ricordo. Roland Mackey, sì. Mi è quasi
piaciuto lavorare con quel tizio.»
«Come?» domandò Rider.
Kibble sorrise.
«Diciamo che per lui non è stato semplice obbedire agli ordini di una
donna di colore. Aspettate, però, vado a prendere il dossier, così non ci
sbagliamo sui dettagli.»
Chiese conferma della grafia del cognome di Mackey, quindi lasciò il
cubicolo.
«Questo potrebbe aiutare» disse Bosch.
«Cosa?» domandò Rider.
«Se ha avuto problemi con lei, con tutta probabilità avrà problemi anche
con te. Potrebbe tornarci utile.»
Rider annuì. Bosch vide che la partner stava guardando un articolo di
giornale attaccato alla parete del cubicolo. Era ingiallito dal tempo. Bosch
si avvicinò, ma era comunque troppo distante per leggere altro che il titolo.

AGENTE DEI SERVIZI SOCIALI ACCOLTA DA EROE.

«Cos'è?» domandò a Rider.


«Ah, ho capito» rispose lei. «Le hanno sparato qualche anno fa. Andò a
casa di una ex detenuta e qualcuno le sparò. L'ex detenuta chiamò aiuto,
ma poi scappò. Qualcosa del genere. Le abbiamo dato un premio alla BPO.
Cristo, è dimagrita un sacco.»
Qualcosa nella storia fece suonare un campanello nella testa di Bosch.
Notò che c'erano due foto che accompagnavano l'articolo. Una era di
Thelma Kibble in piedi di fronte all'edificio del Dipartimento di Correzio-
ne, uno stendardo che pendeva dal soffitto le dava il bentornata. Rider a-
veva ragione: sembrava che Kibble avesse perso quaranta chili da quella
foto. Bosch all'improvviso si rammentò di aver visto quello stendardo ap-
peso all'edificio qualche anno prima, mentre uno dei suoi casi era dibattuto
in tribunale dall'altra parte della strada. Annuì. Ora ricordava.
Poi qualcosa nella seconda foto catturò la sua attenzione e richiamò i
suoi ricordi. Era la foto segnaletica di una donna bianca: la ex detenuta che
viveva nella casa dove avevano sparato a Kibble.
«Non fu lei a sparare, vero?» domandò.
«No, lei è quella che chiamò i soccorsi, che la salvò. È scomparsa.»
Bosch si alzò in piedi di colpo e si chinò sulla scrivania, appoggiando le
mani su una pila di documenti. Osservò la foto segnaletica. Era uno scatto
in bianco e nero che si era scurito con l'invecchiare del ritaglio di giornale.
Ma Bosch riconobbe comunque il volto. Ne era certo. I capelli e gli occhi
erano diversi. Anche il nome sotto la foto non era lo stesso. Ma era certo di
aver incontrato la donna a Las Vegas l'anno prima.
«Ehi, mi stai incasinando i documenti.»
Bosch si tirò subito su, mentre Kibble tornava dietro la scrivania.
«Mi dispiace, stavo cercando di leggere l'articolo.»
«È una vecchia notizia. È un bel po' che non penso più a quella storia. È
successa molti anni e molti chili fa.»
«Ero al raduno dei Poliziotti Neri quando sei stata decorata» disse Rider.
«Oh, davvero?» esclamò Kibble, mentre il suo viso si apriva in un sorri-
so. «Quella fu una gran bella serata per me.»
«Cos'è successo alla donna?» domandò Bosch.
«Cassie Black? Oh, è scomparsa nel nulla. Nessuno l'ha più vista da al-
lora.»
«Ha imputazioni?»
«No, è questa l'ironia della cosa. Cioè, l'abbiamo incriminata perché è
fuggita, ma nient'altro. Non fu lei a spararmi. Anzi, mi salvò la vita. Non
avrei mai permesso a nessuno di incriminarla. Ma non ho potuto fare nien-
te per risparmiarle l'accusa per la violazione della libertà vigilata. È scom-
parsa. Per quanto ne so io, il tizio che mi ha sparato potrebbe averla presa e
seppellita da qualche parte nel deserto. Anche se spero di no, mi ha reso un
ottimo servizio.»
All'improvviso Bosch non fu più così convinto che la donna accanto alla
quale aveva vissuto per qualche giorno nel motel di un aeroporto, mentre
faceva visita alla figlia a Las Vegas l'anno precedente, fosse Cassie Black.
Si sedette e non disse nulla.
«Allora, hai trovato i documenti?» domandò Rider.
«Ce li ho qui» rispose Kibble. «Potete prenderli. Ma se volete farmi
qualche domanda sul tizio, fatelo adesso. Tra cinque minuti inizio il turno
di pomeriggio. Se comincio in ritardo, mi parte un effetto domino su tutta
la giornata e mi tocca uscire tardi. Oggi non posso permettermelo. Ho un
appuntamento.»
Gongolava alla prospettiva del suo appuntamento.
«Okay, va bene, cosa ti ricordi di Mackey? Hai guardato il dossier?»
«Sì, ho dato un'occhiata mentre lo portavo qui. Mackey era un frignone
insignificante. Un drogatello che a un certo punto si è segnalato anche per
discriminazioni razziali e religiose. Niente di che. Mi sono abbastanza di-
vertita a tenerlo sotto. Ma è tutto qui.»
Rider aveva aperto il dossier e Bosch si era chinato per guardarlo.
«Perché è stato incriminato per atti osceni? Si è aperto l'impermeabile?»
«A dire il vero là dentro troverete che il nostro amico era fatto di amfe-
tamine e alcol - molto alcol - e ha deciso di liberarsi nel giardino di qual-
cuno. Nella casa viveva una ragazzina di tredici anni che in quel momento
era in cortile a giocare a basket. Il signor Mackey ha deciso, dopo aver vi-
sto la ragazza, che siccome aveva già il pisello al vento poteva chiederle se
ne voleva un po'. Vi ho già detto che il padre della ragazzina era della Di-
visione Metro del LAPD e che al momento dell'incidente si trovava a casa?
Uscì e scagliò a terra il signor Mackey. A dire il vero, più tardi il signor
Mackey lamentò che per puro caso, o forse non tanto per caso, era stato
buttato proprio sulla pozzanghera che aveva appena lasciato. Era piuttosto
contrariato per questo.»
Kibble sorrise del proprio racconto. Bosch annuì. La versione della don-
na era molto più colorita del resoconto contenuto nel dossier.
«E ha ammesso la propria colpa.»
«Esatto. È stato assegnato ai servizi sociali ed è finito da me.»
«Ci sono stati fastidi durante i dodici mesi?»
«Nessuno, a parte il suo problema con me. Richiese un altro agente, ma
ottenne un rifiuto e fu costretto a rimanere con me. Cercava di controllarsi,
ma il problema era lì. Sotterraneo, capite? Non so dire cosa lo infastidisse
di più, che fossi nera o che fossi donna.»
Mentre diceva questo guardò Rider, che annuì.
Il dossier conteneva dettagli sulla vita e sui reati precedenti di Mackey.
C'erano fotografie scattate in occasione dei primi arresti. Sarebbe diven-
tata la risorsa base per le loro ricerche. Conteneva troppe informazioni per
poterlo consultare di fronte a Kibble.
«Possiamo farne una copia?» domandò Bosch. «Ci farebbe anche piace-
re prendere in prestito una di queste foto di quando era ragazzo.»
Gli occhi di Kibble si strinsero per un momento.
«State lavorando a un vecchio caso, eh?»
Rider annuì.
«Di molti anni fa» rispose.
«Uno di quei casi freddi?»
«Noi li chiamiamo aperti o irrisolti» precisò Rider.
Kibble annuì pensierosa.
«Be', non mi sorprende più niente in questo posto: ho visto gente rubare
una pizza surgelata e farsi incastrare per questo due giorni prima della sca-
denza di quattro anni di libertà sulla parola. Ma da quanto ricordo di quel
Mackey, non mi sembrava proprio che avesse l'istinto del killer. Se volete
la mia opinione, no, è uno che segue gli eventi, non uno che decide.»
«È una buona lettura» disse Bosch. «Non siamo sicuri che sia stato lui.
Sappiamo solo che era coinvolto.»
Si alzò, pronto per andare.
«Per la foto, allora?» domandò. «Una fotocopia non sarebbe abbastanza
definita per mostrarla in giro.»
«Potete prenderla. Basta che me la restituiate. Devo conservare il dossier
completo. La gente come Mackey ha la tendenza a tornare da me, capite
cosa intendo?»
«Sì e te la restituiremo. Posso avere anche una copia dell'articolo su di
te? Lo vorrei leggere.»
Kibble osservò il ritaglio appeso alla parete del cubicolo.
«Non guardate la foto, quella è la vecchia me.»
Dopo aver lasciato l'ufficio, Rider e Bosch attraversarono la strada e
raggiunsero il Centro Civico di Van Nuys, camminarono tra i due edifici
del tribunale per raggiungere la plaza nel mezzo. Si sedettero sulla panchi-
na accanto alla biblioteca. L'appuntamento successivo era con Arturo Gar-
cia, alla Divisione Van Nuys del LAPD, che si trovava in uno degli edifici
nel centro governativo. Ma erano in anticipo e prima volevano studiare i
documenti.
Il fascicolo conteneva un resoconto dettagliato di tutti i reati per cui Ro-
land Mackey era stato arrestato a partire dal diciottesimo compleanno. In-
cludeva anche una breve biografia che negli anni i diversi agenti dei servi-
zi sociali avevano utilizzato per definire gli aspetti della supervisione. Ri-
der porse a Bosch i rapporti sugli arresti, mentre lei analizzava i dati bio-
grafici. Poco dopo lo interruppe nella lettura di un resoconto su un caso di
furto con scasso per riferirgli alcuni dettagli che le parevano pertinenti con
il caso Verloren.
«Ha ottenuto un General Education Degree alla Chatsworth High nell'e-
state del 1988» disse. «Perciò era a Chatsworth al momento del delitto.»
«Un diploma intermedio equivalente alla frequenza della scuola superio-
re. Vuol dire che prima aveva abbandonato la scuola. Dice che istituto fre-
quentava?»
«Qui non c'è niente. Dice che è cresciuto a Chatsworth. Famiglia scom-
binata. Pessimo studente. Viveva con il padre, che lavorava come saldatore
allo stabilimento della General Motors a Van Nuys. Non mi sembra roba
da Hillside Prep.»
«Dobbiamo comunque controllare. I genitori desiderano sempre che i fi-
gli facciano il meglio. Se avesse frequentato la Hillside, potrebbe aver co-
nosciuto la ragazza e poi aver mollato la scuola. Questo spiegherebbe per-
ché non fu interrogato nel 1988.»
Kiz Rider si limitò ad annuire. Stava andando avanti a leggere.
«Il ragazzo non ha mai lasciato la Valley» continuò. «Tutti i suoi indi-
rizzi sono nella Valley.»
«Qual è il suo ultimo indirizzo conosciuto?»
«Panorama City. Lo stesso che risulta dall'AutoTrack. Ma se si trova
qui, con tutta probabilità è vecchio.»
Bosch annuì. Chiunque fosse passato dal sistema di rieducazione tante
volte quanto Mackey, sapeva che era il caso di cambiare casa il giorno do-
po aver completato il periodo di affidamento ai servizi sociali. Meglio non
rendersi reperibili. Bosch e Rider sarebbero andati all'indirizzo di Panora-
ma City per controllare, ma Bosch sapeva che Mackey non sarebbe stato
più lì. Ovunque si fosse trasferito, non aveva di certo usato il proprio nome
per allacciare le utenze e non aveva comunicato il cambio di indirizzo alla
motorizzazione. Volava sotto il livello dei radar.
«Dice che ha fatto parte della Wayside Whities» disse Rider mentre sfo-
gliava i rapporti.
«Non mi sorprende.» La Wayside Whities era il nome di una gang che
era esistita per anni all'interno del penitenziario Wayside Honor Rancho,
nel nord della contea. Nelle prigioni di contea spesso si formavano gang su
base razziale, più per proteggersi a vicenda che per odio. Non era insolito
scoprire che gli appartenenti ai gruppi nazisti legati alla Wayside Whities
in segreto erano ebrei. La protezione era protezione. Era un modo per ap-
partenere a un gruppo e difendersi dagli assalti di altri gruppi. Una misura
di sopravvivenza in carcere. L'appartenenza di Mackey alla gang era solo
un tenue collegamento con le ipotesi di Bosch per cui il razzismo poteva
aver giocato un ruolo nel caso di Becky Verloren.
«C'è altro?» domandò.
«Non mi pare.»
«Particolari fisici? Tatuaggi?»
Rider sfogliò i documenti ed estrasse il formulario di una prigione.
«Sì, tatuaggi» confermò, leggendo. «Si è tatuato il proprio nome su un
bicipite e immagino quello di una ragazza sull'altro. RaHoWa.»
Fece lo spelling del nome e per Bosch risuonarono i primi campanelli a
conferma della propria teoria.
«Non è un nome» spiegò. «È un codice. Significa Racial Holy War:
Guerra santa della razza. Le prime due lettere di ogni parola. Il tizio era un
seguace. Penso che Garcia e Green se lo siano fatto scappare, e ce l'aveva-
no davanti agli occhi.»
Sentiva montare l'adrenalina.
«Guarda qui» aggiunse Rider con eccitazione. «Ha anche il numero ot-
tantotto tatuato sulla schiena. A ricordo di quello che ha fatto nel 1988.»
«Non proprio» ribatté Bosch. «È un altro codice. Ho lavorato a un caso
sul potere bianco una volta, e ricordo tutti i simboli. Per quella gente l'ot-
tantotto sta per la doppia "H", perché la "H" è l'ottava lettera dell'alfabeto.
Ottantotto uguale "HH", uguale Heil Hitler. Usano anche il centonovantot-
to per Sieg Heil. Sono piuttosto arguti, non trovi?»
«Penso comunque che l'anno 1988 debba avere qualcosa a che fare con
tutto questo.»
«Forse sì. Hai trovato qualcosa riguardo a un impiego?»
«Si direbbe che abbia fatto l'autista di carro attrezzi. Ne stava guidando
uno quando si è fermato a fare la pisciatola che gli ha procurato la condan-
na per atti osceni. C'è un elenco di tre diversi impieghi, sempre come auti-
sta di carro attrezzi.»
«Bene. È un punto di partenza.»
«Lo troveremo.»
Bosch tornò a guardare il rapporto sull'arresto che stava leggendo. Ri-
guardava un furto del 1990.
Mackey era stato sorpreso da un cane poliziotto nel negozio di un drive-
in sulla Pacific. Vi aveva fatto irruzione dopo la chiusura e non si era ac-
corto di aver fatto scattare l'allarme. Aveva svuotato il registratore di cassa
e riempito un sacchetto con duecento barrette di cioccolato. Aveva perso
tempo prima di uscire perché aveva deciso di accendere la piastra per pre-
pararsi qualche nachos al formaggio. Era ancora nell'edificio quando un
agente aveva mandato il proprio cane dentro il negozio.
Il rapporto diceva che Mackey, prima di essere arrestato, era stato medi-
cato al pronto soccorso della contea a seguito di una ferita da morso di ca-
ne al braccio sinistro e alla coscia sinistra.
Il documento diceva che Mackey aveva ammesso l'effrazione e la viola-
zione di domicilio, un addebito meno grave del furto con scasso, e che era
stato condannato a sessantasette giorni nella prigione di Van Nuys e a due
anni di libertà condizionata.
Il rapporto successivo riguardava la violazione della libertà condizionata
per aggressione. Bosch stava per leggere il resoconto quando Rider gli
strappò il fascio di fotocopie dalle mani.
«È ora di andare da Garcia» disse. «Il suo assistente ha detto che se arri-
viamo in ritardo ce lo perdiamo.»
Si alzò e Bosch la seguì. Si diressero vero la Divisione Van Nuys. Gli
uffici di comando del Bureau della Valley si trovavano al terzo piano.
«Nel 1990 Mackey è stato arrestato per un furto al vecchio drive-in sulla
Pacific» disse Bosch mentre camminavano.
«Ah.»
«Era un Winnetka and Prairie. Ora lì c'è un multiplex. Si trovava a circa
cinque o sei isolati dal luogo in cui un paio di anni prima era stata rubata
l'arma del delitto.»
«Cosa pensi?»
«Due furti a cinque isolati di distanza. Penso che forse gli piaceva opera-
re in quell'area. Penso che lui abbia rubato la pistola. O che fosse con la
persona che l'ha rubata.»
Rider annuì, i due salirono le scale ed entrarono nell'atrio della stazione
di polizia. Presero l'ascensore e completarono la salita fino all'ufficio del
Bureau di comando della Valley. Erano in orario, ma li fecero comunque
aspettare. Mentre erano seduti su un divano, Bosch continuò: «Mi ricordo
quel drive-in. Ci sono andato un paio di volte quando ero ragazzino. E an-
che quello a Van Nuys».
«Noi a sud avevamo i nostri» disse Rider.
«Hanno convertito anche quelli in multiplex?»
«No. Ora sono soltanto dei parcheggi. Non investono molto laggiù.»
«E Magic Johnson?»
Bosch sapeva che l'ex star dei Laker aveva realizzato molti investimenti
per la comunità, tra cui anche l'apertura di diversi cinema.
«È solo un uomo.»
«Un uomo è un inizio, immagino.»
Una donna con le mostrine sulle maniche dell'uniforme li raggiunse.
«Il comandante vi riceve subito.»

9
Il comandante Arturo Garcia era in piedi dietro la scrivania, in attesa che
Bosch e Rider fossero condotti nel suo ufficio dall'assistente in uniforme.
Anche Garcia era in divisa, la portava bene e con orgoglio. Aveva capelli
grigi come l'acciaio e baffi a spazzola dello stesso colore. Trasudava la si-
curezza che il dipartimento possedeva in passato e che stava lottando per
riconquistare.
«Detective, entrate» li salutò. «Sedetevi e dite a un vecchio investigatore
della Omicidi come vanno le cose.»
Si accomodarono sulle sedie di fronte alla scrivania.
«Grazie per aver accettato di riceverci così in fretta» disse Rider.
Bosch e Rider avevano deciso che sarebbe stata lei a condurre la conver-
sazione con Garcia, vista la maggior confidenza con il comandante che le
derivava dal lavoro nell'ufficio del capo della polizia. Bosch non era nem-
meno sicuro di essere in grado di nascondere il proprio disprezzo per Gar-
cia, per gli errori e i passi falsi che lui e il suo compagno avevano com-
messo nelle indagini sul caso Verloren.
«Be', quando la Rapine e Omicidi chiama, siete voi a stabilire i tempi,
giusto?»
Sorrise di nuovo.
«Noi in realtà lavoriamo all'Unità Casi Irrisolti» rettificò Rider.
Garcia perse il sorriso, e per un momento Bosch pensò di riconoscere un
lampo di dolore in fondo agli occhi dell'uomo. Rider aveva preso l'appun-
tamento tramite un assistente dell'ufficio del capo e non aveva rivelato a
quale caso stessero lavorando.
«Becky Verloren» disse il comandante.
«Come fa a saperlo?»
«Come faccio a saperlo? Sono stato io a chiamare il responsabile della
vostra unità e a dirgli che bisognava usare il DNA per il caso.»
«Il detective Pratt?»
«Sì, Pratt. Non appena l'unità è stata aperta ed è diventata operativa, l'ho
chiamato e gli ho detto di controllare Becky Verloren, 1988. Cosa avete?
Avete una corrispondenza, vero?»
Rider annuì.
«Abbiamo un'ottima corrispondenza.»
«Di chi si tratta? Ho aspettato diciassette anni. Qualcuno del ristorante,
vero?»
Questo fece riflettere Bosch. Nel fascicolo del delitto c'erano diversi in-
terrogatori a persone che lavoravano al ristorante di Robert Verloren, ma
niente che andasse oltre la routine. Niente che indicasse sospetti o una
traccia da seguire. Non c'era nulla nei rapporti investigativi che indirizzas-
se il caso verso il ristorante. Sentire ora che uno degli investigatori dell'e-
poca aveva il sospetto che l'omicida arrivasse da quella direzione, pareva
in conflitto con i rapporti che avevano letto per tutta la mattina.
«A dire il vero, no» rispose Rider. «Il DNA corrisponde a quello di un
uomo di nome Roland Mackey. Aveva diciotto anni all'epoca dell'omici-
dio. Viveva a Chatsworth in quel periodo. Non pensiamo che lavorasse al
ristorante.»
Garcia corrugò la fronte come se fosse sorpreso, o forse contrariato.
«Questo nome le dice niente?» domandò Rider. «Non compare mai sul
fascicolo.»
Garcia scosse la testa.
«Non riesco a inquadrarlo, ma è passato parecchio tempo. Chi è?»
«Non sappiamo ancora chi sia. Lo stiamo cercando. Abbiamo appena
cominciato.»
«Sono sicuro che mi sarei ricordato il nome. C'era il suo sangue sulla pi-
stola, giusto?»
«È quello che abbiamo. L'uomo ha una storia di piccoli reati. Furti con
scasso, ricettazione, droga. Pensiamo che possa essere lui l'autore del furto
in cui è stata sottratta la pistola.»
«Assolutamente» disse Garcia, come se mostrare entusiasmo per quell'i-
dea la potesse rendere più reale.
«Possiamo collegarlo all'arma al di là di ogni ragionevole dubbio» af-
fermò Rider. «Ma stiamo cercando il collegamento con la ragazza. Pensa-
vamo che magari lei ricordasse qualcosa.»
«Avete già parlato con il padre e la madre?»
«Non ancora. Lei è la nostra prima fermata.»
«Quella povera famiglia. È stata la fine per loro.»
«È rimasto in contatto con i genitori?»
«All'inizio sì. Fintanto che ho avuto in mano il caso. Ma quando sono
stato nominato tenente e sono tornato alle auto di pattuglia, ho dovuto la-
sciar perdere. Ho perso contatto con loro. Avevo parlato soprattutto con
Muriel, la madre. Il padre... gli stava capitando qualcosa. Le cose non an-
davano bene. Lasciò la casa. Divorziarono e tutto il resto. Perse il ristoran-
te. L'ultima volta che ho avuto sue notizie, viveva per strada. Di tanto in
tanto si presentava a casa e chiedeva a Muriel dei soldi.»
«Cosa le ha fatto pensare che si trattasse di qualcuno del ristorante
quando siamo venuti qui?»
Garcia scosse il capo, come se fosse frustrato dal tentativo di afferrare
un ricordo che non riusciva a raggiungere.
«Non lo so» disse. «Non riesco a ricordarlo. Era più che altro una sensa-
zione. C'era qualcosa che non andava nel caso. Qualcosa di sospetto.»
«In che senso?»
«Be', avete letto il fascicolo, ne sono sicuro. Non era stata violentata, l'a-
vevano trasportata in cima alla collina dove avevano inscenato un suicidio.
Era una cosa mal fatta. Si trattava di una vera e propria esecuzione. Perciò
non parlavamo di un intrusione casuale. Qualcuno che la ragazza conosce-
va bene, voleva la sua morte.»
«Pensa che possa esserci un legame con la gravidanza?» domandò Rider.
Garcia annuì.
«Pensavamo che ci fosse un collegamento, ma non riuscimmo mai a de-
finirlo.»
«MTL: non siete più riusciti a decifrare la sigla.»
Garcia la guardò, il volto confuso.
«M-T-L: le iniziali che Rebecca usava nel suo diario. Le avete menzio-
nate nell'interrogatorio formale con i genitori. My true love, il mio vero
amore. Ricorda?»
«Ah, sì, le iniziali. Erano una specie di codice. Non avemmo mai alcuna
certezza. Non scoprimmo mai a chi si riferissero. State cercando il diario?»
Bosch annuì, Rider parlò.
«Stiamo cercando tutto. Il diario, la pistola, l'intera scatola delle prove si
è persa da qualche parte all'ESB.»
Garcia scosse il capo, come se avesse trascorso tutta la vita a combattere
con le frustrazioni che gli provocava il dipartimento.
«Questo non mi sorprende. È la norma, giusto?»
«Giusto.»
«Vi dirò una cosa, però. Se troveranno lo scatolone, non ci sarà dentro
alcun diario.»
«Perché?»
«Perché l'ho restituito.»
«Ai genitori?»
«Alla madre. Come ho detto, sono diventato tenente e stavo per essere
trasferito, diretto al Bureau Sud. Ron Green era già andato in pensione.
Stavo passando il caso, e sapevo che sarebbe stata la fine delle indagini.
Nessuno avrebbe prestato più attenzione alla faccenda. Perciò dissi a
Muriel che sarei partito e le diedi il diario...
Quella povera donna. Sembrava che per lei il tempo si fosse fermato.
Era ibernata. Non riusciva ad andare avanti, non riusciva a tornare indietro.
Ricordo che andai a trovarla prima di partire. Era passato più o meno un
anno dall'omicidio. Mi fece vedere la camera di Becky. Era intatta. Era e-
sattamente come la notte in cui avevano portata via la ragazza.»
Rider annuì triste. Garcia non disse nient'altro. Alla fine Bosch si schiarì
la voce, si chinò in avanti e parlò, incalzando Garcia ancora una volta con
la stessa domanda.
«Quando siamo arrivati e le abbiamo riferito di avere una corrisponden-
za per il DNA, lei ha immaginato che si trattasse di qualcuno del ristoran-
te. Perché?»
Bosch guardò Rider, per vedere se fosse infastidita dall'intrusione. Non
sembrava lo fosse.
«Non so perché» rispose Garcia. «Come ho detto, ho sempre pensato
che dovesse arrivare da quella parte, avevo la sensazione che mi fosse
sfuggito qualcosa lì.»
«Si riferisce al padre?»
Garcia annuì.
«Il padre era losco. Non so se si usa ancora questa espressione. Ma allo-
ra la parola era losco.»
«In che senso?» domandò Rider. «In che senso il padre era losco?»
Prima che Garcia potesse rispondere alla domanda, uno degli assistenti
in uniforme entrò nell'ufficio.
«Comandante, sono tutti nella sala conferenze, pronti a cominciare.»
«Va bene, sergente. Arrivo tra un momento.»
Dopo che il sergente se ne fu andato, Garcia guardò Rider, come se si
fosse dimenticato la domanda. «Non c'è niente nel fascicolo del delitto che
adombri qualche sospetto sul padre» disse Rider. «Perché pensa che fosse
losco?»
«Oh, non lo so. È una specie di sensazione viscerale. Non si comportò
mai come ti aspetteresti che si comporti un padre, capite? Era troppo tran-
quillo. Non perdeva mai le staffe, non urlava. Voglio dire, qualcuno gli a-
veva portato via la sua bambina. Non prese mai da parte né me né Ron per
dire "Voglio essere io a sparare a quel tizio quando lo prendete". Io me lo
sarei aspettato.»
Per quanto ne sapeva Bosch, tutti quanti erano ancora sospetti, anche a-
desso che il cold hit collegava Mackey con l'arma del delitto. E tra questi
senza dubbio c'era anche Robert Verloren. Ma scartò immediatamente la
sensazione viscerale di Garcia basata sulla reazione emotiva del padre di
Becky. Sapeva, dopo aver lavorato a centinaia di omicidi, che non c'era
modo di giudicare tali reazioni o di costruire dei sospetti basandosi su di
esse. Bosch aveva visto tutte le possibili trasformazioni, e nessuna di que-
ste significava alcunché. Tra tutti i parenti delle vittime che aveva incon-
trato nel corso delle sue indagini, uno di quelli che urlava e si disperava di
più alla fine si era rivelato l'assassino.
Nel liquidare l'istinto e i sospetti di Garcia, Bosch liquidava Garcia stes-
so. Lui e Green avevano commesso degli errori iniziali, ma avevano recu-
perato conducendo un'indagine investigativa minuziosa. Il fascicolo ne era
la prova. Ma ora Bosch immaginava che qualsiasi cosa fosse stata fatta per
bene con tutta probabilità era stata gestita da Green. Sapeva che avrebbe
dovuto sospettarlo da subito quando aveva sentito che Garcia aveva lascia-
to la Omicidi per un ruolo manageriale.
«Per quanti anni ha lavorato alla Omicidi?» domandò Bosch.
«Tre anni.»
«Tutti alla Divisione Devonshire?»
«Esatto.»
Bosch eseguì un rapido calcolo. A Devonshire i casi non erano mai mol-
ti. Immaginò che Garcia avesse lavorato al massimo a una ventina di delit-
ti. Non aveva abbastanza esperienza per far bene. Decise di passare oltre.
«E il suo ex compagno?» domandò. «Aveva la stessa sensazione riguar-
do a Robert Verloren?»
«Voleva concedere a quell'uomo un po' di tempo in più.»
«Siete ancora in contatto?»
«Con chi, con il padre?»
«No, con Green.»
«No, è andato in pensione parecchio tempo fa.»
«Lo so, ma siete ancora in contatto?»
Garcia scosse il capo.
«No, è morto. Si era ritirato a Humboldt County. Avrebbe dovuto lascia-
re la sua pistola quaggiù. Tutto quel tempo, e niente da fare.»
«Si è ucciso?»
Garcia annuì.
Bosch abbassò lo sguardo. Non era la morte di Ron Green a turbarlo,
non conosceva Green. Era il fatto che in questo modo avevano perso ogni
legame con il caso. Sapeva che Garcia non sarebbe stato di grande aiuto.
«Che ne pensa della questione razziale?» domandò Bosch, ancora una
volta prevaricando Rider.
«Cosa dovrei pensare?» domandò Garcia. «In questo caso? Non la ve-
do.»
«Coppia mista, figlia meticcia, la pistola proveniva da una rapina com-
messa a casa di una vittima che era stata minacciata per motivi religiosi.»
«È una forzatura. C'entra qualcosa con il personaggio di questo Ma-
ckey?»
«Potrebbe esserci qualcosa.»
«Be', noi non avevamo il lusso di un indiziato ufficiale su cui lavorare.
Non c'era niente che facesse pensare alla questione razziale in quello che
avevamo allora.»
Garcia lo disse con vigore, e Bosch capì di aver toccato un nervo scoper-
to. Il comandante non gradiva essere giudicato con il senno di poi, era una
cosa che non piaceva a nessun detective, neppure a quelli senza esperienza.
«So che è lunedì mattina e che deve organizzare il lavoro dei suoi ragaz-
zi» intervenne Rider in fretta. «È solo una pista che stiamo esplorando.»
Garcia parve placato.
«Capisco» disse. «Non lasciate nulla d'intentato.»
Si alzò.
«Be', detective, mi dispiace mettervi fretta. Mi piacerebbe poter parlare
di questo per tutto il giorno. Un tempo mettevo la gente in prigione, ora mi
toccano solo riunioni su budget e tagli del personale.»
"È quello che ti meriti" pensò Bosch. Lanciò un'occhiata a Rider, si
chiedeva se si rendesse conto che erano scampati a un destino simile lavo-
rando insieme all'Unità Casi Irrisolti.
«Fatemi un favore» aggiunse Garcia. «Quando acchiappate quel Ma-
ckey, fatemelo sapere. Magari potrei venire a dargli un'occhiata da dietro il
vetro. Lo stavo aspettando da un bel po'.»
«Nessun problema, signore» disse Rider, distogliendo lo sguardo da
quello di Bosch. «Lo faremo. Se le venisse in mente qualsiasi cosa che
possa aiutarci nel caso, mi chiami. I miei numeri sono tutti qui.»
Si alzò e appoggiò un biglietto da visita sul tavolo.
«Lo farò.»
Garcia stava per girare attorno alla scrivania per raggiungere la sala riu-
nioni.
«C'è una cosa che avremmo bisogno che lei facesse» disse Bosch.
Garcia si fermò e lo guardò.
«Di cosa si tratta, detective? Devo andare alla riunione.»
«Potremmo cercare di far uscire allo scoperto l'uccellino con qualche ar-
ticolo di giornale. Non sarebbe male se venisse da lei: un ex agente della
Omicidi, ora comandante, ossessionato da un vecchio caso, chiama quelli
dell'Unità Casi Irrisolti e li convince a far passare il DNA negli archivi. E
così salta fuori un cold hit.»
Garcia fece un cenno di assenso. Bosch era sicuro che l'idea avrebbe sol-
leticato l'ego di quell'uomo.
«Sì, potrebbe funzionare. Fate come preferite. Chiamatemi per organiz-
zare tutto. Il Daily News? Ho dei contatti con loro. È il giornale della Val-
ley.»
Bosch annuì.
«Sì, è quello che pensavamo anche noi» disse.
«Bene. Fatemi sapere. Devo andare.»
Lasciò rapidamente l'ufficio. Rider e Bosch si guardarono, quindi lo se-
guirono. Fuori in corridoio, in attesa che arrivasse l'ascensore, Rider do-
mandò a Bosch cosa avesse in mente quando aveva chiesto a Garcia di es-
sere lui a parlare con i giornali.
«Sarà perfetto per la stampa, perché non ha idea di quello che dice.»
«Ed è proprio quello che non vogliamo. Noi dobbiamo essere cauti.»
«Non preoccuparti. Funzionerà.»
L'ascensore si aprì e i due detective entrarono. Non c'era nessun altro.
Non appena le porte si chiusero, Rider lo aggredì.
«Harry, chiariamo subito una cosa. O siamo partner o non lo siamo. A-
vresti dovuto avvisarmi che intendevi incalzarlo. Avremmo dovuto parlar-
ne prima.»
Bosch annuì. «Hai ragione. Siamo partner. Non succederà più.»
«Bene.»
Le porte dell'ascensore si aprirono e Rider uscì, lasciando indietro
Bosch.

10

La Hillside Preparatory School aveva sede in un edificio di architettura


ispanica, annidato contro le alture di Porter Ranch. Il campus si distingue-
va per i magnifici prati verdi e le maestose montagne che si ergevano alle
sue spalle. I monti parevano quasi abbracciare e proteggere la scuola.
Bosch rifletté che sembrava proprio un luogo in cui qualsiasi genitore a-
vrebbe voluto mandare i propri figli. Pensò a sua figlia, cui mancava solo
un anno per cominciare le elementari. Avrebbe voluto che anche lei fre-
quentasse una scuola come quella, per come si presentava dall'esterno,
quantomeno.
Lui e Rider seguirono le indicazioni che li condussero agli uffici
dell'amministrazione. All'ingresso Bosch mostrò il distintivo e spiegò che
volevano controllare se uno studente di nome Roland Mackey avesse mai
frequentato la Hillside. La segretaria scomparve nell'ufficio alle sue spalle,
dal quale presto emerse un uomo. Le sue caratteristiche salienti erano la
pancia, grande come un pallone da basket, e gli occhiali spessi ombreggiati
da folte sopracciglia. L'attaccatura dei capelli seguiva la linea perfetta di
un parrucchino.
«Sono Gordon Stoddard, il preside della Hillside. La signora Atkins mi
ha detto che siete detective. L'ho mandata a controllare quel nominativo
per voi. A me non dice nulla, e io sono qui da quasi venticinque anni. Sa-
pete quando ha frequentato con precisione? Il dato potrebbe aiutarla nelle
ricerche.»
Bosch era sorpreso. Stoddard sembrava sui quarantacinque anni. Doveva
essere arrivato alla Hillside appena finiti gli studi e lì era rimasto. Bosch
non sapeva se la ragione fosse che in quel posto i docenti erano pagati
molto bene o se Stoddard avesse una particolare dedizione per la scuola,
ma da quello che si diceva degli insegnanti, privati o pubblici, non doveva
essere una questione di stipendio.
«Stiamo parlando all'incirca degli anni Ottanta, se è stato qui. È passato
parecchio tempo perché lei possa ricordarlo.»
«Sì, ma io ho una memoria straordinaria per gli studenti che sono passati
da qui. Li ricordo quasi tutti. Non sono preside da venticinque anni. Prima
ero professore. Insegnavo scienze, e ho diretto il dipartimento di scienze.»
«Ricorda Rebecca Verloren?» domandò Rider.
Stoddard sbiancò.
«Sì, ovvio che la ricordo. Ero il suo insegnante di scienze. È per questo
che siete qui? Avete arrestato questo ragazzo, Mackey? Cioè, immagino
che sia un uomo ormai. È stato lui?»
«Questo non lo sappiamo, signore» rispose Bosch in fretta. «Stavamo
riesaminando il caso, il suo nome è saltato fuori e abbiamo bisogno di con-
trollare. Tutto qui.»
«Avete visto la targa?» domandò Stoddard.
«Scusi?»
«Fuori, sulla parete del corridoio principale. C'è una targa dedicata a
Rebecca. Gli studenti della sua classe raccolsero i fondi e la commissiona-
rono. È abbastanza graziosa, ma, naturalmente, è anche piuttosto triste. La
gente da queste parti si ricorda di Rebecca Verloren.»
«Ci è sfuggita. Le daremo un'occhiata mentre usciamo.»
«Un sacco di gente la ricorda ancora. Questa scuola potrà anche non pa-
gare bene, e la maggior parte dei docenti deve fare due lavori per arrivare a
fine mese, ma gli insegnanti sono molto leali. Molti dei professori di Re-
becca sono ancora qui. Ne abbiamo una, la signora Sable, che era studen-
tessa con lei e che è tornata qui a insegnare. In effetti, Bailey era una delle
sue migliori amiche, credo.»
Bosch lanciò un'occhiata a Rider, che sollevò un sopracciglio. Avevano
un piano per avvicinare le amiche di Becky Verloren, ma ora si presentava
l'occasione su un piatto d'argento. Bosch aveva riconosciuto il nome Bai-
ley. Una delle tre amiche con cui Becky Verloren aveva trascorso la notte
due giorni prima della sua scomparsa si chiamava Bailey Koster.
Bosch sapeva che interrogare una testimone del caso era un'occasione
importante. Se non fossero andati subito dalla professoressa Sable, la don-
na avrebbe appreso di Roland Mackey da Stoddard. Bosch non voleva che
accadesse. Voleva essere lui a controllare il flusso di informazioni sul caso
con gli attori coinvolti.
«C'è oggi?» domandò Bosch. «Possiamo parlare con lei?»
Stoddard alzò lo sguardo verso l'orologio sulla parete accanto alla porti-
neria.
«Be', ora è in classe, ma la scuola chiude tra circa venti minuti. Se non vi
dispiace aspettare, sono certo che potrete parlare con lei.»
«Non è un problema.»
«Bene, le manderò un messaggio in classe e le chiederò di raggiungerci
qui dopo la lezione.»
La signora Atkins, la segretaria, comparve dietro Stoddard.
«A dire il vero, se non le dispiace,» disse Rider «preferiremmo andare
noi a parlare in classe. Non vogliamo metterla a disagio.»
Bosch annuì. La collega era sulla sua stessa lunghezza d'onda. Non vo-
levano che messaggi di qualsiasi genere potessero raggiungere la professo-
ressa Sable. Non volevano che pensasse a Becky Verloren prima che loro
potessero osservarla e ascoltarla.
«In un modo o nell'altro» fece Stoddard. «Come preferite.»
Si accorse della signora Atkins dietro di sé e le chiese di riferire su quan-
to aveva scoperto.
«Non risulta nessuno studente a nome Roland Mackey» comunicò.
«Avete trovato qualcuno con quel cognome?» domandò Rider.
«Sì, un Mackey, primo nome Gregory, ha frequentato per due anni nel
1996 e 1997.»
C'era una remota possibilità che si trattasse di un fratello minore o di un
cugino. Sarebbe stato opportuno controllare.
«Può verificare se c'è un indirizzo attuale o un numero di telefono?»
domandò Rider.
La signora Atkins diede un'occhiata a Stoddard in cerca di approvazione,
l'uomo annuì. La donna scomparve per andare a recuperare le informazio-
ni. Bosch controllò l'orologio alla parete: avevano quasi venti minuti di at-
tesa.
«Signor Stoddard, possiamo consultare gli annuari della fine degli anni
Ottanta mentre aspettiamo di vedere la signora Sable?» domandò.
«Sì, certo, vi accompagno in biblioteca e ve li prendo.»
Lungo il percorso per la biblioteca, Stoddard li condusse fino alla targa
che i compagni di classe di Rebecca Verloren avevano fatto appendere alla
parete del corridoio principale. Era una semplice dedica con il nome, le da-
te di nascita e morte e la giovanile promessa TI RICORDEREMO SEM-
PRE.
«Era una ragazzina dolce» commentò Stoddard. «Sempre impegnata.
Come la sua famiglia. Che tragedia.»
Stoddard si servì della manica della camicia per rimuovere la polvere
dalla foto laminata di Becky Verloren.
La biblioteca era dietro l'angolo. C'erano pochi studenti che leggevano ai
tavoli o girovagavano intorno agli scaffali, la giornata stava per finire.
Stoddard, con un sussurro, disse loro di sedersi, poi scomparve tra le file di
libri. Tornò meno di un minuto dopo con tre annuari che appoggiò sul ta-
volo. Bosch vide che ognuno dei libri portava sulla copertina il titolo Veri-
tas e l'anno. Stoddard aveva portato gli annuari del 1986, 1987, 1988.
«Questi sono gli ultimi tre anni» sussurrò Stoddard. «Ricordo che fre-
quentava la scuola fin dalle elementari, perciò se desiderate degli annuari
precedenti ditemelo. Sono sullo scaffale.»
Bosch scosse il capo.
«Va bene così. Per ora ci basteranno questi. Passeremo in ufficio prima
di andare via. Dobbiamo farci dare quell'informazione dalla signora At-
kins.»
«Okay, allora vi lascio alla lettura.»
«Ah, può dirci dove si trova l'aula della signora Sable?»
Stoddard diede loro il numero della stanza e spiegò come raggiungerla
dalla biblioteca. Quindi si scusò e disse che sarebbe rientrato nel suo uffi-
cio. Prima di andarsene sussurrò qualche parola ad alcuni ragazzi seduti a
un tavolo vicino alla porta. I ragazzi spostarono sotto il tavolo gli zaini che
avevano buttato per terra, in modo che non intralciassero il passaggio.
Qualcosa nel modo casuale con cui avevano gettato a terra gli zaini ricordò
a Bosch la maniera in cui lo facevano i giovani in Vietnam: se ne liberava-
no appena si fermavano, incuranti di dove fossero, desiderosi solo di to-
gliersi quel peso dalle spalle.
Dopo che Stoddard se ne fu andato, i ragazzi fecero delle smorfie in di-
rezione della porta da cui era uscito.
Rider prese l'annuario del 1988, Bosch quello del 1986. Non si aspettava
di trovare niente di rilevante ora che la signora Atkins aveva escluso la
possibilità che Roland Mackey avesse frequentato la Hillside prima di la-
sciare la scuola. Era già rassegnato all'idea che il collegamento tra Mackey
e Becky Verloren - se mai fosse esistito - si sarebbe trovato da qualche al-
tra parte.
Fece un paio di conti e sfogliò le pagine finché non trovò le foto della
classe di Becky. Riconobbe subito la ragazzina. Aveva la coda e l'apparec-
chio per i denti. Sorrideva, ma sembrava sul punto di entrare nel periodo di
goffaggine preadolescenziale. Dubitava che all'epoca fosse soddisfatta del
proprio aspetto nella foto dell'annuario. Controllò le fotografie di gruppo
che mostravano i diversi circoli e le diverse associazioni, e fu in grado di
ricostruire le sue attività extracurriculari. Giocava a calcio, e compariva
nelle foto dei circoli di scienze e di arte. Faceva parte del consiglio di isti-
tuto. In tutte le foto era sempre in ultima fila o in posizione laterale. Bosch
si domandò se quello fosse il posto in cui la relegava il fotografo o nel
quale si sentiva maggiormente a suo agio.
Rider si dedicava al 1988. Sfogliò tutte le pagine. A un certo punto,
quando raggiunse la sezione dei docenti, sollevò il libro verso Bosch. Indi-
cò una foto di Gordon Stoddard da giovane, l'uomo aveva i capelli più lun-
ghi e non portava gli occhiali. Era più snello e sembrava anche più robu-
sto.
«Guardalo» disse. «Nessuno dovrebbe mai invecchiare.»
«E tutti quanti dovrebbero avere l'opportunità di farlo.»
Bosch si spostò all'annuario del 1987 e notò che le foto di Becky Ver-
loren raffiguravano una ragazzina sul punto di sbocciare. Il sorriso era più
pieno, più sicuro. L'apparecchio c'era ancora, ma non si notava molto. Nel-
le foto di gruppo si era spostata nelle prime file e verso il centro. Nelle
immagini del consiglio d'istituto non era una qualunque, ma ostentava, a
braccia conserte, la sicurezza di chi ha incarichi di comando. La postura e
lo sguardo diretto verso la macchina fotografica convinsero Bosch che la
ragazza stava trovando il proprio posto. Solo che qualcuno l'aveva fermata
prima.
Bosch sfogliò ancora qualche pagina e poi chiuse il libro. Aspettava che
suonasse la campanella per poter andare a interrogare Bailey Koster Sable.
«Niente?» domandò Rider.
«Niente di rilevante» rispose lui. «È bello rivederla com'era allora. Al
suo posto. Nel suo habitat.»
«Sì. Guarda questa.»
Erano seduti uno davanti all'altra. Rider voltò l'annuario del 1988 sul ta-
volo, perché lui potesse guardarlo. Era finalmente arrivata alle foto del se-
condo anno di superiori. La metà in alto a destra della pagina mostrava un
ragazzo e quattro ragazze in posa davanti a un muro che Bosch riconobbe
come l'entrata del parcheggio per gli studenti. Una delle ragazze era Becky
Verloren. La didascalia sopra la foto diceva: LEADER STUDENTESCHI.
Sotto la foto comparivano i nomi degli studenti e la loro posizione. Becky
Verloren figurava come rappresentante degli studenti nel consiglio di isti-
tuto. Bailey Koster era rappresentante di classe.
Rider cercò di voltare di nuovo il libro a proprio favore, ma Bosch la
trattenne un momento per esaminare la foto. Dalla posizione e dal taglio
dei capelli si capiva che Becky Verloren si era lasciata alle spalle la timi-
dezza precedente. Non avrebbe più descritto la studentessa in quella foto
come una ragazzina. Era sul punto di diventare una giovane donna attraen-
te e sicura di sé. Lasciò il libro e Rider lo riprese.
«Sarebbe diventata una rubacuori» disse.
«Magari lo era già. Magari ha infranto il cuore del tipo sbagliato.»
«C'è altro?»
«Dai un'occhiata.»
Voltò ancora una volta il libro aperto. Nelle due pagine c'erano diversi
scatti della gita in Francia del Club dell'Arte, l'estate precedente. C'erano
foto all'incirca di venti studenti, ragazzi e ragazze, e di diversi genitori e
insegnanti di fronte a Notre Dame, nel cortile del Louvre e su un barcone
turistico sulla Senna. Rider indicò Rebecca Verloren in una delle foto.
«È andata in Francia» osservò Bosch. «E allora?»
«Potrebbe avere incontrato qualcuno laggiù. Potrebbe esserci un legame
internazionale con la nostra storia. Forse dovremmo andare a Parigi a con-
trollare.»
Cercava di soffocare un sorriso.
«Sì» disse Bosch. «Prepara tu la richiesta e mandala su al sesto piano.»
«Cristo, Harry. Mi sa che il tuo senso dell'umorismo è rimasto in conge-
do.»
La campanella suonò, ponendo fine alla discussione, oltre che alle lezio-
ni per quel giorno. Bosch e Rider si alzarono, abbandonando gli annuari
sul tavolo, e lasciarono la biblioteca. Seguirono le indicazioni di Stoddard
e raggiunsero la classe di Bailey Sable, schivando gli studenti che si affret-
tavano a uscire. Le ragazze indossavano gonne a scacchi e camicette bian-
che, i ragazzi pantaloni cachi e polo bianche.
Si affacciarono alla porta aperta della stanza B-6 e videro una donna se-
duta alla cattedra in fondo all'aula. Non alzò gli occhi dai compiti che stava
correggendo. Bailey Sable non somigliava quasi per niente alla rappresen-
tante di classe della foto sull'annuario. I capelli erano più scuri e più corti,
il corpo più largo e appesantito. Come Stoddard, portava gli occhiali.
Bosch sapeva che aveva appena trentadue o trentatré anni, ma sembrava
più vecchia.
C'era ancora una studentessa in classe. Era una graziosa biondina che in-
filava i libri nello zaino. Quando finì, chiuse la borsa e si diresse verso la
porta.
«Ci vediamo domani, signora Sable.»
«Arrivederci, Kaitlyn.»
La studentessa rivolse a Bosch e a Rider un'occhiata curiosa. I detective
entrarono nella stanza e Bosch chiuse la porta. Questo indusse Bailey Sa-
ble ad alzare lo sguardo dai fogli.
«Posso aiutarvi?» domandò.
Bosch prese il comando.
«Potrebbe, forse» disse. «Il signor Stoddard ha detto che potevamo rag-
giungerla in aula.»
Si avvicinò alla cattedra. La professoressa lo guardò preoccupata.
«Siete genitori?»
«No, siamo detective, signora Sable. Mi chiamo Harry Bosch, e questa è
Kizmin Rider. Volevamo porle alcune domande riguardo a Becky Verlo-
ren.»
Reagì come se l'avessero colpita con un pugno allo stomaco. Tutti quegli
anni, eppure era ancora così vicino alla superficie.
«Oh mio Dio, oh mio Dio» esclamò.
«Ci dispiace coglierla così di sorpresa» si scusò Bosch.
«È successo qualcosa? Avete trovato chi...»
Non terminò la frase.
«Be', ci stiamo lavorando di nuovo» spiegò Bosch. «E lei potrebbe aiu-
tarci.»
«Come?»
Bosch infilò una mano in tasca e tirò fuori la foto segnaletica di Roland
Mackey. Era un ritratto dell'uomo a diciotto anni, quando era stato fermato
per furto d'auto. Bosch l'appoggiò sulla pila di compiti. La donna abbassò
lo sguardo.
«Riconosce la persona nella foto?» domandò Bosch.
«È stata scattata diciassette anni fa» aggiunse Rider. «All'incirca all'epo-
ca della morte di Becky.»
La professoressa osservò lo sguardo sfrontato che Mackey rivolgeva alla
macchina fotografica della polizia. Non disse nulla per un lungo istante.
Bosch guardò Rider e annuì, un segnale per invitarla a intervenire.
«Assomiglia a qualcuno che lei, Becky o una delle vostre amiche può
aver incontrato allora?» domandò Rider.
«Ha frequentato la scuola qui?» chiese la professoressa Sable.
«No, crediamo di no. Ma sappiamo che viveva da queste parti.»
«È lui l'assassino?»
«Non lo sappiamo. Stiamo solo cercando di capire se c'è un collegamen-
to tra lui e Becky.»
«Come si chiama?»
Rider guardò Bosch, che annuì ancora una volta.
«Si chiama Roland Mackey. Le suona familiare?»
«Non direi. È difficile per me ricordare quel periodo. Ricordare le facce
degli estranei, intendo.»
«Quindi è di sicuro una persona che non conosceva?»
«Di sicuro.»
«Pensa che Becky potesse conoscerlo senza che lei ne fosse informata?»
Rifletté a lungo prima di rispondere.
«Be', è possibile. Sapete, è saltato fuori che era incinta. Io non ne ero a
conoscenza, perciò immagino che potessi non sapere nulla nemmeno del
ragazzo. Era lui il padre?»
«Non lo sappiamo.»
Aveva fatto progredire l'interrogatorio di sua spontanea volontà, antici-
pando le domande che Bosch e Rider intendevano porle.
«Signora Sable, sono passati molti anni» disse Bosch. «Se all'epoca a-
vesse deciso di coprire in qualche modo una sua amica, avremmo capito,
ma se c'è altro di cui è a conoscenza, ora può dircelo. Con tutta probabilità
questa è l'ultima volta che qualcuno proverà a risolvere il caso.»
«Vuole dire riguardo alla gravidanza? Non ne sapevo niente, davvero.
Mi dispiace. Fui sconcertata quanto tutti gli altri quando la polizia comin-
ciò a fare domande in proposito.»
«Se Becky si fosse confidata con qualcuno, l'avrebbe fatto con lei?»
Ancora una volta non rispose subito. Rifletté un istante.
«Non lo so. Eravamo molto legate, ma lo era anche con le altre ragazze.
In quattro avevamo frequentato insieme tutte le classi dalla prima elemen-
tare. Alle elementari ci chiamavamo il Club delle Gattine, perché avevamo
tutte e quattro dei gatti. In momenti diversi, in diversi anni, ognuna di noi
legava di più con l'una o con l'altra del gruppo. Cambiava sempre. Ma co-
me gruppo, rimanemmo sempre unite.»
Bosch annuì.
«L'estate in cui Becky venne a mancare, chi direbbe che fosse la più vi-
cina a lei?»
«Probabilmente Tara. È quella che l'ha presa peggio.»
Bosch guardò Rider, cercando di ricordare i nomi delle ragazze con cui
Becky aveva passato la notte due giorni prima della sua morte.
«Tara Wood?» domandò Rider.
«Esatto. Quell'estate si frequentarono molto, perché il papà di Becky a-
veva un ristorante a Malibu e lavoravano tutte e due lì. Si dividevano un
turno. In quel periodo non parlavano d'altro.»
«E cosa dicevano?» domandò Rider.
«Be', ecco, tipo quali star erano andate a mangiare là. Gente come Sean
Penn e Charlie Sheen. A volte parlavano dei ragazzi che lavoravano con
loro, e di quali erano carini. Niente di interessante per me, visto che io non
li conoscevo.»
«C'era qualche ragazzo di cui parlavano in particolare?»
Ci pensò su, poi rispose: «Non proprio. Non che io ricordi. Amavano
parlare di loro perché erano diversi. Erano surfisti e aspiranti attori. Tara e
Becky erano ragazze della Valley. Era come una rivoluzione culturale per
loro».
«Becky si vedeva con qualcuno del ristorante?» domandò Bosch.
«Non che io sappia. Ma come ho detto, ignoravo la gravidanza, perciò è
evidente che ci fosse qualcuno nella sua vita di cui io non ero a conoscen-
za. Era un segreto.»
«Era gelosa di loro perché lavoravano lì?» chiese Rider.
«Per niente. Io non dovevo lavorare ed ero contenta di questo.»
Rider aveva qualcosa in mente, perciò Bosch la lasciò continuare.
«Cosa facevate voi ragazze per divertirvi quando eravate insieme?»
«Non saprei, le solite cose» disse la professoressa Sable. «Andavamo a
fare shopping e al cinema, cose di questo genere.»
«Chi aveva l'automobile?»
«Ce l'aveva Tara, e anch'io. Tara aveva una decappottabile. Avevamo
l'abitudine di salire...»
Si interruppe di colpo quando le sovvenne un ricordo.
«Cosa?» domandò Rider.
«Mi sono ricordata che andavamo spesso al Limekiln Canyon dopo la
scuola. Tara aveva un frigorifero nel bagagliaio e suo padre non si accor-
geva mai se prendevamo qualcuna delle sue birre. Una volta fummo fer-
mate da un'auto della polizia. Nascondemmo le birre sotto le gonne della
divisa della scuola. Il trucco funzionò alla perfezione, i poliziotti non nota-
rono nulla.»
Sorrise al ricordo.
«Naturalmente, ora che insegno qui sto all'erta per questo genere di cose.
Ci sono ancora le stesse uniformi...»
«E cosa può dirmi del periodo precedente, prima che cominciasse a la-
vorare al ristorante?» intervenne Bosch, riportando la conversazione su
Rebecca Verloren. «Fu malata una settimana quando finì la scuola. In quel
periodo andò mai a trovarla o parlò mai con lei?»
«Penso di sì. In seguito mi dissero che in quei giorni era probabile che
stesse a casa per riprendersi dall'aborto. Perciò non era veramente malata.
Si stava solo rimettendo. Ma io non ne sapevo nulla, io credevo che fosse
ammalata, tutto qui. Non ricordo con precisione se parlammo o meno quel-
la settimana.»
«All'epoca i detective le fecero tutte queste domande?»
«Sì, sono sicura che lo abbiano fatto.»
«Dove sarebbe andata una ragazza della Hillside Prep se fosse rimasta
incinta?» domandò Rider. «Allora, intendo.»
«Intende dire una clinica o un medico?»
«Sì.»
Il collo di Bailey Sable divenne rosso. Era in imbarazzo per la domanda.
Scosse il capo.
«Non lo so. La notizia mi sconvolse quanto quella... dell'omicidio. Fece
pensare a tutte noi che non conoscessimo veramente la nostra amica. Ero
davvero triste perché mi resi conto che non si fidava di me abbastanza da
confidarmi queste cose. Sapete, ci ripenso ancora quando ricordo ciò che
accadde in quel periodo.»
«Aveva qualche ragazzo di cui lei era a conoscenza?» domandò Bosch.
«No. Cioè, in quel periodo no. Aveva avuto un ragazzo, ma si era trasfe-
rito alle Hawaii con la famiglia. Era accaduto l'estate prima. Poi per tutto
l'anno scolastico io pensavo che fosse sola. Non andava alle feste o alle
partite con nessuno. Ma immagino che mi sbagliassi.»
«Per la gravidanza» disse Rider.
«Be', sì, è piuttosto evidente, no?»
«Chi era il padre?» domandò Bosch, nella speranza che la domanda di-
retta potesse suscitare una risposta con un dettaglio utile su cui indagare.
Ma la professoressa Sable si strinse nelle spalle.
«Non ne avevo idea, e non penso di aver mai smesso di domandarmelo.»
Bosch annuì. Non aveva ottenuto nulla.
«La rottura con il ragazzo che si trasferì alle Hawaii, come la prese?»
domandò.
«Be', pensavo che le avesse spezzato il cuore. La prese davvero male.
Erano come Romeo e Giulietta.»
«In che senso?»
«Erano stati separati dai genitori.»
«Intende dire che non volevano che stessero insieme?»
«No, il padre di lui accettò un lavoro, o qualcosa del genere, alle Hawaii.
La famiglia dovette trasferirsi, e questo costrinse i due ragazzi a lasciarsi.»
Bosch annuì di nuovo. Non sapeva se qualcuna delle informazioni che
stava ottenendo fosse utile, ma sapeva che era importante estendere il più
possibile la rete.
«Sa dove si trova adesso Tara Wood?»
La professoressa Sable scosse il capo.
«Organizziamo una rimpatriata ogni dieci anni, ma all'ultima lei non è
venuta. Ho perso il contatto. Parlo ancora con Grace Tanaka di tanto in
tanto. Ma vive nella Bay Area, perciò non la vedo molto.»
«Può darci il suo numero?»
«Certo, ce l'ho qui.»
Allungò una mano, aprì il cassetto della cattedra e tirò fuori la borsetta.
Mentre estraeva l'agenda, Bosch prese la foto di Mackey dalla cattedra e se
la infilò in tasca. La professoressa lesse un numero e Rider lo appuntò su
un piccolo taccuino.
«Cinque dieci» disse Rider. «Cos'è, Oakland?»
«Vive ad Hayward. Vorrebbe abitare a San Francisco, ma costa troppo
per quello che fa.»
«E sarebbe?»
«Scolpisce il metallo.»
«Si chiama ancora Tanaka?»
«Sì. Non si è mai sposata. È...»
«Cosa?»
«È saltato fuori che era gay.»
«Saltato fuori?»
«Be', intendo dire che noi non lo sapevamo. Non ce lo disse mai. Si tra-
sferì laggiù, otto anni fa andai a trovarla e lo scoprii.»
«Era palese?»
«Palese.»
«Lei è venuta all'incontro decennale degli ex alunni?»
«Sì, c'era. Ci siamo divertite, ma fu anche un po' triste, perché tutti par-
lavano di Becky e del caso che non era mai stato risolto. Penso che forse è
per questo che Tara non è venuta. Non voleva che le ricordassero quello
che era successo a Becky.»
«Be', forse la situazione sarà cambiata per il ventennale» osservò Bosch,
ma subito si rammaricò di quel commento cinico. «Mi scusi, è stata un'u-
scita infelice.»
«Be', spero che possiate cambiare davvero le cose. Io penso a lei di con-
tinuo. Mi domando sempre chi sia stato e perché i colpevoli non siano mai
stati trovati. Tutti i giorni, quando arrivo a scuola, guardo la sua foto sulla
targa in corridoio. Mi fa uno strano effetto. Aiutai a raccogliere i fondi per
la targa quando ero rappresentante di classe.»
«I colpevoli?» domandò Bosch.
«Cosa?»
«Ha detto i colpevoli non sono mai stati trovati. Perché ha parlato al plu-
rale?»
«Non lo so. Un uomo, una donna, più persone, che importa?»
Bosch annuì.
«Signora Sable, grazie per il suo tempo» concluse. «Vuole farci la corte-
sia di non parlare di questo incontro con nessuno? Non vogliamo che la
gente sia preparata al nostro arrivo, capisce cosa intendo?»
«Come avete fatto con me?»
«Esatto. E se le dovesse venire in mente qualcos'altro, qualsiasi cosa di
cui desidera parlare, la mia partner le darà un biglietto con il nostro nume-
ro.»
«Bene.»
Sembrava persa in una reminiscenza lontana. I detective la salutarono e
la lasciarono con la pila di compiti da correggere. Bosch pensò che con tut-
ta probabilità stesse rammentando il tempo in cui quattro giovani amiche
guardavano al futuro che si apriva davanti a loro come un mare di possibi-
lità.
Prima di lasciare la scuola si fermarono in segreteria per controllare se ci
fosse un indirizzo recente di Tara Wood. Gordon Stoddard e la signora At-
kins verificarono, ma non c'era. Nessun recapito neppure di quel Gregory
Mackey. Bosch domandò in prestito l'annuario del 1988 per fare alcune fo-
tocopie delle foto e Stoddard acconsentì.
«Sto uscendo anch'io» disse. «Vi accompagno.»
Chiacchierarono lungo il percorso per tornare alla biblioteca e Stoddard
diede loro l'annuario, che era stato già risistemato sugli scaffali. Sulla stra-
da verso il parcheggio, Stoddard si fermò ancora un momento con loro da-
vanti alla targa commemorativa. Bosch passò le dita sopra le lettere in ri-
lievo del nome di Becky Verloren. Notò che le estremità erano consunte:
per anni gli studenti avevano fatto la stessa cosa.

11

Rider si dedicò ai documenti e alle telefonate mentre Bosch guidava ver-


so Panorama City, che si trovava sul lato orientale della 405, appena oltre
il confine territoriale della Divisione Devonshire.
Quella di Panorama City era una circoscrizione ritagliata nella parte
nord di Van Nuys molti anni prima, quando i residenti avevano deciso di
prendere le distanze dalla connotazione negativa attribuita, appunto, a Van
Nuys. Non era stato cambiato nulla, salvo il nome e qualche insegna stra-
dale. Eppure era bastato a dare a Panorama City l'immagine di un luogo
pulito, bello, senza criminalità. Ma erano passati molti anni, e alcuni abi-
tanti avevano presentato delle petizioni per rinominare il proprio quartiere
e prendere a loro volta le distanze dalla connotazione negativa ora associa-
ta a Panorama City. Bosch pensò che quella fosse una delle maniere con
cui Los Angeles continuava a reinventare se stessa. Come uno scrittore o
un attore che insiste a cambiare il nome d'arte per buttarsi alle spalle il pas-
sato e ricominciare da zero, anche se con la stessa penna o lo stesso volto.
Come previsto, Roland Mackey non guidava più il carro attrezzi per la
stessa società dove era impiegato nell'ultimo periodo di libertà vigilata. Ma
- e anche questo era prevedibile - l'ex detenuto non era stato particolarmen-
te arguto nel cancellare le tracce. Il dossier dei servizi sociali conteneva
tutta la storia lavorativa della sua vita, che per buona parte era trascorsa in
libertà vigilata o con l'obbligo di firma. Aveva guidato carri attrezzi per al-
tri due periodi durante i quali era stato sotto sorveglianza. Fingendosi una
conoscente, Rider chiamò tutte le ditte dove aveva lavorato Mackey e in-
dividuò il suo attuale impiego: Tampa Towing. Chiamò la stazione di ser-
vizio e domandò se Mackey quel giorno fosse in servizio. Dopo un mo-
mento, chiuse il telefono e guardò Bosch.
«Tampa Towing. Arriva alle quattro.»
Bosch consultò l'orologio. Mackey si sarebbe presentato al lavoro entro
dieci minuti.
«Andiamo a dare un'occhiata. Verificheremo dopo il suo indirizzo. Tra
Tampa Avenue e...?»
«Roscoe Boulevard. Dev'essere di fronte all'ospedale.»
«L'ospedale è tra Roscoe e Reseda Boulevard. Mi domando perché non
l'abbiano chiamato Roscoe Towing.»
«Divertente. Allora, cosa facciamo dopo che abbiamo dato un'occhiata?»
«Be', andiamo da lui e gli domandiamo se ha ucciso Becky Verloren di-
ciassette anni fa, lui ci dice sì e lo portiamo in centro.»
«Dai, Bosch.»
«Non lo so. Tu cosa vuoi fare?»
«Controlliamo il suo indirizzo come hai detto e poi penso che saremo
pronti per i genitori. Credo che sia necessario parlare con loro di questo ti-
zio prima di fare qualunque mossa, soprattutto prima di uscire sui giornali.
Dico che dobbiamo andare a casa e incontrare la madre. Siamo già in zo-
na.»
«Vuoi dire se vive ancora nella stessa casa» disse Bosch. «Hai effettuato
un controllo sull'AutoTrack anche per lei?»
«Non ce n'è bisogno. Non si è spostata. Hai sentito cosa ha detto Garcia.
Il fantasma della sua bambina infesta la casa. Dubito che la lascerà mai.»
Bosch immaginò che la partner avesse ragione, ma non rispose. Guidò
verso est su Devonshire Boulevard in direzione Tampa Avenue, da dove
scese fino a Roscoe Boulevard. Arrivarono all'incrocio pochi minuti prima
delle quattro. Tampa Towing era una stazione di servizio della Chevron
con due ponti sollevatori. Bosch si fermò nel parcheggio di una piccola
piazzetta commerciale dall'altra parte della strada e spense il motore.
Non fu sorpreso quando, passate le quattro, non si vide traccia di Roland
Mackey. Non dava l'idea di essere una persona particolarmente dedita al
lavoro.
Alle quattro e un quarto Rider disse: «Che ne pensi? Credi che la mia te-
lefonata possa aver...».
«Eccolo lì.»
Una Camaro di trent'anni con i quattro parafanghi verniciati di grigio,
entrò nell'area di servizio e parcheggiò accanto alla pompa dell'aria. Bosch
aveva dato appena un'occhiata al guidatore, ma gli era bastata per ricono-
scerlo. Allungò una mano nel cassettino del cruscotto e prese il binocolo
che aveva comprato sul catalogo di una linea aerea durante un volo per Las
Vegas.
Si stravaccò sul sedile e guardò da dietro le lenti. Mackey uscì dalla
Camaro e camminò verso il garage aperto della stazione di servizio. Indos-
sava un'uniforme con i pantaloni blu e la camicia azzurra. Sul taschino si-
nistro c'era una toppa ovale con la scritta Ro. Dalla tasca posteriore dei
pantaloni sbucavano dei guanti da lavoro.
Su un ponte idraulico nel garage c'era una vecchia Ford Taurus e un uo-
mo ci lavorava sotto con la chiave inglese. Quando Mackey entrò, l'uomo
allungò una mano e gli diede un cinque con noncuranza. Mackey si fermò
ad ascoltare il tizio che gli diceva qualcosa.
«Penso che gli stia riferendo della telefonata» osservò Bosch. «Mackey
non sembra preoccuparsene troppo. Ha tirato fuori dalla tasca un cellulare.
È probabile che stia chiamando la persona che pensa lo abbia cercato.»
Leggendo le labbra di Mackey, Bosch disse: «Ciao, mi hai chiamato?».
Mackey chiuse rapidamente la conversazione.
«Scommetto di no» aggiunse Bosch.
Mackey ripose il telefono nella tasca.
«Ha provato con una persona sola» notò Rider. «Non deve avere una
gran vita sociale.»
«Il nome sulla targhetta del taschino è Ro» disse Bosch. «Forse il suo
amico gli ha detto che qualcuno ha cercato Roland e lui potrebbe aver ri-
dotto le opzioni all'unica persona che lo chiama così. Magari il caro vec-
chio papà.»
«Allora, cosa fa?»
«Non lo vedo. È andato in fondo.»
«Mi sa che è meglio se usciamo da qui prima che cominci a guardarsi at-
torno.»
«Dai, pensi che possa bastare una telefonata per convincerlo che qualcu-
no gli sta addosso dopo diciassette anni?»
«No, non per Becky. Mi domando in cos'altro sia coinvolto adesso. Po-
tremmo imbatterci in qualcos'altro senza saperlo.»
Bosch posò il binocolo. La partner aveva ragione. Avviò il motore.
«Va bene, abbiamo dato la nostra occhiata» disse. «Usciamo da qui. An-
diamo a trovare Muriel Verloren.»
«E Panorama City?»
«Panorama City può aspettare. Sappiamo tutti e due che non vive più a
quell'indirizzo. Controllare sarebbe solo una formalità.»
Iniziò a uscire dal parcheggio in retromarcia.
«Pensi che prima dovremmo chiamare Muriel?» domandò Rider.
«No. Andiamo e bussiamo alla porta.»
«Questo lo sappiamo fare bene.»

