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Capitolo terzo

L’opera francese del Seicento

Nell’epoca Barocca venne alla luce una concezione della musica che risaliva ai tempi dell’antica
Grecia, secondo cui la musica poteva esercitare potentissimi effetti sull’animo umano, tali da
renderla strumento indispensabile per il mantenimento dell’ordine politico e sociale.
Nella Francia del Cinquecento avevano trovato ampio spazio le idee platoniche sul potere della
musica: Jean Antoine de Baif sosteneva che per far rivivere i portentosi effetti della musica antica
bisognava raggiungere una completa fusione tra poesia e musica; la sua peculiarità risiedeva
nell’importanza assoluta conferita al ritmo. Baif, e i musicisti che lavoravano con lui, come Claude
de Le Jeune (autore “Revecy venir du Printans”, Le Printemps), volevano ottenere una musica il
cui ritmo ricalcasse quello poetico, traducendo le sillabe lunghe e brevi della prosodia in valori
lunghi o brevi delle note musicali. L’evento di maggiore importanza avvenne nel 1518 in occasione
delle nozze di Margherita di Lorena: la celebrazione nunziale fu trasformata in un banchetto
astrologico al fine di attrarre le emanazioni positive del cosmo sulla stirpe reale.

Il balletto di corte

Caterina de' Medici, membro della signoria di Firenze, divenne regina di Francia nel 1547
sposando il re Enrico II, ed introdusse in Francia gli stessi spettacoli che aveva conosciuto in Italia.
Questi spettacoli erano allestiti da Baltazarini da Belgioioso, un musicista molto dotato, chiamato
dall'Italia per diventare maestro di musica in Francia. Gli storici del balletto considerano uno degli
spettacoli di Belgioioso, il Balletto Drammatico della Regina, come primo vero balletto: si
trattava di uno spettacolo sontuoso che durava circa cinque ore e mezza rappresentato la prima volta
il 15 ottobre 1581 in onore del matrimonio fra il Duca di Joyeuse e Margherita di Lorena, sorella
della regina. Il balletto raccontava del mito antico di Circe che aveva il potere di trasformare gli
uomini in bestie e includeva musica strumentale, canto, lettura di versi, danza e in cui gli stessi
nobili di corte presero parte alla rappresentazione. Poiché la tecnica di danza era estremamente
limitata, Baltazarini dovette ripiegare su costumi spettacolari e grandi scenografie per impressionare
il pubblico. Per essere sicuro che la gente capisse la storia, egli fece distribuire copie dei versi usati
nel balletto. Il balletto fu un successo enorme e fu molto imitato nelle altre corti d'Europa.
Spettacoli coreografici vennero poi rappresentati di frequente anche alla corte di Enrico III di
Francia, che era stato fra gli spettatori delle messe in scena di Baltazarini, ma al tema mitologico o
allegorico veniva spesso preferita una forma più leggera, il ballet mascarade, in genere parodia
mimata di fatti di attualità. Pare che alcune creazioni siano poi state realizzate a scopi di propaganda
dallo stesso cardinale Richelieu, come ad esempio il Ballet de quatre monarchies chrétiennes
(1635) e il Ballet de la prosperité des armes de France (1641), il che testimonia la popolarità già
raggiunta allora dal balletto. In Italia la Corte dei Medici risultava ai tempi piuttosto attiva, sotto la
guida del coreografo Angelo Ricci. Fra gli spettacoli, ispirati in genere a quei temi propri
dell'Umanesimo che era stato fonte ispiratrice delle origini, si cominciarono a trovare sempre più
spesso balletti con cavalli in scena, probabile eredità dei tornei medievali. Questo genere equestre
verso la fine del Cinquecento trovò sempre più larga fortuna specie in Francia e a Vienna, oltreché
Firenze. L'esempio più eclatante fu la messa in scena a Vienna nel 1667 di La contesa dell'aria e
dell'acqua, a cura dell'italiano Alessandro Carducci.
A fianco di Firenze, anche Torino è particolarmente attiva attorno alla metà del Seicento, sotto la
guida del conte Filippo d'Agliè di San Martino, autore di balletti e caroselli molto apprezzati anche
in Francia. La tradizione del balletto di corte restò peculiare della corte di Francia anche sotto la
dinastia Borboni, infatti Luigi XIII festeggiò la sua maggiore età e l’assunzione dei poteri politici
con un balletto che lo vide danzare nel duplice ruolo del demone di fuoco e del condottiero
Goffredo di Buglione. Negli anni ’30 del Seicento i balletti di corte abbandonarono i contenuti
allegorici per celebrare esplicitamente le glorie e i successi militari della monarchia francese.
L’opera italiana in Francia

