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EPHEMERIDES IURIS CANONICI 52 (2012) 303-315

Sulla «Teologia del diritto canonico».


In dialogo con Matteo Visioli
Arturo Cattaneo

Sommario
1. L’importanza della nuova disciplina. – 2. Sui contenuti. - 2.1. Il rapporto Chie-
sa-Diritto. - 2.2. La natura del diritto canonico. - 2.3. Somiglianza e diversità
fra diritto secolare e diritto canonico. – 3. Sullo statuto epistemologico della ca-
nonistica. – 4. L’ambiguità dell’espressione «Teologia del diritto canonico».

Nel numero precedente di questa Rivista è apparso un pregevole ar-


ticolo di Matteo Visioli intitolato L’insegnamento della «teologia del di-
ritto»1 negli studi di diritto canonico2. Pur condividendone le tesi di fon-
do, mi sembra opportuno proporre alcune precisazioni e qualche ap-
profondimento.

1. L’importanza della nuova disciplina3

Giustamente l’Autore fa notare che le Facoltà ecclesiastiche di Di-


ritto canonico, oltre a prevedere lo studio dettagliato del quadro nor-
mativo, devono contemplare anche il contesto epistemologico nel
quale esso va collocato.

1 L’autore parla quasi sempre di «teologia del diritto». Anche se dal contesto è chiaro che si

intende «teologia del diritto canonico» penso che convenga essere precisi. L’espressione «teo-
logia del diritto» potrebbe infatti intendersi nel senso di una riflessione teologica sul fenome-
no giuridico in generale, in modo analogo all’insegnamento della «filosofia del diritto».
2 Ephemerides Iuris Canonici 52 (2012) n. 1, 211-234.
3 Il 2 settembre 2002 la Congregazione per l’Educazione cattolica ha pubblicato il decreto

«Novo Codice» con cui viene rinnovato l’ordine degli studi nelle Facoltà di diritto canonico.
Fra le nuove discipline obbligatorie introdotte nel secondo ciclo si trova la «Teologia del di-
ritto canonico» e la «Prassi canonica amministrativa e giudiziale».

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Arturo Cattaneo

La canonistica dunque non è solo lo studio del codice o più in generale


della normativa canonica, ma una vera e propria indagine speculativa sul
fenomeno giuridico ecclesiale nella sua complessità. Conseguentemente il
canonista non può non essere coinvolto fin dall’inizio, ma ancor più nel
livello della specializzazione (soprattutto nel secondo ciclo di studi) in ta-
le complessità (p. 212)4.

A questo di potrebbe aggiungere, quale ulteriore motivo che rende


importante lo studio della nuova disciplina, il fatto che un buon nu-
mero degli studenti provengono da un previo studio di giurisprudenza
svolto in una Facoltà civile, nella quale spesso predomina una indagi-
ne alquanto specialistica e settoriale, che non aiuta alla comprensione
degli aspetti generali e fondanti; una lacuna che sarebbe ancora più
grave negli studi di diritto canonico. Formare canonisti esperti in di-
ritto matrimoniale, diritto amministrativo o diritto processuale (senza
nulla togliere all’importanza dello studio di queste come delle altre
materie), perdendo però di vista il loro fondamento e il quadro gene-
rale nel quale tali specializzazioni si collocano, può indurre a pericolo-
si squilibri. Il canonista, anche se poi si dedicherà ad un settore deter-
minato del diritto canonico, dovrà conoscere le questioni fondamen-
tali della sua disciplina, poiché il diritto positivo non può costituire
l’unico suo punto di riferimento, se vuole essere fedele allo spirito pro-
prio del diritto ecclesiale.
Lo ha ribadito Benedetto XVI nel suo Discorso alla Rota Romana
(21 gennaio 2012), focalizzando lo stretto rapporto tra la fede e la leg-
ge canonica. Infatti, egli ha fatto notare che «il diritto canonico trova
nelle verità di fede il suo fondamento e il suo stesso senso, e la lex agen-
di non può che rispecchiare la lex credendi». Il Papa ha inoltre reso at-
tenti di fronte al pericolo di «identificare il diritto canonico con il si-
stema delle leggi canoniche». La conoscenza di ciò che è giuridico nel-
la Chiesa consisterebbe allora unicamente nel comprendere ciò che
stabiliscono i testi legali.