12

Dopo dieci minuti giunsero di fronte alla casa dei Verloren. Il quartiere
dove era vissuta Becky Verloren sembrava ancora gradevole e sicuro. La
Red Mesa Way era ampia, con marciapiedi da ambo i lati, e non le manca-
va certo l'ombra degli alberi. Le case erano per la maggior parte dei ranch
che si distendevano nel mezzo di terreni molto vasti. Negli anni Sessanta
era stata proprio l'ampiezza delle proprietà a spingere molte persone a tra-
sferirsi nell'angolo nord-occidentale della città. Quarant'anni dopo, gli al-
beri erano cresciuti e il quartiere cominciava a dare un senso di coesione.
La casa dei Verloren era una delle poche su due piani. Era sempre la
classica dimora in stile ranch, ma il tetto aggettava sul garage a due posti.
Bosch sapeva dal fascicolo del delitto che la camera da letto di Becky si
trovava al piano superiore, sul retro, sopra il garage.
La porta del garage era chiusa. Non c'erano segni evidenti che facessero
pensare che qualcuno fosse in casa. Quando Bosch suonò il campanello,
udì dall'interno l'eco del trillo, una singola nota che gli apparve molto di-
stante e solitaria.
Una donna con indosso un abito blu informe, che aiutava a nascondere il
corpo altrettanto informe, aprì la porta. Portava ai piedi dei sandali bassi. I
capelli erano tinti di un rosso che tendeva troppo all'arancione. Sembrava
un lavoro fatto in casa e riuscito male, ma era evidente che la donna non se
ne curava. Appena aveva dischiuso l'uscio, un gatto grigio era sgattaiolato
nel giardino.
«Smoke, non farti investire» urlò come prima cosa. Poi disse: «Posso
aiutarvi?».
«La signora Verloren?» domandò Rider.
«Sì, che succede?»
«Siamo della polizia. Vorremmo parlare con lei di sua figlia.»
Appena il detective aveva pronunciato la parola «polizia», e ancora pri-
ma che dicesse «figlia», Muriel Verloren si era portata entrambe le mani
alla bocca e aveva reagito come se avesse appreso in quel momento che la
ragazza era morta.
«Oh mio Dio! Oh mio Dio! Ditemi che l'avete preso. Ditemi che avete
preso il bastardo che mi ha portato via mia figlia.»
Kiz allungò una mano verso la spalla della donna, per consolarla.
«Non è così semplice, signora» spiegò. «Possiamo entrare e parlare un
momento?»
La donna indietreggiò e li fece entrare. Pareva che stesse sussurrando
qualcosa e Bosch pensò che si trattasse di una preghiera. Una volta dentro,
la donna chiuse la porta, dopo aver indirizzato un altro avvertimento al gat-
to fuggitivo.
A giudicare dall'odore della casa, il gatto non aveva molto spesso occa-
sione di uscire. Il salotto in cui la donna li fece accomodare era ordinato,
ma i mobili erano vecchi e consunti. Era impregnato dal puzzo di urina di
gatto. Bosch si rammaricò subito di non aver invitato Muriel Verloren al
Parker Center per interrogarla, ma sapeva che sarebbe stato un errore. A-
vevano bisogno di vedere il luogo del delitto.
Si sedettero fianco a fianco sul divano e Muriel si affrettò verso una se-
dia dall'altra parte del tavolo di vetro di fronte a loro. Bosch notò impronte
di zampe sul vetro.
«Che succede?» domandò in tono disperato. «Ci sono novità?»
«Be', immagino che la prima novità sia che ci stiamo occupando nuova-
mente del caso. Io sono il detective Rider, e questo è il detective Bosch.
Lavoriamo per l'Unità Casi Irrisolti al Parker Center.»
Mentre guidavano verso la casa, avevano stabilito di essere parchi nelle
informazioni che avrebbero fornito ai Verloren. Finché non avessero cono-
sciuto la situazione della famiglia sarebbe stato molto meglio prendere
piuttosto che dare.
«C'è qualcosa di nuovo?» domandò Muriel con impazienza.
«Be', abbiamo appena cominciato» rispose Rider. «Per ora stiamo riper-
correndo gran parte del terreno già battuto. Cerchiamo di metterci in pari.
Desideravamo solo passare a dirle che ci occupiamo di nuovo del caso.»
Parve un po' delusa. A quanto pareva aveva creduto che se la polizia si
era presentata dopo tanti anni, dovevano esserci novità. Bosch avvertì un
senso di colpa per aver scelto di omettere il fatto che avevano la pista, so-
lida come una roccia, del DNA, ma al momento era convinto che fosse la
cosa migliore.
«Ci sono un paio di elementi» disse, parlando per la prima volta. «In-
nanzitutto, studiando i documenti del caso ci siamo imbattuti in questa fo-
tografia.»
Tirò fuori dalla tasca la foto di Roland Mackey a diciotto anni e la posò
sul tavolino da caffè di fronte a Muriel. La donna si chinò subito in avanti
per guardarla.
«Non sappiamo che collegamento ci sia» proseguì. «Pensavamo che for-
se lei avrebbe potuto riconoscere quest'uomo.»
La donna continuò a guardare senza rispondere.
«È una foto del 1988» precisò Bosch, con l'intenzione di sollecitarla.
«Chi è?» domandò Muriel alla fine.
«Non lo sappiamo. Il suo nome è Roland Mackey. Ha qualche preceden-
te penale per piccoli crimini commessi dopo la morte di sua figlia. Non
sappiamo perché la sua foto si trovasse nel fascicolo. Lei lo riconosce?»
«Avete domandato ad Art o a Ron?»
Bosch stava per domandare chi fossero Art e Ron, quando capì.
«A dire il vero, il detective Green è andato in pensione ed è scomparso
parecchio tempo fa. Il detective Garcia ora è il comandante Garcia. Gli ab-
biamo parlato, ma non è stato in grado di aiutarci riguardo a Mackey. E
lei? Poteva essere un conoscente di sua figlia? Lo riconosce?»
«Può essere. C'è qualcosa in lui che mi sembra di riconoscere.»
Bosch annuì.
«Ha idea di dove potrebbe averlo visto?»
«No, non ricordo. Perché non me lo dite? Magari riuscireste a rinfre-
scarmi la memoria.»
Bosch rivolse una rapida occhiata a Rider. Non era una richiesta inaspet-
tata, ma la situazione si complicava sempre quando i genitori delle vittime
erano talmente ansiosi di fornire aiuto da domandare con semplicità cosa la
polizia volesse sentirsi dire. Muriel Verloren aspettava da diciassette anni
che l'assassino di sua figlia fosse portato davanti ai giudici. Era chiaro che
avrebbe scelto con cura le risposte per evitare di ostacolare la possibilità
che ciò accadesse. A quel punto poteva non importare che si trattasse di
una falsa soluzione. Gli anni passati erano stati crudeli con lei e con la
memoria di sua figlia. Qualcuno doveva pagare.
«Non possiamo dirlo perché non lo sappiamo, signora Verloren» disse
Bosch. «Ci pensi e ci faccia sapere se se lo ricorda.»
Annuì con mestizia, come se pensasse che fosse ancora un'altra opportu-
nità mancata.
«Signora Verloren, cosa fa per vivere?» domandò Rider.
Questo parve riportare la donna di nuovo di fronte a loro, strappandola
ai ricordi e alle illusioni.
«Vendo cose» disse, pragmatica. «On line.»
Attesero ulteriori spiegazioni, che non vennero.
«Davvero?» domandò Rider. «Che cosa vende?»
«Qualunque cosa riesca a trovare. Vado alle svendite. Trovo delle cose.
Libri, giocattoli, vestiti. La gente compra di tutto. Ed è disposta a pagare
per tutto. Questa mattina ho venduto due portatovaglioli per cinquanta dol-
lari. Erano molto vecchi.»
«Vorremmo domandare a suo marito della foto» disse allora Bosch. «Sa
dove lo potremmo trovare?»
Scosse il capo.
«Da qualche parte laggiù, nel paese dei balocchi. Non ho più sue notizie
da tanto, tanto tempo.»
Ci fu un cupo momento di silenzio. La maggior parte delle missioni per i
senzatetto di Los Angeles era ammassata al confine del Toy District, un
quartiere con diversi isolati di fabbriche di giocattoli, magazzini all'ingros-
so e qualche dettagliante. Spesso i senzatetto dormivano negli androni da-
vanti ai negozi.
Quello che Muriel Verloren stava dicendo era che il marito si era perso
insieme a quei relitti umani alla deriva nel mondo. Era precipitato dalle
stelle dei divi del cinema che rifocillava nel suo ristorante fino alla strada
dei senzatetto. Ma c'era una contraddizione. Aveva ancora una casa. Aveva
scelto di non viverci per quello che era successo. Eppure, sua moglie non
se ne sarebbe mai andata.
«Quando avete divorziato?» domandò Rider.
«Non abbiamo mai divorziato. Credo di aver sempre pensato che Robert
un giorno si sarebbe svegliato e avrebbe capito che non importa quanto
scappi lontano, non puoi fuggire da una cosa come quella che è successa a
noi. Pensavo che se ne sarebbe reso conto e che sarebbe tornato a casa.
Non è ancora successo.»
«Secondo lei, all'epoca sapevate tutto degli amici di vostra figlia?» do-
mandò Bosch.
Muriel rifletté su questa domanda per un lungo istante.
«Fino alla mattina in cui scomparve, lo credevo. Ma poi abbiamo saputo
delle cose. Aveva dei segreti. Penso che questo sia uno dei particolari che
mi turba di più. Non il fatto che avesse dei segreti con noi, ma che pensas-
se che fosse necessario. Credo che forse, se si fosse rivolta a noi, le cose
sarebbero andate in maniera diversa.»
«Si riferisce alla gravidanza?»
Muriel annuì.
«Cosa le fa pensare che abbia avuto un ruolo in ciò che le è accaduto?»
«Istinto materno. Non ho prove. Penso solo che sia incominciato tutto da
lì.»
Bosch annuì. Ma non poteva biasimare la figlia per il suo segreto. Quan-
do aveva quell'età, Bosch era cresciuto da solo, senza dei veri genitori.
Non aveva idea di come sarebbe stato il suo rapporto con una madre e un
padre.
«Abbiamo parlato con il comandante Garcia» disse Rider. «Ci ha detto
che molti anni fa le ha restituito il diario di sua figlia. Lo conserva anco-
ra?»
Muriel parve allarmata.
«Ne leggo alcune parti ogni sera. Non me lo porterete via, eh? È la mia
bibbia!»
«Abbiamo bisogno di prenderlo in prestito per fotocopiarlo. Il coman-
dante Garcia avrebbe dovuto farne una copia allora, ma non lo fece.»
«Non lo voglio perdere.»
«Non succederà, signora Verloren. Glielo prometto. Lo fotocopieremo e
lo riporteremo subito.»
«Lo volete adesso? È accanto al mio letto.»
«Sì, se potesse prenderlo.»
Muriel Verloren li lasciò e scomparve in fondo a un corridoio che con-
duceva verso l'ala sinistra della casa. Bosch guardò Kiz e sollevò le so-
pracciglia come a voler domandare alla partner cosa ne pensasse. Lei alzò
le spalle, a significare che ne avrebbero discusso più tardi.
«Una volta mia figlia voleva prendere un altro gatto» sussurrò Bosch.
«La mia ex disse di no, che uno era sufficiente. Ora capisco perché.»
Rider aveva un sorriso inopportuno quando Muriel tornò dentro con un
librettino con la copertina a fiori e la scritta Il mio diario stampata in rilie-
vo, in lettere dorate. L'oro si stava consumando. Il diario era stato maneg-
giato molto. Lo porse a Rider, che lo accettò con una sorta di timore reve-
renziale.
«Se non le dispiace, signora Verloren, gradiremmo guardarci un po' in
giro» disse Bosch. «Per collegare in qualche modo quello che abbiamo vi-
sto e letto nel fascicolo con le effettive caratteristiche della casa.»
«Che fascicolo?»
«Oh, mi scusi. È gergo da poliziotti. Tutti i documenti investigativi di
ogni caso sono raggruppati in un grande raccoglitore. Noi lo chiamiamo
fascicolo.»
«Un fascicolo del delitto?»
«Sì, esatto. Va bene se guardiamo in giro? Gradirei dare un'occhiata alla
porta sul retro e all'esterno.»
Sollevò un braccio per indicare da che parte dovevano andare. Bosch e
Rider si alzarono.
«È tutto cambiato» disse Muriel. «In passato non c'erano case lassù. Si
usciva dalla nostra porta e si poteva camminare su per la montagna. Ma
l'hanno terrazzata. Ora ci sono delle case. Milioni di dollari. Hanno co-
struito un enorme edificio nel punto in cui è stata trovata la mia bambina.
Lo odio.»
Non c'era nulla da dire. Bosch si limitò ad annuire e la seguì in fondo a
un breve corridoio e poi in cucina. C'era una porta a vetri che conduceva al
giardino sul retro. Muriel aprì la porta e li accompagnò fuori. Il giardino
era un ripido declivio che portava a un boschetto di eucalipti. Attraverso
gli alberi, Bosch riconobbe la sagoma di una grande casa con il tetto e le
tegole alla spagnola.
«Prima lassù era tutto aperto» disse Muriel. «C'erano solo alberi. Ora ci
sono delle case. Hanno messo un cancello. Non mi permettono di passeg-
giare come facevo. Pensano che sia una barbona o qualcosa del genere,
perché a volte salivo fino al punto in cui è stata ritrovata Becky e facevo
un picnic.»
Bosch annuì e per un momento rifletté sull'immagine di una madre che
fa un picnic nel luogo in cui è stata assassinata la figlia. Cercò di sbaraz-
zarsi di quel pensiero e si mise a esaminare il terreno. L'autopsia diceva
che Becky Verloren pesava quarantacinque chili. Per quanto fosse leggera,
sarebbe stato davvero impegnativo portarla su per quel declivio. Si inter-
rogò sulla possibilità che ci fosse più di un killer. Pensò a Bailey Sable,
che aveva parlato di loro.
Guardò Muriel Verloren, che era immobile e in silenzio, gli occhi chiusi.
Aveva reclinato il capo, in modo che il sole del tardo pomeriggio le scal-
dasse il viso. Bosch si domandò se non fosse anche quello un modo per
sentirsi in comunione con la figlia perduta. Come se avesse percepito di
essere guardata, la donna parlò, tenendo gli occhi chiusi.
«Amo questo posto. Non lo lascerò mai.»
«Possiamo guardare la stanza da letto di sua figlia?» domandò Bosch.
La donna aprì gli occhi.
«Pulitevi i piedi quando tornate dentro.»
Li riaccompagnò in casa attraverso la cucina e il corridoio. Le scale che
conducevano al piano superiore si trovavano accanto a quelle per scendere
in garage. La porta era aperta e Bosch intravide un minivan ammaccato e
circondato da pile di scatole e di oggetti che Muriel Verloren doveva aver
raccolto nei suoi giri. Notò anche quanto la porta fosse vicina alle scale.
Non sapeva se questo significasse qualcosa, ma si rammentò del rapporto
nel fascicolo del delitto in cui si ipotizzava che il killer si fosse nascosto da
qualche parte in casa e avesse atteso che la famiglia andasse a dormire. Il
garage era il luogo più probabile.
Le scale erano anguste, perché su ambo i lati c'erano scatole colme di
oggetti da vendere. Muriel fece cenno a Bosch di precederla, e quando lui
le passò accanto sussurrò: «Lei ha figli?».
Bosch annuì, sapeva che la sua risposta le avrebbe fatto male.
«Una figlia.»
La donna annuì a sua volta.
«Non la perda mai di vista.»
Bosch non le disse che la figlia viveva con la madre, lontana dal suo
sguardo. Si limitò ad annuire e si incamminò sulle scale.
Al secondo piano c'era un pianerottolo con due camere da letto e un ba-
gno. La stanza di Becky Verloren era sul retro, le finestre si affacciavano
sulla collina.
La porta era chiusa e Muriel l'aprì. Quando entrarono, fu come infilarsi
in una piega del tempo. La stanza era immutata rispetto alla foto di dicias-
sette anni prima che Bosch aveva studiato sul fascicolo. Il resto dell'appar-
tamento si era riempito di cianfrusaglie e dei detriti di una vita distrutta,
ma la stanza in cui Becky Verloren aveva dormito, parlato al telefono,
scritto il diario segreto, era identica al passato. Ormai era stata preservata
più a lungo di quanto non ci avesse vissuto la ragazza.
Bosch si inoltrò nella camera e si guardò attorno in silenzio. Neppure il
gatto osava violarla. C'era un profumo di fresco e di pulito.
«È esattamente com'era la mattina in cui è scomparsa» disse Muriel.
«Ho solo rifatto il letto.»
Bosch guardò il copriletto con i gattini. Le balze arrivavano a terra per-
fettamente dritte.
«Lei e suo marito dormivate nell'altra ala della casa, giusto?» domandò
Bosch.
«Sì, Rebecca aveva quell'età in cui si desidera la propria privacy. Ci so-
no due camere da letto di sotto. La prima cameretta di Becky era di sotto
con noi, ma a quattordici anni si trasferì quassù.»
Bosch annuì e si guardò attorno prima di domandare altro.
«Viene qui spesso, signora Verloren?» chiese Rider.
«Ogni giorno. A volte quando non riesco a dormire - il che succede di
frequente - salgo qui e mi sdraio. Non mi infilo sotto le coperte, però. Vo-
glio che rimanga il suo letto.»
Bosch si rese conto che stava di nuovo annuendo, come se quello che
aveva detto la donna per lui fosse sensato. Fece un passo verso la toletta.
C'erano delle foto infilate nella cornice dello specchio. In una, Bosch rico-
nobbe la giovane Bailey Sable. C'era anche una foto di Becky da sola da-
vanti alla Torre Eiffel. Indossava un basco nero. Non si vedeva nessun al-
tro dei compagni del Club dell'Arte.
Sullo specchio c'era anche la foto di un ragazzo insieme a Becky. Sem-
brava che fossero in gita a Disneyland, o forse lo scatto era stato preso sul
molo di Santa Monica.
«Questo chi è?» domandò.
Muriel si avvicinò e guardò.
«Il ragazzo? È Danny Kotchof. Il suo primo ragazzo.»
Bosch annuì. Il ragazzo che si era trasferito alle Hawaii.
«Quando se ne andò, le spezzò il cuore» aggiunse Muriel.
«Quando accadde, di preciso?»
«L'estate prima, a giugno. Tra il primo e il secondo anno delle superiori.
Lui aveva un anno in più di lei.»
«Perché la famiglia si trasferì? Lo sa?»
«Il papà di Danny lavorava per una società di autonoleggio e venne tra-
sferito per aprire un nuovo franchising a Maui. Era una sorta di promozio-
ne.»
Bosch rivolse un'occhiata alla partner per vedere se aveva colto l'impor-
tanza dell'informazione che Muriel gli aveva appena fornito. Kiz scosse la
testa. Non aveva capito. Ma Bosch voleva seguire quella traccia.
«Danny aveva frequentato la Hillside Prep?» domandò.
«Sì, si erano conosciuti lì.»
Bosch abbassò lo sguardo sulla toletta e notò un souvenir di Parigi, una
delle solite palle di vetro da quattro soldi, con la Torre Eiffel e la neve. Un
po' dell'acqua era evaporata e aveva lasciato una bolla in cima alla palla,
così la punta della torre sbucava nella sacca d'aria.
«Danny faceva parte del Club dell'Arte?» domandò. «Andò anche lui al-
la gita a Parigi?»
«No, si era trasferito prima» disse Muriel. «Era partito a giugno, mentre
il club andò a Parigi l'ultima settimana di agosto.»
«Lo vide o lo sentì ancora?» domandò.
«Oh, sì, si scrivevano e si telefonavano. All'inizio si chiamavano una
volta per uno, ma era troppo costoso. Allora cominciò a telefonare solo
Danny. Tutte le sere, prima di andare a letto. Durò quasi fino alla... alla sua
scomparsa.»
Bosch allungò una mano e prese la foto dal bordo dello specchio. Esa-
minò Danny Kotchof più da vicino.
«Cos'accadde quando sua figlia fu portata via? Come lo scoprì Danny?
Come reagì?»
«Be'... chiamammo e lo dicemmo al padre, perché si sedesse con Danny
e gli desse la cattiva notizia. Ci dissero che non la prese bene. Chi avrebbe
potuto?»
«Glielo comunicò il padre. Lei e suo marito avete mai più parlato di per-
sona con Danny?»
«No, ma il ragazzo mi scrisse una lunga lettera su Becky e su quanto
fosse importante per lui. Era molto triste e molto dolce. Ogni parola.»
«Sono sicuro che lo fosse. Venne al funerale?»
«No, no, non venne. I suoi genitori pensarono che sarebbe stato meglio
per lui rimanere sulle isole. Il trauma, sa? Ci telefonò il signor Kotchof e ci
disse che non sarebbe venuto.»
Bosch annuì. Si voltò e si infilò la foto in tasca. Muriel non se ne accor-
se.
«E dopo cosa accadde?» domandò. «Dopo la lettera, intendo. Vi contattò
mai? Vi telefonò per parlare con voi?»
«No, penso di non aver mai più avuto sue notizie dopo la lettera.»
«Ce l'ha ancora, quella lettera?»
«Certo. Conservo tutto. Ho un cassetto pieno di lettere su Rebecca che ci
hanno inviato i suoi amici. Le volevano bene in tanti.»
«Abbiamo bisogno di prendere in prestito quelle lettere, signora Verlo-
ren» disse Bosch. «Tra qualche tempo potrebbe anche essere necessario
guardare nei cassetti.»
«Perché?»
«Perché non si sa mai» disse Bosch.
«Perché non vogliamo lasciare niente di intentato» aggiunse Rider.
«Siamo consapevoli di quanto tutto ciò sia devastante per lei, ma la prego,
si ricordi che sappiamo quello che facciamo. Vogliamo trovare la persona
che ha portato via sua figlia. È passato molto tempo, ma non significa che
il colpevole debba farla franca.»
Muriel Verloren annuì. Senza pensarci, aveva preso dal letto un piccolo
cuscino e lo stringeva al petto con entrambe le mani. Aveva un quadratino
blu con un cuore di feltro rosso cucito al centro, poteva benissimo averlo
fatto Becky molti anni prima. Con quel cuscino stretto al petto, Muriel
Verloren sembrava un bersaglio.

13

Mentre Bosch guidava, Kiz leggeva la lettera che Danny Kotchof aveva
inviato ai Verloren dopo l'omicidio di Becky. Era composta da un'unica
pagina, per lo più colma dei ricordi affettuosi della ragazza perduta.
«Posso dirvi solo che mi dispiace che sia dovuto succedere. Mi manche-
rà per sempre. Con amore, Danny. È tutto.»
«Che francobollo c'è?»
Girò la busta e guardò.
«Maui, 29 luglio 1988.»
«Si è preso il suo tempo per scrivere.»
«Forse era difficile per lui. Perché ti sei fissato sul ragazzo, Harry?»
«Non mi sono fissato. È solo che Garcia e Green si sono basati su una
telefonata per scagionarlo. Ricordi cosa c'era scritto sul fascicolo? Diceva
che il supervisore del ragazzo aveva confermato che il giorno della scom-
parsa di Becky e quello successivo Danny aveva lavato macchine in un au-
tonoleggio. Non avrebbe avuto il tempo di volare a Los Angeles, di ucci-
dere Becky e di tornare.»
«Sì, e allora?»
«Be', adesso abbiamo scoperto da Muriel che il suo vecchio gestiva un
autonoleggio. Non c'era niente in proposito nel fascicolo del delitto. Garcia
e Green lo sapevano? Quanto scommettiamo che papà gestiva il posto do-
ve il figlio lavava le auto? Quanto vuoi scommettere che il supervisore che
ha fornito l'alibi al figlio era un dipendente del padre?»
«Ragazzi, io scherzavo quando parlavo di andare a Parigi. A quanto pare
tu stai ponendo le basi per un viaggio a Maui.»
«Non mi piacciono i lavori malfatti. Lasciano troppi fili slegati. Dob-
biamo parlare con Danny Kotchof e scagionarlo di persona. Se è ancora
possibile, dopo tanti anni.»
«AutoTrack, baby.»
«Potrà aiutarci a rintracciarlo. Non a scagionarlo.»
«Anche se dovessimo distruggere il suo alibi, cosa diresti, che questo
ragazzino di sedici anni è sgattaiolato qui dalle Hawaii, ha fatto fuori la
sua ex ragazza ed è tornato a casa senza che nessuno lo vedesse?»
«Forse il piano non era questo. E comunque aveva diciassette anni,
Muriel ha detto che era di un anno più grande di lei.»
«Oh, diciassette» disse Rider con sarcasmo, come se questo facesse la
differenza.
«Quando avevo diciotto anni, io ho trascorso la prima licenza dal Viet-
nam alle Hawaii. Non avevamo il permesso di raggiungere altri stati da lì.
Appena arrivato mi cambiai d'abito, comprai una valigia da civile e attra-
versai il posto di blocco della Polizia Militare per prendere un aereo per
Los Angeles. Penso che un diciassettenne potrebbe aver fatto lo stesso.»
«Va bene, Harry.»
«Senti, dico solo che è stato un lavoro trasandato. Secondo il fascicolo
del delitto, Green e Garcia scagionarono il ragazzo con una telefonata. Non
si parla di controlli con le linee aeree, e ora è troppo tardi. Mi infastidisce.»
«Capisco. Ma ricordati, c'è un triangolo da chiudere. Possiamo collegare
Danny a Becky con facilità, e la pistola collega Becky a Mackey. Ma cosa
collega Danny a Mackey?»
Bosch annuì. Era un buon argomento. Ma non gli dava una sensazione
migliore riguardo a Danny Kotchof.
«Un'altra cosa è quello che ha scritto nella lettera» disse. «Dice che gli
dispiace che sia dovuto succedere. Dovuto succedere, cosa significa?»
«È un modo di dire, Harry. Non puoi costruirci sopra un caso.»
«Non sto parlando di costruire un caso. Mi domando solo perché abbia
scelto di esprimersi in quel modo.»
«Se è ancora vivo, lo troveremo e glielo potrai domandare di persona.»
Erano passati sotto la 405 ed erano arrivati a Panorama City. Bosch la-
sciò cadere la discussione su Danny Kotchof e Rider affrontò l'argomento
Muriel Verloren.
«È congelata» disse Rider.
«Già.»
«Fa pietà. Non c'era alcuna ragione perché portassero sua figlia sulla
collina. Avrebbero potuto tranquillamente ammazzarli tutti quanti. Lo
hanno fatto comunque.»
Bosch pensò che fosse un modo duro di guardare la faccenda. Ma non
disse nulla.
«Portassero?» domandò invece.
«Cosa?»
«Hai detto che non c'era alcuna ragione perché portassero sua figlia sul-
la collina. Hai parlato come Bailey Sable.»
«Non lo so. Guardando quella collina, mi è sembrato che sarebbe stato
difficile per una persona sola. È ripida.»
«Già, ho pensato la stessa cosa. Due persone.»
«La tua idea di spaventare Mackey funzionerebbe ancora meglio. Se fos-
se stato lì, potrebbe portarci al complice, che sia Kotchof o qualcun altro.»
Bosch svoltò verso sud sul Van Nuys Boulevard e si fermò davanti a un
vecchio complesso di appartamenti che occupava metà isolato. Si chiama-
va Le Suites del Belvedere. Alla sinistra della porta a vetri dell'atrio c'era
un cartello con scritto UFFICIO LOCAZIONI. Diceva anche che era pos-
sibile affittare unità immobiliari per periodi di un mese o anche di una set-
timana. Bosch mise l'auto in folle.
«A parte Kotchof, cosa hai pensato, Harry?»
«Ho pensato che voglio rintracciare le altre due amiche e parlarci un po'.
Magari tu puoi prenderti la lesbica. Ma il padre è la mia priorità, se riu-
sciamo a trovarlo.»
«Va bene, tu prendi il padre e io prendo la lesbica. Forse mi toccherà
andare a San Francisco.»
«È ad Hayward. E se hai bisogno di aiuto, conosco un ispettore lì che
potrà rintracciarla e far risparmiare alla polizia di Los Angeles il costo del
viaggio.»
«Non sei per niente divertente, Harry. Non mi dispiacerebbe spassarmela
un po' con le sorelle del nord.»
«Il capo sapeva di te?»
«In principio no. Quando l'ha scoperto, se n'è fregato.»
Bosch annuì. Il capo gli piaceva per questo.
«Cos'altro?» domandò Rider.
«Sam Weiss.»
«Chi è?»
«La vittima del furto. Il proprietario della pistola con cui è stata uccisa la
ragazza.»
«Perché?»
«Ai tempi non avevano Roland Mackey. Potrebbe essere utile fargli sen-
tire il nome.»
«Proviamo.»
«Dopo, penso che saremo pronti a fare la mossa con Mackey. Vediamo
come reagisce.»
«Allora sbrighiamo questa e andiamo a parlare con Pratt.»
Aprirono lo sportello in contemporanea e scesero dall'auto. Mentre gira-
va attorno al SUV, Bosch avvertì lo sguardo della partner che lo studiava.
«Che c'è?» domandò.
«C'è qualcos'altro.»
«In che senso?»
«Parlo di te. Quando ti viene quella piccola increspatura sul sopracciglio
sinistro, vuol dire che succede qualcosa.»
«La mia ex moglie mi diceva sempre che sarei stato un pessimo giocato-
re di poker. Troppi segni.»
«Be', allora?»
«Non lo so ancora. Qualcosa su quella stanza.»
«La camera della ragazza? Dici che è folle che l'abbia tenuta così com'e-
ra?»
«No, questo per me è normale. Penso di capirlo. Si tratta di qualcos'altro.
Qualcosa che non torna. Qualcosa di diverso. Ci rimugino e ti faccio sape-
re quando ci sono arrivato.»
«Va bene Harry, è quello che fai meglio.»
Attraversarono le porte a vetri delle Suite del Belvedere. Dopo dieci mi-
nuti, ebbero la conferma di quello che già sapevano; Mackey si era trasfe-
rito appena terminato il periodo di libertà vigilata.
Come previsto, non aveva lasciato alcun indirizzo a cui inoltrare la cor-
rispondenza.

14

Abel Pratt era seduto alla scrivania e mangiava un pastone di yogurt e


corn flakes da un vasetto di plastica. Mentre mangiava, masticava e suc-
chiava rumorosamente e Bosch cominciava a innervosirsi. Erano seduti
con lui da venti minuti per aggiornarlo sui progressi della giornata.
«Merda, ho ancora fame» disse, dopo l'ultima cucchiaiata.
«Cos'è, la dieta di South Beach?» domandò Rider.
«No, l'ho inventata io. In realtà avrei bisogno della dieta del South
Bureau.»
«Davvero? E che cos'è la dieta del South Bureau?»
Bosch avvertiva la tensione di Kiz Rider. Il South Bureau comprendeva
la maggior parte della comunità nera della città. Il dubbio era che Pratt se
ne fosse appena uscito con una battuta razzista. Nel dipartimento, Bosch
aveva spesso assistito all'esasperazione dell'etica del noi contro di loro, al
punto che i poliziotti bianchi facevano commenti razzisti di fronte ai colle-
ghi neri o latini solo perché credevano che tra i commilitoni il blu della di-
visa fosse più forte del colore della pelle. Rider stava per scoprire se Pratt
fosse uno di quei poliziotti.
«Abbassa l'antenna» disse Pratt. «Dico solo che ho lavorato al South per
dieci anni e non ho mai dovuto preoccuparmi del peso. Non fai che corre-
re, laggiù. Poi sono passato alla Rapine e Omicidi e ho preso sette chili in
due anni. È triste.»
Rider si rilassò e Bosch fece altrettanto.
«Alza il culo e vai in giro a bussare alle porte» disse Bosch. «Questa era
la regola della Hollywood.»
«Buona regola» disse Pratt. «Solo che è difficile quando ti danno il co-
mando. Devo starmene seduto qui e sentire voi che mi raccontate delle
porte a cui avete bussato.»
«Ma tu ti prendi i bigliettoni» disse Kiz Rider.
«Oh, sì.»
Era una battuta, perché come supervisore Pratt non aveva gli straordinari
pagati, mentre gli uomini della sua squadra sì, pertanto era possibile che
alcuni dei suoi detective guadagnassero più di lui, nonostante Pratt fosse il
boss dell'unità.
Pratt girò la sedia e aprì un frigorifero a terra accanto alla scrivania. Tirò
fuori un altro vasetto di yogurt.
«Vaffanculo» disse, mentre si raddrizzava e apriva il vasetto.
Questa volta non aggiunse i corn flakes, così quando cominciò a infilarsi
in bocca la porcheria bianca, Bosch dovette sopportare solo il risucchio.
«Va bene, torniamo a noi» disse Pratt, con la bocca piena. «Mi state di-
cendo che alla fine della giornata potete collegare l'arma con questo Ma-
ckey. Ha sparato con l'arma del delitto. Ma non potete collegarlo con la
vittima, e pertanto con il colpo fatale.»
«Questo, e altre cose» disse Kiz Rider.
«Perciò, se io fossi l'avvocato della difesa,» proseguì Pratt «direi a Ma-
ckey di ammettere il furto, perché il reato sarebbe prescritto da tempo. Gli
suggerirei di raccontare che l'arma l'ha pizzicato mentre la provava, e per-
ciò se ne è sbarazzato molto tempo prima dell'omicidio. Gli farei dire:
"No, signore, non ho ucciso quella ragazzina, e voi non avete nessuna pro-
va contraria. Non potete neppure dimostrare che le ho messo gli occhi ad-
dosso".»
Rider e Bosch annuirono.
«Perciò non avete niente.»
Annuirono di nuovo.
«Non male per un'intera giornata di lavoro. Cosa volete fare adesso?»
«Vogliamo mettergli il telefono sotto controllo» disse Bosch. «Due, for-
se tre linee. Il cellulare e il telefono alla stazione di servizio. E l'apparec-
chio di casa, quando troveremo la casa e se ha il telefono. Facciamo uscire
qualche articolo sui giornali, diciamo che stiamo lavorando di nuovo al ca-
so, e ci assicuriamo che lui li legga. Poi sentiamo se ne parla con qualcu-
no.»
«E cosa vi fa pensare che possa parlare con qualcuno di un omicidio che
potrebbe aver commesso, o non aver commesso, diciassette anni fa?»
«Come abbiamo detto, finora non possiamo collegare il tizio con la ra-
gazza in nessun modo. Perciò pensiamo che ci sia qualcuno che possa fare
da ponte. Mackey potrebbe aver commesso l'omicidio per conto di un altro
o aver procurato l'arma al vero assassino.»
«C'è una terza possibilità» aggiunse Rider. «Che abbia aiutato l'omicida.
La ragazza è stata portata su per una collina ripida. O la persona che l'ha
fatto era molto forte, o è stata aiutata.»
Prima di rispondere, Pratt prese due grandi cucchiaiate di yogurt e cor-
rugò la fronte, con lo sguardo rivolto al vasetto.
«Va bene, che mi dite dei giornali? Sarete in grado di montare un caso?»
«Pensiamo di sì» disse Rider. «Abbiamo intenzione di usare il coman-
dante Garcia del Bureau della Valley. Ha lavorato al caso originario. È
tormentato dal compagno che se ne è andato, una cosa del genere. Dice di
avere un contatto al Daily News.»
«Okay, mi sembra un buon piano. Scrivete la richiesta di mandato e da-
temela. Il capitano la deve approvare e inviarla all'ufficio del procuratore
distrettuale, prima che possa passare al giudice. Ci vorrà un po' di tempo.
Quando avremo l'okay del giudice, potremo ottenere che le altre squadre
smettano di fare quello che stanno facendo e che si mettano ad ascoltare il
tizio, mentre voi lo sorvegliate.»
Bosch e Rider si alzarono nello stesso momento. Bosch sentì una piccola
scarica di adrenalina nel sangue.
«Non c'è alcuna possibilità che questo Mackey stia combinando qualco-
sa al momento, vero?» domandò Pratt.
«Cosa intendi?» chiese Bosch.
«È solo che se potessimo dimostrare che sta commettendo qualche cri-
mine adesso, con tutta probabilità potremmo velocizzare la pratica.»
Bosch ci rifletté.
«Ora non abbiamo nulla» disse. «Ma ci possiamo lavorare.»
«Bene. Sarebbe d'aiuto.»

15

Era sempre Kiz Rider a preparare le domande scritte. Si trovava a pro-


prio agio con i computer e con il linguaggio giuridico. Bosch l'aveva vista
mettere a frutto queste capacità in diverse precedenti indagini. Perciò la
decisione era sottintesa. Lei avrebbe redatto tutte le richieste di autorizza-
zione per far tracciare le telefonate effettuate o ricevute da Roland Mackey
al cellulare, al telefono dell'ufficio della stazione di servizio dove lavorava,
al telefono di casa e a qualsiasi altro telefono utilizzasse. Sarebbe stato un
lavoro massacrante; avrebbe dovuto ricostruire il caso contro Mackey, as-
sicurarsi che la catena di passaggi logici, la catena di causa ed effetto, non
avesse gangli deboli.
Il rapporto doveva in primo luogo convincere Pratt, poi il capitano No-
rona, poi il procuratore distrettuale preposto a garantire che le forze
dell'ordine non violassero i diritti civili e, da ultimo un giudice che aveva
le stesse responsabilità, ma che, se avesse commesso un errore, avrebbe
dovuto risponderne di fronte all'elettorato. Avevano un solo colpo in can-
na, e dovevano fare centro. Anzi, Kiz Rider doveva fare centro.
Ma, innanzitutto, dovevano superare il primo ostacolo e procurarsi i nu-
meri di telefono di Mackey senza che l'uomo avesse il sospetto che le in-
dagini si stavano stringendo attorno a lui.
Iniziarono con la Tampa Towing, che aveva mezza pagina sulle pagine
gialle, con due numeri attivi ventiquattro ore su ventiquattro. Con una tele-
fonata al servizio informazioni abbonati, stabilirono che Mackey non ave-
va un telefono fisso, o quanto meno non lo aveva intestato a proprio nome.
Ciò significava o che non aveva alcun apparecchio telefonico o che il tele-
fono della casa dove viveva era registrato a nome di qualcun altro. In tal
caso sarebbero intervenuti dopo aver individuato la residenza di Mackey.
L'ultima cosa, la più difficile, era procurarsi il numero di cellulare di
Mackey. L'elenco abbonati non forniva i numeri dei cellulari. Controllare
tutti i gestori avrebbe richiesto giorni, se non settimane, perché molti di es-
si pretendevano un'ordinanza del giudice prima di fornire il numero di un
cliente privato. Così, gli investigatori utilizzavano sempre degli strata-
gemmi per procurarsi quello di cui avevano bisogno. Di solito lasciavano
dei messaggi innocui sul posto di lavoro, in modo da rintracciare il cellula-
re quando la persona richiamava. Il trucco standard consisteva nel chiedere
di richiamare per ottenere un premio, promettendo un televisore o un letto-
re DVD alle prime cento persone che rispondevano alla telefonata. Co-
munque, questo significava utilizzare una linea che non apparteneva alla
polizia e poteva portare a lunghi periodi di attesa senza garanzie di succes-
so, c'era sempre il rischio che il bersaglio avesse schermato il proprio nu-
mero. Rider e Bosch sentivano di non avere il lusso del tempo. Avevano
messo in giro il nome di Mackey. Dovevano muoversi rapidi verso la me-
ta.
«Non preoccuparti» disse Bosch a Rider. «Ho un piano.»
«Allora me ne rimango seduta a guardare il maestro all'opera.»
Siccome sapevano che Mackey era al lavoro alla stazione di servizio,
Bosch si limitò a chiamare lì e a dire che aveva bisogno di un carro attrez-
zi. La persona che aveva risposto lo invitò a rimanere in linea, poi una vo-
ce, che doveva essere quella di Roland Mackey, disse: «Ha bisogno di un
carro attrezzi?».
«O un carro attrezzi o un traino. Non riesco a far partire l'auto.»
«Dove?»
«Nel parcheggio di Albertson, a Topanga, vicino al Devonshire.»
«Noi siamo sulla Tampa. Può chiamare qualcuno più vicino.»
«Lo so, ma io abito vicino a voi. Appena fuori dalla Roscoe, dietro l'o-
spedale.»
«Va bene, allora. Che macchina ha?»
Bosch pensò all'auto su cui avevano visto Mackey poco prima. Decise di
servirsene per fargli abbassare le difese.
«Una Camaro del 72.»
«Restaurata?»
«Ci sto lavorando.»
«Ci metterò una quindicina di minuti ad arrivare lì.»
«Benissimo. Come si chiama?»
«Ro.»
«Ro? Come Roscoe?»
«Come Roland, amico. Mi metto in moto.»
Riattaccò. Bosch e Rider aspettarono cinque minuti, durante i quali
Bosch spiegò alla collega il resto del piano e che ruolo avrebbe dovuto
giocare lei. Il suo obiettivo era ottenere due cose: il numero di cellulare di
Mackey e il gestore, in modo da inviare subito alla società giusta la richie-
sta di autorizzazione per mettere il telefono sotto controllo.
Seguendo le istruzioni di Bosch, Kiz chiamò la stazione di servizio e si
mise a descrivere con cura i cigolii che emettevano i freni della sua auto.
Mentre era nel mezzo della conversazione, Bosch chiamò l'altro numero
indicato sulle pagine gialle. Com'era da aspettarsi, Kiz fu messa in attesa.
Qualcuno rispose alla chiamata di Bosch e lui disse: «Ha un numero a cui
posso rintracciare Ro? Sta venendo qui a darmi una trainata, ma sono riu-
scito a mettere in moto».
Il collega di Mackey, esasperato, disse: «Provi sul cellulare».
Diede il numero a Bosch, che mostrò il pollice a Rider, seduta dall'altra
parte della scrivania. La detective terminò la telefonata senza interrompere
la messinscena, e riagganciò.
«Uno segnato, uno da segnare» disse Bosch.
«Hai segnato il più facile» disse Kiz.
Con il numero di Mackey in mano, Kiz alzò il ricevitore, mentre Bosch
ascoltava da una derivazione. Impresse alla voce un tono burocratico e di-
sinteressato e quando Mackey rispose - presumibilmente mentre girava per
il parcheggio in cerca di una Camaro del 72 - annunciò di essere della
AT&T e di avere delle straordinarie proposte per risparmiare sul piano ta-
riffario delle chiamate interurbane.
«Stronzate» disse Mackey, interrompendola nel mezzo della spiegazio-
ne.
«Scusi, signore?» rispose Rider.
«Ho detto stronzate. È un trucco per convincermi a cambiare.»
«Non capisco, signore. Io ho il suo numero nell'elenco degli abbonati
della AT&T. C'è un errore?»
«Sì, c'è un cazzo di errore. Io sono con la Sprint, mi piace e non faccio
mai telefonate interurbane. Perciò vaffanculo. Mi senti?»
Riattaccò e Rider cominciò a ridere.
«Abbiamo a che fare con un tizio incazzato» disse.
«Be', ha appena attraversato Chatsworth a vuoto» disse Bosch. «Sarei ar-
rabbiato anch'io.»
«È con la Sprint» disse. «Sono pronta a buttarmi sulle carte. Ma forse
dovresti chiamarlo, per non insospettirlo, dato che il tizio alla stazione di
servizio ti ha dato il suo cellulare.»
Bosch annuì e compose il numero di Mackey. Fu grato di trovare la se-
greteria; con tutta probabilità Mackey era al telefono e stava dicendo al
collega che non riusciva a trovare l'auto che avrebbe dovuto trainare.
Bosch lasciò un messaggio in cui diceva che gli dispiaceva, ma era riuscito
a mettere in moto e stava cercando di tornare a casa. Chiuse il telefono e
guardò Rider.
Parlarono ancora un po' del piano d'azione e decisero che lei avrebbe la-
vorato soltanto alle domande quella sera e tutto il giorno seguente, e poi
avrebbe curato la pratica fino all'approvazione finale. Si sarebbero presen-
tati entrambi in camera di giudizio, per dare maggior forza alla richiesta,
ma fino ad allora, Bosch avrebbe continuato a lavorare sul campo, rintrac-
ciando i nomi che rimanevano sulla lista delle persone da interrogare e
mettendo in moto la storia da far uscire sui giornali. Il tempismo sarebbe
stato un elemento fondamentale. Non volevano che i giornali pubblicasse-
ro la storia prima che i telefoni di Mackey fossero messi sotto controllo.
Dovevano giocare d'astuzia.
«Vado a casa, Harry» disse Rider. «Posso lavorarci sul portatile.»
«Fai un buon lavoro.»
«Tu che farai?»
«Ci sono un po' di cose che voglio sbrigare stasera. Magari andare al
Toy District.»
«Da solo?»
«Sono solo dei senzatetto.»
«Già, e l'ottanta per cento di loro sono senzatetto perché erano psicopati-
ci, sociopatici e tutto il resto. Devi stare attento. Forse dovresti chiamare la
Divisione Centrale e vedere se possono mandarti una macchina. Magari
potrebbero prestarti uno dei loro sottomarini stasera.»
Il sottomarino era un'auto con un solo agente, usata per lo più per le ri-
cognizioni del comandante. Ma Bosch non pensava di aver bisogno di uno
chaperon. Disse a Rider che sarebbe stato bene e che se ne sarebbe potuta
andare dopo avergli mostrato come si usava il sito dell'AutoTrack.
«Be', Harry, per prima cosa devi avere un computer. Io l'ho fatto dal mio
portatile.»
La raggiunse dietro la scrivania e la osservò entrare nel sito dell'Auto-
Track, inserire la password e arrivare alla schermata per la ricerca nomina-
le.
«Da chi vuoi cominciare?» domandò.
«Che ne dici di Robert Verloren?»
Scrisse il nome e impostò i parametri per la ricerca.
«È molto veloce?» domandò Bosch.
«Molto.»
Dopo pochi minuti il programma aveva individuato una lista di indirizzi
del padre di Rebecca Verloren. Ma si fermava alla casa di Chatsworth.
Negli ultimi dieci anni Robert Verloren non aveva rinnovato la patente,
non aveva acquistato proprietà, non si era iscritto alle liste elettorali, non
aveva fatto richiesta di carta di credito, né si era intestato alcuna utenza.
Era una pagina bianca. Era scomparso, quantomeno dalla rete elettronica.
«Deve vivere ancora in strada» disse Rider.
«Se è ancora vivo.»
Kiz Rider inserì i nomi di Tara Wood e Daniel Kotchof, e l'AutoTrack
estrasse un elenco di omonimi per entrambi, ma utilizzando i dati appros-
simativi sull'età e concentrando la ricerca sulla California e sulle Hawaii,
riuscirono a ottenere due liste di indirizzi che dovevano appartenere alla
Tara Wood e al Daniel Kotchof che cercavano. Se la Wood non era andata
alla riunione scolastica, non era perché si fosse trasferita lontano. Si era so-
lo spostata dalla Valley alle colline sopra Santa Monica. Al contempo, ri-
sultò che Daniel Kotchof era tornato dalle Hawaii molti anni prima, aveva
vissuto a Venice per qualche anno, poi era tornato a Maui, dove al momen-
to risultava residente.
L'ultimo nome che Bosch chiese a Rider di passare nel computer era
quello di Sam Weiss, la vittima del furto della pistola poi utilizzata per uc-
cidere Rebecca Verloren. Sebbene ci fossero centinaia di omonimi, non fu
difficile rintracciare il Sam Weiss giusto. Non aveva mai lasciato la casa
nella quale aveva avuto luogo la rapina. Aveva persino lo stesso numero di
telefono. Aveva messo radici.
Rider stampò tutti i risultati per Bosch e gli diede anche il numero di
Grace Tanaka, che avevano avuto poco prima da Bailey Sable. Raccolse i
documenti di cui avrebbe avuto bisogno per lavorare a casa.
«Se hai bisogno di me, fai uno squillo» disse, mentre infilava il portatile
nella borsa imbottita.
Dopo che Rider se ne fu andata, Bosch consultò l'orologio sopra la porta
dell'ufficio di Pratt e vide che erano le sei passate. Decise che sarebbe ri-
masto ancora un'oretta a lavorare su quei nomi prima di dirigersi al Toy
District per tentare di trovare Robert Verloren. Sapeva di star solo procra-
stinando la ricerca tra quei relitti umani, una ricerca che di certo l'avrebbe
depresso. Gettò di nuovo un'occhiata all'orologio e si ripromise di non pas-
sare più di un'ora a lavorare al telefono.
Decise di cominciare dalle telefonate urbane, ma dovette rinunciare su-
bito. Né Tara Wood né Sam Weiss risposero, e in entrambi i casi la chia-
mata venne inoltrata alla segreteria telefonica. Lasciò un messaggio alla
Wood in cui si qualificava, dava il numero di cellulare e spiegava che la te-
lefonata riguardava Becky Verloren. Sperava che menzionare il nome
dell'amica potesse bastare a intrigarla e spingerla a richiamare subito. A
Weiss lasciò solo il nome e il numero di telefono; non voleva anticipare
l'oggetto della telefonata, che avrebbe potuto risvegliare il senso di colpa
nell'uomo che aveva indirettamente fornito l'arma per l'assassinio di una
ragazzina di sedici anni.
Quindi compose il numero di Grace Tanaka ad Hayward. La donna ri-
spose dopo sei squilli. Inizialmente parve infastidita dalla telefonata, come
se avesse interrotto qualcosa di importante, ma i suoi modi scontrosi si ad-
dolcirono non appena Bosch le disse di aver chiamato per parlare di Re-
becca Verloren.
«Oh, mio Dio, sta succedendo qualcosa?» domandò.
«Il dipartimento ha deciso di riaprire il caso» disse Bosch. «È saltato
fuori un nome. Si tratta di un individuo che potrebbe essere stato coinvolto
nel caso nel 1988, stiamo cercando di capire se in qualche modo avesse a
che fare con Becky o con i suoi amici.»
«Come si chiama?» domandò in fretta.
«Roland Mackey. Aveva un paio d'anni più di Becky. Non ha frequenta-
to la Hillside, ma viveva a Chatsworth. Il nome le dice niente?»
«No, non ricordo. Che legame c'è? Era il padre?»
«Il padre?»
«La polizia disse che era incinta. Cioè, che era rimasta incinta...»
«Non sappiamo se fosse quello il legame con la ragazza. Perciò non ri-
conosce il nome?»
«No.»
«Usa "Ro" come diminutivo.»
«Neanche.»
«E dice che non sapeva nulla della gravidanza, giusto?»
«Non lo sapevo. Nessuna di noi ne era a conoscenza. Almeno, nessuna
di noi amiche.»
Bosch annuì, sebbene sapesse che lei non lo poteva vedere. Non disse
nulla, sperando che il silenzio la mettesse a disagio e la spingesse ad ag-
giungere qualcosa di rilevante.
«Uhm, ha una foto di quest'uomo?» domandò infine la donna.
Non era quello che Bosch sperava.
«Sì» disse. «Dovrò trovare un modo per portargliela e fargliela vedere,
magari potrebbe risvegliarle qualche ricordo.»
«Può fare una scansione e mandarmela per e-mail?»
Bosch aveva un'idea di quello che gli stava chiedendo e, benché lui non
sapesse da dove cominciare, immaginava che Kiz Rider avrebbe potuto
farlo.
«Penso di sì. È la mia collega che usa il computer, ma al momento non
c'è.»
«Le do il mio indirizzo mail, così potrà mandarmi la foto appena rien-
tra.»
Bosch trascrisse l'indirizzo sul suo taccuino. Disse alla donna che avreb-
be ricevuto la mail la mattina seguente.
«C'è altro, detective?»
Bosch sapeva che avrebbe potuto terminare la conversazione e chiedere
a Rider di provare a legare con Grace Tanaka dopo averle mandato la foto.
Ma decise di non perdere l'occasione per iniziare a smuovere emozioni e
ricordi. Magari qualcosa si sarebbe sciolto.
«Ho ancora qualche domanda. Come descriverebbe il suo rapporto con
Becky durante quell'estate?»
«Cosa intende? Eravamo amiche. Ci conoscevamo fin dal primo anno di
scuola.»
«Capisco. Ed era lei la più vicina a Becky nel vostro gruppo?»
«No, credo che all'epoca fosse Tara.»
Un'altra conferma che nell'ultimo periodo Tara Wood era la più legata a
Becky.
«Perciò non si confidò con lei quando scoprì di essere incinta.»
«No, gliel'ho già detto, non lo seppi fino a dopo la sua morte.»
«E lei? Lei si confidava con Becky?»
«Certo.»
«Su tutto?»
«Dove vuole arrivare?»
«Sapeva della sua omosessualità?»
«Questo cosa c'entra?»
«Sto cercando di ricostruire un quadro del vostro gruppo. Il Club delle
Gattine. Penso che tutte e quattro...»
«No» sbottò. «Non lo sapeva. Nessuna di loro ne era a conoscenza. Con
tutta probabilità allora non lo sapevo neppure io. Va bene, detective? Le
basta?»
«Mi dispiace, signora Tanaka. Sto cercando di tracciare un quadro il più
dettagliato possibile. Apprezzo la sua onestà. Un'ultima domanda. Se
Becky avesse avuto bisogno di farsi accompagnare a casa da qualcuno do-
po l'intervento, a chi si sarebbe rivolta?»
Ci fu un lungo silenzio prima che Grace Tanaka rispondesse.
«Non lo so. Avrei sperato che chiamasse me. Che fossi quel genere di
amica. Ma è evidente che preferiva qualcun'altra.»
«Tara Wood?»
«Dovrà domandarlo a lei. Buonanotte, detective Bosch.»
Riagganciò. Bosch aprì l'annuario per studiare la sua foto. Era una pic-
cola asiatica. La foto - di tanti anni prima - non coincideva con il contegno
scontroso della voce che aveva appena sentito al telefono.
Bosch lasciò un appunto per Rider con l'indirizzo e-mail e le istruzioni
di passare allo scanner la foto di Mackey e inviarla a Tanaka. Scrisse an-
che qualche riga per mettere in guardia Kiz sulle resistenze della donna
quando aveva affrontato l'argomento dell'omosessualità. Fece scivolare il
biglietto sulla scrivania della collega, in modo che fosse la prima cosa su
cui avrebbe posato gli occhi la mattina seguente.
Gli rimaneva una sola telefonata, quella a Daniel Kotchof, che, stando
all'AutoTrack, viveva a Maui, dove l'orologio era due ore indietro.
Compose il numero, rispose una donna. Disse di essere la moglie di Da-
niel Kotchof, il marito - spiegò - era al lavoro al Four Seasons Hotel,
dov'era impiegato come responsabile dell'ospitalità. Bosch chiamò il nu-
mero che la donna gli aveva dato e si fece passare Daniel Kotchof. L'uomo
disse di aver pochissimo tempo a disposizione, ma lasciò Bosch in attesa
per cinque minuti buoni mentre cercava un punto più riservato dell'hotel da
cui parlare. Quando finalmente tornò in linea, la telefonata si rivelò del tut-
to improduttiva. Come Grace Tanaka, non riconobbe il nome di Roland
Mackey. Parve anche considerare la conversazione come una seccatura,
un'intrusione. Spiegò che era sposato, che aveva tre figli e che ormai pen-
sava di rado a Becky Verloren. Ricordò a Bosch che lui e la sua famiglia si
erano trasferiti un anno prima della morte della ragazza.
«Ma sono stato portato a credere che, dopo che si trasferì alle Hawaii,
avesse continuato a telefonarle piuttosto spesso» disse Bosch.
«Non so chi le abbia detto questo» rispose Kotchof. «Voglio dire, parla-
vamo. Soprattutto all'inizio. Ero costretto a chiamarla io perché i suoi geni-
tori dicevano che spendeva troppo a telefonarmi. Io pensavo che fosse una
balla. Volevano solo che sparissi dal quadro, tutto qui. Perciò ero costretto
a chiamare io, ma mi domandavo che senso avesse. Io ero alle Hawaii e lei
a Los Angeles. Era finita, amico. E abbastanza presto mi trovai una ragaz-
za qui - che poi è la mia attuale moglie - e smisi di chiamare Beck. Questo
fino a dopo, sa, quando seppi quello che accadde e il detective mi telefo-
nò.»
«Lo sapeva già prima che il detective la chiamasse?»
«Sì, me l'avevano detto. La signora Verloren aveva avvisato mio padre,
fu lui a darmi la notizia. Ricevetti anche qualche telefonata da alcuni ami-
ci. Sapevano che avrei voluto essere informato. Era strano, sa, quella ra-
gazza che conoscevo fatta fuori in quel modo.»
«Già.»
Bosch pensò a cos'altro avrebbe potuto chiedergli. La storia di Kotchof
per alcuni aspetti differiva da quella di Muriel Verloren. In qualche modo
avrebbe dovuto far quadrare i conti. E l'alibi di Kotchof continuava a infa-
stidirlo.
«Ehi, senta, detective, io devo andare» disse Kotchof. «Sono al lavoro.
C'è altro?»
«Soltanto qualche domanda ancora. Si ricorda quanto tempo prima della
morte di Rebecca aveva smesso di telefonarle?»
«Uhm, non lo so. Direi intorno alla fine della prima estate. Una cosa del
genere. Era un bel po', quasi un anno.»
Bosch decise di cercare di scuotere Kotchof e vedere cosa ne sarebbe
uscito. Era una tecnica che avrebbe preferito tentare di persona, ma non di-
sponeva né del tempo né del denaro per un viaggio alle Hawaii.
«Perciò la vostra relazione era assolutamente conclusa al momento della
sua morte?»
«Sì, assolutamente.»
Bosch pensò che la possibilità di recuperare i tabulati telefonici di allora
sarebbe stata remota.
«Quando la chiamava ancora, era sempre alla stessa ora, una specie di
appuntamento?»
«Qualcosa del genere. Qui eravamo due ore indietro, perciò non potevo
chiamare troppo tardi. Di solito telefonavo subito dopo cena, poco prima
che lei andasse a letto. Ma, come ho detto, la cosa non durò molto a lun-
go.»
«Okay. Ora le devo fare una domanda piuttosto personale. Ha mai fatto
sesso con Rebecca Verloren?»
Ci fu una pausa.
«Questo cosa c'entra?»
«Non glielo posso spiegare, Dan. Ma fa parte delle indagini e potrebbe
avere rilevanza per il caso. Le dispiace rispondere?»
«No.»
Bosch attese, ma Kotchof non disse nient'altro.
«È la sua risposta?» domandò alla fine. «Voi due non avete mai fatto
sesso?»
«No, mai. Lei diceva di non sentirsi pronta, e io non feci pressioni. Sen-
ta, ora devo andare.»
«Okay, Dan, solo un paio di domande ancora. Sono certo che le farebbe
piacere che prendessimo il tizio che ha fatto questo, no?»
«Sì, certo, è solo che sono al lavoro.»
«Sì, me l'ha detto. Mi lasci fare ancora qualche domanda. Quand'è stata
l'ultima volta che ha visto Rebecca?»
«Non ricordo la data esatta, ma penso fosse il giorno in cui partimmo.
Quando ci dicemmo addio. Quella mattina.»
«Perciò non tornò mai dalle Hawaii dopo che la sua famiglia si trasferì?»
«No, non nei primi tempi. Voglio dire, da allora qualche volta sono tor-
nato. Ho vissuto a Venice per un paio di anni dopo la fine della scuola, ma
poi sono ritornato qui.»
«Ma mai nel periodo tra il trasferimento della sua famiglia e l'omicidio
di Rebecca. È questo che sta dicendo?»
«Sì, giusto.»
«Perciò se una testimone con cui ho parlato mi avesse detto di averla vi-
sta in città nel week-end del 4 luglio, poco prima che Rebecca scomparis-
se, si sarebbe sbagliata?»
«Sì, si sarebbe sbagliata. Senta, cos'è questo? Gliel'ho detto, non sono
mai tornato. Avevo una nuova ragazza. Voglio dire, non andai neppure al
funerale. Chi le ha detto di avermi visto? È stata Grace? A lei non sono
mai piaciuto, quella lesbica. Cercava sempre di mettermi nei guai con
Becky.»
«Non posso dirle chi è stato, Dan. E farei lo stesso se lei volesse dirmi
qualcosa di confidenziale.»
«Chiunque sia stata, è una bugiarda di merda» disse Kotchof, con voce
tremante. «È una maledetta bugia! Controlli il file, amico! Io avevo un ali-
bi. Lavoravo il giorno in cui venne portata via, e anche il giorno successi-
vo. Come avrei potuto arrivare laggiù e tornare indietro? Chiunque le ab-
bia detto una cosa del genere è solo un contaballe del cazzo!»
«Il suo alibi è una balla, Dan. Il suo vecchio avrebbe potuto costringere
il supervisore a confermarlo. Niente di più facile.»
Ci fu un momento di silenzio prima che arrivasse la risposta.
«Non so di cosa stia parlando. Mio padre non costrinse nessuno a fare
niente, e questo è un maledetto dato di fatto. Dovevamo timbrare il cartel-
lino, il mio capo lo disse ai poliziotti, tutto qui. Ora lei se ne salta fuori di-
ciassette anni dopo con questa merda? Mi sta prendendo per il culo?»
«Okay, Dan, non se la prenda. A volte la gente commette degli errori.
Soprattutto quando si torna indietro di tanti anni.»
«Mi manca solo questo, di essere trascinato in una faccenda del genere.
Amico, ho una famiglia qui.»
«Le ho detto di non prendersela. Non la sto trascinando in nessuna fac-
cenda. È solo una telefonata. Solo una chiacchierata, okay? Ora, c'è qual-
cos'altro che può o vuole dirmi per aiutarmi?»
«No. Le ho detto tutto quello che so, cioè niente. E devo andare. Questa
volta dico sul serio.»
«Perciò fu turbato quando Rebecca le disse di essere incinta, senza dub-
bio di qualcun altro?»
Non ci fu alcuna risposta, così Bosch cercò di stringere un po' la morsa.
«Soprattutto visto che quando stavate insieme non avevate rapporti.»
Bosch realizzò di essersi spinto troppo oltre, e iniziò a tamburellare con
le dita. Kotchof capì che Bosch recitava sia il ruolo del poliziotto buono
sia quello del poliziotto cattivo. Quando rispose, la voce era calma e mo-
dulata.
«Non me lo disse mai» rispose. «Non lo seppi se non quando, dopo, si
diffuse la notizia.»
«Davvero? E chi glielo disse?»
«Non ricordo. Uno dei miei amici, immagino.»
«Ah sì? Perché Rebecca teneva un diario, dove lei è molto presente, a-
mico. E la ragazza dice di averglielo detto, e che lei non fu per niente con-
tento di saperlo.»
Ora Kotchof rise e Bosch capì di aver sputtanato tutto.
«Detective, lei è pieno di merda. Dice un sacco di balle, amico. Voglio
dire, guardo anch'io Law and Order, sa?»
«E guarda anche CSI?»
«Sì, e allora?»
«Be', abbiamo il DNA dell'assassino. Se riusciremo a trovare a chi ap-
partiene, avremo un arresto. Il DNA è una prova definitiva.»
«Bene, allora controllate il mio, così per me tutta questa storia finirà.»
Bosch sapeva che ormai era lui a inseguire, perciò doveva concludere la
telefonata.
«Va bene, allora, Dan, la terremo informata. Nel frattempo, grazie per
l'aiuto. Un'ultima domanda. Cos'è un responsabile dell'ospitalità?»
«Si riferisce al mio lavoro qui all'hotel? Mi occupo delle feste, dei con-
vegni, dei matrimoni, cose del genere. Mi assicuro che tutto fili liscio
quando arrivano i grandi gruppi.»
«Va bene, allora, la lascio al suo lavoro. Le auguro buona giornata.»
Bosch riattaccò e rimase seduto alla scrivania a ripensare alla telefonata.
Era imbarazzato, si era fatto prendere la mano e si era lasciato fregare da
Kotchof. Sapeva che le sue tecniche di interrogatorio erano rimaste a ripo-
so per tre anni, ma questo non attenuava la scottatura. Doveva migliorare,
e farlo in fretta.
A parte questo, la telefonata aveva fatto emergere diverse questioni da
considerare. La reazione rabbiosa all'accusa di essere stato visto a Los An-
geles prima dell'omicidio non significava granché. Dopotutto, Bosch si era
inventato la testimonianza, e la rivolta di Kotchof appariva più che giusti-
ficata. Ma il punto degno di nota era che la rabbia si era indirizzata verso
Grace Tanaka. Sarebbe valsa la pena di indagare sui rapporti tra loro due,
magari con l'aiuto di Kiz Rider.
Rifletté anche sull'affermazione di Kotchof di non essere al corrente del-
la gravidanza di Rebecca Verloren. Bosch d'istinto gli credeva. Dopotutto,
questo non lo eliminava dalla lista dei sospetti, ma quantomeno lo relegava
nelle retrovie. Avrebbe discusso tutte le risposte di Kotchof con Rider e
avrebbe visto se lei la pensava allo stesso modo.
L'informazione più interessante che aveva ricavato dalla telefonata era la
discrepanza tra i ricordi di Kotchof e quelli di Muriel Verloren, la madre
della vittima. Muriel Verloren aveva detto che Kotchof aveva continuato a
chiamare la figlia con precisione religiosa, fino al momento della morte.
Kotchof sosteneva di non aver fatto nulla del genere. Bosch non trovava
alcuna ragione per cui l'uomo dovesse mentire in proposito. Se non aveva
mentito, allora i ricordi di Muriel Verloren erano sbagliati. Oppure era sta-
ta la figlia a mentire su chi la chiamava tutte le sere prima di andare a letto.
Dato che la ragazza teneva nascosta una relazione e la gravidanza che ne
era derivata, era plausibile che tutti i giorni arrivasse una telefonata, ma
non da Kotchof. Era qualcun altro a chiamare, qualcuno a cui Bosch co-
minciò a pensare come a Mr. X.
Dopo aver cercato il numero di Muriel Verloren sul fascicolo del delitto,
Bosch le telefonò. Si scusò per il disturbo e disse di avere qualche altra
domanda. Muriel rispose che la telefonata non la disturbava affatto.
«Che domande vuole farmi?»
«Ho visto il telefono sul comodino accanto al letto di sua figlia. Era una
linea indipendente o una derivazione del numero di casa?»
«Aveva il suo numero. Una linea privata.»
«Perciò quando Daniel Kotchof la chiamava alla sera, era solo lei a ri-
spondere al telefono, dico bene?»
«Sì, nella sua stanza. Non c'erano altre derivazioni.»
«Perciò lei sapeva che Danny la chiamava solo perché lo diceva sua fi-
glia.»
«No, a volte sentivo squillare il telefono.»
«Quello che intendo, signora Verloren, è che lei non ha mai risposto a
quelle telefonate e parlato con Daniel Kotchof, giusto?»
«Giusto. Era la sua linea personale.»
«Perciò quando quel telefono squillava e sua figlia parlava con qualcu-
no, l'unico modo che aveva di sapere chi fosse era che glielo dicesse
Becky. È corretto?»
«Uh, sì, direi di sì. Sta dicendo che non era Danny a chiamare tutte le se-
re?»
«Non ne sono ancora sicuro. Ma ho parlato con Danny alle Hawaii e lui
mi ha detto di aver smesso di chiamare Becky molto prima che venisse
portata via. Aveva una nuova ragazza alle Hawaii.»
L'informazione fu accolta con una lunga pausa. Alla fine Bosch riempì il
vuoto.
«Ha un'idea di chi potesse essere la persona con cui parlava, signora
Verloren?»
Dopo un altro silenzio, Muriel Verloren offrì una risposta con voce de-
bole.
«Magari una delle sue amiche.»
«È possibile» disse Bosch. «Le viene in mente qualcun altro?»
«Non mi piace tutto questo» disse in fretta. «È come se stessi riscopren-
do di nuovo tutto quanto.»
«Mi dispiace, signora Verloren. Cercherò di non ferirla con questo gene-
re di informazioni, a meno che non sia necessario. Lei e suo marito siete
mai giunti a qualche conclusione riguardo alla gravidanza?»
«Cosa intende? Lo scoprimmo solo dopo.»
«Questo l'ho capito. Intendo se pensate che fosse il frutto di una relazio-
ne segreta o l'errore di un giorno, sa, con qualcuno con cui non aveva una
vera e propria relazione.»
«Intende una storia di una notte? È questo che sta insinuando su mia fi-
glia?»
«No, signora, non sto insinuando nulla su sua figlia. Non voglio turbarla,
ma desidero scoprire chi è stato a uccidere Rebecca. E ho bisogno di sape-
re tutto quello che c'è da sapere.»
«Non potremo mai spiegarlo, detective» rispose con freddezza. «Lei ci
ha lasciati e noi abbiamo deciso di non torturarci per cercare la verità. Ab-
biamo rimesso tutto nelle mani della polizia e abbiamo tentato di ricordare
la figlia che conoscevamo e amavamo. Mi ha detto di avere una figlia, de-
tective, spero che possa comprendere.»
«Penso di sì. Grazie per le sue risposte. Ancora una domanda - e non in-
tendo in nessun modo obbligarla - ma sarebbe disposta a parlare con un
giornalista di sua figlia e del caso?»
«Perché dovrei? Non l'ho mai fatto. Non credo che sarebbe giusto mette-
re in piazza la nostra storia.»
«L'ammiro per questo. Ma questa volta voglio che lei lo faccia perché
potrebbe aiutarci ad attirare la preda.»
«Vuol dire che potrebbe far uscire allo scoperto il colpevole?»
«Esatto.»
«Allora lo farò subito.»
«Grazie, signora Verloren. Le farò sapere.»

