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GUERRA FREDDA – contesto internazionale

Con l'espressione guerra fredda, coniata da un giornalista americano, Lippmann, si indica la


contrapposizione politica, ideologica e militare che venne a crearsi intorno al 1947, e che si protrasse
fino al 1989, anno in cui crollò il muro di Berlino, tra le due principali potenze vincitrici dalla seconda
guerra mondiale: gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica. Questa guerra viene chiamata "fredda"
perché non si concretizzò mai in un conflitto militare diretto, ma si basava sulla minaccia delle armi
nucleari.
USA e URSS divennero subito forti nemici dopo la guerra contro Hitler, per la loro ideologia opposta.
L'America è la patria del capitalismo e del libero mercato, con una moneta molto potente come il
dollaro; nell'URSS era in vigore il comunismo, la proprietà privata era quasi assente, la società si
trovava in una situazione drammatica, ma d'altra parte i sovietici avevano una forte possibilità di
ripresa economica, un potente esercito e maggior prestigio rispetto agli USA, sistema economica
pianificato dallo stato, partito unico KUSS(?), cultura di stato. Cultura pilotata dall’alto, costruita e
diffusa dal partito.
Durante la seconda guerra mondiale le maggiori potenze antifasciste (USA, Gran Bretagna e URSS) si
riunirono a Teheran nel 1943, a Yalta VEDI nel 1945 e a Postdam nel 1945 per decidere come e dove
esercitare il loro potere a guerra ultimata.
Il mondo si divise progressivamente in due blocchi: l'Occidente capitalista, con modello gli USA e
l'Oriente comunista, con modello l'URSS. Il tutto sfociò nella "guerra fredda". L'Europa era in una
posizione subalterna perché alcuni stati avevano preso posizione per una parte, altri per la parte
opposta.
Lo scenario europeo vedeva nel blocco atlantico: Portogallo, Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi,
Belgio, Lussemburgo, Italia, Norvegia, Grecia e Turchia; nel blocco sovietico: Estonia, Lettonia,
Lituania e Bielorussia, annesse nel 1945. Finlandia, Polonia, cecoslovacchia, Romania e Bulgaria erano i
cosiddetti "stati satellite" membri del patto di Varsavia del 1955.
USA e URSS investirono notevolmente nella produzione di armi, cioè nella corsa agli armamenti.
Un aspetto importante della guerra fredda fu anche la corsa allo spazio, che consistette in una specie di
“gara” a chi fosse riuscito a mandare nello spazio un uomo, satelliti spia e nuove apparecchiature. Sul
finire della guerra fredda, gli americani e i sovietici cercarono di dimostrare una volta per tutte quale
fosse la nazione più potente. La sfida aerospaziale ebbe inizio il 4 ottobre 1957 quando i sovietici
spedirono in orbita lo Sputnik1. I Russi si aggiudicarono un altro record mandando in orbita il primo
essere vivente: la cagnetta Laika, a bordo dello Sputnik 2. Il sovietico Jurij Gagarin fu il primo
astronauta inviato nello spazio. La tecnologia degli americani rimase per molto tempo al di sotto di
quella sovietica, e cioè fino a quando Kennedy lanciò la sfida finale, ovvero il programma Apollo,
concepito per far sbarcare un uomo sulla luna entro la fine degli anni Sessanta.
Inoltre le due superpotenze sostenevano le guerre dei paesi satelliti: nella prima fase della guerra
fredda ci furono momenti di alta tensione, come ad esempio la Crisi di Berlino del 48, la Guerra di
Corea del 50-53, e la Crisi di Suez del 63.