4 Più avanti l’Autore osserva che «l’intento evidente della riforma degli studi è orientato a una

presa di coscienza circa la natura stessa del diritto canonico» (p. 227).

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A prima vista – continua il Papa – questo approccio sembrerebbe valoriz-


zare pienamente la legge umana. Ma risulta evidente l’impoverimento che
questa concezione comporterebbe: con l’oblio pratico del diritto naturale
e del diritto divino positivo, come pure del rapporto vitale di ogni diritto
con la comunione e la missione della Chiesa, il lavoro dell’interprete vie-
ne privato del contatto vitale con la realtà ecclesiale.

La «Teologia del diritto canonico» dovrebbe quindi avere come


obiettivo principale quello di contribuire alla formazione di canoni-
sti che sappiano comprendere il diritto canonico nella sua realtà
specificamente ecclesiale. Si eviterà così il pericolo del legalismo e
del positivismo, pure denunciato dal Sommo Pontefice nel menzio-
nato Discorso. Nella Chiesa – osserva il papa – ogni legge va infat-
ti interpretata «alla luce della realtà regolata, la quale contiene sem-
pre un nucleo di diritto naturale e divino positivo, con il quale de-
ve essere in armonia ogni norma per essere razionale e veramente
giuridica».

2. Sui contenuti

L’Autore osserva che i programmi degli studi della nuova disciplina


contemplano frequentemente due fasi: una storica e una sistematica.
Vale forse qui la pena di osservare che nella parte storica non si tratta
certamente di studiare la storia delle fonti del diritto canonico o delle
sue istituzioni – studio riservato ad altri Corsi – ma la storia della ca-
nonistica. Una certa conoscenza del suo sviluppo storico è necessaria
per comprendere in modo adeguato le questioni epistemologiche e me-
todologiche che hanno occupato e occupano i canonisti negli ultimi
decenni.
Nel capitolo dedicato alle «problematiche» l’Autore si occupa an-
zitutto degli studenti (n. 4.1). Oltre alle difficoltà che derivano dalle
diverse culture da cui essi provengono, egli dedica una particolare at-
tenzione «agli studenti laici che provengono da uno studio secolare del
diritto» (p. 232). Oltre a quanto abbiamo detto in apertura, egli ricor-
da giustamente la necessità di introdurli in una «prospettiva teologica
che non sempre è connaturale al giurista che si è formato in ambito ci-

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vilistico» (p. 232). Aggiungerei qui un’altra problematica: quella degli


alunni provenienti da studi teologici ma «digiuni» di studi giuridici.
Penso che, quale questione propedeutica, il Corso di «Teologia del di-
ritto canonico» potrebbe iniziare con lo studio di che cos’è il Diritto e
dei suoi fondamenti.
Fra i diversi temi che, secondo l’a., costituiscono poi la parte siste-
matica della disciplina, mi sembra che andrebbero aggiunti i tre se-
guenti.

