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RIASSUNTO GALLO “IL CONTRATTO”

CAPITOLO 1: CONTRATTO E MERCATO


-Specializzazione e mercato
Il contratto ha assunto un ruolo centrale nel sistema giuridico e nel sistema economico la centralità del
contratto e del mercato sono altresì eventi recenti, infatti è solo nell’epoca moderna che il contratto e il
mercato hanno assunto una crescente rilevanza: viceversa nel periodo medievale la situazione era diversa,
infatti gli scambi erano rarefatti e ogni nucleo familiare tendeva all’autosufficienza, producendosi da sé
quello che serviva per la sopravvivenza.
L’economia moderna, a differenza di quella medievale, si connota per una progressiva specializzazione del
lavoro nessuno produce più tutto quello di cui ha bisogno ma ci si specializza nella produzione di un bene
o di un servizio, confidando nella presenza del mercato per scambiarlo con altri prodotti di cui si ha
bisogno.
La progressiva specializzazione del lavoro è altresì causa della crescente centralità del mercato e del
contratto: non sarebbe infatti possibile specializzarsi nella produzione di un certo bene se poi non fosse
possibile trovare sul mercato tutti gli altri beni di cui si ha necessità per vivere in altre parole la
specializzazione non sarebbe possibile senza il mercato e come conseguenza ulteriore il contratto.
-Specializzazione e dipendenza
Il rovescio della medaglia della specializzazione è la DIPENDENZA, in quanto nessuno è in grado di produrre
tutto quello di cui ha bisogno da sé. In questa prospettiva risulta importante agevolare il più possibile gli
scambi, abbattendo ogni tipo di barriera che possa ostacolare o impedire il contratto, come ad esempio
barriere doganali, costi transattivi... Tuttavia la dipendenza a sua volta crea il rischio di abusi, cercando di
approfittare della situazione di dipendenza altrui, richiedendo ad esempio un corrispettivo troppo elevato:
per questo motivo è importante monitorare costantemente il mercato in virtù di un’idonea legislazione
antitrust. Altra conseguenza della specializzare è costituita dallo sviluppo delle città: le persone, nella
misura in cui sono specializzate nella produzione di un certo tipo di bene/servizio non possono fare a meno
degli altri: in queste condizioni diventa indispensabile abitare vicini, e questo fenomeno spiega il come mani
nascano nuclei urbani sempre più grandi e convulsi (infatti solo attraverso la vicinanza è possibile attuare lo
scambio reciproco).
-Contratto e giustizia contrattuale
Il contratto è un accordo finalizzato allo scambio e alla cooperazione si tratta di un fatto meramente
privato.
In queste condizioni l’ordinamento è chiamato ad effettuare un duplice ordine di scelte:
decidere se considerarlo vincolante o meno
se vincolante, se concedere o meno il risarcimento del danno o anche l’esecuzione in

In generale l’ordinamento interviene con i suoi strumenti di tutela solo se l’accordo è giusto, ossia non sia
affetto da errore, dolo, violenza, squilibri non giustificati tra le prestazioni.
Il problema è capire qual è la soglia minima al di sotto della quale l’ordinamento non è disposto ad
intervenire a seconda dei periodi storici questa soglia può essere più o meno elevata e ad esempio si può:
effettuare un controllo sul contenuto
considerare sufficiente che il contratto sia stato accettato
controllare il modo, la correttezza, la trasparenza con cui è stato concluso la
dottrina più recente è orientata in questo senso.

CAPITOLO 2: LA FORMAZIONE DELLA CATEGORIA GENERALE DEL CONTRATTO


-Dallo status al contratto
Secondo una ricostruzione storica il contratto sarebbe tipico delle società moderne. Maine sosteneva che
mentre nelle società primitive la condizione delle persone era determinata soprattutto dal loro status, nelle
società moderne il contratto ha preso il posto dello status si tratta di una tesi che racchiude un nocciolo di
verità, anche se sarebbe fuorviante ritenere che le società antiche non conoscevano il con contratto. In
realtà diversi studi hanno dimostrato che il contratto è sempre stato centrale nella vita delle società
umane. Tuttavia il contratto non è l'unico mezzo che consente di attuare lo scambio: infatti un'alternativa è
costituita dal furto, come ad esempio il furto di bestiame o rapimenti di donne, ricorrendo quindi all'uso
della pura violenza.
Ad un certo punto la pura violenza ha iniziato a cedere il passo a forme più consensuali di scambio: in primo
luogo i contratti, i quali hanno gradualmente soppiantato le forme più arcaiche di appropriazione.
-Formalismo e consenso nella tradizione romanistica
La prima forma di contratto è stata costituita dal baratto in senso proprio, ossia dallo scambio di beni
giudicati di valore equivalente.
In seguito in tutte le società umane si è verificata una progressiva tendenza ad utilizzare determinati beni
come mezzo di scambio universale; in vari periodi della storia la scarsità nella moneta o altri motivi hanno
indotto le persone ad utilizzare come mezzo di scambio beni diversi dal denaro come ad esempio pacchetti
di sigarette, bottiglie di liquore... Gradualmente il baratto si è comunque evoluto nella compravendita
intesa in senso moderno ossia nello scambio di beni dietro un corrispettivo pecuniario.
Le società più antiche non conoscevano ancora la forma moderna del contratto puramente consensuale
vincolante: infatti i primi contratti erano piuttosto contratti formali oppure contratti reali. Il rispetto di
certe formalità, la pronuncia di parole solenni, poteva essere preso in considerazione dall'ordinamento
giuridico al fine del sorgere di impegni giuridicamente vincolanti la pronuncia di certe formule o il
compimento di certe formalità poteva modificare la realtà stessa, attribuire la proprietà dei beni, legare in
matrimonio 2 persone... gli stessi romanisti hanno evidenziato le commissioni magiche inserite nelle
formule romane più antiche.

Oltre ai contratti formali e ai contratti garantiti da pegno, un'altra forma contrattuale diffusa era costituita
dai contratti reali: questi ultimi si perfezionano solo come conseguenza dell'effettiva dazione di un bene o
in senso lato come conseguenza dell'effettiva esecuzione di una delle 2 prestazioni in queste condizioni il
mero accordo consensuale non è considerato vincolante dall'ordinamento se non nel momento in cui ha
luogo l'effettiva d'azione materiale del bene in questione; in altre parole il contratto si perfeziona solo nel
momento in cui il bene oggetto di scambio viene materialmente consegnato.
Una delle forme contrattuali più antica è quella dei contratti reali, la quale era già presente nel diritto
romano con i contratti di deposito, comodato, mutuo e pegno. In origine il campo di applicazione dei
contratti reali era più ampio e comprendeva anche il contratto di compravendita. Successivamente i
contratti formali e reali hanno iniziato a subire la concorrenza dei contratti puramente consensuali:
l'evoluzione è testimoniata dal diritto romano, ove erano considerati puramente consensuali i contratti più
tipici delle economie mercantili, come ad esempio il contratto di compravendita, di società, locazione e
mandato. In questa prospettiva il diritto romano può essere considerato come una tappa intermedia tra il
diritto delle società più antiche e quello contemporaneo occorre tuttavia dire che è il diritto romano non
conosceva la figura generale del contratto consensuale e moderno, ma conosceva una pluralità di figure
contrattuali tipiche.
In questo quadro di contratti puramente consensuali costituivano ancora una minoranza: infatti sarà solo
con l'evoluzione che caratterizza la storia del diritto che permetterà ai contratti consensuali di prendere il
sopravvento rispetto alle forme più arcaiche di contratto.
-Dal diritto romano ai giorni nostri
In materia contrattuale uno dei principali sforzi intrapreso dei giuristi dell'età intermedia è consistito nel
superare il sistema romano di rigorosa tipicità contrattuale. In particolare un caposaldo del diritto romano
era il principio ex nudo pacto actio non oritur: l’accordo nudo (ossia il contratto meramente consensuale)
non poteva quindi assumere rilevanza in base ai principi del diritto comune fondato sul diritto romano.
L'attacco contro il seguente dogma viene intrapreso lungo 2 direttrici:
da un lato dal fronte del diritto canonico il diritto canonico ha sempre attribuito notevole importanza
al rispetto della parola data, anche prescindendo dalle formalità prescritte dal diritto civile: l'impegno,
anche se informale, poteva avere rilevanza perlomeno piano della coscienza. La denuntiatio evangelica
consentiva di denunciare l'inadempimento di fronte alle competenti autorità ecclesiastiche affinché
venissero presi provvedimenti al fine della redenzione del peccatore; poiché la remissione del peccato
presupponeva il ravvedimento del peccatore, la soluzione era subordinata all'effettivo adempimento
dell'impegno assunto, anche se in via informale. Così agendo le corti ecclesiastiche si sono ritagliate una
competenza in materia contrattuale: l'espansione della competenza delle corti ecclesiastiche in materia
contrattuale ha determinato il crescere del conflitto con i tribunali civili a cui si è cercato di porre rimedio
limitando la possibilità di adire tali corti ai soli casi in cui la promessa fosse assunta mediante giuramento.

dall'altro lato dal fronte del diritto naturale le obbligazioni naturali, sebbene prive di azionabilità
diretta, potevano acquisire rilevanza sul piano dello stesso diritto civile se confermate successivamente al
loro sorgere. La conferma del debito valeva quindi a renderlo direttamente azionabile di fronte alle corti
civili
Un ulteriore contributo a favore della piena affermazione della figura generale del contratto consensuale
proviene dal giusnaturalismo europeo, in particolare con la figura di Grozio con l’opera De iure belli ac
pacis, ove vengono poste le basi del giusnaturalismo individuando alcuni principi di ragione che sono
talmente evidenti da apparire giustificati di per sé. Tra i principi minimi che devono necessariamente
reggere una società civile emerge la regola del pacta sunt servanda: la necessità di rispettare in ogni caso la
parola data assurge a principio cardine di qualsiasi forma di aggregazione civile.
Occorrerà tuttavia la promulgazione del codice civile francese affinché un testo legislativo recepisca e renda
operante tale idea: tale regola è oggi dettata dall’art. 1321 cc, che stabilisce che per rendere vincolante un
accordo è sufficiente lo scambio dei consensi.

CAPITOLO 3: LA NOZIONE DI CONTRATTO


SEZIONE I: CONTRATTO E NEGOZIO
-Negozio giuridico e contratto
Il contratto è un negozio giuridico bilaterale formato da 2 dichiarazioni reciproche (proposta e accettazione)
adesive l’una rispetto all'altra.
La teoria generale del negozio giuridico si inquadra in un approccio dogmatizzante del diritto proprio della
pandettistica tedesca; così come dalle varie figure contrattuali tipiche si è giunti ad elaborare una teoria
generale del contratto, così i fautori del negozio giuridico auspicavano che fosse possibile aggregare il più
unitariamente possibile le varie figure negoziali tradizionali, come ad esempio il contratto, il testamento...
In questa prospettiva qualsiasi atto implicante la volontà del soggetto costituisce un negozio giuridico tale
metodo è stato recepito anche in Italia, quando la dottrina italiana è apparsa recettiva nei confronti del
mondo giuridico tedesco: sebbene il codice civile del ‘42 sia stato elaborato sotto l'influenza della
dogmatica tedesca, non ha tuttavia recepito la figura generale del negozio giuridico, infatti non è prevista
né una parte generale né una teoria generale della manifestazione di volontà e del negozio giuridico.
Il libro IV (obbligazioni e contratti) è incentrato sulla figura del contratto: in queste condizioni la disciplina
del contratto funge da punto di riferimento fondamentale anche per gli atti unilaterali. Salvo diverse
disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti tra
vivi aventi contenuto patrimoniale, come prescritto dall’art. 1324 cc.
In tempi più recenti l'importanza di tale figura è diminuita: in dottrina si è diffusa la convinzione circa
l'inutilità di creare concetti o categorie omnicomprensive, quando poi la disciplina concreta dei vari istituti
non consente in generalizzazioni così estese.
-L’autonomia privata

Uno dei cardini della nazione moderna di contratto è costituito dall'autonomia privata: essa significa che
l’individuo è libero di contrattare e di non contrattare, di determinare liberamente il contenuto del
contratto, nonché di concludere qualsivoglia tipologia di accordo, anche se non espressamente
contemplata dal legislatore, come previsto ai sensi dell’art. 1322 comma 2 cc.
L’autonomia privata incontra limiti dovuti al fatto che l'accordo raggiunto dai privati non deve porsi in
contrasto con l'interesse generale e non deve recare nocumento a terze persone.
La volontà è la causa prima del diritto: in questa affermazione si sintetizza il credo filosofico del XIX secolo:
lo stato, la legge, l'atto giuridico si pensava che discendessero in modo immediato dall'autonomia della
volontà. Nel XX secolo in tutto l'occidente si è assistito ad una forte espansione della legislazione
vincolistica al fine di porre limiti all'autonomia privata: in alcuni casi si è trattato di provvedimenti volti a
controllare il contenuto del contratto stesso, imponendo la sostituzione di clausole in contrasto con il
dettato legislativo, prezzi di imperio, l'integrazione del contratto, in altri casi ancora dell'imposizione
dell'obbligo sul presto di concludere il contratto. In particolare, provvedimenti limitativi dell'autonomia
privata si sono avuti in Unione Sovietica, ove la pianificazione dell'economia aveva escluso ogni libertà di
determinazione del contenuto del contratto il prezzo, la quantità e la qualità dei beni che dovevano essere
prodotti dalle varie imprese dello stato.
Sebbene negli ordinamenti occidentali non si sia mai giunti a una pianificazione e ingerenza dello stato
nell'economia, in dottrina si è parlato di crisi dell'autonomia privata: in effetti tra contratti imposti, prezzi di
imperio, illiceità, sostituzione automatica di clausole e integrazione del contratto sembra restare poco della
piena libertà contrattuale tipica del XIX secolo. In realtà, sebbene i controlli e i limiti dell'autonomia privata
siano aumentati, non pare che il fenomeno in questione abbia comportato un venir meno dell’autonomia
privata: piuttosto si è trattato di un tentativo da parte del legislatore di distinguere il buono dal cattivo
ossia le manifestazioni illecite dell'autonomia privata da quelle illecite.
-Gli atti unilaterali
Gli atti unilaterali consistono nella dichiarazione di volontà di 1 sola parte. Diversamente dai contratti, non
sono disciplinati in termini generali dal legislatore ma solo con riferimento alle singole fattispecie; tuttavia
ai sensi dell'art. 1324 cc è stabilito che le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili,
per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale.
Deve quindi trattarsi di atti unilaterali:
➡ tra vivi, con esclusione degli atti a causa di morte
➡ a contenuto patrimoniale, con esclusione degli atti unilaterali a contenuto non
patrimoniale, come per esempio il riconoscimento di un figlio naturale
Agli atti aventi contenuto patrimoniale sono quindi in primo luogo applicabili le norme sull'interpretazione
del contratto, quelle sulla forma e così via.

L’art. 1334 cc precisa che gli atti unilaterali producono effetto a partire dal momento in cui pervengono a
conoscenza della persona a cui sono destinati: non è quindi sufficiente la loro emanazione ma occorre che
giunga a conoscenza del destinatario.
-Il principio di maggioranza e autonomia privata
Si pongono problemi particolari per il caso in cui l’atto di autonomia privata debba essere deciso da un ente
collettivo, come ad esempio le associazioni, le società o nel caso si tratti del fenomeno della comunione: in
questi casi trova applicazione il principio della maggioranza, secondo cui la volontà dei più vincola anche gli
altri, salvo che sia previsto un diritto di veto o ciascuno possa individualmente vincolare anche gli altri.
SEZIONE II: CONTRATTO E RAPPORTI PATRIMONIALI
-Il termine contratto
CONTRATTO: si tratta di un termine che deriva dal latino, e che fa riferimento ad un’attività congiunta di
almeno 2 soggetti, la quale è finalizzata al raggiungimento di un certo scopo. Le accezioni del termine sono
peraltro numerose:
▲ da un punto di vista terminologico l'espressione contratto può indicare il testo contrattuale redatto dai
contraenti
▲ da un punto di vista sostanziale il termine contratto indica invece il raggiungimento di un accordo tra 2 o
più soggetti
Il termine contratto assume comunque un significato tecnico più ristretto rispetto a quelli più generici di
accordo, promessa, patto, convenzione, che talvolta compaiono nel linguaggio legislativo. In altri casi si
preferisce tuttavia l'espressione fatto, come per esempio in materia di prelazione: questo può essere un
indice delle differenze strutturali che si possono riscontrare sotto il profilo della causa o degli interessi
perseguiti...
-La definizione di contratto
Ai sensi dell'art. 1321 cc “il contratto è l'accordo di 2 o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro
un rapporto giuridico patrimoniale”.
Stando alla lettera della norma sembra che il contratto si risolva nel mero accordo tra le parti: in realtà la
norma deve essere coordinata con l’art. 1325 cc, che completa l'elenco dei requisiti minimi previsti per la
presenza di un contratto valido. L’art. 1321 cc definendo il contratto come un accordo si limita ad indicare
una parte per il tutto.
Specie in passato la dottrina si è interrogata circa il significato nonché l'effettiva rilevanza delle definizioni
giuridiche la dottrina concorda che anche le definizioni giuridiche hanno una funzione precettiva precisa,
in particolare assolvono la funzione di definire l'ambito di operatività di una certa disciplina: ciò risulta
evidente in materia di contratto, ove l’art. 1321 cc ha il compito di definire l'ambito di operatività della
disciplina del contratto.
In queste condizioni si tratta di individuare quali sono gli elementi in presenza dei quali si è in presenza di
un contratto:

1. il primo elemento è quello dell'accordo, ossia dello scambio dei consensi tra 2 o più parti; la nozione di
scambio di consensi è generica rispetto a quella di contratto infatti l’accordo non è necessariamente un
contratto
2. occorre far riferimento ad ulteriori elementi: si ha contratto solo se si tratta di accordi finalizzati a
costituire, regolare, estinguere tra loro rapporti giuridici patrimoniali. Ad esempio la compravendita è un
contratto, in quanto si tratta di accordo finalizzato a produrre effetti giuridici di carattere patrimoniale; il
matrimonio non è un contratto in quanto non è finalizzato a costruire, modificare, estinguere rapporti di
natura patrimoniale
-Costituire, regolare o estinguere
Da un punto di vista sistematico il contratto costituisce un fatto giuridico, in particolare un atto umano
bilaterale, lecito, il cui effetto è quello di costituire, regolare, estinguere rapporti giuridici. Il contratto può
quindi costituire rapporti giuridici, può regolarli durante la loro esistenza è può estinguerli.
Da un punto di vista sistematico si nota una corrispondenza quasi perfetta con la nozione di vicende del
rapporto giuridico, salvo l'uso da parte del legislatore del termine è regolare, il cui significato è più ampio
rispetto al termine modificare.
-Rapporti giuridici
Notevole rilevanza assume altresì la precisazione in base alla quale si tratta di accordi finalizzati ad incidere
esclusivamente sul piano dei rapporti giuridici, che possono quindi essere costituiti, regolati oppure estinti;
a contrario se ne può desumere che il contratto non può in linea di principio venire ad incidere su realtà o
piani diversi.
In questa prospettiva l’autonomia privata non potrebbe venire ad incidere:
né sul piano delle fattispecie legali: la negazione della possibilità di modificare le fattispecie legali non
appare del tutto corretta le parti non possono escludere o modificare elementi previsti da norme di
carattere imperativo a pena di nullità. Questo non significa che le parti siano completamente prive di ogni
possibilità di manovra: infatti nulla impedisce alle parti di modificare elementi della fattispecie regolati da
norme di carattere dispositivo.
Inoltre le fattispecie legali sono in gran parte costituite da norme di carattere suppletivo, la cui funzione è
quella di fornire un assetto di regole standard, come per esempio quelle concernenti la risoluzione del
contratto per inadempimento; si tratta di conseguenze che discendono normalmente dalla conclusione di
un contratto questo però non significa che le parti possono disporre in senso contrario, ad esempio
prevedendo clausole di irresolubilità.
In queste condizioni il problema è quindi quello di stabilire in quali casi sia possibile modificare le fattispecie
legali: a riguardo assume fondamentale importanza la distinzione tra norme derogabili e norme
inderogabili ne consegue che salvo il limite costituito da norme imperative, nulla osta alle parti di
modificare anche le fattispecie legali.

Analogo discorso può essere fatto per quanto riguarda le norme processuali: anche in quest'ambito
l'accordo delle parti sarà valido solo nel caso in cui non si ponga in contrasto con norme di carattere
imperativo. In giurisprudenza si è ritenuto valido l'accordo con cui le parti assumevano l'impegno di non far
eseguire una sentenza prima del suo passaggio in giudicato oppure l'accordo con cui le parti hanno assunto
l'impegno di effettuare un tentativo di conciliazione prima di agire in giudizio ha rilevanza meramente
interna tra le parti, con il conseguente obbligo di risarcire i danni, ma non esclude la possibilità di agire
comunque in giudizio stante irrinunciabilità dei diritti processuali
né su quello degli effetti
-L’intento giuridico
Le parti sono libere di esprimere liberamente il loro intento negoziale, senza dover necessariamente
utilizzare con precisione i termini giuridici.
Ci si chiede se ai fini della produzione dell'effetto giuridico occorre altresì la volontà delle parti o se invece
l'effetto giuridico si produce di per sé: a questo quesito viene data risposta negativa, dato che gli effetti
giuridici si producono indipendentemente e a volte anche in contrasto con la volontà delle parti. Rientra
nella competenza dei contraenti determinare il contenuto del contratto, ossia decidere quali clausole
inserire e quali non, mentre compete all'ordinamento giuridico stabilire quali effetti ne conseguono ne
deriva che le parti operano sul piano del contenuto.
La situazione è diversa nei paesi di common law, dove l'intenzione di creare un rapporto giuridico è
normalmente considerata essenziale ai fini della distinzione tra accordi giuridicamente vincolanti e quelli
rilevanti solo sul piano dell'onore: a riguardo si ritiene che il contratto è concluso quando le parti hanno
manifestato l'intento di vincolarsi giuridicamente e hanno raggiunto un accordo sufficiente.
Più delicata è la questione dell'intento giuridico negativo. La dottrina ha iniziato a interrogarsi circa la
possibilità per i contraenti di escludere gli effetti giuridici dell’accordo. Il problema è stato affrontato dagli
ordinamenti di common law, dove tale possibilità è generalmente ammessa ivi infatti è consentito
concludere gentlemen’s agreements, ossia accordi vincolanti esclusivamente sul piano dell'onore, con
impossibilità di fare ricorso alla tutela giuridica in caso di inadempimento. Accordi di questo genere sono
diffusi in ambiti ristretti e omogenei, nei quali la presenza di sanzioni extragiuridiche sono più che sufficienti
a costituire funzioni deterrenti contro il rischio di inadempimento tale dibattito è arrivato anche in Italia:
sul merito la dottrina si è espressa in senso favorevole mentre la giurisprudenza è scarna, anche se in
recenti sentenza ha ammesso una certa apertura verso questi tipi di contratto.
In senso favorevole è possibile considerare che:
si tratta di una libera scelta dei contraenti
che i gentlemen’s aggrements sono generalmente ammessi negli ordinamenti di
common law law dove non si sono mai verificati particolari problemi di carattere applicativo