PIANO MARSHALL E NATO, DOTTRINA TRUMAN


L’Europa era spaccata a metà tra le due superpotenze mondiali. Già nel marzo 1946 in una conferenza
tenuta a Fulton, nel Missouri, Winston Churchill coniò un'espressione che divenne celebre: disse cioè
che sull'Europa stava calando una Cortina di ferro, una barriera, una protezione militare dietro alla
quale la potenza Sovietica si stava chiudendo e rafforzando.
Un anno più tardi il presidente americano enunciò quella che poi fu chiamata la dottrina Truman. Si
trattava di una politica di contenimento, con cui il presidente tentava di controllare la diffusione
dell'ideologia comuniste: per farlo riservò ai paesi che si allontanavano dall’URSS gli aiuti del piano
Marshall.
Il principale problema dell’Europa del dopoguerra era la povertà. Di fronte a questa emergenza, il
governo americano decise di varare il piano Marshall, dal nome del ministro americano George
Marshall che se ne occupò. Fu uno dei piani politico-economici statunitensi per la ricostruzione
dell'Europa dopo la seconda guerra mondiale. Questo piano consisteva in uno stanziamento di oltre 12
miliardi di dollari e prevedeva la fornitura a titolo gratuito di ingenti quantità di grano e di altri prodotti
e macchinari per sfamare la popolazione europea e permettere la ripresa. Gli Stati Uniti non potevano
permettersi di far crollare l’Europa perché avevano interessi nel piazzare i prodotti che producevano. Il
piano Marshall fu fondamentale e per molti anni fu decisivo: salvò Paesi come l’Italia, la Germania e la
Gran Bretagna, che dopo la guerra si trovavano in condizioni difficili. Il piano Marshall si rivolgeva a
qualunque paese europeo che ne avesse fatto richiesta. Quindi, almeno teoricamente, anche a quelli
dell'est, purché si allontanassero dall’URSS.
Un altro leader della campagna anticomunista fu McCarthy, da cui l'espressione maccartismo, che a
partire dal 1950 si fece promotore dei Comitati per le attività antiamericane, incaricati di raccogliere
prove intorno a presunte spie sovietiche all'interno dell'amministrazione americana.
Dopo gli accordi di pace, queste due superpotenze cominciarono a sfidarsi per la supremazia globale e
in diverse occasioni si arrivò ad un passo dallo scoppio di nuova guerra mondiale combattuta a colpi di
armi nucleari. Fortunatamente però questa accesa rivalità non degenerò mai in un diretto scontro
armato
Nella seconda metà degli anni '40 però ancora non si sapeva se la guerra sarebbe scoppiata o meno; i
due "blocchi" temevano che prima o poi qualcuno avrebbe attaccato l'altro.
Fu così che il 4 aprile 1949 le principali nazioni occidentali firmarono a Washington il Trattato del Nord
Atlantico - conosciuto anche come "Carta Atlantica" o "Patto Atlantico" - un'alleanza politica e militare
che, sotto la tutela degli Stati Uniti, creava un fronte compatto contro le eventuali aggressioni di nemici
stranieri.
I Paesi fondatori erano 12 : Stati Uniti, Francia, Italia, Regno Unito, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi,
Canada, Portogallo, Islanda, Lussemburgo e Norvegia.
Un accordo simile venne successivamente stipulato tra i Paesi ad influenza sovietica nel 1955, ovvero il
Patto di Varsavia.