16

Abel Pratt uscì dall'ufficio con indosso la giacca. Notò Bosch seduto alla
scrivania nel suo bugigattolo, mentre batteva a macchina con due dita un
rapporto sulla conversazione telefonica con Muriel Verloren. Sul tavolo
c'erano i resoconti delle telefonate con Grace Tanaka e Daniel Kotchof.
«Dov'è Kiz?» domandò Pratt.
«A casa, a lavorare sulla richiesta di autorizzazione per le intercettazio-
ni. Riesce a pensare meglio là.»
«Quando arrivo a casa io, non posso più pensare. Posso solo difendermi.
Ho due gemelli.»
«Buona fortuna.»
«Già, ne ho bisogno. Ora vado. Ci vediamo domani, Harry.»
«Okay.»
Ma Pratt non si allontanava. Bosch alzò lo sguardo dalla macchina da
scrivere. Pensò che, forse, c'era qualcosa che non andava. Forse era la
macchina da scrivere.
«L'ho trovata su una scrivania in fondo» disse Bosch. «Mi sembrava che
non la stesse usando nessuno.»
«Non la usa nessuno. Ormai quasi tutti usano i computer. Sei proprio
uno della vecchia scuola, Harry.»
«Immagino di sì. Di solito è Kiz a redigere i rapporti, ma ho un po' di
tempo da ammazzare.»
«Lavori fino a tardi?»
«Devo andare al Nickel.»
«Fifth Street? Cosa cerchi da quelle parti?»
«Il padre della nostra vittima.»
Pratt scosse il capo tristemente.
«Un altro di quelli. Ne abbiamo visti tanti finire così.»
Bosch annuì.
«Effetti collaterali» disse.
«Già, effetti collaterali» convenne Pratt.
Bosch pensò di proporgli di uscire insieme, di fare quattro chiacchiere
per potersi conoscere un po' meglio, ma il suo cellulare cominciò a squilla-
re. Lo estrasse dalla cintura e vide il nome di Sam Weiss sul display.
«Meglio che risponda.»
«Va bene, Harry. Sii prudente laggiù.»
«Grazie, capo.»;
Aprì il telefono.
«Detective Bosch» disse.
«Detective?»
Bosch ricordò allora di non aver lasciato alcuna informazione nel mes-
saggio a Weiss.
«Signor Weiss, il mio nome è Harry Bosch. Sono un detective della
LAPD. Vorrei rivolgerle qualche domanda riguardo a un'indagine che sto
svolgendo.»
«Ho tutto il tempo che desidera, detective. Riguarda la mia pistola?»
La domanda colse Bosch alla sprovvista.
«Cosa glielo fa pensare, signore?»
«Be', so che è stata usata in un delitto che non è mai stato risolto. Ed è
l'unica cosa su cui penso che la polizia possa volermi interrogare.»
«Be', sì, signore, riguarda la pistola. Posso parlare con lei?»
«Se significa che sta cercando di scoprire chi ha ucciso quella ragazza,
allora mi può chiedere tutto quello che vuole.»
«Grazie. La prima cosa che vorrei sapere è quando e come ha saputo o le
è stato detto che l'arma che le era stata rubata era servita per un omicidio.»
«Era sui giornali - parlavano dell'omicidio - e io feci due più due. Chia-
mai il detective assegnato alle indagini sul furto nel mio appartamento,
chiesi e ottenni le risposte che avrei preferito non avere.»
«Perché dice così, signor Weiss?»
«Perché ho dovuto convivere con il senso di colpa.»
«Ma lei non ha fatto nulla di sbagliato, signore.»
«Questo lo so, ma non serve a farmi sentire meglio. Comprai la pistola
perché avevo dei problemi con un gruppo di teppisti. Desideravo proteg-
germi. Poi l'arma che avevo acquistato divenne lo strumento della morte di
quella ragazzina. Non pensi che non abbia riflettuto su come avrei potuto
cambiare volto a questa storia. Voglio dire, cosa sarebbe successo se non
fossi stato così ostinato? Se avessi deciso di fare i bagagli e di trasferirmi,
invece che comprare quella maledetta cosa? Capisce cosa intendo?»
«Capisco.»
«Ora, detto questo, cos'altro vuole sapere, detective?»
«Ho alcune domande. Chiamare lei è stato come sparare nel buio. Ho
pensato che sarebbe stato più facile che cercare da solo di orientarmi in
mezzo a rapporti e racconti vecchi di diciassette anni. Ho il primo rapporto
sul furto e l'investigatore indicato è John McClellan. Lo ricorda?»
«Certo che lo ricordo.»
«Ha mai risolto il caso?»
«Per quanto ne so io, no. All'inizio John pensava che potesse essere col-
legato con i teppisti che mi minacciavano.»
«Ed era così?»
«John mi disse di no. Ma io non ne fui mai del tutto convinto. I ladri mi
rivoltarono la casa. Non sembrava che stessero semplicemente cercando
qualcosa da rubare. Volevano distruggere tutto, le mie cose. Entrai nell'ap-
partamento e, amico, la rabbia era palpabile.»
«Perché dice ladri? La polizia ritenne che si fosse trattato di più di una
persona?»
«John si era fatto l'idea che dovessero essere minimo due o tre. Io ero
stato fuori solo un'ora, ero andato al negozio. Un uomo solo non avrebbe
potuto causare tutti quei danni in così poco tempo.»
«Il rapporto dice che vennero sottratti la pistola, una collezione di mone-
te e un po' di contante. Più tardi risultò che mancava qualcos'altro?»
«No, nient'altro. Era abbastanza. Almeno le monete mi furono restituite,
erano la cosa di maggior valore. La collezione di mio padre, di quando era
ragazzino.»
«Come fece a riottenerle?»
«Grazie a John McClellan. Me le riportò un paio di settimane più tardi.»
«Le disse dove le aveva recuperate?»
«Parlò di un monte dei pegni a West Hollywood. E poi, certo, sappiamo
che fine fece la pistola. Ma quella non mi fu mai restituita. Io comunque
non l'avrei presa.»
«Capisco, signore. Il detective McClellan le disse mai chi pensava che
avesse svaligiato casa sua? Aveva qualche teoria?»
«Pensava che si trattasse di qualche altro gruppo di teppisti. Non gli Otto
di Chatsworth.»
Sentir nominare gli Otto di Chatsworth risvegliò qualcosa in Bosch, ma
non riuscì a capire cosa.
«Signor Weiss, faccia conto che io non sappia nulla. Chi erano gli Otto
di Chatsworth?»
«Era una gang della Valley. Erano tutti ragazzetti bianchi. Skinhead. Nel
1988 commisero diversi crimini da queste parti. Crimini d'odio, così li de-
finivano i giornali. All'epoca era il termine in voga per definire i crimini
con motivazioni razziali o religiose.»
«E lei era il bersaglio di questa gang?»
«Sì, cominciai a ricevere delle telefonate. La tipica roba da "ammazza
l'ebreo."»
«Ma poi la polizia le disse che non erano stati gli Otto a svaligiare casa
sua.»
«Esatto.»
«Strano, no? Non videro alcun collegamento?»
«È quello che pensai anch'io allora, ma era lui il detective, non io.»
«Perché gli Otto la scelsero come bersaglio, signor Weiss? So che è e-
breo, ma cosa li indusse a scegliere proprio lei?»
«Semplice. Uno di quei piccoli stronzi viveva nel mio quartiere. Billy
Burkhart, stava a quattro isolati da casa mia. Io avevo messo una menorah
alla finestra durante Hanukah e così cominciò tutto.»
«Che ne è stato di Burkhart?»
«Andò in galera. Non per quello che fece a me, ma a degli altri. Presero
lui e i suoi compagni per qualche altro crimine. Avevano dato fuoco a una
croce a pochi isolati da qui. Nel giardino di una famiglia di neri. E fecero
dell'altro, cattiverie, atti vandalici. Tentarono anche di dar fuoco a una si-
nagoga.»
«Ma non svaligiarono casa sua.»
«Esatto. È quello che mi disse la polizia. Vede, non c'erano scritte o se-
gni che facessero pensare a motivazioni religiose. L'appartamento era stato
semplicemente rivoltato. Perciò non classificarono il furto come un crimi-
ne d'odio.»
Bosch esitò, si chiedeva se ci fosse altro da domandare. Decise di non
saperne abbastanza per poter porre domande argute.
«Va bene, signor Weiss, la ringrazio per il tempo che mi ha concesso. E
mi dispiace aver ridestato brutti ricordi.»
«Non si preoccupi di questo, detective. Mi creda, non erano sopiti.»
Bosch chiuse il telefono. Cercò di pensare a chi potesse telefonare per
avere chiarimenti su quella vicenda. Non conosceva John McClellan e le
probabilità che si trovasse ancora alla Divisione Devonshire diciassette
anni dopo erano esigue. Poi gli venne un'idea: Jerry Edgar. Il suo vecchio
compagno alla Divisione Hollywood in precedenza era stato assegnato alla
Devonshire. Doveva essere assegnato lì nel 1988.
Bosch chiamò la Omicidi a Hollywood, ma trovò la segreteria telefoni-
ca. Erano usciti tutti presto. Compose il numero dell'ufficio investigativo
centrale e chiese se Edgar fosse da quelle parti. Bosch sapeva che i detec-
tive dovevano firmare prima di uscire. L'usciere che rispose al telefono
disse che Edgar aveva firmato e per quel giorno non era più in servizio.
La terza telefonata fu al cellulare di Edgar. Il vecchio collega rispose su-
bito.
«Ehi, voi della Hollywood ve ne andate a casa presto» disse Bosch.
«Chi cavolo...? Harry, sei tu?»
«Sono io. Come te la passi, Jerry?»
«Mi chiedevo quando avrei avuto tue notizie. Hai ripreso oggi?»
«Il più vecchio pivello del mondo. E ho già per le mani una gatta da pe-
lare. Kiz e io stiamo lavorando a un caso insoluto.»
Edgar non replicò e Bosch si rese conto che menzionare Rider era stato
un errore. Il fossato tra loro non solo esisteva ancora, ma a quanto pare si
era congelato.
«Comunque, ho bisogno del tuo cervellone. Per una storia che risale ai
tempi del Club Dev.»
«Quando?»
«1988. Gli Otto di Chatsworth. Te li ricordi?»
Ci fu un silenzio durante il quale Edgar rifletté per un momento.
«Sì, ricordo gli Otto. Erano un branco di buzzurri che pensavano che ra-
sarsi la testa e tatuarsi facesse di loro degli uomini. Fecero un sacco di
merdate, poi li beccarono. Non durarono molto.»
«Ricordi un tizio di nome Roland Mackey? Doveva avere sui diciotto
anni all'epoca.»
Dopo una pausa Edgar disse di non ricordare il nome.
«Chi lavorava agli Otto?» domandò Bosch.
«Non il Club Dev, amico. Tutto quello che li riguardava finiva dritto
nella tana del coniglio.»
«PDU?»
«L'hai detto.»
PDU, la Public Disorder Unity, l'Unità Ordine Pubblico. Una squadra
che lavorava nell'ombra, raccoglieva dati e informazioni di intelligence
sulle organizzazioni criminali, ma seguiva direttamente pochi casi. Nel
1988 la PDU era sotto l'egida dell'allora comandante Irvin Irving. L'unità
non esisteva più. Quando Irving era salito al livello di vicecapo, aveva
smantellato la PDU, cosa che molti nel dipartimento considerarono una
mossa per insabbiare le attività dell'unità e prenderne le distanze.
«Questo non mi facilita il compito» disse Bosch.
«Mi dispiace. A cosa lavori?»
«All'omicidio di una ragazza sulla Oat Mountain.»
«Quella che era stata portata via da casa?»
«Sì.»
«Me la ricordo. Non ci lavoravo in prima persona, ma ne avevamo parla-
to alla Omicidi. Sì, me la ricordo. Dici che c'entravano gli Otto?»
«No. Solo che è saltato fuori un nome che potrebbe avere un legame con
gli Otto. Otto significa quello che penso?»
«Sì, amico, otto sta per "H". Ottantotto per "HH". E "HH" per Heil...»
«...Hitler. Sì, l'ho pensato anch'io.»
Allora Bosch realizzò che Kiz Rider aveva visto giusto quando aveva
pensato che l'anno dell'omicidio fosse significativo. Sia l'omicidio sia tutti
gli altri crimini commessi dagli Otto erano stati perpetrati nel 1988. Tutto
rientrava in una confluenza di particolari solo all'apparenza insignificanti.
E ora anche Irvin Irving e la PDU erano finiti nello stesso calderone. La
corrispondenza fra un insoluto e il DNA di uno sfigato autista di carro at-
trezzi cominciava a germogliare e a trasformarsi in qualcosa di più grande.
«Jerry, ricordi un tizio della Devonshire e che si chiamava John McClel-
lan?»
«John McClellan? No, non me lo ricordo. A cosa lavorava?»
«Si occupava di un caso di furto collegato all'omicidio.»
«No, sono sicuro che non fosse nella squadra Furti. Io lavoravo ai furti
prima di passare alla Omicidi. Non c'era nessun John McClellan. Chi è?»
«Come ti ho detto, solo un nome in un rapporto. Lo scoprirò.»
Per Bosch questo significava che McClellan apparteneva alla PDU e che
le indagini del furto a casa di Sam Weiss erano state inglobate in quelle
sugli Otto di Chatsworth. Non gli importava discutere tutto questo con E-
dgar.
«Jerry, perciò eri nuovo al tavolo degli omicidi in quel periodo?»
«Esatto.»
«Conoscevi bene Green e Garcia?»
«No. Io ero appena arrivato e loro non rimasero alla Omicidi ancora per
molto. Green andò in pensione e un anno dopo Garcia divenne sergente.»
«Da quello che hai potuto vedere, che opinione ti sei fatto di loro?»
«In che senso?»
«Come uomini della Omicidi.»
«Be', Harry, ero un novellino allora. Voglio dire, che ne sapevo? Stavo
ancora imparando. Ma la voce su di loro era che Green fosse il motore.
Garcia era solo la governante. La gente diceva che Garcia non sarebbe sta-
to capace di trovare la merda nei propri baffi con uno specchio e un petti-
ne.»
Bosch non rispose. Etichettandolo come una governante, Edgar intende-
va dire che Garcia viveva alle spalle del suo compagno. Green era il vero
poliziotto della Omicidi, e Garcia era quello che gli copriva le spalle, tene-
va in ordine i libri e aggiornava i dati. Molte partnership si riducevano a
questo genere di relazione. Un segugio di prima categoria e il suo assisten-
te.
«Immagino che non ne abbia poi avuto bisogno» disse Edgar.
«Bisogno di cosa?»
«Di trovare la merda nei propri baffi. Ha fatto strada, è diventato sergen-
te e si è tirato fuori. Sai che al momento è secondo in comando nella Val-
ley?»
«Sì, lo so. In effetti, se dovessi incontrarlo, faresti meglio a non menzio-
nare quella storia dei baffi.»
«Già, meglio lasciar perdere.»
Bosch rifletté su ciò che questo poteva aver comportato nell'indagine
Verloren. Una piccola crepa si stava allargando sotto la superficie.
«È tutto, Harry?»
«Ho sentito dire che Green si è mangiato la pistola un anno dopo esser-
sene andato in pensione.»
«Sì, me l'hanno detto. Ricordo che non ne fui sorpreso. Aveva sempre
l'aspetto di chi si porta dietro un carico pesante. Andrai a ficcare il naso
nella PDU, Harry? Lo sai che era la squadra di Irving, vero?»
«Sì, Jerry, lo so. Dubito che mi ci immischierò.»
«Sii prudente se decidi di farlo, amico mio.»
Bosch voleva cambiare argomento prima di riagganciare. Edgar era
sempre stato un pettegolo. Harry non voleva che il suo ex compagno si la-
sciasse scappare che Bosch si voleva mettere tra i piedi di Irving ora che
aveva recuperato il distintivo.
«Allora, come vanno le cose alla Hollywood?» domandò.
«Siamo appena tornati nei vecchi uffici dopo il terremoto. Ti sei perso
l'intera faccenda. Siamo stati sbattuti in archivio per più di un anno.»
«Com'è?»
«Ora sembra l'ufficio di un'assicurazione. Tra una scrivania e l'altra ci
sono le pareti insonorizzate. Tutto in grigio governativo. Grazioso, ma non
è lo stesso.»
«Già. So cosa vuoi dire.»
«Poi hanno dato ai capoccia il doppio dello spazio: scrivanie con i cas-
setti su due lati. Noialtri abbiamo quelle con una cassettiera sola.»
Bosch sorrise. Piccoli affronti come quelli venivano ingigantiti al dipar-
timento, e gli amministratori che prendevano simili decisioni non impara-
vano mai dai propri errori. Come quando buona parte degli Affari Interni
era stata trasferita dal Parker Center al vecchio Bradbury Building e si era
sparsa la voce che il capitano laggiù avesse il camino in ufficio.
«Allora, cosa farai, Jerry?»
«Le stesse vecchie cose, le stesse vecchie cose, ecco cosa farò. Alzerò il
culo e butterò giù le porte.»
«Ci sentiamo, amico.»
«Guardati le spalle, Harry.»
«Sempre.»
Dopo aver riagganciato, Bosch rimase seduto immobile alla scrivania
per qualche momento, mentre ripensava alla conversazione e alla nuova
luce che gettava sul caso. Se ci fosse stato un legame tra le indagini e la
PDU, allora si sarebbe aperta una partita del tutto nuova.
Abbassò lo sguardo sul fascicolo del delitto, ancora aperto sul rapporto
del furto, e fissò la firma scarabocchiata di John McClellan. Alzò il telefo-
no e compose il numero del Dipartimento Operativo al Parker Center.
Chiese di parlare con l'agente di servizio per sapere a quale dipartimento
fosse stato assegnato un detective di nome John McClellan. Lesse il nume-
ro di distintivo sul rapporto del furto. Quando venne messo in attesa, si a-
spettò di sentirsi dire che McClellan era in pensione da tempo. Erano pas-
sati diciassette anni.
Ma quando l'agente di servizio tornò in linea riferì che l'agente di nome
John McClellan era ora un sergente ed era stato assegnato all'Ufficio dei
Piani Strategici. Le sinapsi si attivarono nel cervello di Bosch. Diciassette
anni prima McClellan lavorava per Irving alla PDU. Ora l'assegnazione e il
grado erano diversi, ma lavorava ancora per lui. E Irving aveva incontrato
Bosch per caso alla caffetteria del Parker Center proprio nel giorno in cui
era stato riaperto un caso legato alla PDU.
«Porca miseria» sussurrò Bosch mentre riagganciava.
Come una corazzata che avvia le manovre per la virata, il caso stava len-
tamente e inesorabilmente prendendo un'altra direzione. Bosch avvertiva
qualcosa che gli si andava formando in fondo al petto. Pensò alla coinci-
denza di Irving che aveva incrociato i suoi passi. Sempre che di coinciden-
za si trattasse. Bosch si domandò se il vicecapo sapesse già, in quel mo-
mento, a quale caso avrebbero applicato il cold hit, e dove li avrebbe con-
dotti.
Il dipartimento seppelliva segreti tutti i giorni. Era un dato di fatto. Ma
chi avrebbe detto, diciassette anni prima, che un test chimico effettuato in
un laboratorio di Sacramento avrebbe conficcato una pala nella terra
sdrucciolevole e avrebbe riportato in superficie il passato, riportato alla lu-
ce quel segreto?

17

Mentre guidava verso casa, Bosch rifletté sulle molte diverse ramifica-
zioni dell'indagine che si stavano avvolgendo come tentacoli attorno al ca-
davere di Rebecca Verloren. Sapeva che doveva tenere lo sguardo fisso
sull'obiettivo. Quello che aveva scoperto era la chiave risolutiva. Le dina-
miche politiche del dipartimento, la possibile corruzione, le coperture, fa-
cevano pensare a un high jingo, uno di quei casi che suscitavano l'interesse
di chi stava ai piani alti. Tutto questo poteva essere pericoloso e fuorvian-
te, distrarlo dalla meta. Doveva evitarlo e allo stesso tempo guardarsene
con attenzione.
Alla fine riuscì a mettere da parte i pensieri dell'ombra di Irving sulle in-
dagini e a concentrarsi sul caso. La riflessione, in qualche modo, lo portò
alla camera da letto di Rebecca, a come la madre l'avesse lasciata immuta-
ta nel tempo. Si domandò se fosse stata la perdita della figlia a indurre un
tale comportamento, o le circostanze della perdita. È diverso se non hai più
un figlio per cause naturali, per un incidente o in conseguenza di un divor-
zio? Bosch vedeva di rado la figlia. Questo gli pesava. Sapeva che, lontana
o vicina che fosse, la bambina lo lasciava del tutto vulnerabile, che ri-
schiava di finire come la madre che preservava la camera da letto della fi-
glia come un museo, o il padre che da tempo si era perso per il mondo.
Qualcosa riguardo alla stanza lo turbava, al di là di queste domande.
Non riusciva ad afferrare di cosa si trattasse, ma sapeva che c'era una nota
stonata, che lo tormentava. Guardò dalla sopraelevata verso Hollywood,
alla sua sinistra. C'era ancora un po' di luce in cielo, ma cominciava a cala-
re la sera. Le tenebre avevano atteso abbastanza. Le luci che provenivano
dall'incrocio tra la Hollywood e la Vine si intersecavano all'orizzonte. Gli
sembravano belle. Si sentiva a casa.
Quando giunse nel suo appartamento in cima alla collina, controllò la
cassetta della posta e la segreteria telefonica, quindi si tolse l'abito che a-
veva acquistato per il rientro in servizio. Lo appese con cura nell'armadio,
pensando che lo avrebbe potuto usare almeno ancora una volta prima di
portarlo in tintoria. Si infilò i blue-jeans, le scarpe da tennis e un pullover
nero. Mise una giacca sportiva, logora sulla spalla destra, a causa del vizio
di passare sempre troppo vicino agli angoli. Trasferì la pistola, il distintivo
e il portafogli. Tornò in auto e si diresse in centro, verso il Toy District.
Decise di fermarsi a Japantown, nel parcheggio del museo, per non do-
versi preoccupare che qualcuno si infilasse nell'auto o compisse atti vanda-
lici. Da lì camminò fino alla Fifth Street, e a mano a mano che procedeva
incontrava una massa sempre più densa di derelitti. La maggior parte dei
ricoveri per i senzatetto della città e delle missioni che davano loro da
mangiare era allineata in un tratto di cinque isolati sulla Fifth Street, a sud
della Los Angeles Street. I marciapiedi davanti alle missioni e ai miseri al-
berghetti erano punteggiati da scatoloni di cartone e carrelli della spesa ri-
colmi dei miseri, luridi averi di quella gente perduta. Era come se una sorta
di bomba avesse causato una frantumazione sociale, e le schegge di disa-
dattati e disperati fossero state scagliate ovunque. Lungo tutta la strada c'e-
rano uomini e donne urlanti, le cui grida incomprensibili erano come lugu-
bri nonsensi nella notte. Pareva una città con le proprie regole e le proprie
ragioni, una città lacerata, con una ferita tanto profonda che le bende che le
missioni vi applicavano non potevano fermare l'emorragia.
Mentre camminava, Bosch notò che nessuno, neppure una volta, gli si
avvicinò per chiedergli soldi o sigarette. Non gli sfuggì l'ironia del caso: a
quanto pareva, il quartiere della città con la più alta concentrazione di sen-
zatetto era l'unico posto dove un cittadino era al sicuro dall'accattonaggio.
La Los Angeles Mission e l'Esercito della Salvezza avevano qui i loro
principali centri d'accoglienza. Bosch decise di partire da loro. Aveva con
sé una foto di Robert Verloren, presa dalla patente vecchia di dodici anni, e
uno scatto ancora più datato, risalente al funerale della figlia. Le mostrò al-
le persone che operavano nei centri di assistenza e nelle cucine, dove si
preparava cibo gratis per centinaia di persone ogni giorno. Non ottenne
molte risposte, finché un tizio che lavorava in cucina riconobbe Verloren
come un "cliente" che qualche anno prima andava a mangiare lì con una
certa regolarità.
«È un po' ormai che non lo vedo più» disse l'uomo.
Dopo aver trascorso un'ora in ciascuno dei centri, Bosch si dedicò alle
strade, entrò nelle missioni più piccole e negli alberghetti per mostrare le
foto. Qualcuno riconobbe Verloren, ma nessuno lo aveva visto di recente.
Niente di utile per rintracciare l'uomo, che era scomparso dagli schermi dei
radar dell'umanità ormai da parecchi anni. Ci lavorò ancora fino alle dieci
e trenta, poi decise di tornare il giorno dopo per finire di perlustrare le
strade. Mentre camminava verso Japantown, fu sopraffatto dalla depres-
sione, per via dell'universo nel quale si era appena immerso e delle esigue
speranze di riuscire a trovare Robert Verloren. Camminava a testa bassa, le
mani in tasca, perciò non scorse i due uomini prima che loro vedessero lui.
Sbucarono dal vicolo tra due negozi di giocattoli proprio mentre Bosch
passava. Uno gli bloccò la strada. L'altro si mise dietro. Bosch si fermò.
«Ehi, missionario» disse l'uomo di fronte a lui.
Nel tenue bagliore di un lampione a mezzo isolato da loro Bosch scorse
il riflesso di una lama lungo il fianco dell'uomo. Si voltò appena per con-
trollare il tizio alle sue spalle. Era più piccolo. Bosch non ne era sicuro, ma
sembrava che stringesse nella mano solo un blocco di cemento. Un pezzo
di marciapiede rotto. Entrambi erano vestiti a strati, una vista consueta in
questa zona della città. Uno era nero e l'altro bianco.
«Le cucine sono tutte chiuse e noi abbiamo ancora fame» disse quello
con il coltello. «Hai qualche bigliettone per noi? Sai, qualcosa che po-
tremmo prendere in prestito.»
Bosch scosse la testa.
«No, non ho niente.»
«Non hai niente? Ne sei sicuro, amico? Hai l'aspetto di uno che ha in ta-
sca un portafogli bello pieno, sai? Non prenderci in giro.»
Una rabbia nera crebbe dentro Bosch. In un istante di straordinaria luci-
dità seppe cosa avrebbe dovuto fare e cosa avrebbe fatto. Avrebbe estratto
la pistola e avrebbe ficcato una pallottola in corpo a ciascuno di quei due
individui. Sapeva che se la sarebbe cavata con una semplice indagine in-
terna. Il riflesso della lama rappresentava la via d'uscita, e Bosch ne era
consapevole. Nessuno dei due aveva idea di chi fosse la persona in cui si
erano imbattuti. Era come quando, molti anni addietro, si trovava in quei
tunnel. Tutto si riduceva a uno spazio infinitamente esiguo. Non c'era altra
scelta che uccidere o essere uccisi. C'era qualcosa di puro in tutto ciò, as-
soluto, niente zone grigie, niente spazio per qualsiasi altra considerazione.
Poi, di colpo, l'istante mutò. Bosch vide che il tipo con il coltello lo fis-
sava con attenzione, aveva letto qualcosa nei suoi occhi, un predatore che
prendeva le misure dell'altro. L'uomo col coltello parve divenire più picco-
lo, in maniera quasi impercettibile. Indietreggiò, ma senza farlo fisicamen-
te.
Bosch era a conoscenza dell'esistenza di persone di cui si credeva che
sapessero leggere nel pensiero della gente. La verità era che sapevano leg-
gere la mente. La loro abilità consisteva nel saper riconoscere la miriade di
muscoli degli occhi, della bocca, delle sopracciglia. Da questo decifravano
le intenzioni. Bosch era abbastanza abile. La sua ex moglie si guadagnava
da vivere giocando a poker, perché era ancora più brava di lui. L'uomo con
il coltello era altrettanto dotato. E questa volta la sua abilità gli aveva sal-
vato la vita.
«Non importa» disse. Fece un passo indietro verso il vicolo tra i magaz-
zini.
«Buonanotte, missionario» disse, mentre scompariva nell'oscurità.
Bosch si voltò completamente e guardò l'altro tizio, anche questo scivolò
nel suo nascondiglio, per aspettare la vittima successiva.
Bosch guardò la strada, da una parte e dall'altra. Ora pareva deserta. Si
voltò e si diresse verso l'automobile. Mentre camminava estrasse il cellula-
re e chiamò l'ufficio pattuglie della Divisione Centrale. Riferì all'agente di
guardia dei due uomini che aveva incontrato e chiese di inviare una pattu-
glia.
«Questo genere di cose capitano di continuo in quell'inferno» disse l'a-
gente. «Cosa vuole che faccia?»
«Voglio che mandi un'auto ad arrestarli. Ci penseranno due volte prima
di fare del male a qualcuno.»
«Be', perché non li ha arrestati lei?»
«Perché sto lavorando a un caso, agente, e non posso perdere tempo a fa-
re il vostro lavoro o a sbrigare le vostre carte.»
«Senti, amico, non venirmi a dire come devo fare il mio lavoro. Voi in
borghese siete tutti uguali. Pensate...»
«Senta, agente, domattina controllerò l'elenco dei crimini. Se leggerò
che a qualcuno è successo qualcosa quaggiù, e che si sospetta di un bianco
e un nero che hanno agito in coppia, allora lei avrà più gente in borghese
attorno che ai grandi magazzini. Glielo garantisco.»
Bosch chiuse il telefono, cassando un'ultima protesta dell'agente di
guardia. Accelerò il passo, raggiunse l'auto e tornò sulla freeway 101.
Quindi si diresse di nuovo verso la Valley.
18

Trovare un posto sicuro da cui osservare la Tampa Towing era difficile.


I negozi ai due angoli opposti della piazza erano chiusi e i parcheggi vuoti.
Bosch non sarebbe passato inosservato se si fosse fermato in uno dei due.
La stazione di servizio concorrente, dall'altra parte, era ancora aperta, e
pertanto inutilizzabile per la sorveglianza. Dopo aver considerato la situa-
zione, Bosch parcheggiò sulla Roscoe, a un isolato di distanza, e tornò
all'incrocio a piedi. Prese in prestito l'idea dagli aspiranti rapinatori di poco
più di un'ora prima e trovò una rientranza buia, lungo la facciata di uno dei
due grandi magazzini, da cui poteva vedere la stazione di servizio. Sapeva
che il problema, con questa tattica, sarebbe poi stato quello di riuscire a
raggiungere l'auto in fretta in modo da non perdersi Mackey alla fine del
turno.
La pubblicità che aveva letto sull'elenco telefonico diceva che la Tampa
Towing offriva un servizio ventiquattro ore su ventiquattro, ma era quasi
mezzanotte, e Bosch avrebbe scommesso che Mackey, che era entrato in
servizio alle quattro del pomeriggio, avrebbe staccato presto. Sarebbe stato
rimpiazzato da qualcuno che avrebbe fatto il turno di notte, oppure sarebbe
stato tenuto a rimanere reperibile per tutta la notte al cellulare.
Era in momenti come quello che a Bosch veniva voglia di ricominciare a
fumare. Sembrava che le sigarette potessero servire a far correre il tempo
più veloce e a smussare gli angoli dell'ansia che gli appostamenti gli pro-
curavano sempre. Ma erano ormai più di quattro anni, e non voleva vanifi-
care tutti gli sforzi. Scoprire, due anni prima, di essere padre, gli era servi-
to a superare le occasionali debolezze. Pensava che, se non fosse stato per
sua figlia, con tutta probabilità avrebbe ricominciato a fumare. Aveva im-
parato a controllare la dipendenza. Non avrebbe avuto alcun senso soc-
combere ora.
Tirò fuori il cellulare, angolò il display in modo che dalla stazione di
servizio non si potesse scorgere la luce, e compose il numero di casa di
Kiz Rider. Lei non rispose. Provò al cellulare, ma il risultato fu lo stesso.
Pensò che dovesse aver tolto le suonerie per concentrarsi meglio sulla do-
manda di autorizzazione. Aveva fatto lo stesso altre volte in passato. Sape-
va che avrebbe lasciato il cercapersone acceso in caso di emergenza, ma ri-
tenne che le notizie che aveva raccolto con le telefonate di quella sera non
rappresentassero delle emergenze. Decise di aspettare di vederla il mattino
seguente per riferirle i suoi progressi.
Infilò il telefono in tasca e portò il binocolo davanti agli occhi. Dietro le
vetrine dell'ufficio della stazione di servizio vedeva Mackey seduto a una
scrivania grigia, malandata. C'era un altro uomo che indossava un'unifor-
me blu, simile alla sua. Doveva essere stata una notte tranquilla. I due uo-
mini avevano entrambi i piedi sul tavolo e fissavano un punto in alto, sulla
parete sopra la vetrina. Bosch non vedeva quello che i due uomini guarda-
vano, ma dalla luce che cambiava nella stanza si capiva che doveva trattar-
si di un televisore.
Il telefono di Bosch squillò, lo estrasse dalla tasca e rispose senza abbas-
sare il binocolo. Non controllò il display, dava per scontato che fosse Kiz
Rider che aveva trovato la chiamata non risposta.
«Ehi.»
«Detective Bosch?»
Non era Kiz. Bosch abbassò il binocolo.
«Sì, sono Bosch. Come posso aiutarla?»
«Sono Tara Wood. Ho trovato il suo messaggio.»
«Oh, sì, grazie per aver richiamato.»
«A quanto pare questo è il suo numero di cellulare. Mi dispiace di aver
chiamato così tardi. Sono appena rientrata. Pensavo di lasciarle un mes-
saggio sulla segreteria dell'ufficio.»
«Nessun problema. Sto ancora lavorando.»
Bosch seguì la stessa procedura che aveva utilizzato per gli altri interro-
gatori. Mentre menzionava il nome di Roland Mackey, controllò con il bi-
nocolo che l'uomo fosse ancora lì. Era alla scrivania, guardava la TV. Co-
me le altre amiche di Rebecca Verloren, Tara Wood non riconobbe il nome
dell'autista di carro attrezzi. Bosch aggiunse una nuova domanda, chiese se
si rammentasse degli Otto di Chatsworth, ma i ricordi della donna erano
vaghi anche riguardo a questo. Alla fine le domandò se il giorno seguente
avrebbe potuto rivolgerle qualche altro quesito e mostrarle una foto di Ma-
ckey. Lei acconsentì, ma disse che l'avrebbe dovuta raggiungere agli studi
della CBS, dove lavorava come pubblicitaria. Bosch sapeva che la CBS
era vicino al Farmers Market, uno dei suoi posti preferiti in città. Decise
che avrebbe potuto andare al mercato, magari mangiare una scodella di
gombo per pranzo, e poi raggiungere Tara Wood per mostrarle le foto di
Mackey e chiederle della gravidanza di Rebecca Verloren. Prese appunta-
mento per l'una, e lei acconsentì di incontrarlo nel suo ufficio.
«È un caso così vecchio» disse la Wood. «Lei è della squadra Cold
Case?»
«Noi la chiamiamo l'Unità Casi Irrisolti.»
«Sa, facciamo un telefilm che si chiama Cold Case. È alla domenica se-
ra. È uno dei programmi a cui lavoro io. Pensavo... magari potrebbe venire
a visitare il set e conoscere la sua controparte televisiva. Sono sicura che
adorerebbero incontrarla.»
Bosch si rese conto che la donna stava ragionando da un punto di vista
pubblicitario. Guardò attraverso il binocolo Mackey che fissava la televi-
sione e per un momento pensò di sfruttare l'interesse della donna al fine
della messinscena che avevano deciso di mettere in piedi. Ma scartò rapi-
damente l'idea, sarebbe stato molto più semplice avviare la sceneggiata
con un servizio sui giornali.
«Sì, magari, ma penso che dovremo aspettare un po'. Al momento lavo-
riamo sodo al caso, e ho bisogno di parlare con lei domani.»
«Nessun problema. Spero davvero che lei possa trovare la persona che
sta cercando. Da quando sono stata assegnata a questo programma, ho
pensato spesso a Rebecca. Sa, a chiedermi se potesse succedere ancora
qualcosa. Poi, dal nulla, è arrivata la sua telefonata. È strano, ma in senso
positivo. Ci vediamo domani, detective.»
Bosch disse buonanotte e riagganciò.
Qualche minuto dopo, a mezzanotte, la luce della stazione di servizio si
spense. Bosch sapeva che essere disponibili ventiquattro ore su ventiquat-
tro non si traduceva necessariamente nel rimanere aperti ventiquattro ore al
giorno. Con ogni probabilità, Mackey o un altro autista sarebbero stati re-
peribili per tutta la notte.
Bosch sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio e si affrettò lungo la Roscoe
fino al SUV. L'aveva appena raggiunto quando udì il rombo profondo del
motore della Camaro di Mackey che prendeva vita. Mise in moto a sua
volta, si scostò dal marciapiede e si diresse di nuovo verso l'incrocio. Men-
tre frenava per fermarsi al semaforo rosso, scorse la Camaro con i parafan-
ghi dipinti di grigio che attraversava l'incrocio, diretta a sud verso Tampa.
Bosch attese qualche istante, controllò che non ci fossero macchine in arri-
vo e bruciò il semaforo rosso per seguire Mackey.
L'uomo fece la prima sosta in un bar che si chiamava Side Pocket. Si
trovava sulla Sepulveda a Van Nuys, vicino ai binari della ferrovia. Era un
locale piccolo con l'insegna al neon blu e le sbarre alle finestre dipinte di
nero. Bosch aveva un'idea di come sarebbe stato l'interno del locale e del
genere di avventori che vi avrebbe trovato. Prima di lasciare l'auto, si tolse
la giacca sportiva, vi avvolse la pistola, le manette e le munizioni di scorta
e la posò sul tappetino davanti al posto del passeggero. Uscì dalla macchi-
na, chiuse la portiera e si diresse verso il bar, tirandosi fuori la camicia dai
jeans mentre camminava.
L'interno del locale era esattamente come se l'aspettava. Un paio di tavo-
li da biliardo, un bancone e una fila di tavolini di legno graffiati. Nono-
stante nei luoghi pubblici non fosse più consentito fumare, il fumo blu del-
le sigarette era denso e aleggiava come un fantasma sotto le lampade di
ogni tavolo. Nessuno si lamentava.
La maggior parte degli uomini prendeva la medicina in piedi. Molti ave-
vano catene ai portafogli e tatuaggi sugli avambracci. Nonostante i ritocchi
al suo look, Bosch sapeva di saltare agli occhi: era evidente che non appar-
teneva a quel luogo. Scorse un angolo in ombra dove il bancone faceva
una curva, proprio sotto il televisore appeso alla parete. Scivolò fin lì e si
chinò sul bancone, nella speranza che questo potesse aiutarlo a nascondere
il proprio aspetto.
La cameriera, una donna malridotta con una giacca di pelle nera sopra
una maglietta, ignorò Bosch per un po', ma per lui andava bene così. Non
era lì per bere. Guardò Mackey che posava delle monete da un quarto su
uno dei tavoli, in attesa del proprio turno per giocare. Nemmeno lui aveva
ancora ordinato da bere.
Mackey passò dieci minuti a scorrere l'assortimento di stecche infilate
nella rastrelliera alla parete, finché non trovò quella che gli dava una buona
sensazione. Rimase ancora in attesa e chiacchierò con un altro uomo in
piedi attorno al tavolo. Non sembrava niente di più che una chiacchierata
casuale, come se si conoscessero solo per aver giocato a biliardo assieme
in altre occasioni.
Mentre aspettava e guardava, coccolando il drink di birra e whisky che
finalmente la cameriera gli aveva portato, Bosch cominciò a pensare che la
gente lo stesse osservando, ma poi realizzò che gli avventori fissavano il
televisore sistemato a meno di trenta centimetri sopra la sua testa.
Alla fine arrivò il turno di Mackey, che si rivelò un buon giocatore. Pre-
se rapidamente il controllo del tavolo e sconfisse sette sfidanti, raccoglien-
do denaro o birre da ciascuno di loro. Mezzora più tardi parve stanco della
mancanza di competizione e perse entusiasmo. L'ottavo sfidante lo batté,
dopo che Mackey aveva mancato un colpo facile all'ottava palla. Mackey
prese bene la sconfitta e gettò sul panno verde una banconota da cinque
dollari prima di allontanarsi. Secondo i conti di Bosch, doveva essere so-
pra di venticinque dollari e tre birre.
Mackey si portò il suo Rolling Rock in un posto libero al bancone, e
questo per Bosch fu il segnale per uscire di scena. Posò un biglietto da die-
ci sotto il bicchiere vuoto e si voltò, senza mai rivolgere il viso a Mackey.
Lasciò il bar e raggiunse l'auto. La prima cosa che fece fu risistemare la pi-
stola al fianco destro, con l'impugnatura in avanti. Avviò il motore, si im-
mise sulla Sepulveda e guidò per un isolato verso sud. Fece inversione e si
fermò accanto al marciapiede davanti a un idrante. Era un buon punto di
osservazione sull'ingresso del Side Pocket ed era nella posizione giusta per
seguire l'auto di Mackey sulla Sepulveda, in direzione nord, verso Pano-
rama City. Mackey poteva aver cambiato casa dopo l'ultimo periodo di li-
bertà vigilata, ma Bosch si aspettava che non si fosse trasferito troppo lon-
tano.
Questa volta l'attesa non fu molto lunga. A quanto pareva, Mackey ave-
va bevuto solo le birre gratis. Lasciò il bar dieci minuti dopo Bosch, salì
sulla Camaro e imboccò la Sepulveda verso sud.
Bosch aveva sbagliato. Mackey si stava allontanando da Panorama City
e dalla parte nord della Valley. Questo significava che, per seguirlo, Bosch
avrebbe dovuto fare un'inversione a "U", su una Sepulveda completamente
deserta. La mossa sarebbe stata fin troppo evidente nello specchietto retro-
visore di Mackey. Perciò attese che l'auto divenisse piccola nello spec-
chietto sinistro.
Quando vide lampeggiare la freccia della Camaro, premette l'accelerato-
re e svoltò di centottanta gradi. Per poco non perse il controllo dello sterzo,
ma riuscì a raddrizzare l'auto e sfrecciò sulla Sepulveda. Svoltò a destra
sulla Victory e raggiunse la Camaro in prossimità del cartello della soprae-
levata 405. Mackey rimase fuori dalla freeway e proseguì a ovest sulla
Victory.
Mentre Bosch eseguiva una varietà di manovre per evitare di essere sco-
perto, Mackey percorse tutta la strada fino alle Woodland Hills. Sulla Ma-
riano Street, una strada ampia vicino alla freeway 101, svoltò finalmente in
un lungo vialetto e parcheggiò accanto a una piccola casa. Bosch lo seguì e
parcheggiò un po' più giù, scese dall'auto e tornò indietro a piedi. Sentì la
porta che si chiudeva e vide la luce della veranda che si spegneva.
Bosch si guardò attorno e vide che era un quartiere di lotti a stendardo.
Quando il quartiere aveva preso forma, alcuni decenni prima, le proprietà
erano state suddivise in grandi lotti perché avrebbero dovuto servire da al-
levamenti di cavalli o piccole aziende agricole. Poi la città era cresciuta fin
laggiù e i cavalli e le coltivazioni erano scomparse. I lotti erano stati fra-
zionati, una proprietà dava sulla strada, mentre uno stretto vialetto la co-
steggiava e raggiungeva l'altra proprietà sul retro, tutti i lotti erano a forma
di stendardo.
Questo rendeva difficile l'osservazione. Bosch scivolò lungo il vialetto,
osservando le due case sul davanti e quella di Mackey sul retro. L'uomo
aveva parcheggiato la Camaro accanto a un malridotto pick-up Ford 150.
Significava che poteva avere un coinquilino.
Quando fu più vicino, Bosch si fermò per prendere il numero di targa del
pick-up. Notò un vecchio adesivo sull'automezzo che diceva L'ULTIMO
AMERICANO CHE LASCIA LOS ANGELES PER FAVORE PORTI
VIA LA BANDIERA. Era solo la pennellata finale sul quadro che lenta-
mente si andava delineando.
Facendo meno rumore possibile, Bosch camminò lungo un sentiero di
pietra che costeggiava la casa. L'edificio era costruito su un basamento che
arrivava alle ginocchia, pertanto le finestre si trovavano troppo in alto per-
ché si potesse guardare dentro. Giunto sul retro della casa udì delle voci, e
realizzò che si trattava della televisione quando ne riconobbe il bagliore
blu tremolante. Iniziò ad attraversare il giardino posteriore, quando all'im-
provviso il suo telefono cominciò a squillare. Lo afferrò rapidamente e
bloccò il suono. Allo stesso tempo si mosse in fretta lungo il sentiero e
raggiunse il vialetto d'accesso. Corse verso la strada. Ascoltò se ci fossero
rumori alle sue spalle, ma non udì niente. Quando arrivò alla strada, guar-
dò la casa, ma non vide nulla che potesse fargli pensare che il trillo del te-
lefono fosse stato udito all'interno dell'appartamento, sopra il rumore della
televisione.
Bosch sapeva di aver rischiato grosso. Era senza fiato. Tornò all'auto-
mobile, cercò di ricomporsi e di riprendersi dal mancato disastro. Aveva
condotto male l'interrogatorio a Daniel Kotchof, e ora riconosceva in
quell'errore un ulteriore segno della ruggine che aveva addosso. Si era di-
menticato di togliere la suoneria al telefono prima di sgattaiolare dietro la
casa. Era un errore che avrebbe potuto mandare a monte tutto quanto e co-
stringerlo a uno scontro con l'obiettivo delle indagini. Tre anni prima,
quando era ancora in servizio, non sarebbe mai accaduto. Cominciò a pen-
sare a quello che aveva detto Irving, che era uno pneumatico ricostruito,
che le cuciture si sarebbero strappate e che sarebbe scoppiato.
Dentro l'auto, controllò la lista delle chiamate e riconobbe il numero di
Kiz Rider. Le telefonò.
«Harry, ho visto che mi avevi chiamato. Avevo il telefono spento. Che
succede?»
«Non molto. Volevo solo sapere come vanno le cose.»
«Be', vanno. Ho impostato il tutto e ho anche quasi terminato di scrivere
la domanda. Domattina finisco, poi comincerò a inoltrarla attraverso i ca-
nali giusti.»
«Bene.»
«Ora me ne vado a letto. E tu? Hai trovato Robert Verloren?»
«Non ancora. Ma ho un indirizzo per te. Ho seguito Mackey dopo che ha
smontato. Ha una casetta accanto alla freeway sulle Woodland Hills. Po-
trebbe esserci una linea telefonica da aggiungere all'elenco di quelle da
mettere sotto controllo.»
«Bene. Dammi l'indirizzo. Dovrebbe essere facile verificarlo. Ma non
sono sicura di essere contenta che tu ti metta a seguire i sospetti da solo.
Non è una buona idea, Harry.»
«Dovevamo trovare l'indirizzo.»
Non le avrebbe raccontato dell'errore commesso. Le diede le coordinate
e attese che le trascrivesse.
«Ho dell'altro» disse. «Ho fatto qualche telefonata.»
«Ti sei dato da fare, per essere il tuo primo giorno di lavoro. Cos'hai tro-
vato?»
Riferì delle telefonate effettuate e ricevute dopo che lei aveva lasciato
l'ufficio. Rider non fece domande e, quando lui ebbe finito, rimase in si-
lenzio.
«Ti ho procurato un appuntamento» disse Bosch. «Cosa ne pensi, Kiz?»
«Penso che si stia componendo un quadro, Harry.»
«Già, pensavo la stessa cosa anch'io. Per giunta, l'anno 1988. Mi sa che
avevi ragione tu. Forse questi stronzi cercavano di dimostrare una tesi
nell'88. Il problema è che è finito tutto al PDU. Chissà dove sono ora i do-
cumenti. Con tutta probabilità, Irving ha gettato ogni cosa nell'inceneritore
della ESB.»
«Non tutto. Quando è arrivato il nuovo capo, ha preteso una risistema-
zione generale. Ha voluto sapere dov'erano seppelliti i cadaveri. Comun-
que, io non ero coinvolta nella faccenda, ma so che un sacco di documenti
della PDU sono stati conservati dopo che l'unità è stata smantellata. Irving
ne ha inseriti parecchi negli Archivi Speciali.»
«Archivi Speciali? Cosa diavolo sono?»
«Significa semplicemente "accesso limitato". C'è bisogno dell'approva-
zione del comando. Si trova tutto nelle cantine del Parker Center. Più che
altro, si tratta di indagini interne. Roba politica. Roba pericolosa. Questo
affare di Chatsworth non mi sembra possa appartenere alla categoria, a
meno che non fosse collegato a qualcos'altro.»
«Tipo?»
«Tipo a qualcuno nel dipartimento o nel municipio.»
Il municipio, cioè qualche pezzo grosso della politica cittadina.
«Puoi entrarci e vedere se esistono ancora documenti sul nostro caso?
Che mi dici del tuo amico al sesto? Magari potrebbe...»
«Ci posso provare.»
«Allora provaci.»
«Sarà fatto. E tu che mi dici? Pensavo che saresti uscito a cercare Robert
Verloren stasera, e ora scopro che stavi seguendo il nostro sospetto.»
«Sono andato laggiù. Non l'ho trovato.»
Procedette ad aggiornarla sul suo giretto nel Toy District, tralasciando
l'incontro con i rapinatori. Quell'incidente e il fiasco del telefono dietro ca-
sa di Mackey non erano cose che teneva a condividere con lei.
«Ci tornerò domattina» disse per concludere.
«Okay, Harry. Mi sembra un buon piano. Potrei aver messo insieme tut-
te le richieste di autorizzazione prima del tuo rientro. E controllerò i file
della PDU.»
Bosch esitò, ma poi decise di non nascondere alla compagna nessuna
delle sue preoccupazioni. Guardò la strada buia oltre il parabrezza. Sentiva
il sibilo delle auto che passavano sulla freeway.
«Kiz, stai attenta.»
«Cosa vuoi dire, Harry?»
«Sai cosa significa quando un caso è high jingo?»
«Sì, vuol dire che ci sono le impronte delle dita dello staff di comando
nella torta.»
«Giusto.»
«E allora?»
«Allora stai attenta. Questa storia ha il marchio di Irving dappertutto.
Non è così palese, ma c'è.»
«Pensi che il vostro incontro al caffè non sia stata una coincidenza?»
«Io non credo alle coincidenze. Non a quelle così.»
Ci fu un momento di silenzio prima che Rider rispondesse.
«Va bene, Harry, mi guarderò alle spalle. Ma non ci tireremo indietro,
giusto? Andremo dove ci porta questa storia, e non molleremo la presa. O
tutti contano qualcosa o nessuno conta nulla, ricordi?»
«Giusto. Me ne ricordo. Ci vediamo domani.»
«Buonanotte, Harry.»
Riagganciò e Bosch rimase seduto nell'auto a lungo prima di girare la
chiavetta dell'accensione.

19

Bosch avviò il motore, eseguì lentamente un'inversione a "U" sulla Ma-


riano e passò accanto al vialetto che conduceva alla casa di Mackey. Pare-
va tutto tranquillo laggiù. Non vide luci dietro la finestre.
Prese la freeway in direzione est, attraverso la Valley, e poi scese verso
Cahuenga Pass. Lungo la strada chiamò la centrale e fece passare al com-
puter la targa del Ford pick-up accanto al quale aveva parcheggiato Ma-
ckey. Risultò registrato a nome di William Burkhart, un trentasettenne con
alle spalle un elenco di precedenti che risalivano alla fine degli anni Ottan-
ta, ma pulito negli ultimi quindici anni. L'agente fornì a Bosch i codici de-
gli arresti in California, perché era con quelli che venivano registrati sul
computer i reati.
Bosch riconobbe subito l'aggressione aggravata e il riciclaggio di refur-
tiva. Ma c'era un reato del 1988 con un codice che non conosceva.
«C'è qualcuno lì con un libro dei codici che possa dirmi di cosa si trat-
ta?» domandò, nella speranza che le cose fossero abbastanza tranquille da
permettere all'agente di controllare di persona.
Sapeva che all'archivio centrale avevano sempre delle copie dei codici,
perché spesso gli agenti chiamavano per farsi dare la giusta citazione
quando erano sul campo.
«Attenda in linea.»
Aspettò. Nel frattempo uscì sulla Barham e prese la Woodrow Wilson,
risalendo le colline verso casa sua.
«Detective?»
«Sono ancora qui.»
«Si tratta di un crimine d'odio.»
«Okay. Grazie per averlo cercato.»
«Nessun problema.»
Bosch si fermò sotto la tettoia e arrestò il motore. Il coinquilino di Ma-
ckey, o il suo padrone di casa, era stato accusato di un crimine d'odio nel
1988, lo stesso anno dell'omicidio di Rebecca Verloren. Era molto proba-
bile che William Burkhart fosse lo stesso Billy Burkhart che Sam Weiss
aveva identificato, il suo vicino, uno dei teppisti che lo minacciavano.
Bosch non capiva ancora come tutto questo si incastrasse, ma sapeva che
faceva parte dello stesso quadro. Ora si rammaricava di non aver portato a
casa i documenti del Dipartimento di Correzione su Mackey. Era troppo
stanco per tornare in centro. Decise di lasciar perdere per quella notte; li
avrebbe letti da capo a fondo una volta tornato in ufficio il giorno seguen-
te. Si sarebbe anche procurato il dossier sull'arresto di William Burkhart
per il crimine d'odio.
La casa era silenziosa quando vi entrò. Prese il telefono e una birra e u-
scì sulla veranda per dare un'occhiata alla città. Lungo il tragitto, accese il
lettore CD. C'era già un disco nello stereo, e presto Bosch udì la voce di
Boz Scaggs negli altoparlanti esterni. Cantava For all we know.
La canzone gareggiava con i suoni attutiti della freeway in fondo alla
valle. Bosch guardò fuori e vide che non c'erano fari che tagliavano l'oscu-
rità dagli studi della Universal. Era troppo tardi. Eppure, la vista era affa-
scinante, come solo di notte poteva esserlo. La città luccicava là fuori co-
me un milione di sogni, non tutti piacevoli.
Bosch pensò di richiamare Kiz Rider e di raccontarle di William Bur-
khart, ma decise di aspettare il mattino dopo. Guardò la città in lontananza
e si sentì soddisfatto delle mosse e dei risultati della giornata, anche se av-
vertiva un malumore di fondo. Gli high jingo fanno questo effetto.
L'uomo con il coltello non aveva sbagliato di molto quando lo aveva
chiamato missionario. Aveva quasi ragione. Bosch sapeva di avere una
missione nella vita e ora, dopo tre anni, era di nuovo in ballo. Ma non po-
teva convincersi che fosse tutto positivo. Sentiva che c'era qualcosa là fuo-
ri, oltre il luccichio, oltre i sogni, qualcosa che non poteva scorgere. Che lo
aspettava.
Accese il telefono e ascoltò il suono ininterrotto. Significava che non
c'erano messaggi. Chiamò comunque il numero della segreteria e riascoltò
un messaggio che aveva salvato la settimana precedente. Era la voce sottile
della figlia, glielo aveva lasciato la sera in cui lei e sua madre erano partite
per un viaggio lontano, lontano da lui.
«Ciao, papino» diceva. «Buonanotte, papino.»
Era tutto quello che aveva detto, ma era abbastanza. Bosch salvò il mes-
saggio per la prossima volta in cui ne avrebbe avuto bisogno, poi buttò giù
il ricevitore.

PARTE SECONDA
IL GIOCO DEL POTERE

20

Alle sette e cinquanta del mattino, il giorno seguente, Bosch era tornato
sulla Nickel. Stava guardando la fila per il cibo al Metro Shelter e teneva
d'occhio la schiena di Robert Verloren nella cucina dietro i tavoli fumanti.
Bosch era stato fortunato. Era quasi come se alla mattina presto ci fosse un
cambio di turno fra i senzatetto. Le persone che si aggiravano per le strade
con l'oscurità ora dormivano per dimenticare i fallimenti notturni. Erano
state rimpiazzate dal primo turno di senzatetto, quelli abbastanza furbi da
nascondersi di notte. L'intenzione di Bosch era quella di ricominciare dai
grandi centri e di partire da lì. Ma non appena era arrivato nella zona dei
senzatetto, dopo aver parcheggiato di nuovo a Japantown, aveva comincia-
to a mostrare le foto di Verloren ai più lucidi tra gli abitanti della strada e
quasi subito aveva ricevuto risposte positive. La gente del giorno ricono-
sceva Verloren. Alcuni dicevano di aver visto il tizio della foto in giro, ma
che ora era molto più vecchio. Alla fine Bosch si imbatté in un uomo che
disse in tono pratico: «Sì, questo è Chef», e indirizzò Bosch verso il Metro
Shelter.
Il Metro era uno dei ricoveri-satellite più piccoli, che si ammassavano
attorno a quelli dell'Esercito della Salvezza e della Los Angeles Mission, e
aveva lo scopo di gestire l'afflusso straordinario di senzatetto, in special
modo nei mesi invernali, quando il clima più mite di Los Angeles spingeva
i poveracci a migrare a miriadi dalle zone fredde del nord del paese. Questi
centri più piccoli non avevano i mezzi per fornire tre pasti al giorno e si
specializzavano in un unico servizio. Il Metro Shelter offriva la colazione
tutte le mattine a partire dalle sette. Quando Bosch arrivò, la fila di uomini
e donne malfermi e arruffati si estendeva fino a fuori dalla porta, e alle
lunghe file di tavoli da pic-nic all'interno non c'era più un buco libero. Per
strada si diceva che il Metro servisse la miglior colazione della Nickel.
Bosch si era fatto strada fino all'ingresso mostrando il distintivo, e aveva
subito individuato Verloren in cucina, dietro i tavoloni di servizio. Non
sembrava che svolgesse un qualche lavoro in particolare, pareva piuttosto
che sovrintendesse alla preparazione. Aveva tutta l'aria del responsabile.
Era ben vestito, con una casacca da cucina bianca a doppio petto e dei pan-
taloni scuri, un grembiule immacolato che scendeva fin sotto le ginocchia
e un alto cappello da cuoco.
La colazione era composta da uova strapazzate con pepe verde e rosso,
frittelline di patate, farina di avena e salsiccia. Aveva un buon aspetto e un
buon profumo. Bosch era uscito di casa senza mangiare perché aveva fretta
di entrare in azione. Alla destra della fila c'era la zona caffè, con due ampi
distributori self service. Addossate alle pareti, rastrelliere con tazze di por-
cellana spessa, ingiallite con il tempo. Bosch prese una tazza e la riempì
con il caffè nero, lo sorseggiò mentre aspettava. Quando Verloren si avvi-
cinò al tavolo, servendosi del grembiule per reggere il peso di una seconda
padella di uova roventi, Bosch fece la sua mossa.
«Ehi, Chef» lo chiamò, sopra il tintinnare dei cucchiai e le voci.
Verloren alzò lo sguardo, e Bosch notò che aveva subito stabilito che lui
non era un "cliente". Come la sera precedente, Bosch era vestito in manie-
ra informale, ma pensò che Verloren doveva aver persino intuito che era
un poliziotto. Si allontanò dal tavolo e si avvicinò. Ma non del tutto. Pare-
va esserci una riga invisibile sul pavimento, la linea di demarcazione tra la
cucina e lo spazio per la mensa. Verloren non la varcò. Rimase in piedi,
servendosi del grembiule per reggere la padella quasi vuota che aveva rim-
piazzato l'altra.
«Posso aiutarla?» domandò.
«Sì, ha un minuto? Mi piacerebbe parlare con lei.»
«No, non ho un minuto. Sono nel mezzo della colazione.»
«Si tratta di sua figlia.»
Bosch lesse una leggera esitazione negli occhi di Verloren. Si abbassa-
rono per un secondo, quindi si sollevarono di nuovo.
«È della polizia?»
Bosch annuì.
«Possiamo aspettare quest'ondata? Stiamo mettendo fuori gli ultimi vas-
soi.»
«Nessun problema.»
«Vuole mangiare? Sembra affamato.»
«Uh...»
Bosch si guardò attorno, osservò i tavoli affollati della sala. Non sapeva
dove avrebbe potuto sedersi. Era a conoscenza del fatto che in quelle men-
se si rispettava lo stesso protocollo implicito delle prigioni. Se si aggiun-
geva l'elevato tasso di malattie mentali nella popolazione dei senzatetto,
sarebbe stato facile passare il segno solo scegliendo il posto sbagliato dove
sedersi.
«Venga con me» disse Verloren. «Abbiamo un tavolo sul retro.»
Bosch si voltò verso l'uomo, ma il cuoco era già diretto alle cucine.
Bosch lo seguì, attraversarono la zona dei fornelli e raggiunsero una stanza
sul retro dove c'era un tavolo di metallo con un posacenere pieno.
«Si accomodi.»
Verloren prese il posacenere e lo tenne dietro la schiena. Non sembrava
che volesse nasconderlo, pareva piuttosto un cameriere o un maitre deside-
roso di far accomodare il cliente a un tavolo perfetto. Bosch lo ringraziò e
si sedette.
«Torno subito.»
Dopo meno di un minuto, Verloren tornò con un piatto con il menu
completo della casa. Quando l'uomo appoggiò le posate, Bosch notò che
gli tremavano le mani.
«Grazie, ma mi stavo chiedendo se ce ne sarà abbastanza. Intendo, per le
persone che arrivano.»
«Oggi non manderemo via nessuno. Nessuno di quelli che arrivano in
orario. Com'è il suo caffè?»
«Buono, grazie. Sa, non è che non volessi sedermi là fuori con loro. È
solo che non sapevo dove mettermi.»
«Capisco. Non c'è bisogno che me lo spieghi. Mi lasci portare fuori que-
sti vassoi, poi potremo parlare. C'è stato un arresto?»
Bosch lo guardò. Negli occhi di Verloren c'era uno sguardo speranzoso,
quasi implorante.
«Non ancora» disse Bosch. «Ma siamo vicini a qualcosa.»
«Torno il prima possibile. Mangi. Io le chiamo uova strapazzate alla
Malibu.»
Bosch abbassò lo sguardo sul piatto. Verloren tornò in cucina.
Le uova erano buone. Come tutta la colazione. Mancava il pane tostato,
ma sarebbe stato chiedere troppo. La sala dove si trovava era in mezzo tra
la cucina e uno stanzone enorme occupato da due uomini che caricavano
una lavastoviglie industriale. Era rumorosa, e il frastuono rimbalzava sulle
pareti e riecheggiava sulle piastrelle grigie. C'erano due porte che condu-
cevano al vicolo sul retro. Una era aperta, e l'aria fredda che lasciava entra-
re compensava il vapore della lavastoviglie e il caldo che proveniva dalla
cucina.
Dopo che Bosch ebbe svuotato il piatto e finito il caffè, si alzò e uscì nel
vicolo per fare una telefonata lontano da tutto quel rumore. Vide subito
che era un vero e proprio accampamento. Lungo i muri delle missioni e
delle fabbriche di giocattoli c'era una schiera ininterrotta di capanne co-
struite con il cartone o con la tela. C'era silenzio. Dovevano essere i ripari
abborracciati del popolo della notte. Non è che non ci fosse posto per loro
nei dormitori delle missioni; il fatto era che quei letti venivano concessi se
si rispettavano determinate regole, e la gente nel vicolo non era disposta a
sottomettersi ad alcuna norma.
Chiamò Kiz Rider al cellulare e lei rispose subito. Era già nella stanza
503 e aveva finito di consegnare le richieste per mettere sotto controllo il
telefono. Bosch parlò sottovoce.
«Ho trovato il padre.»
«Ottimo lavoro, Harry. Sei ancora quello di una volta. Cosa ti ha detto?
Ha riconosciuto Mackey?»
«Non gli ho ancora parlato.»
Le spiegò la situazione e le chiese se ci fossero novità da parte sua.
«La richiesta di intercettazione è sulla scrivania del capitano. Abel la
spingerà di persona se non riceveremo risposta entro le dieci, poi comince-
rà a risalire tutta la catena.»
«A che ora hai cominciato?»
«Presto. Volevo fare il prima possibile.»
«Sei riuscita a leggere il diario della ragazza ieri sera?»
«Sì, me lo sono portata a letto. Non è di grande aiuto. Sono le solite cose
da liceale. Amori irrequieti, cotte di una settimana, cose del genere. Com-
pare MTL, ma non ci sono indizi sulla sua identità. Potrebbe persino essere
una figura di fantasia, a giudicare da come descrive quanto è speciale. Pen-
so che Garcia abbia fatto bene a restituirlo alla madre. Non ci aiuterà in al-
cun modo.»
«Quando parla di MTL dice lui?»
«Uhm, Harry, domanda intelligente. Non ci ho fatto caso. Ce l'ho qui,
ora controllo. Sai qualcosa che io non so?»
«No, cerco solo di non trascurare nulla. E Danny Kotchof? C'è?»
«All'inizio compare il suo nome. Poi non ne parla più e viene sostituito
dal misterioso MTL.»
«Mr. X...»
«Senti, tra poco ho un appuntamento al sesto piano. Vedo se riesco ad
avere accesso a quei vecchi file di cui abbiamo parlato ieri.»
Bosch notò che non aveva menzionato esplicitamente la PDU. Si chiese
se lì attorno ci fosse qualcuno, Pratt o altri, e lei fosse prudente per timore
di essere ascoltata.
«C'è qualcuno lì, Kiz?»
«Esatto.»
«Prendi tutte le precauzioni, va bene?»
«Certo.»
«Bene. Buona fortuna. A proposito, hai trovato un telefono all'indirizzo
sulla Mariano?»
«Sì» disse. «C'è un telefono, ed è a nome di William Burkhart. Deve es-
sere il suo coinquilino. Questo tizio ha soltanto qualche anno più di Ma-
ckey, e ha dei precedenti per crimini d'odio. Niente di recente, ma le impu-
tazioni risalgono al 1988.»
«E indovina un po',» disse Bosch «era anche vicino di casa di Sam
Weiss. Devo essermi dimenticato di dirtelo ieri sera, quando ci siamo par-
lati.»
«Stanno saltando fuori troppe informazioni.»
«Già. Sai, mi chiedevo una cosa. Come mai il cellulare di Mackey non
risulta su AutoTrack?»
«In questo sono più avanti io. Ho controllato il numero, non è suo. È re-
gistrato a nome di Belinda Messier, che vive a Melba, sempre sulle Wood-
land Hills. Non ha precedenti, a parte qualche traffico. Forse è la sua ra-
gazza.»
«Forse.»
«Appena ho un po' di tempo cerco di rintracciarla. Sento che c'è qualco-
sa, Harry. I pezzi cominciano a combaciare. Tutta quella roba dell'88. Ho
provato a estrarre il file dei crimini d'odio, ma...»
«Ordine Pubblico?»
«Esattamente. Ed è per questo che vado al sesto.»
«Okay, c'è altro?»
«Per prima cosa ho sentito quelli della ESB. Non hanno ancora trovato
la scatola con le prove. Non abbiamo ancora l'arma. Comincio a chiedermi
se sia andata persa o sia stata sottratta.»
«Già» disse Bosch, che nutriva lo stesso dubbio. Se il caso si estendeva
all'interno del dipartimento, le prove potevano essere state smarrite di pro-
posito, e per sempre.
«Va bene» disse Bosch. «Prima che vada a interrogare il padre, torniamo
un momento al diario. C'è qualcosa riguardo alla gravidanza?»
«No, non ne parla. In tutte le pagine c'è la data, ha smesso di scrivere al-
la fine di aprile. Forse proprio quando ha scoperto di essere incinta. Penso
che abbia smesso per timore che i genitori lo leggessero di nascosto.»
«Nomina qualche locale in particolare? Sai, posti dove passava le sera-
te.»
«Scrive di un sacco di film» disse Rider. «Non dice con chi ci andava,
solo che film vedeva e come le sembravano. A cosa pensi? Al luogo in cui
potrebbe essersi trasformata in un bersaglio?»
Dovevano sapere dove potevano essersi incrociate le strade di Mackey e
Rebecca Verloren. Era un buco nelle indagini, a prescindere dalle motiva-
zioni. Dove Mackey aveva incontrato Rebecca e aveva puntato gli occhi su
di lei?
«In un cinema» disse Bosch. «È lì che potrebbero essersi incrociati.»
«Esatto. E dato che tutti i cinema della Valley, se non sbaglio, sono in
un centro commerciale, la zona del possibile incontro risulta ancora più
ampia.»
«È un dato su cui riflettere.»
Bosch disse che sarebbe tornato in ufficio dopo aver parlato con Robert
Verloren. Riattaccarono. Bosch tornò nella sala dove aveva mangiato e il
rumore dalla stanza delle lavastoviglie gli parve ancora più forte. Il servi-
zio era quasi terminato e le lavapiatti erano cariche. Bosch si sedette al ta-
volo e notò che qualcuno aveva portato via il piatto vuoto. Cercò di riflet-
tere sulla conversazione con Rider. Sapeva che un centro commerciale of-
friva ampie possibilità di incontro, era un luogo in cui sarebbe stato facile
che un individuo come Mackey incrociasse la propria strada con quella di
una ragazza come Rebecca Verloren. Si domandò se il delitto potesse esse-
re stato provocato da un incontro casuale. Era possibile che Mackey avesse
visto una ragazza il cui volto, gli occhi, i capelli denunciavano chiaramente
il suo sangue misto e si fosse acceso al punto da seguirla a casa, per poi
tornare da solo o con dei complici per rapirla e ucciderla?
Sembrava un'ipotesi remota, ma molte teorie cominciavano con ipotesi
remote. Rifletté sulle prime indagini e sulla possibilità che fossero state
corrotte dall'interno del dipartimento. Non c'era niente sul fascicolo del de-
litto che facesse riferimento a un crimine di matrice razziale. Ma nel 1988
il dipartimento avrebbe tradito se stesso tralasciando quella linea di inda-
gine. Nel 1988 il dipartimento e il municipio avevano una zona d'ombra.
Un'epidemia di odio razziale si stava insinuando sotto la superficie, ma il
dipartimento e la municipalità chiudevano un occhio. Qualche anno dopo,
la pellicola che occultava il fermento si lacerò e la città venne devastata da
tre giorni di sommosse, le peggiori del paese nell'ultimo quarto di secolo.
Bosch doveva prendere in considerazione la possibilità che le indagini
sull'omicidio di Rebecca Verloren fossero state insabbiate per trattenere il
malessere sotto la superficie.
«È pronto?»
Bosch alzò lo sguardo e vide Robert Verloren in piedi accanto a lui. A-
veva il viso sudato per lo sforzo. Ora teneva il cappello da cuoco in mano,
e un leggero tremore continuava a scuotere il braccio.
«Sì certo. Si vuole sedere?»
Verloren prese posto di fronte a Bosch.
«È sempre così?» domandò. «Così affollato?»
«Tutte le mattine. Oggi abbiamo servito centosessantadue piatti. Molte
persone contano su di noi. No, aspetti, centosessantatré. Mi ero dimentica-
to di lei. Com'era?»
«Maledettamente buona. Grazie, avevo bisogno di carburante.»
«È la mia specialità.»
«Un po' diverso rispetto a cucinare per Johnny Carson e il jet-set di Ma-
libu, eh?»
«Sì, ma non ne sento la mancanza. Per niente. È stata soltanto una fer-
mata lungo la strada per trovare il luogo a cui appartengo. Ma ora sono
qui, grazie al Signore Gesù, ed è qui che voglio stare.»
Bosch annuì.
Intenzionalmente o meno, Verloren stava comunicando a Bosch che
questa nuova vita era stata raggiunta grazie all'intervento della fede. Bosch
aveva sempre pensato che quelli che ne parlavano di più in realtà fossero i
meno convinti.
«Come ha fatto a trovarmi?» domandò Verloren.
«La mia collega e io abbiamo parlato con sua moglie ieri, e ci ha detto
che l'ultima volta che aveva avuto sue notizie, lei era qui. Ho iniziato a
cercare ieri sera.»
«Non mi aggirerei per queste strade di notte, se fossi in lei.»
C'era un leggero accento caraibico nella sua voce. Ma era ormai imper-
cettibile, perduto nei recessi del tempo.
«Pensavo di trovarla in fila per prendere da mangiare, non tra quelli che
servono i pasti.»
«Be', non molto tempo fa ero in fila. Ho dovuto stare di là per poter arri-
vare dove sono adesso.»
Bosch annuì di nuovo. Aveva già sentito prima quel mantra "un giorno
alla volta".»
«Da quanti anni ha smesso di bere?»
Verloren sorrise.
«Questa volta? Poco più di tre anni.»
«Senta, io non voglio costringerla a rivivere il trauma di diciassette anni
fa, ma abbiamo riaperto il caso.»
«Per me va bene, detective. Io riapro il caso tutte le sere quando chiudo
gli occhi e tutte le mattine quando rivolgo le mie preghiere a Gesù.»
Bosch annuì di nuovo.
«Vuole che ne parliamo qui o preferisce fare due passi fino alla centrale
di Parker Center dove possiamo metterci in una stanza tranquilla?»
«Qui va bene. Sono a mio agio qui.»
«Okay. Allora mi lasci ricapitolare quello che sta accadendo. Io lavoro
per l'Unità Casi Irrisolti. Al momento stiamo esaminando il caso di sua fi-
glia perché abbiamo delle informazioni nuove.»
«Che informazioni?»
Bosch decise di tentare un approccio diverso con lui. Mentre con la ma-
dre aveva scelto di tenere nascosti alcuni aspetti, al padre decise di dire tut-
to.
«Abbiamo una corrispondenza tra il sangue trovato sull'arma del delitto
e un individuo che quasi sicuramente viveva a Chatsworth al momento
dell'omicidio. È stato effettuato il test del DNA. Sa di cosa si tratta?»
Verloren annuì.
«So cos'è. Come per O J.»
«È una prova consistente. Non significa che questo individuo abbia uc-
ciso Rebecca, ma significa che è vicino al crimine, e questo avvicina anche
noi.»
«Chi è?»
«Ci arrivo tra un minuto. Ma prima, signor Verloren, vorrei rivolgerle
alcune domande su di lei e sul caso.»
«Perché su di me?»
Bosch avvertì la tensione che cresceva. La pelle attorno agli occhi di
Verloren si fece più tirata. Il detective si rese conto che avrebbe dovuto es-
sere più cauto con quell'uomo, aveva frainteso la sua posizione in cucina
come un segno di buona salute e aveva dimenticato gli ammonimenti di
Kiz Rider sulla popolazione dei senzatetto.
«Be',» disse «vorrei avere qualche informazione su quello che le è acca-
duto da quando Rebecca è stata portata via.»
«Cosa c'entra?»
«Magari niente, ma lo voglio sapere.»
«Quello che mi è accaduto è che sono inciampato e sono precipitato in
un buco nero. Ci ho impiegato molto tempo per vedere la luce e riuscire a
tirarmi fuori. Lei ha figli?»
«Una bambina.»
«Allora capirà cosa intendo. Se perdesse sua figlia come io ho perso la
mia, non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro. Diventi come una botti-
glia vuota gettata fuori dal finestrino. L'auto continua a correre, ma tu sei
al margine della strada, in frantumi.»
Bosch annuì. Lo sapeva. Si sentiva vulnerabile, sapeva che quello che
sarebbe potuto accadere in una città distante avrebbe potuto significare per
lui la vita o la morte, avrebbe potuto precipitarlo nello stesso buco nero in
cui era finito Verloren.
«Dopo la morte di sua figlia, perse il ristorante?»
«Esatto. Fu la cosa migliore che potesse capitarmi. Avevo bisogno che
succedesse per poter scoprire chi ero veramente. E per trovare la mia stra-
da qui.»
Bosch sapeva che simili barriere emotive erano fragili. Seguendo la lo-
gica di Verloren, si sarebbe potuto affermare che la morte di sua figlia era
la miglior cosa che potesse essergli capitata, perché gli aveva causato la
perdita del ristorante e, di conseguenza, tutte le favolose scoperte personali
che aveva poi realizzato. Erano stronzate, e lo sapevano entrambi; solo che
uno dei due non poteva ammetterlo.
«Signor Verloren, parli con me» disse Bosch. «Lasci stare le frasi che ha
imparato ai corsi di auto-aiuto. Mi racconti come è inciampato. Mi dica
come è caduto nel buco nero.»
«L'ho appena fatto.»
«Non tutti quelli che perdono un figlio precipitano così a fondo. Lei non
è l'unica persona a cui sia successa una cosa del genere, signor Verloren.
Alcuni finiscono in televisione, altri corrono per il Congresso. A lei cos'è
capitato? In cosa è diverso dagli altri? E non mi dica che è perché lei ama-
va di più sua figlia. Tutti noi amiamo i nostri figli.»
Verloren rimase in silenzio per un momento. Premette le labbra una con-
tro l'altra mentre si ricomponeva. Bosch era sicuro di averlo fatto arrabbia-
re, ma andava bene così. Aveva bisogno di smuovere la situazione.
«Va bene» disse alla fine Verloren. «Va bene.»
Ma non aggiunse altro. Bosch vedeva come i muscoli della mascella ne
tradivano la tensione. Il dolore degli ultimi diciassette anni si era insediato
sul suo viso. Bosch poteva leggerlo come un menu. Primo, secondo, des-
sert. Frustrazione, rabbia, lutto inconsolabile.
«Cosa va bene, signor Verloren?»
Verloren annuì. Rimosse l'ultima barriera.
«Potrei biasimare la sua gente, ma devo biasimare me stesso. Ho abban-
donato mia figlia alla morte, detective. E allora l'unico luogo in cui trovai
rifugio per quel tradimento fu la bottiglia. La bottiglia aprì il buco nero.
Capisce?»
Bosch annuì. «Ci sto provando. Mi dica cosa intende quando dice biasi-
mare la sua gente. Si riferisce ai poliziotti? Si riferisce ai bianchi?»
«Mi riferisco a tutto quanto.»
Verloren si girò sulla sedia e appoggiò la schiena alla parete accanto al
tavolo, gli occhi rivolti verso la porta che dava sul vicolo. Non guardava
Bosch. Bosch voleva incrociare il suo sguardo, ma preferì non interferire
finché Verloren continuava a parlare.
«Allora cominciamo dai poliziotti» disse. «Perché biasima i poliziotti?
Cosa hanno fatto i poliziotti?»
«Lei si aspetta che io le parli di quello che ha fatto la sua gente?»
Bosch rifletté con cautela prima di rispondere. Avvertiva che quello era
il punto chiave dell'interrogatorio e sentiva che l'uomo aveva qualcosa di
importante da comunicare.
«Partiamo dal fatto che lei amava sua figlia, giusto?» disse Bosch.
«Certo.»
«Be', signor Verloren, quello che è accaduto non sarebbe dovuto accade-
re. Io non ci posso fare niente, ma posso cercare di parlare per conto di
Becky. Per questo sono qui. Io non farò quello che hanno fatto i poliziotti
diciassette anni fa. Molti di loro sono morti, ormai. Se lei ama ancora sua
figlia, se venera la sua memoria, allora mi deve raccontare tutto. Mi aiuterà
a parlare per suo conto. È l'unica occasione per rimediare a quello che fece
allora.»
Verloren iniziò ad annuire a metà dell'appello di Bosch. Bosch sapeva di
averlo in pugno, si sarebbe aperto. Era una questione di redenzione. Non
importava quanti anni fossero trascorsi. La redenzione era sempre il fulcro
di ogni rinascita.
Una singola lacrima scivolò lungo la guancia sinistra di Verloren, quasi
impercettibile sulla pelle scura. Un uomo con un grembiule bianco inzac-
cherato entrò nella sala con una cartelletta tra le mani, ma Bosch lo scacciò
con un rapido gesto. Il detective attese e infine Verloren parlò.
«Ho scelto me stesso invece che lei, e alla fine mi sono perso comun-
que» disse.
«Cos'è successo?»
Verloren si coprì la bocca con la mano, come se cercasse di impedire al
segreto di uscire. Alla fine la abbassò e iniziò il racconto.
«Un giorno lessi su un giornale che mia figlia era stata uccisa con una
pistola che proveniva da un furto in un appartamento. Green e Garcia non
me l'avevano detto. Perciò chiesi conto di questo al detective Green, e lui
mi disse che l'uomo a cui avevano rubato la pistola l'aveva comprata per-
ché era spaventato. Era ebreo e aveva subito delle minacce. Pensai...»
Si fermò, e Bosch dovette imbeccarlo.
«Pensò che forse Rebecca fosse stata presa di mira perché era di sangue
misto? Perché suo padre era nero?»
Verloren annuì.
«Lo pensai, sì. Perché di tanto in tanto c'erano stati dei commenti. Non
tutti vedevano la bellezza in lei. Non come la vedevamo noi. Io avrei volu-
to vivere nel Westside, ma Muriel, era di lassù. Là si sentiva a casa.»
«Cosa le disse Green?»
«Mi disse che no, non poteva essere. Avevano indagato e non c'era alcu-
na possibilità. Non era... non mi sembrava giusto. Stavano ignorando que-
sto aspetto. Continuavo a chiamare e a domandare. Diventavo insistente.
Alla fine andai da un cliente del ristorante che era membro della commis-
sione della polizia. Gli raccontai tutta la faccenda e lui mi disse che avreb-
be effettuato un controllo per me.»
Verloren annuì, più a se stesso che a Bosch. Cercava di convincersi della
giustezza delle proprie azioni di padre in cerca di giustizia per la figlia.
«E poi cosa accadde?» insistette Bosch.
«Poi ricevetti la visita di due poliziotti.»
«Non Green e Garcia?»
«No, non loro. Degli altri. Vennero al ristorante.»
«Come si chiamavano?»
Verloren scosse il capo.
«Non mi diedero mai i loro nomi. Si limitarono a mostrarmi i distintivi.
Penso che fossero detective. Mi dissero che mi sbagliavo riguardo a quello
per cui tormentavo Green. Mi dissero di smetterla, perché stavo solo con-
fondendo le acque. Dissero proprio così, "confondendo le acque". Come se
la cosa riguardasse me, non mia figlia.»
Scosse il capo con forza, la rabbia era ancora acuta dopo tutti quegli an-
ni. Bosch gli pose una domanda scontata, scontata perché sapeva molto
bene come lavorava il Dipartimento di Polizia di Los Angeles a quei tem-
pi.
«La minacciarono?»
Verloren sbuffò.
«Sì, mi minacciarono» disse con calma. «Mi dissero che sapevano che
mia figlia aveva interrotto una gravidanza, ma che non riuscivano a trovare
la clinica dove era andata ad abortire. Perciò non c'era modo di identificare
il padre. Non c'era modo di dimostrare chi fosse o non fosse. Dissero che
non avrebbero dovuto fare altro che porre qualche domanda ai clienti su lei
e me, e le voci avrebbero cominciato a diffondersi. Dissero che sarebbero
bastate poche domande al posto giusto e al momento giusto, e la gente a-
vrebbe creduto che il padre fossi io.»
Bosch non lo interruppe. Sentiva la rabbia che gli serrava la gola.
«Dissero che sarebbe stato difficile per me continuare a lavorare se tutti
avessero pensato che... che avevo fatto una cosa del genere a mia figlia...»
Ora altre lacrime solcarono il viso scuro. Non tentò di frenarle.
«E così feci quello che volevano. Mi tirai indietro e lasciai perdere. La
smisi di confondere le acque. Mi dissi che non importava; che comunque
Becky non sarebbe tornata in vita. Perciò non chiamai mai più il detective
Green... e il caso non fu mai risolto. Dopo qualche tempo, cominciai a bere
per dimenticare quello che avevo perso e quello che avevo fatto, avevo
messo me stesso, il mio orgoglio, la mia reputazione e il mio lavoro davan-
ti a mia figlia. E molto presto, prima di rendermene conto, giunsi a quel
buco nero di cui le parlavo prima. Ci caddi dentro, e sto ancora cercando di
uscirne.»
Dopo un momento si voltò e guardò Bosch.
«Cosa gliene pare del mio racconto, detective?»
«Mi dispiace, signor Verloren. Mi dispiace che sia successo. Tutto que-
sto.»
«Era la storia che voleva sentire, detective?»
«Io volevo solo conoscere la verità. Che lei ci creda o meno, mi aiuterà.
Mi aiuterà a parlare per Rebecca. Saprebbe descrivere i due uomini che
vennero da lei?»
Verloren scosse il capo.
«È passato molto tempo. Con tutta probabilità li riconoscerei se me li
trovassi davanti. Ricordo solo che erano tutti e due bianchi. Uno dei due
sembrava Mastro Lindo, perché era pelato e stava con le braccia incrociate
come il tizio del detersivo.»
Bosch annuì e sentì la rabbia tendergli i muscoli delle spalle. Sapeva chi
era Mastro Lindo.
«Quanto sa sua moglie di questa vicenda?» domandò con voce calma.
Verloren scosse il capo.
«Muriel non ne sapeva nulla. Glielo tenni segreto. Ero io a dover portare
il peso.»
Verloren si asciugò le guance, pareva aver trovato sollievo dopo essere
riuscito finalmente a raccontare quella storia.
Bosch prese dalla tasca dei pantaloni la foto di Roland Mackey. La posò
sul tavolo di fronte a Verloren.
«Riconosce questo ragazzo?»
Verloren lo fissò a lungo prima di scuotere il capo.
«Dovrei? Chi è?»
«Si chiama Roland Mackey. Aveva un paio di anni più di sua figlia nel
1988. Non andava a scuola alla Hillside, ma viveva a Chatsworth.»
Bosch attese, ma non ne cavò nulla. Verloren fissava la foto sul tavolo.
«È una foto segnaletica. Cos'ha fatto?»
«Ha rubato un'automobile. Ma è stato condannato anche per dei legami
con gli estremisti di Potere bianco. Ha fatto la spola dentro e fuori dalla
galera. Il nome significa qualcosa per lei?»
«No. Dovrebbe?»
«Non lo so. Chiedo solo. Ricorda se sua figlia menzionò mai questo no-
me, o magari qualcuno che si chiamava Ro?»
Verloren scosse il capo.
«Stiamo cercando di capire se si siano mai incrociati in qualche modo.
La Valley è molto grande. Potrebbero aver...»
«In che scuola è andato?»
«Alla Chatsworth High, ma non la finì. Prese il diploma intermedio.»
«Rebecca andò alla Chatsworth High per i corsi per la patente nell'estate
prima di essere portata via.»
«Vuole dire nel 1987?»
Verloren annuì.
«Controllerò.»
Ma Bosch non pensava che fosse una buona pista. Mackey aveva lascia-
to la scuola prima dell'estate del 1987, e solo nel 1988 c'era tornato per il
diploma intermedio. Comunque, valeva la pena dare un'occhiata.
«E i cinema? Le piaceva andare al cinema o nei centri commerciali?»
Verloren alzò le spalle.
«Aveva sedici anni. Certo che le piaceva andare al cinema. Quasi tutte le
sue amiche avevano la macchina. Appena compiuti i sedici e presa la pa-
tente, erano sempre in giro. Mia moglie le chiamava le tre "M": Movies,
Malls e Madonna, film, centri commerciali e Madonna.»
«Quali centri commerciali? Quali cinema?»
«Andavano al Northridge Mall perché era vicino. Ma gli piaceva anche
andare al drive-in di Winnetka. Così potevano rimanere in macchina e
chiacchierare anche durante il film. Una delle ragazze aveva una decappot-
tabile, gli piaceva andare con quella.»
Bosch si focalizzò sul drive-in. Se n'era dimenticato quando prima aveva
parlato dei cinema con Rider. Ma una volta Mackey era stato arrestato
mentre svaligiava lo stesso drive-in di Winnetka. Era un possibile punto di
intersezione.
«Rebecca e le sue amiche andavano spesso al drive-in?»
«Penso che le piacesse andarci al venerdì sera, quando uscivano i film
nuovi.»
«Incontravano dei ragazzi?»
«Immagino di sì. Vede, col senno di poi è tutto diverso. Non c'era niente
di sbagliato o di innaturale nel fatto che nostra figlia andasse al cinema con
le amiche e lì incontrasse dei ragazzi. Fu solo in seguito, dopo che si era
verificato il peggior scenario possibile, che la gente cominciò a chiedere:
"Perché non sapevate con chi era vostra figlia?". Noi pensavamo che an-
dasse tutto bene. La mandavamo alla scuola migliore che avevamo trovato.
Le sue amiche erano di buona famiglia. Non potevamo sorvegliarla tutti i
minuti. Il venerdì sera - al diavolo, tutte le sere - io lavoravo fino a tardi al
ristorante.»
«Capisco. Non la giudico come genitore, signor Verloren. Non ci vedo
niente di sbagliato nel vostro comportamento, okay? Sto solo gettando una
rete. Raccolgo più informazioni possibili, non si sa mai quale di queste si
rivelerà importante.»
«Già, ma quella rete si è impigliata e strappata sulle rocce molti anni fa.»
«Forse no.»
«Lei pensa che sia stato Mackey?»
«È coinvolto in qualche modo, è l'unica cosa di cui siamo sicuri. Presto
sapremo di più. Glielo prometto.»
Verloren si voltò e guardò Bosch dritto negli occhi per la prima volta.
«Quando arriverà a quel punto parlerà per conto di mia figlia, vero, de-
tective?»
Bosch annuì lentamente. Pensava di sapere quello che gli stava chieden-
do Verloren.
«Sì, signore, lo farò.»