In senso contrario occorre tenere conto del rischio che vengano meno tutele e garanzie previste
dall'ordinamento a favore in particolare delle parti più deboli.
L’autonomia privata ha una limitata operatività anche a livello di fattispecie, per esempio escludendo la
garanzia per evizione o per vizi. Tuttavia essa non può derogare norme di carattere imperativo, quali ad
esempio clausole limitative della responsabilità che non sono consentite nei casi di dolo e di colpa grave
come prescritto dall'art. 1229 cc.
Ancora più delicato diventa tale discorso se lo si estende anche alla responsabilità delittuale ex art. 2043 cc.
Un tempo la dottrina lo escludeva categoricamente: ora invece si ammette una limitata applicazione delle
clausole limitative della responsabilità anche nel settore della responsabilità delittuale, anche se nei limiti di
cui all'art. 1229 cc, con l'ulteriore precisazione che l'esclusione della responsabilità non può operare anche
in materia di integrità fisica: infatti non è consentito disporre della propria integrità fisica.
Una clausola con cui viene esclusa la responsabilità di chiedere la ripetizione dell'indebito o di agire in
arricchimento senza causa potrebbe porsi in contrasto Per quanto riguarda i requisiti formali della
donazione o integrare gli estremi delle donazioni indirette.
Ne consegue un quadro complesso in cui è difficile ritenere che la decisione delle parti divincolarsi
esclusivamente sul piano dell’onore escluda del tutto la rilevanza giuridica dell'accordo:
֎ in primo luogo un tale accordo può aver luogo solo in materia di contratti conclusi tra soggetti con
analogo potere contrattuale
֎ in secondo luogo nessun problema si pone con riferimento alle norme derogabili; anche la responsabilità
contrattuale e quella delittuale possono essere escluse nei limiti di cui all’art. 1229 cc
֎ più delicato è il discorso se sia possibile disapplicare completamente l'art. 1218 cc
֎ in ogni caso è tuttavia possibile ritenere che non sia in linea di principio è possibile andare ancora oltre,
con conseguente disattivazione anche dei rimedi generali, quale
ad esempio l'arricchimento senza causa
Sotto un altro profilo può assumere rilevanza altresì il fatto che il contratto sia stato soltanto
concluso/eseguito per lo meno in parte:
֎ se l'accordo non viene adempiuto da entrambe le parti, ciascuna parte potrà difendersi rifiutando di
adempiere a sua volta come prescritto all’art. 1460 cc--> si tratta di uno strumento di autotutela
֎ nel caso in cui una parte abbia già adempiuto, può ritenersi che possano entrare in gioco i rimedi
generali quali ad esempio la responsabilità civile, l'arricchimento senza causa oppure la ripetizione
dell'indebito
֎ se invece l'accordo ha avuto regolare esecuzione da entrambe le parti viene in gioco l'art. 2034 cc con
conseguente soluti retentio e consolidazione dello scambio
-I patti parasociali
Si tratta di accordi vincolanti esclusivamente sul piano dell'onore e della correttezza in materia societaria
attraverso questi i gruppi di azionisti si impegnano

a concordare in comune le strategie di Volta, la scelta delle varie cariche sociali... In passato era
particolarmente discussa la rilevanza e liceità di questo genere di accordi: il legislatore ne ha oggi
riconosciuto la piena validità ed efficacia anche sul piano strettamente giuridico, siano essi in qualsiasi
forma stipulati purché comunicati alla Consob, depositati nel registro delle imprese e pubblicati nella
stampa quotidiana; inoltre essi non possono avere durata superiore a 5 anni, salvo rinnovo.
-Le lettere di intenti
Si tratta di documenti che vengono elaborati di comune accordo dai contraenti, che evidenziano
l'intenzione delle parti di giungere alla conclusione di un contratto. Queste lettere possono contenere
semplici indicazioni relative all'oggetto del contratto oppure una disciplina contrattuale già del tutto
compiuta. La loro caratteristica fondamentale è tuttavia quella di NON essere giuridicamente vincolanti.
Le lettere di intenti potranno trasformarsi in un vero e proprio contratto solo nel momento in cui le parti
decideranno di recepire i contenuti in un contratto giuridicamente vincolante: fino a quel momento esse
saranno vincolanti solo sul piano dell’onore e della correttezza professionale.
-La patrimonialità del rapporto
Ai sensi dell’art. 1321 cc il contratto può avere ad oggetto esclusivamente rapporti giuridici patrimoniali la
norma corrisponde a quanto stabilito dall’art. 1174 cc in materia di patrimonialità della prestazione; anche
se le 2 norme operano su 2 livelli differenti in quanto la prima opera a livello dei rapporti mentre la seconda
opera a livello delle prestazioni. In base a quanto stabilisce l’art. 1174 cc la prestazione che forma oggetto
dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse,
anche non patrimoniale, del creditore.
L’art. 1174 cc precisa che la prestazione deve in ogni caso essere suscettibile di valutazione economica: il
requisito della patrimonialità della prestazione ha la funzione di consentire di distinguere i rapporti giuridici
dalle relazioni sociali.
Si discute se la patrimonialità della prestazione deve essere accertata in base alle valutazioni correnti
dell'ambiente sociale (criterio oggettivo) o deve essere rimessa alle valutazioni delle parti (criterio
soggettivo): la giurisprudenza propende per il criterio soggettivo, ritenendo sufficiente la pattuizione di un
corrispettivo per la prestazione ovvero una clausola penale per l'inadempimento.
Più dubbio se l’ordinamento possa andare a sindacare anche la meritevolezza in concreto dell’accordo: si
ritiene preferibile che non vi siano particolari limiti sotto il profilo dell'impegno assunto, salva la sua
possibilità e liceità.
-I contratti ad interessi non patrimoniali
Occorre capire fino a che punto possa essere ravvisata la consistenza economica dello scambio. In dottrina
si è dubitato che possa ravvisarsi la consistenza economica di uno scambio: si è piuttosto parlato di
contratti ad interessi non patrimoniali, in quanto sono finalizzati a soddisfare interessi di natura non
patrimoniale del disponente, ad esempio

l'interesse a che il nipote prenda la laurea. Si deve chiarire se uno scambio tra una prestazione patrimoniale
e una prestazione finalizzata a soddisfare interessi non patrimoniali possa essere sufficiente o meno ad
integrare gli estremi della causa del contratto; ma se è vero che l'obbligazione può essere finalizzata a
soddisfare anche interessi di natura non patrimoniale, non dovrebbero sorgere difficoltà a configurare
accordi giuridicamente vincolanti anche nei casi di questo tipo.
Tuttavia nella ns tradizione giuridica si preferisce convogliare il discorso nel novero degli altri a titolo
gratuito: a riguardo l'ordinamento consente in una certa misura di attuare scambi di questo genere, purché
essi siano leciti, in virtù della previsione di una condizione o della posizione di un modo (onere) ad una
disposizione a titolo gratuito.
SEZIONE III: I RAPPORTI DI CORTESIA
-Le prestazioni di cortesia
Per quanto riguarda i rapporti di natura non patrimoniale il processo di giuridificazione si è compiuto in
termini più limitati in quanto la giuridificazione non ha interessato l'intero settore dei rapporti sociali di
cortesia e via dicendo; in altri settori la giuridificazione è stata invece solo parziale, come ad esempio in
materia di obbligazioni naturali, le quali sono insuscettibili di azionabilità diretta ma implicano soluti
retentio in caso di adempimento spontaneo.
Un primo banco di prova per valutare i rapporti tra la sfera del giuridicamente rilevante e quella del
giuridicamente irrilevante è costituito dai cd rapporti di cortesia: si tratta di relazioni che si pongono sul
piano della cortesia, dell'onore e dei rapporti sociali esempio classico è quello dell'invito a cena: se una
persona invita un amico a cena e poi quando questo si presenta alla porta rifiuta di farlo entrare nessun
giudice sarebbe disposto a ravvisare gli estremi di una responsabilità di carattere contrattuale. Lo stesso
vale ad esempio per l'impegno assunto alla stazione di custodire momentaneamente la valigia di un altro
viaggiatore e così via. Oppure si pensi al trasporto amichevole di persone o cose, a chi assume l'impegno di
recarsi in farmacia a prendere un medicinale, al professionista che fornisce assistenza gratuita ad un amico,
al meccanico che per motivi di amicizia ripara gratuitamente la macchina all'amico...: nei casi di questo
genere sorge il problema della rilevanza giuridica di questi impegni il diritto non può disinteressarsi del
tutto di questi rapporti, proprio per la loro frequenza e per la gravità delle conseguenze che possono
conseguire in caso di inadempimento o cattivo adempimento.
In Italia il problema è stato discusso soprattutto in materia di trasporto di cose o persone a titolo di cortesia
come nel caso della persona che offre il passaggio ad un amico il codice civile non contempla
espressamente la fattispecie, o meglio distingue a seconda che si tratti di rapporto a titolo oneroso o di
rapporto a titolo gratuito, assimilando il regime del trasporto gratuito a quello del trasporto a titolo
oneroso. La nozione di trasporto gratuito è stata per lo più intesa in senso restrittivo, con esclusivo
riferimento ai casi di trasporto gratuito ma interessato, ossia casi in cui il trasportatore è mosso da motivi di
interesse personale di carattere patrimoniale, con conseguente esclusione del trasporto di pura cortesia;
diversa è la situazione nel codice della navigazione, ove infatti l'art. 414 riserva al trasporto amichevole un
regime differente rispetto a quello che è tipico del trasporto gratuito.

In questa prospettiva il problema che si è posto è quello di colmare la lacuna presente nel codice civile
relativa al trasporto amichevole: secondo la dottrina, tale lacuna sarebbe colmabile considerando l'art. 414
cod.nav. espressione di un principio generale applicabile ad ogni tipo di trasporto di cortesia. In ordine alla
questione la Cassazione in un primo tempo aveva optato per l'assimilazione del trasporto amichevole a
quello gratuito, con conseguente contrattualizzazione della figura, per poi successivamente mutare
orientamento, dando prevalenza all'idea che in caso di rapporto amichevole non si instaura una relazione di
tipo contrattuale, salvo il ricorso alle regole della responsabilità delittuale in caso di incidente pertanto
salvo il riferimento alle norme di chiusura dell'ordinamento nonché alla responsabilità che può sorgere, il
rapporto si svolge su un piano di indifferenza per il diritto. Per quanto concerne invece il deposito di
cortesia, un esempio tipico è quello del viaggiatore che alla stazione a consente di custodire per pochi
minuti la valigia di un altro viaggiatore.
Che cosa succede se chi ha preso in consegna la valigia l'abbandona?
Anche in casi di questo genere è possibile ritenere che sorga perlomeno una responsabilità ex art. 2043 cc.
La giurisprudenza in un caso relativo alla presa di consegna di alcuni buoi sulla piazza del mercato che sono
stati poi successivamente abbandonati, ha ravvisato gli estremi di un vero e proprio contratto di deposito
gratuito, con conseguente configurabilità della responsabilità contrattuale.
Oltre alla responsabilità, altro punto cardine della teoria dei rapporti di cortesia è costituito dal recesso: la
prestazione amichevole, salvi gli eventuali profili di responsabilità extracontrattuale, non obbliga il
promittente a effettuare in concreto la prestazione: infatti colui che ha assunto l'impegno ha sempre
facoltà di recedere, salvi i casi limite in cui il recesso integra gli estremi di un vero e proprio abuso del diritto
di recesso.
Dal piano del rapporto di cortesia è sempre possibile passare a quello del rapporto: a tal proposito è
fondamentale il ruolo svolto dalla volontà delle parti, nonché le circostanze in cui concretamente ha luogo
la conclusione dell'accordo; se una persona promette a un amico di portarlo a fare una gita in montagna
durante il fine settimana o di ospitarlo nella sua casa in campagna, normalmente non nasce un rapporto
vincolante sul piano del diritto. Tuttavia se l'amico promette in cambio del trasporto di pagare le spese
dell'autostrada a benzina o pernottamento il rapporto si sposta nell'area del giuridicamente rilevante.
-Il lavoro gratuito
Anche l'attività lavorativa può essere prestata a titolo gratuito. Se si tratta di lavoro autonomo, sia di natura
materiale sia intellettuale, non vi sono particolari problemi a configurare prestazioni lavorative gratuite
effettuate per pura cortesia, come ad esempio il meccanico che ripara gratuitamente la macchina al suo
amico. In questi casi è possibile ritenere che:

★ il professionista non sia tenuto ad effettuare l'incarico e quindi possa in linea di principio sempre
recedere, salvi gli eventuali profili di tutela dell'affidamento del promissario
★ nel caso in cui la prestazione sia stata comunque effettuata non sorge il diritto a percepire la
retribuzione, salvi gli estremi della donazione remuneratoria
★ salva l'applicabilità dell'art. 2043 cc ove l’esecuzione della prestazione abbia causato danni in capo al
promissario o anche a terzi
In alcuni casi la giurisprudenza ha ritenuto che la prestazione professionale gratuita possa integrare gli
estremi di un vero e proprio contratto gratuito, ma interessato, con conseguente applicabilità dell'art. 1218
cc.
Più delicato è il discorso relativo al lavoro subordinato. Il contratto di lavoro subordinato è essenzialmente
oneroso ex art. 36 comma 1 cost, sicché il diritto alla retribuzione in non è suscettibile di rinuncia in
questo quadro non sembra residuare spazio per prestazioni di carattere lavorativo subordinato gratuito:
tuttavia nella pratica l'attività lavorativa gratuita è un fenomeno diffuso ed in forte espansione, come ad
esempio nel lavoro per l'apprendistato, per il praticantato, volontariato. Anche la giurisprudenza in questi
ambiti ammette la possibilità di prestazioni lavorative gratuite, con conseguente esclusione al diritto di
retribuzione.
A questi fini è importante tener conto delle presunzioni: la giurisprudenza presume che si tratti di un
contratto di lavoro a titolo oneroso, salva la prova contraria.
Uno dei settori in cui tradizionalmente si ravvisa la gratuità delle prestazioni lavorative è quello in ambito
familiare, come ad esempio nel caso del lavoro casalingo o nell'azienda familiare: proprio per circoscrivere
tale presunzione di gratuita il legislatore ha introdotto l'art. 230 bis cc in tema di azienda familiare,
valorizzandone il contributo lavorativo prestato dai familiari nell'ambito dell'azienda familiare. In dottrina si
è discusso se la disciplina dettata dall'articolo posso trovare applicazione anche in riferimento alle famiglie
di fatto: in giurisprudenza per un lungo periodo è prevalso l'orientamento negativo, pertanto si riteneva
che il convivente more uxorio che avesse effettivamente collaborato l'impresa poteva usufruire
esclusivamente della tutela offerta dai rimedi restitutori ordinari, salva la configurabilità di un rapporto di
lavoro subordinato. Di recente la giurisprudenza ha mutato orientamento e si è espressa in senso
favorevole all’applicazione estensiva della disciplina dell'impresa familiare anche alla famiglia di fatto, salva
ancora una volta la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato.
Analogo discorso può riguardare l'attività svolta dai religiosi nell'ambito dell’ente: infatti anche qui si
presume la gratuità, salvo prova contraria. Per quanto concerne il fenomeno del volontariato, anche in
questo contesto opera la presunzione che si tratti di attività svolte a titolo gratuito, salvo prova in senso
contrario.
Più problematico è inquadrare da un punto di vista giuridico il lavoro gratuito la dottrina ha proposto
diverse soluzioni:
secondo alcuni occorre far riferimento alla disciplina della donazione, in particolare ove si ammette che la
donazione può avere anche ad oggetto prestazioni di fare
altri hanno suggerito di fare riferimento alla figura delle liberalità d'uso, alle
obbligazioni naturali o alle prestazioni di cortesia
altri ancora fanno riferimento alla disciplina del comodato: infatti così come è
possibile concedere in comodato gratuito un bene, così sarebbe possibile concedere in uso gratuito le
proprie energie lavorative
In dottrina prevale comunque l'idea che il lavoro gratuito sia riconducibile ad una fattispecie contrattuale
atipica, parallela rispetto al contratto di lavoro subordinato ma differente da questo in quanto gratuita.
Il legislatore non ha tuttavia chiarito la natura giuridica del rapporto di volontariato e nemmeno la sua
fonte a riguardo in dottrina prevale l'opinione che si tratti di un vero e proprio rapporto di natura
contrattuale atipico, con le connesse responsabilità in caso di inadempimento o cattiva esecuzione
dell'incarico.
-Le lettere di patronage
Si tratta di dichiarazioni rese in forma scritta, perlopiù rivolte ad una banca, con cui una capogruppo
fornisce informazioni nonché assicurazioni circa la solvibilità della controllata; spesso con l'aggiunta del
proprio interessamento, nonché della propria disponibilità ad esercitare le necessarie influenze pressione
affinché la controllata tenga effettivamente fede ai suoi impegni. Le ragioni del crescente successo della
fattispecie vanno ricercate nel fatto che, in virtù delle missione di queste lettere, il gruppo riesce ad
aumentare la sua capacità di ottenere credito, anche senza la necessità di ricorrere alle forme più
tradizionali di garanzia quali ad esempio la fideiussione.
I problemi maggiori sorgono in ordine all'inquadramento giuridico e alle conseguenze dell'eventuale
inadempimento della controllata bisogna chiarire se le dichiarazioni della controllante sono rilevanti
esclusivamente sul piano nell'onore o se invece sia configurabile una qualche responsabilità in capo al
soggetto che ha rilasciato la lettera: a tal proposito può dirsi che sono state formulate sia in dottrina sia in
giurisprudenza diverse soluzioni. Emerge la tendenza degli interpreti a considerare giuridicamente
vincolanti queste lettere, tuttavia si discute in merito al loro inquadramento giuridico: specialmente nei
primi tempi la questione veniva vista sotto il profilo dei rapporti tra lettere di patronage e la fideiussione e
la conclusione era nel senso di escludere la possibilità di un'identificazione delle 2 fattispecie. La
giurisprudenza propendeva per risolvere la questione caso per caso, facendo riferimento ad altre figure
tipiche, in particolare la promessa del fatto del terzo, a volte il mandato di credito quest'ultima soluzione
non è agevolmente configurabile ove si consideri che l'istituto di credito non assume alcuna obbligazione
nei confronti del patronnant di erogare il credito.
In alcuni casi si asseriva l’atipicità della garanzia fondata su queste lettere; in altri casi ancora si faceva
riferimento alla responsabilità extracontrattuale. In tempi più recenti si assiste al crescente tentativo di
tipizzare maggiormente la figura, nel senso comunque di distinguere a seconda dei contenuti, del tenore,
nonché delle affermazioni o eventualmente promesse

contenute nelle lettere in questione; in particolare si va sempre più diffondendo la distinzione tra lettere di
patronage deboli e forti in questa prospettiva si distingue a seconda che il patronnant si sia limitato a
fornire informazioni erronee nel caso delle trattative, con conseguente configurabilità di una responsabilità
ex art. 1337-1338 cc o abbia assunto una vera e propria obbligazione di garanzia atipica ai sensi dell'art.
1333 cc.
I vantaggi di questa seconda costruzione sono diversi:
> in primo luogo il contratto si perfeziona senza la necessità di accettazione
> in secondo luogo si tratta di un’obbligazione di natura contrattuale, con conseguente inversione
dell'onere probatorio in caso di inadempimento
> in terzo luogo si tratta di una responsabilità autonoma rispetto a quella del soggetto garantito: ne
consegue la possibilità di farla valere anche nel caso di impossibilità di adempimento conseguente al
fallimento da parte del soggetto garantito
La giurisprudenza precisa che l'obbligazione assunta dal patronnant è di mezzi e non di risultato.
L'evoluzione è quindi nel senso di una crescente tipizzazione di varie ipotesi di lettere di patronage, e
conseguente diversificazione del loro regime, fermo restando il principio per cui la loro efficacia vincolante
può essere oggetto di presunzione, salvo prova in senso contrario. La giurisprudenza inoltre è costante
nell'affermare che anche il obbligazioni di garanzia assunte mediante lettere di patronage sono soggetti al
limite di cui all’art. 1938 cc, con riferimento alle obbligazioni future o condizionali: in questo modo si è
voluto tutelare il patronnant contro il rischio dell'assunzione di impegni indeterminati o non determinabili
al tempo dell'emissione della lettera.
SEZIONE IV: DIRITTI DELLA PERSONALITÀ E CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO
-I diritti della personalità
Vi sono settori preclusi all'autonomia privata, o meglio settori ove il contratto non può operare il limite è
previsto dall'art. 1321 cc, che consente al contratto di spaziare esclusivamente nell'ambito dei rapporti
giuridici patrimoniali; in particolare, il contratto non può operare in materia di rapporti di carattere non
patrimoniale un primo settore rilevante è quello dei diritti della personalità. La gamma dei diritti della
personalità è estremamente varia, ricomprendendo il diritto alla vita e all'integrità fisica, il diritto alla
salute, il diritto al nome, il diritto all'immagine, il diritto alla riservatezza, all'onore, all'identità personale, il
diritto morale d'autore e inventore nonché altri diritti. Si tratta di una categoria aperta, in continua
espansione, in quanto i nuovi diritti della personalità vengono introdotti anche recentemente da parte della
giurisprudenza. Anche in mancanza di uno specifica riscontro normativo i diritti della personalità possono
essere fondati sull’art. 2 Cost e tutelati mediante rimedi offerti dalla responsabilità civile l'art. 2 Cost
sancisce che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. I diritti della personalità sono quindi diritti assoluti
(opponibili nei confronti di chiunque al pari diritti reali) e per loro natura competono

all'individuo dal momento della nascita fino a quello della morte pertanto sono irrinunciabili, disponibili,
intrasferibili e imprescrittibili inoltre non hanno contenuto patrimoniale.
Spesso il diritto della personalità a contenuto non patrimoniale è affiancato da un diritto di natura
patrimoniale alienabile e disponibile il fenomeno è evidente per quanto riguarda il diritto d'autore, dove la
dottrina da tempo distingue 2 differenti diritti:
da un lato il diritto morale dell'autore o inventore: ossia il diritto ad essere riconosciuto come un
autore, che è un diritto tipico della personalità a contenuto non patrimoniale
dall'altro lato un diritto patrimoniale d'autore (diritto sfruttare economicamente l'opera dell'ingegno):
tale secondo diritto può essere oggetto di cessione commerciale
Da un lato quindi vi è il diritto all'identità personale, la cui funzione è quella di tutelare l'immagine che la
persona è riuscita a crearsi di fronte all'opinione pubblica; dall'altro lato vi è il diritto allo sfruttamento
economico degli attributi della personalità, che si riferisce alla possibilità di sfruttamento commerciale,
suscettibile di cessione commerciale. I diritti della personalità sono per loro natura intrasmissibili non solo
per atti tra vivi ma anche per causa di morte.
Anche le persone giuridiche sono titolari di alcuni diritti personalissimi, come ad esempio il diritto al nome,
l'integrità morale, alla reputazione economica.
-Il diritto alla vita e all'integrità fisica
Ciascuna persona per il fatto di essere nata ha diritto a continuare a vivere fino alla fine naturale dei suoi
giorni: ciò significa che nessuno può essere privato del diritto alla vita, e connesso al diritto alla vita è il
diritto all'integrità fisica di cui all'art. 5 cc. Le persone maggiorenni non interdette sono generalmente
capaci di agire significa che con il compimento della maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti
gli atti giuridici previsti dall'ordinamento; tuttavia tale capacità deve essere esercitata nell'ambito dei limiti
previsti dall'ordinamento:
1) un primo limite è quello previsto dall'art. 5 cc, che vieta agli atti di disposizione del proprio corpo:
nessuno può acconsentire a menomazioni di carattere permanente della sua integrità fisica oppure donare
accedere dietro corrispettivo organi o parte del suo corpo una disciplina speciale che deroga alle norme
dettate è prevista con riferimento ai reni, ove il legislatore ha acconsentito alla donazione del rene tra
persone viventi, in particolare è consentita tra consanguinei, genitori, figli, fratelli, e in casi eccezionali tra
estranei. L'espianto è subordinato alla previa autorizzazione del giudice. La cessione può venire poi
esclusivamente a titolo gratuito
2) è invece consentita la cessione di parti rinnovabili del corpo come ad esempio capelli e sangue; nel ns
ordinamento è ammessa solo la donazione del sangue, che ha luogo previo controllo medico. In altri
ordinamenti come ad esempio quello Usa la cessione può venire anche a titolo oneroso a riguardo si fa
l'esempio della vicenda di un paziente americano cui è stata asportata la milza e vari fluidi del

corpo dai quali è stata derivata una linea di prodotti farmaceutici oggetto di brevetto ed elevato valore
commerciale: il soggetto in questione ha agito in giudizio per ottenere il riconoscimento di un diritto di
proprietà sui prodotti derivati dalle cellule del suo corpo, ottenendo una decisione a lui favorevole solo in
secondo grado in quanto i giudici di primo grado e quelli di ultima istanza avevano escluso la configurabilità
di un diritto di proprietà del soggetto sulle parti separate dal suo corpo
-La dignità umana
La dignità umana a sua volta può costituire da limite all’autonomia privata, ciò in quanto si è ritenuto in
contrasto con la dignità umana il contratto che ad esempio ha ad oggetto il lancio del nano. MA si deve
osservare che in realtà il problema è stato discusso anche con riferimento ad esempio alle scelte di rifiutare
eventuali trattamenti salva vita.
-I trapianti di organo
La situazione è diversa per quanto riguarda l'espianto di organi da cadavere a scopo di trapianto: la materia
è regolata dalla l. 91/1999 che consente l'espianto di organi allo scopo di trapianto, subordinatamente
all'accertamento della morte cerebrale. Il legislatore stabilito che i cittadini in mancanza di un'esplicita
manifestazione di volontà contraria si considerano consenzienti l'espianto di organi per finalità di trapianto
successivamente alla morte (cd principio del silenzio assenso).
La legge vieta il prelievo di gonadi ed encefalo e inoltre stabilisce che il prelievo effettuato in modo tale da
evitare mutilazioni o dissezioni non necessarie; dopo il prelievo il cadavere deve essere ricomposto con la
massima cura. E altresì previsto che il personale sanitario sia tenuto a garantire l'anonimato dei dati relativi
al donatore al ricevente. E infine vietata l'importazione di tessuti di organi da stati la cui legislazione
prevede la possibilità di prelievo e relativa vendita di organi provenienti da eredità di condannati a morte.
Il problema dell’allocazione degli organi per trapianti è delicato, dato che la domanda di organi è più
elevata rispetto alla possibilità di offerta: in questo modo viene a verificarsi un problema allocativo che
Bobbit ha qualificato come scelta tragica i metodi ordinari di allocazione delle risorse affidati al mercato e
al meccanismo automatico di prezzi tendono inevitabilmente a privilegiare il più ricco. Metodi alternativi al
mercato possono essere il sorteggio, le scelte politiche, la ricerca del più meritevole oppure il ricorso al
metodo consuetudinario.
-Il living will
Si tratta di un istituto diffuso nei paesi di common law e si tratta di un atto di ultima volontà o testamento
che tuttavia è volto a fornire indicazioni in ordine all'eventuale utilizzo dei propri organi dopo la morte,
nonché in ordine alla sospensione di eventuali terapie che potrebbero prolungare oltre i limiti naturali la
vita del paziente.
-La bioetica
Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie pongono una serie di problemi anche per il giurista: infatti
esiste nuova disciplina che è la bioetica, che si occupa di quest'area di