LA CRISI DI BERLINO
Dopo la sconfitta della Germania, il paese e la sua capitale, Berlino, erano state divise in 4 zone di
influenza, in mano all'Inghilterra, alla Francia, all'America e all'URSS. Tuttavia nel 48 Francia,
Inghilterra e America unificarono le loro parti della Germania e di Berlino, che si ritrovò quindi divisa
in due zone: Berlino ovest e Berlino est, che erano però entrambi nella Germania est. (Repubblica
federale tedesca e Repubblica democratica tedesca). Stalin di fronte all'unificazione della Germania
ovest si insospettì, anche perché molte persone dell'est si spostavano a ovest in cerca di protezione e di
un maggiore benessere.
Per contrastare la manovra angloamericana pose quindi un blocco militare a metà della Germania per
evitare che gli eserciti della Germania ovest rifornissero Berlino ovest, che rimase quindi isolata
all'interno della Germania est. La soluzione fu il ponte aereo: cioè un rifornimento della Berlino ovest
attraverso pacchi lanciati dagli aerei. Stalin alla fine quindi tolse il blocco.
Ma il muro di cinta eretto del 61, che delimitava i confini della Berlino est dividendo la città in due,
rimase tuttavia in piedi fino al 1989, anno in cui si conclude simbolicamente la guerra fredda.
LA GUERRA DI COREA
La guerra di Corea fu combattuta tra il 1950 e il 1953. In quegli anni la Corea era divisa al 38esimo
parallelo in Corea del Nord, dove si era instaurato un regime comunista, e in Corea del Sud, dove invece
c'era un governo filostatunitense.
La guerra scoppiò con il tentativo del Nord di unificare la Corea sotto il comunismo. Nella guerra
intervennero anche USA e URSS, che se non si combatterono direttamente durante la guerra fredda, lo
fecero partecipando agli scontri tra i paesi a loro vicini, finanziandoli e sostenendoli.
La guerra di Corea fece nascere un clima di grande tensione, visto l'intervento delle due superpotenze:
si temeva una guerra nucleare. La guerra si protrasse a lungo causando circa un milione di mort, ma
alla fine si concluse con un nulla di fatto nel luglio del 53.

NASCITA DI ISRAELE E PRIMA GUERRA ARABO-ISRALIANA


Dopo la tragedia della Shoah, il 14 maggio del 1948 con una risoluzione ONU (una decisione presa
dall’ONU), nacque lo stato di Israele: al popolo ebraico fu offerta una sorta di risarcimento, poiché poté
stabilirsi nella Terra Promessa, a cui aspirava da tempo, in Palestina. Nel 48 il capo di Israele, David
Ben Gurion, dichiarò quindi lo Stato di Israele. Nella foto che lo ritrae nel momento della firma, appare
sopra la sua testa un quadro di Herzl, capo del movimento sionista, che aveva organizzato il primo
congresso sionista a Basilea nel 18. Il sionismo (da Sion, collina su cui si trova Gerusalemme)
rivendicava la legittimità della fondazione dello stato ebraico all'interno della Palestina. Gli antisionisti,
al contrario, la negavano. La Terra promessa infatti non era disabitata, vi risiedevano gli arabi
palestinesi, circa un milione, che vennero scacciati dalle loro terre dalla presenza ebraica.
Il giorno dopo la proclamazione dello Stato d'Israele, il 15 maggio del 48, scoppiò per questo motivo la
Prima Guerra arabo-israeliana.