21

Kiz Rider era seduta alla scrivania con le braccia conserte, come se a-
vesse aspettato Bosch per tutta la mattina. Aveva un'espressione tetra, e
Bosch capì che era successo qualcosa.
«Hai trovato i file della PDU?» domandò.
«Ho potuto guardarli. Non sono stata autorizzata a prenderli.»
«Roba buona?» domandò.
«Dipende da che punto di vista.»
«Be', ho qualcosa anch'io.»
Si guardò attorno. La porta dell'ufficio di Abel Pratt era aperta e Bosch
vide che il detective era dentro, chinato sul piccolo frigorifero che teneva
accanto alla scrivania, abbastanza vicino da sentire. Non che Bosch non si
fidasse di lui, anzi, ma non voleva metterlo nella posizione di ascoltare
qualcosa per cui non era pronto. Come aveva fatto Rider quando poco
prima avevano parlato al telefono.
Tornò a guardare la collega.
«Ti va di fare due passi?»
«Sì.»
Si diressero fuori. Quando passò davanti alla porta dell'ufficiale in co-
mando, Bosch sbirciò dentro. Ora Pratt era al telefono. Bosch attirò la sua
attenzione e gli mimò il gesto di bere una tazza di caffè, come per invitar-
lo. Pratt scosse il capo per rifiutare l'offerta e sollevò un vasetto di yogurt,
come a dire che aveva già ciò che gli serviva. Bosch vide dei pezzettini
verdi nella poltiglia. Cercò di pensare a un frutto verde e gli venne in men-
te soltanto il kiwi. Si allontanò rimuginando sul fatto che l'unica maniera
per rendere lo yogurt ancora più cattivo era aggiungerci il kiwi.
Presero l'ascensore, scesero nell'atrio e camminarono verso la fontana
commemorativa.
«Dove vuoi andare?» domandò Kiz.
«Dipende da quanto c'è da parlare.»
«Molto, direi.»
«L'ultima volta che ho lavorato al Parker Center ero un fumatore. Quan-
do avevo bisogno di camminare e pensare andavo alla Union Station e
compravo le sigarette dal tabaccaio che c'è lì. Mi piaceva quel posto. Ci
sono delle sedie molto comode nel salone principale. O perlomeno, un
tempo c'erano.»
«Per me va bene.»
Si avviarono in quella direzione, presero la Los Angeles Street verso
nord. Il primo edificio che oltrepassarono era quello che ospitava gli uffici
federali, e Bosch notò che le barriere in cemento armato erette nel 2001
per difendere il palazzo da eventuali attacchi con auto bomba erano ancora
al loro posto. La minaccia non sembrava preoccupare la gente in fila da-
vanti all'edificio. Aspettavano di entrare nell'ufficio immigrazione, strin-
gendo in mano i documenti per presentare domanda di cittadinanza. Atten-
devano sotto i mosaici della facciata, che rappresentavano uomini e donne
vestiti come angeli, lo sguardo rivolto al cielo, in attesa del paradiso.
«Perché non cominci, Harry?» lo esortò Rider. «Dimmi di Robert Verlo-
ren.»
Bosch camminò ancora un po' prima di parlare.
«Mi è piaciuto il tipo» disse. «Si sta trascinando fuori dal baratro. Prepa-
ra cento e più colazioni ogni mattina, laggiù. Ne ho avuto un piatto, ed era
proprio roba buona.»
«E scommetto che i prezzi sono molto più economici che al Pacific Din-
ing Car. Cosa ha tirato fuori per farti arrabbiare così?»
«Di cosa parli?»
«Tu capisci me, io capisco te. So che ti ha detto qualcosa che ti ha messo
in moto.»
Bosch annuì. Non sembrava davvero che fossero passati tre anni dall'ul-
tima volta che avevano lavorato insieme.
«Irving. O quantomeno io penso che abbia tirato fuori Irving.»
«Dimmi.»
Bosch le riferì quanto Verloren le aveva raccontato meno di un'ora pri-
ma. Concluse con la descrizione, per quanto limitata, dei due uomini con il
distintivo che erano andati a minacciarlo al suo ristorante per convincerlo a
non insistere sulla questione razziale.
«Pare anche a me che possa essere Irving» disse Rider.
«E uno dei suoi tirapiedi. Magari McClellan.»
«Forse. Perciò pensi che Verloren avesse ragione? Ha vissuto parecchio
per la strada.»
«Penso di sì. Sostiene di non bere da tre anni. Ma sai com'è, quando ti
arrovelli su qualcosa per diciassette anni, capita che le impressioni diven-
tino fatti. Eppure tutto quello che mi ha detto sembra combaciare con l'in-
telaiatura di questa storia. Penso che abbiano manipolato il caso, Kiz. Sta-
va andando in una direzione e loro lo hanno spinto dall'altra parte. Magari
sapevano cosa sarebbe successo, che la città si sarebbe infiammata. Rod-
ney King non era la benzina, era solo la scintilla. La marea stava montan-
do, e forse chi aveva il potere ha scelto per il bene pubblico di nascondere
la verità. Hanno sacrificato la giustizia e Rebecca Verloren.»
Stavano passando sopra la freeway 101, sulla sopraelevata di Los Ange-
les Street. Otto corsie trafficate fumavano sotto di loro. Il sole era limpido,
si rifletteva sui parabrezza, sugli edifici, sul cemento. Bosch infilò i Ray-
Ban.
Il traffico era rumoroso e Rider dovette alzare la voce.
«Non è da te, Harry.»
«Cosa?»
«Cercare una giustificazione per le cose sbagliate che hanno fatto. Tu
cerchi sempre gli aspetti sinistri.»
«Mi stai dicendo che hai trovato gli aspetti sinistri in quei file della
PDU?»
Annuì accigliata.
«E così ti hanno lasciato guardare tranquillamente i documenti?»
«Per prima cosa, questa mattina sono andata a incontrare il mio uomo.
Gli ho portato una tazza di caffè di Starbucks, odia quella merda della caf-
fetteria. In questo modo sono riuscita a entrare. Poi gli ho detto cosa ave-
vamo e cosa intendevamo fare, e alla fine si è fidato di me. Perciò mi ha
lasciato dare un'occhiata in giro nell'Archivio Speciale.»
«L'Unità Ordine Pubblico è nata ed è scomparsa prima che lui arrivasse.
Ne sapeva qualcosa?»
«Sono sicura che, dopo aver ottenuto il lavoro, ne è stato informato. For-
se addirittura prima di accettare il lavoro.»
«Gli hai parlato in modo specifico di Mackey e degli Otto di Cha-
tsworth?»
«No, non sono entrata in dettagli. Gli ho detto solo che il caso in cui ci
siamo imbattuti era connesso con una vecchia indagine della PDU e che
avevo bisogno di entrare all'Archivio Speciale per cercare un documento.
Ha mandato il tenente Hohman con me. Siamo entrati, abbiamo trovato il
file e io l'ho scorso, mentre Hohman era seduto davanti a me dall'altra par-
te del tavolo. Sai una cosa, Bosch? Ci sono un sacco di documenti nell'Ar-
chivio Speciale.»
«Dove sono seppelliti tutti i cadaveri...»
Bosch avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non sapeva che parole
usare. Rider lo guardò e capì.
«Cosa, Harry?»
In principio non disse nulla, ma lei attese.
«Kiz, hai detto che l'uomo del sesto piano si fida di te. Tu ti fidi di lui?»
Lo fissò negli occhi quando rispose.
«Come mi fido di te, Harry. Okay?»
Bosch la guardò.
«A me basta.»
Kiz Rider fece per voltare verso l'Arcadia, ma Bosch indicò il vecchio
pueblo, il luogo dove la Città degli Angeli era stata fondata. Voleva pren-
dere la via più lunga.
«Non vengo da queste parti da parecchio tempo. Diamo un'occhiata.»
Attraversarono i cortili circolari dove i padres benedicevano gli animali
in occasione della Pasqua, quindi passarono accanto all'Istituto Culturale
Messicano. Seguirono le bancarelle di churro e di souvenir da quattro sol-
di. Da altoparlanti invisibili proveniva una musica di mariachi registrata,
ma in contrappunto si udiva il suono di una chitarra dal vivo.
Trovarono il musicista seduto su una panchina di fronte all'Avila Adobe.
Si fermarono e ascoltarono il vecchio che suonava una ballata messicana
che Bosch pensava di aver già sentito, ma che non riusciva a identificare.
Bosch studiò l'edificio con le mura di fango dietro il musicista e si chie-
se se don Francisco Avila avesse un'idea di quello che stava per mettere in
moto quando aveva avanzato la propria pretesa su quel luogo nel 1818. Da
quel punto sarebbe cresciuta una città alta e immensa. Una città grande
come molte altre, e altrettanto malvagia. Una città che era una meta, una
città di invenzioni e rinascite. Un luogo in cui i sogni sembravano facili da
raggiungere come le insegne che li reclamizzavano sulle colline, ma dove
la realtà era sempre qualcosa di diverso.
La strada che conduceva a quelle insegne era sbarrata da un cancello
chiuso.
Era una città piena di possidenti e nullatenenti, stelle del cinema e figu-
ranti, piloti e pilotati, prede e predatori, crapuloni e affamati, con poco
spazio a separarli. Una città che, nonostante tutto questo, spingeva ancora
la gente a mettersi in fila ogni giorno dietro i suoi cancelli per entrare e per
rimanere.
Bosch estrasse un rotolo di banconote dalla tasca e lasciò cadere un bi-
glietto da cinque nel cesto del musicista.
Attraversò poi, insieme a Rider, la vecchia Cucamonga Winery, le cui
cantine erano state convertite in gallerie d'arte, e uscirono sulla Alameda.
Attraversarono la strada e raggiunsero la stazione ferroviaria, la torre
dell'orologio si ergeva di fronte a loro. Sul marciapiede antistante la sta-
zione oltrepassarono una meridiana con un'iscrizione sul piedistallo di gra-
nito.

LA VISTA PER VEDERE


LA FEDE PER CREDERE
IL CORAGGIO PER AGIRE

La Union Station era stata progettata per rispecchiare la città che serviva
e il suo funzionamento. Era un melting pot di diversi stili architettonici: il
coloniale ispanico, il missionario, il modernista, l'art déco, il sudoccidenta-
le e il moresco spiccavano tra gli altri. Ma a differenza del resto della città,
dove il calderone spesso feriva lo sguardo, gli stili della stazione ferrovia-
ria si mescolavano con dolcezza in un qualcosa di unico, bello.
Bosch la amava per questo.
Attraverso le porte di vetro giunsero nell'atrio cavernoso, dove un pas-
saggio ad arco alto tre piani conduceva nell'immensa sala d'attesa sul retro.
Non appena Bosch vi entrò, si ricordò che non aveva l'abitudine di passeg-
giare in quel luogo solo per le sigarette, ma anche per rigenerarsi un po'.
Andare alla Union Station era come recarsi in visita in chiesa, in una catte-
drale dove si incontravano le armoniose ricerche architettoniche, la fun-
zionalità e l'orgoglio civico. Le voci dei viaggiatori si innalzavano negli al-
ti spazi vuoti della sala d'aspetto centrale e si tramutavano in un languido
coro di sussurri.
«Amo questo posto» disse Rider. «Hai mai visto Blade Runner?»
Bosch annuì. L'aveva visto.
«Questa era la stazione di polizia, giusto?» domandò.
«Già.»
«E tu hai mai visto L'assoluzione?» chiese.
«No, era bello?»
«Sì, dovresti vederlo. Un altro punto di vista sulla Dalia Nera e la cospi-
razione del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.»
Gemette.
«Grazie, ma non penso che sia quello di cui ho bisogno in questo mo-
mento.»
Presero due tazze di caffè all'Union Bagel, poi entrarono nella sala d'at-
tesa, dove c'erano file di sedili di pelle marrone allineate come lussuose
panchine.
Bosch alzò lo sguardo, come era sempre spinto a fare. Anche Rider
guardò in su.
Si sedettero sui morbidi sedili imbottiti e posarono le tazze sugli ampi
braccioli di legno.
«Sei pronto a parlarne adesso?» domandò Rider.
«Se sei pronta tu» rispose. «Cosa c'era nel file che hai visto nell'Archivio
Speciale? Cosa c'era di tanto sinistro?»
«Intanto per cominciare, c'era Mackey.»
«Come sospetto del caso Verloren?»
«No, il file non aveva niente a che vedere con i Verloren. Il nome Verlo-
ren non è neppure comparso sullo schermo per tutto il tempo in cui ho
scorso i documenti. Riguardava un'indagine che era stata avviata e insab-
biata ancora prima che Rebecca Verloren rimanesse incinta, e tanto meno
strappata dal suo letto nel cuore della notte.»
«Va bene, allora cosa ha a che fare con noi?»
«Forse niente, o forse tutto. Conosci il tizio con cui vive Mackey, Wil-
liam Burkhart?»
«Sì.»
«C'è anche lui. Solo che all'epoca era meglio conosciuto come Billy
Blitzkrieg. Era il suo pseudonimo nella gang, gli Otto.»
«Okay.»
«Nel marzo del 1988 Billy Blitzkrieg finì dentro per un anno per aver
compiuto atti vandalici in una sinagoga nella zona nord di Hollywood.
Danneggiamenti, graffiti, feci e tutto il resto.»
«Il crimine d'odio. Fu l'unico a essere beccato?»
Rider annuì.
«Lo incastrarono grazie a una bomboletta spray trovata in un canale di
scolo a circa un isolato dalla sinagoga. Così si costituì. Decise di confessa-
re per evitare una condanna esemplare.»
Bosch annuì. Non voleva dire nulla che potesse interrompere il flusso
del discorso.
«Nei rapporti e sulla stampa Burkhart - o Blitzkrieg, o come diavolo ti
pare - venne dipinto come il leader degli Otto. Dichiarò che annunciavano
il 1988 come l'anno della sollevazione razziale ed etnica per onorare il loro
amato Adolf Hitler. Conosci quella merda. RaHoWa, revenge of the white,
la vendetta dei bianchi, spazzatura simile. Giravano con le maglie dei
Minnesota Vikings: a quanto pare i vichinghi erano una razza pura. Indos-
savano tutti quanti il numero ottantotto.»
«Comincio a scorgere il quadro.»
«Comunque, avevano parecchio su Burkhart. Avevano la storia della si-
nagoga, e i federali erano ansiosi di fargli sulla testina appuntita una bella
danza dei diritti civili. Moltissimi crimini erano cominciati proprio con l'i-
nizio dell'anno, quando avevano brindato all'88 incendiando una croce nel
giardino di una famiglia nera a Chatsworth. Dopo di quella altre croci era-
no state bruciate, e poi c'erano state telefonate minatorie e bombe intimida-
torie. L'irruzione nella sinagoga. Distrussero persino un asilo nido ebraico
a Encino. Tutto questo all'inizio di gennaio. Cominciarono anche ad aggi-
rarsi per i centri di raccolta dei lavoranti, caricavano in macchina i messi-
cani e li portavano nel deserto, dove li aggredivano e li abbandonavano.
Per usare la loro terminologia, stavano fomentando il disaccordo, cosa che,
secondo loro, avrebbe portato alla separazione delle razze.»
«Già, conosco l'adagio.»
«Okay, be', come ho detto, erano pronti a fare di Burkhart il capro espia-
torio per tutta la faccenda. Se lo avessero portato davanti a una corte, sa-
rebbe finito per minimo dieci anni in una prigione federale.»
«Perciò non c'erano alternative. Accettò lo scambio.»
Rider annuì.
«Si prese un anno a Wayside e cinque anni di libertà vigilata, per il resto
la fece franca. E gli Otto la fecero franca con lui. Si sciolsero, e così cessa-
rono le minacce. Tutta questa storia si concluse per la fine di marzo, molto
prima dell'omicidio Verloren.»
Mentre rifletteva sul racconto, Bosch osservò una donna che trascinava
una ragazzina per la mano verso i binari delle linee metropolitane. La don-
na trasportava anche una pesante valigia ed era concentrata sul cancello
davanti a sé. La bambina si faceva tirare con il viso rivolto verso l'alto e gli
occhi sul soffitto. Sorrideva a qualcosa. Bosch alzò lo sguardo e vide un
palloncino contro uno dei quadrati del soffitto a volta. Il dramma di un
bambino provocava il sorriso segreto di un'altra. Il palloncino era arancio-
ne e bianco, a forma di pesce, e Bosch sapeva, grazie a sua figlia, che si
trattava di un personaggio dei cartoni animati di nome Nemo. Gli compar-
ve davanti agli occhi l'immagine della figlia, ma la ricacciò subito via per
potersi concentrare. Guardò Kiz Rider.
«Dov'era Mackey in tutta questa faccenda?» domandò.
«Era il più piccolo della nidiata» rispose Rider. «Uno dei servi. Era la
recluta perfetta. Aveva lasciato la scuola e non aveva né una vita né alcuna
prospettiva. Era in libertà vigilata per un furto con scasso, e la fedina pena-
le era zeppa di furti d'auto, rapine, traffico di droga. Era proprio il tipo che
cercavano. Un perdente che potevano trasformare in un guerriero bianco.
Ma una volta che lo tirarono dentro scoprirono che era - per citare Bur-
khart - più scemo di un negro con l'anello al naso. A quanto pare era così
stupido che dovettero escluderlo dalle scorribande con le bombolette spray
perché non era neppure capace di compitare il loro vocabolario elementare
razzista. All'interno del gruppo cominciarono a chiamarlo Wej, Jew, ebreo,
al contrario. Perché una volta sul muro di una sinagoga l'aveva scritto co-
sì.»
«Dislessico.»
«Direi.»
Bosch scosse il capo.
«Con gli indizi che abbiamo, io questo tizio non ce lo vedo proprio
nell'omicidio Verloren.»
«Sono d'accordo. Penso che abbia avuto un ruolo, ma non quello di pro-
tagonista. Non ha niente in mezzo alle orecchie.»
Bosch decise di lasciar perdere Mackey e di tornare all'inizio del reso-
conto.
«Se avevano scoperto tutte queste cose sulla gang, com'è che solo Bur-
khart finì dentro?»
«Ci sto arrivando.»
«È a questo punto che entrano in scena i pezzi grossi, l'high jingo?»
«Indovinato. Vedi, Burkhart era un leader degli Otto, ma non il leader.»
«Ah.»
«Il leader era stato identificato con un tizio di nome Richard Ross. Era
più vecchio degli altri. Un vero credente. Aveva ventun anni ed era un vero
manipolatore. Era lui che aveva reclutato Burkhart e la maggior parte degli
altri, e faceva andare avanti la banda.»
«Questo Richard Ross, era Richard Ross Junior?»
«Esatto. Il figlio diletto del buon capitano Ross.»
Il capitano Richard Ross era stato per molto tempo a capo della Divisio-
ne Affari Interni nel periodo iniziale della carriera di Bosch al dipartimen-
to. Ora era in pensione.
Per Bosch la vicenda tornava alla perfezione.
«Perciò tennero Junior fuori da questa storia e risparmiarono a Senior e
al dipartimento l'imbarazzo» disse. «Gettarono tutto sulle spalle di Bur-
khart, il secondo in comando di Ross. Il nostro venne messo dentro a Way-
side e il gruppo fu smembrato. La faccenda venne ridotta a una scappatella
giovanile.»
«Indovinato.»
«E fammi indovinare ancora: tutte le soffiate arrivarono da Richard Ross
Junior.»
«Sei bravo. Faceva parte dell'accordo. Richard Junior avrebbe tradito i
compagni, la PDU non aveva bisogno di altro per spaccare il gruppo senza
clamore. Junior così sarebbe stato tenuto completamente fuori.»
«Tutto in un solo giorno di lavoro per Irving.»
«E sai qual è la cosa divertente? Penso che Irving sia un nome ebreo.»
Bosch scosse il capo. «Che lo sia o meno, non è molto divertente» disse.
«Sì, lo so.»
«Non se Irving ci ha visto uno spiraglio.»
«A leggere tra le righe del rapporto, direi che li ha visti tutti, gli spira-
gli.»
«Questo accordo gli diede il controllo degli Affari Interni. Voglio dire
un reale controllo su chi veniva indagato e su come venivano condotte le
indagini. Aveva Ross in pugno. Questo spiega molto bene quello che suc-
cedeva allora.»
«Era prima che arrivassi io.»
«Perciò si presero cura degli Otto, e Irving ottenne una bella ricompensa,
poté mettere il guinzaglio a Richard Ross Senior e alla sua squadra» pensò
Bosch a voce alta. «Ma poi Rebecca Verloren finì uccisa da una pistola
appartenuta a un tizio che gli Otto minacciavano, una pistola che con tutta
probabilità era stata rubata da uno dei piccoli bastardi che avevano lasciato
a piede libero. Tutto il loro accordo sarebbe crollato se l'omicidio fosse ri-
caduto sugli Otto e quindi su di loro.»
«Giusto. Perciò si fecero avanti e si intromisero nelle indagini. Le ma-
novrarono, e nessuno andò mai a fondo.»
«Figli di puttana» sussurrò Bosch.
«Povero Harry. Devi avere addosso ancora un bel po' di ruggine dal tuo
congedo. Hai pensato che avessero manipolato il caso per salvare la città
da una rivolta. Non c'era niente di così eroico.»
«No, stavano solo cercando di salvarsi il culo e la posizione che l'accor-
do con Ross aveva dato a Irving.»
«Queste sono tutte supposizioni» lo frenò Rider.
«Già, stiamo leggendo tra queste cazzo di righe.»
Bosch sentì il desiderio di una sigaretta, più intenso di quanto lo avesse
mai provato nell'ultimo anno. Guardò le edicole e vide tutti i pacchetti in
ordine negli scaffali dietro il bancone. Distolse lo sguardo. Levò gli occhi
verso il palloncino intrappolato contro il soffitto. Pensò di sapere come
doveva sentirsi Nemo appiccicato lassù.
«Quando è andato in pensione Ross?» chiese.
«Nel '91. Tirò avanti fino ai venticinque anni di servizio poi andò in
pensione. Ho controllato, si è trasferito nell'Idaho. Ho passato al computer
anche il nome di Junior, si era spostato lassù prima del padre. Con tutta
probabilità in una di quelle enclave recintate per bianchi dove doveva sen-
tirsi a casa.»
«E con altrettanta probabilità era lassù a ridere come un maiale quando
questo posto è saltato per aria dopo la storia di Rodney King nel '92.»
«Probabile, ma non per molto. È rimasto ucciso in un incidente nel '93,
guidava ubriaco di ritorno da un comizio antigovernativo fuori città. Quel-
lo che si semina si raccoglie, immagino.»
Bosch sentì come un colpo sordo allo stomaco. Cominciava a piacergli
Richard Ross Junior come autore dell'omicidio Verloren. Avrebbe potuto
servirsi di Mackey per procurarsi l'arma e magari per farsi aiutare a tra-
sportare la vittima su per la collina. Ma ora era morto. Le loro indagini po-
tevano condurli a un vicolo cieco come quello? Sarebbero dovuti tornare
dai genitori di Rebecca Verloren e dir loro che la figlia, scomparsa da di-
ciassette anni, era stata uccisa da un ragazzo anche lui morto da tempo?
Che razza di giustizia era quella?
«So cosa pensi» disse Rider. «Avrebbe potuto essere il nostro uomo. Ma
non credo. Secondo il computer, ha ottenuto la patente di guida dell'Idaho
nel maggio del 1988. È presumibile che fosse già lì quando Rebecca Ver-
loren venne uccisa.»
«Già.»
Bosch non era convinto da un semplice controllo al computer. Ripassò
tutte le informazioni al setaccio, per vedere se saltava fuori qualcos'altro.
«Okay, mandiamo indietro il nastro per un momento, vediamo se ho tut-
to chiaro. Nel 1988 abbiamo un gruppo di ragazzoni della Valley che si
fanno chiamare gli Otto, vanno in giro con le casacche da football e cerca-
no di far scoppiare una guerra santa razziale. Il dipartimento butta un oc-
chio e scopre abbastanza presto che il cervello del gruppo è il figlio del ca-
pitano Ross degli Affari Interni. Il comandante Irving intuisce da che parte
tira il vento e pensa: "Uhm, credo di potermene servire a mio vantaggio".
Perciò lascia perdere Richard Junior e decide di sacrificare William-Billy-
Blitz Burkhart al Dio della giustizia. Gli Otto vengono smantellati, un pun-
to per i bravi ragazzi. E Richard Junior se la svigna, un punto per Irving,
perché ora ha Richard Senior in pugno. E vissero tutti felici e contenti. Ho
sbagliato qualcosa?»
«A dire il vero è Billy Blitzkrieg.»
«Blitzkrieg, allora. Perciò tutta questa vicenda era cotta e mangiata per
l'inizio della primavera?»
«Per la fine di marzo. E all'inizio di maggio Richard Ross Junior si era
già trasferito nell'Idaho.»
«Okay, perciò, allora, a giugno qualcuno fa irruzione a casa di Sam
Weiss e gli ruba la pistola. Poi a luglio - il giorno dopo l'anniversario della
nascita della nostra nazione - una ragazza di sangue misto viene prelevata
dalla propria casa e uccisa. Non violentata, ma uccisa: un particolare im-
portante da non dimenticare. L'omicidio viene orchestrato in modo da ap-
parire un suicidio. Ma è malfatto, evidentemente da qualcuno inesperto.
Garcia e Green prendono il caso, alla fine capiscono di cosa si tratta e con-
ducono un'indagine che non li porta da nessuna parte perché, in modo con-
sapevole o inconsapevole, vengono spinti nella direzione sbagliata. Ora,
diciassette anni dopo, l'arma del delitto è legata in maniera incontrovertibi-
le a qualcuno che appena qualche mese prima dell'omicidio se la faceva
con gli Otto. Dove ho sbagliato?»
«Penso che sia tutto giusto.»
«Perciò la domanda è: è possibile che gli Otto non si fossero sciolti? Che
avessero continuato ad agire, solo che ora camuffavano la loro firma? E
che avessero alzato la posta fino all'omicidio?»
Rider scosse lentamente il capo.
«Tutto è possibile. Ma non ha molto senso. Gli Otto erano un proclama,
un proclama pubblico. Bruciavano croci e profanavano le sinagoghe. Ma
non è più un proclama se compi un omicidio e cerchi di farlo passare per
un suicidio.»
Bosch annuì. Rider aveva ragione. Il ragionamento non filava liscio.
«Diciamo allora che sapevano di avere la polizia alle calcagna» disse.
«Magari alcuni di loro continuarono a operare, ma come una sorta di mo-
vimento sotterraneo.»
«Come ho detto, tutto è possibile.»
«Okay, allora abbiamo Ross Junior nell'Idaho e Burkhart a Wayside. I
due leader. Chi rimaneva a parte Mackey?»
«Ci sono altri cinque nomi nel file, ma non mi dicono niente.»
«Per ora questa è la nostra lista di sospetti. Dobbiamo passarli al compu-
ter e vedere da dove arrivano. Aspetta un minuto. Burkhart era ancora a
Wayside? Hai detto che si era beccato un anno, giusto? Questo significa
che potrebbe essere uscito cinque o sei mesi dopo, a meno che non avesse
combinato qualche casino. Quando è entrato con precisione?»
Kiz Rider scosse il capo.
«No, doveva essere alla fine di marzo o all'inizio di aprile quando è arri-
vato a Wayside. Non può aver...»
«Non importa quando è entrato a Wayside. Conta quando l'hanno becca-
to. Quando è stata la faccenda della sinagoga?»
«Era gennaio. All'inizio di gennaio. C'è la data esatta sul file.»
«Va bene, inizio di gennaio. Hai detto che alcune impronte su una bom-
boletta potevano portare a Burkhart. Quanto ci sarebbe voluto nel 1988,
quando queste cose si facevano ancora a mano? Una settimana per un caso
caldo come quello? Se hanno beccato Burkhart alla fine di gennaio e non
ha chiesto di uscire su cauzione...»
Allargò le braccia e lasciò che la Rider finisse la frase.
«Febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno» disse in tono eccitato. «Cin-
que mesi. Potrebbe benissimo essere uscito per l'inizio di luglio!»
Bosch annuì. Il sistema penitenziario della contea ospitava detenuti in
attesa di giudizio o che scontavano la pena per un anno o meno. Da decen-
ni il sistema era sovraffollato, sottoposto a interventi del tribunale che fis-
savano il tetto massimo della popolazione consentita. Questo aveva reso
normali le scarcerazioni anticipate di detenuti in base a dei coefficienti le-
gati al tempo e alla popolazione carceraria, coefficienti che a volte arriva-
vano fino a tre giorni di sconto per ogni giorno di pena sostenuta.
«Mi sembra la strada giusta, Harry.»
«Forse troppo giusta. Dobbiamo verificarla.»
«Appena torniamo mi metto al computer e cerco di scoprire quando ha
lasciato Wayside. Cambia qualcosa per le intercettazioni?»
Bosch rifletté un momento sull'ipotesi di rallentare le cose.
«Penso che dobbiamo andare avanti con le intercettazioni. Se le date a
Wayside coincidono, allora sorveglieremo Mackey e Burkhart. Dobbiamo
comunque innervosire Mackey, perché è il più debole. Lo facciamo quan-
do è al lavoro, lontano da Burkhart. Se abbiamo ragione, lo chiamerà.»
Si alzò.
«Ma dobbiamo comunque controllare gli altri nomi, gli altri membri de-
gli Otto» aggiunse.
Kiz Rider levò lo sguardo su di lui.
«Pensi che funzionerà?»
Bosch alzò le spalle.
«Deve.»
Si guardò attorno nell'enorme stazione. Controllò i visi e gli occhi, cer-
cando qualcuno che distogliesse subito lo sguardo. Quasi si aspettava di
scorgere Irving in mezzo alla folla di passeggeri. Mastro Lindo in azione.
Era quella l'immagine che aveva Bosch quando Irving compariva sulla sce-
na di un crimine.
Kiz Rider si alzò. Gettarono le tazze vuote in un cestino dei rifiuti e si
avviarono verso l'ingresso anteriore della stazione. Quando vi giunsero,
Bosch si guardò alle spalle, ancora in cerca di un segugio. Sapeva che ora
avrebbero dovuto considerare l'ipotesi di essere pedinati. Il luogo che solo
venti minuti prima gli era sembrato accogliente e invitante, ora gli pareva
sospetto e ostile. Le voci non erano più dei graziosi sussurri. Avevano as-
sunto una nota tagliente. Suonavano rabbiose.
Quando uscirono notarono che il sole si era spostato dietro le nuvole.
Non avrebbe più avuto bisogno degli occhiali scuri.
«Mi dispiace, Harry» disse Rider.
«Cosa?»
«Avevo pensato che il tuo ritorno sarebbe stato diverso. Ora siamo qui,
il tuo primo caso, e cosa abbiamo? Un caso che puzza di marcio lontano
un miglio.»
Bosch annuì mentre attraversavano il marciapiede. Vide la meridiana e
le parole scolpite sul granito. Gli occhi si fermarono sull'ultima riga.

CORAGGIO PER AGIRE

«Io non sono preoccupato» disse. «Ma loro dovrebbero esserlo.»

22

«Partiamo» rispose il comandante Garcia quando Bosch gli domandò se


fosse pronto.
Bosch annuì e andò alla porta per far accomodare le due donne del Daily
News.
«Salve, io sono McKenzie Ward» disse quella che stava davanti. Era lei
la reporter. L'altra portava la borsa della macchina fotografica e il cavallet-
to.
«Sono Emmy Ward» disse la fotografa.
«Sorelle?» domandò Garcia, sebbene la risposta fosse palese, visto come
le due donne, sulla ventina, si assomigliavano: entrambe bionde e attraenti,
con grandi sorrisi.
«Io sono la maggiore,» disse McKenzie «ma non di molto.»
Si strinsero la mano.
«Com'è che due sorelle sono finite insieme allo stesso giornale?» do-
mandò Garcia.
«Io ci lavoravo da qualche anno, poi Emmy ha fatto domanda. Non è
questa gran cosa. Abbiamo lavorato insieme parecchie volte. È un caso,
dipende da chi riceve il compito di fare le foto. Oggi lavoriamo insieme.
Domani magari no.»
«Le dispiace se prima scattiamo qualche foto?» domandò Emmy. «Ho
un altro incarico tra poco.»
«Certo» rispose Garcia, come sempre accomodante. «Dove vuole che mi
metta?»
Emmy Ward allestì uno scatto con Garcia seduto al tavolo delle riunioni
e il fascicolo del delitto aperto davanti. Bosch se l'era portato per dare so-
stanza al racconto. Mentre la sessione fotografica procedeva, Bosch e
McKenzie Ward rimasero in piedi in un angolo a chiacchierare senza im-
pegno. Poco prima avevano parlato a lungo al telefono. La donna aveva
accettato la proposta. Se avesse fatto uscire la storia sul giornale il giorno
dopo, avrebbe avuto in cambio l'esclusiva quando l'assassino fosse stato
preso. Non era stato facile. In principio Garcia aveva gestito in modo goffo
il primo approccio, poi aveva passato a Bosch la trattativa. Bosch era ab-
bastanza saggio da sapere che nessun reporter avrebbe permesso al Dipar-
timento di Polizia di dettare legge su quando pubblicare un articolo e so-
prattutto su come scriverlo. Perciò si era concentrato sul quando e non sul
come. Era partito dal presupposto che McKenzie avrebbe potuto scrivere
un articolo che sarebbe servito al loro scopo. Aveva bisogno che uscisse
sul giornale il prima possibile. Kiz Rider aveva preso appuntamento con il
giudice quel pomeriggio. Se la richiesta di mettere i telefoni sotto controllo
fosse stata accettata, la mattina dopo sarebbe iniziato il ballo.
«Ha parlato con Muriel Verloren?» domandò la reporter.
«Sì, è in casa tutto il pomeriggio, ed è pronta a rispondere alle sue do-
mande.»
«Ho fatto qualche ricerca e ho letto tutti gli articoli che uscirono allora -
avevo otto anni - si parla molto del padre e del suo ristorante. Ci sarà an-
che lui?»
«Non penso. Se ne è andato. E comunque è più una storia da madre. È
lei che ha conservato la stanza da letto della figlia così com'era per dicias-
sette anni. Ha detto che se lo desidera può fare delle foto.»
«Davvero?»
«Davvero.»
Bosch la osservò sorvegliare la preparazione del set per la prossima foto
di Garcia. Sapeva cosa stava pensando. La madre nella stanza congelata
nel tempo sarebbe stata molto più interessante di un vecchio poliziotto alla
scrivania con una cartelletta. Si rivolse a Bosch, mentre frugava nella bor-
setta.
«Devo fare una telefonata per vedere se posso tenermi Emmy.»
«Faccia pure.»
Lasciò l'ufficio, con tutta probabilità perché non voleva che Garcia la
sentisse dire al redattore che aveva bisogno di Emmy perché aveva l'occa-
sione di fotografare la madre, un soggetto migliore. Dopo tre minuti tornò
e annuì in direzione di Bosch, il quale pensò che quel gesto significasse
che Emmy sarebbe rimasta con loro.
«Allora siamo d'accordo per domani?» domandò, per fugare ancora una
volta ogni dubbio.
«L'abbiamo inserito nella finestra. Il mio redattore lo voleva tenere per
domenica, dedicare alla storia un bell'articolo lungo, ma io gli ho detto che
domani saremmo stati più competitivi. Ogni volta che possiamo battere il
Times lo facciamo.»
«Già, ma cosa dirà quando verrà a sapere che il Times non coprirà la sto-
ria? Penserà che l'abbia ingannato.»
«No, penserà che quelli del Times hanno soppresso l'articolo perché li
abbiamo battuti sul tempo. Succede di continuo.»
Bosch annuì pensieroso, poi domandò: «Cosa significa che lo avete inse-
rito nella finestra?».
«Ogni giorno apriamo con un servizio speciale e una foto in prima pagi-
na. Lo chiamiamo "finestra" perché è al centro della pagina. È una sorta di
spot.»
«Bene.»
Bosch era eccitato per il ruolo che la storia avrebbe avuto.
«Se mi fregate non me lo dimenticherò» disse McKenzie con calma.
C'era un tono di minaccia nella sua voce, il reporter senza scrupoli veni-
va a galla. Bosch alzò i palmi verso l'altro, come a mostrare che non aveva
niente da nascondere.
«Non succederà. Lei ha l'esclusiva. Appena prenderemo qualcuno, la
chiamerò. Lei e nessun altro.»
«Grazie. Ora ripassiamo un momento le regole, posso citarla per nome,
ma lei non vuole comparire in nessuna delle foto, giusto?»
«Giusto. Potrei dover fare qualche lavoro sotto copertura. Non voglio
che la mia faccia finisca sui giornali.»
«Capito. Cosa deve fare in incognito?»
«Non si sa mai. Voglio soltanto avere le mani libere. Comunque, il co-
mandante va meglio per le foto. Conosce il caso da più tempo di me.»
«Be', penso di aver avuto tutto quello che mi serviva dai ritagli e dalle
nostre precedenti telefonate, ma mi piacerebbe comunque sedermi con voi
due per qualche minuto.»
«Come desidera.»
«Fatto» disse Emmy qualche istante dopo. Cominciò a riporre l'attrezza-
tura.
«Penso che ci sia stato un cambio di programma; resti con me.»
«Oh» disse Emmy, anche se non pareva che gliene importasse molto.
«Perché non vai fuori mentre noi facciamo l'intervista?» disse McKen-
zie. «Voglio scrivere l'articolo il più presto possibile.»
La reporter e Bosch si sedettero al tavolo con Garcia mentre la fotografa
usciva per andare a controllare il nuovo incarico. McKenzie iniziò doman-
dando a Garcia cosa lo avesse colpito del caso dopo tanto tempo e cosa lo
avesse indotto a insistere perché l'Unità Casi Irrisolti se ne occupasse.
Mentre Garcia dava una risposta sconclusionata, Bosch sentì crescere il di-
sprezzo per quell'uomo. Lui sapeva una cosa di cui la reporter era all'oscu-
ro, sapeva che Garcia, consapevolmente o meno, aveva lasciato che dicias-
sette anni prima le indagini venissero insabbiate. Pareva che Garcia non
sapesse che il suo lavoro era stato manipolato, ma in qualche modo per
Bosch questo era il peccato minore. Comunque, forse non era corrotto o
incapace di resistere alle pressioni che arrivavano dall'alto, ma quantome-
no dimostrava di essere un incompetente.
Dopo qualche altra domanda a Garcia, la reporter rivolse la propria at-
tenzione a Bosch e gli domandò cosa ci fosse di nuovo nel caso rispetto a
diciassette anni prima.
«La cosa più importante è che abbiamo il DNA dell'uomo che ha spara-
to» disse lui. «Un frammento di pelle e del sangue trovati nell'arma del de-
litto erano stati conservati dalla scientifica. Speriamo che le analisi ci per-
mettano di farli combaciare con qualche sospetto il cui DNA è già conser-
vato nei nostri archivi, o di poterlo usare per eliminare o confermare alcuni
indiziati. È un'operazione che il comandante Garcia non avrebbe potuto fa-
re nel 1988. Speriamo che questo possa cambiare la situazione.»
Bosch poi spiegò come avessero fatto a estrarre dall'arma un campione
di DNA dalla mano della persona che aveva sparato. La reporter parve
molto interessata ai particolari e prese appunti dettagliati.
Bosch era compiaciuto. Voleva che sui giornali si parlasse in particolare
della pistola e del DNA. Voleva che Mackey leggesse l'articolo e capisse
che il suo DNA era sotto osservazione. Che era stato analizzato e compara-
to. Di sicuro sapeva che un campione del suo DNA si trovava già nel
database del Dipartimento di Giustizia. La speranza era che questo lo
mandasse nel panico. Magari avrebbe tentato di scappare, magari avrebbe
commesso un errore e avrebbe discusso il delitto al telefono con qualcuno.
Un solo sbaglio sarebbe stato più che sufficiente.
«Quanto tempo ci vorrà per ottenere i risultati dal Dipartimento di Giu-
stizia?» domandò McKenzie.
Bosch esitò. Cercava di non mentire in maniera spudorata.
«Ma, è difficile dirlo» rispose. «Il dipartimento applica un ordine di
priorità alle richieste di comparazione, e c'è sempre una controprova. Do-
vremmo avere qualcosa da un giorno all'altro.»
Bosch era contento della propria risposta, ma poi la reporter gettò un'al-
tra granata nella sua trincea.
«Che mi dice del problema razziale?» disse. «Ho letto tutti gli articoli e
mi sembra che non sia stato preso in considerazione il fatto che la ragazza
fosse di sangue misto. Pensa che questo possa aver giocato un ruolo nel
movente dell'omicidio?»
Bosch lanciò un'occhiata a Garcia, sperando che il comandante rispon-
desse per primo.
«Il caso venne studiato con attenzione anche da quel punto di vista» dis-
se Garcia. «Non trovammo niente che potesse convalidare l'ipotesi. Con
tutta probabilità è per questo che non ha riscontrato nulla sui giornali.»
La reporter rivolse l'attenzione a Bosch, voleva anche il punto di vista
attuale sulla questione.
«Abbiamo esaminato a fondo il fascicolo del delitto e non c'è niente che
lasci pensare a un movente di tipo razziale» disse Bosch. «Come è ovvio
stiamo rivoltando il caso dalla testa ai piedi, e stiamo analizzando tutti gli
aspetti che potrebbero aver giocato un ruolo nelle motivazioni dietro al
crimine.»
La guardò e si preparò alla reazione della reporter; temeva che potesse
non accettare la risposta e insistere. Pensò di lasciare che la tesi razziale
aleggiasse nell'articolo. Avrebbe potuto aumentare le chance che ci fosse
una reazione di Mackey. Ma l'uomo avrebbe anche capito quanto erano vi-
cini a lui. Decise di lasciare la risposta così com'era.
Invece di insistere, la reporter chiuse il quaderno degli appunti.
«Penso di avere quello che mi occorre, per adesso» disse. «Andrò a par-
lare con la signora Verloren, poi dovrò affrettarmi a scrivere l'articolo per-
ché esca domani. C'è un numero a cui posso raggiungerla, detective
Bosch? Rapidamente, se ce ne fosse bisogno.»
Bosch sapeva di essere nelle mani della donna. Le diede con riluttanza il
numero di cellulare, sapeva che questo significava che in futuro avrebbe
avuto una linea diretta con lui e se ne sarebbe servita ogni volta che ne a-
vesse avuto bisogno. Era l'ultimo pagamento per l'accordo che avevano sti-
pulato.
Si alzarono e Bosch notò che Emmy Ward era entrata in silenzio nell'uf-
ficio ed era rimasta seduta in un angolo durante l'intervista. Bosch e Garcia
ringraziarono le due donne e salutarono. Bosch rimase nell'ufficio con
Garcia.
«Penso che sia andata bene» disse il comandante, dopo che la porta si fu
richiusa.
«Spero di sì» disse Bosch. «Mi è costato un numero di cellulare. Ce l'a-
vevo da tre anni. Ora dovrò cambiarlo e avvisare tutti quanti. Sarà una bel-
la rottura di coglioni.»
Garcia ignorò la lamentela.
«Come fa a essere sicuro che Mackey leggerà l'articolo?»
«Non ne siamo sicuri. A dire il vero, crediamo che sia dislessico. Po-
trebbe non leggere per niente.»
A Garcia cadde la mascella.
«E allora cosa faremo?»
«Be', abbiamo un piano per assicurarci che venga a conoscenza dell'arti-
colo. Non si preoccupi di questo. Siamo coperti. C'è un altro nome che è
saltato fuori ieri. Un tizio legato a Mackey allora e adesso. Si chiama Wil-
liam Burkhart. Ai tempi in cui lavorava al caso si faceva chiamare Billy
Blitzkrieg. Le dice niente?»
Garcia fece del suo meglio per sembrare concentrato a ricordare, come
quando si era messo in posa davanti alla macchina fotografica. Scosse il
capo.
«Non mi viene in mente niente» disse.
«Già, di sicuro se ne sarebbe ricordato.»
Garcia rimase in piedi, ma si chinò sulla scrivania a guardare l'agenda.
«Vediamo. Cosa ho adesso?»
«Ha me, comandante» disse Bosch.
Garcia lo guardò.
«Come?»
«Ho bisogno di qualche minuto per chiarire un po' di particolari che so-
no emersi.»
«Quali? Vuol dire questo nuovo tizio, Blitzkrieg?»
«Sì, e quello di cui ha parlato la reporter e su cui abbiamo mentito. La
pista razziale.»
Bosch osservò il viso di Garcia assumere uno sguardo impietrito, severo.
«Non ho mentito alla giornalista, e non ho mentito a lei ieri. Non abbia-
mo trovato nulla. Non abbiamo riscontrato nessuna pista razziale.»
«Abbiamo?»
«Il mio partner e io.»
«Ne è sicuro?»
Il telefono sulla scrivania trillò. Garcia afferrò il ricevitore e disse: «Non
voglio telefonate, non voglio intrusioni», prima di sbatterlo sulla base.
«Detective, le voglio ricordare con chi sta parlando» disse Garcia in tono
piatto. «Cosa cazzo vuol dire "Ne è sicuro"? Cosa sta insinuando?»
«Con tutto il dovuto rispetto al suo grado, signore, la pista razziale è sta-
ta esclusa nel 1988. Le credo quando dice che lei non ne era al corrente, al-
trimenti non avrebbe chiamato Pratt all'Unità Casi Irrisolti per ricordargli
che c'era la possibilità di usare il test del DNA. Ma se lei non sapeva cosa
stava accadendo, di certo il suo partner ne era a conoscenza. Le ha mai
parlato delle pressioni che ricevette dal comando?»
«Ron Green era il miglior detective con cui abbia mai lavorato. Non le
permetterò di infangare la sua reputazione.»
Erano in piedi uno di fronte all'altro, separati dalla scrivania, gli occhi
fissi, in segno di sfida.
«Non è un problema di reputazione, è un problema di verità. Ieri mi ha
detto che si è ficcato in bocca la pistola qualche anno dopo il caso. Perché?
Ha lasciato un biglietto?»
«Il fardello, detective. Non riusciva più a sopportarlo. Era tormentato da
quelli che gli erano sfuggiti.»
«E da quelli che aveva fatto fuggire lui?»
Garcia puntò un dito contro Bosch.
«Come cazzo si permette? È sul ghiaccio sottile, Bosch. Posso fare una
telefonata al sesto piano e farla mettere su una strada prima del tramonto.
La conosco. È appena rientrato dal congedo, basterebbe una telefonata per
farla sospendere. Mi ha capito?»
«Certo, la capisco.»
Bosch si sedette su una delle sedie di fronte alla scrivania, nella speranza
di riuscire ad alleggerire la tensione nella stanza.
Garcia esitò, poi si sedette anche lui.
«Trovo quello che mi ha appena detto molto offensivo» disse, la voce
trasudava rabbia.
«Mi dispiace, comandante. Stavo cercando di scoprire quanto sapesse.»
«Non capisco.»
«Il caso venne senza dubbio insabbiato dai piani alti. Non voglio fare
nomi a questo punto delle indagini. Alcuni di loro sono ancora in servizio.
Ma penso che questa vicenda sia connessa alla questione razziale, il lega-
me con Mackey, e ora quello con Burkhart ne sono la riprova. Allora voi
non avevate né Mackey né Burkhart, ma avevate la pistola. Dovevo scopri-
re se lei facesse parte della cospirazione. Dalla sua reazione direi che non
era coinvolto.»
«Ma mi sta dicendo che il mio partner lo era, e che me lo ha tenuto na-
scosto.»
Bosch annuì.
«Impossibile» protestò Garcia. «Ron e io eravamo molto vicini.»
«Tutti i partner si sentono vicini, comandante. Ma da quello che ho capi-
to, lei si occupava del fascicolo e Green portava avanti il caso. Se avesse
incontrato resistenze all'interno del dipartimento, potrebbe aver scelto di
non coinvolgerla. Penso che sia andata così. Forse la stava proteggendo, o
forse si vergognava di essersi dimostrato vulnerabile alle pressioni.»
Garcia abbassò lo sguardo e fissò la scrivania. Bosch era sicuro che fos-
se immerso in un ricordo. Qualcosa sul suo viso crollò e lo tradì.
«Forse allora avevo capito che c'era qualcosa che non andava» disse con
calma. «Verso la metà delle indagini.»
«Come?»
«A un certo punto decidemmo di dividerci i genitori. Ron si occupò del
padre e io della madre. Sa, per stabilire una relazione. Ron aveva problemi
con il padre. All'inizio era stato passivo, poi all'improvviso cominciò a
stargli addosso, a pretendere dei risultati. Ma c'era qualcos'altro, e avevo
l'impressione che Ron me lo tenesse nascosto.»
«Glielo domandò?»
«Sì, glielo domandai. Mi disse solo che il padre era una persona difficile
da trattare. Disse che era paranoico, che pensava che la figlia fosse stata
uccisa per motivi razziali. E poi pronunciò una frase che ricordo ancora:
"Là non ci possiamo andare". Disse solo questo, ma mi colpì, perché non
mi sembrava il Ron Green che conoscevo. Il Ron Green che conoscevo sa-
rebbe andato ovunque. Non c'erano strade proibite per lui. Mai fino a quel
caso.»
Garcia fissò gli occhi in quelli di Bosch, e Bosch annuì: era il suo modo
di ringraziarlo per essersi aperto.
«Pensa che abbia a che fare con quello che è accaduto in seguito?» do-
mandò.
«Si riferisce al suicidio?»
«Sì.»
«Forse. Non lo so. Tutto è possibile. Dopo quel caso prendemmo due di-
rezioni diverse. Il problema tra partner è che quando il lavoro finisce non
c'è più molto di cui parlare.»
«Vero» disse Bosch.
«Ero a una riunione dello staff di comando al Settantasettesimo; ero sta-
to trasferito là dopo essere diventato tenente. Quel giorno scoprii che era
morto. Era arrivata una nota allo staff. Penso che fosse la riprova di quanto
ci eravamo allontanati. Avevo scoperto che si era ucciso una settimana do-
po che l'aveva fatto.»
Bosch si limitò ad annuire. Non c'era niente che potesse dire in proposi-
to.
«Adesso ho una riunione con i miei collaboratori, detective» disse Gar-
cia. «Dobbiamo salutarci.»
«Sì, signore. Ma sa, se riuscirono a fare pressione su Green in quel mo-
do, vuol dire che avevano in mano qualcosa da usare contro di lui. Ricorda
niente in proposito? C'era qualche tizio degli Affari Interni che gli stava
addosso?»
Garcia scosse il capo. Non era un diniego. Era un altro il significato di
quel gesto.
«Sa, questo dipartimento ha sempre avuto più poliziotti impegnati a in-
dagare gli altri poliziotti che a cercare gli assassini. Ho sempre pensato che
se dovessi raggiungere la vetta, cambierei le cose.»
«Mi sta dicendo che c'era un'indagine?»
«Sto dicendo che era raro che nel dipartimento non ci fosse qualcosa sul
tuo conto. C'era un file su Ron, certo. Era stato accusato di aver aggredito
un sospetto. Stronzate. Il ragazzo aveva sbattuto la testa mentre Ron lo
spingeva nell'auto, dovettero dargli qualche punto. Sai che roba. Saltò fuo-
ri che il ragazzo era ammanicato e gli Affari Interni non avrebbero lasciato
correre.»
«Perciò potrebbero essersene serviti per manipolare il caso?»
«Potrebbero, dipende da quanto è disposto a credere alla cospirazione.»
"Quando si parla del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, è facile
credere a un'ipotesi del genere" pensò Bosch, ma non lo disse.
«Okay, signore, penso di essermi fatto un quadro della situazione» an-
nunciò invece. «Ora me ne vado.»
Bosch si alzò.
«Capisco che avesse bisogno di sapere» disse Garcia. «Solo non appro-
vo i suoi metodi.»
«Mi dispiace, signore.»
«No, non le dispiace, detective Bosch. Non le dispiace affatto.»
Bosch non disse nulla. Andò alla porta e la aprì. Guardò Garcia e cercò
di pensare a qualcosa da dire. Non trovò nulla. Si voltò e se ne andò, chiu-
dendosi la porta alle spalle.

23

Kiz Rider era ancora seduta nella sala d'attesa davanti alla camera di
consiglio del giudice Anne Demchak quando arrivò Bosch. Era rimasto in-
trappolato nel traffico di metà pomeriggio, tra le auto che tornavano in
centro da Van Nuys, e temeva di essersi perso l'audizione con il magistra-
to. Rider leggeva una rivista, ma il primo pensiero di Bosch fu che, a quel
punto delle indagini, lui non sarebbe più stato capace di sfogliare oziosa-
mente un settimanale. A quel punto l'attenzione era interamente focalizzata
sul caso. In una strana maniera, lui associava le indagini al surf, che tra
l'altro non praticava dall'estate del 1964, quando era scappato dalla fami-
glia a cui era stato affidato e aveva vissuto per un po' sulla spiaggia.
Erano passati molti anni da allora, ma ricordava ancora tutto. L'obiettivo
era infilarsi nel tunnel, il punto in cui l'onda si richiudeva completamente
su di te, dove non c'era nient'altro che acqua. Ora Bosch era in quel tunnel.
Non c'era nient'altro che il caso.
«Da quanto tempo sei qui?» domandò.
Rider consultò l'orologio. «Una quarantina di minuti.»
«È lì dentro da tutto questo tempo?»
«Già.»
«Sei preoccupata?»
«No. Sono già stata da lei altre volte. Una volta in un caso della Hol-
lywood, dopo che tu te n'eri andato. È soltanto molto pignola. Legge tutte
le pagine. Ci vuole un po', ma è una di quelle buone.»
«L'articolo esce domani. Abbiamo bisogno che firmi oggi.»
«Lo so, Harry. Rilassati. Siediti.»
Bosch rimase in piedi. I giudici lavoravano a rotazione sulle autorizza-
zioni. Finire con la Demchak era stato un colpo di fortuna.
«Non ho mai avuto a che fare con lei prima» disse. «Era un pubblico
ministero?»
«No. Stava dall'altra parte. Avvocato d'ufficio.»
Bosch grugnì. La sua esperienza era che i difensori dei criminali che di-
ventavano giudici si portavano dietro almeno l'ombra della loro alleanza
con gli imputati.
«Siamo nei guai» disse.
«No, non lo siamo. Andrà tutto bene. Per favore, siediti. Mi innervosi-
sci.»
«Judy Champagne è ancora in attività? Magari potremmo chiederle di
metterci una buona parola.»
Judy Champagne era un ex pubblico ministero sposato con un ex poli-
ziotto. Di loro si diceva che lui li pescava e lei li cucinava. Da quando era
diventata giudice, era la preferita di Bosch per le richieste di mandato. Non
perché pendesse dalla parte dei poliziotti, ma perché era equa. Ed era que-
sta la cosa più importante per Bosch.
«Non possiamo andarcene in giro a cercare consensi dentro il palazzo di
giustizia. Lo sai, Harry. Ora, per favore, ti puoi sedere? Ho qualcosa da
mostrarti.»
Bosch si sedette su una sedia accanto alla collega.
«Cosa?»
«Ho il documento sulla libertà vigilata di Burkhart.»
Estrasse una cartelletta dalla borsa, la aprì e la fece scivolare davanti a
Bosch sul tavolino da caffè. Picchiettò con il dito su una frase stampata sul
decreto di scarcerazione.
«Rilasciato da Wayside il 1° luglio 1988. Si è presentato all'ufficio per la
libertà vigilata di Van Nuys il 5 luglio.»
Bosch si raddrizzò sulla sedia e guardò Rider.
«Allora è in gioco.»
«Assolutamente. Lo hanno messo dentro per atti vandalici in una sina-
goga il 26 gennaio, ed è uscito da Wayside cinque mesi dopo. È in gioco
eccome, Harry.»
Bosch sentì una scarica di adrenalina, il mosaico si componeva.
«Okay, bene. Hai modificato la richiesta di intercettazioni per includere
anche i suoi telefoni?»
«L'ho fatto, ma senza troppo clamore. Mackey è ancora il collegamento
diretto, a causa della pistola.»
Bosch annuì e guardò il banco vuoto su cui di solito sedeva l'assistente
del giudice. La targa con il nome diceva: Kathy Chrzanowski, e Bosch si
domandò come si pronunciasse quel nome e dove fosse la donna.
Decise di non pensare a cosa stava succedendo dentro la camera di con-
siglio.
«Vuoi sentire le ultime novità dal comandante Garcia?» chiese.
Kiz Rider stava infilando il documento nella borsa.
«Certo.»
Bosch passò i successivi dieci minuti a riferire i particolari dell'incontro
nell'ufficio di Garcia, dell'intervista e della rivelazione finale del coman-
dante.
«Pensi che ti abbia detto tutto?» domandò la Rider.
«Ti riferisci a quanto sapeva di ciò che era successo ai tempi? No, ma mi
ha detto tutto quello che poteva.»
«Io penso che dovesse far parte dell'accordo. Non posso immaginare che
un partner stringa un accordo e riesca a lasciare l'altro all'oscuro. Impossi-
bile in un caso del genere.»
«Allora se era coinvolto, perché ha chiamato Pratt e gli ha detto di pas-
sare il DNA al Dipartimento di Giustizia? Non poteva continuare a fare
finta di niente come aveva fatto per diciassette anni?»
«Non è detto. Il senso di colpa lavora in maniera strana, Harry. Forse
sono anni che Garcia è tormentato da questa storia e ha deciso di chiamare
Pratt per sentirsi meglio. In più, diciamo che allora avesse stretto un accor-
do con Irving. Potrebbe essersi sentito al sicuro ora che Irving è stato mes-
so da parte dal nuovo capo.»
Bosch pensò alla reazione di Garcia quando gli aveva detto che Green
forse era tormentato da quelli che aveva lasciato scappare. Forse Garcia si
era scaldato così perché era lui quello tormentato.
«Non lo so» disse Bosch. «Può darsi...»
Il cellulare di Bosch trillò. Mentre lo tirava fuori dalla tasca, Rider disse:
«Sarà meglio che tu lo spenga prima che entriamo. Questa è una delle cose
che il giudice Demchak non gradisce in camera di consiglio. Ho sentito di
un procuratore generale a cui ha confiscato il cellulare».
Bosch annuì, aprì il telefono e rispose.
«Detective Bosch?»
«Sì.»
«Sono Tara Wood. Pensavo che avessimo un appuntamento.»
Prima che la donna completasse la frase, Bosch si rese conto di essersi
dimenticato l'appuntamento alla CBS e la scodella di gumbo che aveva in
programma di mangiare per pranzo. Non aveva neppure avuto il tempo per
pranzare.
«Tara, mi dispiace davvero molto. Si è verificato un inconveniente, ab-
biamo dovuto occuparcene subito. Avrei dovuto chiamarla, ma mi è passa-
to di mente. Dobbiamo prendere un altro appuntamento, se vorrà ancora
parlare con me dopo quello che ho combinato.»
«Uhm, certo, nessun problema. Avevo un paio di sceneggiatori del pro-
gramma in mezzo ai piedi che ci tenevano a parlare con lei.»
«Quale programma?»
«Casi Irrisolti. Ricorda, gliene ho parlato...»
«Oh, giusto, il programma. Be', mi dispiace.»
Ora Bosch non si sentiva più tanto in colpa. Aveva cercato di approfitta-
re del loro incontro per ottenere dei vantaggi pubblicitari. Si domandò se
quella donna provasse ancora il minimo sentimento per Rebecca Verloren.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Tara gli chiese del caso.
«È successo qualcosa che riguarda il caso? È per questo che non è venu-
to?»
«Più o meno. Stiamo facendo dei progressi, ma non c'è niente che posso
dirle così... anzi, forse una cosa ci sarebbe. Ha ripensato al nome che le ho
fatto l'altra sera? Roland Mackey? Le dice niente?»
«No, ancora niente.»
«Ne ho un altro. Che mi dice di William Burkhart. O forse Bill Bur-
khart?»
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale Wood cercò nella memoria.
«No, mi dispiace. Non penso di conoscerlo.»
«E il nome Billy Blitzkrieg?»
«Billy Blitzkrieg? Sta scherzando, vero?»
«No, perché, lo riconosce?»
«No, per niente. Sembra il nome di un cantante heavy metal o qualcosa
del genere.»
«Non è un cantante. Ma è sicura che nessuno di questi nomi le dice nien-
te?»
«Mi dispiace, detective.»
Bosch alzò lo sguardo e vide una donna che li chiamava con un cenno da
dietro la porta aperta della camera di consiglio. Rider gli lanciò un'occhiata
e si passò un dito lungo la gola.
«Senta, Tara, ora devo andare. Mi farò sentire appena posso per fissare
l'incontro. Mi scusi di nuovo, la chiamerò presto. Grazie.»
Chiuse il telefono prima che la donna potesse rispondere e lo spense.
Seguì Rider attraverso la porta tenuta aperta da una donna che Bosch
suppose fosse Kathy Chrzanowski.
In fondo alla sala le tende scure erano abbassate sulle vetrate che anda-
vano da terra al soffitto. La stanza era illuminata soltanto da una lampada
da tavolo. Alla scrivania Bosch scorse una donna che doveva avere quasi
settant'anni. Pareva piccola dietro il grande tavolo di legno. Aveva un viso
gentile, che diede a Bosch la speranza di uscire dall'ufficio con l'approva-
zione per le intercettazioni telefoniche.
«Detective, entrate e sedetevi» disse. «Mi dispiace di avervi fatto aspet-
tare tanto.»
«Nessun problema, Vostro Onore» rispose Rider. «Apprezziamo che ab-
bia esaminato con attenzione i documenti.»
Bosch e Kiz si sedettero su due sedie davanti alla scrivania. Il giudice
non indossava la toga. Bosch la vide appesa a un attaccapanni nell'angolo.
Accanto all'attaccapanni c'era appesa una foto di Demchak con un noto
membro liberale della corte suprema. Bosch avvertì una stretta allo stoma-
co. Poi vide sulla scrivania due fotografie incorniciate. Una rappresentava
un uomo anziano e un ragazzino con in mano le mazze da golf. Il marito e
il nipote forse. Nell'altra fotografia c'era una bambina di nove o dieci anni
in altalena. Ma i colori erano sbiaditi. Era una vecchia foto. Forse si tratta-
va della figlia. Bosch si mise in testa che il collegamento con i figli avreb-
be potuto fare la differenza.
«Sembra che abbiate una certa fretta» disse il giudice. «C'è una ragione
per questo?»
Bosch guardò Rider, che si chinò in avanti per rispondere. Era lei la pro-
tagonista. Lui era una semplice comparsa, si era presentato solo per dimo-
strare al giudice che per loro la questione era molto importante. I poliziotti
dovevano sostenersi a vicenda in certe occasioni.
«Sì, Vostro Onore, ci sono un paio di motivi» iniziò Rider. «Il principale
è che crediamo che domani sul Daily News uscirà un articolo. Potrebbe in-
durre il nostro principale sospettato, Roland Mackey, a contattare qualche
altro indiziato - uno dei quali è nominato nella domanda - e a parlare del
delitto. Come ha visto nella richiesta di autorizzazione, crediamo che ci sia
più di una persona coinvolta nell'omicidio, ma abbiamo un collegamento
diretto solo con Mackey. Se saremo in grado di ascoltare le telefonate di
Mackey quando uscirà l'articolo sui giornali, potremmo individuare le altre
persone coinvolte.»
Il giudice annuì, senza guardarli. Teneva gli occhi sul modulo dell'auto-
rizzazione. Aveva un aspetto serio, e Bosch cominciò ad avvertire una pes-
sima sensazione. Dopo qualche minuto di silenzio, la donna disse: «E l'al-
tra ragione della vostra fretta?».
«Oh, sì» disse Rider, che evidentemente se n'era dimenticata. «L'altra
ragione è che crediamo che Roland Mackey possa essere coinvolto in nuo-
ve attività criminose. Al momento non sappiamo con precisione quali, ma
siamo sicuri che più in fretta cominceremo ad ascoltare le sue conversa-
zioni, prima lo accerteremo e saremo in grado di impedire che qualcun al-
tro sia trasformato in vittima. Come ha visto sulla domanda, sappiamo che
in passato è stato coinvolto quantomeno in un omicidio. Siamo convinti
che non ci sia tempo da perdere.»
Bosch si compiacque della risposta di Rider. Era preparata con cura e
avrebbe messo molta pressione sul giudice perché firmasse l'autorizzazio-
ne. Dopo tutto, la sua era una carica elettiva. Doveva considerare le conse-
guenze di un'eventuale ricusazione. Se Mackey stava per commettere un
delitto che poteva essere fermato se la polizia avesse ascoltato le sue tele-
fonate, il giudice sarebbe stato ritenuto responsabile dall'elettorato, a cui
non sarebbe interessato niente della motivazione che l'aveva spinta a sal-
vaguardare i diritti civili di un criminale.
«Capisco» rispose Demchak con freddezza. «Cosa vi fa pensare che pos-
sa essere coinvolto in attività illecite, se non siete in grado di citare neppu-
re uno specifico crimine?»
«Diverse considerazioni, giudice. Roland Mackey ha terminato dodici
mesi fa un periodo di libertà vigilata a seguito di un reato di natura sessua-
le, e si è subito trasferito a un nuovo indirizzo, ma il suo nome non compa-
re in nessun atto o contratto di affitto. Non ha lasciato alcun recapito né
all'ex proprietario né all'ufficio postale. Divide la casa con un ex detenuto
con il quale in passato aveva condiviso attività criminali. Si tratta di Wil-
liam Burkhart, anche lui nominato nella domanda. E, come ha potuto ri-
scontrare dai documenti, si serve di un telefono che non ha registrato a
proprio nome. È evidente che sta volando sotto il livello dei radar, Vostro
Onore. Si direbbe proprio che abbia preso tutte le precauzioni per celare il
proprio coinvolgimento in attività illegali.»
«O forse vuole solo evitare le intrusioni del governo» disse il giudice.
«La vostra linea è molto esile, detective. Avete altro? Mi serve di più.»
Rider lanciò un'occhiata a Bosch, con gli occhi spalancati. La sicurezza
che aveva ostentato in sala d'aspetto l'aveva abbandonata. Bosch sapeva
che la partner aveva messo tutto nella domanda e nei commenti esposti da-
vanti al giudice. Cosa rimaneva? Bosch si schiarì la voce e si chinò in a-
vanti per parlare a sua volta.
«L'attività criminale cui prese parte insieme all'uomo con cui ora vive
consisteva in reati determinati dall'odio razziale, giudice. Questi individui
hanno ferito e minacciato molte persone. Molte persone.»
Si appoggiò allo schienale, sperando di aver alzato il livello della pres-
sione, almeno di un po'.
«A quanto tempo fa risalgono tali crimini?» domandò il giudice.
«Furono perseguiti alla fine degli anni '80» disse Bosch. «Ma chi sa per
quanto sono andati avanti. È evidente che il legame tra questi due uomini
non è mai stato interrotto.»
Il giudice non disse nulla per un altro minuto. Sembrava che leggesse e
rileggesse le conclusioni riassuntive della domanda di Rider. Su un lato
della scrivania si accese una piccola luce rossa. Bosch intuì che l'udienza
che doveva avere in programma stava per cominciare. Tutti gli avvocati e
le parti in causa erano presenti.
Alla fine, il giudice Demchak scosse il capo.
«Non penso che ci siano gli elementi, detective. Sapete che ha usato la
pistola, ma non che l'ha usata per il delitto. Potrebbe aver maneggiato l'ar-
ma giorni o settimane prima dell'omicidio.»
Fece un gesto in direzione delle carte sparse davanti a lei sulla scrivania,
come se volesse sbarazzarsene.
«Il fatto che abbia svaligiato un drive-in dove sia lui sia la vittima anda-
vano abitualmente è quantomeno inconsistente. Mi mettete in imbarazzo,
mi chiedete di firmare qualcosa che non esiste.»
«Esiste» disse Bosch. «Sappiamo che esiste.»
Kiz Rider gli posò una mano sul braccio, un ammonimento perché non
si lasciasse andare.
«Io non lo vedo, detective» disse Demchak. «Mi state chiedendo di ga-
rantirvi. Non avete abbastanza ragioni plausibili, e mi state chiedendo di
trascurare quello che manca. Non posso farlo. Non così come stanno le co-
se.»
«Vostro Onore» disse Rider. «Se non otterremo una sua firma, perdere-
mo l'opportunità di sfruttare la stampa.»
Il giudice le sorrise.
«Questo non ha niente a che vedere con me e con il mio ruolo, detective.
Lo sa. Io non sono un braccio del Dipartimento di Polizia. Sono indipen-
dente e devo considerare i fatti come mi si presentano.»
«La vittima era di sangue misto» disse Bosch. «È provato che questo ti-
zio sia un razzista. Rubò la pistola, e questa venne usata per uccidere una
ragazza di sangue misto. Il collegamento sta qui.»
«Non è un collegamento supportato da prove, detective. Si fonda sulla
deduzione.»
Bosch fissò il giudice per un momento, la donna non abbassò lo sguardo.
«Lei ha dei figli, giudice?» domandò.
Subito le guance del giudice presero colore.
«Cosa c'entra questo?»
«Vostro Onore» intervenne Kiz Rider. «Torneremo con le prove.»
«No» disse Bosch. «No, non torneremo. Ne abbiamo bisogno adesso,
giudice. Questo tizio è rimasto libero per diciassette anni. E se Rebecca
Verloren fosse stata sua figlia? Avrebbe potuto distogliere gli occhi? Re-
becca Verloren era figlia unica.»
Lo sguardo del giudice Demchak si incupì. Quando parlò lo fece con
calma rabbiosa.
«Io non distolgo gli occhi, detective. Si dà il caso che io sia l'unica in
questa stanza a vedere le cose come stanno. E potrei aggiungere che se
continuerà a insultare e a mettere in discussione la corte, la farò incrimina-
re per oltraggio. Posso far arrivare un ufficiale giudiziario in cinque secon-
di. Forse potrebbe approfittare di questo tempo per riflettere sulle lacune
della vostra presentazione.»
Bosch proseguì imperterrito.
«La madre vive ancora nella stessa casa» disse. «La camera da letto da
cui è stata portata via la ragazza è rimasta esattamente com'era il giorno in
cui venne uccisa. Lo stesso copriletto, gli stessi cuscini... tutto uguale. La
stanza - e la madre - sono congelate nel tempo.»
«Questi fatti non sono pertinenti.»
«Il padre divenne alcolizzato. Perdette il ristorante di cui era proprieta-
rio, poi la moglie e la casa. Sono stato da lui sulla Fifth Street questa mat-
tina. È lì che vive adesso. So che neppure questo è pertinente, ma pensavo
che potesse interessarle. Immagino che i fatti in nostro possesso non siano
sufficienti per lei, ma abbiamo un sacco di discrepanze, Vostro Onore.»
Il giudice gli puntò gli occhi addosso, e Bosch capì di avere due sole al-
ternative, o finire in prigione o andarsene con l'autorizzazione firmata. Do-
po un momento riconobbe un lampo di dolore negli occhi della donna.
Chiunque passi qualche tempo nella trincea del sistema giuridico - da qual-
siasi parte si trovi - finisce per avere quello sguardo dopo un po'.
«Molto bene, detective» disse alla fine.
Abbassò gli occhi e scarabocchiò una firma ai piedi dell'ultima pagina, e
cominciò a riempire gli spazi che indicavano la durata delle intercettazioni.
«Ma non sono ancora del tutto convinta» disse in tono severo. «Perciò vi
concedo settantadue ore.»
«Vostro Onore...» disse Bosch.
Ma Kiz posò di nuovo la mano sul braccio di Bosch, cercando di impe-
dirgli di trasformare un sì in un no. Poi fu lei a parlare.
«Vostro Onore, settantadue ore sono un periodo davvero molto limitato.
Noi speravamo di avere come minimo una settimana.»
«Avete detto che l'articolo sul giornale uscirà domani» replicò il giudice.
«Sì, giudice, deve uscire domani, ma...»
«Allora scoprirete qualcosa molto in fretta. Se sentite il bisogno di pro-
lungare, venite da me venerdì e cercate di convincermi. Settantadue ore, e
voglio un resoconto quotidiano sul mio tavolo tutte le mattine. Se non lo
ricevo, vi incrimino entrambi. Non ho intenzione di permettervi di andare
a pesca. Se quello che trovo sui vostri rapporti non va nella direzione che
pensate, vi scarico subito. È tutto chiaro?»
«Sì, Vostro Onore» dissero Bosch e Rider all'unisono.
«Bene. Adesso ho un'udienza preliminare in aula. Vi prego di andarve-
ne, devo rimettermi al lavoro.»
Rider raccolse i documenti e i due detective ringraziarono. Mentre si di-
rigevano verso la porta, il giudice Demchak li fermò.
«Detective Bosch?»
Bosch si voltò e la guardò.
«Sì, giudice?»
«Ha visto la foto, vero?» disse. «Di mia figlia. E ha dedotto che fosse fi-
glia unica.»
Bosch la scrutò per un momento, poi annuì.
«Ne ho una sola anche io» disse. «So cosa vuol dire.»
Lo fissò dritto negli occhi prima di parlare.
«Potete andare adesso» disse.
Bosch annuì e seguì Kiz Rider oltre la porta.