problemi (si pensi al problema dell'eutanasia e della clonazione). La moderna tecnologia consente di
realizzare perfetti duplicati di altri esseri viventi; sebbene finora tale metodica è stata attuata solo con
riferimento agli animali, astrattamente è applicabile anche all'uomo. Piuttosto delicate sono le questioni
che sorgono nei casi di gravidanze altrui ovvero quando la donna acconsente di portare a termine una
gravidanza per conto di un'altra donna, utilizzando per la fecondazione artificiale il marito di quest'ultima
in questo caso a chi appartiene il bambino concepito in questo modo? Alla madre naturale o alla coppia che
ha commissionato a pagamento la gravidanza? Un contratto di questo genere può ritenersi lecito oppure è
illecito in quanto contrario al buon costume?
In un caso americano i giudici hanno ritenuto valido un contratto di questo genere, tenuto conto del
preminente interesse del bambino, con conseguente attribuzione del neonato alla coppia chi lo aveva
commissionato: tale decisione è stata poi riformulata dalla Corte Suprema dello stato che ha giudicato
l'accordo invalido per contrarietà a norme inderogabili e all'ordine pubblico; anche il Tribunale di Monza in
un caso simile ha ritenuto nullo per immoralità il contratto. Il Tribunale di Roma ha invece ritenuto possibile
l'affitto dell'utero, a condizione che non sia previsto un corrispettivo.
Recentemente nel 2016 la Corte Edu ha ritenuto che viola l’art. 8 Cedu una procedura che comporta
l’allontanamento permanente dalla coppia committente del minore nato da gestione portata a termine da
altra donna all’estero, ciò in quanto IN OGNI CASO si deve tener conto dell’interesse superiore del minore
(a prescindere dall’esistenza di un legame genitoriale).
-La procreazione medicalmente assistita
Dopo anni di discussioni è stata approvata la legge nel 2004 in materia di procreazione medicalmente
assistita, che consente il ricorso a questa tecnica sono nel caso in cui non ci siano altri metodi terapeutici
volti a rimuovere le cause di sterilità/infertilità. A questa tecnica possono accedere le persone maggiorenni
di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile pertanto sussiste il divieto della
maternità surrogata, dell'affitto dell’utero, della fecondazione post mortem e della possibilità di ricorrere a
questa tecnica per le donne single o le coppie omosessuali: secondo alcuni si tratta di regole
eccessivamente restrittive (in particolare per quanto riguarda il divieto della fecondazione eterologa e il
divieto di affitto dell’utero), nonostante le aperture giurisprudenziali.
Il legislatore ha dettato alcune norme a tutela dell'embrione:
A. in primo luogo è vietata la sperimentazione sugli embrioni ed è vietata la clonazione umana, nonché la
fecondazione di gameti umani con gameti di specie diverse
B. in secondo luogo non possono essere creati più di 3 embrioni, che devono essere tutti impiantati
contemporaneamente ed è altresì vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime
C. in terzo luogo vige il divieto della crioconservazione degli embrioni in esubero e della loro soppressione:
si ritiene che il divieto di conservare gli ovuli fecondati riduce le possibilità di ripetere in tempi ravvicinati la
procedura, con conseguente riduzione delle probabilità di successo e inoltre l'impossibilità di procedere ad
uno screening

degli embrioni per accertare eventuali malformazioni o anomalie genetiche rappresenta un fattore di
criticità
Va comunque osservato che la corte cost ha fatto cadere il divieto della diagnosi pre impianto, con
conseguente possibilità di effettuare una selezione pre impianto degli embrioni MA rimane vietata la
possibilità di selezionare gli embrioni per altri motivi e permane il divieto della soppressione degli embrioni
non impiantati in quanti risultati affetti da malattie genetiche.
-Il consenso dell’avente diritto
In materia di diritti della personalità tutto ruota attorno al consenso dell'avente diritto il consenso è
idoneo a giustificare e rendere lecite intromissioni nella propria sfera personale; il consenso può operare
anche in materia di proprietà, in particolare nel caso della tolleranza o per quanto riguarda il consenso ad
effettuare atti di ingerenza che non sarebbero altrimenti consentiti, come ad esempio l'apertura di luci e
vedute. In materia di obbligazioni il consenso riveste una certa rilevanza, ad esempio quando il creditore
consente al debitore di adempiere anticipatamente o successivamente.
In linea di principio il consenso dell’avente diritto costituisce un’esimente specificatamente prevista dall'art.
50 cp che stabilisce che non è punibile chi lede o pone in pericolo in diritto con il consenso della persona
che può validamente disporne pertanto il consenso dell'avente diritto non sostituisce un contratto ma
un’esimente che rende leciti comportamenti che, se non autorizzati, potrebbero integrare gli estremi di
illeciti penali o civili. Le differenze fondamentali rispetto al contratto si ravvisano nel fatto che il consenso
dell'avente diritto può operare anche in materia di diritti non patrimoniali, è unilaterale, deve essere
sempre informato, non necessita di causa e in linea di principio è sempre revocabile, salvo che non rilevino
altre esigenze il problema in particolare si pone in ambito medico, come ad esempio nel caso del soggetto
che dopo aver dato il suo consenso all'espianto di un rene cambia idea dopo che i medici si siano già attivati
e ci si chiede se in questo caso la revoca del consenso sia ancora possibile; in generale si deve ritenere che il
consenso al trattamento medico sia sempre revocabile fino all'ultimo istante possibile e questo non esime
dall'obbligo generale di comportarsi secondo buona fede ne deriva che la violazione di questo dovere
potrebbe comportare l'obbligo di risarcimento dei danni.
Mentre il contratto ha un campo di applicazione limitato al solo settore dei diritti patrimoniali, il consenso
dell'avente diritto ha un campo più vasto, in quanto può rendere legittime intrusioni o limitazioni non solo
nel settore dei diritti patrimoniali ma anche in quello dei diritti non patrimoniali ne consegue che mentre
in materia di diritti patrimoniali può operare indifferentemente il contratto e il consenso dell'avente diritto,
in materia di diritti non patrimoniali può operare solo il consenso dell'avente diritto e, in questa
prospettiva, il consenso dell'avente diritto può consentire un'estensione dell'autonomia privata anche in
settori preclusi allo strumento principale dell'autonomia privata; ci si chiede se il consenso dell'avente
diritto abbia natura negoziale o no ad esempio Panuccio ritiene che si tratti di atto non negoziale con
conseguente inapplicabilità della disciplina dei vizi del consenso,

salva la possibilità di revocare l'atto e in ogni caso la revoca opera solo ex nunc. Il consenso dell'avente
diritto può anche essere oggetto di negoziazione MA solo nel caso in di diritti disponibili, come ad esempio
la materia dei diritti reali; il consenso dell'avente diritto deve preferibilmente essere manifestato prima che
abbia luogo l'intromissione dell'altrui sfera giuridica: tuttavia può ritenersi che anche un consenso prestato
successivamente in linea di principio possa scriminare la condotta altrimenti illecita.
-Il consenso informato in campo medico
L'art. 32 comma 2 cost stabilisce che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario
se non per disposizione di legge: questo significa che i medici devono sempre informare i pazienti e
ottenere il loro consenso, pena il risarcimento del danno la legge può tuttavia prevedere delle deroghe,
come ad esempio accade in materia di vaccinazioni ove assume prevalenza l'esigenza di tutelare la salute
pubblica, pertanto la legge ha previsto un indennizzo a carico dello stato a favore di chi abbia subito danni
come conseguenza di una vaccinazione obbligatoria.
Solo in caso di estrema urgenza di pericolo per la stessa incolumità fisica del paziente l'intervento
terapeutico può aver luogo senza il previo consenso dell'interessato e la giurisprudenza ha ritenuto che in
casi di questo tipo di intervento medico è giustificato dallo stato di necessità ai sensi dell'art. 54 cp e art.
2045 cc; se si tratta di minori il consenso deve essere prestato dai genitori e in caso questi manifestino
rifiuto per motivi di carattere ad esempio religioso il medico può rivolgersi al G.T. per ottenere
l'autorizzazione.
Sono sorti dubbi in ordine alla giustificazione teorica secondo cui il consenso del paziente sia idoneo a
legittimare l'intervento del medico:
– una prima soluzione è consistita nell’applicare anche in materia di consenso al trattamento medico
dell'art. 50 cp: questa soluzione è stata oggetto di critiche, infatti si tratterebbe di capire come mai il
consenso in campo medico è idoneo a legittimare comportamenti invasivi oltre i limiti di cui all'art. 5 cc, il
quale consente unicamente atti di disposizione del proprio corpo che non determinano una diminuzione
permanente della propria integrità fisica si deve quindi chiarire come mai il consenso al trattamento
medico possa legittimare anche interventi altamente invalidanti:
una prima soluzione può consistere nel ritenere che il consenso dell'avente diritto, se collegato agli artt.
13 e 32 cost abbia un campo di azione più ampio di quanto non risulti dall'art. 5 cc
una seconda soluzione può consistere nell’ammettere la configurabilità di cause di giustificazione
atipiche, sebbene ciò contrasti con il principio di legalità
una terza soluzione può consistere nel ritenere che il consenso del paziente integri gli estremi di una
condizione di legittimità dell'intervento medico ai
sensi degli artt. 13 e 32 cost
Il consenso del paziente non è tuttavia l'unica condizione di legittimità dell'intervento medico, in quanto
occorre altresì che l'intervento sia giustificato e reso necessario da

condizioni patologiche oggettive il consenso del paziente vale a rendere legittimo l'intervento con
conseguente assunzione dei relativi rischi in capo al paziente, salvo quelli dovuti a colpa professionale, ma
non anche menomazioni non giustificate da esigenze terapeutiche.
Il consenso deve essere adeguatamente informato e ciò significa che il medico ha l'onere di informare in
modo esaustivo il paziente in ordine agli eventuali rischi dell'intervento l’inadempimento del dovere di
informazione può comportare responsabilità anche nel caso in cui l'intervento sia stato eseguito in modo
corretto, ove risulti provato (anche per presunzioni) che il paziente, se adeguatamente informato, non
avrebbe dato il consenso; l’omessa informazione integra gli estremi di un inadempimento di carattere
contrattuale, con conseguente responsabilità estesa all'interesse positivo, e in particolare si ritiene che in
questi casi il paziente abbia diritto ad essere risarcito anche nel caso in cui il danno conseguente alla lesione
del diritto all'autodeterminazione non sia imputabile a negligenza professionale.
SEZIONE V: DALLO STATUS AL CONTRATTO IN MATERIA DI FAMIGLIA
-Autonomia privata e rapporti familiari
L'autonomia privata ha un limitato campo di azione nell'ambito della famiglia, ad esempio nel caso del
matrimonio gli sposi possono decidere se sposarsi o meno ma non hanno la facoltà di modificare il regime
dei rapporti personali e patrimoniali dei coniugi (salvo il caso della scelta del regime della separazione dei
beni): in realtà questo stato di cose ha iniziato a modificarsi, in particolare negli Usa dove il matrimonio è
progressivamente meno una questione di stato ed è sempre più una questione di contratto, infatti si va
diffondendo l'abitudine degli sposi di regolare in modo dettagliato ogni aspetto patrimoniale e non del
rapporto.
Questo fenomeno in Italia è nelle sue fasi iniziali: la riforma del diritto di famiglia ha consentito ai nubendi
di regolare mediante convenzioni matrimoniali il regime patrimoniale della famiglia in virtù della scelta tra
comunione legale o separazione dei beni, sebbene si stia diffondendo la prassi di concludere apposite
convenzioni per regolare la crisi coniugale.
-Regime matrimoniale ed accordi tra i coniugi
Anche in Italia è possibile ravvisare una tendenza ad espandere il ruolo dell'accordo nell'ambito familiare:
un impulso in questa direzione è dato dalla riforma del diritto di famiglia che ha potenziato il ruolo
dell'accordo anche all'interno della famiglia, prevedendo che i coniugi sono chiamati a concordare tutte le
decisioni più importanti relative all'indirizzo della vita familiare, della residenza e con riferimento ai figli.
Si tratta di accordi che non possono essere definiti contratti in quanto versano in materia di rapporti di
carattere non patrimoniale, tuttavia l'esplicito riconoscimento di spazi di autonomia dei coniugi all'interno
della famiglia è sintomatico del fatto che non è possibile ravvisare una preclusione di fondo ad accordi volti
a regolare anche rapporti di carattere personale tra coniugi l'unico limite è costituito dal divieto di violare
norme imperative.

-Le convenzioni matrimoniali


L'operatività dell'autonomia privata nell'ambito di rapporti di natura patrimoniale che conseguono al
matrimonio si evince in particolare nel caso delle convenzioni matrimoniali, mediante cui i coniugi hanno
facoltà di regolare alcuni aspetti economici conseguenti al matrimonio in particolare i coniugi hanno la
facoltà di preferire al regime della comunione legale quello della separazione dei beni nonché di costituire
un fondo patrimoniale. In dottrina si è discusso in ordine all'esatta qualificazione delle convenzioni
matrimoniali in quanto sebbene il legislatore non utilizzi il termine contratto, prevale l'opinione secondo cui
le convenzioni matrimoniali siano dei veri e propri contratti e quindi soggette al regime contrattuale
ordinario: in questo senso si era espressa la corte cost, che aveva dichiarato l’art. 164 cc in contrasto con gli
artt. 3 e 24 Cost nella parte in cui non consentiva la prova della simulazione da parte di terzi. Sebbene il
legislatore abbia disciplinato le singole ipotesi di convenzioni matrimoniali prevale l'opinione che ritiene
che i coniugi possono stipulare anche convinzioni atipiche, salvo il rispetto del limite delle norme di
carattere imperativo ad esempio è vietata la costituzione di beni in dote, perciò si ha nullità degli accordi
che riconoscano al solo marito un potere di amministrazione e godimento elusivo dei beni della moglie
mentre sono leciti gli accordi con i quali i coniugi stabiliscono l'entità degli apporti reciproci alla vita
familiare. Un altro limite è quello ex art. 161 cc, che esclude la possibilità di determinare il contenuto del
contratto per relationem: NON è consentito rinviare in modo generico ad usi o altre legislazioni, ma occorre
il riprodurre in modo preciso il contenuto di queste disposizioni all'interno delle convenzioni in modo tale
da evitare ogni possibilità di dubbio. Le convenzioni devono essere stipulate personalmente e richiedono la
forma dell’atto pubblico e devono essere annotate a margine dell’atto di matrimonio; possono essere
stipulate in ogni tempo.
-Gli accordi di annullamento, di separazione e di divorzio
I coniugi possono regolare mediante accordo anche la crisi coniugale: si tratta di accordi finalizzati a
determinare l'entità dell'assegno di divorzio, che è considerato indisponibile in virtù di una sentenza della
Cassazione del 1981, con conseguente nullità dei relativi accordi intervenuti tra i coniugi, anche di carattere
transattivo; salva solo la possibilità per il giudice di tenerne conto in sede di determinazione giudiziale
prevale l'idea che si tratti di accordi nulli per illiceità dell'oggetto in quanto vertono in materia di diritti
indisponibili e contrastano con l'art. 9 l. div., che consente in ogni tempo di domandare alla revisione del
quantum e delle modalità di corresponsione dell'assegno di divorzio.
La dottrina si è espressa in senso favorevole all’ammissibilità di questi accordi, salva l’irrinunciabilità del
diritto agli alimenti e l'applicabilità della clausola rebus sic stantibus.
Il problema è quello dei diritti sottratti alla disponibilità delle parti: dopo alcune incertezze, è assodato che
le parti possano accordarsi in ordine alla corresponsione una tantum di un cespite patrimoniale come ad
esempio una somma di denaro; l'accettazione di un adempimento in una soluzione unica preclude ogni
eventuale futura pretesa di revisione dell'accordo, salvo che questo accordo venga sciolto per mutuo
dissenso. Qualche apertura sembra emergere dalla Cassazione, che ha chiarito che la nullità degli accordi di
divorzio,

essendo finalizzata a tutelare il contraente debole, non può essere fatta valere anche dall'altro coniuge per
sottrarsi all'adempimento degli obblighi assunti, salva la validità di eventuali transazioni relative ai rapporti
pregressi tra coniugi.
-La famiglia di fatto
La convivenza more uxorio può essere dovuta ad una scelta di vita da parte di persone che non intendono
vincolarsi giuridicamente o può essere una situazione temporanea, che tuttavia sta trovando sempre più
diffusione: questo crea una serie di problemi sia con riferimento ai rapporti di natura personale tra i
conviventi (in particolare i rapporti di natura patrimoniale), nonché con riferimento alla prole: il diritto in
alcuni casi ha equiparato la posizione dei conviventi di fatto quella dei coniugi veri e propri, ad esempio è
stato riconosciuto il diritto alla pensione di guerra anche alla donna convivente da almeno 1 anno con il
militare deceduto, la Corte Cost ha esteso il diritto di subentrare nella locazione dell'appartamento anche al
convivente, la Cassazione ha esteso al convivente il diritto a chiedere il risarcimento del danno in caso di
morte dell'altro convivente. In dottrina si discute se la disciplina di cui all'art. 230 bis cc possa trovare
applicazione anche con riferimento alle famiglie di fatto per molto tempo la giurisprudenza era orientata
in senso negativo e il convivente more uxorio che avesse collaborato all'impresa poteva usufruire
esclusivamente della tutela offerta dai rimedi restitutori ordinari; in tempi più recenti la giurisprudenza si è
espressa in senso favorevole all'applicazione estensiva della disciplina dell'impresa familiare anche alla
famiglia di fatto. Inoltre la giurisprudenza nel 2016 ritiene che le eventuali attribuzioni effettuate in
costanza di rapporto da un convivente a favore dell’altro possono risultare irripetibili in quanto
adempimento di obbligazioni.
Sebbene il legislatore e la giurisprudenza abbiano equiparato la posizione dei conviventi di fatto a quella dei
coniugi, sarebbe un errore ritenere che queste posizioni possono essere completamente equiparabili, in
quanto chi opta per la convivenza di fatto dimostra di non voler essere soggetto a vincoli anche di carattere
giuridico, quindi sarebbe un controsenso estendere la disciplina dei rapporti personali e patrimoniali a
questi soggetti il problema è tuttavia quello di tutelare l'eventuale parte più debole del rapporto in
particolare sotto il profilo economico: ci si domanda quale valore sia possibile attribuire ad eventuali
accordi intervenuti tra conviventi more uxorio per disciplinare i loro rapporti di natura personale e
patrimoniale non c'è dubbio che le eventuali clausole limitative della libertà personale dei conviventi,
consistenti in obblighi di convivenza, di assistenza reciproca, di prestazioni sessuali... sarebbero nulle per
illiceità bilaterale e soggette all'applicazione dell'art. 2035 cc; più sfumato è il discorso relativo delle
eventuali clausole di natura patrimoniale finalizzate a disciplinare la convivenza sotto il profilo economico
secondo l'opinione maggioritaria queste clausole si possono ritenere valide purché conformi ai principi di
reciprocità e di giustizia commutativa.
-Le unioni omosessuali
Per quanto concerne il discorso con riguardo a forme di convivenza tra persone dello stesso sesso, sono
state avanzate rivendicazioni a favore di un riconoscimento anche sul piano legale dell’unione ma queste
rivendicazioni si sono scontrate con tutta una serie di

resistenze va comunque osservato che la giurisprudenza in diverse occasioni ha sollevato questioni di


legittimità costituzionale con riferimento alle norme che limitano la celebrazione del matrimonio solo tra
persone di sesso diverso in quanto ritenute lesive del diritto fondamentale di sposarsi, anche se comunque
in questo quadro la giurisprudenza ha considerato legittimo il rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile alla
richiesta di trascrizione di un matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso.
Sempre in questo quadro la cassazione ha disposto l’affidamento di un bambino alla madre, la quale è
legata da stabile relazione omosessuale con altra donna; inoltre la giurisprudenza ha ritenuto che il
riconoscimento dello stato di filiazione in capo al minore che risulti figlio di 2 madri secondo i registri dello
stato civile spagnolo non è contrario all’ordine pubblico. Infine va osservato che la corte Edu ha condannato
l’Itali per violazione dell’art. 8 Cedu per la mancata previsione di un quadro legale che riconosca a tuteli
l’unione omosessuale.
SEZIONE VI: LE UNIONI CIVILI
-La nuova disciplina delle unioni civili, delle convivenze di fatto e dei contratti di convivenza Il parlamento
nel 2016 ha approvato la l. 76/2016 che regola le unioni civili e le convivenze in particolare la legge
prevede:
1) una parte dedicata alla disciplina dell’unione civile, intesa come unione tra persone dello stesso sesso
2) una parte dedicata alla convivenza di fatto
-L’unione civile
Ai sensi dell’art. 1 comma 1 l. cit. la legge istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale
specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2-3 cost; il legislatore non richiede specificamente che i 2
soggetti siano omosessuali, di conseguenza l’unione civile può essere costituita anche tra persone
eterosessuali, purché dello stesso sesso e conviventi, senza ulteriori requisiti.
2 persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte
all’ufficiale dello stato civile e alla presenza di 2 testimoni.
Il legislatore indica le varie cause impeditive dell'unione civile tra cui la sussistenza di un vincolo
matrimoniale e l'interdizione; il comma 7 precisa che l'unione civile può essere impugnata anche dalla parte
il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità determinato da
cause esterne alla parte stessa nonché nei casi di errore sull'identità della persona o di errore essenziale su
qualità personali dell'altra parte- -> l'errore sulle qualità personali viene qualificato come essenziale qualora
si accerti che la stessa parte non avrebbe prestato il suo consenso se avesse esattamente conosciuto le
condizioni e purché l'errore riguardi l'esistenza di una malattia fisica o psichica tale da impedire lo
svolgimento della vita comune nonché le altre circostanze previste dalla legge. In virtù dell'unione civile le
parti acquisiscono gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri, in particolare dall'unione civile deriva
l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione mentre non viene previsto l'obbligo
di fedeltà e inoltre entrambe le parti sono tenute ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alle proprie
capacità di lavoro professionale o casalingo a contribuire ai bisogni comuni.
In mancanza di diversa indicazione il regime dell'unione civile è costituito dalla comunione dei beni e le
parti non possono però derogare né ai diritti né ai doveri previsti ex lege.
Va osservato che il comma 20 estende all'unione civile la maggior parte delle disposizioni che si riferiscono
al matrimonio previste nelle leggi speciali con esclusione delle norme del codice civile non espressamente
richiamate nonché delle disposizioni relative alla legge sull'adozione con questa formula il legislatore da
un lato non ha voluto prendere apertamente posizione a proposito dell'adozione da parte delle coppie
dello stesso sesso e dall'altro lato ha fatto salvo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle
norme vigenti, che di fatto legittima alcune aperture giurisprudenziali a riguardo.
Per quanto riguarda le successioni a causa di morte viene richiamata la disciplina dell'indegnità, quella dei
legittimari, delle successioni legittime nonché del patto di famiglia. Per quanto riguarda lo scioglimento
dell'unione civile questa si verifica in caso di morte o dichiarazione presunta di una delle parti dell'unione
nonché quando le parti hanno manifestato, anche disgiuntamente, la volontà di scioglimento innanzi
all'ufficiale dello stato civile.
-La convivenza di fatto
Per conviventi di fatto si intendono 2 persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e
di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione
nonché da matrimonio o unione civile; si tratta in ogni caso di categoria residuale rispetto a quelle del
matrimonio e dell'unione civile e inoltre si deve considerare che risultano escluse dalla disciplina positiva le
convivenze di solidarietà, come ad esempio quando più fratelli continuano a vivere nella stessa casa dopo la
morte dei genitori.
I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti che spettano al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento
penitenziario e in caso di malattia o ricovero e conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita e
assistenza; inoltre ciascun convivente può designare l'altro come suo rappresentante con poteri pieni
limitati in caso di malattia che comporta incapacità di intendere o di volere nonché in caso di morte per
quanto riguarda la donazione di organi, modalità di trattamento del corpo e celebrazioni funerali.
In caso di morte del proprietario della casa di comune residenza convivente superstite ha diritto di
continuare ad abitare nella casa per 2 anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a 2 anni e
comunque non oltre i 5 anni; laddove nella stessa casa coabitano figli minori o figli disabili del convivente
superstite costui ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non
inferiore a 3 anni ma questo diritto viene in ogni caso meno qualora il convivente superstite cesta di abitare
stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, unione civile o nuova convivenza.
In caso di decesso derivante da fatto illecito di un terzo ai fini della quantificazione del danno a trovano
applicazione agli stessi criteri previsti per il risarcimento del danno al coniuge superstite; infine in caso di
cessazione della convivenza di fatto il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro
convivente gli alimenti qualora questo si trova in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al
proprio mantenimento in questi casi gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata
della convivenza.