KRUSCEV E LA DESTALINIZZAZIONE, OTTOBRE POLACCO E RIVOLTA D’UNGHERIA


Nel marzo del 53 morì improvvisamente, dopo 29 anni di dittatura, Stalin, ormai diventato un mito,
una figura quasi divina.
Seguì una lotta per il potere, ma alla fine salì Nikita Kruscev.
Nel 1956 si verificarono alcuni fatti importanti. Al ventesimo congresso del PCUS, nel febbraio del 56,
Kruscev portò avanti la cosiddetta destalinizzazione, denunciando i metodi terroristici del potere
autocratico di Stalin (gulag, culto della personalità repressioni, purghe), e il culto della sua persona.
L'intento di Kruscev era quello di ricostituire un potere collegiale all'interno del partito (ma senza altri
partiti) a differenza di Stalin che aveva governato da solo esautorando i suoi collaboratori. Voleva
ripristinare quella legalità socialista che doveva impedire l'accumularsi di un arbitrio illimitato nelle
mani di un solo uomo. Fu avviato quindi un prudente processo di disgelo: alcuni oppositori furono
liberati dal Gulag, gli intellettuali cominciarono a ottenere libertà di espressione.
Tuttavia questo processo ebbe effetti negativi nei paesi satellite.
Ad esempio in Polonia: nel giugno del 1956, gli operai della città di Poznan diedero vita a una rivolta
poi repressa dai sovietici. In seguito l'URSS tentò di operare una soluzione morbida alla crisi. Ma
quando in ottobre vi si riaccese un vasto movimento di protesta, con il placet di Mosca venne chiamato
al governo Wladyslaw Gomulka, una delle vittime dei processi stalinisti, da poco uscito di prigione.
Gomulka promosse una politica di riconciliazione sociale e aprì alla Chiesa cattolica anche se, nel
contempo, ribadì la fedeltà all'Unione Sovietica.
La destalinizzazione ebbe effetti più gravi in Ungheria. Qui, dopo la morte di Stalin, il regime conobbe
un alleggerimento con il governo di Imre Nagy, che inaugurò il cosiddetto "Nuovo Corso". Egli, che
aveva da sempre avuto idee progressiste, lesse infatti la destalinizzazione come la possibilità di apertura
e di pluralismo. Nel 55 tuttavia Nagy fu estromesso dagli stalinisti dal governo e dal partito. Ma le
agitazioni non si placarono, e nell'ottobre del 56 la rivolta armata divampò in tutto il Paese.
Nagy fu richiamato quindi al governo, ma quando questo chiese l'uscita dal Patto di Varsavia, la
richiesta venne respinta da Mosca, che non voleva perdere il controllo sui paesi satellite.
È per questo che nell'ottobre del 56 la Russia mandò i carrarmati in Ungheria, stroncando la prima
rivoluzione democratica nell'Europa comunista, e Nagy fu ucciso.
Il 29 ottobre del 1956, pochi giorni dopo il primo intervento militare sovietico a Budapest, il dissenso
all’interno del Partito comunista italiano si manifestò in maniera clamorosa in un appello di solidarietà
agli insorti ungheresi firmato da un centinaio di personalità (1), in gran parte intellettuali romani, fra
cui 11 fra professori ordinari, incaricati e liberi docenti di università, dodici assistenti e numerosi
studenti iscritti al circolo universitario della capitale. Il «Manifesto dei 101» conteneva una severa
condanna della posizione ufficiale del partito sui moti di Ungheria, ma le questioni complessivamente
sollevate rimandavano ad un dibattito ancor più ampio divampato nel Partito comunista italiano sin
dalla primavera precedente.
Seguirono anni cupi: la burocrazia di partito, di fatto, sostituì Stalin, chiudendo la strada a uno sviluppo
democratico, che avrebbe avuto conseguenze pericolose per il potere.
A causa di questo clima, spesso la gente dell'est fuggiva in Occidente. A Berlino, per questo motivo,
nella notte del 13 agosto del 61 fu fatto costruire un muro, che impediva il passaggio ad ovest.