24

Non si parlarono finché non lasciarono il palazzo di giustizia. Era come


se volessero uscire da lì prima di mettere alla prova la fortuna, come se an-
che una sola parola su quello che era accaduto potesse riecheggiare nelle
stanze dell'edificio e indurre il giudice a cambiare idea e a richiamarli. Ora
che avevano la firma sui moduli di autorizzazione, volevano solo andarse-
ne.
Una volta sul marciapiede, di fronte alla struttura monolitica del tribuna-
le Bosch guardò Rider e sorrise.
«Me la sono vista brutta» disse.
La donna ricambiò il sorriso e annuì.
«Discrepanze, eh? Ti sei spinto sull'orlo del burrone. Pensavo già di do-
ver venire a pagare la cauzione per farti uscire.»
Si incamminarono verso il Parker Center. Bosch tirò fuori il telefono e
lo accese.
«Sì, me la sono vista proprio brutta» disse. «Ma abbiamo ottenuto quello
che volevamo. Diciamo ad Abel di organizzare l'incontro con gli altri?»
«Sì, ci penso io. Preferisco arrivare e dirglielo di persona.»
Bosch controllò il telefono e vide che c'era un messaggio. Non riconob-
be il numero ma il prefisso era 818, quello della Valley. Ascoltò il mes-
saggio e sentì una voce che non avrebbe voluto sentire.
«Detective Bosch, sono McKenzie Ward del News. Ho bisogno di parla-
re con lei di Roland Mackey il prima possibile. Dobbiamo sentirci, altri-
menti rischio di dover bloccare l'articolo. Mi chiami.»
«Merda» disse Bosch, e cancellò il messaggio.
«Cosa?» domandò Rider.
«È la reporter. Avevo detto a Muriel Verloren di non menzionare Ma-
ckey con lei. Ma a quanto pare se l'è lasciato sfuggire. A meno che la gior-
nalista non abbia parlato con qualcun altro.»
«Merda.»
«È quello che ho detto.»
Camminarono ancora un po' senza parlare. Bosch pensava a un modo
per gestire la giornalista. Dovevano tenere Mackey fuori dalla storia, al-
trimenti se la sarebbe svignata senza telefonare a nessuno.
«Cosa farai?» domandò alla fine Rider.
«Non lo so. Cercherò di dissuaderla. Mentirò se sarà necessario. Non
può mettere il nome nell'articolo.»
«Ma deve farlo uscire, Harry. Abbiamo soltanto settantadue ore.»
«Lo so. Lasciami riflettere.»
Aprì il telefono e chiamò Muriel Verloren. La donna rispose e lui le do-
mandò com'era andata l'intervista. Disse che era andata bene, e che era
contenta che fosse finita.
«Hanno scattato qualche foto?»
«Sì, volevano delle foto della camera da letto. Non mi sentivo a mio a-
gio ad aprirla per loro. Ma l'ho fatto.»
«Capisco. Grazie. Si ricordi, l'articolo ci aiuterà. Ci avviciniamo, Muriel,
e il pezzo sul giornale accelererà le cose. Apprezziamo molto quello che ha
fatto.»
«Se potrà essere di aiuto, allora sono lieta di averlo fatto.»
«Bene. Lasci che le faccia una domanda. Ha menzionato il nome di Ro-
land Mackey alla giornalista?»
«No, lei mi ha detto di non farlo, e io non l'ho fatto.»
«Ne è sicura?»
«Sono più che sicura. Mi ha domandato cosa mi avevate detto, ma io
non ho rivelato nulla. Perché?»
«Nessun motivo. Volevo solo essere certo, tutto qui. Grazie, Muriel. La
chiamo appena ho qualche novità.»
Chiuse il telefono. Non pensava che Muriel Verloren potesse mentirgli.
La giornalista doveva avere un'altra fonte.
«Cosa ti ha detto?» domandò Rider.
«Non è stata lei.»
«E allora chi?»
«Bella domanda.»
Il telefono cominciò a vibrare mentre lo teneva ancora in mano. Guardò
il display e riconobbe il numero.
«È lei, la giornalista. La devo prendere.»
Rispose.
«Detective Bosch, sono McKenzie Ward. Sono in un vicolo cieco, dob-
biamo parlare.»
«Giusto. Ho appena ricevuto il suo messaggio. Avevo il telefono spento
perché ero in tribunale.»
«Perché non mi ha detto di Roland Mackey?»
«Di cosa parla?»
«Roland Mackey. Mi hanno detto che avete già un indiziato di nome Ro-
land Mackey.»
«Chi gliel'ha detto?»
«Questo non importa. Quello che importa è che lei mi ha tenuto nascosta
un'informazione chiave. Roland Mackey è il vostro primo indiziato? Mi la-
sci indovinare, sta facendo il doppio gioco e l'ha dato al Times.»
Bosch rifletté in fretta. La giornalista sembrava sotto pressione, irrequie-
ta. Una giornalista arrabbiata poteva diventare un problema. Doveva cal-
mare le acque e allo stesso tempo tenere Mackey fuori dalla storia. L'unico
punto a suo favore era che la donna non aveva parlato del DNA e del col-
legamento tra Mackey e la pistola. Questo indusse Bosch a pensare che la
sua fonte fosse al di fuori del dipartimento. Qualcuno con informazioni li-
mitate.
«Prima di tutto, io non ho parlato con il Times. Se l'articolo uscirà do-
mani, lei avrà l'esclusiva. Secondo, è importante sapere dove ha ottenuto
quel nome, perché l'informazione è errata. Sto cercando di aiutarla,
McKenzie. Commetterebbe un grosso errore se inserisse il nome nell'arti-
colo. Rischierebbe persino di essere denunciata.»
«Allora chi è?»
«Mi dia la sua fonte.»
«Lo sa, non posso farlo.»
«Perché?»
Bosch rimase in silenzio a riflettere. Mentre la giornalista sciorinava una
risposta standard riguardo al codice deontologico e alla protezione delle
fonti, Bosch considerava i nomi delle persone fuori dal dipartimento a cui
aveva parlato di Mackey. C'erano tre amiche di Rebecca Verloren: Tara
Wood, Bailey Sable e Grace Tanaka, oltre a Robert Verloren, Danny Ko-
tchof, Thelma Kibble, l'agente della libertà vigilata e Gordon Stoddard, il
preside della scuola e la signora Atkins, la segretaria che aveva cercato il
nome di Mackey negli archivi.
C'era anche il giudice Demchak, ma Bosch liquidò l'ipotesi come del tut-
to improbabile. Ward aveva lasciato il messaggio mentre i due detective
erano con il giudice. L'idea che il giudice avesse preso il telefono e chia-
mato la giornalista mentre era da sola in camera di consiglio a studiare la
domanda di autorizzazione pareva fuori questione. Non sapeva ancora ne-
anche dell'articolo, figuriamoci della giornalista che avrebbe dovuto scri-
verlo.
Bosch immaginò che, dato il poco tempo trascorso, la giornalista fosse
semplicemente tornata nel suo ufficio e avesse fatto qualche telefonata per
rimpolpare la storia. Aveva ottenuto il nome di Roland Mackey da qualcu-
no che aveva chiamato. Bosch dubitava che potesse aver individuato o ad-
dirittura contattato Robert Verloren nelle poche ore che erano seguite
all'intervista. Eliminò anche Grace Tanaka e Danny Kotchof, perché non
erano della zona. Senza il nome di Mackey non c'erano legami con l'agente
Kibble. Questo lasciava solo Tara Wood e la scuola; o Stoddard, o la pro-
fessoressa Sable o la segretaria. La risposta più ovvia era la scuola, il col-
legamento più facile per la reporter. Ora si sentiva meglio e pensò di poter
contenere la minaccia.
«Detective, è ancora lì?»
«Sì, mi scusi, cercavo di schivare un po' di traffico.»
«Allora qual è la sua risposta? Chi è Roland Mackey?»
«Non è nessuno. È una questione aperta. O quantomeno lo era. Adesso
l'abbiamo chiusa.»
«Si spieghi.»
«Senta, noi abbiamo ereditato il caso, giusto? Be', negli anni il fascicolo
del delitto è stato archiviato, spostato, trasferito. Le cose si sono confuse.
Perciò parte del nostro lavoro è consistito nel fare un po' di pulizia. Ab-
biamo messo ordine. Abbiamo trovato una foto di questo Roland nel fasci-
colo e non sapevamo chi fosse e che legame avesse con il caso. Quando
siamo usciti a fare qualche domanda in giro, per conoscere i protagonisti
della vicenda, abbiamo mostrato la foto ad alcune persone per capire chi
fosse e cosa c'entrasse. Mai, McKenzie, abbiamo detto a qualcuno che fos-
se il nostro principale indiziato. Questa è la verità. Perciò o lei sta esage-
rando o chi le ha parlato di questo tizio ha esagerato.»
Ci fu un silenzio, e Bosch immaginò che la donna stesse ripassando nel-
la memoria l'intervista alla persona che le aveva dato il nome di Mackey.
«Allora chi è?» domandò alla fine.
«Solo un tizio con dei precedenti penali che viveva all'epoca dei fatti a
Chatsworth. Frequentava il vecchio drive-in di Winnetka e, a quanto pare,
anche Rebecca e le sue amiche ci andavano spesso. Ma è risultato che nel
1988 Mackey era pulito. Per scoprirlo abbiamo dovuto mostrare la foto a
un po' di persone.»
Era un misto di verità e falsificazione della realtà. Ancora una volta la
giornalista rimase in silenzio mentre rifletteva sulla risposta.
«Chi gliene ha parlato? Gordon Stoddard o Bailey Sable?» domandò
Bosch. «Abbiamo portato la foto a scuola per controllare se avesse studiato
lì, ma è emerso che non frequentava la Hillside. Così abbiamo deciso di la-
sciare perdere.»
«Ne è sicuro?»
«Senta, faccia come le pare, ma se mette il nome di questo tizio sul gior-
nale solo perché noi abbiamo mostrato in giro la sua foto, rischia di riceve-
re presto una telefonata da lui e dal suo avvocato. Noi facciamo domande
su un sacco di gente, McKenzie. È il nostro lavoro.»
Ancora silenzio.
Bosch pensò che il silenzio voleva dire che era riuscito a disinnescare la
bomba.
«Siamo andate a scuola per consultare l'annuario e fotocopiare qualche
foto» disse alla fine Ward. «Abbiamo scoperto che l'unico annuario che
avevano del 1988 lo avevate preso voi.»
Era il suo modo di confermare che Bosch aveva indovinato, ma senza ri-
velare la fonte.
«Mi dispiace» disse. «È sulla mia scrivania. Non so se ci sarà il tempo,
ma può mandare qualcuno a prenderlo, se lo desidera.»
«No, è troppo tardi. Abbiamo scattato una foto alla targa sulla parete del
corridoio. Funzionerà. E comunque, ho trovato una foto della vittima nei
nostri archivi. La useremo.»
«Ho visto la targa. È graziosa.»
«Ne vanno fieri.»
«Allora è tutto a posto, McKenzie?»
«Sì, va bene. È solo che mi sono un po' scaldata quando ho pensato che
mi nascondesse qualcosa.»
«Non ho niente di grosso da riferire. Per ora.»
«Va bene, allora sarà meglio che torni al lavoro per terminare l'articolo.»
«Uscirà come detto nella finestra di domani?»
«Se riesco a finirlo in tempo. Mi chiami domani e mi dica cosa ne pen-
sa.»
«Lo farò.»
Bosch chiuse il telefono e guardò Kiz.
«Penso di aver risolto» disse.
«Ragazzi, Harry, ti sei proprio dato da fare oggi. Sei un imbonitore pro-
fessionista. Penso che riusciresti a convincere una zebra a darti le strisce se
fosse necessario.»
Bosch sorrise. Alzò lo sguardo sulla succursale degli uffici del munici-
pio sulla Spring Street. Bandito dal Parker Center, Irvin Irving ora operava
da lì. Bosch si chiese se Mastro Lindo li stesse guardando in quel momento
da dietro una delle finestre a specchio dell'Ufficio di Programmazione
Strategica. Gli venne un'idea.
«Kiz?»
«Cosa?»
«Conosci McClellan?»
«No, per niente.»
«Ma sai che aspetto ha?»
«Certo. L'ho visto alle riunioni dello staff di comando. Irving ha smesso
di andarci quando è stato trasferito alla succursale. La maggior parte delle
volte mandava McClellan come suo rappresentante.»
«Allora saresti in grado di riconoscerlo?»
«Certo. Ma cosa hai in mente, Harry?»
«Forse dovremmo andare a parlargli, spaventarlo un po' e usarlo per in-
viare un messaggio a Irving.»
«Adesso, dici?»
«Perché no? Siamo qui.»
Fece un gesto in direzione della succursale.
«Non abbiamo tempo, Harry. E comunque, perché ingaggiare una batta-
glia che potresti evitare? Cerchiamo di non avere a che fare con Irving fin-
ché non sarà indispensabile.»
«Va bene, Kiz. Ma avremo a che fare con lui. So che succederà.»
Ancora una volta non parlarono, concentrati sul caso, finché raggiunsero
la "casa di vetro" ed entrarono.

25

Abel Pratt convocò tutti i membri dell'Unità Casi Irrisolti, oltre a quattro
altri detective della Omicidi prestati alla unità per la sorveglianza. La riu-
nione venne tenuta da Bosch e Rider, che impiegarono mezz'ora a riferire a
voce tutti i dettagli del caso. Su una bacheca alle loro spalle avevano attac-
cato degli ingrandimenti delle foto più recenti di Roland Mackey e Wil-
liam Burkhart. Gli altri detective rivolsero loro qualche domanda. Alla fine
Bosch e Kiz Rider ripassarono la palla a Pratt.
«Va bene, avremo bisogno di tutti per questo caso» disse. «Lavoreremo
su base sei. Due coppie nella camera del suono, due coppie su Mackey,
due coppie su Burkhart. Voglio le squadre della Casi Irrisolti su Mackey e
nella camera del suono. I quattro in prestito dalla Rapine e Omicidi lavore-
ranno su Burkhart. Kiz e Harry hanno la precedenza, e hanno scelto il se-
condo turno su Mackey. Gli altri possono decidere tra loro come dividersi i
turni rimanenti. Iniziamo domattina alle sei, all'incirca all'ora in cui i gior-
nali cominceranno a circolare.»
Il piano si traduceva in sei coppie di detective che coprivano turni rispet-
tivamente di dodici ore. Il turno cambiava alle sei del mattino e alle sei del
pomeriggio. Visto che era il loro caso, a Bosch e a Rider spettava la prima
scelta e avevano optato per il turno su Mackey dalle sei del pomeriggio in
poi. Questo comportava lavorare per tutta la notte, ma Bosch aveva la sen-
sazione che se Mackey avesse compiuto una mossa o chiamato qualcuno,
lo avrebbe fatto di sera. E lui voleva essere lì quando sarebbe accaduto.
Si sarebbero alternati con una delle altre squadre. Le due coppie rima-
nenti della Casi Irrisolti avrebbero lavorato a turno nella Città dell'Indu-
stria, dove una ditta privata, che si chiamava ListenTech, disponeva di un
centro per l'ascolto delle intercettazioni di cui si servivano tutte le forze
dell'ordine della contea di Los Angeles. Stare seduti su un furgoncino ac-
canto al palo del telefono da cui passava la linea che stavi ascoltando era
una cosa che apparteneva al passato. La ListenTech forniva una sala tran-
quilla, con l'aria condizionata, dove c'erano delle consolle elettroniche im-
postate per monitorare e registrare conversazioni telefoniche inviate o ri-
cevute da qualsiasi numero della contea, compresi i cellulari. C'era persino
un bar con caffè fresco e distributori di snack. Se necessario, si poteva or-
dinare anche la pizza.
La ListenTech poteva coprire fino a novanta intercettazioni in contem-
poranea. Rider aveva detto a Bosch che la società si era ingigantita nel
2001, quando le forze dell'ordine avevano cominciato ad approfittare della
maggiore facilità con cui si ottenevano i permessi. Una società privata a-
veva annusato la crescita della domanda e si era fatta avanti con centri di
intercettazione regionali, noti anche come "camere del suono". Rendevano
il lavoro più facile, ma c'erano comunque delle regole da rispettare.
«Troveremo qualche difficoltà nella camera del suono» disse Pratt. «La
legge richiede ancora che ogni linea sia monitorata da una persona, non si
possono ascoltare due linee contemporaneamente. Noi abbiamo bisogno di
monitorare tre linee con due poliziotti, perché non abbiamo altro persona-
le. Allora come possiamo fare per rimanere entro i termini della legge? Ci
alterniamo. Una linea è il cellulare di Mackey. Quello lo controlliamo a
tempo pieno. Le altre due sono secondarie. Ed è qui che ci avvicenderemo.
Si trovano nella proprietà dove abita e nel posto dove lavora. Perciò stiamo
sulla prima linea quando è a casa e poi dalle quattro a mezzanotte, quando
è al lavoro, passiamo alla linea della stazione di servizio. Comunque trac-
ceremo le chiamate in entrata e in uscita su tutte e tre le linee ventiquattro
ore su ventiquattro.»
«Non potremmo avere un altro prestito dalla Rapine e Omicidi per co-
prire la terza linea?» domandò Rider.
Pratt scosse il capo.
«Il capitano Norona ci ha concesso quattro uomini, fine» disse Pratt.
«Non ci perderemo molto. Come ho detto avremo i tracciati.»
La tracciatura faceva parte del processo di monitoraggio. Mentre agli in-
vestigatori era concesso ascoltare solo una linea alla volta, i macchinari re-
gistravano tutte le chiamate in entrate e in uscita sulle linee oggetto dell'in-
tercettazione, anche se in quel momento non venivano ascoltate. Questo
forniva agli investigatori una lista delle telefonate, con l'ora e la durata, ol-
tre ai numeri in uscita e in entrata.
«Domande?» chiese Pratt.
Bosch non pensava che ci fossero domande. Il piano era abbastanza
semplice. Ma poi un detective della Casi Irrisolti di nome Renner alzò la
mano, Pratt annuì.
«Abbiamo l'autorizzazione del giudice?»
«Sì» rispose Pratt. «Ma come ho detto prima, per ora ci ha concesso solo
settantadue ore.»
«Be', speriamo che le settantadue ore bastino» disse Renner. «Devo an-
dare a pagare il campo estivo per mio figlio a Malibu.»
Gli altri risero.
Tim Marcia e Rick Jackson si offrirono di lavorare in strada in alternan-
za con Bosch e Rider. Gli altri quattro si fecero dare i dettagli sulla camera
del suono, Renner e Robleto presero il turno di giorno, Robinson e Nord lo
stesso orario che avevano Bosch e Rider. Il centro della ListenTech era
grazioso e confortevole, ma alcuni poliziotti non gradivano stare rinchiusi,
indipendentemente dalle circostanze. Alcuni sceglievano sempre e comun-
que la strada, come Marcia e Jackson. Anche Bosch era uno di questi.
Pratt concluse la riunione passando a ciascuno un foglio con i numeri dei
cellulari di tutti e la frequenza radio su cui avrebbero dovuto sintonizzarsi
durante la sorveglianza.
«Per le squadre sul campo, ci sono delle ricetrasmittenti che vi aspettano
nel deposito delle attrezzature» disse Pratt. «Assicuratevi di tenerle accese.
Harry, Kiz, ho dimenticato qualcosa?»
«Penso che sia tutto» disse Rider.
«Visto che abbiamo poco tempo,» aggiunse Bosch «Kiz e io abbiamo un
piano per smuovere le acque in caso non succedesse niente prima di do-
mani sera. Abbiamo l'articolo del giornale e dobbiamo essere sicuri che lo
veda.»
«Come farà a leggerlo se è dislessico?» domandò Renner.
«Ha preso il diploma intermedio, dovrebbe sapere quantomeno leggere.
Dobbiamo solo essere sicuri che in qualche modo gli finisca davanti agli
occhi.»
Tutti quanti annuirono e Pratt mise la parola fine.
«Va bene, ragazzi, è tutto» disse. «Vi chiamerò per sentire come vanno
le cose, giorno e notte. Andateci cauti con questi tizi. Non vogliamo che la
situazione possa rivoltarsi contro di noi. Quelli che hanno il primo turno
ora possono andare a casa a dormire. Ricordatevi, abbiamo i minuti conta-
ti. Abbiamo tempo fino a venerdì sera, poi la carrozza si trasforma in zuc-
ca. Quindi andate là fuori e fate quello che dovete. Noi siamo gli ultimi
battitori. Perciò portiamo a casa il punto.»
Bosch e Rider si alzarono e scambiarono qualche chiacchiera con gli al-
tri riguardo al caso, poi Bosch tornò alla sua scrivania. Tirò fuori dalla pila
di documenti quello riguardante la libertà vigilata. Non aveva ancora avuto
l'opportunità di leggerlo con attenzione. E ora era il momento giusto.
Il fascicolo era a strati: siccome Mackey veniva arrestato di continuo e
per tutta la vita aveva attraversato il sistema giudiziario, i rapporti e i ver-
bali venivano semplicemente aggiunti in cima al dossier. Così i documenti
comparivano in ordine cronologico inverso. Bosch era più interessato ai
primi anni. Andò in fondo al fascicolo con l'idea di leggerlo al contrario.
Il primo arresto di Mackey era avvenuto appena un mese dopo che aveva
compiuto diciotto anni. Nell'agosto del 1987 era stato beccato, a seguito di
un incidente, alla guida di un'auto rubata. All'epoca viveva a casa dei geni-
tori e aveva rubato la Corvette di un vicino. Era saltato sull'auto ed era par-
tito quando si era accorto che il vicino l'aveva lasciata in moto sul vialetto
d'accesso ed era rientrato in casa perché aveva dimenticato gli occhiali da
sole.
Mackey si era dichiarato colpevole, il rapporto che precedeva la senten-
za faceva riferimento a dei reati minorili, ma non citava gli Otto di Cha-
tsworth. Nel settembre del 1987 il giovane ladro di automobili fu condan-
nato a un anno di libertà vigilata da un giudice della corte suprema, che
cercò di convincere Mackey a rinunciare alla vita criminale.
Nel dossier c'era la trascrizione della sentenza. Bosch lesse le due pagine
di discorso, nel quale il giudice diceva a Mackey di aver visto centinaia di
giovani come lui. Asseriva che Mackey si trovava sull'orlo dello stesso
precipizio di tutti gli altri. Un solo crimine poteva essere una lezione di vi-
ta, oppure poteva rappresentare il primo passo lungo una spirale discen-
dente. Esortava Mackey a non intraprendere la strada sbagliata. Lo invita-
va a riflettere e a scegliere la direzione giusta.
Era evidente che le parole di ammonimento fossero cadute nel vuoto. Sei
settimane più tardi Mackey era stato arrestato per aver svaligiato la casa di
due vicini, mentre i coniugi che ci vivevano erano fuori al lavoro. Mackey
aveva tagliato i cavi dell'impianto di allarme, ma l'interruzione della cor-
rente era stata registrata dalla società di sorveglianza. Era stata inviata
un'auto di pattuglia. Quando Mackey era uscito dalla porta posteriore con
una videocamera, diverse apparecchiature elettroniche e gioielli, aveva
trovato due agenti ad aspettarlo con le pistole in pugno.
Siccome era in libertà vigilata per il furto d'auto, era stato trattenuto nel-
la prigione della contea in attesa di giudizio. Dopo trentasei giorni, si era
presentato di fronte allo stesso giudice e, a quanto riferivano le trascrizio-
ni, aveva implorato il perdono e un'altra chance. Questa volta la documen-
tazione riferiva che i test tossicologici avevano rilevato che Mackey faceva
uso di marijuana e che aveva iniziato a frequentare un gruppo di giovani
delinquenti della zona di Chatsworth.
Bosch sapeva che quei giovani dovevano essere gli Otto. Era l'inizio di
dicembre e il loro piano di terrore in omaggio ad Adolf Hitler sarebbe en-
trato in azione dopo appena qualche settimana. Ma non c'era niente di tutto
questo nella documentazione preliminare. Il rapporto affermava solo che
Mackey frequentava cattive compagnie. Quando aveva emesso la sentenza,
il giudice con tutta probabilità non sapeva quanto cattive fossero quelle
compagnie.
Mackey era stato condannato a tre anni di reclusione, ridotti del tempo
che aveva già scontato. Gli erano stati anche concessi due anni di libertà
vigilata. Il giudice, che sapeva che la prigione non avrebbe fatto altro che
completare la formazione del giovane delinquente, aveva scelto una pena
mite, e sperava così di mitigare Mackey. Questi era uscito libero dal tribu-
nale, ma il giudice aveva posto pesanti restrizioni alla libertà vigilata. Do-
veva sottoporsi a test tossicologici settimanali, mantenere un impiego red-
ditizio e ottenere il diploma intermedio entro nove mesi. Il giudice aveva
detto a Mackey che se avesse fallito su uno solo di questi punti, lo avrebbe
mandato in una prigione di stato a scontare tutti e tre gli anni di pena.
«Potrà considerare questa condanna severa, signor Mackey» aveva detto
il giudice. «Ma io la ritengo piuttosto benevola. Le sto offrendo un'ultima
opportunità. Se mi deluderà ancora, finirà senza ombra di dubbio in pri-
gione. La società smetterà di cercare un modo per aiutarla. Si limiterà a
sbarazzarsi di lei. Mi capisce?»
«Sì, Vostro Onore» aveva risposto Mackey.
Il dossier continuava con i rapporti, richiesti dalla corte, sugli Otto di
Chatsworth. Mackey aveva ottenuto il diploma intermedio nell'agosto del
1988, poco più di un mese dopo che Rebecca Verloren era stata portata via
dalla sua camera da letto e assassinata.
Nonostante gli sforzi del giudice per raddrizzare Mackey fossero stati
ammirevoli, Bosch non poteva fare a meno di domandarsi se tali sforzi non
fossero costati la vita a Rebecca Verloren. Che Mackey avesse o meno
premuto il grilletto, l'arma del delitto era comunque passata per le sue ma-
ni. Era ragionevole pensare che la catena di eventi che aveva portato alla
morte di Rebecca sarebbe stata interrotta se Mackey fosse stato dietro le
sbarre? Bosch non ne era sicuro. Poteva darsi che il ruolo di Mackey si
fosse limitato alla consegna dell'arma. Se non l'avesse fatto lui, avrebbe
potuto farlo qualcun altro. Bosch sapeva che non aveva alcun senso pensa-
re a quello che sarebbe potuto accadere o non accadere.
«Trovato niente?»
Bosch si ridestò dai suoi pensieri e chiuse il fascicolo. Kiz Rider era in
piedi davanti alla scrivania.
«No, niente. Stavo leggendo la documentazione sulla libertà vigilata. Le
prime cose. Un giudice si è interessato a lui all'inizio, ma poi in un certo
senso lo ha lasciato andare. Il massimo che ha ottenuto è stato fargli pren-
dere il diploma intermedio.»
«Che gli è servito proprio tanto, vero?»
«Già.»
Bosch non disse nient'altro. Anche lui aveva soltanto quel diploma. An-
che lui una volta era stato davanti a un giudice per aver rubato una mac-
china. Anche nel suo caso una Corvette. Solo che non apparteneva a un vi-
cino. Era del padre affidatario. Bosch l'aveva presa per provocazione e per
protesta, ma l'ultima parola era toccata al padre affidatario. Bosch era stato
rimandato in orfanotrofio.
«Mia madre è morta quando avevo undici anni» disse all'improvviso
Bosch.
Rider lo guardò e fece quella sua cosa con le sopracciglia.
«Lo so. Perché lo tiri fuori adesso?»
«Non lo so. Ho passato un mucchio di tempo in orfanotrofio. Cioè, sono
stato per un po' presso alcune famiglie affidatarie, ma non duravano mai
molto a lungo. Finivo per tornare sempre lì.»
Rider attese, ma Bosch non proseguì.
«E allora?» lo spronò.
«Be', in orfanotrofio non c'erano delle vere e proprie gang, ma si viveva
in una sorta di naturale segregazione. Sai, i bianchi legavano tra loro. Poi
c'erano i neri e gli ispanici. Allora non c'erano asiatici.»
«Che cosa stai dicendo, ti dispiace per quello stronzo di Mackey?»
«No.»
«Ha ucciso una ragazza, o quantomeno ha aiutato a ucciderla, Harry.»
«Lo so, Kiz. Non è questo il punto.»
«Qual è il punto?»
«Non lo so. Mi stavo solo interrogando. Cos'è che spinge le persone a
scegliere strade diverse? Com'è che questo tizio è diventato razzista? Per-
ché io non lo sono diventato?»
«Harry, pensi troppo. Vai a casa e fatti un bel sonno. Ne hai bisogno,
perché domani notte non dormiremo.»
Bosch annuì, ma non si mosse.
«Te ne vai, sì o no?» domandò Rider.
«Sì, tra poco. Tu esci?»
«Sì, a meno che tu non voglia affrontare con me il problema della corru-
zione a Hollywood.»
«No, mi basta quello che c'è. Ne riparliamo domani dopo che sono usciti
i giornali.»
«Già, non so dove riuscirò a trovare il Daily News nel South End. Forse
dovrò chiamarti e chiederti di leggermelo al telefono.»
Il Daily News aveva una vasta distribuzione nella Valley, ma a volte era
difficile trovarlo fuori dal centro. Rider viveva vicino a Inglewood, nello
stesso quartiere dov'era cresciuta.
«Tranquilla. Dammi un colpo di telefono, io ce l'avrò di sicuro. C'è un
distributore ai piedi della collina sotto casa mia.»
Kiz Rider aprì uno dei cassetti della scrivania e tirò fuori la borsetta.
Guardò Bosch e fece ancora una volta quella sua smorfia con le sopracci-
glia.
«Sei proprio sicuro di volerlo fare, di volerti marchiare in quel modo?»
Si riferiva al loro piano per spingere Mackey a vedere il giornale. Bosch
annuì.
«Devo riuscire a fargliela bere» disse. «E comunque, potrò indossare le
maniche lunghe per un po'. Non è ancora estate.»
«E se non fosse necessario? Se leggesse l'articolo e si mettesse a telefo-
nare, fregandosi da solo?»
«Qualcosa mi dice che non accadrà. Comunque, non è permanente. Vi-
cki Landreth mi ha assicurato che dura un paio di settimane al massimo,
dipende da quanto spesso ti fai la doccia. Non è come quei tatuaggi
all'henné che i bambini si fanno al molo di Santa Monica. Quelli durano di
più.»
Rider annuì, era d'accordo.
«Okay, Harry. Ci incrociamo domattina, allora.»
«Ci vediamo, Kiz. Stammi bene.»
La donna si avviò per uscire.
«Ehi, Kiz» la chiamò Bosch.
«Cosa?» disse, fermandosi e voltandosi.
«Cosa pensi? Sei contenta di esserci di nuovo dentro?»
Sapeva di cosa stava parlando. Si riferiva alle indagini sull'omicidio.
«Oh, sì, Harry, sono contenta. Sarò davvero estasiata quando avremo in-
castrato il cavaliere pallido e avremo risolto il mistero.»
«Già» disse Bosch.
Dopo che Rider se ne fu andata, Bosch rifletté per qualche momento a
cosa avesse voluto dire quando aveva chiamato Mackey "il cavaliere palli-
do". Pensò che potesse trattarsi di un riferimento biblico, ma non riuscì a
venirne a capo. Forse nel South End era così che chiamavano i razzisti.
Decise di chiederle delucidazioni il giorno seguente. Ricominciò a esami-
nare il fascicolo, ma presto lasciò perdere. Sapeva che era ora di concen-
trarsi sul momento presente. Non sul passato. Non sulle scelte compiute e
le strade che non erano state percorse. Si alzò e si infilò il dossier sulla li-
bertà vigilata e il fascicolo del delitto sotto braccio. Se ci fossero stati mol-
ti tempi morti durante la sorveglianza del giorno dopo, almeno avrebbero
avuto da leggere. Infilò la testa nell'ufficio di Abel Pratt per salutarlo.
«Buona fortuna, Harry» disse Pratt. «Chiudete il caso.»
«Lo faremo.»

26

Bosch lasciò l'auto nel parcheggio sul retro ed entrò dalla porta posterio-
re della Divisione Hollywood. Era passato parecchio tempo dall'ultima
volta che era stato lì, e la trovò subito diversa. La ristrutturazione a seguito
del terremoto di cui aveva parlato Edgar pareva aver toccato ogni singolo
angolo dell'edificio. Trovò il posto di guardia in un punto in cui prima c'e-
ra una cella e scoprì che agli agenti di pattuglia era stata destinata una
stanza per scrivere i rapporti, mentre in passato dovevano rubare un po' di
spazio nell'ufficio dei detective.
Prima di salire alla Buoncostume, entrò nel bureau dei detective per ve-
dere se riusciva a recuperare un file di cui aveva bisogno. Percorse il corri-
doio posteriore, passò davanti a un sergente che si chiamava McDonald, di
cui non ricordava il nome di battesimo.
«Ehi, Harry, sei tornato? È un pezzo che non ti vedevo, amico.»
«Sono tornato, Sei.»
«Bella notizia.»
"Sei" era la designazione radiofonica della Divisione Hollywood. Chia-
mare il sergente di pattuglia Sei era come chiamare un detective della O-
micidi Roy. Funzionò e permise a Bosch di superare l'imbarazzo dovuto
alla cattiva memoria. Quando giunse in fondo al corridoio si ricordò che il
sergente si chiamava Bob.
La Omicidi si trovava in fondo all'ampio stanzone dei detective. Edgar
aveva ragione. Era diverso da tutti gli uffici che Bosch aveva mai visto.
Era grigio e impersonale. Sembrava uno di quei call-center dove si faceva-
no fredde telefonate per tirare fregature alle vecchie signore e vendere
penne sopracosto o unità immobiliari in multiproprietà. Riconobbe la testa
di Edgar che sbucava da sopra una parete divisoria tra due cubicoli. Sem-
brava l'unico rimasto in tutto l'ufficio. Era tardi, ma non così tardi.
Camminò fino al muro divisorio e guardò Edgar da sopra la parete. A-
veva la testa chinata ed era concentrato sulle parole crociate del Times. Era
sempre stato un rito per Edgar. Faceva i cruciverba tutto il giorno, se li
portava al bagno, in mensa o fuori, quando era di sorveglianza. Non gli
piaceva tornare a casa senza averli completati.
Edgar non aveva notato la presenza di Bosch, che indietreggiò senza fare
rumore ed entrò nel cubicolo accanto a quello dell'ex partner. Prese con
cautela il cestino di metallo da sotto la scrivania e tornò nella posizione di
prima, dietro Edgar. Si raddrizzò e fece cadere il cestino sul linoleum da
un metro e mezzo di altezza. Il suono che ne uscì fu forte e tagliente, quasi
come uno sparo. Edgar saltò in piedi, la penna gli volò verso il soffitto.
Stava per urlare qualcosa quando riconobbe Bosch.
«Accidenti, Bosch!»
«Come te la passi, Jerry?» chiese Bosch, riuscendo a malapena a parlare
per le risate.
«Accidenti, Bosch!»
«Sì, l'hai detto. Mi pare di intuire che stasera le cose procedono con
calma a Hollywood.»
«Cosa cazzo ci fai qui? Voglio dire, a parte farmi cagare addosso.»
«Lavoro, amico. Ho un appuntamento con la truccatrice della Buonco-
stume. Tu cosa fai?»
«Avevo quasi finito, stavo per uscire.»
Bosch si chinò e vide che la griglia del cruciverba era quasi completata.
C'erano molti segni di cancellature. Edgar non lavorava mai a un cruciver-
ba con la penna biro. Bosch notò che aveva tirato giù dallo scaffale e posa-
to sulla scrivania il vecchio dizionario rosso.
«Imbrogli ancora, Jerry? Lo sai che non dovresti usare il dizionario.»
Edgar si abbandonò sulla sedia. Sembrava esasperato, per lo spavento e
per la domanda.
«Balle. Posso fare quello che voglio. Non esistono regole, Harry. Perché
non te ne vai di sopra e non mi lasci in pace? Dille di metterti un po' di
eyeliner e di mandarti a battere il marciapiede.»
«Già, ti piacerebbe. Saresti il mio primo cliente.»
«Va bene, va bene. C'è qualcosa di cui hai bisogno o sei passato solo per
farmi scoppiare le coronarie?»
Edgar finalmente sorrise, e Bosch capì che era tutto a posto tra loro.
«Tutte e due le cose» disse Bosch. «Ho bisogno di recuperare un vec-
chio file. Dove li tengono adesso?»
«Quanto vecchio? Hanno cominciato a mandare la roba in centro per far-
la trasferire su microfilm.»
«Deve essere del 2000. Ti ricordi Michael Allen Smith?»
Edgar annuì.
«Certo che mi ricordo. Uno come me non può dimenticare Smith, Cosa
cerchi in quella storia?»
«Voglio solo la foto di Smith. Quel file è ancora qui?»
«Sì, i documenti recenti sono ancora da queste parti. Seguimi.»
Accompagnò Bosch a una porta chiusa. Edgar aveva la chiave e presto si
ritrovarono in una stanzetta le cui pareti erano coperte da scaffali ricolmi
di raccoglitori blu. Edgar individuò il fascicolo di Michael Allen Smith e
lo prese dallo scaffale. Lo fece cadere nelle mani di Bosch. Era pesante. Si
era trattato di un caso difficile.
Bosch portò il fascicolo nel piccolo scomparto accanto a quello di Edgar
e cominciò a sfogliarlo finché arrivò a una sezione di fotografie che mo-
stravano il busto di Smith e diversi primi piani dei suoi tatuaggi. I tatuaggi
erano serviti per identificarlo e condannarlo per l'omicidio di tre prostitute
cinque anni prima. Bosch, Edgar e Rider avevano lavorato al caso. Smith
era un macho bianco, razzista dichiarato, che caricava di nascosto travestiti
neri sul Santa Monica Boulevard. Poi, oppresso dal senso di colpa per aver
tradito le proprie convinzioni razziali e sessuali, li uccideva. In qualche
modo questo gli faceva superare la trasgressione. La chiave di volta era
stata la deposizione resa a Rider da un travestito che aveva visto salire una
delle vittime sul furgone di un cliente. Era riuscito a descrivere un tatuag-
gio sulla mano del tizio. Questo alla fine li aveva portati a Smith, che ave-
va collezionato una varietà di tatuaggi nei diversi soggiorni in prigione in
giro per il paese. Venne giudicato, condannato e inviato nel braccio della
morte, dove per ora aveva evitato l'iniezione letale con una serie di appelli.
Bosch scelse le foto del collo, delle mani e del bicipite sinistro, tutte par-
ti del corpo ornate con l'inchiostro della galera.
«Ho bisogno di queste mentre sono su. Se stai andando e devi chiudere
l'archivio, te le posso lasciare sulla scrivania.»
Edgar annuì.
«Va bene. Allora, in cosa ti sei cacciato, amico? Hai intenzione di met-
terti addosso quella merda?»
«Esatto. Voglio essere come Mike.»
Edgar socchiuse gli occhi.
«Ha a che fare con la storia degli Otto di Chatsworth di cui abbiamo par-
lato ieri?»
Bosch sorrise.
«Sai, Jerry, dovresti fare il detective. Saresti bravo.»
Edgar annuì, come se si preparasse a un'altra ondata di sarcasmo.
«Ti farai anche tagliare i capelli?» domandò.
«No, non pensavo di spingermi a tanto» disse Bosch. «Penso che farò la
parte dello skinhead riformato.»
«Capito.»
«Senti, hai da fare stasera? Non dovrei metterci molto lassù. Se ti va di
aspettare, finisci il cruciverba e ci andiamo a mangiare una bistecca da
Musso.»
Solo a dirlo, Bosch sentì che gli veniva fame. Aveva voglia di una bella
bistecca e di un martini vodka.
«No, Harry, devo andare allo Sportsmen's Lodge per la festa del pensio-
namento di Sheree Riley. Per questo ammazzavo il tempo in ufficio. A-
spettavo che il traffico si calmasse un po'.»
Sheree Riley era una detective che si occupava di crimini sessuali.
Bosch aveva lavorato con lei di tanto in tanto, ma non avevano mai legato.
Quando sesso e omicidio si intrecciavano, i casi di solito erano così brutali
e complessi che non rimaneva molto spazio per dedicarsi ad altro che al
lavoro. Bosch non sapeva che fosse sul punto di andare in pensione.
«Magari potremmo prendere quella bistecca un'altra volta» disse Edgar.
«È okay per te?»
«È okay, Jerry. Divertiti e dille che la saluto e che le auguro buona for-
tuna. E grazie per le foto. Le trovi domani sulla scrivania.»
Bosch tornò verso il corridoio, ma sentì Edgar che imprecava. Si voltò e
vide il vecchio partner in piedi nel cubicolo con le braccia aperte.
«Dove cavolo è la matita?»
Bosch perlustrò il pavimento senza successo. Alla fine levò lo sguardo e
la vide incastrata tra due pannelli insonorizzati sul soffitto, sopra la testa di
Edgar.
«Jerry, delle volte quello che sale non scende più.»
Edgar guardò su e vide la matita. Gli ci vollero due salti per prenderla.
La porta della Buoncostume al secondo piano era chiusa a chiave, ma
era normale. Bosch bussò, gli rispose un agente in incognito che Bosch
non riconobbe.
«C'è Vicki? Mi aspettava.»
«Allora entri.»
L'agente fece un passo indietro e lasciò entrare Bosch. Quella stanza non
era cambiata in maniera sostanziale durante la ristrutturazione. Era una
lunga sala con scrivanie che correvano su ambo i lati. Sopra lo spazio de-
stinato a ogni agente c'era il poster incorniciato di un film. Alla Divisione
Hollywood era permesso adornare le pareti soltanto con poster di film che
erano stati girati entro la loro giurisdizione. Trovò Vicki Landreth al lavo-
ro sotto il poster di Blue Neon Night, un film che Bosch non aveva visto.
Nell'ufficio c'erano solo lei e l'altro agente. Bosch pensò che tutti gli altri
fossero già in strada per il turno di notte.
«Ehi, Bosch» disse Landreth.
«Ehi, Vic. Hai ancora il tempo per fare queste cose?»
«Per te, tesoro, avrò sempre il tempo.»
Landreth era una ex truccatrice di Hollywood. Un giorno, vent'anni pri-
ma, era stata convinta a farsi un giro di ronda con un agente che si occupa-
va della sicurezza sul set. Il tizio voleva solo passare un po' il tempo, spe-
rava che magari il giro la eccitasse e ci potesse scappare qualcosa di più.
Invece la conseguenza era stata che Landreth si era iscritta all'Accademia
di polizia ed era diventata un'agente ausiliaria, faceva un paio di turni al
mese sulle auto e copriva i buchi quando era necessario. Poi qualcuno alla
Buoncostume aveva scoperto il mestiere che faceva di giorno e le aveva
chiesto di sfruttare la propria abilità per far assomigliare di più a prostitute
e papponi gli agenti travestiti. Presto Vicki trovò il lavoro con la polizia
più interessante di quello nel cinema, così divenne un'agente a tempo pie-
no. Le sue doti di truccatrice erano molto richieste, e la nicchia che si era
ritagliata nella Divisione Hollywood era più che sicura.
Bosch le mostrò le foto dei tatuaggi di Michael Allen Smith e lei le stu-
diò per qualche momento.
«Carino, eh?» disse alla fine.
«Uno dei migliori.»
«E vuoi che ti faccia tutta questa roba stasera?»
«No. Pensavo alle saette sul collo. E magari al bicipite, se puoi.»
«È tutta roba da galera. Non è arte vera. Un solo colore. Certo che posso.
Siediti lì e togliti la camicia.»
Lo accompagnò a una postazione per il trucco, dove lui si sedette su uno
sgabello accanto a uno scaffale con diversi colori per il corpo e delle pol-
veri. Su una mensola più in alto c'erano delle teste di manichini con la par-
rucca e i baffi. Sotto qualcuno aveva scritto i nomi di diversi personaggi
dell'unità.
Bosch si sfilò la camicia e la cravatta. Indossava una T-shirt.
«Voglio che si vedano, ma non che siano troppo sfacciati» disse. «Pen-
savo che potessi realizzarli in modo che, con indosso una maglietta come
questa, ne sbucasse una parte. Quanto basta perché si capisca cosa sono e
cosa significano.»
«Non è un problema. Rimani fermo.»
Usò un pezzo di gesso per tracciare delle linee sulla pelle nel punto in
cui arrivavano il collo e le maniche della maglietta.
«Queste sono le linee di demarcazione» spiegò. «Mi devi dire quanto
vuoi che vada sopra e sotto.»
«Capito.»
«Ora toglila, Harry.»
Lo disse con un tono palesemente sensuale. Bosch si sfilò la maglietta
da sopra la testa e la gettò su una sedia insieme alla camicia e alla cravatta.
Si voltò verso la donna, che gli esaminò il petto e le spalle. Vicki allungò
una mano e sfiorò la cicatrice sulla spalla sinistra.
«Questa è nuova» disse.
«È vecchia.»
«Be', è passato parecchio tempo dall'ultima volta in cui ti ho visto nudo,
Harry.»
«Già, direi di sì.»
«Quando eri ancora un ragazzo in divisa e mi avresti convinto a fare
qualsiasi cosa, persino arruolarmi nella polizia.»
«Io ti convinsi a entrare nella mia auto, non nel dipartimento. Prenditela
con te stessa per questo.»
Bosch era in imbarazzo e si sentì arrossire. La loro relazione di vent'anni
prima era finita solo perché nessuno dei due sentiva il bisogno di impe-
gnarsi troppo. Avevano preso strade diverse, ma erano rimasti buoni amici.
Soprattutto quando Bosch era stato trasferito alla squadra Omicidi della
Divisione Hollywood e lavoravano nello stesso edificio.
«Ma guardati, sei arrossito» disse Landreth. «Dopo tutti questi anni.»
«Be', sai...»
Non disse nient'altro. Landreth avvicinò lo sgabello a Bosch. Allungò la
mano e passò il pollice sul tatuaggio del topo nel tunnel che aveva sul
braccio destro.
«Questo lo ricordo» disse. «Non se la passa tanto bene, eh?»
Aveva ragione. Il tatuaggio che si era fatto in Vietnam aveva perso le li-
nee e con il tempo i colori si erano confusi. Il personaggio del topo che u-
sciva dal tunnel con la pistola in pugno non era più riconoscibile. Il tatuag-
gio ormai appariva come un doloroso livido.
«Non me la passo tanto bene neppure io, Vicki» disse Bosch.
La donna ignorò la lamentela e si mise al lavoro. Per prima cosa usò un
eyeliner per schizzare i soggetti sulla pelle. Michael Allen Smith aveva
quello che lui chiamava un bavero della Gestapo tatuato attorno al collo.
Su entrambi i lati della gola c'erano le saette gemelle, simbolo delle SS.
Rappresentavano gli emblemi sul bavero dell'uniforme della forza di élite
di Hitler. Landreth tracciò il disegno senza difficoltà e in fretta. Faceva il
solletico, e Bosch faticò a rimanere fermo. Poi arrivò il turno del bicipite.
«Quale braccio?» domandò.
«Penso il sinistro.»
Rifletté sulla messinscena con Mackey. Era più probabile che finisse se-
duto alla destra di Mackey. Questo avrebbe significato che il braccio sini-
stro sarebbe stato il più visibile.
Landreth gli chiese di reggere la foto del braccio di Smith accanto al su-
o, così avrebbe potuto copiare. Sul bicipite dell'uomo c'era un teschio che
aveva sulla fronte una svastica inscritta in un cerchio. Smith non aveva
mai confessato i delitti di cui era accusato, ma ammetteva apertamente di
essere razzista e spiegava senza remore l'origine dei molti segni sul suo
corpo. Il teschio sul bicipite, aveva detto, era stato copiato da un manifesto
propagandistico della Seconda guerra mondiale.
Ora che il lavoro si era spostato dal collo al braccio, Bosch poteva respi-
rare con maggiore tranquillità e Landreth intavolò una conversazione.
«Allora, che novità hai?»
«Nessuna.»
«Il congedo è stato noioso?»
«Puoi dirlo.»
«Cosa hai fatto, Harry?»
«Ho lavorato a un paio di vecchi casi, ma soprattutto ho passato il tempo
a Las Vegas a cercare di conoscere mia figlia.»
La donna fece un passo indietro e guardò Bosch con gli occhi colmi di
stupore.
«Sì, anche io mi sono molto stupito quando l'ho scoperto.»
«Quanti anni ha?»
«Quasi sei.»
«Riesci ancora a vederla ora che sei tornato al lavoro?»
«Non importa, non è qui.»
«Be', dov'è?»
«La madre l'ha portata a Hong Kong per un anno.»
«Hong Kong? Che ci fa a Hong Kong?»
«Lavoro. Ha firmato un contratto annuale.»
«Non si è consultata con te in proposito?»
«Non so se consultarsi sia la parola giusta. Mi ha detto che sarebbe par-
tita. Ho parlato con un avvocato, ma non c'era molto che potessi fare.»
«Non è giusto, Harry.»
«Va bene. La sento al telefono una volta alla settimana. Appena accumu-
lo un po' di vacanze, la vado a trovare.»
«Non sto parlando di te. Sto parlando di lei. Una bambina dovrebbe stare
vicino al proprio padre.»
Bosch annuì, perché non poteva fare altro. Qualche minuto più tardi,
Landreth terminò lo schizzo, aprì una valigia ed estrasse una boccetta di
inchiostro per finti tatuaggi, insieme a un applicatore simile a una penna.
«Questo è il Bic blu» disse. «È quello che usa la maggior parte di loro
nelle prigioni. Non perforerò la pelle, così dovrebbe andare via in un paio
di settimane.»
«Dovrebbe?»
«Va via quasi sempre. C'è stato un attore a cui tatuai un asso di spade sul
braccio, e la cosa buffa è che non andava più via. Non c'era modo. Perciò
finì che si fece un vero tatuaggio sopra il mio disegno. Non era troppo con-
tento.»
«Nemmeno io sarò troppo contento se mi resteranno due saette sul collo
per il resto della vita. Prima che cominci a mettermi quella roba addosso,
Vicki, c'è qualche...»
Si fermò quando si accorse che la donna rideva.
«Scherzavo, Bosch. È la magia di Hollywood. Viene via con un paio di
strofinate decise, okay?»
«Okay, allora.»
«Adesso stai fermo e lasciami lavorare.»
Si mise all'opera, applicò l'inchiostro blu scuro sul disegno che aveva re-
alizzato. Lo tamponò con una spugnetta e invitò più volte Bosch a smettere
di respirare, cosa che lui disse di non poter fare. Finì in meno di mezzora.
Gli diede uno specchio e lui si esaminò il collo. Era un bel lavoro, nel sen-
so che sembrava vero. Pareva strano vedere una simile manifestazione di
odio sulla propria pelle.
«Posso mettermi la maglietta?»
«Aspetta qualche minuto.»
Gli sfiorò ancora una volta la cicatrice sulla spalla.
«Te la sei procurata quando ti hanno sparato in quel tunnel in città?»
«Sì.»
«Povero Harry.»
«Direi piuttosto fortunato Harry.»
La donna cominciò a raccogliere gli strumenti, mentre Bosch rimaneva
seduto senza maglietta, sentendosi a disagio.
«Allora, cosa devi fare stasera?» domandò, tanto per dire qualcosa.
«Io? Niente.»
«Hai finito?»
«Sì, oggi avevo il turno di giorno. Delle ragazze hanno invaso l'hotel vi-
cino al Kodak Center. Non si possono fare cose del genere nella nuova
Hollywood, no? Così abbiamo ingabbiato quattro di loro.»
«Mi dispiace, Vicki. Non pensavo di trattenerti. Sarei venuto più presto.
Cavolo, ero qua sotto a sparare stronzate con Edgar prima di salire. Avresti
dovuto dirmi che aspettavi me.»
«Non c'è problema. È stato un piacere vederti. E volevo dirti che sono
contenta che tu sia rientrato in servizio.»
All'improvviso Bosch pensò una cosa.
«Ehi, ti va di cenare da Musso, o devi andare allo Sportsmen's Lodge?»
«Scordati lo Sportsmen's Lodge. Queste cose mi ricordano troppo le fe-
ste di fine riprese. Non mi piacevano neanche quelle.»
«Allora cosa dici?»
«Non so se ho voglia di farmi vedere da quelle parti con un porco razzi-
sta.»
Questa volta Bosch sapeva che stava scherzando. Sorrise, e lei disse che
la cena era una buona idea.
«Vengo, ma a una condizione» disse.
«Quale?»
«Che ti rimetta la camicia.»

27

La mattina seguente, senza bisogno della sveglia, Bosch si alzò alle cin-
que e mezza. Non era una novità per lui. Succedeva sempre quando si infi-
lava nel tunnel di un caso. Le ore di veglia soverchiavano le ore di sonno.
Come nel surf, uno faceva tutto il possibile per rimanere in piedi sulla ta-
vola e dentro il tunnel d'acqua. Nonostante non dovesse entrare in servizio
prima di dodici ore, sapeva che quella sarebbe stata la giornata chiave per
il caso. Non poteva dormire di più.
Si vestì al buio in quel luogo poco familiare e uscì dalla stanza per anda-
re in cucina, dove trovò un blocchetto per l'elenco della spesa. Scrisse un
biglietto e lo appoggiò davanti alla macchina del caffè, che la sera prima
Vicki Landreth aveva impostato perché entrasse in funzione alle sette. Il
biglietto non diceva molto di più che grazie per la serata e arrivederci. Non
c'erano promesse o ci vediamo più tardi. Bosch sapeva che Vicki non si
aspettava nulla. Entrambi erano consapevoli che non era cambiato niente
nei vent'anni trascorsi tra le due relazioni. Si piacevano, ma questo non ba-
stava certo per mettere su casa insieme.
Le strade tra l'abitazione di Vicki Landreth e Cahuenga Pass erano neb-
biose e grigie. Gli automobilisti guidavano con i fari accesi, sia perché a-
vevano viaggiato tutta la notte, sia perché pensavano che questo potesse
aiutarli a svegliare il mondo. Bosch sapeva che l'alba non aveva niente a
che vedere con il tramonto. L'alba arrivava sempre in maniera brutale, co-
me se il sole fosse goffo e di fretta. Il tramonto era più delicato, la luna più
aggraziata. Forse perché la luna aveva più pazienza. Nella vita e nella na-
tura, pensò Bosch, le tenebre sono sempre in agguato.
Cercò di levarsi dalla testa il pensiero della sera precedente, per potersi
concentrare sul caso. Sapeva che gli altri ora stavano prendendo posizione
sulla Mariano Street a Woodland Hills e alla ListenTech nella Città
dell'Industria. Mentre Roland Mackey dormiva, le forze dell'ordine strin-
gevano silenziosamente il cerchio attorno a lui. Era così che Bosch vedeva
la cosa. Era questo che gli faceva correre il sangue nelle vene. Pensava an-
cora che fosse improbabile che Mackey avesse tirato il grilletto nell'omici-
dio di Rebecca Verloren. Ma Bosch sentiva senza ombra di dubbio che
l'uomo aveva fornito l'arma del delitto all'assassino e che li avrebbe portati
a lui, che fosse William Burkhart o qualcun altro.
Entrò nel parcheggio di fronte al Poquito Mas ai piedi della collina su
cui si trovava casa sua. Lasciò la Mercedes in moto e andò a piedi verso la
fila di distributori con i giornali. Vide il volto di Rebecca Verloren che lo
fissava da dietro la finestra di plastica di uno di essi. Avvertì una piccola
accelerazione del battito cardiaco. Non importava che cosa diceva l'artico-
lo, erano in gioco.
Infilò la moneta nel distributore e prese il giornale. Ripeté l'operazione e
pescò una seconda copia. Una per l'archivio e una per Mackey. Non si
scomodò a leggere l'articolo prima di arrivare a casa. Mise a scaldare il
caffè e lesse l'articolo in piedi in cucina. La foto della finestra ritraeva
Muriel Verloren seduta sul letto della figlia. La stanza era pulita e il letto
rifatto alla perfezione, le balze sfioravano il pavimento. C'era un inserto
con la fotografia di Rebecca nell'angolo in alto. Risultò che l'archivio del
Daily News conservava la stessa foto dell'annuario. Il titolo sopra la foto-
grafia centrale diceva: LA LUNGA VEGLIA DI UNA MADRE.
Lo scatto della camera da letto era attribuito a Emerson Ward, a quanto
pare la fotografa usava il nome per intero. Sotto c'era una didascalia che
recitava: «Muriel Verloren seduta nella stanza da letto della figlia. La ca-
mera, come il dolore della signora Verloren, è rimasta immutata nel tem-
po».
Sotto la fotografia e sopra l'articolo c'era quello che una volta un reporter
gli aveva detto chiamarsi "cappello": una descrizione completa e sintetica
della vicenda. Diceva: «TORMENTATA: Muriel Verloren ha aspettato 17
anni di sapere chi ha rubato la vita di sua figlia. In uno sforzo rinnovato, la
LAPD potrebbe essere vicina alla soluzione del caso».
Bosch pensò che il cappello fosse perfetto. Se e quando Mackey l'avesse
visto, avrebbe avvertito le dita gelide della paura che gli stringevano il pet-
to. Bosch lesse con impazienza l'articolo.

Di McKenzie Ward
Diciassette anni fa, in estate, una giovane e bella ragazza delle
scuole superiori, di nome Rebecca Verloren, venne rapita dalla
sua casa a Chatsworth e brutalmente assassinata sulla Oat
Mountain. Il caso non fu mai risolto, e si lasciò alle spalle una
famiglia distrutta, agenti di polizia tormentati e una comunità in-
capace di trovare un epilogo a questa tragedia.
Ma, rinnovando le speranze della madre della vittima, il Diparti-
mento di Polizia di Los Angeles ha intrapreso nuove indagini che
potrebbero condurre alla soluzione del caso e restituire un po' di
pace a Muriel Verloren. Questa volta i detective hanno qualcosa
che non potevano avere nel 1988: il DNA del killer.
L'Unità Casi Irrisolti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles
ha deciso di concentrarsi sull'omicidio Verloren dopo che uno dei
detective originari - ora un comandante d'area della Valley - ha
insistito perché due anni fa, quando venne formata la squadra che
doveva investigare sui casi irrisolti, fosse riaperto il caso.
«Appena ho sentito che saremmo tornati a indagare sui casi privi
di soluzione, ho preso il telefono e li ho chiamati» ha dichiarato
ieri il comandante Arturo Garcia nel suo ufficio nel centro diretti-
vo della Valley. «Questo caso mi ha sempre colpito. Quella bel-
lissima giovane portata via dalla sua casa a quel modo. Nessun
omicidio è accettabile nella nostra società, ma questo ferisce più
degli altri. Mi tormenta da allora.»
E tormenta anche Muriel Verloren. La madre di Rebecca ha con-
tinuato a vivere nella casa sulla Red Mesa Way da cui fu strappata
la figlia sedicenne. La stanza da letto di Rebecca è rimasta inalte-
rata dalla notte in cui la ragazza venne trascinata fuori dalla porta
sul retro e non tornò mai più.
«Non voglio modificare nulla» ha dichiarato la madre tra le la-
crime ieri, mentre con la mano carezzava la trapunta sul letto del-
la figlia. «È il mio modo per rimanere vicina a lei. Non cambierò
mai questa stanza e non lascerò mai questa casa.»
Il detective Harry Bosch, cui sono state assegnate le nuove inda-
gini, ha dichiarato al News che ci sono molti indizi promettenti.
L'aiuto maggiore al caso è stato fornito dai passi avanti che la tec-
nologia ha compiuto dal 1988 a oggi. Del sangue che non appar-
teneva a Rebecca Verloren è stato rinvenuto sull'arma del delitto.
Il detective Bosch ha spiegato che il percussore della pistola ha
"pizzicato" lo sparatore sulla mano, strappandogli un campione di
sangue e pelle. Nel 1988 poté essere solo analizzato, registrato e
conservato. Ora sarebbe possibile confrontarlo con quello di un
indiziato. La sfida consiste nel trovare quell'indiziato.
«Le indagini originali sono state condotte in maniera meticolosa»
ha sostenuto Bosch. «Sono state interrogate centinaia di persone,
sono state seguite centinaia di tracce. Stiamo ripercorrendo una a
una quelle strade, ma la nostra reale speranza risiede nel DNA.
Sarà questo l'elemento risolutivo, ne sono convinto.»
Il detective ci ha spiegato che sebbene la vittima non sia stata vio-
lentata, si riscontrano elementi che inducono a pensare a un cri-
mine di natura psico-sessuale. Dieci anni or sono il Dipartimento
di Giustizia ha costituito un archivio contenente campioni di DNA
delle persone condannate per reati a sfondo sessuale. Al momento
si sta procedendo a comparare il DNA proveniente dal caso Ver-
loren con tali campioni. Il detective Bosch ritiene probabile che
l'omicidio di Rebecca Verloren non sia un crimine isolato.
«Penso che sia inverosimile che l'assassino abbia commesso que-
sto solo delitto e poi abbia condotto una vita irreprensibile. La na-
tura del reato suggerisce che il soggetto abbia con ogni probabilità
commesso altri crimini. Se fosse stato preso almeno una volta, e il
suo DNA fosse stato inserito nel database, identificarlo sarà solo
una questione di tempo.»
Rebecca fu strappata dalla sua casa e condotta alla morte la notte
del 5 luglio 1988. Per tre giorni la polizia e i membri della comu-
nità la cercarono. Una donna che cavalcava sulla Oat Mountain
trovò il cadavere nascosto dietro un albero caduto. Nonostante gli
investigatori abbiano riscontrato molti particolari, tra cui il fatto
che sei settimane prima di morire Rebecca aveva subito un'inter-
ruzione di gravidanza, la polizia è stata incapace di determinare
chi fosse il killer e come fosse riuscito a intrufolarsi in casa.
Negli anni trascorsi da allora, questo delitto ha lasciato il segno su
molte vite. I genitori della vittima si sono separati e Muriel Ver-
loren non è stata in grado di dirci dove si trovi al momento il ma-
rito, Robert Verloren, un ex ristoratore di Malibu. La donna ha af-
fermato che la disgregazione del loro matrimonio è stata causata
dalla tensione e dal dolore provocati dall'omicidio della figlia.
Uno degli investigatori del caso, Ronald Green, è andato in pen-
sione e qualche anno più tardi si è suicidato. Garcia ha riferito di
essere convinto che il caso di Rebecca Verloren non sia stato e-
straneo alla decisione dell'ex partner di togliersi la vita.
«Ronnie prendeva sempre tutto molto a cuore, e penso che quel
caso lo abbia sempre turbato» ha dichiarato Garcia.
Presso la Hillside Preparatory School, dove Rebecca Verloren era
una studentessa molto popolare, esiste qualcosa che la ricorda in
vita e in morte. Una targa eretta dai compagni di classe campeg-
gia sulla parete del corridoio principale del prestigioso istituto.
«Non dimenticheremo mai una persona come Rebecca» ha dichia-
rato il preside Gordon Stoddard, che insegnava nella scuola quan-
do Rebecca Verloren venne uccisa.
Una delle amiche e compagne di Rebecca attualmente insegna al-
la Hillside. Bailey Koster Sable trascorse la notte con Rebecca so-
lo due giorni prima che la ragazza venisse assassinata. La perdita
la tormenta da allora, e ha confessato di pensare all'amica di con-
tinuo. «Ci penso perché sento che avrebbe potuto succedere a chi-
unque di noi» ci ha detto la professoressa Sable dopo le lezioni di
ieri. «E questo mi induce a pormi sempre la stessa domanda: per-
ché lei?» È la stessa domanda a cui la polizia di Los Angeles spe-
ra di poter dare risposta quanto prima.

Bosch guardò la foto nella pagina interna, dove proseguiva l'articolo.