-Il contratto di convivenza


Il legislatore disciplina anche il contratto di convivenza, in particolare i conviventi di fatto possono
disciplinare i rapporti relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza
questo contratto, le sue modifiche e la risoluzione sono redatti in forma scritta a pena di nullità con atto
pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne attestano
la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico; ai fini dell'opponibilità ai terzi il professionista
che ha ricevuto l'atto in forma pubblica deve trasmetterne e copia al comune di residenza dei conviventi
per l'iscrizione all'anagrafe.
Il contratto indica l'indirizzo a cui inviare le comunicazioni inerenti allo stesso contratto e può contenere
anche l'indicazione della residenza, le modalità di contribuzione alla vita in comune, il regime patrimoniale
della comunione dei beni; il contratto non può essere sottoposto a termini o condizioni ed è colpito da
nullità insanabile se concluso da persona già legata ad altro soggetto, se concluso da un minore...
Il contratto si scioglie per accordo tra le parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra un
convivente ed altra persona nonché per la morte di uno dei contraenti.
SEZIONE VII: CONTRATTO E SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE
-I patti successori
Tradizionalmente si ritiene che il contratto non possa avere nulla a che fare con la trasmissione della
richiesta per causa di morte, salva l'ammissibilità della donazione.
Le successioni possono aver luogo per legge o per testamento: ai sensi dell'art. 457 comma 2 cc non si fa
luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria. Una terza
alternativa è costituita dalle successioni contrattuali, ossia quelle disposte mediante contratto la
possibilità di regolare le successioni in virtù di contratto è tipica della tradizione germanica e infatti i patti
successori assunsero notevole rilevanza specialmente nel corso del Medioevo, quando era ammessa la
possibilità di disporre dei propri beni dopo la morte anche in virtù di accordi di natura contrattuale.
I patti successori tuttavia non superarono la rivoluzione francese e infatti nel codice civile francese sono
stati vietati in quanto si temeva che tramite accordi successori o rinuncia all'eredità fosse possibile
derogare al principio di divisibilività in parti uguali dell'eredità questo divieto è presente anche nel codice
civile italiano all'art. 458 cc. I patti successori sono di 3 tipi:
patti successori istitutivi: sono quelli in virtù dei quali si dispone della propria successione a favore di
qualcuno in vita mediante contratto. Si ritengono nulli in quanto contrastano con il principio fondamentale
di revocabilità delle disposizioni testamentarie fino all'ultimo istante di vita
patti successori dispositivi: sono quelli in virtù dei quali si dispone di una successione che si deve ricevere
a favore di un'altra persona
patti successori rinunciativi: patti in virtù dei quali un probabile erede rinuncia a favore di altri dell’eredità
Non sono altresì consentite le donazioni mortis causa, ossia le attribuzioni a titolo gratuito effettuate in vita
ma destinate a diventare efficacia solo a partire dal momento della morte del donante; è invece ammessa
la validità della donazione si premoriar, ossia sottoposte alla condizione sospensiva che il donante muoia
prima del donatario.
-Le successioni anomale
Il divieto dei patti successori ha ragioni storiche che consistono nella possibilità per il de cuius di privarsi già
in vita della facoltà di disporre in ordine alla sua successione, nonché derogare ai principi inderogabili che
operano in materia di successioni, come ad esempio il divieto dei testamenti congiunti o reciproci in tempi
recenti questo che divieto è stato oggetto di critiche da parte della dottrina, che ha osservato come questo
divieto non opera in altre tradizioni giuridiche e inoltre si è considerato come il testamento non sempre
consenta di soddisfare pienamente le esigenze del de cuius di regolare il fenomeno successorio in
conformità ai suoi interessi: in particolare in campo imprenditoriale c’è l’esigenza del de cuius di
predisporre un assetto idoneo già durante la sua vita, in modo da poter anticipare in qualche misura gli
effetti della successione, al fine di controllare l’idoneità del designato in questa prospettiva occorre
rivalutare la possibilità di rivalutare la possibilità di regolare il fenomeno successorio in virtù dei contratti e
a questi fini occorre tener presenti 3 finalità:
1. che il bene esca dal patrimonio del beneficiante prima della sua morte
2. che il trasferimento a favore del beneficiario avvenga definitivamente solo dopo la
morte del beneficiario, salva una possibile anticipazione degli effetti
3. che il beneficiante abbia la possibilità di revocare il suo atto di disposizione prima
della morte
A questi fini vi sono varie figure contrattuali previste nel codice:
⃞ contratto a favore di terzo il codice contempla la possibilità che vengano stipulate prestazioni a favore del
terzo da effettuarsi dopo la morte dello stipulante
⃞ donazione la giurisprudenza ammette la possibilità della donazione si premoriar
⃞ mandato ai sensi dell'art. 1722 n. 4) cc il mandato si estingue per morte del mandante e la dottrina
concorda sul carattere meramente dispositivo di questa norma, pertanto ne consegue l’ammissibilità del
mandato da estinguersi dopo la morte del mandante ne consegue l’invalidità del mandato finalizzato a
realizzare un’attribuzione per causa di morte, mentre è invece valido il mandato che deve essere eseguito
dopo la morte
⃞ contratti fiduciari in Italia il contratto fiduciario ha rilevanza meramente obbligatoria, anche se vanno
diffondendosi le società di intermediazione mobiliare, che hanno la funzione di amministrare
fiduciarimente valori mobiliari
⃞ fondazione l’atto di fondazione consente di destinare il proprio intero patrimonio o una sua parte al
perseguimento di uno scopo di pubblica utilità; l’atto di fondazione

costituisce un atto di disposizione a titolo gratuito e come tale è suscettibile di riduzione da parte dei
legittimari
⃞ società con opportune clausole che ne consentano la continuazione in capo ai successori per causa di
morte
Tutte queste ipotesi non sono utili per chi prospetta regolare in modo atipico la sua successione mediante
strumenti di natura contrattuale.
SEZIONE VIII: PATTO DI FAMIGLIA
-Il patto di famiglia tra passato e avvenire
Il patto di famiglia si inserisce in un ordinamento ancora caratterizzato dal divieto dei patti successori ed
alle successioni necessarie: l'introduzione della disciplina del patto di famiglia ha costituito il primo passo
per avviare a soluzione il problema del passaggio generazionale delle piccole e medie imprese, pur nel
rispetto della tradizione e in particolare del divieto dei patti successori e della disciplina delle successioni
necessarie; nulla è previsto con riferimento alla famiglia di fatto, anche se una parte della dottrina ritiene
applicabile in istituto anche alla famiglia non fondata sul matrimonio.
-La natura del patto
Ai sensi dell’art. 768 bis cc è patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in
materia di impresa familiare e nel rispetto delle diverse tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in
tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte le proprie
quote ad uno o più discendenti si discute sulla natura giuridica di questo patto:
secondo una parte della dottrina si tratta di una donazione modale
secondo altri si tratta invece di una fattispecie di contratto a favore del terzo altri ancora ritengono
trattarsi di un contratto di divisione
Sembra tuttavia preferibile riconoscere la natura atipica dell'istituto, che costituisce una nuova fattispecie
contrattuale specificamente disciplinata dal legislatore trattandosi di atto inter vivos di natura
contrattuale diverso dalla donazione, in linea di principio occorre escludere l'applicabilità delle norme
previste in materia di donazioni.
-Patto di famiglia e revocatoria
L'atto di attribuzione da parte del disponente è suscettibile di revocatoria ordinaria e fallimentare; diverso
è il discorso con riferimento alla liquidazione dei legittimari da parte dell'assegnatario gli autori che
ravvisano nel patto di famiglia un contratto a favore di terzo considerano tale liquidazione a titolo oneroso:
in realtà sembra più appropriato il riferimento alla proprietà fiduciaria in questa prospettiva l'assegnatario
diventa titolare del cespite MA con l'obbligo di ritrasferire parte del valore economico ricevuto a favore dei
legittimari, pertanto ne consegue che i creditori dell'assegnatario potranno avanzare pretese solo nei limiti
della quota dell'azienda che compete alla loro debitore.
-La funzione del patto

La funzione del patto è quella di consentire all'imprenditore di ricercare una soluzione che consente il
passaggio generazionale dell'impresa senza traumi e senza dover attendere l'apertura della successione.
-Le trattative
Il patto di famiglia può essere preceduto da trattative, con conseguente configurabilità di forme di
responsabilità precontrattuale la conclusione del contratto può in linea di principio essere preceduta dalla
conclusione di un preliminare; in generale il patto tollera l’apposizione di termini e di condizioni è
sicuramente ammissibile il termine iniziale mentre si discute se possa essere ammesso anche il termine
finale, considerando che in caso contrario si darebbe vita a forme di proprietà temporanea in casi non
previsti dalla legge. Trattandosi di atto inter vivos, in caso di impossibilità ed illiceità della condizione trova
applicazione l'art. 1354 cc.
-L'imprenditore
Il patto di famiglia è concluso da un imprenditore che trasferisce in tutto o in parte dell'azienda: a prima
vista sembra che il legislatore abbia voluto far riferimento alla nozione tecnico-giuridica di imprenditore di
cui all'art. 2082 cc ma questa soluzione è stata contestata in base alla considerazione che se così fosse
bisognerebbe escludere i casi in cui viene trasferita un’azienda concessa in locazione, in comodato o in
usufrutto. In linea di principio non può escludersi che l'imprenditore ceda solo la nuda proprietà
riservandosi il diritto di usufrutto oppure che ceda la nuda proprietà a un discendente e il diritto di
usufrutto a un altro discendente; si discute se possa conservare la nuda proprietà e cedere solo il diritto di
usufrutto. In caso di premorienza dell'usufruttuario, l'intera proprietà dell'azienda si riconsoliderebbe in
capo all'imprenditore, rendendo inutile la stipulazione del contratto mentre in caso di premorienza
dell'imprenditore il diritto di nuda proprietà entrerebbe a far parte a pieno titolo della sua successione.
-L'assegnatario
Il legislatore si limita a stabilire che l'azienda può essere trasferita a uno o più discendenti, pertanto non
deve per forza trattarsi di un figlio ma potrebbe trattarsi anche di un nipote e non è nemmeno richiesto che
il discendente sia già maggiorenne o comunque capace di gestire l'azienda, salva la necessità che costui sia
nato. Non è prevista la possibilità di trasferimento a favore del coniuge o di soggetti terzi.
L'assegnazione dell'azienda non pregiudica il diritto del discendente di accettare o non accettare l'eredità
del disponente qualora costui si ha chiamato a succedere.
-I legittimari
Ai sensi dell'art. 768 quater si prevede che al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro
che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore:
parte della dottrina intende in senso letterale questa norma, non potendo prescindere dalla
partecipazione di tutti i potenziali legittimari al fatto, pertanto la mancata partecipazione anche di 1 solo
dei legittimari potrebbe comportare la nullità del patto
altri autori ritengono che ci sia un contrasto tra l'art. 768 quater e l'art. 768 sexies cc, che regola
espressamente la posizione del coniuge o dei legittimari che non abbiano preso parte al patto e in questa
prospettiva l'art. 768 sexies cc non dovrebbe essere limitato ai soli legittimari sopravvenuti ma anche a
quelli che non abbiano preso parte al patto
La soluzione più rigorosa è quella che richiede la necessaria partecipazione al fatto di tutti i potenziali
legittimari, con conseguente limitazione di quanto disposto dall'art. 768 sexies cc ai soli legittimari
sopravvenuti, ossia i figli nati o riconosciuti in un momento successivo oppure il nuovo coniuge in questa
prospettiva sarebbe sufficiente il solo rifiuto o di impossibilità di reperire un legittimario per rendere
impossibile la conclusione del patto e questa soluzione appare eccessivamente restrittiva: secondo parte
della dottrina la mancata partecipazione di qualche legittimario non impedirebbe la conclusione del fatto
ma semplicemente lo renderebbe inopponibile nei confronti dei non partecipanti. Un'altra soluzione
potrebbe consistere nel ritenere che ai fini della necessaria partecipazione dei legittimari sia sufficiente il
loro potenziale coinvolgimento in virtù della notificazione della lettera di convocazione e ove qualche
partecipante non si presenti non potrebbe poi opporsi alla conclusione del patto anche questa soluzione
non convince in quanto il diritto dei legittimari a partecipare alla redazione del patto non può essere ridotto
in un mero diritto a ricevere un invito a partecipare.
In senso contrario alla necessaria partecipazione di tutti i legittimari è possibile considerare che in virtù del
recesso di un legittimario il n° dei partecipanti al patto potrebbe ridursi, senza che questo determini
necessariamente la caducazione del patto piuttosto la posizione del legittimario recedente dovrà essere
assimilata a quella dei legittimari esistenti ma non partecipanti. In questa prospettiva quindi più che di
nullità sembra preferibile parlare di inefficacia relativa e di non opponibilità del patto nei confronti dei
legittimari esistenti ma non partecipanti, perciò la mancata partecipazione può essere sanata in un
momento successivo in virtù dell'adesione tardiva. Non si può escludere che in mancanza di legittimari il
patto possa comunque essere concluso tra il disponente e l'assegnatario.
In caso di nullità il patto potrebbe inoltre convertirsi in donazione, purché ne presenti i requisiti di sostanza
e di forma; nulla è disposto con riferimento ai legittimari concepiti, anche se secondo parte della dottrina
costoro avrebbero diritto a partecipare al patto, tenuto conto della loro capacità a succedere laddove si
aderisse a questo orientamento in sede di stipula del patto dovrebbe essere previsto un meccanismo di
riconteggio delle quote con riferimento all'eventualità che i concepiti non dovessero nascere oppure può
poi trovare applicazione l'art. 768 sexies cc.
-L’oggetto

Qualche dubbio interpretativo è sorto con riferimento all'oggetto del patto di famiglia in quanto il
legislatore parla di trasferimento in tutto o in parte dell'azienda questo significa che il trasferimento può
essere anche solo parziale e riferirsi a un ramo di azienda: l’unico limite è costituito dall’effettiva idoneità
del complesso di beni trasferiti a integrare gli estremi di un’azienda ne consegue l’impossibilità di
trasferire al solo singoli beni aziendali.
Il legislatore per favorire la continuità dell'attività di impresa nonostante il passaggio generazionale fa
riferimento ad una realtà aziendale completa in tutti i suoi elementi, nonché concretamente funzionante,
pertanto ne consegue l'impossibilità che il patto di famiglia possa avere ad oggetto un'azienda in corso di
creazione. Qualche dubbio è sorto con riferimento alle partecipazioni sociali: ci si chiede se qualsiasi titolare
di partecipazioni sociali possa stipulare il patto oppure se si tratti di un’opportunità riservata solo ai titolari
di partecipazioni che in via di diritto o di fatto consentono il controllo della società ove si consideri che la
funzione del patto di famiglia è quella di consentire all'imprenditore di trasferire il controllo dell'azienda un
successore sembra preferibile l'opinione restrittiva, sebbene non manchino autori che preferiscano diversa
soluzione. Si discute se in questi casi o opera o meno il diritto di prelazione di cui all'art. 230 bis cc
l'opinione prevalente lo esclude, in base alla considerazione che il trasferimento in sede di patto di famiglia
a luogo a titolo gratuito.
-La forma
Ai sensi dell'art. 768 ter cc il patto di famiglia a pena di nullità deve essere concluso per atto pubblico: ci si è
chiesti se occorra o meno la partecipazione di 2 testimoni come previsto per le donazioni: nonostante parte
della dottrina si sia espressa in senso favorevole alla necessità della partecipazione dei testimoni, sembra
tuttavia preferibile la soluzione negativa, in quanto la partecipazione anche del coniuge e dei legittimari
può rendere inutile la presenza di terze persone come testimoni.
-La rappresentanza
Si discute se in materia di patto di famiglia sia consentita la rappresentanza occorre distinguere a seconda
dei soggetti che possono intervenire:
per quanto riguarda il disponente il dubbio è che si tratti di un atto personalissimo, con riferimento al
quale sarebbe esclusa la rappresentanza; tuttavia pur trattandosi di un atto che in parte può anticipare il
fenomeno successorio non può essere equiparato al testamento, pertanto è possibile che il disponente si
possa far rappresentare nella redazione del l’atto
per quanto riguarda gli assegnatari dei legittimari, costoro possono farsi rappresentare alla conclusione
del patto
-La liquidazione
Ai sensi dell'art. 768 quater comma 2 cc gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono
liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinuncino in tutto o in parte, con il pagamento
di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli artt. 536 ss cc si tratta in questo caso
dell'attribuzione di un bene ad un

discendente, con la conseguente necessità di regolare in via anticipata la liquidazione degli altri legittimari,
pertanto chi riceve il bene dovrà liquidare agli altri partecipanti al contratto una somma corrispondente al
valore delle quote.
La fattispecie presenta delle affinità con la divisione di un immobile non divisibile ai sensi dell’art. 718 cc
ciascuno dei coeredi ha diritto alla sua parte in natura dei beni mobili e immobili dell'eredità: tuttavia ciò
non è sempre possibile in quanto ci sono beni che non possono essere facilmente divisi (come nel caso
dell'azienda) e i beni non facilmente divisibili possono essere attribuiti per intero ad uno dei coeredi, salvo il
diritto degli altri ad ottenere un conguaglio in denaro oppure se nessuno dei coeredi è disposto opera la
vendita all'incanto e il ricavato verrà ripartito tra tutti gli aventi diritto.
L'azienda è un tipico esempio di bene indivisibile ove l'assegnatario sarà tenuto ad effettuare i necessari
conguagli, sebbene nei limiti della quota indisponibile in questo senso si tratta di una fattispecie che
presenta punti di contatto con la divisione di un cespite indivisibile; trattandosi di un atto per certi versi
divisionale, la determinazione del valore dell'azienda non è atto di autonomia ma occorre procedere ad una
stima il più possibile oggettiva del valore dell'azienda, in modo tale che su queste basi possa aver luogo
l'individuazione delle quote che competono ai legittimari; la determinazione del valore dell'azienda
riverbera i suoi effetti anche nei confronti di soggetti terzi quali i legittimari sopravvenuti, e costoro hanno
diritto a percepire al tempo dell'apertura della successione la stessa somma prevista dall'art. 768 quater
comma 2 cc, con la sola maggiorazione costituita dagli interessi legali in questa prospettiva se il valore
dell'azienda venisse sottostimato i legittimari sopravvenuti potrebbero subire un danno, mentre qualora
venisse sovrastimato potrebbero ricevere un arricchimento senza giusta causa: in caso in cui il valore delle
quote sia stato sovrastimato potrebbero essere i soggetti obbligati a liquidare i legittimari sopravvenuti ad
auspicare un riconteggio del valore delle quote e ove la sovrastima sia stata voluta potrebbe trattarsi di
donazione indiretta. La determinazione del valore dell'azienda deve aver luogo con riferimento al tempo
della stipulazione del patto.
La liquidazione può aver luogo per equivalente o in natura: si tratta di un'applicazione particolare della
prestazione in luogo di adempimento, sempre possibile purché ci sia il consenso dell'avente diritto alla
prestazione; potrebbe anche trattarsi di una novazione nel caso in cui le parti si limitano a sostituire
all'obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto diverso.
Il legislatore fa salva la possibilità che i legittimari rinuncino in tutto o in parte alla liquidazione non si
tratta di remissione del debito; in caso di rinuncia non ha luogo rappresentazione né imputazione alla
legittima. La rinuncia può arricchire l’assegnatario dell’azienda liberandolo dall’obbligo di effettuare la
liquidazione e va fatta mediante atto pubblico. La rinuncia può essere anche solo parziale e può anche
essere successiva alla stipulazione del patto.
Ai sensi dell’art. 768 quater comma 2 cc i beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non
assegnatari dell'azienda, secondo il valore attribuito incontrato, sono imputati alle quote di legittima loro
spettanti:
secondo un primo orientamento dottrinale la norma si limiterebbe a precisare che i beni attribuiti
all'assegnatario dell'azienda a titolo di liquidazione ai legittimari devono essere imputati alla loro quota di
legittima e inoltre si precisa che sebbene il legislatore sembra riferirsi ai soli beni attribuiti in natura, non c'è
ragione per non estendere la disposizione anche alle somme di denaro attribuite ai legittimari
secondo altro orientamento la norma non potrebbe riferirsi ai beni liquidati dall’assegnatario, tenuto
conto della specifica previsione della fattispecie da parte dell'art. 768 quater comma 2 cc, quanto piuttosto
alla devoluzione diretta da parte del disponente di altri beni ai legittimari per compensare l’attribuzione
dell'azienda a favore dell'assegnatario
Nulla può impedire al disponente di fornire lui stesso la liquidità/i beni necessari per soddisfare i legittimari:
si tratterebbe di un'ulteriore attribuzione di tipo donativo effettuata dal disponente a favore
dell'assegnatario, della quale non sarebbe possibile non tenere conto in sede di apertura della successione.
La liquidità o i beni necessari per liquidare i legittimari potrebbero essere forniti anche dal coniuge o da un
terzo estraneo e in questo caso si tratterebbe di donazioni a favore dell'assegnatario.
Nulla è detto con riferimento all'imputazione dell'azienda attribuita dall’assegnatario in quanto
l’assegnatario deve essere un discendente ma non necessariamente un legittimario e ove l'assegnatario sia
un legittimario non c'è ragione per non ritenere che l'azienda trasferita debba essere imputata alla sua
quota di legittima.
L'art. 768 quater comma 3 stabilisce che l'assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto
che sia espressamente collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno
partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti la norma prevede l'eventualità che la
liquidazione abbia luogo in un momento successivo in virtù di un secondo patto collegato al primo; in
dottrina ci si è chiesti se anche la determinazione del valore dell'azienda possa essere effettuata in un
momento successivo e ove si consideri che il valore dell'azienda può modificarsi nel corso del tempo
sembra preferibile che tale valore risulti determinato fin da subito.
Se la liquidazione ha luogo in virtù di un contratto successivo occorre che a questo prendano parte gli stessi
soggetti che hanno partecipato al patto o quelli che li hanno sostituiti parte della dottrina interpreta
restrittivamente questa norma, limitando il diritto di partecipazione ai soli in legittimari del deceduto, con
esclusione degli eredi non legittimari. La dichiarazione del collegamento deve essere espressa non è chiaro
quali siano le conseguenze della mancanza di tale dichiarazione espressa di collegamento: secondo parte
della dottrina si tratta di un requisito formale la cui mancanza determina l'invalidità del contratto
successiva mentre altro orientamento ritiene che la mancanza di dichiarazione espressa impedisce solo che
possa essere ravvisato il collegamento. Nulla è detto in ordine

alla forma del contratto successivo, anche se appare preferibile che questo rivesta la forma dell'atto
pubblico.
-La riqualificazione delle donazioni precedenti
Il legislatore non ha previsto una disciplina transitoria con riferimento alle donazioni di azienda
precedentemente effettuate, pertanto ci si chiede se sia possibile attrarre nell'alveo del patto di famiglia
quanto già disposto in precedenza mediante donazione:
i. una prima soluzione consiste nello sciogliere per mutuo dissenso la donazione, con conseguente
retrocessione dell'azienda in capo al disponente
ii. una seconda soluzione consiste nel riqualificare la donazione effettuata come patto di famiglia, con la
conseguente liquidazione dei legittimari
-Patto di famiglia e comunione dei beni
Problemi sorgono quando il disponente sia in regime di comunione di beni con la moglie, in particolare nel
caso in cui l'azienda sia stata costituita dopo il matrimonio sia stata gestita da entrambi i coniugi: in questi
casi il trasferimento può aver luogo solo con il rispetto delle procedura previste ex lege.
-L'impugnazione
Ai sensi dell'art. 768 quinquies cc il patto può essere impugnato dai partecipanti ai sensi degli artt. 1427 ss
cc si tratta di un rinvio alla disciplina generale dei vizi del consenso, errore, dolo e violenza. L'unica
peculiarità di rilievo consiste nel fatto che l'azione si prescrive nel termine di 1 anno.
Nulla è previsto con riferimento all'impugnazione per incapacità:
> secondo alcuni autori questo è dovuto al fatto che la partecipazione del notaio sarebbe sufficiente a
scongiurare il rischio che il patto possa essere concluso con la partecipazione di un soggetto incapace; in
ogni caso il fatto è soggetto al normale regime di impugnazione per i contratti stipulati dal soggetto
incapace. Nulla è previsto con riferimento al decorso del termine di prescrizione
Il patto annullabile è altresì suscettibile di convalida; il legislatore non ha previsto la rescissione per lesione
del patto e in questo potrebbe ravvisarsi una volontà del legislatore di blindare il più possibile il patto,
limitando al minimo le possibilità di impugnazione. Per quanto riguarda la nullità trova applicazione il
regime generale previsto dal codice, perciò il patto nullo potrebbe convertirsi in una donazione o vene
presenti i requisiti di forma e di sostanza.
-I legittimari sopravvenuti
Il legislatore non poteva non contemplare la possibilità che venissero alla luce legittimari sopravvenuti
come ad esempio il caso di un nuovo coniuge o di un figlio nato successivamente la sopravvenienza dei
legittimari non intacca la stabilità del patto, salvo il diritto di questi ultimi ad ottenere la liquidazione del
valore della

loro quota in base al valore stabilito in sede di conclusione del patto: si tratta di una disciplina che può
essere oggetto di discussione anche sotto il profilo della legittimità costituzionale, in particolare con
riferimento alla disparità di trattamento che si viene a creare tra legittimari partecipanti al patto e quelli
sopravvenuti in quanto questi ultimi si trovano a dover subire una decisione presa da altri senza possibilità
di poterla discutere. Ove si aderisse all'opinione secondo cui la determinazione del valore delle quote non è
atto di autonomia ma deve aver luogo in base a stima si riduce il rischio di abusi a danno dei legittimari
sopravvenuti se il valore dell'azienda diminuisce, la fissazione del valore con riferimento al tempo della
stipula si risolve a favore dei legittimari sopravvenuti, che vengono liberati dal rischio di un peggioramento
della situazione aziendale; se invece il valore dell’azienda aumenta i legittimari sopravvenuti non possono
comunque parteciparvi.
Ci si chiede chi siano i soggetti tenuti a liquidare i legittimari sopravvenuti: secondo l'opinione preferibile
quest’obbligo sembra gravare su tutti i beneficiari del contratto secondo quanto prescritto dal legislatore,
in quanto la sopravvenienza di un legittimario determina la necessità di un totale riconteggio del valore
delle quote. Il legislatore se da un lato contempla la possibilità che sopravvengano nuovi legittimari tuttavia
non contempla la possibilità in cui venga meno la qualifica di legittimario in questi casi sembra preferibile
ritenere che le somme attribuite in sede di conclusione del patto non possano più essere oggetto di
restituzione, neppure nel caso che muoia un legittimario o il disponente si risposi; è preferibile ritenere che
quanto attribuito con il patto non possa più essere rimesso in discussione, salva l'ipotesi della
sopravvenienza di altri legittimari.
-La revoca
Ci si è chiesti se si possa applicare al patto di famiglia la disciplina della revoca delle donazioni per
sopravvenienza di figli e per ingratitudine: per quanto riguarda la sopravvenienza di figli la risposta è
negativa in quanto opera il regime speciale dei legittimari sopravvenuti (anche se parte della dottrina
ritiene si possa operare l'istituto della revoca). Per quanto riguarda invece l’ingratitudine non essendo il
patto di famiglia una donazione questa non può essere oggetto di revoca per tale motivo, anche se parte
della dottrina appare favorevole ad ammetterne l'applicabilità.
-Lo scioglimento e il recesso
Il legislatore prevede la possibilità che il patto possa essere sciolto o modificato dalle stesse persone che lo
hanno concluso non è specificatamente contemplata la possibilità che all'accordo di scioglimento o
modificativo prendano parte anche i soggetti che hanno sostituito le parti originarie mentre è esclusa la
partecipazione dei legittimari sopravvenuti. Nulla è previsto con riferimento alla forma che deve avere
l'atto di scioglimento o di modificazione anche se per il principio di simmetria dovrebbe essere la forma
dell'atto pubblico.
È prevista la possibilità del diritto di recesso normalmente questa facoltà spetta al disponente al fine di
assicurargli la possibilità di un eventuale ripensamento fino all'ultimo momento, tuttavia nulla impedisce
che questo diritto venga previsto anche per

l'assegnatario o i legittimari (non necessariamente il recesso del legittimario determina lo scioglimento del
patto, piuttosto il legittimario che recede si troverà nella posizione dei legittimari che non hanno
partecipato, con possibilità di aderirvi nuovamente o di far valere i suoi diritti dopo l'apertura della
successione); in ogni caso il diritto di recesso deve essere previsto in modo espresso dal patto di famiglia ed
esercitato in virtù di una dichiarazione certificata da un notaio e rivolta agli altri contraenti.
-La conciliazione
Eventuali controversie sono devolute in via preliminare a un organismo di conciliazione ai sensi dell'art. 768
octies cc.