Il cardinale italiano Giulio Mazzarino (nato da padre forse illegittimo di Luigi XIV), inviato a
Parigi come nunzio apostolico, attirò i migliori musicisti che avevano realizzato le opere
barberiniane a Roma. Quando il cardinale Antonio Barberini, dopo la morte del papa Urbano VIII,
decise di allontanarsi da Roma Mazzarino lo accolse a Parigi fece allestire a corte alcune opere
italiane: “La finta pazza” (1645) di Giulio Strozzi, con musiche di Francesco Sacrati e balletti e
scenografie a cura di Giacomo Torelli; “L’Egisto” (1646, libretto di Giovanni Faustini) di
Francesco Cavalli, “L’Orfeo” di Luigi Rossi (1647, libretto di Francesco Buti), riscuotendo uno
scarso successo, poiché l’ostilità del pubblico verso le iniziative mazariniane nasceva da una
duplice causa: da un lato, l’opera italiana era lontana dal gusto francese; dall’altra, il crescente
movimento di opposizione al cardinale Mazzarino (rivolta della Fronda, paragonabile all’azione di
Oliver Cromwell contro la monarchia inglese) cercava di ostacolare ogni italianizzazione della vita
di corte. Nonostante l’esecuzione di nuove opere come Le nozze di Peleo e di Teti (1654), in cui
Luigi XIV si esibì come ballerino o Xerse (1660, di Niccolò Minato su musiche di Francesco
Cavalli) in occasione del matrimonio del re con l’Infanta di Spagna Maria Teresa, e le numerose
modifiche apportate, la Francia rimase l’unico paese europeo in cui l’opera italiana non riuscì ad
attecchire, anzi nel 1666 i musicisti italiani furono addirittura espulsi dal paese. Erano comunque
maturi i tempi per un nuovo tipo di spettacolo che rispecchiasse i gusti francesi, e colui che riuscì
nell’intento fu un italo-francese, Jean Baptiste Lully (1632-1687). Assunto a corte in qualità di
valletto da camera, studiando musica e diventando ben presto compositore, nel 1653 fu nominato
compositore della musica strumentale del re, e nel 1661 divenne sovrintendente della musica e
compositore della musica da camera, e l’anno dopo ottenne la carica di maestro della musica della
famiglia reale.

La commedia recitata

Lully impose ai suoi strumentisti uno stile esecutivo molto diverso da quello italianeggiante (con i
ventiquattro violini che eseguivano la musica da camera), pretendeva una maggiore fedeltà al testo
musicale, che andava eseguito senza troppi arbitri e con disciplinata precisione dell’insieme.
Intorno agli anni ’60 del Seicento iniziò a collaborare con Molière alla creazione delle famose
comédies-ballets: commedie recitate (la più importante “Le burgeois gentilhomme”, messo in
musica anche nella versione di Marc-Antoine Charpentier), intersecate da inserti musicali danzati
la cui trama era spesso inserita nell’azione stessa. In queste commedie la poesia, la musica e la
danza erano giustapposte e non ancora integrate in un’unica realtà. Questo si realizzò con la prima
tragédie lirique: tragedia lirica di Lully, Cadmus et Hermione (1673, su testo del poeta Philippe
Quinault). Questa e le successive tragedie liriche di Lully erano vere e proprie tragedie in versi, il
cui testo veniva musicato in un’alternanza di recits e di aris, analoghi ai recitativi e alle arie
dell’opera italiana, oltre a numerosi interventi corali e strumentali. Dopo un prologo, preceduto da
un’overture: apertura strumentale, si susseguivano cinque atti, ciascuno dei quali era imperniato
su un grandioso divertissement (parti danzate che servivano da interludio o a chiusura degli atti), un
momento in cui l’azione si arrestava per dar luogo ad un sontuoso ed elaborato balletto. Il testo del
prologo aveva il ruolo encomiastico principale di tutta la tragedia lirica, ovvero glorificare la maestà
del re ed esaltare il prestigio della nazione francese, Luigi XIV promuoveva questi contenuti e gli
argomenti dei libretti erano sottoposti alla sua approvazione. Il re concesse a Lully il monopolio
sugli spettacoli operistici e la direzione dell’Accademia Reale della Musica, unica istituzione
autorizzata ad allestire opere in Francia e a stamparne le partiture: chiunque avesse voluto produrre
o pubblicare opere nel territorio francese avrebbe dovuto acquistarne il diritto da Lully. Altre
importanti tragedies liriques di Lully che ricordiamo sono “Alceste” e “Armide” (su libretto di
Quinault, e tratta da uno dei famosi poemi epici del Rinascimento italiano, La Gerusalemme
liberata di Torquato Tasso).

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