CRISI DI SUEZ E SECONDA GUERRA ARABO-ISRAELIANA


Durante l’età dell’imperialismo l’Inghilterra occupò l’Egitto, e a metà dell’800 si iniziò a costruire il
Canale di Suez, per scopi commerciali. Tutti i proventi (delle tasse di pedaggio) andavano a Inghilterra
e Francia.
Nel 1952 un gruppo di militari guidati da Nasser, il Movimento nazionalista degli Ufficiali Liberi, di
ispirazione socialista prese il potere in Egitto mentre il re Faruk era costretto a prendere la via
dell'esilio. Nasser, per portare avanti un processo di modernizzazione, chiese sostegno alla Banca
Mondiale, creata nel ’44 con gli accordi di Bretton Woods per sostenere le economie dei paesi in via di
sviluppo, che però li negò. Questo perché l’America aveva notato che il paese era vicino al socialismo e
all’Unione Sovietica, e quindi non intendeva finanziare le opere progettate da Nasser, come la Diga di
Assuan per sfruttare l’energia idroelettrica.
Nasser allora decretò la nazionalizzazione del Canale di Suez, ma Francia e Inghilterra reagirono con le
armi. A questa vicenda si intreccia il secondo conflitto arabo-israeliano, poiché Israele, alleata con
Parigi e Londra, nel 56 attaccò l'Egitto e occupò Il Sinai per consolidare il proprio vantaggio in
Palestina, mentre le truppe Francesi e inglesi occupavano le zone del canale.
Dopo pochi giorni però l'aggressione fu fermata dalla diplomazia congiunta di americani e sovietici che
condannarono l'intervento. Con l'accordo di Roma del 58 l'Egitto si vide riconosciuto il diritto di
controllo sul Canale, e Inglesi e Francesi furono cacciati.
Particolarmente importante fu il ministro degli esteri canadese, Lester Pearson (vincitore per il Nobel
per la pace, grazie alla sua mediazione nella crisi). Si conclude con la vittoria di Nasser, che è doppia:
mantiene il canale di Suez vincendo contro Francia e Inghilterra e si presenta come paese guida dei
paesi arabi.
KENNEDY E IL DISCORSO DI NUOVA FRONTIERA
Kennedy, diventato presidente nel 1960, espose i punti della propria politica nel Discorso della Nuova
Frontiera.
In politica estera Kennedy univa ad un'autentica aspirazione alla pace con l'URSS, la difesa degli
interessi degli Stati Uniti nel mondo. Dall'intreccio di queste tendenze scaturirono l'impennata delle
spese militari ed una serie di confronti con il mondo comunista, tanto duri e drammatici da ricordare i
momenti più difficili della guerra fredda. Per fare un esempio, il primo incontro tra Kennedy e Kruscev,
tenuto a Vienna nel giugno 1961 e dedicato al problema di Berlino Ovest, si risolse in un fallimento e
provocò, poco dopo, la costruzione di quel muro che doveva simboleggiare la chiusura e la separazione
Est-Ovest. Nel nuovo ordine mondiale progettato da Kennedy assumevano grande rilievo i rapporti tra
Stati Uniti ed Europa occidentale. Attraverso la progressiva riduzione delle tariffe e l'intensificazione
degli scambi, il mercato statunitense e quello comunitario europeo avrebbero dovuto costituire un'area
economica omogenea, mentre l'Alleanza atlantica avrebbe provveduto all'integrazione militare delle
due comunità.
Il grande disegno di Kennedy si configurava dunque, come la creazione di una comunità sovranazionale
atlantica fondata su basi confederali. Accanto agli entusiasmi e alle adesioni suscitate da tali proposte, è
necessario ricordare la durissima opposizione del presidente francese Charles De Gaulle. Questi,
considerando lo stato nazionale come un monumento essenziale e non
superabile della storia e della civiltà europea, contrapponeva all'Europa integrata, federalistica e
sovranazionale del progetto di Kennedy, l'Europa delle patrie, basata sull'autonomia dei singoli stati e
sulla collaborazione tra le nazioni.