CAPITOLO 4: I TIPI CONTRATTUALI


SEZIONE I: I TIPI CONTRATTUALI
-Tipicità e atipicità dei contratti
La tipicità e il formalismo all'inizio svolgevano la funzione di distinguere la sfera del giuridicamente rilevante
da quella dotata di rilevanza solo sul piano sociale; con l'evoluzione si è superato il principio della tipicità sia
per quanto riguarda la materia contrattuale sia per quanto riguarda i fatti illeciti.
Il diritto moderno (in particolare il codice civile francese) ha accolto le istanze giusnaturalistiche in materia
di contratti, ritornando invece al principio di tipicità per quanto riguarda la materia dei diritti reali secondo
Astuti il diritto moderno non avrebbe mai completamente superato il principio di tipicità dei contratti in
quanto la pratica evidenzia la tendenza a tipizzare e ricondurre i contratti atipici nelle figure codificate.
Nonostante il diritto moderno sia orientato nel senso della atipicità, tuttavia questa tendenza non si è
affermata in ogni settore del diritto privato, in quanto il principio di tipicità opera anzitutto in materia di
diritti reali e anche per quanto riguarda la materia delle promesse unilaterali, delle successioni per causa di
morte, del diritto di famiglia e in materia societaria.
-I tipi contrattuali
Partendo dai tipi contrattuali ci si chiede quale possa essere la loro funzione, in specie ove si consideri che
ci sono ordinamenti in cui emerge una tipizzazione legislativa dei contratti inferiore rispetto a quella
continentale il codice civile italiano disciplina un certo n° di contratti tipici e, sebbene questi contratti
siano disciplinati, la loro origine non è costituita dal codice e dalla legge: infatti i tipi contrattuali sono frutto
di un'elaborazione secolare di schemi elaborati dalla prassi ed è possibile notare che l'intero diritto dei
contratti ha 2 funzioni:
1. introdurre limiti all'autonomia privata
2. offrireaiprivatiunoschemaidoneoacolmareeventualilacunedell'attodiautonomia
privata, liberamente derogabile dai privati
La recezione a livello legislativo di schemi contrattuali tradizionali agevola i privati, i quali potranno limitarsi
a regolare gli aspetti più salienti dell’accordo, nella consapevolezza che per tutto il resto il contratto sarà
soggetto al regime disposto dal codice. Negli ordinamenti

codificati le parti potranno in primo luogo limitarsi ad aderire ad uno schema legislativo già predisposto dal
legislatore, salva la necessità di non violare gli eventuali limiti dell'autonomia privata previsti dal legislatore.
-La definizione dei tipi
Un primo ordine di problemi attiene alla definizione dei tipi legislativi e si deve distinguere a seconda che il
contratto concretamente concluso rientri in un tipo piuttosto che un altro questo anzitutto dipende dal
grado di precisione usato dal legislatore per definire i vari tipi, nonché dal carattere vincolante o meno delle
definizioni legislative:
a. per quanto riguarda il primo aspetto si nota come il grado di tipizzazione contrattuale utilizzato dal
legislatore non sia sempre omogeneo alcuni contratti sono disciplinati con cura e precisione, come ad
esempio nel caso del contratto di compravendita; spesso la disciplina dei vari contratti tipici è preceduta da
una definizione legislativa (come nel caso della compravendita), che viene definita come quel contratto che
ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il
corrispettivo di un prezzo pertanto la compravendita consta di 3 elementi quali l'oggetto, lo scambio e il
corrispettivo in denaro
Ci si è interrogati in ordine al valore legale di queste definizioni e bisogna chiarire se si tratti di definizioni
vincolanti oppure no secondo alcuni autori va negato il carattere vincolante delle definizioni legislative;
tuttavia per l'orientamento prevalente si deve ritenere che le definizioni legislative svolgano l'importante
funzione di definire l'ambito di applicazione dei vari istituti e negare che tale norma abbia carattere
precettivo significherebbe legittimare l'applicazione della disciplina al di fuori del suo alveo naturale, per
esempio applicando la disciplina del contratto anche alla materia matrimoniale.
Ci si chiede in base a quali elementi sia possibile distinguere i vari tipi contrattuali gli uni dagli altri è
possibile in base all'impostazione tradizionale che tende a ravvisare un legame indissolubile tra causa e
tipo, per cui l'elemento di distinzione dovrebbe ravvisarsi sotto il profilo della causa: si pensi alla differenza
causale tra compravendita e donazione, ove una ha un titolo oneroso e l'altra è a titolo gratuito. Tuttavia in
diverse occasioni la differenza tra tipi contrattuali non si ravvisa a livello di causa ma per quanto riguarda
l'oggetto e soggetti: ad esempio vendita e permuta sono in primo luogo contratti di scambio, che tuttavia si
differenziano sotto il profilo del corrispettivo in quanto il corrispettivo nella compravendita è il denaro
mentre nella permuta è una cosa. Se in alcuni casi la distinzione è agevole, tuttavia in altri casi appare
estremamente difficile:
vendita e permuta la permuta non deve essere confusa con un contratto di compravendita in cui il
compratore in luogo di pagare il prezzo estingue il suo debito con una prestazione in luogo di
adempimento; problemi di qualificazione possono sorgere quando la permuta non è pura, ma ha luogo con
un conguaglio in denaro e ci si chiede se la presenza di un conguaglio in denaro sia idonea a snaturare il
contratto in questione e ricondurlo nell'alveo del contratto di compravendita in

realtà se è previsto un conguaglio in denaro si deve far riferimento alla teoria dei contratti misti:
secondo alcuni occorre scendere la prestazione in 2 parti ove da un lato c'è il bene e dall'altro lato c'è il
conguaglio pecuniario e si deve applicare a ciascuna delle parti rispettivamente il regime della permuta e il
contratto di compravendita
secondo l’orientamento prevalente si deve ascoltare l'intero contratto al regime della permuta o della
compravendita, a seconda della prestazione che in concreto assume prevalenza
A dubbi interpretativi ha dato luogo anche il contratto con cui si trasferisce la proprietà di un terreno
edificabile in cambio di uno o più appartamenti da costruire sul terreno in questi casi il contratto può
integrare sia gli estremi di una permuta di un bene che esiste con un bene futuro, sia un contratto misto di
compravendita e appalto: secondo la Cassazione si configura il contratto di vendita se il sinallagma
negoziale sia consistito nel trasferimento reciproco della proprietà attuale e della cosa futura e l'obbligo di
erigere l'edificio sia rimasto su un piano accessorio; invece si ravvisa il secondo contratto quando la
costruzione del fabbricato sia stata al centro della volontà delle parti l'alienazione dell'area abbia costituito
solo il mezzo per conseguire l'obiettivo primario
vendita e appalto l'appalto differisce dalla compravendita in quanto mentre la vendita ha ad oggetto un
dare, l'appalto ha ad oggetto una prestazione di fare; inoltre mentre nell'appalto il committente può
esercitare potere di controllo e di ingerenza nell'attività svolta dall'imprenditore, ciò non avviene nella
vendita. Non sempre è agevole la distinzione tra vendita di cosa futura e appalto, tuttavia si può ritenere
che se si tratta di beni prodotti in serie per la successiva vendita il contratto è quello della vendita dei beni
futuri mentre se si tratta di beni specificamente commissionati il contratto ricade nella figura dell'appalto
vendita e contratto d'opera nel caso ad esempio in cui il sarto fornisca lui stesso il materiale per
realizzare un abito, in base al criterio di prevalenza si tratta di un contratto d'opera
locazione di immobile e affitto di azienda
contratto estimatorio e mandato
associazione in partecipazione e lavoro subordinato
lavoro autonomo e subordinato
assicurazione del credito e fideiussione onerosa
vendita a consegne ripartite e vendita ad esecuzione continuata
trasporto e appalto di servizi
-Pezzi di contratto
Vi sono casi in cui il legislatore si limita a disciplinare una parte di contratto, come ad esempio nel caso della
cessione del credito, la quale è compatibile sia con la causa onerosa sia con causa gratuita e a tal proposito
la dottrina parla di contratto con causa variabile.

Analogo discorso può essere fatto per il contratto a favore di terzo, per contratto per persona da nominare,
per il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente e per il contratto concluso con l'inizio
dell'esecuzione.
-Recenti tendenze legislative in materia di tipi contrattuali
Negli ultimi anni si è diffusa la tendenza legislativa a disciplinare sempre meno compiutamente i vari
contratti, come ad esempio è accaduto per il caso della subfornitura, per la legge che disciplina la gestione
dei crediti di impresa e per quanto riguarda la multiproprietà; in particolare per quest'ultima il legislatore
italiano si è limitato a disciplinare in termini sporadici questi istituti, con la tendenza a limitare gli interventi
legislativi alle sole norme imperative. In altri casi invece la legge disciplina ai soggetti piuttosto che i
contratti, come ad esempio accade nella normativa in materia di imprese di assicurazione, mediatori e
intermediari finanziari.
-Parte generale e parte speciale
Un problema attiene ai rapporti tra parte generale e parte speciale in materia di tipi contrattuali in quanto
il legislatore dedica al contratto in generale una serie di articoli, cui fa seguito la disciplina dei singoli
contratti tipici, come ad esempio la compravendita ci si chiede quali siano i rapporti tra parte generale e
parte speciale in materia contrattuale in quanto sembrerebbe logico ritenere che le varie parti del codice si
integrino le une con le altre e che quindi a ogni contratto si debba applicare sia la parte generale sia quella
dettata nello specifico: in realtà non è così in quanto la dottrina ha evidenziato le profonde differenze di
disciplina che esistono tra parte generale e parte speciale in quanto spesso la disciplina dei singoli contratti
tipici è antitetica a quella dettata nella parte generale, come si evince ad esempio per quanto riguarda i
rapporti tra risoluzione del contratto per inadempimento e disciplina dei vizi della compravendita. Inoltre ci
sono profonde differenze tra tipi contrattuali per quanto riguarda la materia dei vizi del consenso e
dell'inadempimento tutto ciò ha indotto parte della dottrina a mettere in dubbio la centralità della parte
generale del contratto, in quanto questa sovente viene derogata dalla disciplina speciale dettata dai singoli,
evidenziando così la crescente preminenza delle leggi speciali rispetto al codice. Secondo alcuni la parte
generale avrebbe perso la sua funzione di fornire criteri utili agli interpreti, in particolare al fine
dell'inquadramento di contratti tipici dei sistemi di common law, i quali non possono essere ricondotti
nell'alveo delle categorie romanistiche.
-La meritevolezza dell'interesse
I contraenti hanno la facoltà di concludere contratti atipici, ossia contratti che non rientrano nelle varie
ipotesi previste dal legislatore si tratta di una facoltà riconosciuta in termini generali dall’art. 1322 comma
2 cc ove si prevede che le parti possono anche concludere contratti atipici, purché siano diretti a realizzare
interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico; il concetto di meritevolezza appare altresì
nell’art. 2645 ter cc che consente di costituire vincoli di alienazione sui beni per destinarli al perseguimento
di interessi meritevoli di tutela.

Il problema è quello dei limiti dell'autonomia privata l'art. 1322 comma 2 cc non sembra porre particolari
limitazioni, salva la precisazione che il contratto deve essere finalizzato a perseguire finalità meritevoli di
tutela: il problema è quello di capire che cosa si intende per meritevolezza dell'interesse perseguito. Il
concetto di meritevolezza è un’innovazione del codice civile e risale alle teorizzazioni di Betti, che riteneva
che l'autonomia privata dovesse essere funzionalizzata al perseguimento di finalità di pubblico interesse e
in questa prospettiva non sarebbe sufficiente che il contratto non sia per i terzi illecito ma dovrebbe essere
socialmente utile, pertanto la meritevolezza dell'interesse perseguito costituisce un limite all'autonomia
privata tale da escludere la possibilità di concludere contratti finalizzati a perseguire finalità futili; tuttavia
negli anni ‘70 l'impostazione di Betti è stata rivalutata da parte di alcuni autori favorevoli a un controllo più
stringente dell'autonomia privata. Ci sono stati tentativi di chiarire in cosa consiste la peculiarità del
controllo di meritevolezza secondo alcuni sarebbe sottinteso un rinvio ai principi sanciti in Costituzione,
mentre secondo altri il giudizio di meritevolezza potrebbe consentire di reprimere i contratti squilibrati o
caratterizzati da clausole vessatorie; nonostante gli sforzi della dottrina, la funzione del giudizio di
meritevolezza ha avuto scarso riscontro in giurisprudenza: non sono frequenti le applicazioni dell'art. 1322
comma 2 cc per asserire la meritevolezza di contratti come ad esempio il leasing, le lettere di patronage, lo
swap. Non frequenti sono invece i casi in cui la giurisprudenza ha applicato questa norma per l'invalidità dei
contratti atipici, salvi i casi in cui il contratto appariva palesemente illecito. Questo ha indotto un filone
dottrinale volto ad escludere che il giudizio di meritevolezza sia un qualche cosa di diverso rispetto al
giudizio di illiceità Stolfi aveva rilevato che attribuire rilevanza al giudizio di meritevolezza avrebbe potuto
condurre a una disparità di trattamento tra contratti tipici e contratti atipici, in quanto questi ultimi erano
soggetti anche al controllo di meritevolezza: in realtà il giudizio di meritevolezza si pone a monte rispetto a
un problema strettamente tecnico giuridico, in quanto la meritevolezza attiene all'opportunità, alla
rilevanza sociale delle nuove figure contrattuali, alle ragioni di politica del diritto che devono guidare
l'interprete. L'esclusione dell'illiceità dipende dal fatto che viene ravvisata la meritevolezza sociale delle
finalità perseguite dalla nuova figura contrattuale, con conseguente necessità di disapplicare il regime
vincolistico dettato dal legislatore, come ad esempio accade in materia di fideiussione in questa
prospettiva il riferimento alla meritevolezza può essere considerato come una sorta di invito rivolto al
giudice di valutare l'opportunità sociale complessiva del riconoscimento della nuova figura contrattuale con
disapplicazione del regime vincolante dettato dal legislatore, in quanto l'alternativa alla meritevolezza è
l'illiceità.
-Squilibrio contrattuale e meritevolezza dell’interesse
Recentemente questo quadro si è modificato in materia di contratti finanziari e derivati, in quanto la
giurisprudenza ha fatto applicazione di questo concetto al fine di escludere la meritevolezza di contratti
finanziari, come ad esempio il cd contratto for you, in quanto eccessivamente squilibrato a favore della
banca.
Notevole interesse rivestono anche alcune applicazioni in materia di assicurazione, in particolare le cd
clausole claims made: secondo le S.U. queste clausole non sono in linea di

principio vessatorie e in materia di contratti del consumatore possono essere nulle ove determinino un
significativo squilibrio dei diritti e dei doveri. Nel 2016 le S.U. hanno affermato inoltre che queste clausole
possono anche essere dichiarate nulle per immeritevolezza e si è ritenuto che nelle operazioni di
finanziamento delle società l’accordo dei soci dal quale scaturisca in concreto un’esclusione costante ed
assoluta dell’alea tipica dell’investimento finanziario va valutato come tentativo di eludere il divieto del
patto leonino con conseguente non meritevolezza di tutela ai sensi dell’art. 1322 comma 2 cc.
Va comunque osservato che l’eccessivo squilibrio contrattuale, normativo, economico potrebbe altresì
essere sanzionato sotto il profilo della buona fede o dell’equità, con conseguente inefficacia del contratto o
di singole clausole di questo in conformità al modello dei contratti dei consumatori.
-La qualificazione
Quando l'interprete viene messo di fronte a un atto di autonomia privata sorge un problema di
qualificazione, in quanto bisogna capire se si tratta di un contratto tipico o di un contratto atipico a monte
si pone un problema di interpretazione in quanto l'interprete in primo luogo deve ricostruire il più
esattamente possibile la volontà delle parti al fine di capire quali siano le finalità perseguite da questa.
L'attività di interpretazione e quella di qualificazione sono distinte in quanto mentre l'interpretazione è
considerata un'attività finalizzata a ricostruire il fatto, la qualificazione è considerata un'attività attinente al
diritto con conseguente possibilità di ricorso per cassazione è opinione corrente che l'attività di
qualificazione è sottratta alle parti ed è riservata al giudice, perciò la qualificazione proposta dalle parti non
sarebbe vincolante per il giudice in quanto si tratta di attività di diritto e il giudice ha sempre la facoltà di
qualificare in modo esatto la figura negoziale che gli si pone davanti, prescindendo dalla qualificazione
effettuata dalle parti.
Bisogna distinguere 2 situazioni profondamente diverse:
π può in primo luogo capitare che le parti abbiano commesso un errore di qualificazione, ad esempio
denominando compravendita quella che in realtà è una permuta in questi casi il nome non incide sulla
natura dell'oggetto e in campo giuridico l'esatta denominazione consente di assoggettare il fatto al regime
giuridico che per quello è previsto
π può capitare il caso in cui le parti abbiano volutamente qualificato in altro modo il contratto in questi
casi la qualificazione scelta dalle parti può riflettere la loro volontà di assoggettare il contratto a un certo
regime piuttosto che a un altro
Ci si domanda se e fino a che punto la qualificazione formulata dalle parti debba essere rispettata
dall'organo giudicante a tal proposito si deve distinguere a seconda che le parti abbiano voluto derogare a
norme imperative o a norme dispositive:
a. lenormeimperativecostituisconolimitidiinviolabilitàdapartedell'autonomiaprivata, pena la nullità del
contratto pertanto non è possibile sottrarsi alla loro applicazione mutando la denominazione del contratto

b. se le parti in virtù della denominazione hanno inteso far riferimento al regime dispositivo del contratto di
appalto ad esempio in luogo di quello di compravendita non c'è motivo per non rispettare la loro scelta
Viene in rilievo la volontà delle parti al fine della distinzione tra i vari tipi contrattuali in base all'attuale
insegnamento i vari tipi contrattuali si differenzierebbero sulla base di elementi oggettivamente
riscontrabili e in questa prospettiva, mentre la vendita si caratterizza per lo scambio di cosa contro il prezzo
l'appalto invece si riferisce alla realizzazione di un'opera o di un servizio. Tuttavia a volte la distinzione può
diventare molto sottile e in questi casi la via d'uscita è quella di valorizzare l’intenzione dei contraenti la
stessa giurisprudenza attribuisce la necessaria rilevanza all'intenzione delle parti e in alcuni casi è solo in
virtù dell'intenzione delle parti che è possibile distinguere figure contrattuali differenti.
-I contratti atipici
Ci si chiede che cosa succeda in sede di qualificazione qualora ci si renda conto che il contratto non rientra
in nessuno dei tipi previsti dalla legge:
una prima possibilità è che si tratti di difformità minime non tali da snaturare il tipo se le parti hanno
pattuito prestazioni di carattere puramente accessorio rispetto alla prestazione principale, si ritiene che
queste non snaturino il tipo e il contratto sarà soggetto al regime del tipo principale
una seconda possibilità è quella per cui le varianti possono essere previste dallo stesso legislatore, in
virtù della configurazione di sottotipi, come ad esempio nelle varie ipotesi di sottospecie di compravendita
previste dalla legge
altra possibilità è quella per cui in alcuni casi il sottotipo viene qualificato irregolare per ragioni di
carattere storico a riguardo significativa è la figura del deposito irregolare: se il deposito ha per oggetto
una quantità di denaro o altre cose fungibili con facoltà per il depositario di servirsene, costui ne acquista la
proprietà ed è tenuto a restituire il tantundem, come ad esempio accade nel caso di deposito di una
somma di denaro presso una banca e in questo caso il depositante non ha interesse a che il depositario gli
restituisca esattamente le stesse banconote depositate ma ha interesse a che gli venga restituita una
somma equivalente. Si tratta altresì di una figura per certi versi assimilabile a quella del mutuo ma mentre
nel contratto di mutuo assume prevalenza l'interesse del mutuatario ad ottenere un credito, nel contratto
di deposito irregolare viene in primo luogo l'interesse del depositante a custodire in un luogo sicuro il suo
denaro, anche se tuttavia il legislatore estende al deposito irregolare le norme del mutuo in quanto
compatibili
ulteriore possibilità è quella per cui il contratto presenta in concreto difformità tali da non consentire
un’applicazione diretta della disciplina di alcun tipo legislativo in questi casi la disciplina cui sottoporre il
contratto deve essere individuata in via interpretativa e possono verificarsi più eventualità:

una prima possibilità potrebbe essere quella di far applicazione diretta della sola disciplina del contratto
in generale di cui agli artt. 1321 ss cc
una seconda soluzione può essere quella di far ricorso all'analogia, con applicazione analogica della
disciplina dei tipi più corrispondenti un ostacolo può derivare dal carattere eccezionale della disciplina dei
contratti tipici: si tratta di un ostacolo non insormontabile, ove si consideri che la stessa assimilazione del
regime delle norme eccezionali a quelle penali è stata contestata da parte della dottrina
il metodo prevalente in giurisprudenza consiste nella sussunzione, in virtù della quale la disciplina del tipo
legale viene applicata in modo diretto: il contratto sebbene atipico viene ricondotto al tipo legale che più gli
assomiglia, in modo da applicare direttamente la relativa disciplina; nella maggior parte dei casi la
giurisprudenza si limita a ricondurre il contratto atipico ad uno dei vari tipi legali, anche quando le
differenze sono notevoli
altro metodo a cui si può fare ricorso è il metodo tipologico, consiste nel raffronto diretto tra la
fattispecie concreta e vari tipi legali, al fine di consentire di individuare una disciplina il più possibile adatta
a disciplinare il caso concreto è preferibile perciò ricostruire la disciplina del contratto atipico in virtù di un
confronto diretto con la disciplina dei tipi legali
a volte il compito di assemblaggio del regime del contratto atipico può essere agevolato dalla presenza di
norme transtipiche, ossia norme finalizzate a regolare in modo tipico una situazione di fatto, con
conseguente possibilità di applicazione ogniqualvolta si verifichi una situazione corrispondente
la tipizzazione delle clausole può aver luogo anche da parte della giurisprudenza, ove si instaurino prassi
interpretative uniformi
-Le applicazioni
La giurisprudenza privilegia il metodo della sussunzione, senza però trascurare di fare applicazione ove
necessario anche di frammenti tratti da altri contratti:
contratti di appoggio di cartelloni pubblicitari contratti con cui viene concesso il diritto di appendere
cartelloni pubblicitari o appoggiare bacheche sui muri di un edificio. In dottrina si è discusso in ordine
all'esatta qualificazione di questi contratti come locazione o come contratti costitutivi di servitù irregolari:
la giurisprudenza li sussume nell'alveo del contratto di locazione
contratti di affitto del garofano nel settore delle coltivazione dei garofani è stato elaborato un contratto
che consente la cessione del diritto di sfruttare economicamente le piantine tramite la decisione periodica
dei fiori, con il mantenimento della titolarità delle piantine stesse e dei relativi diritti di privativa in capo al
concedente
contratti di concessione in godimento di spazi nei mercati generali e nelle celle frigorifero contratti con
cui il gestore dei mercati generali concede ai singoli dettaglianti spazi per l'esercizio della loro attività
nonché l'uso delle annesse celle

frigorifere; ci si è chiesti se l'uso delle celle frigorifere dovesse essere quello di locazione o quello di
deposito e la giurisprudenza sembra attribuire rilevanza al fatto che oggetto del contratto sia la mera messa
a disposizione di uno spazio, pertanto si tratta di locazione
contratto di parcheggio la giurisprudenza tende ad assimilarlo al contratto di deposito, con
configurazione di una responsabilità da custodia in capo al gestore del parcheggio stesso; la tesi minoritaria
sostiene che si tratti invece di contratto di locazione avente ad oggetto la mera messa a disposizione di un
posto per parcheggiare, con esclusione di ogni responsabilità di custodia responsabilità che, si ritiene
limitata alla sola auto e non anche ai beni in questa contenuti e questa responsabilità sorge per il solo fatto
che l'auto è stata collocata negli appositi spazi, anche nel caso in cui il personale addetto alla sorveglianza
del parcheggio sia in sciopero. L'obbligo di custodia sorge anche nel caso in cui si tratti di un parcheggio
automatizzato o non siano state consegnate le chiavi dell'automobile: in questo modo i costi del servizio
sono destinati ad aumentare, dato che alla prestazione di mettere a disposizione un’area si cumula quella
della custodia. Le clausole in virtù delle quali si esclude la responsabilità per la sottrazione degli oggetti
contenuti all'interno dell'autovettura sono considerate valide anche se non approvate specificamente per
iscritto in quanto limitano l'oggetto del contratto. Bisogna poi distinguere caso per caso a seconda che si
tratti di parcheggio custodito o non custodito tuttavia la Cassazione tende ad unificare il regime dei tipi di
parcheggio, inibendo al consumatore la possibilità di effettuare le sue scelte
contratto di ormeggio questo contratto a seconda dei casi può limitarsi ad avere ad oggetto la messa a
disposizione di uno spazio nelle aree portuali può essere esteso alla custodia della barca e agli oggetti in
questa presenti
contratto di guardinaggio si pongono gli stessi problemi del contratto di ormeggio
contratto di stoccaggio definitivo in aree private di rifiuti si ritengono applicabili le norme sulla locazione
contratto di pascipascolo contratto in virtù del quale si concede ad altri il diritto di pascolare il bestiame
e a seconda dei casi può trattarsi di affitto di fondo rustico pascolativo oppure di vendita dell'erba
contratto di escavazione di miniere
deposito in campeggio
contratto relativo alla restituzione dei vuoti a rendere la Cassazione ha
stabilito che nella vendita di bevande in bottiglia, previo versamento di una cauzione, a garanzia della
restituzione dei recipienti non può essere configurato un contratto di comodato o di deposito dei recipienti
mancando l'obbligo di restituire agli stessi o del tantundem; il negozio va qualificato come compravendita
di recipienti sottoposta a condizione risolutiva sospensiva consistente nella restituzione dei recipienti
associazioni non riconosciute -Contratto e diritti reali