2.1 Il rapporto Chiesa-Diritto


Si tratta di mostrare che la dimensione giuridica è intrinseca alla
Chiesa fondata da Cristo. Si potrà così spiegare perché il diritto cano-
nico costituisce una realtà autenticamente ecclesiale e non un’aggiun-
ta estrinseca alla Chiesa, una sovrastruttura che potrebbe addirittura
essere in contrasto con la natura della Chiesa. A tal proposito convie-
ne ricordare le diverse correnti radicalmente antigiuridiche, sia quelle
originate da una visione spiritualistica della Chiesa, che quelle origi-
nate da una visione positivista e statalista del diritto. La risposta agli
errori contenuti in tali correnti permetterà di fondare adeguatamente
il diritto ecclesiale.
L’importanza di queste riflessioni deriva dal fatto che gli errori del-
le menzionate tendenze sono oggi ancora abbastanza diffusi, anche in
ambiti ecclesiali. Per fondare teologicamente il diritto nella Chiesa i
canonisti hanno fatto ricorso soprattutto alla natura sacramentale del-
la Chiesa, alla dimensione giuridica di Parola e Sacramento, alla na-
tura comunionale della Chiesa quale via privilegiata per cogliere oltre
che il fondamento anche l’essenza del diritto canonico, alla visione
realista del diritto che permette di percepire la dimensione di giustizia
insita nei beni salvifici e le sue ripercussioni nei rapporti interperso-
nali.
Potrebbe essere anche interessante approfondire la rilevanza giuri-
dica delle principali nozioni della Chiesa, dando speciale rilievo a
quella di «Popolo di Dio», mostrandone i suoi vantaggi e limiti rispet-
to a quelle di «Corpo di Cristo» e di «Tempio dello Spirito Santo».

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2.2 La natura del diritto canonico


Una prima e decisiva caratteristica del diritto canonico è l’intima
connessione esistente in esso fra il diritto divino5 e quello umano. Il
fatto che la Chiesa sia costituita, in modo unitario, da un elemento di-
vino e da un elemento umano (cf. LG n. 8) si riflette logicamente an-
che sul suo diritto.
Altre importanti caratteristiche del diritto canonico che andrebbe-
ro esaminate sono le necessarie distinzioni (ma non contrapposizioni!)
fra diritto e carità, diritto e morale, diritto e pastorale. Soprattutto
quest’ultima relazione richiede un approfondimento.
Il clima antigiuridico, che dopo il Vaticano II si è esteso in diversi
ambiti della Chiesa, ha infatti contribuito a diffondere l’idea che il di-
ritto non giova alla pastorale e che in quest’ultima sia meglio prescin-
dere il più possibile da considerazioni giuridiche. Molti pensano che le
norme giuridiche siano piuttosto d’intralcio all’azione pastorale, e che
sottolinearne l’importanza porti ad un legalismo, a inibire lo spirito di
iniziativa e la fantasia creatrice così importanti, invece, nella pastora-
le. Non sorprende perciò se le leggi, i processi, le sanzioni, ecc. non
vengano considerati di per sé come realtà pastorali. Non sempre que-
ste posizioni assumono gli estremi della contrapposizione; tuttavia, an-
che in posizioni abbastanza equilibrate e aperte ad accogliere il diritto
canonico con senso ecclesiale, emerge spesso una certa insofferenza
nei confronti del diritto canonico, come se esso fosse piuttosto un in-
tralcio alla pastorale.
Il compito del canonista sarà dunque quello di promuovere – nella
teoria e nella prassi – una consapevolezza dell’indole soprannaturale
del diritto canonico, che affonda le sue radici nel mistero della Chie-
sa. Il canonista approfondirà così, ad esempio, il senso della comunio-
ne, il principio dell’uguaglianza e della libertà di tutti i fedeli, il valo-
re dei carismi nella vita ecclesiale, la promozione dell’unità nella di-
versità ecc. Accanto a ciò egli cercherà di integrare l’esperienza mille-
naria della Chiesa in campo giuridico, così come le istanze più recen-

5 Soprattutto il diritto divino positivo, quello cioè che riguarda gli aspetti fondanti di natura,

struttura, vita e missione della Chiesa.