DECOLONIZZAZIONE, INDIA E ALGERIA


Il termine “decolonizzazione” indica il processo storico attraverso cui raggiunsero l’indipendenza, tra la
fine degli anni Quaranta e gli inizi degli anni Settanta del XX secolo, la totalità dei possedimenti
coloniali europei, in Africa e in Asia. La decolonizzazione si realizzò in un arco di tempo molto breve, se
confrontato al lungo periodo che interessò il processo opposto di colonizzazione. Fu infatti il risultato di
una situazione storica che da una parte persuadeva le potenze coloniali a ritenere troppo costoso il
possesso delle colonie, e dall’altra favoriva movimenti di resistenza armata nei Paesi colonizzati capaci
di coinvolgere l’opinione pubblica indigena e convincerla a sostenere la causa dell’indipendenza.
Un clima decisamente anti-imperialista prevalse anche a livello internazionale e si concretizzò in
iniziative quali la conferenza di Bandung del 1956, in Indonesia, e la Conferenza di Belgrado del 1961 a
Belgrado.
La prima colonia a diventare indipendente fu la Libia (dell'italia). Di lì a pochi anni sia la Gran
Bretagna sia la Francia concessero l’indipendenza a quasi tutte le loro colonie. Questo cambio
d’atteggiamento può essere spiegato, oltre che con il fallimento dell’impresa di Suez, anche con altri
fattori, quali i costi economici e politici di una politica di controllo e di repressione: l’indipendenza
concessa dalla Francia al Marocco nel 1956 e alla Tunisia nel 1957 ad esempio evitò di fronteggiare le
formazioni terroristiche dei territori.
In India, già negli anni 20 e 30 era iniziato il movimento per l'indipendenza dalla Gran Bretagna, ma fu
dopo la seconda guerra mondiale che la lotta divenne più forte. A capo di essa vi era un importante
leader induista, Gandhi. Egli studiò legge a Londra e si spostò poi in Sudafrica dove prese coscienza
della condizione di sfruttamento della comunità nera e del territorio. Qui elaborò il suo pensiero, basato
sul principio della non violenza. Tornato in India mise in atto questi principi, combattendo contro
l'imperialismo britannico in modo non violento. Celebre fu l'episodio della marcia del sale: come atto di
protesta contro una tassa imposta dagli inglesi, Gandhi e molti altri indiani percorsero 140 km per
raccogliere simbolicamente il sale dalla costa. L'India ottenne l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel
1947 ma a causa dei contrasti tra la corrente induista e quella musulmana si crearono due nuovi stato:
la Repubblica Indiana e il Pakistan. Gandhi morì assassinato nel 48.
Drammatica fu invece l’emancipazione dell’Algeria, che i Francesi non consideravano una colonia, ma
parte integrante del territorio patrio. Dopo che i francesi rifiutarono di far partecipare gli Algerini alla
vita politica, nel 1954 si costituì il Fronte Nazionale della Liberazione. Iniziò un vero confronto militare,
durante il quale i Francesi utilizzano una strategia repressiva spietata. Alla fine il generale de Gaulle,
con i protocolli di Evian, rese possibile, nel 62, attraverso un referendum, l’indipendenza del Paese. La
decisione del generale de Gaulle dimostra come, tra le ex potenze imperiali, fosse maturata la
consapevolezza in merito all’inutilità del possesso di colonie: era più conveniente, invece, puntare su
relazioni privilegiate nei rapporti con le ex colonie, evitando i costi dell’occupazione e mantenendo
rendite di carattere commerciale.

CRISI DI CUBA
Cuba era stata l'ultima delle colonie spagnole in America ad aver ottenuto l'indipendenza nel 1898. 50
anni dopo Cuba era governata da un dittatore, Fulgencio Batista (presidente della repubblica dal 1940
al 44 e poi dal 52 al 59) che era un esecutore degli interessi americani. Si trattava di una subordinazione
assoluta all'America, che controllava l'intera produzione di zucchero, proteggeva i latifondisti locali e
possedeva quasi la metà delle piantagioni. Nacque ben presto un movimento nazionalista
indipendentista e antimperialista che sognava per Cuba la piena sovranità. A causa di questo
movimento e della protesta sociale dei contadini la dittatura di Batista era costretta a governare
ricorrendo allo Stato d'assedio. Fin dall'inizio degli anni 50 l'opposizione nazionalista si radicalizzò
sotto la direzione di un giovane avvocato, Fidel Castro. Dopo un periodo di carcerazione Castro riparò
in Messico da dove organizzò la spedizione di un piccolo gruppo di militanti, con lo scopo di condurre la
resistenza armata contro la dittatura. Casto sbarcò sull'isola alla fine del 56 e accese focolai di
guerriglia. Nel gennaio del 59 rovesciò il regime di Batista, e insieme a Ernesto Guevera, fondò una
repubblica socialista.
Gli Stati Uniti reagirono con durezza, avendo forti interessi economici, e nel 1961 Kennedy appoggiò un
tentativo fallito di invasione dell'isola, lo sbarco alla baia dei Porci, da parte di alcuni cubani
anticastristi, che furono però respinti. Castro dichiarò Cuba stato marxista-leninista e si spostò
rapidamente nell' orbita Sovietica.
Nel 1962 l'Unione Sovietica controllava politicamente il regime castrista e ne era principale sostenitore.
Delle fotografie aeree scattate da ricognitori americani rivelarono allora che i sovietici avevano
installato a Cuba dei missili in grado di colpire le città statunitensi. Il mondo si trovò vicino a una nuova
guerra mondiale. Kennedy fece circondare Cuba dalla marina e ne impose il blocco totale, ma Kruscev
preferì evitare lo scontro e ritirare quindi i missili in cambio dell'impegno americano a rinunciare
all'invasione dell'isola e smobilitare alcune basi missilistiche in territorio turco.