Si può determinare il sorgere di un conflitto tra il principio di tipicità dei diritti reali e quello di autonomia
privata all'inizio del XX secolo in Italia il dibattito in ordine alla possibilità di configurare servitù personali o
irregolari ma a favore di singole persone non si era assopito, in quanto solo con l'emanazione del codice
civile si è posto fine al dibattito in ordine all'ammissibilità delle servitù irregolari e il codice consente solo la
costituzione di servitù prediali, sebbene di contenuto atipico, pertanto eventuali accordi finalizzati a
costituire diritti di contenuto corrispondente a favore di persone fisiche possono avere un valore
puramente obbligatorio. Questo non esclude che il diritto di servitù abbia un contenuto potenzialmente
atipico, con possibilità di costituire vincoli di destinazione di varia natura.
Analogo discorso può essere fatto con riguardo ai contratti relativi alla concessione in uso delle facciate
degli edifici per affiggere cartelloni pubblicitari che non creano un diritto reale di uso ma un rapporto
obbligatorio in un certo senso è stata analoga l'evoluzione che si è verificata in materia di obbligazioni
propter rem e oneri reali: gli oneri reali possono essere definiti come pesi che gravano su un fondo in virtù
dei quali il proprietario è tenuto ad effettuare prestazioni positive a favore del proprietario di un altro
fondo. L’obbligazione propter rem si riferisce ad obbligazioni che gravano sul proprietario del fondo in
quanto tale, come ad esempio l'obbligo di effettuare le spese di manutenzione relative al muro di confine.
Oggi è possibile configurare oneri reali e obbligazioni propter rem solo nei casi specificamente previsti dalla
legge.
Per quanto riguarda i vincoli di destinazione in ambito condominiale, è da considerarsi dato acquisito che il
regolamento di condominio, purché approvato all'unanimità, ha facoltà di introdurre vincoli di
destinazione, limitazioni alle facoltà di godimento delle parti comuni o delle singole unità immobiliari si
tratta di vincoli di carattere reale, con conseguente opponibilità anche nei confronti dei successivi aventi
causa a patto che il regolamento sia stato trascritto o sia comunque richiamato in modo specifico dal
contratto di acquisto. In ordine all’esatto inquadramento delle fattispecie in questione, la giurisprudenza
alle riconduce alle categorie degli oneri reali oppure alle obbligazioni propter rem o nella categoria delle
servitù reciproche in ogni caso si tratta di figure reali dal carattere atipico, che si sono affermate in
contrasto con il principio di tipicità dei diritti reali in quanto sono funzionali a soddisfare esigenze meritevoli
di tutela della moderna vita di relazione.
Le S.U. in materia di edilizia hanno chiarito che in materia di edilizia convenzionata permangono vincoli sui
prezzo a titolo di onere reale, non importa dopo quanti passaggi di mano.
Con il contratto non si possono creare nuove forme di diritto reale questa affermazione non è da
considerarsi assoluta, infatti un esempio in senso contrario è quello della multiproprietà che è un istituto
nato nella prassi con il fine di razionalizzare l'uso di beni che altrimenti rimarrebbero in gran parte
inutilizzati, come ad esempio l'utilizzo di una casa di montagna per poche settimane l'anno durante le
vacanze estive. Questo significa che il principio di tipicità dei diritti reali non deve essere inteso in modo
assoluto ma nel

senso di escludere la configurabilità di oneri e pesi di carattere reale che ostacolino la libera circolazione dei
beni.
Si discute sul ruolo dell'autonomia privata con riferimento alle figure tradizionali dei diritti reali come ad
esempio l'usufrutto un tempo si riteneva che i privati avessero solo la facoltà di optare per una di queste
forme tipiche di diritti reali, senza la possibilità di incidere sulla loro regime, in quanto il rischio sarebbe
quello che tramite una modifica del regolamento tipico del diritto reale le parti possano dare vita a diverse
figure reali, derogando al principio di tipicità dei diritti reali: tuttavia il principio di tipicità dei diritti reali
non ha impedito la dottrina e giurisprudenza di configurare una nuova figura di diritto reale quale la
multiproprietà, pertanto ne consegue che anche il principio di tassatività della disciplina dei diritti reali
deve essere riconsiderato, anche se non sarà consentita la deroga a quei principi dettati in materia di
usufrutto la cui funzione è quella di evitare la creazione di impedimenti eccessivi alla libera circolazione dei
beni ma nulla vieta alle parti di incidere su altri aspetti come ad esempio l'obbligo di effettuare l'inventario
o di non mutare la destinazione economica del bene. Si discute se possa essere prevista o meno la
devoluzione di un canone periodico per tutta la durata del diritto di usufrutto il contratto presenta quindi
punti di contatto con quello di rendita: considerando che l'usufrutto può essere costituito a titolo oneroso
attraverso un contratto di compravendita di diritto reale, nulla impedisce che le parti possono convenire
una devoluzione del corrispettivo sotto forma di canone da corrispondersi con cadenza periodica per tutta
la durata del diritto di usufrutto. Il fenomeno è evidente in materia di servitù la cui sostanziale atipicità
consente un certo margine di manovra all'autonomia privata.
Inoltre il principio di tipicità dei diritti reali può essere eroso dal contratto sotto altri profili, in quanto ad
esempio si può ricordare il regime della pendenza della condizione e la scissione delle prerogative
proprietarie in 2 diverse situazioni giuridiche soggettive.
SEZIONE II: I NUOVI CONTRATTI
-I contratti atipici
Accanto ai casi in cui viene fatto ogni sforzo pur di ricondurre il contratto ai tipi, ci sono casi in cui si prende
atto dell'impossibilità di effettuare tale operazione, con conseguente atipicità del contratto questo
avviene perlopiù quando la figura atipica è stata elaborata dalla prassi al fine di eludere l'applicazione di
qualche norma di carattere imperativo considerata troppo restrittiva: questa operazione non è esente da
rischi, in quanto esiste il divieto di frode della legge se però sulla base di una valutazione sociale
complessiva l'operazione è considerata meritevole di tutela, la giurisprudenza può sancire la tipicità del
contratto, con disapplicazione del regime imperativo: un esempio è costituito dal contratto autonomo di
garanzia, sviluppato per eludere la accessorietà della fideiussione e che è stato ritenuto meritevole di tutela
da parte della giurisprudenza.
Diverso è il problema se sia o meno opportuno utilizzare a livello legislativo i nuovi contratti: parte della
dottrina lo esclude in quanto i nuovi contratti sovente sono frutto della recezione di modelli stranieri e in
questa prospettiva la codificazione dei nuovi contratti potrebbe essere controproducente in quanto
cristallizzerebbe degli schemi, con conseguente rischio di diversificazione del regime dei contratti che la
globalizzazione vorrebbe regolati in modo

uniforme in tutti i continenti. Inoltre le esigenze dell'uniformità potrebbero essere soddisfatte in virtù del
l'adozione di normative sovranazionali uniformi.
-Il contratto autonomo di garanzia
Si tratta di un contratto assimilabile alla fideiussione, con la particolarità che il creditore ha la facoltà di
esigere in ogni caso il pagamento da parte del garante, senza che costui possa sollevare eccezioni relative al
rapporto fondamentale, pertanto ne risulta una tutela del creditore più intensa in ordine a questo tipo di
contratto si è discusso della sua legittimità in quanto il rischio è quello che il creditore possa abusare della
garanzia a prima richiesta e chieda il pagamento anche senza averne diritto: si è tuttavia giunti ad escludere
che la garanzia a prima richiesta possa operare anche nel caso in cui il debitore principale abbia adempiuto
all'obbligazione garantita o non abbia adempiuto per un fatto imputabile al creditore garantito e a questi
fini si applica l'eccezione di dolo generale, che è fondata sul principio di buona fede in senso oggettivo.
-La fideiussione omnibus
Si tratta di un contratto di fideiussione in virtù del quale il fideiussore assume l'impegno di garantire tutti i
debiti non solo presenti ma anche quelli futuri assunti dal debitore in passato si è dubitato della validità di
questa operazione in quanto si riteneva che il fideiussore assumesse un impegno indeterminato: nel 1992 il
legislatore ha stabilito che la fideiussione per obbligazioni future è valida purché sia previsto un tetto
massimo garantito, tuttavia il legislatore non ha chiarito se tale limitazione opera solo con riferimento ai
contratti di fideiussione omnibus conclusi successivamente all'entrata in vigore della legge o anche per
quelli conclusi prima dell'entrata in vigore (in giurisprudenza è prevalso il carattere non retroattivo).
-Il leasing
Si tratta di un'operazione che unisce aspetti del contratto di compravendita con quelli del contratto di
locazione in realtà il contratto di leasing non è un’operazione unitaria, ma può rivestire una pluralità di
contenuti, in particolare è possibile distinguere 2 diversi tipi di leasing:
▷ leasing di godimento si tratta di uno strumento finanziario a disposizione delle imprese: ad esempio un
imprenditore ha intenzione di acquistare un macchinario ma è privo dei finanziamenti e in questo caso
invece di concludere un contratto di finanziamento con la banca si rivolge a un'impresa specializzata in
leasing, che acquisterà il macchinario e lo concede in godimento all'imprenditore dietro il pagamento di un
canone periodico, calcolato in modo tale da consentire all'imprenditore una graduale restituzione del
capitale impiegato, unitamente agli interessi. I rischi relativi al funzionamento dei beni acquistati gravano
sul l'utilizzatore così come gli oneri di manutenzione. Al termine del contratto l'utilizzatore deciderà se
acquistare il bene al prezzo concordato, rinnovare il contratto a un canone inferiore o restituire il bene.

Per quanto riguarda i vizi della cosa concessa in locazione si deve distinguere a seconda che questi siano
emersi prima o dopo la consegna:
- nel primo caso va assimilato alla mancata consegna
- nel secondo caso l’utilizzatore può chiedere al fornitore l’eliminazione dei vizi
o la sostituzione della cosa oltre che la richiesta dei danni
Le S.U. nel 2015 hanno stabilito che l’utilizzatore può esercitare l’azione di risoluzione o di riduzione del
prezzo solo in presenza di specifiche clausole contrattuali con cui gli venga dal concedente trasferita la
propria posizione sostanziale, in quanto si ravvisa un collegamento negoziale tra leasing finanziario e
contratto di fornitura
▷ leasing traslativo ha una funzione simile a quella della vendita con riserva di proprietà, ossia chi non
dispone della somma necessaria per acquistare il bene può ottenerne la disponibilità mediante il
pagamento di un canone periodico con facoltà alla scadenza del contratto di acquistarlo oppure di
restituirlo; il prezzo di opzione, ossia la somma residua che deve essere devoluta alla scadenza del
contratto per acquisire la proprietà del bene, è calcolata in modo tale da essere inferiore rispetto al valore
residuo del bene e l'inferiorità del prezzo di opzione rispetto al valore residuo del bene è rivelatore di una
volontà originaria delle parti volta al trasferimento del bene concesso in godimento. Se invece il prezzo di
opzione calcolato in modo da essere sensibilmente superiore rispetto al valore residuo del bene si può
dedurre una volontà delle parti finalizzata alla sola concessione in godimento del bene e quindi si tratta di
leasing di godimento
-Il sale and lease back
È ad esempio il caso dell'imprenditore che è in possesso del macchinario ma che si viene a trovare in
difficoltà finanziarie e in questo caso invece che conclude un contratto di mutuo con la banca decide di
alienare i propri beni a una società finanziaria di leasing, la quale a sua volta glieli con sede in godimento
l'operazione si può scendere in 2 diversi contratti:
> da un lato il contratto di alienazione > dall'altro lato il contratto di leasing
Si è discusso in ordine alla liceità dell'operazione, in particolare con riferimento al divieto di patto
commissorio poiché alcuni ritenevano che presentasse analogie con un’alienazione a scopo di garanzia
sottoposta a condizione risolutiva: tuttavia la Cassazione ha ritenuto che in questo contratto la vendita
viene effettuata a scopo di leasing e non di garanzia e quindi non c'è alcun divieto di patto commissorio.
-Il factoring
Si tratta della cessione dei crediti di impresa: spesso gli imprenditori che producono beni e servizi
forniscono accredito alle loro prestazioni o concedono dilazioni nei pagamenti e questo determina la
nascita di una notevole massa di crediti nei confronti della clientela e questo crea dei problemi a livello
gestionale e per risolvere questo problema è stato sviluppato il contratto di factoring, in virtù del quale
un'impresa specializzata fornisce

all'imprenditore un pacchetto di servizi relativi alla gestione e alla riscossione dei contratti di impresa il
factoring può assolvere a 3 ordini di esigenze:
1. inprimoluogoicreditidiimpresapongonounproblemadigestionesiasottoilprofilo della contabilità sia sotto
quello della riscossione dei crediti stessi
2. in secondo luogo c'è un problema di finanziamento e il factor può anticipare in tutto in parte l'entità dei
crediti, concedendo un finanziamento all'imprenditore e alla scadenza il factor provvederà alla riscossione
dei relativi crediti
3. il factor può svolgere una funzione assicurativa, assumendo il rischio relativo dell'insolvenza
Il contratto di factoring implica normalmente la cessione dei crediti di impresa ad un'impresa di factoring,
che a seconda del tipo dei servizi richiesti tra una parte più o meno crediti incassati questo contratto è
stato parzialmente disciplinato con la l. 52/1991 che disciplina la gestione dei crediti di impresa,
prevedendo che le formalità della cessione siano semplificate rispetto alla disciplina tradizionale del codice
civile in materia di cessione dei crediti. È altresì consentita la cessione in massa dei crediti futuri, nei limiti
dei 24 mesi. Il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivo ricevuto, la solvenza del debitore salvo patto
contrario; ai fini dell'opponibilità della sezione nei confronti dei terzi è sufficiente che il factor abbia pagato
in tutto o in parte il corrispettivo della cessione e il pagamento abbia data certa.
-Il credito al consumo
Il TUB all’art. 121 stabilisce che per credito al consumo si intende la concessione, nell'esercizio di un'attività
commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra
analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività
imprenditoriale o professionale l'esercizio del credito al consumo è riservato alle banche, agli intermediari
finanziari nonché ai soggetti autorizzati alla vendita di beni o di servizi.
Ai sensi dell’art. 124 TUB il contratto deve contenere tutta una serie di informazioni rilevanti; l’art. 125 TUB
dichiara applicabile ai contratti di credito al consumo l’art. 1525 dettato in materia di vendita di riserva
della proprietà e al comma 2 prevede la facoltà di adempiere in via anticipata o di recedere dal contratto
senza penalità e tale facoltà spetta solo al consumatore ed è nullo ogni patto senso contrario.
-Il contratto di engineering
Questo contratto non è stato disciplinato da parte del legislatore: si tratta di contratti che si riferiscono alla
realizzazione di opere piuttosto complesse, come ad esempio aeroporti o stabilimenti industriali la
differenza rispetto all’appalto è che la società di engineering assume il compito di progettare l'opera e di
seguirne la realizzazione o di effettuarla direttamente. Nella prassi si distingue tra:
consulting engineering, che ha ad oggetto la progettazione di impianti
engineering operativo, comprende anche l'esecuzione delle opere progettate
-La concessione di vendita

Si tratta di un contratto di distribuzione che non ha una disciplina specifica a livello codicistico:
normalmente sono presenti clausole che disciplinano ogni aspetto del rapporto quali la quantità della
merce da consegnare, gli obblighi reciproci tra le parti, gli sconti, i prezzi da praticare, le eventuali
prestazioni accessorie in capo al cessionario. Il concessionario di vendita, sebbene svolga attività
nell'interesse del concedente, non può essere confuso con un mandatario in quanto non agisce in nome e
per conto del concedente ma si limita a rivendere in nome proprio i prodotti.
-Il franchising
È disciplinato dalla l. 129/2004 e prevede che un imprenditore conferisce ad un altro soggetto il diritto di
commercializzare i suoi prodotti avvalendosi dei suoi segni distintivi, marchio, ditta e normalmente la
commercializzazione dei prodotti avviene in locali e sulla base di modalità standardizzate, come per
esempio accade per le catene di negozi: normalmente i prodotti da commercializzare sono forniti
direttamente dal franchisor e in alcuni casi i prodotti sono prodotti sul posto dal franchesee, con
l'osservanza delle istruzioni ricevute e sotto il controllo da parte del franchisor.
In cambio il franchesee deve pagare un corrispettivo fisso per entrare nella catena, nonché una percentuale
sulle vendite; ne consegue un'uniformazione delle modalità di presentazione di commercializzazione dei
prodotti pressoché completa, tale da ingenerare l'impressione che si tratti di unica impresa con molte filiali.
-I contratti di borsa
Per borsa si intende il mercato nel quale hanno luogo gli scambi di titoli di credito quali azioni, obbligazioni,
titoli di stato... Il mercato della Borsa è sotto il controllo della CONSOB, che stabilisce ogni anno il
calendario della borsa, i giorni di chiusura e determina i tipi di contratti ammessi: infatti nella borsa
possono essere scambiati solo i titoli ammessi.
In linea di principio i contratti di borsa non richiedono formalità particolari--< devono essere redatti su un
apposito documento per ragioni fiscali, ossia sul fissato bollato.
-Il broker di assicurazione
Per broker si intende un mediatore professionale, che aiuta il cliente nella scelta del tipo di assicurazione da
concludere, nella personalizzazione del contratto e nella scelta della compagnia presso la quale assicurarsi
il legislatore italiano ha disciplinato la figura con la l. 792/1984 che definisce il mediatore di assicurazione
colui che esercita professionalmente l'attività rivolta a mettere in relazione con imprese di assicurazione e
riassicurazione, cui non è vincolato da impegni di sorta, soggetti che intendono provvedere con la sua
collaborazione alla copertura dei rischi, assistendoli nella determinazione del contenuto dei relativi
contratti e collaborando alla loro gestione ed esecuzione. Per esercitare l'attività bisogna essere iscritti
all'albo dei mediatori di assicurazione e riassicurazione presso il Ministero dell'Industria e commercio.
-Lo swap

Si tratta di una figura contrattuale che si è sviluppata nell'ambito dei contratti di import- export di merci
con pagamento in valuta straniera se il pagamento è fissato in valuta straniera l'effettiva entità della
somma dovuta dipende dall'andamento dei cambi e in queste condizioni può capitare che l'importatore o
l'esportatore ci perda o ci guadagni. Con questo contratto gli importatori e gli esportatori si accordano nel
senso di devolversi reciprocamente le differenze rispetto al tasso di cambio corrente al tempo della
conclusione del contratto il contratto si conclude grazie all'intermediazione di una banca e in questo modo
il contratto di swap si trasforma in un operazione bancaria di massa, in virtù della quale a seconda
dell'andamento del cambio saranno gli importatori o gli esportatori a devolvere la differenza la banca, che a
sua volta provvederà a ridistribuirla a chi è risultato svantaggiato dalla fluttuazione del cambio.
-Il contratto di sponsorizzazione
Si discute sulle esatta qualificazione di un contratto di questo genere e se si tratti di un contratto a titolo
gratuito o oneroso il problema concerne il fondamento dell’obbligazione dello sponsor, nonché il suo
carattere vincolante o meno. Nel caso in cui si consideri la promessa una donazione ai sensi dell'art. 769 cc
questa non sarebbe giuridicamente vincolante per carenza della forma; una seconda soluzione potrebbe
consistere nel fare applicazione della disciplina dell'affidamento oneroso, ritenendo che lo sponsor sia
tenuto ad adempiere l'impegno assunto come conseguenza dell'affidamento ingenerato nella controparte
dalla promessa; una terza soluzione potrebbe consistere nel ritenere che si tratti di una promessa gratuita
atipica, giustificato dall'interesse di natura patrimoniale dello sponsor e infine una quarta soluzione
potrebbe consistere nel inquadrare la fattispecie nell'ambito dei contratti a titolo oneroso.
-Il bartering
Si tratta del contratto di sponsorizzazione televisiva in cui un’emittente televisiva cede ad un'impresa uno
spazio televisivo in modo tale da consentire a quest'ultima di confezionare un programma con all'interno la
pubblicità dei suoi prodotti.
-Il merchandising
È un contratto finalizzato a consentire l’utilizzabilità del marchio celebre, dietro congruo corrispettivo, per
commercializzare prodotti del tutto differenti: non si tratta di una licenza d’uso, dato che la concessione
non si riferisce al medesimo settore merceologico, ma di un vero e proprio contratto di scambio atipico.
-I contratti relativi all’uso del computer
Nel ns ordinamento è esclusa la possibilità di brevettare software come invenzione industriale mentre
l'hardware può essere acquistato, preso in locazione o in leasing spesso l'elaboratore contiene già al suo
interno un sistema operativo che consente di avviare la macchina e di caricare sul disco fisso altri
programmi. I software necessari per il funzionamento del computer non vengono alienati ma
semplicemente concessi in licenza

d'uso e l'utente è quindi legittimato ad utilizzare il programma alle condizioni indicate nella licenza d'uso,
con divieto di duplicarlo e di concedere in uso ad altre persone. Normalmente l'utente ha bisogno di
stipulare un contratto per la manutenzione dell'apparecchio ed eventualmente per l'assistenza nell'uso che
spesso i contratti relativi all'acquisto o alla locazione del computer o alla licenza d'uso del programma oltre
che alla manutenzione e all'assistenza sono collegati, pertanto se alla ditta cui ci si è rivolti per acquistare
un computer omette di fornire il programma o non adempie all'obbligo di assistenza l'intero importo può
risolversi per inadempimento. In caso di acquisto di un computer difettoso trova in primo luogo
applicazione la disciplina dei visti in materia di compravendita e spesso le condizioni generali di contratto
contengono clausole di esonero dalla responsabilità per vizi dell'hardware o del software le clausole di
esonero dalla responsabilità, sebbene in linea di principio siano ammesse nella vendita e nella locazione
non devono comunque porsi in contrasto con quanto prescritto dall'art. 1229 comma 1 cc, che prevede
l'esclusione dell'operatività delle clausole che escludono la responsabilità per dolo o colpa grave; inoltre
queste clausole sono considerate vessatorie ed è quindi richiesta una specifica sottoscrizione.
-I tipi giurisprudenziali
I contratti atipici che hanno raggiunto una tipizzazione sociale giudiziale sono diversi:
Δ precario il comodato può essere senza determinazione di durata e in questi casi il contratto è qualificato
come precario. Se il contratto senza determinazione di durata prevede la devoluzione di un corrispettivo si
tratta di precario oneroso
Δ contratto di mantenimento si tratta di un contratto atipico in virtù del quale un soggetto assume
l'impegno di assistere una persona per tutta la durata della sua vita, quale corrispettivo dell'alienazione di
un bene o di un capitale; diversamente dalla rendita, nel contratto di mantenimento la prestazione
promessa consiste in un fare in quanto l'obbligato è tenuto a prestare al beneficiario del contratto tutta
l'assistenza morale e materiale necessaria, pertanto in caso di inadempimento opera la disciplina ordinaria
in materia di risoluzione del contratto
Δ contratto di portierato si tratta di fattispecie che partecipa sia del contratto di locazione sia del
contratto di lavoro
Δ contratto di convenzionamento
Δ contratto di noleggio chi concede in locazione un autoveicolo non risponde dei
danni subiti dai terzi, se tuttavia il contratto è qualificato come noleggio la soluzione
è diversa
Δ contratto di ricerca contratto in virtù del quale si dà incarico a 1 o più soggetti
di intraprendere un programma di ricerca finalizzata alla scoperta di nuove tecnologie
o applicazioni
Δ contratto di informazione contratto con cui si dà incarico a qualcuno di verificare
l'attendibilità di un possibile partner commerciale
Δ contratto di licenza contratto in virtù del quale si trasferisce ad altri il diritto di
utilizzazione di un brevetto, senza trasferire la titolarità del brevetto stesso

Δ contratto di edizione contratto in virtù del quale l'autore di un libro decide di commercializzarlo,
attribuendo a un editore il diritto di riprodurlo in più copie destinate alla vendita dietro l'evoluzione di una
percentuale calcolata sul prezzo della copertina
Δ contratto di prossenetico contratto che indica la mediazione matrimoniale, ossia l'attività finalizzata a
fare incontrare 2 persone per finalità di carattere matrimoniale
Δ contratti di associazione professionale i contraenti potevano adottare singoli aspetti tipici del regime
delle società
Δ vendita di pacchetti turistici un tempo attraverso il contratto di mandato l'operatore turistico si
impegnava a stipulare in nome e per conto del cliente tutti i contratti necessari al suo trasferimento nelle
località turistiche, nonché il suo soggiorno; questo contratto è stato disciplinato per la prima volta nel 1995
in virtù dell’attuazione di una direttiva Ue e successivamente è stato trasposto nel codice del turismo. La
vendita di pacchetti turistici costituisce un esempio di contratto del consumatore, pertanto si applicano gli
elementi tipici del contratto del consumatore quale ad esempio la forma scritta e la disciplina dei doveri di
informazione: i pacchetti turistici hanno ad oggetto i viaggi, le vacanze, i circuiti tutto compreso, le crociere
turistiche... il contratto di vendita di pacchetti turistici è redatto in forma scritta in termini chiari precisi e in
ogni caso al turista deve essere rilasciata una copia del contratto stipulato e sottoscritto dall'organizzatore.
Il contratto deve poi contenere una serie di elementi quali la destinazione, la durata, la data di inizio e
conclusione, il nome, indirizzo numero di telefono ed estremi dell'autorizzazione all'esercizio
dell'organizzatore, il prezzo del pacchetto turistico, le modalità della sua revisione... In caso di incremento
dei costi del viaggio del soggiorno è consentita la revisione ma solo se espressamente previsto dal contratto
e in ogni caso la revisione non può essere superiore al 10% del prezzo originario, salvo altrimenti il diritto di
recesso dell'acquirente ove la variazione fosse di entità superiore; ove prima della partenza l'organizzatore
avessi necessità di modificare le condizioni contrattuali è tenuto a darne immediato avviso in forma scritta
al turista, indicando il tipo di modifica e la conseguente variazione di prezzo e laddove la proposta non sia
accettata, il turista ha diritto di recedere dal contratto dandone comunicazione all'organizzatore entro 2 gg
lavorativi dal momento in cui ha ricevuto l'avviso. In caso di recesso, il turista ha diritto ad usufruire di un
altro pacchetto di qualità equivalente o superiore e in caso di inesatto adempimento l'intermediario è
tenuto al risarcimento dei danni, salvo che provi che la mancata o inesatta esecuzione al contratto sia
imputabile al turista o sia dipesa da caso fortuito o forza maggiore
Δ contratto di trasferimento di cubatura contratto in virtù del quale il proprietario di un terreno edificabile
acconsente di trasferire a favore di un altro proprietario la capacità edificatoria dal suo fondo
Δ cessione di un giocatore di calcio contratto in virtù del quale ha luogo la cessione di un giocatore da un
club sportivo a un altro e tecnicamente consiste nella cessione del rapporto contrattuale che lega il
calciatore alla squadra