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ti in tutto ciò che esse offrono di positivo, come il desiderio di auten-


ticità, di creatività e di un rinnovato slancio missionario verso tutti gli
uomini, l’attenzione sollecita ai bisogni pastorali delle singole persone
e delle comunità ecc. Non è difficile rendersi conto che, di per sé, que-
ste istanze non sono per niente destinate ad entrare in conflitto con la
realtà del diritto canonico. In effetti – com’è stato fatto notare – nel-
la struttura giuridica della Chiesa interagiscono la radice teologica e la
valenza pastorale, costituendo «due diverse dimensioni dell’unica e
complessa realtà, che è la “communio” ecclesiale».6

2.3 Somiglianza e diversità fra diritto secolare e diritto canonico


Dopo aver esposto la natura specifica del diritto canonico si potrà
chiarire anche la sua diversità rispetto al diritto secolare. Una diversi-
tà dalla quale derivano importanti conseguenze, come l’attenzione ri-
chiesta per evitare di introdurre nel diritto canonico concetti e istitu-
zioni del diritto secolare che non sono conformi alla realtà ecclesiale.
Così, ad esempio, i principi della democrazia rappresentativa, l’appar-
tenenza alla Chiesa quale mera adesione ad un’associazione senza te-
ner conto della condizione ontologica di battezzato, la separazione di
poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) ecc.
Fra la Chiesa e ogni società o istituzione umana c’è una differenza
essenziale, radicale. Infatti, anche se la Chiesa comprende un aspetto
umano, essa ha un’origine, dei mezzi, una natura e un fine sopranna-
turale. Tutto ciò va tenuto sempre presente in ogni studio che venga
svolto sulla Chiesa e quindi anche in quello del suo diritto. La sociali-
tà ecclesiale e i suoi rapporti di giustizia non sono semplicemente de-
ducibili da una realtà naturale previa. Il suo diritto è quindi essenzial-
mente distinto da qualsiasi realtà giuridica situata sul piano naturale.
Sorge qui il problema su come si applica il concetto di diritto alla real-
tà ecclesiale e a quella civile: in modo univoco, equivoco o analogico.
Le affermazioni sulla specificità del diritto canonico portano a vol-
te ad affermare che diritto canonico e secolare costituiscono realtà es-
senzialmente diverse, non solo per il contenuto dei rispettivi rapporti

6 L. GEROSA, Diritto ecclesiale e pastorale, Torino 1991, 6.

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giuridici (che sono indiscutibilmente diversi), ma per la formalità stes-


sa del diritto. Secondo alcuni autori, il concetto di diritto applicato al
diritto secolare e a quello canonico sarebbe quindi equivoco.
Altri autori affermano invece che il termine di diritto si applica ai
due ambiti in senso univoco. Sostenere che il concetto di diritto sia
applicato alla Chiesa in senso univoco, non implica evidentemente di-
menticare le differenze reali fra i due diritti, ma queste ultime non in-
taccherebbero il concetto di giuridicità.
Altri autori affermano invece un’applicazione analogica: il concet-
to di giuridicità, applicato ad entrambi questi diritti, sarebbe analogi-
co, non univoco7. Ciò non implica soltanto tener conto delle peculia-
rità del diritto nella Chiesa, ma sostenere che il concetto di diritto è
un «tutto potestativo» che, concretizzandosi nei due ambiti, dà luogo
a due realtà giuridiche in parte uguali ma con differenze essenziali, sta-
bilendo perciò un rapporto di analogia e, più precisamente, di «pro-
porzionalità propria». Ciò non significa che il diritto ecclesiale non sia
da ritenere vero diritto.
Personalmente mi sembra essere questa la posizione corretta. La di-
versità essenziale nell’applicazione del concetto di diritto è percepibi-
le considerando la profonda diversità del titolo che rende una cosa giu-
sta: nel caso della Chiesa il titolo è fondamentalmente di indole so-
prannaturale (la dignità dei figli di Dio in Cristo). Da ciò consegue che
nella Chiesa si parla di «giusto» in un senso che è, almeno in parte, es-
senzialmente diverso da quello che ha nell’ambito civile, il che non si-
gnifica – si badi bene – svilire o diluire la giuridicità ecclesiale8.