Mostrava Bailey Sable e Gordon Stoddard in piedi ai lati della targa sulla
parete della Hillside Prep. Anche questo scatto era attribuito a Emerson
Ward. La didascalia diceva: «AMICA E INSEGNANTE: Bailey Sable, ex
compagna di scuola di Rebecca Verloren, e Gordon Stoddard, suo inse-
gnante di scienze. Stoddard, ora preside dell'istituto, ha dichiarato: "Becky
era una brava ragazza. Non sarebbe dovuto succedere"».
Bosch versò del caffè in una tazza e poi rilesse l'articolo mentre sorseg-
giava la sua colazione. Alla fine afferrò euforico il telefono dal bancone e
compose il numero di casa di Kizmin Rider.
La donna rispose con voce impastata.
«Kiz, l'articolo è perfetto. Ci ha messo tutto quello che volevamo.»
«Harry? Che ore sono?»
«Quasi le sette. Siamo in ballo.»
«Harry, dobbiamo lavorare tutta la notte. Cosa ci fai sveglio? Perché mi
telefoni alle sette di mattina?»
Bosch si rese conto dell'errore.
«Mi dispiace. È solo che sono eccitato.»
«Chiamami tra due ore.»
Riagganciò. La voce non aveva un tono gradevole.
Imperterrito, Bosch estrasse un foglio piegato dalla tasca della giacca.
Era il foglio con i numeri che Pratt aveva distribuito durante la riunione
dello staff. Chiamò Tim Marcia al cellulare.
«Sono Bosch» disse. «Siete in posizione?»
«Sì, siamo qui.»
«Si muove qualcosa?»
«Al momento è un vuoto sonnolento. Immaginiamo che se il tizio ha la-
vorato fino a mezzanotte, dormirà fino a tardi.»
«La sua macchina è lì? La Camaro?»
«Sì, Harry, è lì.»
«Okay. Avete letto l'articolo sul giornale?»
«Non ancora. Ma abbiamo due squadre impegnate a stare addosso a Ma-
ckey e Burkhart. Noi tra poco facciamo una pausa e andiamo a prendere un
caffè e il giornale.»
«Va bene. Funzionerà.»
«Speriamo.»
Dopo aver riattaccato, Bosch pensò che finché Mackey o Burkhart non
lasciavano la casa sulla Mariano, ci sarebbe stata una sorveglianza doppia
sul posto. Era uno spreco di tempo e di denaro, ma non vedeva alternative.
Non c'era modo di sapere quando uno dei due soggetti avrebbe lasciato la
casa. Conoscevano molto poco di Burkhart. Non sapevano neppure se a-
vesse un lavoro.
Subito dopo chiamò Renner, nella camera del suono della ListenTech.
Era il detective più anziano della squadra e ne aveva approfittato per otte-
nere per sé e il suo partner il turno diurno nella camera dei suoni.
«Ancora niente?» domandò Bosch.
«Niente, ma sarai il primo a saperlo.»
Bosch lo ringraziò e riagganciò. Consultò l'orologio. Non erano neppure
le sette e mezza e sapeva che la giornata sarebbe stata molto lunga in attesa
che iniziasse il suo turno di sorveglianza. Riempì ancora una volta la tazza
di caffè e guardò di nuovo il giornale. La foto della camera della ragazza
morta lo turbava in una maniera che non era in grado di definire. C'era
qualcosa, ma non capiva cosa. Chiuse gli occhi, contò fino a cinque e li
riaprì, sperando che il trucco potesse riallacciare qualche filo slegato. Ma
la foto non rivelò il proprio segreto. Un senso di frustrazione cominciò a
crescere dentro di lui, quando squillò il telefono.
Era Rider.
«Grandioso, ora non riesco più ad addormentarmi. Farai bene a essere
ben sveglio stasera, Harry, perché io non lo sarò.»
«Mi dispiace, Kiz. Cercherò di non deluderti.»
«Leggimi l'articolo.»
Lo fece, e quando ebbe finito sembrava che Kiz fosse stata contagiata
dalla sua euforia. Sapevano entrambi che l'articolo avrebbe funzionato alla
perfezione e avrebbe provocato la reazione di Mackey. La chiave ora era
assicurarsi che lo vedesse e lo leggesse, e pensavano di avere il piano giu-
sto.
«Okay, Harry, io vado avanti. Ho delle cose da fare oggi.»
«Va bene, Kiz, ci vediamo lassù. Che ne dici se ci incontriamo alle sei
meno un quarto sulla Tampa, un isolato a sud della stazione di servizio?»
«Sarò lì, a meno che non succeda qualcosa prima.»
«Sì, anche io.»
Dopo aver riagganciato, Bosch andò in camera da letto e si infilò dei ve-
stiti puliti nei quali sarebbe stato più comodo durante la sorveglianza not-
turna e che gli sarebbero tornati utili anche per il ruolo che intendeva in-
terpretare con Mackey. Scelse una maglietta bianca che era stata lavata di-
verse volte e si era ristretta, così che le maniche risultavano aderenti e cor-
te sui bicipiti. Prima di metterci sopra una camicia controllò il proprio a-
spetto nello specchio. Una buona metà del teschio sbucava da sotto la ma-
nica e le saette delle SS uscivano dal colletto di cotone.
I tatuaggi sembravano più autentici rispetto alla sera precedente. Si era
fatto la doccia da Vicki Landreth e lei gli aveva detto che l'acqua avrebbe
reso meno nitido l'inchiostro sulla sua pelle, proprio come succedeva con i
tatuaggi che si facevano nelle prigioni. Lo aveva avvertito che l'inchiostro
si sarebbe cancellato dopo due o tre docce e, se ne avesse avuto bisogno,
avrebbe potuto aiutarlo a mantenere il suo look con qualche ritocco. Lui le
aveva detto che non aveva in programma di servirsi dei tatuaggi per più di
un giorno. Avrebbero funzionato o no nel momento in cui avesse inscenato
la commedia.
Infilò una camicia a maniche lunghe sulla maglietta. Si controllò allo
specchio ed ebbe l'impressione che sotto il cotone si intravedesse il te-
schio. La spessa svastica nera sulla fronte traspariva dal tessuto.
Pronto a uscire, anche se mancavano diverse ore, Bosch camminò per
qualche momento nel salotto con passo nervoso, domandandosi cosa fosse
meglio fare. Decise di chiamare la figlia, sperando che la voce dolce della
bambina e la sua allegria potessero regalargli maggiore carica per la gior-
nata.
Prese il numero dell'Intercontinental Hotel di Kowloon da un post-it sul
frigorifero e premette i tasti. Là dovevano essere quasi le otto di sera. Sua
figlia di certo era ancora sveglia. Ma quando la telefonata venne passata
nella camera di Eleanor Wish non ci fu risposta. Si domandò se avesse
sbagliato il calcolo del fuso orario. Forse stava telefonando troppo presto o
troppo tardi.
Dopo sei squilli rispose un centralino automatico che diede a Bosch i-
struzioni in inglese e cantonese per lasciare un messaggio. Lasciò un breve
messaggio sia per Eleanor sia per la figlia e riagganciò.
Non volendo fissarsi sulla bambina o sul pensiero di dove fosse, Bosch
aprì il fascicolo del delitto e cominciò a riesaminarne il contenuto, alla ri-
cerca di qualche dettaglio che poteva essergli sfuggito. Nonostante tutto
quello che aveva appreso sul caso e su come era stato manipolato dal pote-
re, credeva ancora nel fascicolo. Credeva che le risposte si trovassero sem-
pre nei particolari.
Terminò la lettura e stava per prendere una copia del documento sulla li-
bertà vigilata di Mackey quando pensò a un dettaglio e chiamò Muriel
Verloren. Era a casa.
«Ha visto l'articolo sul giornale?» domandò.
«Sì, vederlo mi ha reso così triste.»
«Perché?»
«Perché tutto mi sembra così reale. Avevo cercato di rimuovere i ricor-
di.»
«Mi dispiace, ma ci aiuterà. Glielo prometto. Sono felice che lei l'abbia
fatto. Grazie.»
«Voglio tentare tutto quello che può essere utile.»
«Grazie, Muriel. Senta, desidero dirle che ho rintracciato suo marito. Ho
parlato con lui ieri mattina.»
Ci fu un lungo silenzio prima che la donna rispondesse.
«Davvero? Dov'è?»
«Sulla Fifth Street. Gestisce una mensa per i senzatetto. Serve le cola-
zioni. Si chiama Metro Shelter. Pensavo che volesse saperlo.»
Ancora un silenzio. Bosch immaginò che volesse fargli qualche doman-
da e aspettò.
«Intende dire che lavora lì?»
«Sì. È sobrio adesso. Da tre anni ormai, così dice. Credo che la prima
volta sia andato lì per ottenere un pasto e che, in un certo senso, abbia fatto
carriera. È il responsabile della cucina. E il cibo è buono. Ci ho mangiato
ieri.»
«Capisco.»
«Uhm, ho un numero che mi ha dato. Non è una linea diretta. Non ha il
telefono nella stanza. Ma si trova in cucina, e lui è lì di mattina. Ha detto
che dopo le nove il lavoro si calma.»
«Okay.»
«Vuole il numero, Muriel?»
Questa domanda fu seguita dal silenzio più lungo di tutti. Alla fine fu lo
stesso Bosch a rispondere.
«Sa cosa le dico, Muriel? Io conservo il numero, e se mai desiderasse
averlo, non deve fare altro che chiamarmi. Va bene così?»
«Mi sembra che vada bene, detective. Grazie.»
«Nessun problema. Ora devo andare. Speriamo che oggi salti fuori qual-
cosa.»
«La prego, mi chiami.»
«Sarà la prima telefonata che farò.»
Dopo aver riagganciato, Bosch si rese conto che parlare di cibo gli aveva
messo appetito. Ora era quasi mezzogiorno e non aveva mangiato niente
dopo la bistecca da Musso della sera prima. Decise che sarebbe andato in
camera da letto a riposare un po' e poi avrebbe pranzato tardi prima di pre-
sentarsi per il turno di sorveglianza. Sarebbe andato da Dupar's a Studio
City. Era lungo la strada per Northridge. I pancake erano il cibo perfetto
per gli appostamenti. Avrebbe ordinato una montagna di pancake imburrati
che si sarebbero sistemati in fondo allo stomaco come cemento e gli a-
vrebbero dato una sensazione di sazietà per tutta la notte, se fosse stato ne-
cessario.
Nella stanza da letto si sdraiò supino e chiuse gli occhi. Cercò di pensare
al caso, ma la mente vagò a quel tempo ubriaco in cui si era fatto tatuare il
braccio in un antro sudicio a Saigon. Mentre scivolava nel sonno ricordò
l'uomo con l'ago, il suo sorriso e l'odore del suo corpo. Rammentò che
l'uomo aveva detto: «Sei sicuro? Ricordati che rimarrai segnato per sem-
pre».
Bosch aveva ricambiato il sorriso e aveva risposto: «Lo sono già».
Poi nel sogno il volto sorridente dell'uomo si tramutò nel viso di Vicki
Landreth. Aveva il rossetto sbavato sulla bocca. Reggeva un ago da ta-
tuaggi ronzante.
«Sei pronto, Michael?»
«Io non sono Michael.»
«Va tutto bene. Non importa chi sei. Tutti quanti si scansano dall'ago,
ma nessuno se ne va!»

28

Kiz Rider era già nel luogo dell'incontro quando arrivò Bosch. Uscì
dall'auto e portò il fascicolo del delitto e gli altri documenti alla macchina
di lei, una Taurus bianca poco appariscente.
«C'è posto nel bagagliaio?» domandò prima di salire.
«È vuoto. Perché?»
«Aprilo. Mi sono dimenticato di lasciare a casa la ruota di scorta.»
Tornò alla sua auto, un SUV Mercedes-Benz, tirò fuori la ruota di scorta
e la trasferì nel bagagliaio della Rider. Si servì di un cacciavite che prese
dalla cassetta degli attrezzi per rimuovere le targhe e le infilò a loro volta
nel bagagliaio. A quel punto salì e percorsero la Tampa verso il centro
commerciale di fronte alla stazione di servizio dove lavorava Mackey. La
squadra diurna, Marcia e Jackson, li attendeva nel parcheggio.
Lo spazio accanto alla loro auto era libero e Rider vi si infilò. Abbassa-
rono i finestrini per poter parlare e trasferire le ricetrasmittenti senza dover
scendere dall'auto. Bosch prese le radio, ma sapeva che lui e Rider non le
avrebbero usate.
«Allora?» domandò Bosch.
«Allora niente» disse Jackson. «A quanto pare stiamo trivellando un
pozzo asciutto, Harry.»
«Proprio niente?» domandò Rider.
«Non è successo assolutamente nulla che possa far pensare che Mackey
o qualcuno che conosce abbia visto il giornale. Abbiamo verificato una
ventina di minuti fa, questo tizio non ha ricevuto neppure una telefonata,
altro che conversazioni sull'argomento. Da quando è in servizio non ci so-
no state neanche chiamate per il carro attrezzi.»
Bosch annuì. Non era ancora preoccupato. A volte le cose avevano biso-
gno di una spintarella. Ed era quello che era pronto a fare.
«Spero che tu abbia un buon piano, Harry» intervenne Marcia ad alta
voce. Era al posto di guida, distante da Bosch che si trovava dal lato del
passeggero dell'auto di Rider.
«Potete trattenervi ancora un po'?» replicò Bosch. «Non serve aspettare
ancora se non è successo niente. Sono pronto a mettermi in movimento.»
Jackson annuì.
«Per me è lo stesso» disse. «Hai bisogno che ti copriamo le spalle?»
«Ne dubito. Ho solo intenzione di andare a piantare un seme. Ma non si
sa mai. Male non farebbe.»
«Va bene. Ti daremo un'occhiata. Per ogni evenienza, che segnale userai
per avvisarci?»
Bosch non ci aveva pensato.
«Immagino che suonerò il clacson» disse. «Oppure sentirete gli spari.»
Sorrise, tutti annuirono. Rider mise in moto e tornò sulla Tampa verso la
macchina di Bosch.
«Sei sicuro di quello che fai?» domandò Rider mentre si fermava accan-
to alla Mercedes.
«Sono sicuro.»
Lungo la strada Bosch aveva notato che la partner aveva portato con sé
una voluminosa cartelletta a soffietto, che aveva depositato in mezzo ai
due sedili.
«Cos'è quella?»
«Visto che mi hai svegliata presto, ho deciso di mettermi all'opera. Ho
rintracciato gli altri cinque membri degli Otto di Chatsworth.»
«Ottimo lavoro. Qualcuno di loro è ancora da queste parti?»
«Due sono ancora in giro. Ma pare che siano cresciuti e abbiano perso la
loro cosiddetta impulsività giovanile. Niente precedenti. Hanno dei lavori
decenti.»
«E gli altri?»
«L'unico che sembra credere ancora nella causa è un tizio di nome Frank
Simmons. Si trasferì qui dall'Oregon quando andava alle superiori. Un paio
di anni dopo si unì agli Otto. Ora vive a Fresno. Ma si è fatto due anni a
Obispo per aver venduto delle mitragliatrici.»
«Potrebbe tornarmi utile. Quando c'è stato?»
«Aspetta un secondo.»
Aprì il file e scavò finché non tirò fuori una busta commerciale con so-
pra il nome di Frank Simmons. La aprì e mostrò a Bosch una foto segnale-
tica di Simmons.
«Sei anni fa» disse.
Bosch esaminò la foto, sforzandosi di memorizzare i dettagli della figura
di Simmons. Aveva i capelli neri tagliati corti e gli occhi scuri. La pelle era
molto chiara e il volto segnato dalle cicatrici dell'acne. Cercava di masche-
rarle con un pizzetto che aveva anche lo scopo di farlo apparire più duro.
«Dov'è stato arrestato, qui?»
«No a Fresno. A quanto pare si è trasferito dopo i problemi che c'erano
stati da queste parti.»
«A chi vendeva le mitragliatrici?»
«Ho chiamato l'ufficio dell'FBI di laggiù, ho parlato con un agente. Non
ha voluto collaborare con me prima di aver controllato le mie credenziali.
Sto ancora aspettando che mi richiami.»
«Grandioso.»
«Ho la sensazione che l'interesse del bureau per il signor Simmons sia
ancora vivo, e che l'agente non fosse in vena di condividere le informazio-
ni.»
Bosch annuì.
«Dove viveva Simmons all'epoca del delitto Verloren?»
«Non lo so. Era uno dei più giovani, perciò con tutta probabilità viveva
con i genitori. L'AutoTrack non lo ha rintracciato prima del '90. Ma allora
era già a Fresno.»
«Perciò, a meno che i suoi genitori non si siano trasferiti dopo quella
storia, è molto probabile che si trovasse ancora nella Valley.»
«È possibile.»
«Okay, è una buona cosa, Kiz. Potrebbe tornarmi utile. Seguimi fino al
Balboa Park accanto alla Woodley. Penso che sia un buon punto. C'è un
campo da golf con il parcheggio. Ci saranno un mucchio di auto. Potrete
parcheggiare lassù, e da lì coprirmi le spalle. Okay?»
«Okay.»
«Dillo agli altri.»
Tirò fuori il distintivo, le manette e la pistola d'ordinanza e posò tutto sul
pavimento dell'auto.
«Harry, hai un'arma di riserva?»
«Ho te, no?»
«Dico sul serio.»
«Sì, Kiz, ho una piccola automatica alla caviglia. Andrà tutto bene.»
Scese dall'auto di Rider e salì sulla sua. Sulla strada verso il parcheggio,
ripassò la messinscena. Era pronto, si sentiva euforico.
Dieci minuti più tardi si fermò sulla strada sotto il parcheggio, spense il
motore e scese dall'auto. Andò al lato anteriore destro, aprì la valvola e fe-
ce uscire l'aria dalla ruota. Siccome sapeva che alcuni carri attrezzi erano
equipaggiati con un dispositivo per l'aria compressa, aprì il coltello a ser-
ramanico e tagliò il cannello della valvola. La gomma avrebbe dovuto es-
sere riparata, non gonfiata.
Pronto a mettersi in azione, aprì il cellulare e chiamò la stazione di ser-
vizio dove lavorava Mackey. Disse che aveva bisogno di un carro attrezzi
e venne messo in attesa. Passò un minuto buono prima che un'altra voce
arrivasse in linea. Roland Mackey.
«Posso esserle utile?»
«Mi serve un carro attrezzi. Ho una gomma a terra e la valvola mi sem-
bra sputtanata.»
«Che tipo di macchina è?»
«Un SUV Mercedes nero.»
«E la ruota di scorta?»
«Me l'ha rubata qualche negro, me l'hanno fregata la settimana scorsa
quando ero a South-Central.»
«Che peccato. Non doveva andarci.»
«Non avevo scelta. Mi può trainare o no?»
«Okay, okay. Dove si trova?»
Bosch glielo disse. Era abbastanza vicino e questa volta Mackey non
cercò di convincerlo a chiamare qualcun altro.
«Va bene, dieci minuti» disse Mackey. «Si faccia trovare accanto alla
macchina quando arrivo.»
«Non saprei dove altro andare.»
Bosch chiuse il telefono e aprì il portellone posteriore del SUV. Si sfilò
la camicia dai pantaloni e poi se la tolse. Ora i nuovi tatuaggi erano par-
zialmente in mostra. Si sedette sul paraurti posteriore e attese. Due minuti
più tardi gli squillò il cellulare.
Era Kiz Rider.
«Harry, sono riusciti a trasferirmi la chiamata dalla ListenTech. Mi sei
sembrato credibile.»
«Bene.»
«Ho appena parlato con i ragazzi. Mackey si sta muovendo. Loro lo se-
guono.»
«Okay, sono pronto.»
«Rimpiango di non averti messo addosso un microfono. Non si sa mai
cosa ti dirà quel tizio.»
«Sarebbe stato troppo rischioso, sono in maglietta. Comunque, le chance
che il tizio dica a un estraneo che è stato lui a uccidere la ragazza non sono
di più di quelle che avrei di vincere la lotteria comprando un solo bigliet-
to.»
«Immagino.»
«Devo andare, Kiz.»
«Buona fortuna, Harry. Sii prudente.»
«Come al solito.»
Chiuse il telefono.

29

Il carro attrezzi rallentò mentre si avvicinava alla Mercedes. Bosch sol-


levò lo sguardo, era ancora seduto sul paraurti posteriore, all'ombra del
portellone, e leggeva il Daily News. Agitò il giornale in direzione del gui-
datore del carro attrezzi e si alzò. Il furgone raggiunse l'auto e si sistemò
dietro alla Mercedes. L'autista scese. Era Roland Mackey.
Mackey indossava guanti di pelle macchiati di grasso nero sui palmi.
Non fece neanche un cenno a Bosch, girò attorno alla Mercedes e guardò
la ruota sgonfia. Quando Bosch lo raggiunse, sempre con il giornale in
mano, Mackey si accovacciò e studiò la valvola. Allungò una mano e la
piegò in avanti e indietro, scoprendo il taglio.
«Sembra quasi che sia stata tagliata.»
«Magari un vetro sulla strada o qualcosa del genere» suggerì Bosch.
«E niente ruota di scorta. Che sfiga.»
Alzò lo sguardo su Bosch, strizzando gli occhi alla luce del sole che co-
minciava a calare dietro Harry.
«Non me lo dica» rispose Bosch.
«Be', posso rimorchiarla all'officina, il mio collega le sostituirà la valvo-
la. Ci vorranno una quindicina di minuti dopo che saremo arrivati al gara-
ge.»
«D'accordo.»
«È socio della Tripla A o ha l'assicurazione?»
«No, pago in contanti.»
Mackey disse che il traino sarebbe costato ottantacinque dollari, più tre
dollari per ogni chilometro. L'addebito per la sostituzione della valvola sa-
rebbe stato di altri venticinque dollari per la manodopera più il costo della
valvola.
«D'accordo» ripeté Bosch.
Mackey si alzò e guardò Bosch. Parve fissargli subito il collo e poi di-
stogliere lo sguardo. Non disse niente riguardo ai tatuaggi.
«Dovrebbe chiudere il portellone posteriore» disse invece. «A meno che
non voglia che le caschi fuori tutto durante il tragitto.»
Sorrise. Un po' di umorismo da autista di carro attrezzi.
«Prendo la camicia e chiudo» disse Bosch. «Va bene se salgo con lei?»
«Se non preferisce chiamare un taxi per viaggiare con più classe.»
«Preferisco viaggiare con qualcuno che parla l'inglese.»
Mackey rise sguaiatamente mentre Bosch girava dietro l'auto. Il detecti-
ve rimase in piedi in disparte mentre Mackey eseguiva le procedure per
agganciare il veicolo. Dopo un po' si accostò al carro attrezzi e tirò una le-
va che sollevò la parte anteriore del SUV. Quando Mackey ritenne che l'al-
tezza fosse sufficiente, controllò tutte le catene e le bardature e disse che
era pronto ad andare. Bosch salì sul carro attrezzi con la camicia appoggia-
ta al braccio e il giornale in mano. Lo aveva piegato in modo che la foto di
Rebecca Verloren fosse ben visibile.
«Questo affare ha l'aria condizionata?» domandò poi, e chiuse la portie-
ra. «Mi son fatto una cazzo di sudata là fuori.»
«Siamo in due. Avrebbe dovuto rimanere in macchina con l'aria condi-
zionata accesa mentre mi aspettava. Questo pezzo di merda non ha l'aria
condizionata in estate né il riscaldamento in inverno. È un po' come la mia
ex moglie.»
Ancora umorismo da carro attrezzi, immaginò Bosch. Mackey gli porse
una cartelletta con un modulo e una penna.
«Compili questo» disse. «Poi siamo a posto.»
«Okay.»
Bosch cominciò a compilare il modulo con il nome e l'indirizzo falsi che
aveva scelto prima di muoversi. Mackey prese un microfono dal cruscotto
e ci parlò dentro.
«Ehi, Kenny?»
Qualche momento dopo ci fu una risposta.
«Procedi.»
«Dì a Spider di non andarsene» disse Mackey. «Sto portando uno pneu-
matico che ha bisogno della valvola nuova.»
«Non sarà contento. Si è già lavato.»
«Tu diglielo. Passo.»
Mackey ripose il microfono sul sostegno.
«Pensa che resterà?» domandò Bosch.
«Le conviene sperarlo, altrimenti dovrà aspettare domani per farsi ag-
giustare la ruota.»
«Non posso. Devo rimettermi in strada.»
«Sì? Dove va?»
«Barstow.»
Mackey avviò il motore e si voltò sulla sinistra per guardare fuori dal fi-
nestrino posteriore e assicurarsi che fosse tutto a posto e uscire dal par-
cheggio.
Da quella posizione non poteva vedere Bosch, che si arrotolò con un ge-
sto rapido la manica della maglietta in modo che metà del teschio fosse vi-
sibile.
Il carro attrezzi si immise sulla strada. Bosch guardò fuori dal finestrino
e vide le auto di Rider e dell'altra squadra della sorveglianza nel parcheg-
gio del campo da golf. Appoggiò il gomito al finestrino ancora aperto e la
mano sulla parte superiore della cornice. Senza farsi vedere da Mackey,
riuscì a rivolgere il pollice levato verso i suoi angeli custodi.
«Che c'è a Barstow?» domandò Mackey.
«Casa, tutto qui, vado a casa stasera.»
«Cosa ci faceva da queste parti?»
«Questo e quello.»
«E South-Central? Che ci faceva laggiù con quella gente la settimana
scorsa?»
Bosch capì che l'espressione quella gente si riferiva alla minoranza pre-
dominante nella zona sud di Los Angeles. Si voltò e guardò Mackey con
intenzione, come a volergli dire che faceva troppe domande.
«Questo e quello» ripeté, inespressivo.
«Grande» disse Mackey, e tolse la mano dal volante per fare un gesto
come a indicare che si tirava indietro.
«Ti dirò una cosa, però, non importa cosa ero lì a fare, ti puoi tenere
questa merda di città.»
Mackey sorrise.
«So cosa intendi» disse.
Bosch considerò che fossero pronti a condividere qualcosa di più che
qualche chiacchiera. Era convinto che Mackey avesse buttato l'occhio sui
tatuaggi e stesse tentando di farsi una idea su di lui. Pensò che fosse il
momento per un'altra mossa e per accennare all'articolo.
Bosch posò il giornale sul sedile in mezzo a loro, assicurandosi che la
foto di Rebecca Verloren fosse ancora ben in vista. Poi cominciò a infilarsi
la camicia. Per farlo, si chinò in avanti e allungò il braccio. Non guardò
Mackey, ma sapeva che il teschio sul bicipite sinistro era ben in vista. Infi-
lò prima il braccio destro, poi portò la camicia dietro la schiena e infilò il
sinistro. Si appoggiò indietro e cominciò ad abbottonarsi.
«C'è un po' troppo terzo mondo da queste parti per i miei gusti» disse
Bosch.
«Sono con te su questo.»
«Sì? Sei di queste parti?»
«C'ho vissuto per tutta la vita.»
«Be', amico, dovresti prendere la tua famiglia - se ne hai una - e la ban-
diera e partire. Lasciare questo posto del cazzo.»
Mackey rise e annuì.
«Ho un amico che dice la stessa cosa. Di continuo.»
«Già, be', non è un'idea molto originale.»
«L'hai detto.»
A quel punto la radio interruppe per un momento la conversazione.
«Ehi, Ro?»
Mackey prese il microfono.
«Sì, Ken?»
«Faccio un salto a prendere del pollo fritto mentre Spider ti aspetta.
Vuoi qualcosa?»
«Naaa, uscirò più tardi. Chiudo.»
Riappese il microfono. Viaggiarono in silenzio per qualche momento
mentre Bosch cercava di pensare a un modo naturale per riavviare la con-
versazione nella giusta direzione. Erano quasi a Tampa. Mackey aveva
percorso il Burbank Boulevard e aveva girato a destra. Dopo un'altra svolta
a destra, ci sarebbe stato solo un ultimo rettilineo fino alla stazione di ser-
vizio. In meno di dieci minuti il viaggio sarebbe finito.
Ma fu Mackey a riprendere l'argomento.
«Allora, dove l'hai scontata?» domandò senza preavviso.
Bosch attese un momento per non lasciar trapelare l'eccitazione.
«Di cosa parli?» domandò.
«Ho visto i tatuaggi. Non è così difficile. O te li sei fatti in casa o te li sei
fatti in prigione. È evidente.»
Bosch annuì.
«Obispo. Ho passato un po' di tempo lassù.»
«Sì? Per cosa?»
Bosch si voltò e lo guardò di nuovo.
«Questo e quello.»
Mackey annuì, a quanto pareva non si era lasciato scoraggiare dalla ri-
luttanza ad aprirsi del passeggero.
«Fico, amico. Conoscevo un tizio che c'è stato per un po'. Alla fine dei
Novanta. Mi disse che non era male. È una specie di posto da colletti bian-
chi. Quantomeno non ci sono tanti negri come in altre prigioni.»
Bosch rimase in silenzio per un lungo istante. Sapeva che Mackey aveva
scelto quell'espressione razzista come una sorta di parola d'ordine. Se
Bosch avesse risposto nel modo giusto, sarebbe stato accettato.
Era una questione di codici.
«Già» disse Bosch, annuendo. «Questo rendeva le condizioni un po' più
vivibili. È probabile che il tuo amico me lo sia perso. Io sono uscito all'ini-
zio del '98.»
«Frank Simmons. Si chiama così. C'è rimasto solo per diciotto mesi, o
giù di lì. Era di Fresno.»
«Frank Simmons di Fresno» disse Bosch, come se cercasse di ricordare
il nome. «Non penso di averlo conosciuto.»
«È un tipo a posto.»
Annuì.
«C'era un tizio, era entrato qualche settimana prima che uscissi io» disse.
«Avevo sentito dire che era di Fresno. Ma, ragazzi, io ero alla fine e non
mi andava di incontrare gente nuova, sai cosa intendo.»
«Sì, certo. Mi chiedevo solo, sai.»
«Il tuo amico aveva i capelli scuri e un sacco di cicatrici dell'acne, roba
del genere?»
Mackey cominciò a sorridere e annuire.
«È lui! È Frank. Lo chiamavamo Crater Face, faccia da cratere.»
«Chissà come era felice.»
Il carro attrezzi svoltò sulla Tampa e puntò a nord. Bosch sapeva che a-
vrebbe avuto ancora un po' di tempo con Mackey alla stazione di servizio,
mentre veniva aggiustata la ruota, ma non poteva farci conto. Avrebbe po-
tuto esserci un'altra chiamata, miriadi di distrazioni diverse. Doveva porta-
re a termine la messinscena e piantare il seme subito, mentre era solo con il
bersaglio. Prese il giornale e se lo appoggiò sulle ginocchia. Abbassò lo
sguardo, come se leggesse i titoli. Doveva immaginare un modo per far
cadere in modo naturale la conversazione sull'articolo.
Mackey staccò la mano destra dal volante e si sfilò il guanto tenendo un
dito tra i denti. Bosch pensò che sembrava proprio un bambino. Mackey
allungò la mano e la porse a Bosch.
«A proposito, io sono Ro.»
Bosch gli strinse la mano.
«Ro?»
«È l'abbreviazione di Roland. Roland Mackey. Piacere di conoscerti.»
«George Reichert» disse Bosch, pronunciando il nome su cui aveva me-
ditato con cura quello stesso pomeriggio.
«Reichert?» disse Mackey. «Tedesco, giusto?»
«Significa cuore del reich.»
«Che figata. E immagino che questo spieghi la Mercedes. Sai, io ho a
che fare con le macchine per tutto il cazzo di giorno. Puoi dire un mucchio
di cose delle persone dalle macchine che usano e da come se ne prendono
cura.»
«Suppongo di sì.»
Bosch annuì. Ora vedeva la meta a portata di mano. Ancora una volta
Mackey lo aveva aiutato senza rendersene conto.
«Meccanica tedesca» disse Bosch. «I migliori fottuti costruttori di mac-
chine del mondo. Tu cosa guidi quando non sei al lavoro?»
«Sto sistemando una Camaro del '72. Sarà un dolce viaggiare quando a-
vrò finito.»
«Anno buono» suggerì Bosch.
«Già, ma non comprerei niente uscito da Detroit di questi tempi. Lo sai
chi fa le nostre macchine adesso? Tutta quella cazzo di gente color fango.
Io non ne guiderei una, figuriamoci se ci metterei sopra la mia famiglia.»
«In Germania,» rispose Bosch «vai in una fabbrica e tutti quanti hanno
gli occhi azzurri, sai cosa intendo? Ho visto delle foto.»
Mackey annuì pensieroso. Bosch si convinse che fosse giunto il momen-
to di azzardare una mossa diretta. Dispiegò il giornale sulle ginocchia. Lo
sollevò in modo che tutta la prima pagina, e l'intero articolo sui Verloren,
fosse ben in vista.
«A proposito di gente color fango» disse. «Hai letto questo articolo?»
«No, cosa dice?»
«Parla di questa madre che se ne sta seduta sul letto a piagnucolare per
la morte della figlia color fango che è stata uccisa diciassette anni fa. E la
polizia è ancora sul caso. Ma dico, a chi frega, ragazzi?»
Mackey lanciò un'occhiata al giornale e vide la foto con il primo piano
di Rebecca Verloren. Non disse nulla, e il viso non tradì alcun segno di ri-
conoscimento. Bosch abbassò il giornale, per non essere troppo esplicito.
Lo ripiegò e lo gettò sul sedile tra di loro. Spinse ancora oltre la conversa-
zione.
«Voglio dire, mescoli le razze in quel modo e cosa pretendi di ottenere?»
«Esatto» disse Mackey.
Non era una risposta molto decisa. Pareva quasi esitante, come se l'uomo
stesse pensando a qualcos'altro. Bosch lo prese come un buon segno. Forse
Mackey aveva già sentito quel dito gelato che gli correva lungo la spina
dorsale. Forse era la prima volta in diciassette anni.
Bosch decise di aver sparato il suo colpo migliore. Se avesse cercato di
aggiungere altro, avrebbe potuto varcare la soglia, cadere nell'ovvietà, tra-
dirsi. Scelse di rimanere in silenzio per il resto del tragitto, e Mackey parve
fare altrettanto.
Qualche isolato più avanti, il guidatore si spostò sulla corsia di sinistra
per aggirare una Pinto che procedeva lenta.
«Ci credi che ci sono ancora 'sti affari in giro?» disse.
Mentre superavano la piccola automobile, Bosch vide dietro il volante
un uomo dai tratti asiatici. Pensò che dovesse essere cambogiano.
«Figuriamoci» commentò Mackey quando vide il guidatore. «Guarda
questo.»
Sterzò per tornare nella corsia originaria, stringendo la Pinto tra il carro
attrezzi e una fila di auto parcheggiate lungo il marciapiede. Il guidatore
della Pinto non ebbe altra alternativa che frenare di colpo. Le risate di Ma-
ckey si mescolarono con il debole latrato del clacson della Pinto.
«Vaffanculo!» urlò Mackey. «Torna sulla tua barca del cazzo!»
Guardò Bosch in cerca di un cenno di approvazione, Bosch sorrise. Era
parecchio che non trovava così difficile fare qualcosa.
«Ehi, amico, è con la mia macchina che hai quasi colpito quel tizio» dis-
se, in tono canzonatorio.
«Ehi, sei stato in Vietnam?» domandò Mackey.
«Perché?»
«Perché sì, amico. C'eri, vero?»
«E allora?»
«Allora, cazzo, avevo un amico che c'è stato. Mi ha detto che laggiù in-
cenerivano i gialli come niente. Una dozzina per colazione e un'altra doz-
zina a pranzo. Mi sarebbe piaciuto essere laggiù, è tutto quello che posso
dire.»
Bosch distolse lo sguardo, fissò fuori dal finestrino. L'affermazione di
Mackey gli forniva un'apertura per domandargli delle armi, chiedergli se
avesse mai ucciso qualcuno. Ma non se la sentì. Tutto d'un tratto desidera-
va solo allontanarsi da quell'uomo.
Ma Mackey continuava a parlare.
«Ho cercato di firmare per la Guerra del Golfo - la prima - ma non mi
hanno preso.»
Bosch si riprese un po' e ripartì.
«Perché no?»
«Non lo so. Penso che avessero bisogno di lasciare spazio a qualche ne-
gro.»
«O magari avevi dei precedenti penali.»
Bosch era tornato a guardarlo mentre lo diceva. All'improvviso temette
di aver usato un tono troppo accusatorio. Mackey si voltò e resse il suo
sguardo per quanto poté, prima di dover riportare gli occhi sulla strada.
«Ho dei precedenti, ragazzi, sai che me ne fotte. Gli avrei comunque fat-
to comodo laggiù.»
La conversazione morì lì, dopo pochi isolati entrarono nella stazione di
servizio.
«Non penso che ci sarà bisogno di portarla nel garage» disse Mackey.
«Spider può togliere la ruota mentre ce l'ho ancora agganciata. Faremo in
fretta.»
«Come vuoi tu» disse Bosch. «Sei sicuro che non sia ancora andato vi-
a?»
«No, quello laggiù è lui.»
Quando il carro attrezzi arrivò accanto alla campata doppia del garage,
un uomo emerse dall'ombra e si diresse verso la parte posteriore del furgo-
ne. Reggeva in una mano la pistola per i dadi degli pneumatici e con l'altra
tirava il tubo dell'aria. Bosch intravide la ragnatela tatuata sul collo. Blu
prigione. Qualcosa nel viso dell'uomo gli risultò subito familiare. In un re-
pentino istante di terrore pensò di conoscerlo, di aver avuto a che fare con
lui come poliziotto. Magari lo aveva arrestato o interrogato in passato, for-
se addirittura era stato lui a spedirlo in quella prigione dove si era fatto ta-
tuare la ragnatela.
Bosch capì subito che doveva stare alla larga da quel tizio chiamato Spi-
der, ragno. Estrasse il telefono dalla cintura.
«Ti sta bene se rimango seduto qui a fare qualche telefonata?» domandò
a Mackey, che scendeva dal furgone.
«Sì, fai pure. Non ci vorrà molto.»
Mackey chiuse lo sportello e lasciò Bosch da solo. Mentre sentiva l'avvi-
tatore che cominciava ad allentare i dadi della ruota del SUV, Bosch solle-
vò il finestrino e chiamò il cellulare di Rider.
«Come sta andando?» domandò lei senza salutare.
«Andava bene finché non siamo arrivati alla stazione di servizio» disse
Bosch sottovoce. «Penso di aver già visto il meccanico da qualche parte.
Se dovesse riconoscermi sarebbe un guaio.»
«Intendi che potrebbe sapere che sei un poliziotto?»
«Esatto.»
«Merda.»
«Esatto.»
«Cosa vuoi che facciamo? Tim e Rick sono ancora in giro.»
«Chiamali e digli cosa sta succedendo. Digli di tenere gli occhi aperti
finché non ho finito. Rimarrò sul carro attrezzi fino a quando potrò. Se
tengo il telefono sollevato come se stessi parlando, posso fare in modo che
non mi veda in faccia.»
«Okay.»
«Spero solo che Mackey non mi voglia presentare. Penso di aver fatto
colpo. Potrebbe volersi vantare di me.»
«Okay, Harry, rimani calmo, se sarà necessario interverremo...»
«Non sono preoccupato per me. Sono preoccupato per la messinscena...»
«Ehi, si avvicina.»
Proprio mentre Rider pronunciava l'ammonimento, si sentì un colpo sec-
co sul finestrino. Bosch abbassò il telefono e si voltò. Vide Mackey che lo
fissava. Tirò giù il finestrino.
«Fatto» disse.
«Di già?»
«Già. Puoi venire in ufficio a pagare mentre Spider ti rimonta la ruota.
Tra un paio d'ore sarai a casa.»
«Grande.»
Tenendo il telefono accanto all'orecchio sinistro, Bosch scese dal carro
attrezzi e raggiunse l'ufficio, senza mai permettere a Spider di guardarlo in
volto. Mentre camminava continuò a parlare con Rider.
«Tra poco ho finito» disse.
«Bene» disse lei. «Il tizio in questione ti sta montando la ruota. Stai at-
tento mentre te ne vai.»
«Lo farò.»
Quando raggiunse il piccolo ufficio, Bosch chiuse il telefono. Mackey
era seduto dietro un tavolo sporco e disordinato. Impiegò diversi secondi
per sommare il prezzo del traino con quello della riparazione della gomma.
«Fanno centoventicinque giusti» disse. «Sei chilometri di traino e la val-
vola sono tre deca.»
Bosch si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania e tirò fuori una maz-
zetta di banconote ripiegate.
«Posso avere una ricevuta?»
Mentre contava sei biglietti da venti e uno da cinque, sentì da fuori il
rumore dell'avvitatore. Spider aveva quasi finito. Porse il denaro, ma Ma-
ckey era occupato a guardare un appunto sulla scrivania. Lo sollevò con
un'angolazione che permise a Bosch di leggerlo.

Ro, ha chiamato la Visa per avere conferma del tuo impiego.

Bosch lo lesse in pochi secondi, ma Mackey fissò a lungo l'appunto pri-


ma di posarlo sulla scrivania e prendere i soldi. Infilò le banconote in un
cassetto, dove cominciò a frugare in cerca di un blocchetto delle ricevute.
Ci impiegò parecchio tempo.
«Di solito è Kenny che fa le ricevute» disse. «Ed è andato a prendersi un
po' di pollo.»
Bosch stava per dire che non importava, quando sentì alle sue spalle un
rumore di passi, qualcuno era entrato nell'ufficio. Non si voltò, nel caso si
trattasse di Spider.
«Okay, Ro, ho fatto. Devi solo tirarla giù.»
Bosch sapeva che era il momento della resa dei conti. Mackey avrebbe
potuto presentarlo o no.
«Va bene, Spider» disse Mackey.
«Allora me ne vado.»
«Okay, amico, grazie di essere rimasto. Ci becchiamo domani.»
Spider lasciò l'ufficio senza che Bosch si voltasse. Mackey trovò quello
che cercava nel cassetto centrale e ci scarabocchiò sopra qualcosa. Porse
un foglietto a Bosch. Era una ricevuta in bianco. Aveva scritto in basso
«125$» con una calligrafia da bambino.
«Puoi compilarla tu» disse Mackey mentre si alzava. «Ti vado a tirare
giù la macchina, così te ne puoi andare.»
Bosch lo seguì fuori, si era reso conto di aver abbandonato il giornale sul
sedile del carro attrezzi. Si domandò se fosse meglio lasciarlo lì oppure
con una scusa tornare nell'abitacolo a prenderlo per portarlo nell'ufficio
dove sapeva che Mackey guardava la televisione durante i momenti di cal-
ma del turno.
Decise di lasciarlo dov'era. Aveva piantato il seme nel migliore dei mo-
di. Ora era arrivato il momento di fare un passo indietro e vedere cosa sa-
rebbe cresciuto da quel seme.
Adesso la Mercedes non era più sul carro attrezzi. Bosch girò dal lato
del guidatore. Mackey stava sistemando gli arnesi nella parte posteriore
del furgone.
«Grazie, Roland» disse Bosch.
«Solo Ro, amico» rispose Mackey. «Sta' in campana. E fatti un favore,
gira alla larga da South-Central.»
«Non preoccuparti per me» disse Bosch. «Lo farò.»
Mackey sorrise e strizzò l'occhio mentre si toglieva di nuovo i guanti e
porgeva la mano a Bosch. Bosch gliela strinse e restituì il sorriso. Abbassò
lo sguardo e vide una piccola cicatrice bianca sulla parte carnosa tra il pol-
lice e l'indice della mano destra di Mackey. Il tatuaggio di una Colt calibro
45.
«Ci becchiamo» disse.
30

Bosch guidò fino al punto in cui aveva incontrato Rider all'inizio del
turno di sorveglianza, la partner era lì ad aspettarlo. Parcheggiò e salì sulla
Taurus.
«Ci sei andato vicino» disse Rider. «È saltato fuori che forse conoscevi
davvero quel tizio. Jerry Townsend. Ti dice niente? Quando è andato via
abbiamo passato al computer la targa del suo pick-up e lo abbiamo identi-
ficato.»
«Jerry Townsend? No, il nome non mi dice niente. Ho solo riconosciuto
il viso.»
«È stato condannato per omicidio colposo nel '96. Si è fatto cinque anni.
Pare che si trattasse di un caso di violenza domestica, ma è tutto quello che
sono riusciti a tirare fuori dal computer. Scommetto che se prendessimo in
mano i documenti ci troveremmo il tuo nome. Per questo lo hai riconosciu-
to.»
«Pensi che sia collegato al nostro caso?»
«Ne dubito. L'unica certezza è che chiunque sia il proprietario di quella
stazione di servizio, non si fa problemi ad assumere ex detenuti. Sono più
economici, sai? E se dovessero imbrogliare sulle riparazioni, chi vuoi che
vada a lamentarsi?»
«Be', torniamo indietro e vediamo che succede.»
Rider avviò l'auto e si immise sulla Tampa, per dirigersi verso l'incrocio
dove si trovava la stazione di servizio.
«Com'è andata con Mackey?» domandò.
«Piuttosto bene. Mi mancava soltanto di leggergli l'articolo. Non si è la-
sciato andare, ma il seme è stato senza dubbio piantato.»
«Ha visto i tatuaggi?»
«Sì, hanno funzionato bene. Ha iniziato a farmi domande subito dopo
averli notati. E anche le tue informazioni su Simmons sono servite. È salta-
to fuori nella conversazione. E per quello che può valere, Mackey ha una
cicatrice sulla pelle accanto al pollice destro. Il pizzicotto.»
«Harry, amico, non ti sei fatto scappare niente. Immagino che ormai non
ci resti altro che stare seduti qua a vedere che succede.»
«Gli altri hanno staccato?»
«Appena arriviamo, se ne vanno.»
Quando giunsero all'incrocio tra la Tampa e la Roscoe, videro il carro at-
trezzi di Mackey che aspettava di immettersi sulla Roscoe in direzione o-
vest.
«Ha ricevuto una chiamata» disse Bosch. «Perché nessuno ce l'ha det-
to?»
Aveva appena finito di pronunciare quelle parole quando il cellulare di
Rider squillò. La donna lo passò a Bosch, per poter rimanere concentrata
sulla guida. Tagliò a sinistra, per seguire Mackey lungo la Roscoe. Bosch
aprì il telefono. Era Tim Marcia. Spiegò che Mackey era uscito senza che
alla stazione fossero arrivate chiamate. Jackson aveva controllato con la
camera del suono. Non c'erano state telefonate sulle linee che tenevano
sotto controllo.
«Va bene» disse Bosch. «Quando ero sul carro attrezzi ha detto qualcosa
riguardo ad andare a prendere la cena. Forse è uscito per quello.»
«Forse.»
«Okay, Tim, ora ce l'abbiamo noi. Grazie di essere rimasti in giro. Dillo
anche a Rick.»
«Buona fortuna, Harry.»
Seguirono il carro attrezzi fino a un centro commerciale e guardarono
Mackey che entrava in un fast food. Non aveva con sé il giornale che
Bosch aveva lasciato sul carro attrezzi e, dopo aver preso la cena, si sedette
a uno dei tavoli interni e cominciò a mangiare.
«Ti sta venendo fame, Harry?» domandò Rider. «Sarebbe l'ora giusta.»
«Mi sono fermato da Dupar prima, sono a posto. A meno che non ci sia
un Cupid da queste parti. Non mi dispiacerebbe.»
«Non se ne parla. Da quando sei andato via, non mangio più la merda
dei fast food.»
«Cosa vuoi dire? Ci trattavamo bene. Non andavamo da Musso tutti i
giovedì?»
«Se per te il pasticcio di pollo è una cena salutare, sì, mangiavamo bene.
Comunque, io parlo degli appostamenti. Hai sentito di Riso e Fagioli alla
Hollywood?»
Riso e Fagioli era il soprannome di una coppia di detective che si occu-
pava di rapine alla Divisione Hollywood. I veri nomi erano Choi e Ortega,
ed erano già lì quando Bosch lavorava alla divisione.
«No, cos'è successo?»
«Stavano sorvegliando quel tizio che rapinava le prostitute in strada. Or-
tega era seduto in macchina a mangiare un hot dog, gliene andò di traverso
un pezzo, non riusciva a sputarlo fuori. Era diventato porpora, si indicava
la gola, e Choi lo guardava come a dire "Che cazzo succede?". Perciò alla
fine Fagioli saltò fuori dalla macchina e Choi capì cos'era successo. Uscì
di corsa per fargli la manovra di Heimlich. Fece schizzare l'hot dog sul co-
fano e addio appostamento.»
Bosch rise, si immaginava la situazione. Sapeva che era una storia di cui
Riso e Fagioli non si sarebbero mai più liberati, non con in giro uno come
Edgar che l'avrebbe raccontata e ripetuta a tutti quelli che si sarebbero tra-
sferiti alla divisione.
«Be', vedi? Non c'è Cupid giù a Hollywood» disse. «Se avesse mangiato
un morbido hot dog di Cupid, non gli sarebbe mai capitata una cosa del
genere.»
«Non mi interessa, Harry. Niente hot dog negli appostamenti. Niente
merda. È la nuova regola. Non voglio che la gente parli di me in quel mo-
do per il resto dei miei giorni...»
Il telefono di Bosch trillò. Era Robinson, a cui, con Nord, era toccato
l'ultimo turno nella camera del suono.
«Hanno appena ricevuto una chiamata alla stazione di servizio. Hanno
messo giù e hanno telefonato a Mackey. Credo che non si trovi più sul po-
sto di lavoro.»
Bosch spiegò la situazione e si scusò per non aver aggiornato i colleghi.
«Dove deve andare con il carro attrezzi?» domandò.
«C'è stato un incidente tra Reseda e la Parthenia. Penso che la macchina
sia malridotta. La deve trainare da un carrozziere.»
«Okay, siamo con lui.»
Dopo qualche minuto Mackey uscì dal fast food con in mano un grande
bicchiere di carta da cui sbucava una cannuccia. Lo seguirono all'incrocio
tra il Reseda Boulevard e Parthenia Street, dove una Toyota con il muso
rientrato era stata spinta a lato della strada. Un altro carro attrezzi stava
agganciando la seconda auto, un grande SUV con la parte posteriore ap-
piattita dall'incidente. Mackey parlò brevemente con l'autista dell'altro car-
ro attrezzi - uno scambio di cortesie tra colleghi - e si mise al lavoro sulla
Toyota. Nel parcheggio all'angolo della piazza c'era un'auto di pattuglia del
Dipartimento di Polizia di Los Angeles, l'agente all'interno stava redigendo
un verbale. Bosch non vide nessuno degli automobilisti. Immaginò che
fossero stati trasportati tutti e due in ospedale.
Mackey trainò la Toyota fino a un carrozziere in fondo al Van Nuys
Boulevard. Mentre la depositava nel vialetto di servizio, Bosch ricevette
un'altra chiamata. Robinson gli disse che Mackey era stato convocato di
nuovo. Questa volta al Northridge Fashion Center, dove un'impiegata della
libreria Borders aveva bisogno di ricaricare la batteria dell'auto.
«Il nostro amico non avrà il tempo di leggere il giornale se continua a
saltabeccare a destra e a sinistra» disse Rider, dopo che Bosch le riferì del-
la telefonata.
«Non so» disse Bosch. «Mi chiedo persino se sappia leggere.»
«Ti riferisci alla dislessia?»
«Sì, ma non solo a quello. Non gli ho visto leggere né scrivere nulla. Ha
chiesto a me di riempire il modulo per il traino. Poi non ha voluto o non è
stato in grado di compilare la ricevuta. E infine c'era quell'appunto per lui
sulla scrivania.»
«Che appunto?»
«Lo ha preso e lo ha fissato a lungo, ma non sono sicuro che sia riuscito
a capire cosa ci fosse scritto.»
«Tu sei riuscito a leggerlo? Cosa diceva?»
«Era un appunto di quelli del turno di giorno. La Visa aveva chiamato
per avere conferma che il suo lavoro fosse effettivamente quello indicato
sulla richiesta della carta di credito.»
Rider aggrottò le sopracciglia.
«Cosa?» domandò Bosch.
«Mi sembra solo strano, lui che fa richiesta per avere la carta di credito.
Diventerebbe rintracciabile, pensavo cercasse di evitarlo.»
«Forse comincia a sentirsi al sicuro.»
Mackey andò dritto al centro commerciale, dove riavviò il motore
dell'auto di una donna, poi voltò il carro attrezzi in direzione della base.
Erano quasi le dieci di sera quando rientrò alla stazione di servizio. Le de-
boli speranze di Bosch tornarono a galla quando, dalla sua postazione
dall'altra parte della strada, vide con il binocolo Mackey che si allontanava
dal furgone.
«Forse siamo ancora in gioco» disse a Rider. «Ha il giornale con lui.»
Era difficile seguire gli spostamenti di Mackey all'interno della stazione.
L'ufficio aveva due pareti di vetro, ma le porte del garage ora erano chiuse
e spesso Mackey scompariva in zone dove Bosch non poteva vederlo.
«Vuoi che lo tenga d'occhio io per un po'?» domandò Rider.
Bosch abbassò il binocolo e la guardò. Nell'oscurità dell'auto riusciva a
malapena a intravedere il viso della partner.
«No, non c'è problema. Tu già guidi, comunque. Perché non ti riposi? Ti
ho svegliata presto stamattina.»
Risollevò il binocolo.
«Sto bene» disse Rider. «Ma in qualunque momento dovessi avere biso-
gno di una pausa...»
«Comunque» disse Bosch, «in un certo senso mi sento responsabile per
questo tizio.»
«Cosa vuoi dire?»
«Lo sai. Tutta questa storia. Avremmo potuto semplicemente prendere
Mackey e strizzarlo per cercare di tirargli fuori qualcosa. Invece abbiamo
scelto questa strada. Insomma, il piano è mio e io mi sento responsabile.»
«Se non dovesse funzionare, potremo sempre strizzarlo in seguito. E te-
mo che sia proprio quello che ci toccherà fare.»
Il telefono di Bosch trillò.
«Forse è la chiamata che aspettiamo» disse mentre rispondeva.
Era Nord.
«Harry, non avevi detto che questo tizio ha preso almeno il diploma in-
termedio?»
«Infatti. Che succede?»
«Ha dovuto telefonare a una persona per farsi leggere l'articolo del gior-
nale.»
Bosch si raddrizzò sul sedile. Erano in ballo. Non aveva importanza il
modo in cui l'articolo fosse arrivato sotto gli occhi di Mackey, la cosa rile-
vante era che lui aveva voluto sapere cosa diceva.
«Chi ha chiamato?»
«Una donna di nome Michelle Murphy. Sembrava una vecchia fidanza-
ta. Le ha domandato se comprava ancora il giornale tutti i giorni, come se
non ne fosse più sicuro. Lei ha detto sì e lui le ha chiesto di leggergli l'arti-
colo.»
«Ne hanno parlato dopo che gliel'ha letto?»
«Sì, lei gli ha domandato se conosceva la ragazza di cui parlava il gior-
nale. Lui ha risposto di no, ma poi ha aggiunto: "Conoscevo la pistola".
Solo questo. Ha detto che ai tempi non aveva voluto sapere niente. Basta.
Hanno riagganciato.»
Bosch rifletté su ciò che aveva sentito. La messinscena aveva funziona-
to. Erano riusciti a rivoltare una roccia che non veniva smossa da diciasset-
te anni. Era galvanizzato, sentiva la carica montare nel sangue.
«Riesci a girarci la registrazione? La voglio sentire.»
«Penso di sì» disse Nord. «Lasciami bloccare uno dei tecnici che si aggi-
rano qua attorno. Ehi, Harry, ti devo richiamare. Mackey sta telefonando.»
«D'accordo.»
Bosch chiuse in fretta il cellulare, per permettere a Nord di tornare al
monitor. Era euforico e raccontò a Rider quanto gli era stato riferito sulla
telefonata tra Mackey e Michelle Murphy. Ebbe l'impressione che anche
Rider fosse elettrizzata.
«Il ballo è cominciato, Harry.»
Bosch guardava Mackey attraverso il binocolo. Era seduto dietro la scri-
vania dell'ufficio e parlava al cellulare.
«Andiamo, Mackey» sussurrò Bosch. «Vuota il sacco. Raccontaci la sto-
ria.»
Ma Mackey chiuse il telefono. Bosch sapeva che la telefonata era stata
troppo breve.
Dieci secondi dopo, Nord richiamò.
«Ha appena chiamato Billy Blitzkrieg.»
«Cos'ha detto?»
«Ha detto: "Potrei essere nei guai" e "Potrei aver bisogno di fare una
mossa", ma Burkhart lo ha interrotto: "Non mi interessa di cosa si tratta,
non parlarne al telefono". Perciò si sono accordati per incontrarsi alla fine
del turno di Mackey.»
«Dove?»
«Mi è sembrato a casa. Mackey ha detto: "Sarai ancora alzato?" e Bur-
khart ha risposto di sì. Allora Mackey ha domandato: "E Belinda? È anco-
ra lì?" e Burkhart ha replicato che la donna sarebbe stata a letto e che non
c'era da preoccuparsi per lei. Poi hanno concluso la conversazione.»
Bosch percepì subito che le speranze di chiudere il caso quella notte
stessa erano crollate in maniera fragorosa. Se Mackey avesse incontrato
Burkhart in casa, non avrebbero potuto ascoltare quello che si sarebbero
detti e tutto il piano sarebbe andato in fumo.
«Chiamami se fa altre telefonate» disse rapido, quindi riappese.
Guardò Rider, che aspettava ansiosa.
«Niente di buono?» domandò. Ovviamente aveva intuito qualcosa dal
tono con cui il partner si era rivolto a Nord.
«Niente di buono.»
Le disse delle chiamate e dell'ostacolo che avrebbero dovuto affrontare
se Mackey avesse incontrato Burkhart per discutere i suoi "guai" a porte
chiuse.
«Non è tutto perduto, Harry» disse lei, dopo aver ascoltato con attenzio-
ne. «Ha fatto un'ammissione inequivocabile parlando con la donna, e una
meno esplicita con Burkhart. Ma ci siamo vicini, perciò non ti deprimere.
Cerchiamo di trovare una soluzione. Come possiamo intervenire per riusci-
re a farli incontrare fuori casa? Tipo a uno Starbucks o qualcosa del gene-
re.»
«Sì, proprio, me lo vedo Mackey che ordina un caffelatte.»
«Sai cosa intendo.»
«Anche se riuscissimo a indurli a uscire, in che modo potremmo avvici-
narli? Impossibile. Ci serve una telefonata. È il punto debole di tutta questa
faccenda.»
«Dobbiamo solo rimanere seduti e vedere che succede. Non possiamo
fare altro in questo momento. Senti, sarebbe ottimo poter ascoltare la loro
chiacchierata, ma forse non tutto è perduto. Mackey ha già detto al telefo-
no che ha bisogno di fare una mossa. Se scappasse, una giuria potrebbe
considerare la fuga come un'ammissione di colpevolezza. E se ci aggiungi
le conversazioni che abbiamo già su nastro, ce n'è abbastanza per spremer-
gli tutta la storia quando alla fine lo porteremo dentro. Perciò non tutto è
perduto, okay?»
«Okay.»
«Vuoi che chiami Abel? Penso che vorrebbe essere informato.»
«Sì, d'accordo. Chiamalo. Non c'è niente da dire, ma fai pure.»
«Rilassati, Harry.»
Bosch la zittì sollevando il binocolo per guardare Mackey. Era ancora
dietro la scrivania e pareva immerso nei propri pensieri. L'altro uomo del
turno serale, quello che doveva essere Kenny, era seduto su una sedia con
il viso rivolto verso la televisione. Rideva di qualcosa che stava guardan-
do.
Mackey guardava fisso davanti a sé con il viso rannuvolato. Scrutava
qualcosa nella memoria.
L'attesa fino alla mezzanotte fece di quei novanta minuti i più lunghi che
Bosch avesse mai trascorso. Mentre aspettavano che la stazione di servizio
chiudesse e Mackey si dirigesse verso il suo appuntamento con Burkhart,
non successe nulla. I telefoni rimasero muti e Mackey non si mosse da die-
tro la scrivania. Bosch non riuscì a imbastire né un piano per sviare il ren-
dez-vous né trovò il modo di intrufolarsi nel loro incontro. Pareva tutto
congelato, finché l'orologio segnò la mezzanotte.
Finalmente le luci esterne della stazione di servizio si spensero e i due
uomini chiusero per la notte. Mackey uscì portando con sé il giornale che
non era in grado di leggere. Bosch sapeva che lo avrebbe mostrato a Bur-
khart e che con tutta probabilità avrebbero discusso dell'omicidio.
«E noi non ci saremo» borbottò mentre seguiva Mackey con il binocolo.
L'uomo salì sulla Camaro e fece rombare il motore. Si immise sulla
Tampa e si diresse a sud, verso casa, il luogo dell'incontro. Rider attese
quanto necessario, poi uscì dal parcheggio del centro commerciale, e si di-
resse a sud. Bosch chiamò Nord nella camera del suono e le disse che Ma-
ckey aveva lasciato la stazione di sevizio; avrebbero dovuto spostare il
monitoraggio sulla linea di casa.
Le luci dell'auto di Mackey erano a un centinaio di metri davanti a loro.
Il traffico era rado e Rider si mantenne a distanza di sicurezza. Quando
passarono accanto al parcheggio in cui aveva lasciato la macchina, Bosch
controllò la Mercedes per appurare che fosse ancora lì.
«Oh, oh» disse Rider.
Bosch si voltò verso la strada, appena in tempo per vedere l'auto di Ma-
ckey che compiva un'inversione a "U". Ora era diretta verso di loro.
«Harry, che faccio?» domandò Rider.
«Niente. Non fare niente di troppo palese.»
«Sta tornando verso di noi. Deve essersi accorto di essere seguito!»
«Stai calma. Magari ha riconosciuto la mia macchina parcheggiata là
dietro.»
Il rombo profondo del motore della Camaro li raggiunse ben prima
dell'auto stessa. Suonava minaccioso e maligno, un mostro che ruggiva e
correva loro incontro.

31

La vecchia Camaro passò rombando accanto a Bosch e Rider, senza esi-


tazioni. Bruciò il semaforo all'incrocio con la Saticoy e continuò a viaggia-
re. Bosch guardò le luci dell'auto scomparire a nord.
«Che succede?» disse Rider. «Pensi che abbia scoperto di essere segui-
to?»
«Non...»
Il cellulare di Bosch squillò. Rispose in fretta, era Robinson.
«È appena stato chiamato dal servizio di risposta della Tripla A. Sem-
brava piuttosto seccato, ma se non avesse preso la chiamata, si sarebbero
rivolti a un'altra società, e lui sarebbe finito nei guai. La Tripla A li avreb-
be scaricati.»
«Dov'è il mezzo da trainare?»
«Un'auto ha rotto il motore sulla Reagan, in direzione ovest, in prossimi-
tà della sopraelevata della Tampa Avenue. Non molto lontano da qui.»
«Okay, ce l'abbiamo.»
Bosch chiuse il telefono e disse a Rider di fare inversione. La loro coper-
tura era ancora intatta, e Mackey stava andando a recuperare il carro at-
trezzi.
Quando giunsero di nuovo all'incrocio tra la Tampa e la Roscoe, videro
il carro attrezzi che usciva dalla stazione di servizio buia. Mackey non a-
veva perso tempo.
Visto che conoscevano la sua destinazione, Rider poté permettersi di ri-
manere a distanza, per evitare di essere notata nello specchietto retrovisore
del furgone. La Reagan corrispondeva alla freeway 118, che correva da est
a ovest lungo la parte settentrionale della Valley, una delle poche non inta-
sate dal traffico ventiquattro ore al giorno. Doveva il suo nome al governa-
tore e presidente e conduceva a Simi Valley, dove si trovava la biblioteca
presidenziale di Reagan. Comunque, a Bosch era suonata come una stona-
tura sentire Robinson chiamarla Reagan. Per Bosch era sempre stata sem-
plicemente la 118.
L'ingresso in direzione ovest era una rampa che scendeva dalla Tampa
Avenue alle dieci corsie della freeway. Rider rallentò e rimase indietro.
Guardarono il carro attrezzi che svoltava a sinistra e scendeva la rampa fi-
no a sparire. A quel punto Rider ripartì ed eseguì la stessa svolta. Non ap-
pena raggiunsero la rampa e cominciarono a scendere, si resero conto di
avere un problema. L'auto in panne non era sulla freeway come aveva det-
to Robinson, ma sulla rampa di accesso. Si avvicinavano rapidamente al
carro attrezzi, fermo sul bordo della rampa, una cinquantina di metri da-
vanti a loro. La luce della retromarcia era accesa, il mezzo stava indietreg-
giando verso un'utilitaria parcheggiata con le quattro frecce lampeggianti.
«Cosa facciamo, Harry?» disse Rider. «Se ci fermiamo capirà che lo
stiamo seguendo.»
Aveva ragione.
«Vai avanti» rispose.
Doveva riflettere in fretta. Sapeva che una volta sulla freeway avrebbero
potuto accostare sulla corsia di emergenza e aspettare che il carro attrezzi
di Mackey li superasse con la macchina in panne attaccata al gancio. Ma
sarebbe stato rischioso. Mackey avrebbe potuto riconoscere l'auto di Rider,
o persino fermarsi per vedere se avevano bisogno di assistenza. Se avesse
visto Bosch, il pedinamento sarebbe stato bruciato.
«Hai una carta stradale?»
«Sotto il sedile.»
Rider oltrepassò l'auto in panne e il carro attrezzi mentre Bosch allunga-
va una mano sotto il sedile per prendere la carta. Una volta superato il fur-
gone, accese la lucina e sfogliò rapidamente le pagine. Bosch trovò subito
la sezione della città dove si trovavano. Esaminò in fretta la situazione e
diede a Rider l'indicazione su come procedere.
«La prossima uscita è la Porter Ranch Drive» disse. «A meno di un chi-
lometro. Usciamo e andiamo a destra, poi di nuovo a destra sulla Rinaldi.
Ci riporterà sulla Tampa. Possiamo scegliere se aspettare in cima al caval-
cavia o continuare a girare.»
«Penso sia meglio aspettare in cima» disse Rider. «Se continuassimo a
passare sulla rampa con la stessa auto potrebbe notarci.»
«Mi sembra un buon piano.»
«Non mi convince, ma non vedo che altre alternative abbiamo.»
Coprirono la distanza fino all'uscita di Porter Ranch in pochi minuti.
«Hai controllato il carro attrezzi?» domandò Bosch.
«Un'occhiata di sfuggita» rispose Rider. «Mi è parso che ci fosse una
persona dietro il volante, poi più niente. Le luci del carro attrezzi erano
troppo alte per poter vedere altro.»
Rider mantenne la velocità finché non si immisero nella corsia d'uscita
per il Porter Ranch Drive. Seguendo le indicazioni, svoltò a destra e poi di
nuovo a destra, poco dopo erano ancora diretti verso la Tampa. Si ferma-
rono un momento a un semaforo, ma Kiz Rider ripartì subito, dopo aver
controllato a destra e a sinistra per essere sicura che fosse sgombro. Meno
di tre minuti dopo aver oltrepassato il carro attrezzi erano di nuovo sulla
Tampa. Rider si accostò al lato della strada, a metà della sopraelevata.
Bosch socchiuse la portiera.
«Do una controllata» disse.
Uscì dall'auto. Da quell'angolazione non poteva vedere il carro attrezzi,
ma il lampeggiante sul tetto dell'abitacolo proiettava un bagliore sulla
rampa d'ingresso.
«Harry, hai dimenticato questo» disse Rider.
Bosch si chinò dentro l'auto e prese il binocolo che Rider gli porgeva.
Tornò indietro lungo la sopraelevata. La freeway non era trafficata, ma
si sentiva comunque il rombo delle auto che passavano sotto.
Quando giunse in cima alla rampa e guardò in basso, gli ci volle qualche
momento per regolare la vista, perché le luci del carro attrezzi fendevano
ancora l'oscurità.
Ben presto si rese conto che le frecce lampeggianti dell'auto in panne e-
rano scomparse. Si sporse e vide che sul bordo della strada l'auto non c'era
più. I suoi occhi si spostarono sulla rampa e videro le luci di posizione ros-
se di decine di auto che si muovevano in lontananza verso ovest.
Guardò di nuovo il carro attrezzi. Era tutto fermo. Non c'era traccia di
Mackey.
Bosch si portò la radio alla bocca e aprì il microfono.
«Kiz?»
«Sì, Harry?»
«Faresti meglio a venire.»
Bosch cominciò a scendere per la rampa. Mentre lo faceva, estrasse la
pistola e la tenne lungo il fianco. Dopo trenta secondi delle luci lampeggia-
rono dietro di lui, era Rider, che fermò l'auto sul bordo della strada. Scese
con una lampada tascabile e proseguirono insieme.
«Che succede?» domandò.
«Non lo so.»
Non c'era traccia di Mackey, né dentro né attorno al carro attrezzi. Bosch
sentì una morsa serrargli il petto. L'istinto gli diceva che qualcosa non an-
dava. Più si avvicinavano più se ne convinceva.
«Cosa diciamo se lo troviamo lì ed è tutto a posto?» sussurrò Rider.
«Non può essere» disse Bosch.
Le luci sul retro del carro attrezzi erano quasi accecanti e Bosch sapeva
di trovarsi in una posizione vulnerabile. Non vedeva nessuno nella parte
anteriore del veicolo. Si spostò a destra, in modo da procedere separato da
Rider. La partner non poteva andare più a sinistra, altrimenti avrebbe
camminato sulla corsia di immissione.
Un furgone rombò al loro fianco sulla rampa, sollevando una ventata
d'aria puzzolente e facendo tremare il terreno come per un terremoto.
Bosch ora camminava tra le erbacce che crescevano sul pendio accanto al-
la corsia d'emergenza. Continuava a non vedere nessuno davanti a loro.
Bosch e Rider non comunicavano. Il rumore del traffico di passaggio
sulla freeway riecheggiava sotto la sopraelevata. Avrebbero dovuto gridare
per sentirsi, e questo avrebbe turbato la concentrazione.
Si riunirono quando raggiunsero il carro attrezzi. Bosch controllò l'abita-
colo, non c'era traccia di Mackey. Il motore era ancora acceso. Andò sul
retro e osservò il terreno illuminato dai lampeggianti. C'erano delle tracce
di pneumatici nere che portavano diritte al portello posteriore del furgone.
Un guanto di pelle macchiato di grasso era rimasto sulla ghiaia; era quello
che aveva visto indosso a Mackey quello stesso pomeriggio.
«Prestamela» disse, e strappò la lampada tascabile dalla mano di Rider.
Notò che era uno di quei modelli corti e di gomma approvati dal capo della
polizia dopo che un agente era stato ripreso mentre percuoteva un sospetto
con il lungo fusto metallico di quelle che venivano utilizzate prima.
Bosch puntò il fascio di luce sul portello posteriore del furgone, poi lo
passò sul lato inferiore che rimaneva nell'ombra e non era illuminato dal
bagliore del lampeggiante sul tetto.
Riconobbe una macchia chiara di sangue sul metallo scuro. Non poteva
essere olio, era rosso e vivido, come la vita. Bosch si accucciò e puntò la
lampada sotto il furgone. Era buio anche lì, e la visuale era resa ancora più
difficile dalla luce intensa del lampeggiante.
Scorse il corpo di Mackey accasciato contro il semiasse posteriore. Metà
del viso era imbrattata dal sangue sgorgato da una profonda lacerazione nel
lato sinistro della testa. La camicia blu della divisa era diventata marrone
per il sangue che era uscito da altre ferite non visibili. Il cavallo dei panta-
loni era bagnato di sangue o di urina, o di tutte e due. L'unico braccio che
Bosch poteva vedere era piegato in modo innaturale all'altezza del polso.
Un osso seghettato, color avorio, fuoriusciva dalla carne. Il braccio era
schiacciato contro il petto di Mackey, che si sollevava con sussulti irrego-
lari.
L'uomo era ancora vivo.
«Oh Dio!» urlò Rider da dietro Bosch.
«Chiama un'ambulanza» ordinò Bosch mentre iniziava a scivolare sotto
il furgone.
Udì i piedi di Rider che crepitavano sulla ghiaia, mentre la donna corre-
va verso la macchina e la radio, e si spostò il più vicino possibile a Ma-
ckey. Sapeva che rischiava di danneggiare la scena del crimine, ma aveva
bisogno di avvicinarsi.
«Ro, mi senti? Chi è stato? Cos'è successo?»
Mackey parve irrigidirsi nell'udire il proprio nome. La bocca cominciò a
muoversi, e in quel momento Bosch capì che doveva avere la mascella rot-
ta o slogata. I movimenti erano scoordinati. Era come se Mackey provasse
a parlare per la prima volta.
«Prenditi tutto il tempo, Ro. Dimmi chi è stato. Lo hai visto?»
Mackey sussurrò qualcosa, ma un'auto che passava veloce sulla rampa
coprì le sue parole.
«Ripetilo, Ro. Dillo di nuovo.»
Bosch si chinò in avanti e posò la testa accanto alla bocca di Mackey.
Quello che sentì fu un suono a metà tra un rantolo e un sussurro.
«...sworth...»
Bosch si tirò indietro e guardò Mackey. Gli puntò la luce in faccia, spe-
rando che questo potesse ridestarlo. Notò che anche la struttura ossea at-
torno all'occhio sinistro era rotta e sanguinante. Non ce l'avrebbe fatta.
«Ro, se hai qualcosa da dire, dilla adesso. Hai ucciso tu Rebecca Verlo-
ren? Eri presente quella notte?»
Bosch si chinò in avanti. Se Mackey aveva detto qualcosa, anche questa
volta le sue parole erano state sommerse dal rumore di un'auto di passag-
gio. Quando Bosch indietreggiò per guardarlo di nuovo, gli parve che fos-
se morto. Gli premette due dita contro il lato insanguinato del collo e non
trovò alcuna pulsazione.
«Roland, sei ancora con me?»
L'occhio non danneggiato era aperto, ma a mezz'asta. Bosch spostò la
luce verso la pupilla e non ci fu alcuna reazione. Era andato.
Bosch sbucò con cautela da sotto il furgone. Rider era lì in piedi, le
braccia conserte, strette contro il petto.
«L'ambulanza è per strada» disse.
«Annulla la chiamata.»
Le restituì la lampada tascabile.
«Harry, se pensi che sia morto, i paramedici dovranno confermarlo.»
«Non preoccuparti, è morto. Si infilerebbero là sotto e danneggerebbero
la scena del crimine. Annulla la chiamata.»
«Ha detto niente?»
«Mi è sembrato che abbia detto Chatsworth. Tutto qui. Nient'altro. Non
sono riuscito a sentire altro.»
Rider camminava nervosamente avanti e indietro.
«Oh Dio» disse. «Sto per sentirmi male.»
«Allora torna indietro, allontanati.»
Rider andò dietro la sua auto. Anche Bosch avvertiva la nausea, ma sa-
peva di potersi trattenere. Non era il corpo martoriato di Mackey a causare
la bile che gli saliva in gola. Bosch, come Rider, aveva visto di peggio. E-
rano le circostanze a essere nauseanti. L'istinto gli diceva che non si era
trattato di un incidente. Era un omicidio. Ed era stato lui a mettere in moto
tutto questo.
Era stomacato perché aveva provocato l'assassinio di Roland Mackey. E
forse, con quella morte, avevano perso l'ultimo legame con l'omicida di
Rebecca Verloren.