GUERRA IN VIETNAM
La guerra in Vietnam si divide in due fasi: la prima va dal 1945 al 1954.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale mentre i comunisti, guidati da Ho Chi Min, creavano a
nord la Repubblica Democratica del Vietnam, al sud tornarono i francesi, alleati degli americani. I
nazionalisti, appoggiati dai francesi e dagli americani, e i comunisti, spalleggiati dai cinesi, non
poterono convivere e nel 1954 l'esercito comunista inflisse ai francesi una sanguinosa sconfitta a Dien
Bien Phu. I francesi si ritirarono dall'indocina in seguito al trattato di Ginevra, e il Vietnam fu suddiviso
in due: a sud del diciassettesimo parallelo c'erano i nazionalisti, protetti dagli americani; a nord i
comunisti.
La seconda fase va dal 1960 al 1975.
Dopo la divisione del Vietnam il nord prese la strada oppressiva e radicale del Comunismo asiatico. Il
sud quella di un regime militare dispotico e corrotto, totalmente dipendente dagli Stati Uniti.
Nel 1960 tutti i gruppi d'opposizione al regime militare sudvietnamita si riunirono in un fronte di
Liberazione Nazionale, il Vietcong, il quale diede inizio alla resistenza con l'appoggio dei contadini e del
Vietnam del Nord. Questo, sotto la guida di Ho Chi Min, operava quindi al sud per sollevare il popolo
contro il governo.
L'esercito del Sud privo di sostegno popolare si trova in difficoltà e deve farsi appoggiare dai Marines
americani. L'America decise di impegnarsi a fondo per combattere il comunismo vietnamita, per evitare
che Comunismo si affermasse in tutti i paesi del Sud est asiatico.
La seconda fase della guerra in Vietnam iniziò quando Kennedy era presidente. Nel 63, quando il
presidente era Johnson in Vietnam gli americani avevano un corpo che contava più di mezzo milione di
uomini, e aveva iniziato a bombardare le città del nord. Ma i Vietcong e i nordvietnamiti ricevevano
aiuti dalla Cina e dall'urss. inoltre grazie alla loro tattica della guerriglia riuscirono a prevalere. I
Vietcong infatti non ingaggiavano battaglia in campo aperto ma sfruttavano le caratteristiche del
territorio e l'appoggio di contadini per agire come un nemico invisibile, inafferrabile.
Fu una guerra che determinò molta tensione, anche perché tutto il mondo, compresi molti americani,
condannavano l'intervento in Vietnam. Questo perché il Vietnam del Nord non aveva invaso il sud
come era successo in Corea, ma era stato il sud a cominciare la guerra solo perché il nord appoggiava la
lotta partigiana.
L'anno più difficile fu il 68, con l'offensiva del Tet, un attacco a sorpresa sferrato dall'esercito
nordvietnamita. Gli attacchi delle forze comuniste colpirono tutte le maggiori città del Vietnam del Sud,
e ottennero molti successi, cogliendo impreparate le forze americane. Dopo violenti scontri gli
americani tuttavia ripresero il controllo della situazione, riconquistando le posizioni perdute.
L'offensiva del Tet fu fallimentare dal punto di vista militare, ma costituì una vittoria morale e provocò
una grande crisi politica e psicologica negli Stati Uniti.
La guerra si concluse nel 1975 con la caduta di Saigon (capitale del sud), il crollo del governo del
Vietnam del sud e la riunificazione politica di tutto il territorio vietnamita sotto il comunismo.