3. Sullo statuto epistemologico della canonistica

Matteo Visioli, nell’indicare i temi che dovrebbero essere affronta-


ti nella parte sistematica, inizia menzionando quello del metodo della

7 Altri simili concetti analogici sono ad esempio quello di persona, società, potestà, comunio-

ne, ecc.
8 Sul tema cf. quanto ho scritto in Questioni fondamentali della canonistica nel pensiero di Klaus

Mörsdorf, Pamplona 1986, 434-441. Nello stesso senso cf. M. GAULICH, Unterwegs zu einer
Theologie des Kirchenrechts, Paderborn-München-wien-zürich 2006, 355-357.

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canonistica. A mio avviso questo tema dovrebbe essere fra gli ultimi e
comunque dovrebbe essere preceduto dalla questione epistemologica,
della quale è una conseguenza.
Nella parte storica, esponendo le diverse tendenze della canonisti-
ca sviluppatesi soprattutto durante il periodo di riforma del CIC, ma
che ancora oggi determinano i diversi indirizzi, si dovrà necessaria-
mente accennare alla questione epistemologica della canonistica. Essa
costituisce infatti la principale differenza fra la «tendenza teologica» e
quella «giuridica». La questione dovrebbe tuttavia essere ripresa nella
parte sistematica.
In sintesi si tratta di capire se è più adeguato considerare il diritto
canonico quale realtà essenzialmente ecclesiale e specificata giuridica-
mente, oppure quale realtà essenzialmente giuridica e specificata eccle-
sialmente. Nel primo caso il suo studio verrà considerato come scien-
za teologica9, nel secondo come scienza giuridica. Ciò ha, ovviamente,
importanti ripercussioni metodologiche.
Mi trovo in sintonia con l’a. nel considerare che la posizione più
adeguata sia la prima. Non mi sembra tuttavia del tutto soddisfacente
il modo con cui egli imposta la questione.
Fra i diversi approcci epistemologici al diritto canonico, l’Autore
presenta tre tendenze: «Vi è chi affronta la disciplina ritenendola pre-
cipuamente giuridica, così che il ruolo della teologia consiste solo nel
creare il contesto sul quale tale scienza contribuisce a portare i propri
risultati» (p. 230). In secondo luogo Visioli si riferisce a Corecco che
parla di disciplina teologica con metodo teologico, «limitandone così
la portata giuridica e il dialogo con il diritto secolare» (p. 230)10 e, fi-
nalmente, agli approcci «misti», nei quali si parla di «disciplina teolo-
gica con metodo giuridico» (p. 230), con evidente riferimento alla po-
sizione di Mörsdorf.
In realtà quest’ultima tendenza non può essere considerata «mista»
come se la canonistica fosse una disciplina tanto teologica quanto giu-

9 Con la rispettiva centralità della fede – fides qua et fides quae – che implica la guida del Ma-

gistero.
10 Ho cercato di chiarire e giustificare la concezione di Corecco nell’articolo La necessità del

metodo teologico per la canonistica nel pensiero di Eugenio Corecco, in Metodo, fonti e soggetti del
diritto canonico, ed. j. I. Arrieta – G. P. Milano, Roma 1999, 78-94.

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Sulla «Teologia del diritto canonico». In dialogo con Matteo Visioli