Δ contratto di ingaggio si parla di ingaggio quando ad esempio viene assunto un pilota per partecipare ad
un gara automobilistica
Δ contratti atipici gratuiti
Δ contratto di assicurazione con clausola claims made
Δ negozio istitutivo di trust
Δ contratto di iscrizione scolastica presso un istituto privato
Δ contratto di albergo
Δ contratto di scuola guida
Δ quiz televisivi la giurisprudenza al fine di concedere azione al vincitore aveva
escluso che si trattasse di una figura negoziale riconducibile al gioco
Δ contratto di beneficenza
Δ contratto di distribuzione del carburante con comodato delle relative attrezzature
Δ patto di postergazione
Δ contratti derivati
Δ mutuo di scopo si tratta di un contratto diverso del mutuo disciplinato nel codice
in quanto si caratterizza per l'obbligo di destinazione
Δ forfaiting operazione negoziale in virtù della quale l’esportatore di beni o servizi
cede a un istituto di credito titoli di credito a titolo di pagamento, con contestuale rinuncia alla rivalsa nei
confronti del cedente, previa deduzione di una somma di denaro in favore del forfaiter, che tenga conto del
rischio e che funge da corrispettivo per il finanziamento concesso
Δ contratti relativi all'uso dei social network
Δ contratto rent to buy, contratto buy to rent, contratto help to buy si tratta
di varianti della vendita: viene pattuita una locazione, la cui peculiarità consiste nel fatto che quando il
pagamento dei canoni raggiunge il prezzo pattuito per l'acquisto ha luogo il trasferimento della proprietà; si
pattuisce un trasferimento immediato della proprietà, con la precisazione che il prezzo sarà pagato a rate, il
cui mancato adempimento determina il ritorno della proprietà in capo al venditore
A riguardo si segnalano alcuni provvedimenti normativi:
- ai sensi dell’art. 8 commi d.l. 47/2014 le convenzioni che disciplinano le
modalità di locazione degli alloggi sociali possono contenere la clausola di riscatto dell’unità immobiliare;
fino alla data del riscatto il conduttore può imputare parte dei corrispettivi pagati al locatore in conto del
prezzo di acquisto futuro dell’alloggio
- ai sensi dell’art. 23 d.l. 133/2014 il legislatore ha previsto la trascrizione dei contratti che prevedono
l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto del conduttore di acquistarlo entro un
termine determinato, imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto
Δ contratto di tolling
Δ contratto di banqueting contratto ove una società di ristorazione assume
l’incarico di organizzazione un banchetto, con riferimento a ogni singolo aspetto
Δ contratto di Gabella
Δ contratto for you e may way la banca concede al cliente un mutuo al fine di
acquistare titoli ed è soggetto a restituzione a rate mensili e nel contempo il cliente concede alla banca
mandato ad acquistare con grande discrezionalità i titoli in questione
SEZIONE III: UN ESEMPIO NOTEVOLE: IL CONTRATTO DI AGENZIA PUBBLICITARIA
-Il contratto di agenzia pubblicitaria
Il contratto di agenzia pubblicitaria assume crescente rilevanza sociale e crea delle difficoltà interpretative
sia in dottrina che in giurisprudenza in ordine alla sua natura, in particolare alle difficoltà sono cresciute in
carenza di una disciplina legislativa nonché in virtù della scarsità della giurisprudenza.
-La qualificazione del contratto di agenzia pubblicitaria
Nell'ambito dei contratti di pubblicità quello più significativo è costituito dal contratto di agenzia
pubblicitaria un primo problema è quello dell’esatta individuazione della fattispecie e a tal proposito ci
sono 3 soluzioni fondamentali:
1. in base a una prima ricostruzione dottrinale il contratto di agenzia pubblicitaria non potrebbe
considerarsi una fattispecie unitaria ma la risultante di 2 contratti collegati che sono il contratto di
ideazione e il contratto di esecuzione la fase ideativa potrebbe essere ricondotta nell'alveo del contratto
d'opera intellettuale e quella esecutiva nel mandato oneroso; il professionista è chiamato a ideare la
campagna pubblicitaria e in secondo luogo a consentirne la realizzazione in virtù della conclusione di tutti i
relativi contratti con i vari mezzi tale soluzione è stata accolta dalla giurisprudenza, in particolare dalla
Corte d'Appello di Firenze che sostiene che i rapporti con un'agenzia pubblicitaria si caratterizzano come
contratti d'opera intellettuale mentre i rapporti stessi si prospettano come mandati onerosi quanto alla
fase esecutiva della diffusione del materiale pubblicitario
2. in base a una seconda ricostruzione maggiormente accolta in giurisprudenza si deve far riferimento alla
figura generale dell'appalto di servizi, in quanto l'agenzia pubblicitaria riguarda sempre più l'aspetto di
un'organizzazione produttiva di tipo imprenditoriale
3. inbaseaunaterzasoluzioneilcontrattodiagenziapubblicitariaèconsiderato un contratto atipico ai sensi
dell'art 1322 comma 2 cc si può prevedere che quando avrà luogo la tipizzazione legislativa della
fattispecie il legislatore si limita perlopiù a recepire la figura contrattuale come delineata dalla prassi. I
motivi per i quali appare preferibile qualificare la fattispecie in questione come contratto tipico devono
ravvisarsi nella complessità della fattispecie nonché nella varietà delle prestazioni dedotte in contratto:

in primo luogo l’agenzia pubblicitaria è tenuta a elaborare un progetto di campagna pubblicitaria e al


termine di questa fase subentra la fase di esecuzione, finalizzata a mettere concretamente in atto il
progetto di campagna pubblicitaria elaborato
mentre la fase ideativa costituisce un tipico esempio di prestazione intellettuale riconducibile al contratto
d'opera intellettuale, nella fase esecutiva l'agenzia può limitarsi a stipulare i relativi contratti con i media
per l'acquisto degli spazi pubblicitari, i contratti relativi alla realizzazione dei manifesti e i contratti relativi
all’affissione dei manifesti tuttavia la situazione può complicarsi nel caso in cui l'agenzia assume in proprio
la realizzazione di una parte della fase esecutiva e poi affida ad altra ditta il compito dell’affissione: in
questo caso le fattispecie contrattuali a cui è possibile fare riferimento sono 3, ossia il contratto d'opera
intellettuale, il contratto di mandato oneroso e il contratto di appalto
In concreto perciò il contratto può assumere connotazioni diverse e in queste condizioni la soluzione
preferibile ai fini della qualificazione è quella di far riferimento alla figura dei contratti atipici la soluzione
proposta da Fusi è stata quella di far riferimento alla sommatoria del contratto di opera intellettuale e del
mandato oneroso. Non soddisfacente appare l'accostamento della figura all'appalto, in particolare
all'appalto di servizi questa soluzione è stata contestata dalla dottrina in base alla considerazione che sono
state una differenza fondamentale tra il contratto di agenzia pubblicitaria e il contratto di appalto in quanto
mentre il contratto di agenzia pubblicitaria implica una fase ideativa, il contratto di appalto è un contratto
meramente esecutivo.
-La responsabilità dell'agenzia
Si discute sul regime di responsabilità che grava sull'agenzia e sono state formulate 2 soluzioni:
si tratta di un'attività di tipo prevalentemente professionale, l'obbligazione assunta dall'agenzia è quindi
un’obbligazione di mezzi se il contratto di agenzia viene qualificato come contratto d’opera intellettuale si
tratterà di un tipico esempio di obbligazione di mezzi e questo significa che l'agenzia pubblicitaria strada
tenuta operare con il maggior grado di diligenza professionale possibile, ma non le potrà essere imputato in
modo oggettivo il mancato raggiungimento del risultato. Si tratta della soluzione preferibile in quanto
l'attività principale è svolta dall'agenzia pubblicitaria a carattere eminentemente creativo e ideativo e ne
consegue che non c'è alcun motivo per differenziare il regime di responsabilità dell' agente pubblicitario
rispetto a quello di qualsiasi altro libero professionista e in secondo luogo il raggiungimento del risultato
promesso è in sé e per sé altamente aleatorie e inoltre in terzo luogo notevole rilevanza riveste la capillare
diffusione del prodotto, con conseguente e reperibilità da parte dei consumatori

si tratta di un’obbligazione di risultato se la fattispecie viene qualificata come appalto di servizi


l'obbligazione assunta dall'imprenditore è un tipico esempio di obbligazione di risultato, pertanto l'agenzia
pubblicitaria dovrai essere ritenuta responsabile a prescindere dal grado di diligenza impiegato, in quanto
non ha raggiunto il risultato previsto
-Il recesso
Si tratta di capire se il committente abbia o meno diritto di recedere dal contratto e la questione è stata
affrontata da alcune sentenze delle corti di merito:
nel 1986 il Tribunale di Milano ha stabilito che sebbene il committente non avesse tratto alcuna utilità
dalla campagna pubblicitaria realizzata, questo è stato condannato a devolvere il corrispettivo pattuito per
l'opera realizzata
la Corte d'Appello di Venezia nel 1987 ha consentito al committente di recedere per giusta causa in
applicazione dell'art. 1725 in tema di mandato
nel 1988 del Tribunale di Milano discuteva del fatto che il committente lamentava la violazione da parte
dell'agenzia del codice di autodisciplina pubblicitaria e il cliente chiedeva il risarcimento del danno ma il
tribunale lo negava considerando che l'esito commerciale di un determinato prodotto dipende oltre che da
una congrua azione pubblicitaria anche da altri fattori come ad esempio gli accorgimenti commerciali che
ne garantiscano la diffusione e la reperibilità
Si evince come alcune sentenze abbiano fondato il diritto al recesso del committente sull'applicazione della
disciplina del mandato e altra soluzione ancora potrebbe essere quella dell’applicazione alla fattispecie in
questione della disciplina del recesso prevista in materia di appalto entrambe le soluzioni non possono
essere accolte: il contratto di agenzia non può essere ricondotto né al contratto di mandato né al contratto
di appalto in quanto si tratta di un contratto atipico.
Ci si chiede se sia opportuno o meno riconoscere a favore del committente il diritto di recesso la soluzione
sembra essere affermativa in quanto il contratto di agenzia pubblicitaria è stipulato nell'interesse del
committente, che deve essere messo in condizione di poter decidere se continuare o meno nella campagna
intrapresa, pertanto sembra opportuno prevedere il diritto di recesso a favore del committente salvo il
risarcimento integrale del danno subito dall'agenzia pubblicitaria.
SEZIONE IV: I CONTRATTI CON CAUSA MISTA E COLLEGATI
-I contratti con causa mista
I contratti con causa mista sono quei contratti caratterizzati dalla commistione delle cause tipiche di
differenti schemi contrattuali, come ad esempio il caso di un contratto di vendita di un immobile in cui il
venditore assume altresì l'impegno di effettuare alcuni lavori di riparazione e in questo caso si ha come
causa sia la vendita sia l'appalto ai fini dell'individuazione del regime al quale sottoporre i contratti a causa
mista soccorrono 4 criteri:

1) in base al criterio dell'assorbimento occorre verificare quale figura assume prevalenza nel caso concreto
e questa troverà applicazione: la Cassazione ha optato per questa teoria, specialmente in presenza di
discipline incompatibili quanto a termini di decadenza e rimedi esperibili, con conseguente applicazione
all'intero atto del regime che assume prevalenza
2) in base al criterio della combinazione si deve scindere la fattispecie complessa nei suoi elementi
costitutivi, con conseguente applicazione a ciascuno di questi della disciplina che gli è propria
3) in base al criterio dell’analogia si deve far applicazione in via analogica della disciplina dei tipi contrattuali
corrispondenti
4) in base al criterio dell’applicazione diretta delle norme sul contratto in generale il contratto con causa
mista dovrebbe essere assoggettato al regime generale del contratto
Occorre distinguere tra commistione unilaterale e commistione bilaterale:
▲ si ha commistione unilaterale quando mentre una delle 2 prestazioni è unitaria l'altra è più articolata
prestazioni di tipo accessorio possono in primo luogo derivare dal principio di buona fede in senso
oggettivo o dalla legge: in particolare grazie a questo principio è possibile introdurre nel sistema una
pluralità di doveri accessori che fanno corona all’adempimento della prestazione principale; alcuni di questi
doveri accessori sono menzionati dallo stesso legislatore, come ad esempio all'art. 1177 cc l'obbligazione di
consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna
La situazione si complica nel caso in cui le prestazioni di carattere accessorio sono previste dalle parti, come
ad esempio un contratto in cui in venditore di un appartamento assume anche l'impegno di effettuare
lavori di ristrutturazione: in questo caso ove si ritenga applicabile il criterio dell'assorbimento occorre
verificare se in concreto assume prevalenza la fattispecie della vendita o quella dell'appalto e ciò non è
privo di rilevanza se si considera la diversa durata del termine di prescrizione e dei rimedi esperibili
Ne consegue che nei casi di commistione unilaterale sarebbe preferibile considerare separatamente ogni
singola relazione contrattuale, salva la possibilità di applicazione della disciplina dei contratti collegati; è
infatti presumibile che lo scioglimento del contratto di vendita travolgerebbe anche quello di
ristrutturazione. Qualche difficoltà può sorgere nel caso in cui il contratto non abbia un oggetto divisibile,
come ad esempio il contratto con cui si permuta la vecchia auto con una nuova unitamente a un conguaglio
in denaro in questi casi si ha fusione dello schema della vendita con quello della permuta; se l'oggetto del
contratto fosse divisibile non sarebbe difficile scindere l'operazione in 2 distinti contratti, ossia da un lato la
permuta pura e dall'altro lato la vendita. Notevole rilevanza riveste il contratto di cessione di un terreno in
cambio di edifici o frazioni di edifici da realizzare sul terreno in quanto questo contratto a seconda dei casi
può essere qualificato come permuta di un bene o come un contratto misto di vendita-appalto

▲ si ha commistione bilaterale quando il contratto è misto senso stretto, ossia si concretizza nello scambio
di prestazioni riconducibili a 2 differenti tipologie contrattuali, come ad esempio lo scambio tra il
godimento di un appartamento e attività di tipo lavorativo quello che è evidente è che nei casi di
commissione bilaterale l'applicazione del criterio dell'assorbimento risulta meno agevole, tenuto conto
della sostanziale equivalenza delle prestazioni scambiate
▲ può esserci la situazione in cui contemporaneamente si ha commistione unilaterale e commistione
bilaterale, come ad esempio nel caso in cui c'è uno scambio complesso in cui viene permutato un alloggio
più piccolo con uno più grande con conguaglio in denaro e in cui il venditore dell'appartamento più grande
assume anche il compito di effettuare lavori di ristrutturazione in casi di questo genere occorre nei limiti
del possibile cercare di scindere l'operazione in rapporti contrattuali più semplici, perciò la prestazione del
venditore si può scendere nella vendita dell'alloggio e nella ristrutturazione dell’alloggio; per quanto
riguarda la scissione delle prestazioni del compratore qui è difficile in quanto non è possibile la scissione e
pertanto dovrà essere applicato il criterio dell'assorbimento
-La vendita mista a donazione
Si tratta di un contratto a causa mista i contratti normalmente sono a titolo oneroso, tuttavia può capitare
che in concreto non sia facile capire se l'attribuzione sia a titolo oneroso o a titolo gratuito e quindi ci si
chiede se si tratta di contratto di compravendita o di una donazione o di un contratto misto di
compravendita e di donazione: in materia di contratti con causa mista di compravendita e di donazione
prevale in giurisprudenza la teoria dell'assorbimento, con conseguente sottoposizione dell'intero contratto
al regime contrattuale che assume prevalenza, pertanto se il bene è venduto per 100000 quando il valore
sul mercato è di 500000 si applica la disciplina delle donazioni; in questa prospettiva il pagamento di una
somma inferiore rispetto al prezzo pattuito costituisce prova presuntiva di un negotium mixtum cum
donatione. A volte la giurisprudenza ravvisa gli estremi di una donazione indiretta anche quando la
componente donativa assume prevalenza rispetto a quella onerosa, con conseguente validità
dell’attribuzione anche in assenza di ricorso al formalismo tipico delle donazioni.
-I contratti collegati
Si parla di collegamento contrattuale quando più contratti appaiono collegati gli uni con gli altri e il
collegamento può essere:
█ formale, quando più contratti indipendenti sono redatti nel medesimo atto
█ sostanziale, quando a prescindere dalla presenza o meno di un collegamento anche
formale, i contratti appaiono legati da un nesso di interdipendenza
Si parla di contratti collegati quando è possibile ravvisare un collegamento tra più schemi contrattuali
autonomi mentre si parla invece di contratti con causa mista quando si nota la fusione di più schemi
contrattuali in un unico contratto.
Si discute del fondamento del collegamento:
∽ in base alla teoria oggettiva occorre far riferimento all’economia complessiva dell’affare
∽ in base alla teoria soggettiva il collegamento viene desunto dalla volontà delle parti
Queste 2 concezioni sono combinate insieme dalla giurisprudenza, secondo cui il collegamento consta di un
elemento oggettivo costituito dall' oggettiva interdipendenza dei 2 contratti e di un elemento soggettivo
che è costituito dalla volontà delle parti di considerarli collegati.
Si deve distinguere a seconda del tipo di collegamento:
1) collegamento legale il collegamento può dipendere dalla legge, come ad esempio nel caso del
collegamento tra preliminare e definitivo
2) collegamento funzionale quando il collegamento è evidente, ossia quando si nota un’oggettiva
interdipendenza tra più contratti; nei casi di questo genere il collegamento sembrerebbe operare in modo
oggettivo, sarebbe però eccessivo ritenere che nei casi di questo genere la volontà delle parti non giochi
alcun ruolo. In linea generale occorre ritenere che le parti possano scendere contratti funzionalmente
collegati, anche se alcuni in dottrina hanno dubitato della possibilità di scendere in contratti
funzionalmente collegati
3) collegamento volontario è il collegamento voluto dalle parti, così come le parti hanno facoltà di dividere
quello che sembra collegato altresì hanno la facoltà di collegare quello che sembra diviso. Nel caso in cui si
tratti di contratti privi di un collegamento funzionale di immediata evidenza il collegamento può dipendere
dalla volontà delle parti ma sarebbe un errore ritenere che in questi casi occorra una manifestazione
esplicita di volontà la giurisprudenza è costante nel ritenere che la volontà delle parti di considerare
collegati più contratti possa desumersi anche in modo implicito dal tenore complessivo delle clausole
contrattuali
-Collegamento volontario e condizione
Ci si chiede quali siano i rapporti tra il collegamento volontario e la condizione sospensiva non c’è dubbio
che le parti possono condizionare l'efficacia di un contratto alla conclusione di un altro contratto e in casi di
questo genere è possibile chiedere l'adempimento in forma specifica del contratto inadempiuto al fine di
consentire la piena attuazione dell'altro negozio.
Ci si chiede quali siano i rapporti tra collegamento volontario e condizione e se il collegamento volontario
possa essere ricondotto al regime della condizione a prima vista si potrebbe concludere che si tratta di 2
figure assimilabili ma un'analisi più approfondita consente di smentire questa tesi in quanto il collegamento
contrattuale e la condizione non possono essere confusi in quanto il regime della condizione si applica solo
se le parti hanno specificamente inserito nel contratto una condizione finalizzata a subordinare l'efficacia di
un contratto.
-Il regime dei contratti collegati

I contratti collegati sono contratti distinti ove ciascuno è dotato di vita propria, pertanto ciascun contratto
costituisce un episodio a sé stante quanto a tempo, luogo e modalità di conclusione; sotto il profilo formale
ogni contratto conserva la sua individualità, pertanto eventuali requisiti formali richiesti per un contatto
non si estendono agli altri contratti collegati qualche dubbio è sorto con riferimento al requisito causale:
secondo un primo orientamento ciascun contratto dovrebbe essere autonomo anche sotto il profilo causale
ed eventuali carenze sotto il profilo causale di un singolo contratto possono essere colmate prendendo in
considerazione altri contratti della catena, mentre per quanto riguarda il profilo della validità l'eventuale
vizio che inficia uno dei contratti può estendersi all'intera catena. Altro orientamento sostiene che i
contratti collegati costituiscano un'operazione contrattuale unica quanto a causa, tempo e luogo di
conclusione del contratto e in particolare prevale l'opinione secondo cui i contratti collegati siano più
contratti collegati funzionalmente o per volontà delle parti.
-Il frazionamento contrattuale
Così come le parti hanno facoltà di considerare in modo unitario più contratti, allo stesso modo hanno la
possibilità di frazionare in più contratti un’operazione unitaria diverso è il caso in cui il frazionamento non
si riferisca al contratto ma alla prestazione come ad esempio a una vendita ove in questo caso il contratto è
unico ma l'adempimento è ripartito in più parti. Il frazionamento è in linea di principio consentito in quanto
espressione dell'autonomia privata, salvi i limiti generali dell'età e della frode alla legge.
CAPITOLO 5: LA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE
SEZIONE I: LA FATTISPECIE
-Il problema della responsabilità precontrattuale
Questo problema ha radici storiche e si può partire dal diritto romano, dove non mancano istituti che
attengono al problema: in origine il dolo e la violenza erano considerati fatti illeciti fonte di responsabilità
extracontrattuale, con conseguente obbligo di risarcire il danno subìto dal contraente vittima dell'inganno o
della violenza; è solo in un momento successivo che dal piano della responsabilità del rituale si è passati a
quello della validità del contratto in virtù delle exceptiones e si tratta di regole che trovano ancora
applicazione oggi, dove il dolo e la violenza possono essere sia fonte di responsabilità precontrattuale sia
causa di invalidità del contratto.
-La natura della responsabilità
Ci si interroga in ordine all'esatta qualificazione della responsabilità precontrattuale come responsabilità di
tipo delittuale, contrattuale o come responsabilità di terzo tipo la responsabilità precontrattuale nasce
come responsabilità di tipo delittuale e solo in un momento successivo viene ricondotta nell'alveo della
responsabilità contrattuale con Jhering in Italia già con il codice del 1865 si discute in ordine al
fondamento contrattuale o delittuale di questa forma di responsabilità: sebbene la maggior parte degli
autori e la giurisprudenza maggioritaria si siano orientate verso la natura delittuale di questa responsabilità,
tuttavia non mancano voci che si sono espresse a favore della natura

contrattuale di questo tipo di responsabilità, nonché autori che hanno sostenuto la natura ibrida della
responsabilità precontrattuale. Oggi si dà per acquisito che la responsabilità precontrattuale ha natura
extracontrattuale e costituisce una figura particolare dell'illecito civile extracontrattuale, contemplata agli
artt. 1337 e 1338 cc ne consegue che in assenza di una normativa specifica gli illeciti commessi durante le
trattative prima della conclusione del contratto ricadono nell'ambito di applicazione della fattispecie
generale di responsabilità civile extracontrattuale.
Nonostante la previsione di una fattispecie di responsabilità precontrattuale anche se indefinita, l'art. 2043
cc, inteso quale norma generale di chiusura del sistema può svolgere una rilevanza residua con riferimento
a ipotesi concrete di illecito che si sono verificate prima dell'inizio in senso tecnico delle trattative o dopo o
nel corso delle trattative ma con modalità tali da non ricadere nell'art. 1337 cc, come ad esempio il caso di
danneggiamento in corso di trattative dei beni oggetto di negoziazione.
-Il contatto sociale
La dottrina è giunta a configurare obbligazioni senza prestazione, ossia situazioni in cui dal contatto sociale
scaturiscono obbligazioni accessorie di protezione anche in mancanza di una prestazione principale
significa che in determinate situazioni sarebbero configurabili doveri di protezione fondati sul principio di
buona fede anche in mancanza di una prestazione principale. Il modello dell'obbligazione senza prestazione
è costituito dalla responsabilità precontrattuale il contatto sociale conseguente all'instaurazione delle
trattative fa sorgere obbligazioni reciproche di correttezza, la cui violazione comporta responsabilità
contrattuale.
La teoria del contatto sociale risale agli anni ‘40 del XX secolo e ha trovato riconoscimenti giurisprudenziali,
in particolare in materia di responsabilità del medico dipendente da struttura sanitaria, di responsabilità del
maestro per i danni autoinferti dallo scolaro, di responsabilità del datore di lavoro; interessanti sono alcune
applicazioni in materia di responsabilità procedimentale della pubblica amministrazione, che evidenzia
qualche similitudine con la responsabilità contrattuale mentre in un primo tempo la giurisprudenza
riteneva che si trattasse di responsabilità extracontrattuale, con la conseguenza che il cittadino era tenuto a
provare la colpa della p.a., salva la possibilità del danneggiato di far ricorso a presunzioni semplici, in
seguito si è consolidata l'idea che in caso di emanazione di atti illegittimi la responsabilità è da contatto
sociale, con conseguente presunzione di colpa, salva la prova da parte della pubblica amministrazione che
si tratta di errore scusabile. Questa impostazione è stata recepita anche in alcune sentenze in materia di
responsabilità precontrattuale anche se appaiono isolate, in quanto la giurisprudenza continua ad essere
propensa a riconoscere la natura delittuale della responsabilità precontrattuale, pertanto l'esito è quello
della contrattualizzazione della responsabilità in questione, con conseguente agevolazione del danneggiato
sotto il profilo dell’onere probatorio. Parte della dottrina ha contestato questi risultati, considerando che in
realtà si tratta di una prestazione senza obbligazione e potrebbe consentire di configurare un contatto
sociale anche in un gran n° di altre situazioni, con conseguente svuotamento della responsabilità delittuale
in generale in tutti i casi di responsabilità civile è ravvisabile molto più di un