PARTE TERZA
LE TENEBRE ATTENDONO

32

La rampa di accesso dalla Tampa alla Ronald Reagan Freeway era chiu-
sa e il traffico veniva deviato lungo la Rinaldi fino all'entrata dal Porter
Ranch Drive. Tutta la rampa era intasata da auto della polizia. La Divisio-
ne Scientifica del LAPD, la Polizia stradale e l'ufficio del medico legale
erano tutti rappresentati, insieme ai membri della Unità Casi Irrisolti. Abel
Pratt aveva fatto delle chiamate e aveva ottenuto che il caso fosse affidato
proprio a loro. Poiché l'omicidio era avvenuto sulla rampa di una freeway
statale, tecnicamente ricadeva sotto la giurisdizione della Stradale, che tut-
tavia si dimostrò ben lieta di passare la palla, soprattutto quando fu chiaro
che il delitto era collegato con un'indagine in corso del LAPD. In altre pa-
role, avrebbero concesso al Dipartimento di Polizia di Los Angeles di ri-
mettere ordine nel casino che aveva fatto.
Il comandante della locale caserma della Polizia stradale offrì l'aiuto del-
la squadra di esperti in incidenti e Pratt accettò la proposta. Oltre a questo,
Pratt aveva radunato alcuni dei migliori tecnici di cui il dipartimento pote-
va disporre e tutto nel cuore della notte.
Bosch e Rider trascorsero gran parte del tempo dedicato all'esame della
scena del crimine seduti sui sedili posteriori dell'auto di Pratt, dove furono
interrogati a lungo prima dallo stesso Pratt e poi da Tim Marcia e Rick Ja-
ckson, che erano stati convocati per occuparsi delle indagini sulla morte di
Mackey. Siccome Bosch e Rider erano parte attiva in alcuni eventi e testi-
moni di altri, era fondamentale che non fossero loro i responsabili delle in-
dagini. Si trattava di una formalità tecnica. Era chiaro che Bosch e Rider
avrebbero continuato a occuparsi del caso Verloren, e per fare questo a-
vrebbero ovviamente dato la caccia anche all'assassino di Roland Mackey.
Verso le tre di notte, gli investigatori della Scientifica si riunirono con i
detective della Omicidi per confrontarsi sugli elementi in loro possesso fi-
no a quel momento. Il corpo di Mackey era appena stato rimosso da sotto
il furgone e la scena del crimine era stata fotografata con cura, videoregi-
strata e disegnata. Ora era considerata una scena aperta, dove tutti poteva-
no muoversi in libertà.
Pratt chiese all'investigatore della Stradale, un uomo alto di nome David
Allmand, di parlare per primo. Allmand usò un puntatore laser per eviden-
ziare le tracce degli pneumatici sulla strada e sulla ghiaia che, secondo la
sua opinione, erano collegate all'omicidio di Mackey. Diresse il raggio la-
ser anche sul retro del carro attrezzi, dove erano stati tracciati dei cerchi
con il gesso attorno a diversi graffi e ammaccature sullo spesso portellone
d'acciaio. Disse di essere giunto alle stesse conclusioni cui erano arrivati
Bosch e Rider subito dopo il ritrovamento di Mackey. Era stato assassina-
to.
«Le tracce degli pneumatici suggeriscono che la vittima abbia fermato il
carro attrezzi sulla corsia d'emergenza circa trenta metri a ovest di questo
punto» disse Allmand. «Con tutta probabilità lo ha fatto per evitare il vei-
colo in panne che si trovava già sulla corsia d'emergenza. Poi il carro at-
trezzi è stato fatto indietreggiare fino alla posizione attuale. L'autista ha
messo in folle e ha tirato il freno a mano prima di uscire dal furgone. Se
era di fretta, come suggeriscono le informazioni sussidiarie che ci avete
fornito, potrebbe essere andato subito sul retro per abbassare il dispositivo
per il traino. E qui l'assassino l'ha sorpreso.
È evidente che l'auto non fosse davvero in panne. Il guidatore ha premu-
to sull'acceleratore e l'auto è scattata in avanti, colpendo l'autista del carro
attrezzi e schiacciandolo contro il retro del furgone e l'attrezzatura per il
traino. La vittima doveva essersi chinata in avanti per liberare il gancio e
prepararsi al traino e questo spiegherebbe le ferite alla testa. Per prima co-
sa ha sbattuto la faccia contro il dispositivo. C'è del sangue sul braccio del
traino.»
Per illustrare quanto diceva, Allmand passò l'occhio rosso del laser sul
gancio del carro attrezzi.
«L'auto poi è indietreggiata» proseguì. «Ed è in quel momento che sono
rimasti i segni sull'asfalto, qui. Poi si è mossa ancora in avanti per sferrare
un altro colpo. La vittima con tutta probabilità era già ferita a morte in
conseguenza del primo impatto. Ma non era ancora morta. È probabile che
l'uomo sia caduto a terra dopo il primo urto e con le sue ultime forze sia
scivolato sotto il furgone per evitare il secondo. In ogni caso, il veicolo ha
colpito il furgone una seconda volta. E la vittima è morta a causa delle feri-
te mentre si trovava sotto il furgone.»
Allmand fece una pausa in attesa di domande, ma ci fu solo un silenzio
atterrito. A Bosch non veniva in mente nulla da chiedere. Allmand terminò
il resoconto puntando il laser su due delle tracce rimaste sulla ghiaia e
sull'asfalto.
«La distanza tra le ruote del veicolo che ha colpito la vittima non è mol-
to ampia» disse. «Questo elimina qualche modello. Doveva essere una pic-
cola auto straniera. Ho eseguito delle misurazioni, appena avrò effettuato
delle comparazioni, sarò in grado di fornirvi un elenco delle auto che po-
trebbero aver lasciato quelle tracce. Vi farò sapere.»
Visto che nessuno diceva nulla, Allmand utilizzò il laser per cerchiare
una piccola macchia sull'asfalto.
«In aggiunta, il veicolo perdeva olio. Non molto, ma potrebbe essere
importante per permettere al pubblico ministero di determinare quanto a
lungo il killer sia rimasto qui in attesa della vittima. Una volta rinvenuto il
veicolo, sarà possibile misurare la perdita e farci un'idea di quanto tempo
può esserci voluto perché si formasse una macchia di queste dimensioni.»
Pratt annuì.
«Buono a sapersi» disse.
Pratt ringraziò Allmand e chiese al viceispettore medico, Ravi Patel, di
riferire sull'esame preliminare del cadavere. Patel iniziò dalle numerose
ossa rotte e dalle ferite evidenti a un esame esterno del corpo. Disse che
era probabile che l'impatto avesse fratturato il cranio di Mackey, rotto l'or-
bita oculare sinistra e slogato la mascella. L'uomo aveva il bacino spezza-
to, così come la parte superiore sinistra del busto. Anche il braccio e la co-
scia sinistra erano rotti.
«È probabile che tali ferite siano state procurate dal primo impatto» dis-
se. «La vittima doveva essere in piedi e il colpo è arrivato sul lato posterio-
re destro del corpo.»
«Può essere riuscito a strisciare sotto il furgone?» domandò Rick Ja-
ckson.
«È possibile» rispose Patel. «Abbiamo visto l'istinto di sopravvivenza
spingere la gente a fare cose sorprendenti. Non ne sarò certo finché non lo
avrò aperto, ma quello che di solito riscontriamo in casi come questo è che
la compressione perfora i polmoni, che si riempiono di sangue. Non è un
processo rapido. Potrebbe essere scivolato verso quella che per lui era la
salvezza.»
"Per morire, invece, al margine della freeway" pensò Bosch.
Il prossimo a riferire doveva essere l'investigatore capo della Scientifica,
che era il fratello di Ravi Patel, Raj. Bosch li conosceva entrambi da pre-
cedenti casi e sapeva che erano tra i migliori nei rispettivi campi.
Raj Patel fornì le informazioni basilari sull'esame della scena del crimine
e riferì che gli sforzi di Mackey per salvarsi la vita scivolando sotto il fur-
gone avrebbero alla fine permesso agli investigatori di catturare il suo as-
sassino.
«Il secondo impatto contro il furgone è avvenuto senza il corpo a fare da
scudo. Metallo contro metallo. Ci sono sia tracce di metallo sia di vernice,
abbiamo raccolto diversi campioni. Se lo trovassimo, potremmo individua-
re il veicolo con una precisione del cento per cento.»
"Un po' di luce in tutta questa oscurità" pensò Bosch.
Dopo che Patel terminò il rapporto, la scena del crimine venne sgombra-
ta e gli investigatori si dispersero in varie direzioni per eseguire i diversi
incarichi che Pratt voleva fossero portati a termine prima che l'intera unità
si incontrasse al Pacific Dining Car alle nove del mattino per discutere il
caso.
Marcia e Jackson avevano il compito di perquisire la casa di Mackey.
Questo avrebbe significato strappare un giudice dal letto e ottenere una
firma sul mandato di perquisizione, visto che Mackey condivideva la casa
con William Burkhart, e Burkhart era un possibile sospetto. La casa - dove
si presumeva si trovasse Burkhart - era sotto sorveglianza al momento in
cui Mackey era stato falciato sulla freeway. Ciononostante, Burkhart a-
vrebbe potuto mandare qualcuno a compiere l'omicidio, il che lo poneva
tra i sospetti, almeno finché non avrebbe fugato ogni dubbio sul proprio
coinvolgimento.
Una delle prime chiamate che Bosch e Rider avevano effettuato dopo
aver trovato Mackey sotto il carro attrezzi, era stata a Kehoe e Bradshaw, i
due detective della Rapine e Omicidi che controllavano la casa sulla Ma-
riano Street. Erano entrati subito nell'appartamento e avevano preso in cu-
stodia Burkhart e una donna identificata come Belinda Messier.
Ora i due attendevano di essere interrogati al Parker Center, compito che
Pratt aveva affidato a Bosch e Rider.
Ma appena si voltarono per risalire la rampa verso l'auto di Rider, Pratt
chiese loro di aspettare. Si avvicinò e parlò in modo che nessun altro po-
tesse sentire.
«Immagino che non sia necessario che vi dica che ci prenderemo qual-
che scottatura per questa storia» disse.
«Lo sappiamo» rispose Rider.
«Non so ancora in che forma, ma un accertamento ci sarà. Potete contar-
ci.»
«Saremo pronti» disse Rider.
«Magari è meglio che vi facciate una chiacchierata mentre andate in cen-
trale» suggerì. «Tanto per trovare una linea comune.»
Bosch sapeva che Pratt stava dicendo di farsi un'idea precisa della storia
da raccontare, così che avrebbero potuto presentare una versione univoca,
anche se fossero stati interrogati separatamente.
«Andrà tutto bene» disse Rider.
Pratt lanciò un'occhiata a Bosch, poi distolse lo sguardo e lo rivolse al
furgone.
«Lo so» disse Bosch. «Se qualche testa dovrà cadere per questa storia,
sarà la mia. Va bene. È stata una mia idea.»
«Harry» disse Rider. «Non è...»
«Era mio il piano» la interruppe Bosch. «Sarò io a pagare.»
«Be', forse non pagherà nessuno» disse Pratt. «Prima mettiamo insieme i
tasselli di questa vicenda, meglio ne usciamo. Il successo fa scomparire un
sacco di merda. Perciò inchiodiamo questo stronzo entro l'ora di colazio-
ne.»
«L'hai detto, capo» disse Rider.
Bosch e Rider si diressero in silenzio verso la salita.

33

Il Parker Center era deserto quando arrivarono. Sebbene diverse unità


investigative operassero nell'edificio, per lo più il quartier generale era oc-
cupato dallo staff di comando e dai servizi di supporto. Non prendeva mai
vita prima che sorgesse il sole. Nell'ascensore Bosch e Rider si separarono,
Bosch andò alla Divisione Rapine e Omicidi al terzo piano per lasciare li-
beri Kehoe e Bradshaw, mentre Rider fece una sosta nell'ufficio dell'Unità
Casi Irrisolti per prendere il file che aveva messo insieme su William Bur-
khart.
«Ci vediamo tra un po'» disse Bosch mentre usciva. «Spero che Kehoe e
Bradshaw abbiano preparato del caffè.»
Svoltato l'angolo, si diresse lungo il corridoio verso le doppie porte della
Rapine e Omicidi. Una voce alle sue spalle lo fermò.
«Cosa le avevo detto degli pneumatici ricostruiti?»
Bosch si voltò. Era Irving. Proveniva da un punto in cui c'era solo il
server del computer. Bosch immaginò che fosse rimasto lì in attesa. Cercò
di non mostrarsi sorpreso per il fatto che, a quanto pareva, Irving sapesse
già quello che era successo sulla freeway.
«Cosa ci fa qui?»
«Oh, volevo cominciare presto. Sarà un gran giorno.»
«Ah, sì?»
«Sì. E le darò un consiglio spassionato. Alla mattina i media saranno in-
formati della cazzata che ha fatto nel cuore della notte. Diremo ai reporter
che ha usato quel Mackey come esca e ha lasciato che fosse ucciso in ma-
niera orribile. Faranno domande sul perché sia stato permesso a un detecti-
ve in congedo di rientrare nel dipartimento per combinare un casino del
genere. Ma non si preoccupi, queste domande con tutta probabilità verran-
no poste al capo della polizia che ha orchestrato il suo rientro.»
Bosch rise e scosse la testa, si comportava come se non avvertisse la mi-
naccia.
«È tutto qui?» domandò.
«Solleciterò anche il comandante della Divisione Affari Interni perché
avvii un'inchiesta sul modo in cui ha condotto le indagini, detective Bosch.
Se fossi in lei non ci farei troppo l'abitudine all'idea di essere tornato in
servizio.»
Bosch fece un passo verso Irving, come per ricambiare la minaccia.
«Bene, capo, lo faccia. Spero che vorrà anche preparare il comandante
su quello che dirò ai suoi investigatori e ai giornalisti riguardo alla sua par-
te di responsabilità in tutto questo.»
Ci fu una lunga pausa prima che Irving fiatasse.
«Che sciocchezze sta dicendo?»
«L'uomo di cui si preoccupa tanto, è stato lasciato libero da lei diciasset-
te anni fa. Lo ha messo in libertà per poter concludere il suo accordo con
Richard Ross. Mackey avrebbe dovuto essere in prigione, invece ha usato
la pistola che aveva rubato in uno dei suoi furti per uccidere un'innocente
sedicenne.»
Bosch attese, ma Irving non disse nulla.
«D'accordo» proseguì Bosch. «Io avrò anche le mani macchiate del san-
gue di Roland Mackey, ma lei ha quello di Rebecca Verloren. Vuole che i
media e la Affari Interni ne vengano informati? Bene, faccia la sua mossa
e vediamo cosa uscirà da tutta questa storia.»
Lo sguardo di Irving si congelò. Il vicecapo fece un passo verso Bosch
fino ad arrivare a pochi centimetri da lui.
«Si sbaglia, Bosch. Tutti quei ragazzi erano stati scagionati, non erano
coinvolti nel caso Verloren.»
«Ah sì? E chi è stato a scagionarli? Di certo non furono Green e Garcia.
Ha fatto di tutto per allontanarli dalla verità. Proprio come fece con il pa-
dre della ragazza. Lei e uno dei suoi mastini lo minacciaste per dissuader-
lo.»
Bosch puntò un dito contro il petto di Irving.
«Ha lasciato un omicida in libertà per il suo vantaggio.»
Quando rispose, nella voce di Irving c'era una straordinaria urgenza.
«Si sbaglia di grosso» disse. «Pensa davvero che avremmo lasciato liberi
degli assassini?»
Bosch scosse la testa, fece un passo indietro e si mise quasi a ridere.
«È un dato di fatto.»
«Mi ascolti, Bosch. Abbiamo controllato gli alibi di ognuno di quei ra-
gazzi. Erano tutti puliti. Per alcuni di loro l'alibi eravamo noi, perché li te-
nevamo ancora sotto sorveglianza. E quando fu chiaro che ogni membro di
quel gruppo era pulito, dicemmo a Green e Garcia di farsi indietro. Lo di-
cemmo anche al padre, ma lui non voleva mollare.»
«Così lo avete spinto a lasciar perdere, giusto, capo? Lo avete spinto in
un precipizio.»
«Andava fatto. C'era molta tensione in città, allora. Non potevamo per-
mettere che il padre se ne andasse in giro a dire cose che non erano vere.»
«Non stia a raccontarmi la stronzata del bene della comunità, capo. Ave-
va il suo accordo, è l'unica cosa di cui le importasse. Aveva Ross e gli Af-
fari Interni in tasca e voleva lasciarceli. Solo che si sbagliava. Il DNA lo
dimostra. Mackey era l'uomo giusto per il caso Verloren e le sue indagini
erano merda.»
«No, aspetti. Questo dimostra solo una cosa. Che lui ha maneggiato la
pistola. Ho letto l'articolo che ha fatto uscire. Il DNA lo collega alla pisto-
la, non all'omicidio.»
Bosch lo liquidò con un gesto della mano. Non aveva alcun senso quel
balletto con Irving. La sua unica speranza era che il timore di venir denun-
ciato agli Affari Interni e ai media neutralizzasse la minaccia di Irving. E-
rano in stallo.
«Chi controllò gli alibi?» domandò.
Irving non rispose.
«Mi faccia indovinare. McClellan. Ci sono le sue impronte su tutta que-
sta storia.»
Ancora una volta Irving non rispose. Era come se fosse scivolato nei ri-
cordi di diciassette anni prima.
«Capo, voglio che chiami il suo mastino. So che lavora ancora per lei.
Gli dica che voglio sapere degli alibi. Voglio i dettagli. Voglio i rapporti.
Voglio tutto quello che ha in mano entro le sette di stamattina. Facciamo
quello che dobbiamo e vediamo dove andiamo a finire.»
Bosch stava per voltarsi quando finalmente Irving parlò.
«Non ci sono rapporti sugli alibi» disse. «Non ce ne sono mai stati.»
Bosch sentì l'ascensore che si apriva, e un attimo dopo Rider girò l'ango-
lo con un dossier tra le braccia. Si fermò atterrita quando vide il confronto.
Non disse nulla.
«Niente rapporti?» domandò Bosch a Irving. «Allora le conviene sperare
che abbia buona memoria. Buonanotte, capo.»
Bosch si voltò e si avviò lungo il corridoio. Rider si affrettò a raggiun-
gerlo. Si guardò alle spalle per assicurarsi che Irving non li seguisse. Dopo
aver varcato la porta doppia della Rapine e Omicidi, parlò.
«Sei nei guai, Harry?»
Bosch la guardò. Il misto di terrore e timore sul viso della partner dimo-
strava quanto sarebbe stata importante la sua risposta.
«No, se riesco a impedirlo» disse.

34

William Burkhart e Belinda Messier erano trattenuti in due diverse stan-


ze. Bosch e Rider decisero di occuparsi prima della donna, così Burkhart
sarebbe rimasto seduto ad aspettare e a farsi domande. In questo modo a-
vrebbero anche dato il tempo a Marcia e Jackson di ottenere il mandato e
di entrare nella casa sulla Mariano. Se i colleghi avessero trovato qualcosa,
avrebbero potuto servirsene durante l'interrogatorio con Burkhart.
Belinda Messier era già saltata fuori nell'indagine in precedenza. Il nu-
mero del cellulare di Mackey era intestato a lei. Nel resoconto che Kehoe e
Bradshaw avevano fornito a Bosch e a Rider al loro arrivo, l'avevano de-
scritta come la fidanzata di Burkhart. Lo aveva dichiarato lei stessa quando
i detective della Rapine e Omicidi li avevano presi entrambi sotto custodia.
Aveva aggiunto poco altro.
Era una donna piccola con capelli biondastri che le incorniciavano il vi-
so. Lo sguardo smentiva l'involucro da dura che aveva scelto di presentare.
Chiese di vedere un avvocato nel momento in cui Rider e Bosch entrarono
nella stanza.
«Perché vuole vedere un avvocato?» domandò Bosch. «Pensa di essere
in arresto?»
«Mi state dicendo che me ne posso andare?»
Si alzò.
«Si sieda» disse Bosch. «Questa notte è stato ucciso Roland Mackey e
lei potrebbe essere in pericolo. La teniamo in custodia per proteggerla.
Questo significa che non uscirà da qui finché non avremo sistemato alcune
cose.»
«Io non ne so niente. Sono stata con Billy tutta la sera finché non si sono
presentati i vostri uomini.»
Nei successivi quarantacinque minuti, Messier fornì informazioni con ri-
luttanza. Spiegò che conosceva Mackey attraverso Burkhart e che aveva
acconsentito a richiedere un telefono cellulare e a girarlo a Mackey perché
lui non risultava solvibile. Disse ai detective che Burkhart non lavorava e
che viveva grazie a un risarcimento che aveva ricevuto a seguito di un in-
cidente automobilistico avvenuto due anni prima. Aveva comprato la casa
di Mariano con la liquidazione del danno e si faceva pagare l'affitto da
Mackey. La donna precisò che non abitava nella casa, ma ci passava diver-
se notti quando andava a trovare Burkhart. Quando la interrogarono sul le-
game passato tra Mackey e Burkhart e i gruppi di Potere bianco, si finse
sorpresa. Quando le domandarono della piccola svastica tatuata sulla pelle
tra il pollice e l'indice, asserì che pensava fosse un portafortuna navajo.
«Sa chi ha ucciso Roland Mackey?» domandò Bosch dopo la lunga fase
preliminare.
«No» rispose lei. «Era davvero un tipo gentile. È tutto quello che so.»
«Che cosa le disse il suo fidanzato dopo la telefonata di Mackey?»
«Niente, solo che sarebbe rimasto alzato a parlare con Ro di qualcosa.
Disse che forse sarebbero usciti per avere un po' di privacy.»
«Tutto qui?»
«Sì, è quello che mi ha detto.»
La torchiarono a lungo, da diversi punti di vista, alternandosi nella con-
duzione dell'interrogatorio, senza che emergesse niente di reale valore per
le indagini.
Dopo di lei toccò a Burkhart, ma prima di entrare nella stanza Bosch
chiamò Marcia e Jackson per un aggiornamento.
«Siete già nella casa?» domandò a Marcia.
«Sì, siamo dentro. Non abbiamo trovato ancora niente.»
«C'è qualche cellulare?»
«Niente cellulari finora. Pensi che Burkhart possa essere riuscito a sgat-
taiolare fuori senza farsi vedere da Kehoe e Bradshaw?»
«Tutto è possibile, ma ne dubito. Quei due non stavano dormendo.»
Rimasero in silenzio per un momento a riflettere, poi Marcia parlò.
«Quanto tempo è passato da quando Mackey è stato fottuto a quando a-
vete chiamato Kehoe e Bradshaw per trattenere Burkhart?»
Prima di rispondere Bosch ripensò alle proprie azioni sulla freeway.
«Non molto» disse alla fine. «Dieci minuti al massimo.»
«Allora non ci sono dubbi» disse Marcia. «Arrivare dalla 118 all'uscita
di Porter Ranch fino a Mariano Street sulle Woodland Hills al massimo in
dieci minuti? E senza farsi vedere dai nostri uomini? Non se ne parla. Non
è stato lui. Kehoe e Bradshaw sono il suo alibi.»
«E non ci sono cellulari in casa...»
Sapevano tutti che la linea fissa dell'abitazione non era stata usata, per-
ché la chiamata sarebbe stata registrata dalla strumentazione della Listen-
Tech.
«No» disse Marcia. «Niente cellulare e niente chiamate sulla linea fissa.
Non penso che sia il nostro uomo.»
Bosch non era ancora pronto ad arrendersi. Ringraziò e riagganciò, poi
riferì le cattive notizie a Rider.
«Allora cosa facciamo con lui?» domandò Kiz.
«Be', potrebbe non essere il nostro uomo per l'omicidio di Mackey, ma
Mackey lo ha chiamato dopo essersi fatto leggere l'articolo. Mi convince
ancora per il caso Verloren.»
«Ma non ha senso. Chiunque abbia colpito Mackey doveva essere il suo
partner nel caso Verloren, a meno che tu non stia dicendo che quello che è
successo sulla rampa è stata una coincidenza.»
Bosch scosse il capo.
«No, non dico questo. È solo che ci stiamo perdendo qualcosa. Burkhart
deve essere riuscito a inviare un messaggio.»
«Come fare il numero di un killer? Non funziona, Harry.»
Ora Bosch annuì. Sapeva che aveva ragione lei. Non quadrava.
«Va bene, allora andiamo dentro e vediamo cos'ha da dire.»
Rider annuì, poi passarono qualche minuto a elaborare una strategia di
interrogatorio prima di tornare nel corridoio dietro la sala detective ed en-
trare nella stanza dove Burkhart aspettava.
La stanza era impregnata dall'odore dell'uomo, e Bosch lasciò la porta
aperta. Burkhart aveva posato la testa sulle braccia incrociate. Siccome
non alzava il capo dal finto sonno, Bosch diede un calcio alla gamba della
sedia. L'uomo sollevò la testa.
«Alzati e risplendi, Billy Blitzkrieg» disse Bosch.
Burkhart aveva i capelli neri tagliati in modo irregolare, che ricadevano
attorno a un viso dalla pelle bianca e pallida. Aveva l'aspetto di uno che
non esce mai se non di notte.
«Voglio un legale» disse Burkhart.
«Tutti lo vorremmo. Ma cominciamo dal principio. Mi chiamo Bosch e
questa è Kiz Rider. Tu sei William Burkhart e sei in arresto perché sospet-
tato di omicidio.»
Rider iniziò a leggergli i suoi diritti, ma lui la interruppe.
«Siete pazzi? Non sono mai uscito di casa. La mia ragazza è stata lì tutto
il tempo.»
Bosch si portò un dito alle labbra.
«Lasciala finire, Billy, poi potrai mentire quanto vuoi.»
Rider finì di leggere i diritti dal retro di un biglietto da visita. Poi Bosch
prese di nuovo la parola.
«Stavi dicendo?»
«Stavo dicendo che siete fottuti. Sono stato a casa per tutto il tempo e ho
una testimone che può provarlo. Comunque, Ro era un mio amico, perché
avrei dovuto ucciderlo? È uno scherzo del cazzo, perciò perché non mi la-
sciate chiamare il mio avvocato, così potrò portare il culo fuori da qui?»
«Hai finito, Bill? Perché ho una novità per te. Non stiamo parlando di
Roland Mackey. Ti stiamo riportando indietro di diciassette anni, a Rebec-
ca Verloren. Te la ricordi? La ragazza che portaste sulla collina? È di lei
che stiamo parlando.»
Burkhart non mostrò alcuna reazione. Bosch aveva sperato in un segno,
qualcosa che suggerisse che era sulla strada giusta.
«Non so di cosa stiate parlando» disse Burkhart, il volto di pietra.
«Ti abbiamo registrato. Mackey ti ha chiamato ieri sera. È finita, Bur-
khart. Diciassette anni sono una fuga lunga. Ma ora è finita.»
«Non avete un cazzo. Se c'è una registrazione allora mi sentirete solo di-
re a Ro di stare zitto. Non ho il cellulare, non mi fido di quei cosi. Per me è
una regola. Voleva raccontarmi i suoi problemi, ma io gli ho impedito di
farlo con un maledetto cellulare. E quanto a questa Rebecca come cazzo si
chiama, non ne so niente. Penso che avreste dovuto chiedere a Ro, finché
ne avevate l'opportunità.»
Guardò Bosch e fece l'occhiolino. Bosch aveva voglia di saltargli addos-
so. Ma si trattenne.
Si confrontarono a parole per altri venti minuti, ma né Bosch né Rider
riuscirono a scalfire l'armatura di Burkhart. Alla fine questi decise di la-
sciar perdere, disse ancora una volta che voleva un avvocato e non rispose
alle domande che seguirono.
Rider e Bosch lasciarono la stanza per discutere le varie opzioni, che,
convennero, erano minime. Avevano tentato un bluff, ma Burkhart aveva
chiesto di vedere le carte. Ora, o gli concedevano di procurarsi un avvoca-
to o lo buttavano fuori.
«Non abbiamo niente, Harry» disse Rider. «Smettiamola di prenderci in
giro. Io dico di buttarlo fuori.»
Bosch annuì. Sapeva che era vero. Mackey, l'unico legame con il delitto
Verloren, era andato. Lo avevano perso per colpa sua. Ora sarebbero dovu-
ti tornare indietro nel tempo, a cercare qualcosa che era andato perso o era
stata ignorato diciassette anni prima. La depressione causata dallo stato
delle indagini calò su di lui come una coperta di piombo.
Aprì il telefono e chiamò Marcia ancora una volta.
«Niente?»
«Niente, Harry. Niente telefono, niente prove, niente.»
«Okay, tanto perché lo sappiate, lo sbattiamo fuori. Potrebbe comparire
lì tra non molto.»
«Grandioso. Non gli piacerà quello che troverà qui dentro.»
«Bene.»
Bosch chiuse il telefono e guardò Rider. Gli occhi di lei raccontavano
tutto. Disastro. Sapeva di averla delusa. Per la prima volta pensò che forse
Irving aveva ragione, forse non sarebbe dovuto tornare.
«Vado a dirgli che è un uomo libero.»
Appena si allontanò, Rider lo chiamò.
«Harry, io non ti biasimo.»
Si voltò a guardarla.
«Ho condiviso ogni passo di questa strada. Era un buon piano.»
Bosch annuì.
«Grazie, Kiz.»

35

Bosch andò a casa per farsi una doccia, infilarsi dei vestiti puliti e maga-
ri chiudere gli occhi per un po' prima di tornare in centro per la riunione
della unità. Ancora una volta guidò attraverso una città che si stava appena
svegliando. E ancora una volta gli parve orribile, colma di spigoli e sguardi
induriti. Tutto gli pareva brutto adesso.
Non era ansioso di andare alla riunione, sapeva che tutti gli occhi sareb-
bero stati su di lui. Per i detective dell'Unità Casi Irrisolti era chiaro che
ora, dopo la morte di Mackey, le loro azioni sarebbero state analizzate e
giudicate con il senno di poi. Se sentivano il bisogno di cercare una ragio-
ne per un arresto della carriera, non avrebbero dovuto andare troppo lonta-
no.
Bosch gettò le chiavi sul bancone della cucina e controllò il telefono.
Nessun messaggio. Consultò l'orologio e stabili che gli restavano come
minimo un paio d'ore prima di avviarsi verso il Pacific Dining Car. Con-
trollare l'ora gli ricordò l'ultimatum che aveva dato a Irving durante il con-
fronto che avevano avuto fuori dalla Rapine e Omicidi. Ma Bosch ormai
dubitava che avrebbe avuto notizie del vicecapo o di McClellan. Sembrava
proprio che tutti andassero a vedere i suoi bluff.
Sapeva che, con tutto quel peso addosso, dormire un paio d'ore non sa-
rebbe stata un'opzione praticabile. Si era portato a casa il fascicolo del de-
litto e tutti i file accumulati. Decise di lavorarci sopra. Sapeva che quando
tutto il resto andava storto, c'era sempre il fascicolo. Doveva tenere gli oc-
chi sull'obiettivo. Sul caso.
Avviò il bollitore del caffè, fece una doccia di cinque minuti e si rimise
al lavoro. Rilesse i documenti mentre un'edizione rimasterizzata di Kind of
Blue usciva dal lettore CD.
La sensazione che si stesse perdendo qualcosa che doveva trovarsi pro-
prio sotto i suoi occhi lo opprimeva. Sentiva che sarebbe stato tormentato
dal caso, che non sarebbe più riuscito a scrollarselo di dosso, a meno che
non fosse scattato qualcosa che gli avrebbe permesso di scovare ciò che
mancava. E sapeva che questo qualcosa poteva trovarsi solo nel fascicolo.
Decise che questa volta non avrebbe letto i documenti nell'ordine in cui
erano stati presentati dai primi investigatori del caso. Aprì gli anelli ed e-
strasse le pagine. Cominciò a leggerle in ordine sparso, prendendosi tutto il
tempo, accertando di aver assorbito ogni nome, ogni parola, ogni fotogra-
fia.
Quindici minuti dopo, stava guardando di nuovo le fotografie scattate
dalla Scientifica nella camera da letto di Rebecca Verloren quando sentì lo
sportello di un'auto che si chiudeva davanti a casa. Curioso di sapere chi
stesse parcheggiando là fuori così presto, si alzò e andò alla porta. Attra-
verso lo spioncino scorse un uomo che si avvicinava da solo. Non poteva
vederlo con chiarezza dietro la lente convessa del piccolo foro. Aprì co-
munque la porta, prima che l'ospite potesse bussare.
L'uomo fu sorpreso dal fatto di essere stato spiato mentre si avvicinava.
Era chiaro dal suo atteggiamento che si trattava di un poliziotto.
«McClellan?»
Annuì.
«Tenente McClellan. Presumo che lei sia il detective Bosch.»
«Avrebbe potuto chiamare.»
Bosch indietreggiò per farlo entrare. Nessuno dei due offrì all'altro la
mano da stringere. Bosch pensò che fosse tipico di Irving mandare il suo
uomo a casa. Una procedura standard, la classica strategia intimidatoria: so
dove abiti.
«Ho pensato che sarebbe stato meglio parlare faccia a faccia» disse
McClellan.
«Ha pensato? O lo ha pensato il vicecapo Irving?»
McClellan era un uomo grosso, con i capelli biondi, quasi trasparenti, e
ampie guance floride. Bosch pensò che il modo migliore per descriverlo
sarebbe stato ben nutrito. Le sue guance assunsero una tinta più scura alla
domanda di Bosch.
«Senta, sono qui per collaborare con lei, detective.»
«Bene. Posso offrirle qualcosa? Ho dell'acqua.»
«L'acqua andrà bene.»
«Si accomodi.»
Bosch andò in cucina, scelse dalla credenza il bicchiere più impolverato
e lo riempì con l'acqua del rubinetto. Girò l'interruttore della macchinetta
del caffè. Non aveva intenzione di mettere McClellan a proprio agio.
Quando tornò in salotto McClellan stava guardando oltre le porte a vetri
scorrevoli e la veranda. L'aria era limpida sul passo. Ma era ancora presto.
«Bella vista» disse McClellan.
«Lo so. Non vedo documenti nelle sue mani, tenente. Spero che questa
non sia una visita di cortesia, né una chiacchierata come quelle che fece
con Robert Verloren diciassette anni fa.»
McClellan si voltò verso Bosch e accettò il bicchiere d'acqua e l'insulto
con la medesima espressione vuota.
«Non ci sono documenti. Se ci fossero stati, sarebbero scomparsi molti
anni fa.»
«E dunque? È qui per cercare di convincermi con i suoi ricordi?»
«È vero, io ricordo molto bene quel periodo. Deve capire una cosa, io
ero un detective di primo grado assegnato alla PDU. Se mi veniva affidato
un lavoro, io lo svolgevo. Non si discutono gli ordini in quelle situazioni.
Lo fai una volta e sei fuori.»
«Perciò era un buon soldato che compiva bene il proprio lavoro. Ho ca-
pito. E che mi dice degli Otto di Chatsworth e dell'omicidio di Rebecca
Verloren? Che mi dice degli alibi?»
«C'erano otto membri negli Otto. Verificai tutti i loro alibi. E non pensi
che l'abbia fatto perché desideravo scagionarli. Mi venne chiesto di verifi-
care se qualcuno di quei disgraziati fosse coinvolto. E io controllai, ma ri-
sultarono tutti puliti, quantomeno per quanto riguardava l'omicidio.»
«Mi parli di Roland Mackey e William Burkhart.»
McClellan si sedette su una sedia accanto al televisore. Appoggiò sul ta-
volino da caffè il bicchiere d'acqua, da cui ancora doveva bere. Bosch
spense Miles Davis nel mezzo di Freddie Freeloader e rimase in piedi con
le mani in tasca, vicino alle porte scorrevoli.
«Be', per quello che riguarda Burkhart, fu facile. Quella sera lo stavamo
già sorvegliando.»
«Si spieghi.»
«Era appena uscito da Wayside. Ci era stato riferito che mentre era den-
tro si era verificata una recrudescenza dei conflitti etnico-religiosi, perciò
pensammo che fosse prudente vedere se avrebbe tentato di rimettere in
piedi la banda.»
«Chi diede l'ordine?»
McClellan si limitò a guardarlo.
«Irving, naturalmente» rispose Bosch. «Per mettere l'accordo al sicuro.
Perciò la PDU sorvegliava Burkhart. Continui.»
«Burkhart era uscito e aveva legato con due tizi del vecchio gruppo. Un
tipo di nome Withers e un altro di nome Simmons. Sembrava che potesse-
ro progettare qualcosa, ma la notte in questione erano in una sala da biliar-
do sulla Tampa a bere fino allo stordimento. Era un alibi solido. Due poli-
ziotti travestiti sono rimasti con loro tutto il tempo. È questo che sono ve-
nuto a dirle, detective. Erano alibi solidi.»
«Sì? Be', mi dica di Mackey. Il PDU non lo sorvegliava, no?»
«No, Mackey no.»
«E allora com'è che il suo alibi era così solido?»
«Quello che ricordo di Mackey è che nella notte in cui la ragazza venne
presa era sotto tutoraggio alla Chatsworth High. Frequentava le scuole se-
rali per prendere il diploma intermedio. Un giudice gliel'aveva ordinato
come condizione per la libertà sulla parola. Solo che doveva superare l'e-
same, ma non stava andando troppo bene. Tutte le sere libere le passava
con un tutor quando a scuola non c'erano lezioni. E la sera in cui la ragazza
venne portata via era con il tutor. Lo confermo.»
Bosch scosse il capo. McClellan stava cercando di fargli bere una storia
assurda.
«Mi sta dicendo che Mackey studiava con un tutor nel cuore della notte?
O sta mentendo o ha creduto a un sacco di stronzate. Mackey e il suo tutor.
Chi era l'insegnante?»
«Non ricordo il nome del tizio adesso, ma finirono al più tardi verso le
undici, poi se ne andarono ciascuno per la propria strada. Mackey andò a
casa.»
Bosch era esterrefatto.
«Questo non è un alibi, tenente! La ragazza è morta alle due di notte.
Non lo sapeva?»
«Certo che lo sapevo. Ma l'ora della morte non era l'unico elemento per
verificare l'alibi. Mi vennero dati i rapporti messi insieme dai tizi che se-
guivano il caso. Nessuno degli ingressi della casa era stato forzato. E il pa-
dre aveva fatto il giro per controllare che tutte le porte fossero chiuse dopo
essere rientrato alle dieci. Questo significa che il killer a quell'ora doveva
già essere dentro. Era nascosto, in attesa che tutti andassero a dormire.»
Bosch si sedette sulla poltrona e si chinò in avanti, con i gomiti sulle gi-
nocchia. All'improvviso si rese conto che McClellan aveva ragione, e che
tutto adesso era diverso. Aveva visto lo stesso rapporto che McClellan a-
veva letto diciassette anni prima, ma non ne aveva registrato il significato.
L'assassino era già in casa quando Robert Verloren era rientrato dal lavoro.
Questo cambiava molte cose. Cambiava il modo in cui Bosch doveva
guardare non solo alle indagini originarie, ma anche alle proprie.
Non registrando il tumulto interiore di Bosch, McClellan proseguì.
«Perciò Mackey non poteva essere entrato in quella casa perché era con
il suo tutor. Era pulito. Tutti quei piccoli bastardi erano puliti. Quindi feci
al mio capo un resoconto verbale e lui lo riferì ai due che lavoravano sul
caso. E con questo tutto finì, finché non è saltata fuori la storia del DNA.»
Bosch annuì, ma erano altre le cose a cui pensava.
«Se Mackey era pulito, come si spiega il DNA sull'arma del delitto?»
domandò.
«Non so cosa dire. Non lo so spiegare. L'ho scagionato dal coinvolgi-
mento nell'omicidio, ma deve essere...»
Non terminò la frase.
Bosch pensò che sembrasse davvero ferito all'idea di aver potuto aiutare
un assassino a farla franca, o quantomeno la persona che aveva fornito
l'arma del delitto. Sembrava che tutto d'un colpo si fosse reso conto di es-
sere stato corrotto da Irving. Aveva un aspetto desolato.
«Irving è ancora deciso a passare tutta la faccenda ai media e agli Affari
Interni?» domandò Bosch con calma.
McClellan scosse lentamente il capo.
«No» disse. «Mi ha detto di portarle un messaggio. Mi ha pregato di dir-
le che un accordo rimane un accordo soltanto se entrambe le parti vi ten-
gono fede. Tutto qui.»
«Un'ultima domanda» disse Bosch. «La scatola con le prove del caso
Verloren è scomparsa. Lei ne sa niente?»
McClellan lo fissò. Bosch si rese conto di averlo pesantemente insultato.
«Lo dovevo chiedere» disse Bosch.
«Io so solo che quella roba è sparita» disse McClellan con la mascella
serrata. «Chiunque potrebbe averla portata via in questi diciassette anni.
Ma non sono stato io.»
Bosch annuì. Si mise in piedi.
«Be', devo rimettermi al lavoro» disse.
McClellan raccolse l'invito e si alzò. Parve ingoiare la rabbia per l'ultima
domanda, forse aveva accettato la spiegazione di Bosch. Era una domanda
che non poteva essere evitata.
«Va bene, detective» disse. «Buona fortuna. Spero che riesca a catturare
il tizio. E lo dico sul serio.»
Porse la mano a Bosch. Bosch non conosceva la storia di McClellan, non
conosceva tutte le circostanze della vita del PDU nel 1988, ma sentiva che
McClellan avrebbe lasciato la casa con un fardello più greve di quello con
cui era entrato. Perciò decise che avrebbe potuto stringergli la mano.
Dopo che McClellan se ne fu andato, Bosch si sedette di nuovo, riflet-
tendo sul fatto che l'assassino di Rebecca Verloren doveva essere nascosto
nella casa. Si alzò e andò al tavolo della sala da pranzo, dove aveva spar-
pagliato i documenti. Sfogliò i rapporti finché non trovò quello della
Scientifica sull'analisi delle impronte digitali.
Il rapporto era lungo diverse pagine e conteneva l'analisi di molte im-
pronte lasciate sulla superficie degli oggetti contenuti nella casa dei Verlo-
ren. Il resoconto riassuntivo concludeva che nessuna delle impronte rinve-
nute nella casa aveva origine sconosciuta, pertanto era probabile che il so-
spetto o i sospetti indossassero i guanti, o che semplicemente avessero evi-
tato di toccare superfici sulle quali avrebbero potuto lasciare le impronte.
Il resoconto diceva che le impronte rilevate coincidevano con quelle dei
membri della famiglia Verloren o di persone che avevano ragioni valide
per essere state nella casa e aver toccato gli oggetti su cui erano rimaste le
tracce.
Questa volta Bosch lesse il resoconto in maniera differente e nella sua
interezza. Non era più interessato ai risultati, voleva sapere dove i tecnici
avevano cercato le impronte.
Il rapporto aveva la data del giorno successivo al ritrovamento del corpo
di Rebecca. Dettagliava i passaggi di routine della ricerca di impronte. Tut-
te le superfici erano state analizzate. Le maniglie delle porte e le chiavi. I
davanzali delle finestre e gli infissi. Tutti i punti sui quali sarebbe stato lo-
gico che l'assassino potesse aver lasciato impronte durante il crimine.
Mentre erano state rinvenute diverse impronte sulle finestre e sulle serratu-
re, che coincidevano con quelle di Robert Verloren, il rapporto affermava
che non erano state trovate tracce utilizzabili sulle maniglie delle porte
all'interno della casa. Non si trattava di una cosa insolita, a causa delle
sbavature che si verificavano ogni volta che la maniglia veniva girata.
Fu quello che non era scritto nel rapporto a rivelare a Bosch la falla at-
traverso la quale l'assassino poteva essersi salvato. La Scientifica era entra-
ta nella casa un giorno dopo la scoperta del corpo della vittima, dopo che il
caso era stato mal interpretato già due volte. Prima si era pensato alla fuga
di un'adolescente, poi a un suicidio. Come se non bastasse, quando alla fi-
ne erano state avviate le indagini per omicidio, la squadra era stata manda-
ta all'interno della casa senza alcuna indicazione.
A quel punto, gli investigatori non si erano ancora fatti un'idea del caso.
L'ipotesi che il killer potesse essere rimasto nascosto nel garage o da qual-
che altra parte per diverse ore non era ancora stata formulata. La ricerca di
impronte digitali e di altre prove, come capelli e fibre, non era mai andata
oltre l'ovvio, oltre la superficie.
Bosch sapeva che ormai era troppo tardi. Erano trascorsi troppi anni. Un
gatto si aggirava per la casa e chissà quanti oggetti comprati dai robivecchi
erano entrati e usciti dal luogo in cui l'assassino era rimasto nascosto ad
aspettare.
I suoi occhi si posarono sulle foto sparpagliate sul tavolo, e lui fu colpito
da un dettaglio. La camera da letto di Rebecca era l'unico locale che non
era stato contaminato dal tempo. Era come un museo con le sue opere d'ar-
te inscatolate e sigillate.
Bosch sparse sul tavolo le foto della camera da letto. C'era qualcosa che
lo aveva infastidito fin dalla prima volta. Non riusciva ancora a capire co-
sa, ma ora sentiva l'urgenza di andare a fondo. Studiò gli scatti dello scrit-
toio, del comodino e poi dell'armadio aperto. Da ultimo esaminò il letto.
Pensò alle foto che erano state pubblicate sul giornale e prese la seconda
copia dell'articolo che aveva conservato nel file con i documenti della se-
conda indagine.
Studiò gli scatti di Emmy Ward e li paragonò con le fotografie di dicias-
sette anni prima.
La stanza sembrava esattamente la stessa, come se fosse rimasta inviola-
ta dal dolore che emanava, ardente come una fornace. A un tratto notò una
piccola differenza. Nello scatto sul Daily News il letto era stato tirato e li-
sciato con cura, negli scatti più vecchi della Scientifica, il letto era rifatto,
ma la sopraccoperta da una parte era ripiegata verso l'interno, dall'altra era
scivolata verso l'esterno.
Gli occhi di Bosch si mossero avanti e indietro da una foto all'altra. Sentì
qualcosa che si scioglieva dentro di lui. Avvertì una piccola scarica elettri-
ca nel sangue. Ecco cosa l'aveva turbato. Era quel quid che non quadrava.
«Dentro e fuori» si disse.
C'era la possibilità che la sopraccoperta fosse stata tirata verso l'interno
del letto da qualcuno che era scivolato sotto, mentre, dall'altro lato, era sta-
ta spinta in fuori quando la persona era sgattaiolata fuori.
Dopo che tutti quanti si erano addormentati.
Bosch si alzò e cominciò a camminare a grandi passi, ripensando a tutta
la vicenda. Nelle foto scattate dopo il rapimento e l'omicidio, il letto mo-
strava in modo chiaro la possibile via di entrata e di uscita. L'assassino di
Rebecca poteva aver atteso proprio sotto il letto che la ragazza si addor-
mentasse.
«Dentro e fuori» disse di nuovo Bosch.
Ci lavorò ancora. Sapeva che non erano state rinvenute impronte digitali
leggibili nella casa. Ma erano state analizzate solo le superfici più ovvie.
Questo non significava per forza di cose che l'assassino indossasse i guan-
ti. Voleva dire solo che era stato abbastanza furbo da non toccare niente a
mani nude, o che aveva confuso le impronte dove era stato indispensabile
lasciarle. Anche se avesse indossato i guanti quando era entrato in casa,
possibile che l'assassino non li avesse mai tolti mentre aveva aspettato -
con tutta probabilità per ore - sotto il letto?
Valeva la pena di fare un tentativo. Bosch andò in cucina, chiamò la
Scientifica e chiese di Raj Patel.
«Raj, che stai facendo?»
«Catalogo le prove che abbiamo rinvenuto ieri notte sulla freeway.»
«Ho bisogno che il tuo uomo migliore venga con me a Chatsworth.»
«Ora?»
«Proprio ora, Raj. Più tardi potrei non avere più un lavoro. Dobbiamo
farlo adesso.»
«Cos'è che dobbiamo fare?»
«Voglio sollevare un letto e guardarci sotto. È importante, Raj. Se tro-
viamo qualcosa, ci porterà all'assassino.»
Ci fu un breve silenzio, poi Patel rispose.
«Sono io il mio uomo migliore, Harry. Dammi l'indirizzo.»
«Grazie, Raj.»
Gli diede l'indirizzo e riagganciò. Tamburellò le dita sul bancone, chie-
dendosi se era il caso di chiamare Kiz Rider. Era demoralizzata e depressa
quando erano usciti dal Parker Center, tanto da dichiarare che desiderava
solo mettersi a dormire. Avrebbe dovuto svegliarla per il secondo giorno di
fila? Sapeva che non era quello il punto. Il punto era che preferiva aspetta-
re di vedere se c'era qualcosa sotto il letto prima di ridestare le sue speran-
ze.
Decise di attendere che ci fosse qualcosa di concreto prima di chiamarla.
Invece prese il telefono e svegliò Muriel Verloren. Le disse che stava an-
dando a casa sua.

36

Bosch arrivò alla riunione della squadra al Pacific Dining Car in ritardo,
a causa del traffico di rientro dalla Valley. Erano tutti in una sala privata
interna. In molti erano già stati serviti.
La sua eccitazione doveva essere evidente. Pratt interruppe un resoconto
di Tim Marcia per guardare Bosch e disse: «O in queste due ore di libertà
hai avuto un colpo di fortuna, o non te ne frega niente della merda in cui
siamo sprofondati».
«Ho avuto un colpo di fortuna» disse Bosch, mentre prendeva posto
sull'unica sedia vuota. «Ma non nel senso che intendi tu. Raj Patel ha ap-
pena trovato l'impronta di un palmo e di due dita su un'assicella di legno
sotto il letto di Rebecca Verloren.»
«Bene» disse Pratt. «Cosa significa?»
«Significa che appena Raj passerà le impronte al database, potremmo
avere il nostro assassino.»
«Come avresti fatto?» domandò Rider.
Bosch non l'aveva più chiamata. Sentiva già una vibrazione ostile nel to-
no di voce della partner.
«Non ti volevo svegliare» disse Bosch. Poi si rivolse agli altri. «Stavo
esaminando i rapporti sulle impronte digitali nel fascicolo del delitto. Mi
sono reso conto che la Scientifica era andata a cercare le impronte solo il
giorno successivo al ritrovamento del corpo. Non ci erano più tornati dopo
che si era concretizzata la possibilità che il rapitore fosse entrato nella casa
prima di sera, quando la porta del garage era ancora aperta, e che si fosse
nascosto in attesa che tutti si addormentassero.»
«Allora perché il letto?» domandò Pratt.
«Le foto della scena del crimine mostrano che il copriletto ai piedi del
letto è stato spinto in dentro. Come se qualcuno vi fosse scivolato sotto.
Non se ne accorsero perché non cercavano quello.»
«Bel lavoro, Harry» disse Pratt. «Se Raj trova un riscontro, cambiamo
direzione e lavoriamo su quello. Va bene, torniamo ai nostri rapporti. Puoi
farti riferire dalla tua partner quello che ti sei perso fino ad ora.»
Pratt si volse quindi verso Robinson e Nord all'altro capo del lungo tavo-
lo e chiese: «A che conclusioni siete arrivati con la chiamata per il carro
attrezzi?».
«Non molto che possa essere d'aiuto» disse Nord. «La telefonata è arri-
vata dopo che avevamo spostato il monitoraggio sulla casa di Burkhart,
perciò non abbiamo una registrazione. Ma abbiamo la traccia della chiama-
ta, da cui risulta che era diretta alla Tampa Towing, prima di essere dirotta-
ta sul servizio di risposta della Tripla A. Arrivava da un telefono pubblico
di fronte al Seven-Eleven sulla Tampa, vicino all'entrata della freeway.
Con tutta probabilità, il nostro uomo ha effettuato la chiamata, poi è sceso
lungo la rampa e si è fermato ad aspettare.»
«Impronte sul telefono?» domandò Pratt.
«Abbiamo chiesto a Raj di dare un'occhiata» disse Robinson. «Il telefo-
no è stato pulito.»
«Figuriamoci» disse Pratt. «Avete parlato con la Tripla A?»
«Sì, nessun indizio, a parte la conferma che a chiamare è stato un uo-
mo.»
Si rivolse verso Bosch.
«Hai qualcosa da aggiungere che la tua partner non ci abbia ancora det-
to?»
«Sono sicuro che vi abbia detto tutto. Sembra che Burkhart sia pulito e a
quanto pare aveva un alibi solido anche la sera dell'omicidio Verloren. In
entrambi i casi era sotto sorveglianza del Dipartimento di Polizia di Los
Angeles.»
Kiz Rider lo guardò interrogativa, le sopracciglia aggrottate. Bosch ave-
va ancora altre informazioni di cui lei non era a conoscenza. Bosch distolse
lo sguardo.
«Be', mi sembra perfetto» commentò Pratt. «Allora, questo a cosa ci por-
ta, gente?»
«Be', il nostro piano con la stampa si è ritorto contro di noi» disse Rider.
«Mackey ha sentito il bisogno di parlare di Rebecca Verloren, ma non ne
ha avuto l'opportunità. Qualcun altro ha letto l'articolo.»
«E quel qualcuno è l'assassino» disse Pratt.
«Esatto» disse Rider. «La persona che Mackey ha aiutato, o a cui ha dato
la pistola diciassette anni fa. E questo tizio doveva anche sapere che non
era suo il sangue sulla pistola, e che quindi doveva essere di Mackey. Sa-
peva che Mackey era il collegamento che ci avrebbe portati a lui, perciò
doveva farlo sparire.»
«Come si è organizzato?» domandò Pratt.
«O è stato abbastanza furbo da immaginare che la storia era un'esca e
che noi stavamo sorvegliando Mackey, oppure ha supposto che il modo
migliore per arrivare a Mackey fosse quello che ha usato. Farlo uscire da
solo. Come ho detto, è stato scaltro. Ha scelto un'ora e un luogo in cui sa-
peva che Mackey sarebbe stato solo e vulnerabile. Su quella rampa sei in
alto sopra la freeway, anche con le luci del carro attrezzi accese, non sa-
rebbe stato possibile vedere quello che succedeva lassù.»
«Era anche un buon posto nel caso Mackey fosse stato pedinato» ag-
giunse Nord. «L'assassino doveva sapere che, se qualcuno stava seguendo
Mackey, in quel punto avrebbe dovuto tirare dritto.»
«Non stiamo dando a questo tizio un po' troppo credito?» domandò
Pratt. «Come avrebbe potuto capire che i poliziotti erano addosso al suo
uomo? Solo da un articolo di giornale? Andiamo.»
Né Bosch né Rider risposero, e il silenzio di tutti gli altri confermò l'ipo-
tesi latente che l'assassino avesse un legame con il dipartimento o, ancora
più precisamente, con le indagini.
«Va bene, cosa c'è ancora?» disse Pratt. «Penso che questa storia possa
essere tenuta sotto controllo al massimo per altre ventiquattro ore. Dopo di
che andrà a finire sui giornali e salirà le scale fino al sesto, e ci saranno un
sacco di spifferi dalle pareti se non impacchettiamo tutto per benino prima
che succeda. Che facciamo?»
«Prendiamo i tabulati telefonici» disse Bosch, parlando per sé e per Ri-
der. «E partiamo da quelli.»
Bosch stava pensando all'appunto per Mackey che aveva visto il giorno
prima sulla scrivania della stazione di servizio. Una chiamata della Visa
per verificare che fosse impiegato lì. Come aveva fatto notare Rider quan-
do glielo aveva riferito la prima volta, Mackey non era il tipo da lasciare
tracce come pagamenti con carta di credito. Era una nota stonata, e pertan-
to voleva indagarla meglio.
«Abbiamo qui tutti i tabulati» disse Robinson. «La linea più impegnata
era quella della stazione di servizio. Tutte chiamate di lavoro.»
«Okay, Harry, Kiz, volete le registrazioni?» domandò Pratt.
Rider guardò Bosch e poi Pratt.
«Se è quello che vuole Harry. Sembra che oggi sia in pista.»
Con straordinario tempismo, il telefono di Bosch cominciò a suonare.
Guardò il display. Era Raj Patel.
«Vedremo subito se siamo pronti al decollo» disse, mentre apriva il tele-
fono.
Patel disse di avere una notizia buona e una cattiva.
«La buona è che abbiamo ancora qui in archivio le impronte che furono
prese allora nella casa. Le impronte rilevate questa mattina non coincidono
con nessuna di quelle. Hai trovato un personaggio nuovo, Harry. Potrebbe
essere il tuo assassino.»
Questo significava che i campioni di impronte dei membri della famiglia
Verloren e degli altri che avevano avuto accesso alla casa si trovavano an-
cora negli archivi della Scientifica. Nessuno di quei campioni coincideva
con le impronte delle dita e del palmo ritrovate quella mattina sotto il letto
di Rebecca Verloren. Di certo le impronte digitali non potevano essere da-
tate, ed era possibile che quelle scoperte quella mattina fossero state lascia-
te da chi aveva montato il letto, ma sembrava improbabile. Le impronte
provenivano dalla parte inferiore della doga di legno. Chiunque le avesse
lasciate, con tutta probabilità si trovava sotto il letto.
«E la cattiva notizia?» domandò Bosch.
«Le ho appena passate al Dipartimento di Giustizia della California.
Nessun risultato.»
«E l'FBI?»
«È la prossima mossa, ma non sarà così veloce. Le devono trattare. Glie-
le invierò con la procedura d'urgenza, ma sai come vanno queste cose.»
«Lo so, Raj. Fammi sapere appena scopri qualcosa, e grazie per l'impe-
gno.»
Bosch chiuse il telefono. Provava un notevole disappunto, e il suo volto
lo tradiva. Capì che gli altri avevano colto il risultato delle ricerche prima
ancora che potesse dar loro la notizia.
«Non hanno trovato riscontri sul database del Dipartimento di Giustizia»
disse. «Proverà con l'archivio dei federali, ma ci vorrà un po' di tempo.»
«Merda!» disse Renner.
«A proposito di Raj Patel,» disse Pratt «suo fratello ha fissato l'autopsia
per le due di questo pomeriggio. Voglio una squadra là. Chi si offre?»
Renner alzò la mano con poca convinzione. Se ne sarebbero occupati lui
e Robleto. Era un incarico semplice, se uno non si lasciava turbare dalla
vista.
La riunione terminò dopo che Pratt ebbe destinato Robinson e Nord alla
stazione di servizio, a interrogare i colleghi di Mackey. Marcia e Jackson
avrebbero lavorato a mettere insieme i rapporti e al fascicolo del delitto.
Erano ancora i responsabili dell'indagine e l'avrebbero coordinata dalla
stanza 503.
Pratt guardò il conto, lo divise per nove e disse a tutti di mettere un deca.
Questo significava che Bosch doveva tirare fuori dieci dollari nonostante
non avesse preso neppure una tazza di caffè. Non protestò. Era il prezzo
per essere arrivato in ritardo e aver ficcato tutti quanti in quel guaio.
Mentre i detective si alzavano, incrociò lo sguardo di Rider.
«Sei venuta direttamente qui o ti ha portato qualcuno?»
«Mi ha dato un passaggio Abel.»
«Torniamo insieme?»
«Certo.»
Fuori dal ristorante, Rider punì Bosch con il trattamento del silenzio.
Mentre aspettavano che il parcheggiatore portasse loro la macchina, rimase
a fissare il grande manzo di plastica sopra l'insegna del locale. Aveva sot-
tobraccio una cartelletta con i tabulati delle telefonate.
Finalmente arrivò l'auto e ci salirono. Prima di uscire dal parcheggio,
Bosch si voltò e la guardò.
«Va bene, dillo.»
«Cosa?»
«Qualunque cosa tu voglia dire che possa farti sentire meglio.»
«Avresti dovuto chiamarmi, Harry. Tutto qui.»
«Senti, Kiz, ti ho chiamata ieri e mi hai insultato. Ho solo reagito a un'e-
sperienza recente.»
«Questa volta era diverso, e lo sai. Ieri mi hai chiamato perché eri eccita-
to per qualcosa. Oggi stavi seguendo una traccia. Avrei dovuto essere con
te. E non ho scoperto a cosa eri arrivato finché non sei entrato là dentro e
non l'hai detto a tutti quanti. È stato imbarazzante, Harry. Grazie.»
Bosch annuì, era davvero dispiaciuto.
«Su questo punto hai ragione. Mi dispiace. Avrei dovuto chiamarti sulla
via del ritorno. È solo che me ne sono dimenticato. Sapevo di essere in ri-
tardo e ho tenuto tutte e due le mani sul volante per cercare di arrivare il
prima possibile.»
Lei non disse nulla, perciò parlò di nuovo lui.
«Ora possiamo tornare a occuparci del caso?»
Rider alzò le spalle e Bosch avviò il motore. Sulla strada verso il Parker
Center cercò di aggiornarla su tutti i dettagli che non aveva menzionato
durante la riunione a colazione. Le disse della visita di McClellan a casa
sua e di come questa l'avesse condotto alla scoperta delle impronte sotto al
letto.
Venti minuti dopo erano nella loro nicchia nella stanza 503. Bosch fi-
nalmente aveva davanti una tazza di caffè. Si sedettero uno di fronte all'al-
tro e sparpagliarono i tabulati delle telefonate sulle scrivanie.
Bosch era concentrato sui rapporti relativi ai numeri della stazione di
servizio. L'elenco conteneva come minimo un paio di centinaia di voci -
chiamate in entrata e in uscita dei due telefoni della stazione - tra le sei del
mattino, quando era iniziata la sorveglianza, fino alle quattro del pomerig-
gio, quando Mackey si era presentato al lavoro e Renner e Robleto aveva-
no cominciato a monitorare le linee di persona.
Bosch esaminò la lista. Non c'era nulla che a prima vista apparisse fami-
liare. Molte erano chiaramente telefonate di lavoro, che provenivano o e-
rano destinate a utenti il cui nome era legato alle automobili. Molte altre
provenivano dal centralino della Tripla A, ed era verosimile che si trattasse
di chiamate per il carro attrezzi.
C'erano anche diverse telefonate che venivano da numeri privati. Bosch
guardò con attenzione i nomi ma niente gli saltò agli occhi. Nessuna delle
persone elencate era tra gli attori del caso.
C'erano quattro voci nella lista che erano state attribuite alla Visa, tutte
allo stesso numero. Bosch alzò il telefono e chiamò. Non sentì squillare.
Udì soltanto il suono stridulo del collegamento a un computer. Era così
forte che persino Rider lo sentì.
«Cos'è quello?»
Bosch riagganciò.
«Sto cercando di concentrarmi su quell'appunto che ho visto sulla scri-
vania alla stazione di servizio, quello sulla Visa che avrebbe chiamato per
aver conferma dell'impiego di Mackey. Ti ricordi che tu stessa hai detto
che non ti quadrava?»
«Me n'ero dimenticata. Era quello il numero?»
«Non lo so. La Visa compare quattro volte nel tabulato ma... aspetta un
minuto.»
Realizzò che le chiamate alla Visa erano solo in uscita.
«Non importa, queste erano chiamate in uscita. Deve essere il numero
che compone la macchina quando un cliente paga con la carta di credito.
Non ci sono chiamate in entrata dalla Visa.»
Bosch alzò di nuovo il ricevitore e chiamò il cellulare di Nord.
«Siete già alla stazione di servizio?»
La collega rise.
«Siamo appena usciti da Hollywood. Ci arriveremo tra mezzora.»
«Chiedete di un messaggio telefonico che qualcuno ha lasciato ieri per
Mackey. Qualcosa tipo la Visa che ha chiamato per avere conferma
dell'impiego indicato su una richiesta di carta di credito. Domandate cosa
ricordano della telefonata e, ancora più importante, a che ora è arrivata.
Cercate di ottenere l'ora esatta, se potete. Chiedetelo come prima cosa e ri-
chiamatemi subito.»
«Sì, signore. Desidera anche che veniamo a prendere la sua biancheria
sporca?»
Bosch si rese conto che non era la mattina giusta per pestare i piedi ai
colleghi.
«Scusa» disse. «Qui lavoriamo con una pistola puntata alla tempia.»
«Non è così per tutti noi? Ti chiamo appena abbiamo sentito il tizio.»
Nord riagganciò, Bosch posò il ricevitore e guardò Rider. La donna os-
servava la foto di Rebecca Verloren sull'annuario scolastico che avevano
preso in prestito.
«A cosa pensi?» domandò, senza alzare lo sguardo su Bosch.
«Questa storia della Visa mi disturba.»
«Lo so, perciò cosa pensi?»
«Be', diciamo che tu sei l'assassino e che hai avuto da Mackey l'arma
con cui hai commesso il delitto.»
«Allora ti sei arreso con Burkhart? Ieri sera ti ha proprio convinto.»
«Diciamo che i fatti mi stanno persuadendo. Per ora, okay?»
«Okay, vai avanti.»
«Va bene, perciò tu sei l'assassino e hai avuto la pistola da Mackey. È
l'unica persona al mondo che può far convergere le indagini su di te. Ma
sono passati diciassette anni e non è mai successo nulla, perciò ti senti al
sicuro e forse hai anche perso le tracce di Mackey.»
«Okay.»
«E poi ieri prendi il giornale, vedi la foto di Rebecca Verloren e leggi
che è saltata fuori una traccia di DNA. Il sangue non è tuo, perciò o si trat-
ta di un grande bluff dei poliziotti o il sangue è di Mackey. E in quel mo-
mento sai cosa devi fare.»
«Mackey deve sparire.»
«Esatto. I poliziotti si stanno avvicinando troppo. Deve sparire. Perciò
come lo trovi? Be', Mackey ha passato tutta la vita - quando non era in ga-
lera - a guidare carri attrezzi. Se sai questo, fai esattamente quello che ab-
biamo fatto noi. Sfogli le pagine gialle e cominci a chiamare le stazioni di
servizio.»
Rider si alzò e raggiunse gli armadietti con i dossier lungo la parete della
stanza. C'era sopra una pila disordinata di elenchi del telefono. Dovette
mettersi in punta di piedi per raggiungere le pagine gialle della Valley.
Tornò alla scrivania e aprì l'elenco alla pagina dei servizi di carro attrezzi.
Passò il dito sulla lista di indirizzi finché raggiunse la Tampa Towing, do-
ve lavorava Mackey. Alzò il telefono e compose il numero della stazione
di servizio che precedeva la Tampa sull'elenco, la Tall Order Towing Ser-
vice. Non mise il viva voce, e Bosch poté sentire soltanto lei.
«Sì, con chi parlo?»
Rimase un momento in attesa.
«Sono il detective Kiz Rider della polizia di Los Angeles. Sto indagando
su un caso di frode, posso farle alcune domande?»
Rider annuiva, a quanto pareva aveva ottenuto un «faccia pure».
«Il sospetto su cui sto concentrando le mie ricerche chiama diverse so-
cietà di servizi e si qualifica come un dipendente della Visa. Dice di tele-
fonare per una verifica sulla dichiarazione di impiego di qualcuno che ha
fatto richiesta per ottenere la carta di credito. Le dice niente? Abbiamo al-
cune informazioni che ci portano a credere che questo individuo ieri abbia
operato nella Valley. Tende a prendere come bersaglio il settore dei servizi
per l'automobile.»
Rider attese, mentre riceveva una risposta alla sua domanda; guardò
Bosch ma non diede alcuna indicazione.
«Sì, me la può passare per cortesia?»
Rider ripeté la stessa solfa a un'altra persona e pose la stessa domanda.
Poi si chinò in avanti e parve assumere una postura più rigida. Coprì il mi-
crofono e guardò Bosch.
«Bingo» disse.
Tornò alla telefonata e ascoltò ancora un momento.
«Era un uomo o una donna?»
Scrisse qualcosa.
«E a che ora ha chiamato?»
Scarabocchiò un altro appunto e Bosch si alzò per poter leggere rima-
nendo dietro la propria scrivania. La partner aveva scritto su un foglietto:
uomo, circa 13.30. Mentre la conversazione continuava, Bosch controllò il
tabulato delle telefonate e vide una chiamata in ingresso alla Tampa Tow-
ing alle tredici e quaranta. Proveniva da un numero privato. Il nome regi-
strato era Amanda Sobek. Il prefisso indicava che si trattava di un cellula-
re. Né il nome né il numero dicevano niente a Bosch. Ma non aveva alcuna
importanza. Pensò che potevano essere vicini a qualcosa.
Rider terminò la telefonata chiedendo alla persona con cui stava parlan-
do se ricordasse il nome dell'impiegato della Visa. Dopo aver evidente-
mente ricevuto una risposta negativa, domandò: «Le dice niente il nome
Roland Mackey?».
Attese.
«Ne è sicura?» insistette. «Okay, grazie per il suo tempo, Karen.»
Riattaccò e guardò Bosch. L'eccitazione nei suoi occhi aveva cancellato
il disappunto per essere stata esclusa dalla faccenda delle impronte.
«Avevi ragione» disse. «Hanno ricevuto una chiamata. Ha persino rico-
nosciuto il nome, Roland Mackey. Harry, qualcuno cercava di rintracciarlo
mentre noi lo tenevamo d'occhio.»
«E ora noi rintracceremo quel qualcuno. Se hanno seguito l'ordine alfa-
betico, la chiamata successiva è stata alla Tampa Towing. Il registro mo-
stra una chiamata alle tredici e quaranta da una certa Amanda Sobek. Non
è un nome che conosco, ma potrebbe essere la telefonata che cerchiamo.»
«Amanda Sobek» ripeté Rider mentre apriva il computer portatile. «Ve-
diamo cosa c'è su di lei sull'AutoTrack.»
Mentre rintracciava il nome, Bosch ricevette una telefonata da Robinson,
che era arrivato con Nord alla Tampa Towing.
«Harry, il tizio del turno di giorno ha detto che la chiamata è arrivata tra
l'una e le due. Lo sa perché era appena tornato dal pranzo, ed è uscito per
un traino alle due. Una chiamata della Tripla A.»
«Chi ha chiamato dalla Visa era uomo o donna?»
«Uomo.»
«Okay, nient'altro?»
«Sì, quando il tizio ha confermato che Mackey lavorava qui, quello della
Visa ha chiesto che orari facesse.»
«Bene. Puoi fargli un'altra domanda?»
«Ce l'ho qui.»
«Chiedi se hanno una cliente di nome Sobek. Amanda Sobek.»
Bosch attese che la domanda venisse posta.
«Nessuna cliente di nome Sobek» riferì Robinson. «È una buona noti-
zia?»
«Funzionerà.»
Dopo aver messo giù, Bosch si alzò e girò attorno alla scrivania per
guardare lo schermo del computer di Rider. Le disse quello che Robinson
le aveva appena riferito.
«Niente su Amanda Sobek?» domandò.
«Sì, c'è questo. Vive nella West Valley. Sulla Farralone Avenue a Cha-
tsworth. Ma non c'è molto di più. Niente carte di credito o mutui. Penso
che significhi che sia tutto intestato a nome del marito. Deve essere una
casalinga. Sto passando l'indirizzo per vedere se posso tirare fuori il nome
del coniuge.»
Bosch aprì l'annuario della classe di Rebecca Verloren. Iniziò a sfogliare
le pagine in cerca del nome Sobek o Amanda.
«Eccolo qui» disse Rider. «Mark Sobek. Tutto intestato a nome suo:
quattro auto, due case, un mucchio di carte di credito.»
«Non c'era nessuno che si chiamava Sobek nella sua classe» disse
Bosch. «Ma c'erano due ragazze che si chiamavano Amanda. Amanda Re-
ynolds e Amanda Riordan. Pensi che sia una di loro?»
Rider scosse il capo.
«Non penso. L'età non coincide. Qui dice che Amanda Sobek ha quaran-
tuno anni. Rebecca ne avrebbe otto in meno. Qualcosa non quadra. Pensi
che dovremmo semplicemente chiamarla?»
Bosch chiuse bruscamente l'annuario. Rider sobbalzò sulla sedia.
«No» disse. «Andiamoci.»
«Dove? A trovarla?»
«Sì. È ora che cominci ad alzare il culo e ad andare a bussare alle porte.»
Abbassò lo sguardo su Kiz Rider e vide che non era divertita.
«Non mi riferisco al tuo culo in particolare. È un modo di dire figurato.
Andiamo, dai.»
La donna si alzò.
«Sei piuttosto esuberante per uno che potrebbe non avere più il lavoro
alla fine della giornata.»
«È l'unico modo di fare, Kiz. La tenebra ci attende, e alla fine arriva
sempre, che tu ti comporti in un modo o nell'altro.»
La precedette fuori dall'ufficio.