ridica. Per il fondatore della Scuola di Monaco la canonistica è infat-


ti anzitutto disciplina teologica. Il metodo giuridico sta unicamente ad
indicarne la specificità nell’ambito delle discipline teologiche11.
Nel diritto canonico l’aspetto teologico e quello giuridico non si de-
vono considerare come contrapposti, nel senso di un «aut...aut», ma
nemmeno giustapposti, uno accanto all’altro. Essi vanno invece inte-
grati nella costituzione di quell’unità epistemologica propria di questa
scienza. Il lavoro del canonista va visto, di conseguenza, come fonda-
mentalmente o intrinsecamente teologico e, nell’ampio spettro delle
discipline teologiche, esso viene specificato in virtù del suo peculiare
punto di vista (la prospettiva giuridica), che contribuisce a sua volta a
determinarne il metodo.
Ciò implica riconoscere che nella scienza teologica (conoscenza di
Dio e del suo disegno salvifico alla luce della fede) si devono distin-
guere diverse prospettive, che danno luogo alle varie discipline teolo-
giche (dogmatica, morale, spirituale, pastorale, liturgica, ...e canonisti-
ca). Il metodo teologico (o logica della fede), comune a tutte queste
discipline, trova in ciascuna di esse una determinata specificazione in
consonanza con le caratteristiche del rispettivo punto di vista. In que-
sto senso si può definire la canonistica come disciplina teologica con
metodo giuridico, anche se la formula è forse troppo sintetica, pre-
standosi ad equivoci.
Bisogna qui inoltre osservare che quando si parla di «metodo giuri-
dico» non ci si riferisce al metodo sviluppato dalla scienza giuridica se-
colare, ma semplicemente alla concettualizzazione propria che è co-
mune ad ogni fenomeno cosiddetto giuridico. Senza negare che la
scienza giuridica secolare possa offrire alla canonistica dei validi ausi-
li, occorre però tener presente che il metodo giuridico-canonico dovrà
necessariamente essere co-determinato dalla realtà ecclesiale a cui fa

11 Ho evidenziato questo aspetto in diversi articoli: «Teologia e diritto nella definizione epi-

stemologica della canonistica», Ius Ecclesiae 6 (1994) 649-671; «Teologicidad y juridicidad de


la canonística. klaus Mörsdorf y su concepción de la canonística como disciplina teológica
con método jurídico», Revista Española de Derecho Canónico 51 (1994) 35-49; «El debate cien-
tífico en torno a la síntesis teológico-jurídica de la canonística propuesta por Mörsdorf y su
escuela», Revista Española de Derecho Canónico 52 (1995) 81-98; «klaus Mörsdorfs Beitrag zur
Revision des CIC», Archiv für katholisches Kirchenrecht 178 (2009) 17-51.

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riferimento. Ciò non impedisce tuttavia che, secondo il livello in cui


ci si muove nello studio del diritto canonico (fondamentale, tecnico o
prudenziale) e secondo l’ambito materiale di cui ci si occupa (soprat-
tutto secondo la vicinanza al diritto divino positivo) l’incidenza della
dimensione teologica o di quella giuridica si manifesti con accentua-
zioni ben diverse.
Per «disciplina teologica» va dunque intesa ogni riflessione scientifi-
ca intorno a qualsiasi aspetto della realtà viva e salvifica della Chiesa,
svolta con principi e criteri di fede (fides quae et fides qua creditur). Se-
condo l’aspetto studiato di quella realtà divino-umana che è la Chiesa,
ognuna delle discipline teologiche svilupperà, a sua volta, principi, cri-
teri e metodi propri, ma sempre sulla base e con la luce della fede.
Nel dibattito sul rinnovamento della canonistica si sono sollevate
delle critiche contro il tenore poco «giuridico» di certi studi di diritto
canonico. Queste critiche sembrano pertinenti nella misura in cui de-
nunciano la tendenza a travisare il linguaggio giuridico, utilizzando
una terminologia vaga e polivalente, o il malinteso di pensare che la
teologicità del diritto canonico significhi corredare i testi legali con
abbondanza di definizioni e di esortazioni12.
In tale prospettiva risulta opportuno l’impegno con cui alcuni cano-
nisti sottolineano il carattere ed il metodo propriamente giuridico di
questa scienza. Possiamo tuttavia affermare che la concezione della ca-
nonistica quale scienza intrinsecamente e fondamentalmente teologica
non implica affatto una dissoluzione o svalutazione della specificità giu-
ridica, o della forza vincolante del diritto ecclesiale. Al contrario, pro-
prio così queste due caratteristiche risultano adeguatamente fondate e il-
luminate. Solo una canonistica che sappia integrare nel giusto modo la
sua dimensione teologica con quella giuridica sarà in grado di compren-
dere e di esporre il diritto canonico nella sua natura intrinsecamente ec-
clesiale e nella sua formalità propriamente giuridica.