LA PRIMAVERA DI PRAGA
La Primavera di Praga (1968) è stato il tentativo di liberalizzare la vita politica, economica e culturale
della Cecoslovacchia e dare un “volto umano” al regime socialista, sostenuto dal segretario del Partito
comunista cecoslovacco Alexander Dubcek. Questo tentativo fu represso duramente dall’intervento
armato dell’Unione sovietica nella primavera del 1968.
Il programma di Dubcek, prendendo spunto dalla destalinizzazione, era basato su riforme economiche
e democratiche e su una più ampia libertà di stampa e libertà di pensiero e di parola.
Ciò preoccupò l’Urss circa gli effetti di contagio che quel processo avrebbe potuto avere sugli altri stati
del blocco continentale. Così, il 21 agosto 1968, reparti corazzati dell’Urss e di altri paesi del Patto di
Varsavia occuparono Praga e il resto del paese. Dubcek fu deposto.
Non vi fu una reazione armata, ma solo una resistenza passiva contro gli occupanti. Eppure 100
dimostranti vennero uccisi, mentre i dirigenti cecoslovacchi protagonisti della Primavera di Praga
furono progressivamente emarginati o costretti a emigrare e sostituiti con uomini più graditi a Mosca.
Famoso il caso di Jan Palach, giovane patriota cecoslovacco che si diede fuoco nella piazza di S.
Venceslao per protesta contro il regime sovietico, diventando simbolo della resistenza.
La vicenda passò alla storia come Primavera di Praga perché durò per il breve spazio di quella stagione.
Come in gran parte degli stati dell’Europa dell’Est, il regime socialista crollò nel 1989.
CADUTA DEL MURO DI BERLINO E UNIFICAZIONE
La prima tappa della riunificazione andò in scena nell'agosto 1989, quando l'Ungheria eliminò le
restrizioni alla frontiera con l'Austria, creando così la prima "breccia" nella cortina di ferro. Dalla metà
di settembre dello stesso anno, migliaia di tedeschi orientali tentarono quindi di raggiungere l'Ovest
attraverso l'Ungheria, ma vennero respinti. Di lì in poi fu un crescendo di dimostrazioni e proteste che
costrinse il governo della Germania Est, nella persona di Egon Krenz, ad allentare i controlli di
frontiera.
Tali disposizioni sarebbero dovute entrare in vigore a partire dal 10 novembre 1989, ma ci fu un
clamoroso malinteso: alla conferenza stampa internazionale del 9 novembre 1989, il portavoce del
governo di Berlino Est, Gunter Schabowski, evidentemente malinformato, annunciò in diretta che a
tutti i berlinesi sarebbe stato permesso di attraversare il confine "immediatamente".
Fu allora che la popolazione si riversò contro il muro. Fu una massa impossibile da arginare. Le
frontiere furono così aperte e la città si ritrovò finalmente unita. Nell'arco delle settimane successive,
migliaia di berlinesi demolirono quel muro che li aveva tenuti in ostaggio per quasi trent'anni,
abbattendo di fatto l'ultimo simbolo della Guerra Fredda e anticipando di un anno la riunificazione
della Germania (suggellata il 3 ottobre 1990).

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