37

L'indirizzo sulla Farralone Avenue fornito dall'AutoTrack portò Bosch e


Rider a una villa in stile mediterraneo che doveva misurare all'incirca mille
e ottocento metri quadri. Aveva un garage separato con quattro porte di le-
gno scuro, sopra le quali si aprivano le finestre della dependance per gli
ospiti. I detective ammirarono la casa da dietro le sbarre di un cancello in
ferro battuto, mentre aspettavano che qualcuno rispondesse al citofono. Al-
la fine si udì una voce uscire dalla scatola di plastica accanto al finestrino
aperto di Bosch.
«Sì, chi è?»
Era una donna. Aveva un tono giovanile.
«Amanda Sobek?» domandò Bosch in risposta.
«No, sono la sua assistente. Voi chi siete, signori?»
Bosch guardò di nuovo la scatola e vide la lente della telecamera. Erano
osservati, oltre che ascoltati.
Tirò fuori il distintivo e lo tenne a una trentina di centimetri dalla tele-
camera.
«Polizia» disse. «Abbiamo bisogno di parlare con Amanda o Mark So-
bek.»
«A che proposito?»
«A proposito di qualcosa che riguarda la polizia. Apra il cancello, per
favore, signora.»
Attesero qualche secondo: Bosch stava per premere di nuovo il bottone
della chiamata quando il cancello iniziò ad aprirsi lentamente. Entrarono e
parcheggiarono in una rotonda davanti al portico a due piani.
«Sembra il genere di posto per cui vale la pena uccidere un autista di
carro attrezzi» disse Bosch con calma mentre spegneva il motore.
Una donna sulla ventina aprì la porta prima che i due detective la rag-
giungessero. Indossava la gonna e una camicetta bianca. L'assistente.
«E lei è?» domandò Bosch.
«Melody Lane. Lavoro per la signora Sobek.»
«La signora è in casa?» domandò Rider.
«Sì, si sta vestendo. Scenderà subito. Potete attendere in salotto.»
Vennero condotti in un atrio dove c'era un tavolo con diverse foto in
mostra. Pareva che la famiglia fosse composta da marito, moglie e due fi-
glie adolescenti. Seguirono Melody in un sontuoso salotto con ampie ve-
trate che si aprivano sul Santa Susana State Park e la Oat Mountain.
Bosch consultò l'orologio. Era quasi mezzogiorno. Melody lo notò.
«Non stava dormendo. Ha fatto ginnastica presto e stava facendo la doc-
cia. Dovrebbe scendere...»
Non ebbe bisogno di finire. Una donna attraente, in pantaloni bianchi e
con un cardigan aperto sulla camicetta di chiffon, entrò frettolosa nella
stanza.
«Cosa succede? C'è qualcosa che non va? Le mie ragazze stanno bene?»
«Lei è Amanda Sobek?» domandò Bosch.
«Certo che lo sono. Cosa c'è? Perché siete qui?»
Bosch indicò la combinazione di poltrone e sedie al centro della stanza.
«Perché non ci sediamo, signora Sobek?»
«Ditemi se è successo qualcosa.»
Il panico sul suo viso parve reale a Bosch, che cominciò a pensare che
forse avevano preso una svolta sbagliata da qualche parte.
«Non c'è niente che non va» disse. «Nulla che riguardi le sue figlie. Le
sue figlie stanno bene.»
«È Mark?»
«No, signora Sobek. Per quanto ne sappiamo, sta bene anche lui. Sedia-
moci.»
Finalmente cedette e camminò rapida verso la grande sedia alla destra
della poltrona. Bosch aggirò un tavolino di vetro e si sedette alla sinistra
della donna. Rider prese una delle sedie rimaste. Bosch si identificò, pre-
sentò Rider e mostrò di nuovo il distintivo. Notò che il tavolino da caffè
era immacolato.
«Stiamo svolgendo un'indagine di cui non le posso parlare. Debbo farle
alcune domande sul suo cellulare.»
«Il mio cellulare? Mi avete spaventato a morte per il mio cellulare?»
«A dire il vero si tratta di un'indagine molto seria, signora Sobek. Ha il
cellulare con sé?»
«È nella borsa. Avete bisogno di vederlo?»
«No, non ancora. Mi può dire quando lo ha usato ieri?»
La signora Sobek scosse il capo, come se si trattasse di una domanda in-
sulsa.
«Non saprei. Di mattina ho chiamato Melody dalla palestra. Non ricordo
in che altro momento. Sono andata al negozio e ho chiamato le mie figlie
per vedere se erano tornate a casa dopo la scuola. Non ricordo altro. Sono
stata a casa quasi tutto il giorno, a parte la palestra. Quando sono a casa
non uso il cellulare. Uso il telefono fisso.»
I cattivi presentimenti si rafforzavano in Bosch: da qualche parte aveva-
no fatto una mossa sbagliata.
«È possibile che qualcun altro abbia usato il suo cellulare?» domandò
Rider.
«Le mie figlie hanno i loro. E anche Melody. Non capisco.»
Bosch tirò fuori dalla tasca la pagina del tabulato. Lesse ad alta voce il
numero che aveva chiamato la Tampa Towing.
«È suo questo numero?» domandò.
«No, è quello di mia figlia. Kaitlyn.»
Bosch si protese in avanti. Questo cambiava ancora la situazione.
«Sua figlia? Dov'era ieri?»
«Ve l'ho già detto. Era a scuola. E non può aver usato il telefono fino al
termine della lezione, a scuola non è permesso.»
«Che istituto frequenta?» domandò Rider.
«Hillside Prep. A Porter Ranch.»
Bosch si appoggiò allo schienale e guardò Rider. In qualche modo il
cerchio si chiudeva. Non sapeva perché, ma sentiva di essere a un punto
cruciale.
Amanda Sobek lesse l'espressione sui loro visi.
«Cosa succede?» domandò. «C'è qualcosa che non va a scuola?»
«No, per quanto ne sappiamo noi, signora» rispose Bosch. «Che classe
frequenta sua figlia?»
«È al secondo anno.»
«Ha un'insegnante di nome Bailey Sable?» domandò Kiz Rider.
Sobek annuì.
«È la sua insegnante di inglese.»
«Può esserci qualche motivo per cui la signora Sable ha preso in prestito
il telefono di sua figlia ieri?» domandò Rider.
Sobek alzò le spalle.
«Non che mi venga in mente. Dovete capire quanto è strano per me tutto
questo. Tutte queste domande. Il suo telefono è stato usato per delle mi-
nacce o qualcosa del genere? C'è di mezzo il terrorismo?»
«No, signora» disse Bosch. «Ma è una questione seria. Ora dobbiamo
andare a scuola e parlare con sua figlia. Apprezzeremmo molto se volesse
venire con noi ed essere presente quando parleremo con lei.»
«Ha bisogno di un avvocato?»
«Non penso, signora.»
Bosch si alzò.
«Possiamo andare?»
«Può venire anche Melody? Voglio che Melody venga con me.»
«Sa che le dico? Incontriamoci là con Melody, così potrà riaccompa-
gnarla a casa se noi avremo bisogno di andare da qualche altra parte.»

38

Il silenzio regnava nell'auto, lungo il tragitto verso la Hillside Prep.


Bosch avrebbe voluto parlare con Rider, per cercare di approfondire gli ul-
timi eventi, ma non voleva farlo davanti ad Amanda Sobek. Perciò rimase-
ro in silenzio finché la donna non domandò di chiamare il marito e Bosch
rispose che per lui andava bene. Lei, però, non riuscì a trovarlo e gli lasciò
un messaggio in cui, con un tono di voce quasi isterico, gli diceva di chia-
marla appena possibile. Quando arrivarono a scuola era l'ora di pranzo.
Mentre camminavano lungo il corridoio principale verso gli uffici, senti-
vano il tumulto di voci quasi assordante che proveniva dalla caffetteria.
La signora Atkins era dietro il bancone dell'ufficio. Quando vide Aman-
da Sobek in compagnia dei detective parve un po' confusa, Bosch chiese di
vedere il preside Stoddard.
«Il signor Stoddard è andato a pranzo fuori dal campus oggi» li informò
la signora Atkins. «C'è qualcosa che posso fare per aiutarvi?»
«Sì, vorremmo vedere Kaitlyn Sobek. La signora Sobek rimarrà con noi
mentre parliamo con lei.»
«Subito?»
«Sì, signora Atkins, subito. Apprezzerei che lei o qualche suo collega
andaste a prenderla. Sarebbe meglio che gli altri ragazzi non la vedessero
in compagnia della polizia.»
«Posso andare io» propose Amanda.
«No» replicò Bosch in fretta. «La vogliamo vedere nello stesso momen-
to in cui la vede lei.»
Era un modo gentile per dirle che non voleva che lei le chiedesse del cel-
lulare prima che lo facesse la polizia.
«Andrò alla caffetteria e la troverò» disse la signora Atkins. «Potrete u-
sare la sala riunioni della presidenza per la vostra... chiacchierata.»
Girò attorno al bancone, evitò lo sguardo di Amanda Sobek e si diresse
verso la porta che conduceva al corridoio principale.
«Grazie, signora Atkins» disse Bosch.
La signora Atkins impiegò quasi cinque minuti per rintracciare Kaitlyn
Sobek e tornare insieme a lei. Nel frattempo, arrivò Melody Lane e Bosch
disse ad Amanda che l'assistente avrebbe dovuto attendere fuori durante il
colloquio. La ragazza entrò con Bosch, Rider e la madre in una stanza ac-
canto all'ufficio del preside, occupata da un tavolo rotondo con sei sedie.
Dopo che tutti si furono accomodati, Bosch annuì in direzione di Rider,
che prese la parola. Bosch pensava che sarebbe stato meglio che fosse una
donna a condurre l'interrogatorio e Rider lo capì senza bisogno di esplicite
indicazioni. Spiegò a Kaitlyn che stavano indagando su una telefonata par-
tita dal suo cellulare alle tredici e quaranta del giorno prima. La ragazza la
interruppe subito.
«È impossibile» disse.
«Perché?» domandò Rider. «La linea che è stata chiamata era sotto con-
trollo. I tabulati mostrano che la telefonata proveniva dal tuo cellulare.»
«Ieri ero a scuola. Non abbiamo il permesso di usare il telefono durante
le ore di lezione.»
Kaitlyn appariva nervosa. Bosch intuiva che stava dicendo una bugia,
ma non riusciva a immaginare a che gioco giocasse. Si chiese se stesse
mentendo perché la madre era presente.
«Dov'è il tuo telefono adesso?» domandò Rider.
«Nello zaino nel mio armadietto. Ed è spento.»
«Era lì ieri alla una e quaranta?»
«Uh-uh.»
Distolse lo sguardo mentre mentiva. Era facile da leggere e Bosch sape-
va che Rider aveva tratto le sue stesse conclusioni.
«Kaitlyn, si tratta di un'indagine molto seria» disse Rider con un tono
dolce. «Se menti con noi, rischi di trovarti in guai davvero grossi.»
«Kaitlyn, non mentire» le intimò Amanda Sobek con veemenza.
«Signora Sobek, restiamo calmi» disse Rider. «Kaitlyn, questi controlli
elettronici sui telefoni di cui ti abbiamo parlato, si chiamano tracciature. Le
registrazioni non mentono. Il tuo telefono è stato usato per fare quella tele-
fonata. Non ci sono dubbi. Perciò, è possibile che qualcuno ieri abbia aper-
to il tuo armadietto e abbia usato il telefono?»
La ragazza alzò le spalle.
«Tutto è possibile, immagino.»
«Okay, chi potrebbe averlo fatto?»
«Non lo so. Siete stati voi a dirlo.»
Bosch si schiarì la voce, e questo attirò su di lui gli occhi della ragazza.
La guardò con durezza e disse: «Penso che forse dovremo fare un salto in
centrale. Questo non è il posto adatto per un interrogatorio».
Cominciò a spingere indietro la sedia per alzarsi.
«Kaitlyn, che succede?» la implorò Amanda. «Queste persone fanno sul
serio. Chi hai chiamato?»
«Nessuno, va bene?»
«No, non va bene.»
«Non avevo il telefono. Me l'avevano confiscato.»
Bosch si sedette e Rider riprese la parola.
«Chi ti ha confiscato il telefono?» domandò.
«La signora Sable» rispose la ragazza.
«Perché?»
«Perché non possiamo usarlo a scuola dopo che è suonata la campanella.
Ieri Rita, la mia migliore amica, non è venuta. Perciò ho cercato di man-
darle un messaggio durante l'ora di inglese per vedere se stava bene, e la
signora Sable mi ha scoperta.»
«E ti ha preso il telefono?»
«Sì, me l'ha requisito.»
La mente di Bosch correva veloce, cercava di far coincidere i lineamenti
di Bailey Koster Sable con quelli dell'assassino di Rebecca Verloren. Sa-
peva che un particolare non quadrava. A sedici anni, Bailey Koster non a-
vrebbe potuto trasportare il corpo inerme della sua amica sulla collina die-
tro casa.
«Perché hai mentito?» domandò Rider a Kaitlyn.
«Perché non volevo che lei sapesse che sono nei guai» disse, indicando
la madre con il mento.
«Kaitlyn, non mentire mai con la polizia» rispose secca Amanda. «Non
mi importa cosa...»
«Signora Sobek, potete discutere di questo più tardi» disse Bosch. «Ci
lasci continuare.»
«Quand'è che hai riavuto il telefono, Kaitlyn?» domandò Rider.
«Alla fine della giornata.»
«Perciò la signora Sable ha tenuto il tuo telefono per tutto il giorno?»
«Sì. Cioè, no. Non per tutto il giorno.»
«Be', allora chi ce l'aveva?»
«Non lo so. Quando ti prendono il telefono, alla fine della giornata devi
andare a recuperarlo nell'ufficio del preside. È quello che ho fatto. Me l'ha
restituito il signor Stoddard.»
Gordon Stoddard. Il puzzle all'improvviso cominciò a ricomporsi. Bosch
era entrato nel tunnel di acqua del caso e ora tutti i dettagli gli mulinavano
attorno. Cavalcò l'onda con chiarezza e con grazia. Tutto combaciava.
Stoddard combaciava. Le ultime parole di Mackey combaciavano.
Stoddard era il professore di Rebecca. Era vicino a lei. Era il suo amante,
era lui che la chiamava a tarda sera. Il quadro si faceva nitido.
Mr. X.
Bosch si alzò in piedi e lasciò la stanza senza pronunciare una parola.
Oltrepassò la porta dell'ufficio di Stoddard. Era aperta, la scrivania era
vuota. Uscì e andò al bancone.
«Signora Atkins, dov'è il signor Stoddard?»
«Era appena arrivato, ma poi è uscito subito.»
«Per andare dove?»
«Non lo so. Forse alla caffetteria. Gli ho detto che lei e la sua collega
stavate parlando con Kaitlyn.»
«Ed è allora che se ne è andato?»
«Sì. Oh, ora che ci penso... potrebbe essere nel parcheggio. Ha detto che
oggi aveva una macchina nuova. Magari la sta mostrando a uno degli inse-
gnanti.»
«Che tipo di macchina? Glielo ha detto?»
«Una Lexus. Mi ha detto anche il modello, ma l'ho dimenticato.»
«Ha un parcheggio riservato?»
«Sì, è nella prima fila, appena esce dall'edificio a destra.»
Bosch si voltò e varcò la soglia. Il corridoio era affollato di studenti che
lasciavano la caffetteria per iniziare le lezioni del pomeriggio. Bosch iniziò
a muoversi attraverso la folla spintonando gli studenti e prendendo veloci-
tà. Presto la strada fu libera e cominciò a correre. Raggiunse il cortile e su-
bito si precipitò lungo la fila di parcheggi a destra. Trovò un posto vuoto
con il nome di Stoddard scritto sull'asfalto.
Si voltò per tornare a prendere Rider. Stava tirando fuori il cellulare dal-
la cintura quando vide una macchia argentata alla propria destra. Era una
macchina che puntava dritto verso di lui, ed era troppo tardi per evitarla.

39

Bosch venne aiutato a mettersi seduto sull'asfalto.


«Harry, stai bene?»
Mise a fuoco e riconobbe Rider. Annuì con un tremolio. Cercò di ricor-
dare cosa fosse successo.
«Era Stoddard» disse. «Mi stava investendo.»
«Con l'auto?»
Bosch rise. Aveva tralasciato quel particolare.
«Sì, con la macchina nuova. Una Lexus argentata.»
Bosch iniziò ad alzarsi. Rider gli posò una mano sulla spalla per tratte-
nerlo.
«Aspetta un minuto. Sei sicuro di stare bene? Ti fa male qualcosa?»
«Solo la testa.»
Cominciava a tornargli alla mente quello che era accaduto.
«L'ho sbattuta quando sono atterrato» disse. «Sono saltato di lato. Ho vi-
sto i suoi occhi, sai? La rabbia, intendo.»
«Fammi vedere i tuoi, di occhi.»
Bosch alzò lo sguardo e Rider gli sorresse il mento mentre gli controlla-
va le pupille.
«Mi sembra che tu stia bene» disse.
«Okay, allora, rimarrò seduto qui per un secondo mentre tu vai a farti
dare dalla signora Atkins l'indirizzo di casa di Stoddard.»
Rider annuì.
«Va bene. Aspettami qui.»
«Fai presto. Dobbiamo trovarlo.»
Kiz tornò di corsa dentro la scuola. Bosch allungò la mano e tastò la
contusione sulla testa. Ripassò nella memoria, che si andava schiarendo, la
sequenza degli avvenimenti. Aveva visto il viso di Stoddard dietro il para-
brezza. Era furioso, contorto.
Ma poi l'uomo aveva sterzato di colpo a sinistra, mentre Bosch saltava
dal lato opposto.
Bosch fece per prendere il telefono: voleva chiamare la centrale e dira-
mare un bollettino perché Stoddard venisse ricercato. Ma l'apparecchio
non era più alla cintura. Si guardò attorno e lo vide sull'asfalto, accanto al-
la ruota posteriore di una BMW. Strisciò e lo afferrò, poi si alzò in piedi.
Fu colto da vertigini e dovette appoggiarsi all'auto. Una voce elettronica
scattò all'istante: «Per favore si allontani dall'auto».
Bosch si staccò dalla BMW e cominciò a camminare verso la parte del
parcheggio dove aveva lasciato la sua auto. Intanto, chiamò la polizia per
diramare il bollettino per Stoddard e la Lexus argentata.
Bosch chiuse il telefono e lo riagganciò alla cintura. Raggiunse l'auto,
avviò il motore e si diresse verso l'uscita, così sarebbero stati pronti a parti-
re non appena Rider fosse saltata a bordo con l'indirizzo.
Dopo quella che gli parve un'attesa interminabile, la partner emerse
dall'edificio e corse verso l'auto. Ma andò dal lato di Bosch, aprì lo sportel-
lo e gli fece cenno di scendere.
«Non è lontano» annunciò. «È una casa sulla Chase, fuori Winnetka. Ma
non guidi tu, guido io.»
Discutere sarebbe stato uno spreco di tempo. Bosch uscì e si mosse il più
velocemente possibile per raggiungere il lato del passeggero. Rider pre-
mette l'acceleratore e uscirono dal parcheggio.
Mentre Kiz guidava verso la casa di Stoddard, Bosch chiamò per avere
rinforzi dalla Divisione Devonshire, poi telefonò ad Abel Pratt e gli fornì
un rapido resoconto degli sviluppi di quella mattina.
«Dove pensate che sia diretto?» domandò Pratt.
«Non ne abbiamo idea. Stiamo andando a casa sua.»
«È un tipo da suicidio?»
«Non ne ho idea.»
Pratt rimase in silenzio per un momento, metabolizzando le informazio-
ni. Pose qualche altra domanda su dettagli di minore importanza e riattac-
cò.
«Sembrava contento» disse Bosch a Rider. «Dice che se riusciremo a
prendere questo tizio potremo trasformare un limone in una limonata.»
«Bene» rispose Rider. «Possiamo prendere le impronte dall'ufficio o dal-
la casa di Stoddard e compararle con quelle sotto il letto. Allora il caso sa-
rà chiuso, che ci sfugga o meno.»
«Non preoccuparti. Lo prenderemo.»
«Harry, cosa pensi, Stoddard e Mackey lo hanno fatto insieme?»
«Non lo so. Ma ricordo la foto di Stoddard nell'annuario. Sembrava piut-
tosto agile. Potrebbe essere stato capace di portarla sulla collina da solo.
Non lo sapremo mai, a meno che non lo troviamo e non lo chiediamo a
lui.»
Rider annuì.
«La domanda chiave,» disse allora «è in che modo Stoddard fosse colle-
gato con Mackey.»
«La pistola.»
«Questo lo so. È ovvio. Intendo, in che modo conosceva Mackey prima?
Dov'è l'intersezione, come faceva a conoscerlo così bene da farsi dare da
lui una pistola?»
«Penso che sia stato di fronte a noi per tutto il tempo» disse Bosch. «E
Mackey me lo ha detto con le sue ultime parole.»
«Chatsworth?»
«Chatsworth High.»
«Cosa intendi?»
«Quell'estate doveva prendere il diploma intermedio alla Chatsworth
High. La notte dell'omicidio l'alibi di Mackey era il suo tutor. Forse era
piuttosto il contrario. Forse Mackey era l'alibi del tutor.»
«Stoddard?»
«Il primo giorno ci disse lui stesso che tutti gli insegnanti della Hillside
avevano dei lavori all'esterno. Forse Stoddard lavorava come tutor. Forse
era il tutor di Mackey.»
«Ci sono un sacco di forse, Harry.»
«Per questo dobbiamo trovare Stoddard prima che si faccia del male da
solo.»
«Pensi che sia il tipo da suicidio? Hai detto ad Abel che non lo sapevi.»
«Non so niente con sicurezza. Ma nel parcheggio mi ha schivato all'ul-
timo secondo. Mi fa pensare che volesse solo fare del male a qualcuno.»
«A se stesso? Forse voleva solo evitare di ammaccare la macchina nuo-
va.»
«Forse.»
Rider svoltò sulla Winnetka, una strada a quattro corsie, e iniziò a pro-
cedere veloce. Erano quasi a casa di Stoddard. Bosch rimase in silenzio, ri-
flettendo su quello che avrebbe potuto trovare. Rider alla fine girò in dire-
zione ovest sulla Chase, dove trovò un'auto della polizia con entrambi gli
sportelli anteriori aperti. Rider si fermò dietro l'auto e saltò fuori dalla
macchina. Bosch estrasse la pistola dalla cintura e la portò lungo il fianco.
Rider poteva non avere tutti i torti quando aveva detto che forse Stoddard
voleva semplicemente preservare la sua auto quando aveva evitato di col-
pire Bosch.
La porta d'ingresso della piccola casa, risalente ai tempi della Seconda
guerra mondiale, era aperta. Non c'era traccia degli agenti della Stradale.
Bosch guardò Rider e vide che anche lei era armata. Erano pronti a entrare.
Alla porta, Bosch urlò: «Detective, stiamo entrando».
Fece un passo sulla soglia e ricevette una risposta dall'interno.
«Libero. Libero.»
Bosch non si rilassò e non abbassò l'arma mentre entrava nel salotto.
Perlustrò la stanza e non vide nessuno. Abbassò lo sguardo sul tavolino da
caffè e vide il Daily News del giorno prima aperto sull'articolo su Rebecca
Verloren.
«Agenti di pattuglia in uscita!» gridò una voce dal corridoio sulla destra.
Presto due agenti arrivarono in salotto dal corridoio. Avevano la pistola
in pugno. Ora Bosch si rilassò e abbassò l'arma.
«Tutto pulito» disse l'agente con la striscia dei P2 sulla divisa. «Abbia-
mo trovato la porta aperta e siamo entrati. C'è qualcosa che dovete vedere
in camera da letto.»
Gli agenti fecero strada e Bosch e Rider li seguirono. Percorsero un bre-
ve corridoio e oltrepassarono la porta aperta del bagno e di una piccola
camera da letto usata come studio. Entrarono nella stanza da letto e l'agen-
te indicò loro una scatola di legno oblunga che era stata aperta sul letto. La
scatola aveva un'imbottitura di gommapiuma con la forma di un revolver a
canna lunga. La sagoma era vuota. La pistola non c'era più. C'era anche
una piccola fessura nella gomma piuma per una scatoletta di munizioni.
Era vuota anche quella, ma la scatoletta era a terra accanto al letto.
«Dà la caccia a qualcuno?» domandò l'agente.
Bosch non alzò lo sguardo dalla scatola dell'arma.
«Con tutta probabilità solo a se stesso» disse. «Uno di voi ragazzi ha dei
guanti? I miei li ho lasciati in macchina.»
«Ecco qui» disse l'agente, estraendo un paio di guanti di lattice da un
piccolo scomparto nell'equipaggiamento che portava alla cintura. Li porse
a Bosch, che li infilò, raccolse la scatola delle munizioni, la aprì e ne tirò
fuori un vassoietto di plastica nel quale erano conservate le pallottole. Ne
mancava una sola.
Bosch rimase a fissare lo spazio lasciato dalla pallottola mancante,
quando Rider interruppe la sua riflessione con un colpo sul gomito. La
guardò e poi seguì il suo sguardo fino al tavolo dall'altra parte del letto.
C'era una foto incorniciata di Rebecca Verloren. Era una foto della gita,
con la ragazza in piedi su un prato verde con la Torre Eiffel alle spalle. In-
dossava un basco nero e sorrideva con spontaneità. Bosch pensò che lo
sguardo nei suoi occhi fosse sincero e che mostrasse amore per la persona
che la stava inquadrando.
«Lui non c'era nelle foto sull'annuario perché stava dietro la macchina
fotografica» disse Bosch.
Rider annuì. Anche lei era nel tunnel d'acqua.
«È lì che è cominciato» disse. «È lì che si è innamorata di lui. My true
love. Il mio vero amore.»
Rimasero in silenzio, cupi, per un momento, finché l'agente parlò.
«Detective, possiamo andare?»
«No» disse Bosch. «Abbiamo bisogno che restiate qui a sorvegliare la
casa fino all'arrivo della Scientifica. E state pronti, potrebbe tornare.»
«Voi andate?» domandò l'agente.
«Noi andiamo.»

40

Ritornarono in fretta all'auto, e ancora una volta Rider si mise al volante.


«Dove?» chiese, mentre girava la chiavetta,
«A casa dei Verloren» rispose Bosch. «E sbrighiamoci.»
«Cosa stai pensando?»
«Ho riflettuto sulla foto del giornale, quella di Muriel seduta sul letto.
Quella in cui si vede la stanza come fosse ancora la stessa, sai?»
Rider rifletté un momento e poi annuì.
«Sì.»
Aveva capito.
La foto mostrava che la stanza di Rebecca era rimasta immutata dalla
notte in cui la ragazza era stata portata via. Vederla poteva aver fatto scat-
tare qualcosa nella testa di Stoddard. Il desiderio di un sogno che aveva
perso molti anni prima. La foto era come un'oasi, il ricordo di un luogo
perfetto dove nulla era finito male.
Rider premette l'acceleratore e la macchina balzò in avanti. Bosch aprì il
cellulare, chiese che venissero inviati altri rinforzi a casa di Muriel Verlo-
ren. Aggiornò anche il bollettino su Stoddard, lo descrisse come un uomo
armato e con tutta probabilità 5150, ossia mentalmente instabile. Quando
chiuse il telefono si accorse che erano vicini alla casa dei Verloren e che
sarebbero arrivati per primi. La chiamata successiva fu per Muriel Ver-
loren, ma non ricevette alcuna risposta. Quando parti la segreteria, riattac-
cò.
«Non risponde.»
Cinque minuti dopo svoltarono l'angolo della Red Mesa Way e gli occhi
di Bosch scorsero subito l'auto argentata parcheggiata in malo modo contro
il marciapiede di fronte alla casa dei Verloren. Era la Lexus che aveva ten-
tato di investirlo nel parcheggio della scuola. Rider si fermò accanto all'au-
to e ancora una volta uscirono veloci, con le armi pronte.
La porta principale della casa era socchiusa. Si fecero dei segnali con le
mani e presero posizione ai due lati dell'uscio. Bosch spalancò la porta ed
entrò per primo. Rider lo seguì, introducendosi nel salotto dietro a lui.
Muriel Verloren era sul pavimento. Accanto a lei, una scatola di cartone
e altro materiale per imballaggio. Del nastro da pacco marrone era stato gi-
rato diverse volte attorno alla testa e alla faccia della donna, come un ba-
vaglio, e lo stesso nastro era stato usato anche per legarle i polsi e le cavi-
glie. Rider la sollevò contro il divano e si portò un dito alle labbra.
«Muriel, è qui in casa?» sussurrò.
Muriel annuì, gli occhi spalancati e disperati.
«Nella stanza di Rebecca?»
Muriel annuì di nuovo.
«Ha sentito spari?»
Muriel scosse il capo ed emise un mugolio ovattato, che sarebbe stato un
urlo se non avesse avuto il nastro sulla bocca.
«Deve stare zitta» sussurrò Rider. «Se le tolgo il nastro, deve stare zit-
ta.»
Muriel annuì con decisione e Rider cominciò a darsi da fare con il na-
stro. Bosch si accovacciò li accanto.
«Io salgo nella stanza.»
«Aspetta, Harry» ordinò Rider, la sua voce appena più intensa di un sus-
surro. «Andiamo su insieme. Occupati delle caviglie.»
Bosch cominciò ad armeggiare con il nastro che legava insieme i due
piedi di Muriel. Rider alla fine riuscì ad allentare lo scotch che copriva la
bocca della donna e ad abbassarlo sotto il mento. Mentre faceva questo, la
zittì con dolcezza.
«È l'insegnante di Becky» sussurrò Muriel, la voce intensa ma non alta.
«Ha una pistola.»
Rider passò ai polsi.
«Okay,» disse «ce ne occuperemo noi.»
«Cosa sta facendo?» domandò Muriel. «È stato lui?»
«Sì, è stato lui.»
Muriel Verloren emise un lungo, sonoro, angosciato sospiro. Le mani e i
piedi ora erano liberi, la aiutarono ad alzarsi.
«Noi saliamo» disse Rider. «Abbiamo bisogno che lei esca di casa.»
Iniziarono a spingerla verso la porta.
«Non posso andarmene. È nella stanza. Non posso...»
«Deve andare via, Muriel» sussurrò Bosch con asprezza. «Non è al sicu-
ro qui. Vada a casa di qualche vicino.»
«Non conosco nessuno.»
«Muriel, deve uscire» disse Rider. «Vada in fondo alla strada. Stanno ar-
rivando degli altri poliziotti. Si faccia vedere e dica loro che noi siamo già
dentro.»
La spinsero attraverso la porta aperta e si chiusero dentro.
«Non permettetegli di rovinare la sua camera» la udirono implorare
dall'altra parte. «È tutto quello che mi resta.»
Bosch e Rider percorsero il corridoio e salirono le scale cercando di non
fare rumore. Presero posizione ai due lati della porta della stanza di Rebec-
ca.
Bosch guardò Rider. Sapevano entrambi che c'era poco tempo. Quando
le unità di rinforzo sarebbero arrivate, la situazione sarebbe cambiata. Era
un classico caso di suicidio costruito dalla polizia. Era l'unica occasione
che avevano per arrivare a Stoddard prima che si sparasse o che un uomo
delle squadre speciali gli piantasse un proiettile nel cervello.
Rider indicò la maniglia della porta e Bosch allungò una mano e cercò di
girarla senza fare rumore. Scosse il capo. Era chiusa a chiave.
Si servirono ancora di segnali con le mani per delineare il piano, poi
Bosch indietreggiò di qualche passo nel corridoio e si preparò a indirizzare
il tacco sulla porta accanto alla maniglia. Sapeva che doveva farlo con un
solo calcio. Dopo, avrebbero perso il vantaggio della sorpresa.
«Chi c'è là fuori?»
La voce proveniva da dietro la porta. Era Stoddard. Bosch guardò Rider.
Fine dell'elemento sorpresa. Puntò il dito contro di lei e le disse di fare si-
lenzio. Avrebbe parlato lui.
«Signor Stoddard, sono il detective Bosch. Come sta?»
«Non troppo bene.»
«Già, sembra che le cose siano un po' fuori controllo, non trova?»
Stoddard non rispose.
«Le dico una cosa. Farebbe bene a mettere giù la pistola e venire fuori. È
fortunato che ci sono qui io. Sono venuto a vedere come stava la signora
Verloren, ma la mia partner e gli uomini della SWAT arriveranno presto.
Non le piacerebbe avere a che fare con loro. Ora è il momento di venire
fuori.»
«Voglio solo che sappiate che l'amavo, tutto qui.»
Bosch esitò prima di parlare. Guardò Rider e poi di nuovo la porta. Po-
teva usare due strade con Stoddard. Poteva cercare di ottenere una confes-
sione subito oppure tentare di tirarlo fuori dalla casa e salvargli la vita. En-
trambe le cose erano possibili, ma forse non probabili.
«Allora, cos'è successo?» domandò.
Ci fu un lungo silenzio prima che Stoddard parlasse.
«Quello che è successo è che lei voleva tenere il bambino e non capiva
che questo avrebbe rovinato ogni cosa. Dovevamo sbarazzarcene, e poi più
tardi ha cambiato idea.»
«Sul bambino?»
«Su di me. Su tutto.»
Bosch non rispose. Dopo qualche istante, Stoddard parlò di nuovo.
«L'amavo.»
«Ma l'ha uccisa.»
«Ho commesso degli errori.»
«Come quella notte?»
«Non voglio parlare di quella notte. Voglio ricordare tutto il tempo pri-
ma di quella notte.»
«Non la biasimo per questo.»
Bosch guardò Rider e sollevò tre dita. Avrebbero contato fino a tre. Ri-
der annuì. Era pronta.
Bosch piegò un dito.
«Sa cosa non capisco, signor Stoddard?»
Abbassò il secondo dito.
«Cosa?» domandò Stoddard.
Bosch piegò il terzo dito, poi abbassò la gamba destra e colpì la porta,
che si spalancò con facilità. Lo slancio lo fece precipitare nella stanza. In
una frazione di secondo, alzò la pistola e la puntò contro il letto.
Stoddard non era lì.
Bosch si voltò e colse il riflesso dell'uomo nello specchio. Era in piedi
nell'angolo dalla parte opposta alla porta. Si stava portando alla bocca la
canna della rivoltella.
Bosch udì Rider urlare e la vide entrare a tutta velocità nella stanza, sca-
gliandosi contro Stoddard.
Un colpo d'arma da fuoco scosse la stanza, Rider e Stoddard finirono per
terra. Il revolver cadde dalle mani dell'uomo e finì sul pavimento. Bosch si
mosse rapido verso di loro e si abbatté con tutto il peso su Stoddard, men-
tre Rider rotolava lontano.
«Kiz, ti ha colpita?»
Non ci fu alcuna risposta. Bosch cercò di guardarla mentre teneva
Stoddard sotto controllo. Rider si era portata una mano sul lato sinistro
della testa.
«Kiz?»
«Non mi ha colpita!» urlò. «Penso di essere sorda da un orecchio.»
Stoddard cercò di alzarsi, nonostante il peso di Bosch gravasse su di lui.
«Per favore!» gemette.
Bosch usò l'avambraccio per togliere l'appoggio a Stoddard, il cui petto
batté sul pavimento. Bosch gli torse in fretta un braccio dietro la schiena e
lo ammanettò. Dopo una piccola colluttazione, tirò a sé l'altro braccio e
completò l'ammanettamento. Quindi si sporse in avanti e gli parlò.
«Per favore cosa?»
«Per favore lasciatemi morire.»
Bosch si alzò e trascinò Stoddard in piedi.
«Sarebbe troppo facile per te, Stoddard. Sarebbe come permetterti di far-
la franca ancora una volta.»
Bosch guardò Rider che si era rimessa in piedi. Si accorse che un po' di
capelli erano stati bruciacchiati dalla scarica della pistola. Era passata dav-
vero vicino.
«Stai bene?»
«Appena smette questo fischio.»
Bosch alzò lo sguardo e vide il foro del proiettile sul soffitto. Udì le si-
rene che si avvicinavano. Afferrò Stoddard per il gomito e lo trascinò ver-
so la porta della stanza.
«Ora vado giù e infilo questo tizio in una macchina. Lo portiamo alla
Devonshire e ce lo teniamo finché non viene incriminato.»
Rider annuì, ma Bosch era sicuro che stesse ancora pensando a quello
che era appena successo. Il fischio nell'orecchio era il memento di quanto
il proiettile fosse passato vicino.
Bosch sorresse Stoddard per il braccio mentre lo portava giù dalle scale.
Quando giunsero nel salotto, Stoddard parlò con la disperazione nella vo-
ce.
«Può farlo adesso.»
«Fare cosa?»
«Spararmi. Dire che sono scappato. Mi tolga una delle manette e dica
che mi sono liberato. Mi vuole uccidere, non è vero?»
Bosch si fermò e lo guardò.
«Sì, ti vorrei uccidere. Ma questo sarebbe un bene per te. Devi pagare
per quello che hai fatto alla ragazza e alla sua famiglia. E farti fuori qui
non basterebbe a ripagare neppure gli interessi per questi diciassette anni.»
Bosch lo spinse con durezza verso la porta. Uscirono sul prato proprio
mentre un'auto della polizia si fermava e spegneva la sirena. Bosch capì
dall'unica barra luminosa che aveva sul tetto che si trattava di una di quelle
nuove auto di cui aveva sentito parlare, equipaggiate con le ultime novità
tecnologiche. Il dipartimento se ne poteva permettere solo alcune in ogni
ciclo di budget.
L'auto diede a Bosch un'idea. Alzò una mano e tracciò un cerchio nell'a-
ria con il dito, il segnale che era tutto a posto.
Mentre portava Stoddard verso la macchina, vide Muriel Verloren che
camminava in mezzo alla strada verso la casa. Fissava Stoddard. Aveva la
bocca spalancata come in un muto urlo d'orrore. Cominciò a correre verso
di loro.

41

Bosch viaggiò sul sedile posteriore dell'auto di pattuglia insieme a


Stoddard sulla strada per la Divisione Devonshire. Rider era rimasta a casa
dei Verloren per calmare Muriel e per farsi visitare dai paramedici. Quan-
do le avrebbero dato l'okay, avrebbe guidato l'auto di Bosch fino alla sta-
zione.
Il tragitto fino alla Divisione sarebbe durato al massimo dieci minuti.
Bosch sapeva che aveva davvero poco tempo per indurre Stoddard a parla-
re. Per prima cosa, lesse al preside i suoi diritti. Stoddard aveva fatto alcu-
ne ammissioni mentre era rintanato nella camera da letto di Rebecca Ver-
loren, ma Bosch non era sicuro che potessero essere usate davanti alla cor-
te, perché non erano state registrate e l'uomo non era stato informato dei
suoi diritti, tra cui c'era quello di rimanere in silenzio.
Dopo aver letto i diritti da un biglietto da visita che si era fatto prestare
poco prima da Rider, Bosch domandò con semplicità: «Ora vuoi parlare
con me?».
Stoddard era piegato in avanti perché aveva ancora le mani ammanettate
dietro la schiena. Il mento era abbassato quasi fino al petto.
«Cosa c'è da dire?» domandò.
«Non lo so. Non mi serve che parli. Ti abbiamo in pugno. Azioni e pro-
ve, abbiamo tutto quello che ci serve. Pensavo solo che volessi spiegare le
cose, tutto qui. A questo punto molta gente sente il bisogno di aprirsi.»
Stoddard dapprima non rispose. L'auto si dirigeva a est sul Devonshire
Boulevard. La stazione di polizia si trovava a un paio di chilometri. Poco
prima, quando aveva parlato con i due agenti fuori dalla macchina, Bosch
aveva detto all'autista di prendersela comoda.
«È buffo» disse alla fine Stoddard.
«Cosa?»
«Sono un insegnante di scienze, lo sa? Voglio dire, prima di diventare
preside insegnavo scienze. Ero a capo del dipartimento.»
«Ah sì?»
«E spiegavo ai miei studenti il DNA. Dicevo sempre che è il segreto del-
la vita. Decodifichiamo il DNA e abbiamo decodificato la vita stessa.»
«Già.»
«E ora... ora, be', viene usato per decodificare la morte. Dalla vostra gen-
te. È il segreto della vita. È il segreto della morte. Non lo so. Immagino
che non sia davvero divertente. È più un'ironia della sorte.»
«Se lo dici tu.»
«Un professore insegna cos'è il DNA e viene catturato per colpa del
DNA.»
Stoddard cominciò a ridere.
«Ehi, è un bel titolo» disse. «Lo proponga ai giornali.»
Bosch allungò la mano e usò la chiave per aprire le manette di Stoddard.
Poi gli richiuse i polsi davanti al petto, così poteva sedersi dritto.
«Quando eravamo nella casa hai detto che l'amavi» disse Bosch.
Stoddard annuì.
«L'amavo. E l'amo ancora.»
«È un modo buffo di dimostrarlo, non trovi?»
«Non era programmato. Niente di quello che successe quella sera era
programmato. La stavo sorvegliando, tutto qui. Ogni volta che potevo la
guardavo. Passavo di continuo in macchina davanti a casa sua. La seguivo
quando prendeva l'auto. La spiavo a scuola.»
«E avevi sempre con te una pistola.»
«No, la pistola era per me, non per lei. Ma...»
«Scopristi che sarebbe stato più facile uccidere lei che te stesso.»
«Quella sera... vidi la porta del garage aperta. Entrai. Non sapevo per-
ché. Pensavo che avrei usato la pistola contro me stesso. Sul suo letto. Sa-
rebbe stato un modo per mostrarle la mia devozione.»
«Ma ti infilasti sotto il letto invece che sdraiarti sopra.»
«Dovevo pensare.»
«Mackey dov'era?»
«Mackey? Non so dove fosse.»
«Non era con te? Non ti aiutò?»
«Mi diede la pistola. Facemmo un patto. La pistola in cambio del diplo-
ma. Ero il suo insegnante. E il suo tutor. Era il mio lavoro estivo.»
«Ma non era con te quella sera? La portasti in cima alla collina da solo?»
Gli occhi di Stoddard erano spalancati e guardavano lontano, nonostante
fossero concentrati sul retro del sedile davanti.
«Ero forte a quel tempo» disse in un sussurro.
L'auto oltrepassò il varco nel muro di cemento che circondava il retro
della Divisione Devonshire. Stoddard guardò fuori dal finestrino. Vedere
tutte le auto della polizia e il retro della stazione dovette ridestarlo. Realiz-
zò la situazione.
«Non voglio più parlare.»
«Va bene» disse Bosch. «Ti mettiamo in una cella e ti procuriamo un
avvocato, se vuoi.»
L'auto si fermò di fronte a una porta doppia e Bosch scese. Girò attorno
alla macchina, tirò fuori Stoddard e gli fece oltrepassare le porte. L'ufficio
dei detective era al secondo piano. Presero l'ascensore, gli venne incontro
il tenente in comando della Devonshire. Una stanza per gli interrogatori at-
tendeva Stoddard. Bosch lo spinse su una sedia e gli ammanettò uno dei
polsi a un anello di metallo al centro del tavolo.
«Stai seduto» disse Bosch. «Torno subito.»
Sulla porta, si voltò a guardare Stoddard. Decise di tentare un'ultima car-
ta.
«E per quanto può valere, penso che la tua storia sia una stronzata» dis-
se.
Stoddard lo guardò, la sorpresa sul viso.
«Cosa intende? Io l'amavo. Non volevo...»
«L'hai seguita con un preciso intento. Per ucciderla. Lei ti ha respinto e
tu non potevi sopportarlo, perciò volevi la sua morte. E ora, diciassette an-
ni dopo, cerchi di raccontarlo in modo diverso, come fosse la storia di
Romeo e Giulietta o qualcosa del genere. Sei un codardo, Stoddard. Le hai
dato la caccia e l'hai uccisa, e dovresti almeno ammetterlo.»
«No, si sbaglia. La pistola era per me.»
Bosch rientrò nella stanza e si chinò sul tavolo.
«Sì? E che mi dici dell'arma stordente, Stoddard? Anche quella era per
te? L'hai lasciata fuori dal tuo racconto, vero? Perché avresti avuto bisogno
di un'arma stordente se fossi andato là dentro per ucciderti?»
Stoddard rimase in silenzio. Era quasi come se, dopo diciassette anni,
fosse riuscito a cancellare la Professional 100 dalla sua memoria.
«Abbiamo l'omicidio di primo grado con l'aggravante della premedita-
zione» disse Bosch. «Ti farai il viaggio fino in fondo, Stoddard. Non avevi
nessuna intenzione di ucciderti. Né allora, né oggi.»
«Ora penso di volere un avvocato.»
«Già, certo che lo vuoi.»
Bosch lasciò la stanza e camminò lungo il corridoio verso una porta a-
perta. Era la stanza dei monitor. Nel piccolo locale c'erano il tenente e uno
degli agenti della mobile. Due dei video erano accesi. Su uno Bosch vide
Stoddard seduto nella stanza degli interrogatori. Fissava il muro sul quale,
in un angolo, era montata la telecamera che lo inquadrava.
L'immagine sull'altro schermo era immobile. Mostrava Bosch e
Stoddard sul sedile posteriore dell'auto di pattuglia.
«Com'è l'audio?» domandò Bosch.
«Magnifico» disse il tenente. «Ce l'abbiamo. Togliergli le manette è sta-
to un tocco perfetto. Ha fatto in modo che il volto finisse davanti all'obiet-
tivo.»
Il tenente premette un interruttore e l'immagine cominciò a muoversi.
Bosch sentiva chiaramente la voce di Stoddard. Annuì. L'auto di pattuglia
era stata equipaggiata con una telecamera sul cruscotto utilizzata per filma-
re i posti di blocco e il trasporto di prigionieri. Per la corsa in auto con
Stoddard era stato acceso il microfono interno e l'esterno era stato spento.
Aveva funzionato alla perfezione. Le ammissioni di Stoddard sul sedile
posteriore avrebbero aiutato a blindare il caso. Da quel punto di vista,
Bosch era tranquillo. Ringraziò il tenente e l'agente e chiese se poteva
prendere in prestito la scrivania per fare qualche telefonata.
Chiamò Abel Pratt, lo aggiornò e lo rassicurò. Rider era scossa, ma per il
resto stava bene. Bosch spiegò a Pratt che aveva dovuto mandare gli uo-
mini della Scientifica a casa sia di Stoddard sia di Muriel Verloren per e-
saminare le scene del crimine. Disse che era stato richiesto e accordato un
mandato di perquisizione prima che gli uomini della Scientifica entrassero
nell'abitazione di Stoddard. Confermò che stavano per schedare Stoddard e
per prendergli le impronte digitali, che sarebbero poi state comparate con
quelle trovate sull'asse sotto il letto di Rebecca Verloren. Per finire, rac-
contò a Pratt del video girato durante il viaggio alla stazione di servizio e
delle ammissioni che Stoddard aveva fatto.
«È tutto inequivocabile ed è su nastro» disse Bosch. «E ha parlato solo
dopo che gli avevo letto i diritti.»
«Ben fatto, Harry» disse Pratt. «Non penso che avremo niente di cui
preoccuparci.»
«Non per quanto riguarda il caso, almeno.»
Nel senso che Stoddard avrebbe ceduto senza problemi, ma Bosch non
era sicuro di come avrebbe fatto a cavarsela con l'analisi del suo operato
nella gestione delle indagini.
«È dura contestare, quando ci sono i risultati.»
«Vedremo.»
Bosch ricevette un avviso di chiamata sul telefono. Disse a Pratt che do-
veva andare e premette il tasto per prendere la nuova telefonata. Era
McKenzie Ward del Daily News.
«Mia sorella stava ascoltando la radio al laboratorio fotografico» disse
con urgenza. «Ha detto che una pattuglia e un'ambulanza sono state inviate
a casa dei Verloren. Ha riconosciuto l'indirizzo.»
«È vero.»
«Cosa succede, detective? Avevamo un accordo, ricorda?»
«Sì, me lo ricordo e stavo per chiamarla.»

42

La cucina al Metro Shelter era buia. Bosch entrò nel piccolo atrio
dell'hotel accanto e parlò con l'uomo dietro il vetro. Chiese il numero di
stanza di Robert Verloren.
«È andato, amico.»
Il carattere risolutivo del tono scavò un buco nel petto di Bosch. Non
suonava come se Robert Verloren fosse uscito per la serata.
«Cosa vuol dire andato?»
«Vuol dire andato. L'ha fatto ed è andato. Questo è quanto.»
Bosch fece un passo verso il vetro. L'uomo teneva un romanzo in edi-
zione economica aperto sul bancone e non aveva alzato gli occhi dalle pa-
gine ingiallite.
«Ehi, guardami.»
L'uomo ripiegò il libro per non perdere il segno e alzò lo sguardo. Bosch
gli mostrò il distintivo. Poi abbassò gli occhi e vide che il libro si intitolava
Chiedi alla polvere.
«Sì, agente.»
Bosch scrutò gli occhi stanchi dell'uomo.
«Cosa vuol dire l'ha fatto e cosa vuol dire è andato?»
L'uomo alzò le spalle.
«È arrivato ubriaco, e questa è l'unica regola che abbiamo qui. Non si
beve. Niente ubriachi.»
«È stato licenziato?»
L'uomo annuì.
«E la sua stanza?»
«Le stanze vengono con il lavoro. Come ho detto, è andato.»
«Dove?»
L'uomo alzò le spalle ancora una volta. Indicò la porta che conduceva al
marciapiede sulla Fifth Street. Stava dicendo a Bosch che Verloren era là
fuori, da qualche parte.
«Succede» disse.
Bosch tornò a guardarlo.
«Quando è andato?»
«Ieri. Siete stati voi poliziotti a fargli questo, lo sa.»
«Cosa vuol dire?»
«Ho sentito dei poliziotti entrare qua dentro, dirgli delle merdate. Non so
cosa riguardassero, ma è stato appena prima di..., mi capisce insomma. Ha
lasciato il lavoro, è uscito e ci ha preso gusto di nuovo. E questo è tutto. Io
so solo che ora abbiamo bisogno di un nuovo chef perché il tizio che sta-
vano inserendo non è capace di cucinare neanche una merda di uovo.»
Bosch non disse nient'altro. Si allontanò dalla vetrata e andò alla porta.
Fuori dal ricovero la strada brulicava di gente. Il popolo della notte. I feriti
e i disadattati. Gente che si nascondeva dagli altri e si nascondeva da se
stessa. Gente che scappava dal passato, dalle cose che aveva fatto e da
quelle che non aveva fatto.
Bosch sapeva che la storia sarebbe uscita sui giornali il giorno seguente.
Avrebbe voluto essere lui a dirlo a Robert Verloren.
Decise di cercare l'uomo fuori da lì. Non sapeva che reazione avrebbe
provocato la notizia che portava. Non sapeva se avrebbe tirato Verloren
fuori dal suo buco o lo avrebbe spinto più a fondo. Forse niente poteva più
aiutarlo, ormai. Ma glielo voleva dire lo stesso. Il mondo era pieno di gen-
te che non era capace di andare oltre. Non c'era fine e non c'era pace. La
libertà non ti libera, ma puoi sempre andare oltre. Era questo che Bosch gli
avrebbe detto. Puoi dirigerti verso la luce, arrampicarti, scavare e combat-
tere per trovare la via per uscire dal buco.
Bosch spalancò la porta e si diresse fuori, nella notte.

43

Il campo della parata dell'Accademia di Polizia si posava come una co-


perta verde contro le colline alberate dell'Elysian Park. Era un luogo ma-
gnifico, ombreggiato, e rappresentava perfettamente la tradizione che il
capo della polizia desiderava che Bosch rammentasse.
Alle otto della mattina successiva all'infruttuosa ricerca notturna di Ro-
bert Verloren, Bosch si presentò al tavolo degli invitati per la cerimonia
del diploma e venne scortato al posto che gli era stato assegnato sulla piat-
taforma sotto la tenda delle autorità. C'erano quattro file di sedie dietro il
leggio da cui sarebbero stati pronunciati i discorsi. Dalla sedia di Bosch si
scorgeva il terreno delle parate dove i nuovi cadetti avrebbero marciato
prima di mettersi in formazione per permettere agli ufficiali di passarli in
rassegna. Come ospite invitato dal comandante, Bosch sarebbe stato uno
degli ispettori.
Il detective era in alta uniforme. La tradizione voleva che ci si mettesse
in ghingheri per le cerimonie di diploma dei nuovi agenti, per dar loro il
benvenuto nell'uniforme con l'uniforme.
Bosch era in anticipo. Si sedette da solo e ascoltò la banda della polizia
che eseguiva dei vecchi standard. Altri VIP vennero accompagnati ai ri-
spettivi posti, ma non lo degnarono di uno sguardo. Erano per la gran parte
politici, dignitari e qualche reduce della guerra in Iraq decorato con il Pur-
ple heart che indossava l'uniforme del corpo dei Marine.
La pelle di Bosch era ruvida sotto il colletto inamidato e la cravatta an-
nodata stretta. Era rimasto quasi un'ora sotto la doccia per grattare via l'in-
chiostro che si era messo sulla pelle, nella speranza che tutte le brutture di
quel caso finissero nello scarico con il colore.
Non notò il vicecapo Irvin Irving che si avvicinava finché il cadetto che
lo accompagnava non disse: «Mi scusi, signore».
Bosch alzò lo sguardo e vide che stavano facendo accomodare Irving
proprio accanto a lui. Si irrigidì e spostò il programma dalla sedia destinata
a Irving.
«Si diverta, signore» disse il cadetto prima di voltarsi di scatto e diriger-
si verso un altro VIP.
Dapprincipio Irving non disse nulla. Parve impiegare parecchio tempo
per mettersi a proprio agio e per guardarsi attorno e controllare che nessu-
no li guardasse. Erano in prima fila, due dei posti migliori. Alla fine parlò
a Bosch senza voltarsi.
«Che succede, Bosch?»
«Me lo dica lei, capo.»
Anche Bosch diede un'occhiata in giro per verificare se ci fosse qualcu-
no a osservarli. Era ovvio che non fossero seduti uno accanto all'altro per
caso. Bosch non credeva nelle coincidenze. Non di questo genere.
«Il capo ha detto che mi voleva qui» disse. «Mi ha invitato lunedì quan-
do mi ha restituito il distintivo.»
«Buon per lei.»
Passarono altri cinque minuti prima che Irving parlasse di nuovo. La
tenda era quasi piena, salvo che per i posti in fondo alla prima fila riservati
al capo della polizia e alla moglie. Ora il vicecapo sussurrò.
«Ha avuto una settimana bestiale, detective. È atterrato nella merda e ne
è uscito profumato come una rosa. Congratulazioni.»
Bosch annuì. Era un'analisi molto accurata.
«E che mi dice di lei, capo? Ancora una dura settimana di lavoro d'uffi-
cio?»
Irving non rispose. Bosch pensò ai luoghi dove aveva cercato Robert
Verloren la notte precedente. Pensò al volto di Muriel Verloren quando la
donna aveva visto l'assassino della figlia che veniva accompagnato all'auto
di pattuglia. Bosch aveva dovuto spingere Stoddard sul sedile posteriore
per sottrarlo alla vista di lei.
«È stato tutto a causa sua» disse Bosch con calma.
Irving lo guardò per la prima volta.
«Di cosa sta parlando?»
«Diciassette anni, di questo sto parlando. Lei e il suo uomo avete con-
trollato gli alibi degli Otto. Il suo uomo non sapeva che Gordon Stoddard
era anche l'insegnante della ragazza. Se fossero stati Green e Garcia a oc-
cuparsi degli alibi - come avrebbe dovuto essere - sarebbero arrivati a
Stoddard e avrebbero messo insieme i pezzi. Diciassette anni fa. Tutto quel
tempo è sulle sue spalle.»
Irving si girò del tutto sulla sedia per fronteggiare Bosch.
«Avevamo un accordo, detective. Se lei infrange i patti, io trovo un altro
modo per arrivare a lei. Spero che questo sia chiaro.»
«Sì, certo, quello che vuole, capo. Ma dimentica una cosa. Non sono l'u-
nico a sapere. Cosa farà? Stringerà i suoi piccoli patti con tutti? Con tutti i
giornalisti? Tutti i poliziotti? Tutte le madri e tutti i padri che hanno dovu-
to vivere una vita tarlata per quello che ha fatto?»
«Abbassi la voce» disse Irving a denti stretti.
Bosch rispose con un tono di voce basso, calmo.
«Ho detto tutto quello che volevo dire.»
«Bene, allora lasci che le dica io una cosa, non ho finito. Se scoprirò...»
Troncò la frase a metà, stava arrivando il capo della polizia insieme alla
moglie. Irving si raddrizzò sulla sedia, mentre la musica cresceva di volu-
me, lo show aveva inizio. Ventiquattro cadetti con i loro distintivi nuovi di
zecca sulle uniformi marciarono nel campo delle parate e presero posizio-
ne di fronte alla tenda delle autorità.
Ci furono troppi discorsi preliminari, l'ispezione dei nuovi agenti durò
troppo a lungo, ma alla fine il programma giunse all'evento principale, il
tradizionale discorso del capo della polizia. L'uomo che aveva riportato
Bosch nel dipartimento era rilassato ed equilibrato dietro il leggio. Parlò di
ricostruire il Dipartimento di Polizia dall'interno, a partire dai ventiquattro
nuovi agenti che aveva davanti. Disse che intendeva ristabilire sia l'imma-
gine sia i comportamenti del dipartimento. Ripeté molte delle cose che a-
veva detto a Bosch lunedì mattina. Invitò i nuovi agenti a non infrangere
mai la legge per difendere la legge. A eseguire sempre il loro dovere sotto
l'egida della costituzione e della compassione.
Ma poi sorprese Bosch con le conclusioni finali.
«Vorrei anche attirare la vostra attenzione su due poliziotti che oggi so-
no qui come miei ospiti. Uno viene, l'altro va. Il detective Harry Bosch è
tornato nel dipartimento questa settimana dopo alcuni anni di congedo.
Penso che durante il periodo prolungato di lontananza abbia imparato che
a un vecchio cane si possono insegnare nuovi trucchi.»
Dalla folla che si trovava sull'altro lato del campo delle parate si levaro-
no delle risate di cortesia. Era lì che si trovavano i familiari e gli amici dei
cadetti. Il capo proseguì.
«Perciò è tornato nella famiglia del Dipartimento di Polizia di Los An-
geles e ha già ottenuto un risultato mirabile. Ha messo a repentaglio la
propria vita per il bene della comunità. Ieri lui e la sua partner hanno risol-
to un caso di omicidio di diciassette anni fa, che bruciava come una spina
nel fianco della comunità. Diamo il bentornato all'ovile al detective
Bosch.»
Dalla folla si levò un breve applauso. Bosch sentì il viso divenire bollen-
te. Abbassò lo sguardo sulle mani.
«Vorrei anche ringraziare il vicecapo Irvin S. Irving per la sua presenza
qui oggi» proseguì. «Il comandante Irving ha servito in questo dipartimen-
to per quasi quarantacinque anni. Nessuno degli agenti attualmente in ser-
vizio fa parte del dipartimento da più tempo. La sua decisione di andare in
pensione oggi e di fare di questa cerimonia l'atto finale della sua vita con il
distintivo è la degna conclusione dei tanti anni di servizio. Lo ringraziamo
per un simile servigio al dipartimento e alla città.»
L'applauso per Irving fu più intenso e sostenuto. La gente iniziò ad al-
zarsi in onore dell'uomo che aveva servito il dipartimento e la città tanto a
lungo. Bosch si voltò appena verso destra, in modo da poter osservare il
viso di Irving, e capì nel momento in cui scorse gli occhi del vicecapo che
non aveva visto arrivare il colpo. Lo avevano messo alle strette.
Presto tutti quanti si alzarono in piedi per applaudire, e Bosch si sentì in
obbligo di fare altrettanto, nonostante disprezzasse quell'uomo. Sapeva con
esattezza chi aveva architettato la caduta di Irving. Se Irving avesse prote-
stato o avesse cercato di recuperare la posizione, avrebbe affrontato un'in-
dagine interna patrocinata da Kizmin Rider. Non c'era dubbio su chi a-
vrebbe perso in tal caso. Assolutamente nessun dubbio.
Quello che Bosch non sapeva era quando il piano fosse stato immagina-
to. Bosch pensò a Rider seduta alla scrivania nella stanza 503, mentre lo
aspettava con un caffè nero, proprio come piaceva a lui. Allora sapeva già
da quale caso proveniva il cold hit e dove li avrebbe portati? Ricordò la da-
ta sul rapporto del Dipartimento di Giustizia. Aveva dieci giorni quando
lui l'aveva letto. Cos'era successo durante quei dieci giorni? Cos'era stato
progettato per il suo arrivo?
Bosch non lo sapeva e non era neppure certo che gli importasse saperlo.
Le politiche del dipartimento si stabilivano al sesto piano. Bosch lavorava
nella stanza 503 e lì si sarebbe fermato. Niente domande.
Dopo che il capo ebbe terminato il commento conclusivo, si allontanò
dal microfono. Diede a ciascuno dei cadetti, uno per uno, un certificato nel
quale si attestava che avevano terminato l'addestramento all'Accademia e
si mise in posa per le foto in cui stringeva la mano alle reclute. Fu tutto
molto veloce, pulito, coreografato alla perfezione. Tre elicotteri della poli-
zia volarono sopra il campo delle parate in formazione e i cadetti termina-
rono la cerimonia gettando in aria i berretti.
Bosch ricordò il giorno in cui, più di trentacinque anni prima, anche lui
aveva gettato in aria il berretto. Sorrise al ricordo. Non era rimasto nessuno
del suo corso. Erano tutti morti o in pensione, oppure avevano fatto fiasco.
Sapeva che toccava a lui portare la bandiera e difendere la tradizione.
Combattere la guerra giusta.
Quando la cerimonia finì e la folla s'affrettò a riempire il campo per
congratularsi con i nuovi agenti, Bosch guardò Irving alzarsi e camminare
verso l'uscita dell'area. Non si fermò per nessuno, neppure per quelli che
gli allungavano la mano per congratularsi.
«Detective, ha avuto una settimana molto densa.»
Bosch si voltò. Era il capo della polizia. Annuì. Non sapeva cosa dire.
«Grazie di essere qui» disse il comandante. «Come sta il detective Ri-
der?»
«Si è presa un giorno di riposo. Ieri una pallottola l'ha mancata di un sof-
fio.»
«Così ho sentito dire. Ci sarà uno di voi alla conferenza stampa di og-
gi?»
«Be', lei non c'è, e io stavo pensando di evitarla, se va bene.»
«Ce la caveremo. Vedo che lei ha già fornito la storia al Daily News. Ora
tutti gli altri si accalcano per ottenere la propria parte. Dobbiamo allestire
un bel circo anche per loro.»
«Avevo un debito con la reporter del News.»
«Sì, capisco.»
«Quando le acque si saranno calmate, avrò ancora un lavoro, comandan-
te?»
«Certo, detective Bosch. Come in tutte le indagini, bisogna operare delle
scelte. Scelte difficili. Lei ha preso le decisioni migliori che potesse pren-
dere. Ci sarà un esame, ma non penso che avrà problemi.»
Bosch annuì. Stava per dire grazie ma preferì evitarlo. Si limitò a guar-
dare l'uomo.
«C'è qualcos'altro che mi vuole chiedere, detective?»
Bosch annuì di nuovo.
«Mi chiedevo una cosa» disse.
«A che proposito?»
«Il caso è partito con una lettera del Dipartimento di Giustizia e quella
lettera è rimasta ferma finché sono arrivato io. Mi chiedevo perché fosse
stata tenuta per me. Intendo dire, lei cosa sapeva e quando l'ha saputo?»
«Tutto questo ha importanza adesso?»
Bosch sporse il mento nella direzione in cui se n'era andato Irving.
«Forse» disse. «Non lo so. Ma non se ne andrà così. Si rivolgerà ai me-
dia. O agli avvocati.»
«Sa che se lo facesse sarebbe un errore. Ci sarebbero delle conseguenze
per lui. Non è uno sciocco.»
Bosch si limitò ad annuire. Il capo lo studiò un momento prima di parla-
re di nuovo.
«Sembra ancora inquieto, detective. Si ricorda cosa le dissi lunedì? Le
dissi che avevo analizzato appieno il suo caso e la sua carriera prima di de-
cidere se darle il bentornato.»
Bosch lo fissò senza parlare.
«Dicevo sul serio» disse il comandante. «L'ho studiata e penso di sapere
qualcosa di lei. Lei è su questa terra per un motivo, detective Bosch. E ora
ha l'opportunità di fare ciò per cui è al mondo: continuare a portare avanti
la sua missione. Dopo di ciò, c'è qualcos'altro che ha importanza?»
Bosch resse lo sguardo a lungo prima di parlare.
«In realtà quello che volevo chiederle riguarda proprio ciò che mi disse
lunedì. Quando parlò dei mormorii e delle voci, diceva sul serio? O mi
stava solo attizzando per mettermi alle calcagna di Irving?»
Subito si sprigionarono fiamme dalle guance del capo della polizia. Di-
stolse lo sguardo dagli occhi di Bosch mentre componeva la risposta. Tor-
nò a guardare il detective e furono i suoi occhi a reggere lo sguardo questa
volta.
«Pensavo ogni parola che ho pronunciato. E non lo dimentichi. Lei torni
alla stanza cinque, zero, tre e chiuda i casi, detective. È per questo che è
qui. Chiuda i casi o troverò qualche buona ragione per chiuderla fuori. Mi
capisce?»
Bosch non si sentì minacciato. Gli piacque la risposta del comandante.
Lo fece sentire meglio. Annuì.
«Capisco.»
Il capo alzò la mano e prese Bosch per l'avambraccio.
«Bene. Allora andiamo laggiù e facciamoci fare una foto con qualcuno
di quei giovani che oggi si sono uniti alla nostra famiglia. Magari potreb-
bero imparare qualcosa da noi. Magari noi potremmo imparare qualcosa da
loro.»
Mentre si muovevano nella folla, Bosch guardò nella direzione che ave-
va preso Irving. Il vicecapo era scomparso da un pezzo.

44

Bosch cercò Robert Verloren per tre delle sette notti successive, ma lo
trovò solo quando ormai era troppo tardi.
Una settimana dopo la cerimonia del diploma, Bosch e Rider erano se-
duti uno di fronte all'altro alle rispettive scrivanie, presi a dare le ultime
pennellate al caso contro Gordon Stoddard. L'imputato d'omicidio era stato
chiamato in giudizio dal tribunale di San Fernando all'inizio della settima-
na e si era dichiarato non colpevole. Ora il balletto giudiziario aveva avuto
inizio. Bosch e Rider avrebbero dovuto mettere insieme un impianto accu-
satorio che doveva tracciare le linee guida del caso contro Stoddard. Sa-
rebbe stato consegnato alla pubblica accusa e utilizzato nella negoziazione
con l'avvocato difensore di Stoddard. Dopo aver incontrato Muriel Verlo-
ren, Bosch e Rider, la pubblica accusa aveva impostato la propria strategia.
Se Stoddard avesse scelto di andare al processo, lo Stato avrebbe chiesto la
pena di morte per l'aggravante della premeditazione. L'alternativa per
Stoddard era evitare il rischio della pena capitale dichiarandosi colpevole
di omicidio di primo grado e patteggiando l'ergastolo senza la possibilità di
accedere alla libertà vigilata.
In un caso o nell'altro, il rapporto che Bosch e Rider avrebbero redatto
sarebbe stato di vitale importanza, perché avrebbe mostrato a Stoddard e al
suo avvocato quanto erano solide le prove in loro possesso. Sarebbero riu-
sciti a forzare la mano, avrebbero spinto Stoddard a scegliere tra la tetra al-
ternativa di trascorrere l'esistenza in carcere o di giocarsi la vita sull'esile
speranza di convincere una giuria della propria innocenza.
Era stata una buona settimana fino a quel momento. Rider si era ripresa
dallo spavento che le aveva provocato la pallottola di Stoddard e aveva ri-
conquistato la consueta abilità nell'elaborare i documenti di sintesi delle
indagini. Bosch aveva trascorso tutto il lunedì a ricostruire i passaggi del
caso con un investigatore della Affari Interni e, il giorno seguente, era sta-
to scagionato. Il verdetto «non atto a procedere» significava che all'interno
del dipartimento Bosch era pulito, anche se i numerosi articoli che affolla-
vano i giornali continuavano a sollevare domande sul perché il dipartimen-
to avesse usato Mackey come esca.
Bosch era pronto a passare all'indagine successiva. Aveva già confidato
a Rider che desiderava dare un'occhiata al caso della donna che avevano
trovata legata e annegata nella vasca da bagno il giorno in cui lui era entra-
to in servizio.
Lo avrebbero esaminato appena terminate le pratiche su Stoddard.
Abel Pratt uscì dall'ufficio e si infilò nel loro bugigattolo. Aveva sul viso
un'espressione funerea. Annuì in direzione dello schermo del computer di
Rider.
«State lavorando al caso Stoddard?»
«Sì» disse Rider. «Che succede?»
«Potete lasciar perdere. È morto.»
Nessuno disse nulla per un lungo istante.
«Morto?» domandò alla fine Rider. «Che cosa significa morto?»
«È morto nella sua cella della prigione di Van Nuys. Due ferite da perfo-
razione al collo.»
«Lo ha fatto da solo?» domandò Bosch. «Non pensavo che ne avrebbe
avuto la forza.»
«No, è stato qualcun altro.»
Bosch si irrigidì sulla sedia.
«Aspetta un minuto» disse. «Era in isolamento in un reparto di massima
sicurezza. Nessuno avrebbe potuto...»
«Qualcuno lo ha fatto questa mattina» disse Pratt. «E adesso arriva il
brutto.»
Pratt sollevò un taccuino che aveva in mano. C'erano degli appunti sca-
rabocchiati. Li lesse.
«Lunedì sera un uomo è stato arrestato sul Van Nuys Boulevard per u-
briachezza molesta. Ha anche aggredito uno degli agenti che lo avevano
fermato. Gli sono state prese le impronte ed è stato condotto nel carcere di
Van Nuys. Non aveva documenti e ha dichiarato di chiamarsi Robert
Light. Il giorno seguente, si è dichiarato colpevole di tutti i capi d'accusa e
il giudice lo ha condannato a una settimana nella prigione di Van Nuys. Le
impronte non erano ancora state passate al computer.»
Bosch avvertì un profondo strappo allo stomaco. Era terrorizzato. Sape-
va dove sarebbe arrivato il racconto.
Pratt proseguì servendosi degli appunti per ricostruire la vicenda.
«L'uomo che aveva dichiarato di chiamarsi Robert Light è stato assegna-
to alle cucine, poiché aveva sostenuto e dimostrato di avere esperienza nel
campo della ristorazione. Questa mattina ha barattato il proprio lavoro con
quello di un altro addetto alle cucine e si è occupato del carrello con le vi-
vande per i detenuti sotto sorveglianza speciale. Secondo quanto hanno ri-
ferito due guardie, quando Stoddard si è avvicinato alla finestrella scorre-
vole sulla porta della cella per ritirare il vassoio, Robert Light ha allungato
la mano attraverso le sbarre e lo ha afferrato. Lo ha poi pugnalato ripetu-
tamente con un punteruolo realizzato affilando un cucchiaio rotto.
Stoddard ha subito due ferite da perforazione al collo prima che le guardie
potessero soccorrerlo. Ormai era troppo tardi. Le arterie della carotide di
Stoddard erano tagliate e l'uomo è morto dissanguato prima che i secondini
potessero prestargli soccorso.»
Pratt si fermò ma Bosch e Rider non gli rivolsero domande.
«Per pura coincidenza,» riprese Pratt «le impronte di Robert Light veni-
vano finalmente passate al computer proprio mentre lui uccideva Stoddard.
Il computer ha smascherato un inganno: il detenuto aveva fornito delle fal-
se generalità. Il vero nome, come sono certo avrete già immaginato, era
Robert Verloren.»
Bosch fissò Rider dall'altra parte del tavolo ma non riuscì a reggere a
lungo il suo sguardo. Abbassò gli occhi sulla scrivania. Si sentiva come se
fosse stato preso a pugni. Chiuse gli occhi e si strofinò il viso con le mani.
Aveva la sensazione che in qualche modo fosse colpa sua. Era lui che ave-
va la responsabilità di occuparsi di Robert Verloren. Lo avrebbe dovuto
trovare.
«Come vi pare come conclusione?»
Bosch lasciò cadere le mani e si alzò. Guardò Pratt.
«Dov'è?»
«Verloren? È ancora lì. Se ne sta occupando la Omicidi di Van Nuys.»
«Ci vado.»
«Cosa farai?» domandò Rider.
«Non lo so. Tutto quello che posso.»
Uscì dalla nicchia e si lasciò alle spalle Rider e Pratt. In corridoio pre-
mette il tasto dell'ascensore e attese. La pesantezza al petto non si allenta-
va.
Sapeva che era il senso di colpa, la sensazione di non essere stato pronto
per il caso e di aver commesso degli errori che erano costati molto cari.
«Non è colpa tua, Harry. Ha fatto quello che aspettava da diciassette an-
ni.»
Bosch si voltò. Rider lo aveva raggiunto.
«Lo avrei dovuto trovare prima.»
«Non voleva essere trovato. Aveva un piano.»
La porta dell'ascensore si aprì. Era vuoto.
«Qualunque cosa tu abbia intenzione di fare,» disse Rider «io vengo con
te.»
Bosch annuì. Insieme a lei sarebbe stato più semplice. La invitò a entrare
nell'ascensore e la seguì. Mentre scendevano, avvertì la determinazione
che cresceva dentro di lui. La determinazione a portare avanti la sua mis-
sione. La determinazione a non dimenticare Robert, Muriel e Rebecca Ver-
loren. E si ripromise che avrebbe parlato sempre per conto dei morti.

Ringraziamenti

L'autore desidera ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alle ri-
cerche e alla stesura di questo romanzo. Tra di essi ci sono Michael
Pietsch, Asya Muchnick, Jane Wood e Peggy Leith Anderson, oltre a Jane
Davis, Linda Connelly, Terrill Lee Lankford, Mary Capps, Judy Couwels,
John Houghton, Jerry Hooten e Ken Delavigne. Un ringraziamento molto
speciale ai detective Tim Marcia, Rick Jackson e David Lambkin del Di-
partimento di Polizia di Los Angeles, oltre che al sergente Bob McDonald
e al capo della polizia William Bratton.

FINE

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