12 Il fatto che nel nuovo Codice ci sia una maggior abbondanza di definizioni e di esortazioni

si spiega in virtù della dimensione pastorale e pedagogica che il legislatore volle fosse anche
presente. Non può invece venir considerata come manifestazione della dimensione teologica
del diritto canonico nel senso che abbiamo indicato. Sulla questione cf. w. AyMANS, «Codex
Iuris Canonici. Erwägungen zu Geist und Gestalt des neuen Gesetzbuches der lateinischen
kirche», in Ministerium iustitiae, ed. A. Gabriels – H. Reinhardt, Essen 1985, 38.

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Sulla «Teologia del diritto canonico». In dialogo con Matteo Visioli

4. L’ambiguità dell’espressione «Teologia del diritto canonico»

Matteo Visioli dedica l’ultimo capoverso del suo contributo al no-


me della nuova disciplina. Nella maggior parte delle Facoltà di diritto
canonico13 essa è chiamata esattamente come fa il Decreto «Novo Co-
dice». Nelle Facoltà Santa Croce (Roma) e San Pio X (Venezia) essa
viene invece chiamata rispettivamente «Teoria fondamentale del di-
ritto canonico» e «Fondamenti del diritto canonico».
Secondo l’Autore, la denominazione

Teologia del diritto canonico ha il pregio di indicare un diretto riferi-


mento al dato rivelato, una scelta di campo che pone nell’orizzonte della
rivelazione cristiana il contenuto a cui attingere il senso del diritto eccle-
siale. Riteniamo questa la ragione principale per la quale la riforma del
2002 ha voluto denominare così la disciplina introdotta formalmente, an-
che alla luce di quanto dichiarato nel decreto che la promulga, in cui si
richiede che “l’uno e l’altro Codice siano esposti alla luce dell’ecclesiolo-
gia del Vaticano II” e si parla di una “nuova prospettiva teologica, intesa
nell’esposizione del diritto canonico”14 (p. 233).

Al riguardo mi sembra doveroso osservare che «il diretto riferimen-


to al dato rivelato», «l’orizzonte della rivelazione cristiana», «la luce
dell’ecclesiologia del Vaticano II» sono requisiti non solo per la nuo-
va disciplina, ma per tutto lo studio canonistico. Il decreto del 2002
parla infatti di «una nuova prospettiva teologica nell’esposizione del
diritto canonico». Il fatto di denominare ora questa nuova disciplina
«Teologia del diritto canonico» non contribuisce a specificarne il con-
tenuto15, a meno di sottintendere che il resto dello studio del diritto
canonico non sia disciplina teologica. Ma proprio questo è ciò che il
decreto non sembra intendere e sicuramente nemmeno Visioli.

13 PUL, PUG, PUU, Angelicum, UPS, Istituto di diritto canonico di Budapest, PIO.
14 Decreto, Introduzione.
15 Anche Visioli riconosce che in questa denominazione c’è «il rischio di perdere di vista la

specificità di metodo di indagine proprio di questa disciplina e di farne una semplice branca
della teologia» (p. 233).

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Se si riconosce che la canonistica è una disciplina propriamente


(forse meglio dire intrinsecamente) teologica, non sembra quindi ap-
propriato parlare di «Teologia del diritto canonico», come non si par-
la di «Teologia della storia della Chiesa»16, poiché essa va considerata
in se stessa disciplina teologica.
Evidentemente si può svolgere una riflessione teologica di ogni
realtà umana. Esiste infatti ad esempio una «Teologia politica» o una
«Teologia delle realtà temporali». Ma se il diritto canonico è una real-
tà in se stessa teologica (nel senso che il suo studio adeguato deve es-
sere fatto alla luce della Rivelazione e con la guida del Magistero) che
senso ha parlare di «Teologia del diritto canonico»? L’ambiguità e il ri-
schio insito in questa espressione è perciò quello di dare a intendere
che in questa disciplina si svolge una riflessione «teologica», mentre
nelle altre discipline degli studi canonistici si svolgerebbe una rifles-
sione semplicemente giuridica.
In realtà l’espressione «teologia del diritto canonico» è stata usata
e diffusa soprattutto da E. Corecco17. Con essa egli voleva indicare
che, essendo il diritto canonico una realtà dell’ordine della fede, il mo-
do adeguato per comprenderlo e studiarlo è quello teologico18. Così, ad
esempio, anche rispetto alla pastorale, alla spiritualità o alla liturgia si
dice: «teologia pastorale», «teologia spirituale», «teologia liturgica».
Non intendeva invece delimitare una disciplina nell’insieme degli stu-
di canonistici.
Una denominazione adeguata per la nuova disciplina potrebbe es-
sere quella di «Fondamenti del diritto canonico», oppure «Fondamen-

16 Ricordo che «Optatam totius», n. 16 esorta a tener presente il mistero della Chiesa nello
studio sia del «Diritto canonico» che della «Storia della Chiesa».
17 Con A. M. ROUCO VARELA, Sacramento e Diritto antinomia nella Chiesa? Riflessioni per una

teologia del Diritto canonico, Milano 1971; ID., «Teologia del Diritto Canonico», in Nuovo Di-
zionario di Teologia, ed. G. Barbaglio – S. Dianich, Roma 1977, 1979 (2); 1982 (3); 1985 (4),
1711-1753; ID., Theologie des Kirchenrechts. Methodologische Ansätze, Canonistica. Beiträge
zum kirchenrecht 4, Trier 1979; «Theologie des kircheurechts», in Grundriss des nachkonzi-
liaren Kirchenrechts, ed. j. Listl – H. Muller – H. Schmitz, Regensburg 1980, 11-21; ID., «Theo-
logie des kirchenrechts», in Handbuch des katholischen Kirchenrechts, ed. j. Listl – H. Muller –
H. Schmitz, Regensburg 1983, 12-24.
18 Cf. L. MüLLER, «Ordo Ecclesiae. Fondazione teologica e teologia del diritto canonico se-

condo Eugenio Corecco», in Antropologia, fede e diritto ecclesiale, ed. L. Gerosa, Milano
1995, 99.

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Sulla «Teologia del diritto canonico». In dialogo con Matteo Visioli

ti ecclesiologici del diritto canonico» o anche «Questioni fondamen-


tali della canonistica».
Nell’espressione «Fondamenti» o «Teoria fondamentale del diritto
canonico» Visioli riconosce il pregio di esprimere la «volontà di inda-
gare il contesto fondativo del diritto ecclesiale, esplicitando ciò che
costituisce il presupposto a ogni studio giuridico canonico». Tale fon-
damento, osserva l’Autore,

«non necessariamente è di carattere solo teologico. La dimensione della


giustizia infatti non è contenuta solo nella Rivelazione cristiana, ma deve
essere ricercata su un orizzonte ampio, in un intreccio di variabili delle
quali anche la Rivelazione fa parte».

Secondo Visioli, ciò potrebbe

«indurre il ricercatore a distogliere lo sguardo dallo specifico mandato af-


fidato a questo corso, e dunque a rinunciare a quella precipua fondazione
teologica che il diritto della Chiesa, ne siamo convinti, esprime in sé e in
ogni sua espressione positiva» (p. 233).

Se – accogliendo questa avvertenza – si volesse sottolineare che il


compito principale della nuova disciplina riguarda gli aspetti che han-
no un rapporto più immediato con la Rivelazione, essa si potrebbe
chiamare «Fondamenti ecclesiologici del diritto canonico»19.

19è infatti proprio così che ho intitolato il manuale (editato da Marcianum Press, Venezia
2011), nel quale, con la collaborazione di Costantino-M. Fabris, ho raccolto le lezioni del
Corso tenuto nella Facoltà di Venezia.

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