mero contratto sociale, in quanto è ravvisabile un vero e proprio scontro sociale che è causa della lesione:
in questa prospettiva, posto che la finalità della teoria del contatto sociale è quella di scorporare
determinate fattispecie dall'albero della responsabilità delittuale, al fine di consentire al danneggiato di
usufruire di un regime probatorio più agevolato, il problema va affrontato nel senso di riformare l'intero
sistema della responsabilità civile, in virtù dell’equiparazione dell'onere probatorio tra responsabilità
contrattuale e delittuale o dell'incremento delle fattispecie di responsabilità delittuale caratterizzate da
inversione dell'onere della prova. Tuttavia potrebbe accadere che la giurisprudenza proceda avvalendosi di
presunzioni di colpa e in questa prospettiva sarebbe sufficiente che anche la giurisprudenza italiana si
avvalesse di presunzioni di colpa ogni qualvolta possa apparire preferibile agevolare l'attore sotto il profilo
dell'onere della prova in Italia convivono 2 modelli di responsabilità civile:
i. un modello tradizionale fondata sulla colpa
ii. un modello moderno fondato sulla presunzione di colpa
Si nota come le fattispecie di responsabilità aggravata, caratterizzate dall'inversione dell'onere probatorio,
sono più numerose rispetto a quelle tradizionali fondate sulla colpa e in questa prospettiva nulla impedisce
al legislatore alla giurisprudenza di incrementare le fattispecie di responsabilità aggravata per il tramite di
presunzione di colpa tuttavia in alcuni settori ci sono delle resistenze a parlare di responsabilità aggravata,
e ad esempio la giurisprudenza ha sempre negato che l'attività medica costituisca attività pericolosa ai sensi
dell'art 2050 cc: tuttavia la contrattualizzazione della responsabilità medica conduce agli stessi risultati in
termini di onere della prova, con conseguente presunzione di colpa salva la prova contraria da parte del
medico, pertanto il paziente non è colui che deve provare la colpa del medico ma è il medico che deve
provare che l'aggravamento del paziente è dovuto a una circostanza estranea alla sua sfera di controllo
come ad esempio nel caso di forza maggiore.
-La prescrizione
La disputa in ordine alla natura della responsabilità precontrattuale incide anche sotto il profilo dei termini
di prescrizione si distingue tra responsabilità delittuale che ha un termine di prescrizione di 5 anni e
responsabilità contrattuale che si prescrive in 10 anni: questa differenza di regime viene spiegata
considerando la maggior labilità delle prove testimoniali rispetto a quelle documentali, di cui si possono
avvalere con maggiori probabilità le parti di un contratto. Tuttavia questa distinzione sta venendo meno,
come ad esempio si evince nel codice civile tedesco, ove i termini di prescrizione delle 2 responsabilità sono
stati parificati entrambi a 3 anni e questa parificazione diminuisce la rilevanza della tradizionale distinzione
tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale.
-La fattispecie
In materia di illecito civile si distingue tra:
a) elemento oggettivo

b) elemento soggettivo c) danno


d) nesso di causalità
-L’elemento oggettivo
Parlare di elemento oggettivo della responsabilità precontrattuale significa domandarsi in quali casi sorga la
responsabilità, ossia in quali casi il danno può qualificarsi come ingiusto le 2 ipotesi più importanti sono le
seguenti:
I. responsabilità per conclusione di contratto invalido
II. recesso nelle trattative
-La responsabilità per conclusione di contratto invalido
Questa figura è disciplinata dall'art. 1338 cc in base al quale la parte che conoscendo o dovendo conoscere
l'esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il
danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto in particolare si
discute che cosa debba intendersi per cause di invalidità del contratto: nella prospettiva di espansione della
rilevanza della buona fede precontrattuale, appare preferibile accogliere l'opinione meno restrittiva che
estende la portata della norma anche alle cause di inesistenza e di inefficacia del contratto; in ogni caso
anche se si aderisse alla tesi più restrittiva la mancata comunicazione di eventuali cause di inefficacia o di
inesistenza del contratto ricadrebbe nell'art. 1337 cc.
Per quanto riguarda il profilo dell'elemento soggettivo, l'art. 1338 cc ritiene che la responsabilità può
scattare anche in presenza di semplice colpevolezza, perciò chi sapendo o dovendo conoscere una causa di
invalidità del contratto non ne ha dato notizia all'altro contraente risponde per i danni tuttavia bisogna
tener conto dei profili di eventuale colpevolezza o concorso di colpa dell'altro contraente: infatti la
responsabilità non opera se l’altro contraente era in grado di avvedersi dell'errore con l'ordinaria diligenza,
in particolare nel caso in cui la causa di invalidità del contratto fosse nota ad entrambe le parti. La parte che
dia volontariamente esecuzione al contratto con la consapevolezza della causa di nullità che lo inficia si
preclude la possibilità di essere risarcita ai sensi dell'art. 1338 cc in particolare la giurisprudenza esclude la
responsabilità quando l'invalidità deriva dalla violazione di una norma imperativa: si presume che chiunque,
a parità di condizioni, sia tenuto a conoscere le norme di legge vigenti, e in alcuni casi questa regola viene
estesa anche a fonti normative di grado secondario. Tuttavia è possibile sollevare alcune riserve in quanto
poiché qualsiasi invalidità dipende da un contrasto con i principi di diritto, se effettivamente l'ignoranza di
norme legislative precludesse sempre la via al rimedio, l’art. 1338 cc in sostanza non potrebbe operare;
inoltre se è vero che le leggi una volta che sono state pubblicate si presumono conosciute da tutti, nella
pratica bisognerebbe verificare caso per caso, tenuto conto della qualità dei contraenti, se effettivamente
entrambi i contraenti fossero a conoscenza della disciplina di carattere imperativo e quindi se
effettivamente fosse possibile imputare una colpa in capo al contraente che in buona

fede abbia fatto affidamento sulla validità del contratto in quanto era in concreto impossibilitato di
conoscere l’esistenza delle norme violate.
Sebbene la norma parli nello specifico di parte che conoscendo o dovendo conoscere una causa di invalidità
del contratto, si deve ritenere che la fattispecie possa trovare applicazione ogni qualvolta una parte abbia
comunque dato causa all'invalidità del contratto sia dolosamente o anche solo in modo colpevole: qui il
riferimento è ai casi di dolo e violenza i quali sono fonte di responsabilità precontrattuale e lo stesso dicasi
per il caso di colposa induzione in errore, ossia quando l'assenza di intenzionalità induce in errore l'altra
parte attraverso un comportamento colpevole della parte anche nei casi di annullamento del contratto
per errore opera la responsabilità di cui all'art. 1338 cc.
-Minori e responsabilità precontrattuale
Si discute dell'applicabilità dell'art. 1338 nei confronti del minore e dell'incapace che non rivelano la loro
condizione sebbene la dottrina si sia espressa in senso contrario in base alla considerazione che sarebbe
contraddittorio prevedere da un lato l'annullabilità del contratto a tutela del minore sancendo al contempo
l'obbligo di risarcire i danni conseguenti all'annullamento, in questo modo si verrebbe in concreto ad inibire
l'annullabilità: pertanto si deve ritenere che anche i minori, purché imputabili, possano essere ritenuti
responsabili non solo civilmente ma anche penalmente delle loro azioni e infatti ai sensi dell'art. 1426 cc il
contratto non è annullabile se il minore abbia con dei raggiri occultato la sua minore età e questo esclude in
radice il problema del risarcimento e inoltre la seconda parte del 1426 precisa che la semplice dichiarazione
da lui fatta di essere maggiorenne non è di ostacolo all'impugnazione del contratto questo significa che
esse il minore si limita a dichiarare di essere maggiorenne inducendo in errore la controparte e creando in
questa affidamento, il contratto è suscettibile di annullamento da parte del minore.
-La responsabilità del coniuge e del terzo in buona fede
L'art. 129 bis cc dispone che il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a
corrispondere all'altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia stato annullato, una congrua
indennità; allo stesso modo qualora la nullità del matrimonio sia imputabile a un terzo, costui è tenuto a
devolvere la medesima identità secondo quanto previsto dal comma 2.
-Il recesso nelle trattative
In Italia verso il XX secolo la dottrina ha iniziato a discutere della configurabilità o meno di una
responsabilità in caso di recesso ingiustificato delle trattative, in quanto in precedenza il problema non si
poneva essendo il recesso considerato come un diritto e quindi nessuno poteva essere considerato
responsabile per i danni causati ad altri nell'esercizio di un suo diritto Faggella instaura il dubbio che anche
il recesso può essere fonte di responsabilità se privo di causa: si evince quindi come la buona fede iniziava
ad insidiare la concezione classica del contratto e quindi bisognava ridefinire i confini dei diritti in
particolare del diritto di recesso. Ciò ha comportato un intervento della dottrina il cui risultato

finale è costituito dalla progressiva emersione delle figure dell'abuso del diritto, della concorrenza sleale e
della responsabilità per recesso ingiustificato delle trattative.
L'idea per cui anche il recesso potesse essere fonte di responsabilità qualora ingiustificato all'inizio è stata
contrastata dalla dottrina dominante, per poi affermarsi sempre di più sia in dottrina sia in giurisprudenza
fino ad essere espressamente riconosciuta nel codice civile all'art. 1337, il quale stabilisce che le parti nello
svolgimento delle trattative devono comportarsi secondo buona fede la norma viene intesa nel senso che
il recesso dalle trattative può essere fonte di responsabilità contrattuale nel caso sia ingiustificato; la
gamma dei doveri precontrattuali fondati sulla buona fede in senso oggettivo, la cui violazione può dar
luogo a responsabilità, è estremamente varia perciò ci si trova di fronte a una norma indefinita dai vasti
confini, in virtù della quale il legislatore ha esteso la rilevanza della buona fede in senso oggettivo alla fase
delle trattative. La buona fede in senso oggettivo costituisce un tipico esempio di clausola generale
utilizzata dal legislatore ogni qualvolta si vuole lasciare carta bianca all’elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale del diritto e questo consente una notevole flessibilità e adattabilità del diritto alle nuove
esigenze della società la giurisprudenza si limita ad asserire genericamente che se una parte, dopo aver
ingenerato nell'altra l'affidamento circa la conclusione del contratto, recede senza giusta causa, è tenuta a
risarcire il danno nei limiti dell'interesse negativo. Perciò ai fini della responsabilità del precedente si
richiede il concorso di 3 requisiti quali:
1) affidamento incolpevole dell'altro contraente nella conclusione del contratto non si precisa che cosa si
intende per affidamento incolpevole nella conclusione del contratto
2) mancanza di giusta causa del recesso non si precisa in quali casi manchi la giusta causa del recesso
3) presenza di un danno risarcibile nei limiti dell'interesse negativo
Fermo restando il principio per il quale il recesso dalle trattative è in linea di principio libero e che la parte
che recede il non è tenuta a comunicare i motivi della sua decisione, la giurisprudenza in alcuni casi ha
ritenuto ingiustificato il recesso:
in materia di contratti che richiedono la forma scritta, quando le parti hanno manifestato il loro
consenso in via orale e una di loro all'ultimo momento si sia rifiutata di sottoscrivere il contratto oppure di
recarsi dal notaio per la redazione del lotto
in materia di vendita immobiliare quando il venditore, dopo aver ricevuto un anticipo e aver immesso
nel possesso il compratore, si rifiuta di formalizzare l'accordo
quando una parte recede dopo che si è raggiunta un'intesa su tutti i punti rilevanti dell'accordo
quando nel corso delle trattative una parte induce l'altra ad effettuare delle spese e poi non si addiviene
alla conclusione del contratto
quando una parte si rifiuta senza giusta causa di rinnovare un contratto dopo che la controparte aveva
effettuato investimenti di notevole entità

quando nel corso delle trattative vengono raggiunte intese preliminari che sebbene non obblighino i
contraenti a concludere il contratto possano prevedere la clausola salva la responsabilità precontrattuale
In conformità ai principi generali occorre inoltre che l’affidamento sia incolpevole non può invocare la
tutela risarcitoria la parte colpevole per non aver accertato circostanze rilevabili con l’ordinaria diligenza. La
giurisprudenza ha ritenuto giustificato il recesso nei seguenti casi:
quando una parte recede per evitare di commettere altri illeciti
quando una parte apporta variazioni notevoli al contenuto delle intese raggiunte fino
a quel momento
quando le trattative si protraggono lungamente nel tempo e subentrano nuove
circostanze
quando una parte ha iniziato le trattative con la consapevolezza della loro illiceità pur
sapendo che non concluderà il contratto
quando una parte, anche se in assenza di dolo, si è comportata in modo colpevole
violando regole di correttezza
In queste ipotesi è la contraddittorietà del comportamento che spesso conduce a responsabilità per
recesso ingiustificato dalle trattative chi ingenera nella controparte la convinzione che il contratto verrà
concluso e poi recede incorre in responsabilità precontrattuale. Molti di questi casi possono anche essere
ricondotti alla violazione di un dovere particolare che si pone nell’ambito delle trattative, ossia il dovere di
informazione. Nonostante tutto ciò, si constata come si tratti di una fattispecie vaga ed indefinita, ove tutto
ruota attorno al concetto di legittimo affidamento e di giusta causa di recesso.
-L’impossibilità di concludere il contratto
È il caso in cui, anche in assenza della volontà di recedere, non risulta comunque possibile concludere il
contratto per fatto imputabile all’altro contraente, come ad esempio nel caso della distruzione dolosa dei
beni oggetto della trattativa: in questo caso si tratta di fattispecie assimilabili al recesso ingiustificato dalle
trattative, anche se in questo caso l’impossibilità di concludere il contratto dipende da un fatto della
controparte, con conseguente responsabilità precontrattuale.
-La revoca della proposta
Ai sensi dell'art. 1328 cc la proposta può essere revocata finché il contratto non sia concluso, tuttavia se
l'accettante ne ha intrapreso in buona fede all'esecuzione prima di avere notizie della revoca il proponente
è tenuto a indennizzare lo delle spese e delle perdite subite per l’iniziata esecuzione del contratto questa
ipotesi non integra un caso di responsabilità precontrattuale ma fa riferimento a un caso di atto
conseguente all'esercizio di un diritto: infatti la norma prescinde dall'elemento soggettivo della fattispecie,
dolo o colpa, e opera oggettivamente in ogni caso; inoltre il legislatore non parla di risarcimento ma di
indennizzo, nei limiti delle spese e delle perdite per aver iniziato

l'esecuzione del contratto tutto questo non toglie che se la revoca della proposta assume connotati di
illiceità per violazione delle regole di correttezza fondate sulla buona fede, possa comunque trovare
applicazione l'art. 1337 cc, con conseguente responsabilità estesa anche alle spese di negoziazione oltre
che al lucro cessante.
-Gli altri doveri di correttezza nelle trattative
È possibile individuare altri doveri di correttezza precontrattuale fondati sulla buona fede che sono stati
rinvenuti dalla dottrina:
Bianca individua i doveri di informazione, chiarezza, segreto nonché di compiere gli atti necessari per la
validità e l'efficacia del contratto
Sacco e De Nova individuano come condotta lesiva l'ambiguità, la manipolazione dei costituenti del
contratto, la manipolazione del consenso del contraente
la dottrina tedesca individua i doveri di comunicazione e avviso, di segreto o di riservatezza, di
informazione e chiarezza, di collaborazione
Si discute se tra i doveri precontrattuali possa essere ricondotto anche il dovere di custodia degli oggetti
consegnati in vista della conclusione del contratto: sembra preferibile escludere che sorga questo dovere,
dato che la consegna dei beni già di per sé determina il sorgere di una responsabilità da custodia, fondata
su di un rapporto autonomo, con conseguente normale responsabilità di tipo contrattuale in caso di
mancata restituzione o responsabilità extracontrattuale in caso di danneggiamento doloso o colposo
-I doveri di segretezza
Nel corso delle trattative può capitare che le parti si comunichino circostanza riservate circa modalità
produttive, invenzioni non ancora brevettate, know how, idee, indirizzari di clienti...--> in queste condizioni
qualsiasi divulgazione di notizie riservate, con conseguente danno in capo alla controparte, può comportare
responsabilità per danni o obbligo di restituire i profitti realizzati mediante fatto ingiusto:
π nel primo caso si tratta di responsabilità per fatto illecito ai sensi dell'art. 2043 cc con obbligo di risarcire
l'intero danno
π nel secondo caso si tratterà di arricchimento senza giusta causa ai sensi dell'art. 2041 cc
In ogni caso, sotto il profilo dell'illecito o dell'arricchimento senza causa, il riferimento temporale alla fase
delle trattative non può esplicare alcuna rilevanza ai fini dell'eventuale riduzione dei danni risarcibili nei
limiti dell'interesse negativo.
-I doveri di collaborazione
Si tratta ad esempio del dovere che incombe su ciascun contraente di esprimersi con chiarezza in quanto
anche una semplice omissione può integrare gli estremi della responsabilità precontrattuale nel caso in cui
impedisca che l'operazione giunga a buon fine. L'art. 1337 cc può espandere l'ambito di applicazione di
questo articolo anche ai casi in cui il disposto dell'art. 1338 cc non troverebbe applicazione, come ad
esempio nel caso di inefficacia del contratto, ove non si volesse ritenere che ricadono nella sfera di
applicazione

dell'art. 1338 cc o ai casi di conoscenza bilaterale della causa di invalidità o di inefficacia del contratto.
Tra doveri di correttezza rientra anche il dovere di predisporre le necessarie prove documentali e di
metterle a disposizione della controparte al fine di rendere più agevole l'esercizio del diritto.
-Validità del contratto e responsabilità precontrattuale
Ci si chiede se si possa applicare la disciplina di cui all'art. 1337 cc anche ai contratti validamente conclusi
tradizionalmente la giurisprudenza ritiene che dopo la conclusione di un contratto valido non ci sia più
spazio per l'applicazione della disciplina della responsabilità precontrattuale, salva la responsabilità ex
contracto in caso di inadempimento; dopo la conclusione del contratto non assumerebbero più alcuna
rilevanza eventuali scorrettezze compiute nel corso delle trattative. Invece la dottrina ritiene che questo
istituto possa operare anche in caso di contratti perfettamente validi ma conclusi a condizioni diverse
rispetto a quelle che sarebbero state in assenza delle scorrettezze della controparte il problema che si
pone è quale sia il rapporto tra regole di responsabilità e regole di validità del contratto in quanto le
alternative sono 2:
o le regole di responsabilità coincidono perfettamente con quelle di validità, con la conseguenza che vi
può essere responsabilità precontrattuale e solo nel caso in cui il contratto sia impugnabile per vizio del
consenso, lesione o altro ancora
oppure le regole di responsabilità hanno un raggio di azione più ampio rispetto a quelle di validità, con
conseguente possibilità di invocare il rimedio di cui all'art 1337 cc anche in caso in cui non risulti suscettibile
di impugnazione questa soluzione è quella preferibile
Ai sensi dell'art. 1440 cc se i raggiri non sono tali da determinare il consenso, benché senza di questi il
contratto sarebbe stato concluso a condizioni diverse, il contratto è valido salvo l'obbligo di risarcire i
danni viene quindi in rilievo il dolo incidente; si pensi al caso di colposa induzione in errore o il caso di
approfittamento dell'altrui stato di bisogno ma in assenza della lesione ultra dimidium che darebbe luogo
alla rescissione, oppure il caso di errore determinante ma non essenziale in dottrina a tal proposito si è
parlato di vizi incompleti del consenso in quanto privi di un qualche requisito richiesto dal legislatore ai fini
dell'invalidità del contratto, salvo il diritto al risarcimento del danno. Pertanto in base a questa
impostazione si può ritenere che:
☆ le regole di responsabilità del contratto hanno un campo di azione più vasto rispetto a quelle di validità
☆ sussiste la possibilità di chiedere almeno il risarcimento del danno
La giurisprudenza ha confermato questa impostazione: ci sono sentenze che hanno concesso il rimedio
risarcitorio dell'art. 1337 anche in presenza di contratti validamente conclusi; ad esempio la Cassazione ha
stabilito che in materia di appalto in caso di maggiori difficoltà di esecuzione dei lavori previste dal solo con
mittente non può operare l’art. 1664 comma 2 cc che presuppone l'imprevedibilità dei maggiori oneri, salvo
tuttavia il diritto

dell'appaltatore al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1337 cc nel caso in cui queste maggiori difficoltà
di esecuzione non gli siano state comunicate.
Il rapporto tra vizi incompleti e vizi completi non è immutabile ma può modificarsi nel corso del tempo la
figura dei vizi incompleti è residuale rispetto a quella dei vizi veri e propri del contratto, perciò ne consegue
che l'espansione dei vizi tradizionali del consenso comporta una contrazione della figura dei vizi incompleti.
Un altro problema è quello se la violazione dei doveri di correttezza fondati sulla buona fede possa
assumere rilevanza solo ai fini del risarcimento del danno o anche sotto il profilo della validità del contratto,
ossia se la violazione delle regole di correttezza ex art. 1337 cc possa comportare l'obbligo di risarcire il
danno ma possa anche sancire la nullità del contratto tenuto conto del fatto che le cause di invalidità del
contratto sono tendenzialmente tipica, la sola violazione della regola di buona fede non dovrebbe di per sé
essere idonea a determinare l'invalidità del contratto, salvo che non si ricada in una delle varie ipotesi
tipiche di invalidità, nullità e annullabilità; tuttavia la giurisprudenza ritiene in senso contrario che le
clausole contrattuali che contrastino con la buona fede in senso oggettivo vengano meno.
-Terzi e responsabilità precontrattuale
Ci si chiede quali siano i rapporti tra responsabilità contrattuale e terzi:
◊ se i terzi possano essere responsabili o corresponsabili di un illecito precontrattuale
◊ se i terzi che abbiano subito danni in seguito a un illecito precontrattuale possano o meno chiedere il
risarcimento dei danni il terzo può anche essere la vittima del fatto illecito, come ad esempio nel caso di
danneggiamento nel corso delle trattative di un bene che appartenga in comunione tra il terzo e l'altro
contraente: in questi casi il responsabile dell'illecito deve risarcire i danni subiti da tutti i titolari delle
situazioni giuridiche soggettive lese o ai sensi dell'art. 1337 o direttamente ai sensi dell'art.
2043 cc
Per quanto riguarda il primo punto, in un primo tempo la giurisprudenza limitava il concetto di parte ai soli
contraenti escludendo la responsabilità precontrattuale in capo ai terzi, in seguito ha mutato orientamento
ammettendo la responsabilità dei terzi nella fase precontrattuale se una banca opera nel settore
dell'intermediazione immobiliare è tenuta a doveri di particolare attenzione e correttezza, in particolare nel
fornire informazioni o formulare giudizi sulla situazione contabile della società emittente delle azioni
oggetto di compravendita, perciò ne consegue che se l'acquirente delle azioni subisce danni come
conseguenza delle errate informazioni fornite dalla banca intermediaria, quest'ultima è tenuta a risarcire i
danni: infatti secondo il Tribunale di Milano la responsabilità da prospetto costituisce un chiaro esempio di
responsabilità precontrattuale. Ci si può chiedere se in materia di responsabilità da prospetto sia
opportuno far riferimento alla responsabilità precontrattuale oppure alla disciplina generale dell’illecito ex
art. 2043 cc secondo una certa opinione, in materia di responsabilità da prospetto sarebbe possibile far
riferimento anche all'art. 2043 cc in quanto si tratta di un comune fatto illecito con conseguente obbligo di
risarcimento danno.

Si pensi inoltre alla disciplina del dolo del terzo prevista dal legislatore all'art. 1439 comma 2 cc e si pensi al
caso in cui 2 soggetti dopo lunghe e costose trattative siano in procinto di concludere un contratto ma
interviene il terzo mandando a monte la trattativa facendo un'offerta migliore, salvo poi rifiutarsi di
concludere il contratto nei paesi di common law in questi casi si pone una responsabilità a carico del terzo
sia nel caso in cui il contratto sia stato già concluso sia nel caso in cui l'interferenza sia avvenuto nel corso
della fase delle trattative che era avanzata; in Italia un simile comportamento trova applicazione della
responsabilità o precontrattuale ai sensi dell'art. 1337 o extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 cc.
Una seconda ipotesi di responsabilità del terzo si può prospettare nei casi di complicità, ossia quando il
terzo ha collaborato nell'inganno a danno della vittima in questi casi ferma restando la responsabilità
precontrattuale della controparte, anche il terzo può essere chiamato a rispondere o ai sensi dell'art. 1337
cc o direttamente ai sensi dell'art. 2043 cc.
-L'elemento soggettivo
Si pongono alcuni problemi con riferimento all'elemento soggettivo dell'illecito precontrattuale se è vero
che l'art. 1337 costituisce un'applicazione particolare dell'art. 2043 cc, ai fini della responsabilità occorre
altresì la prova dell'elemento soggettivo dell'illecito, ossia bisogna provare la sussistenza del dolo o della
colpa: la dottrina ritiene che ai fini della responsabilità occorre la prova quantomeno della colpa e la
giurisprudenza precisa che ai fini della responsabilità è sufficiente la violazione di regole contrattuali di
correttezza fondate sulla buona fede in senso oggettivo il concetto di buona fede può essere inteso in 2
modi:
◊ buona fede in senso soggettivo: indica uno stato soggettivo, ossia lo stato soggettivo di chi ignora di
ledere l'altrui diritto
◊ buona fede in senso oggettivo: fa riferimento alle regole di correttezza cui occorre attenersi
nell'adempimento delle obbligazioni, nelle trattative, nonché nell'esecuzione del contratto
La giurisprudenza poi ha stabilito che non occorre neppure più provare in modo specifico la colpa, infatti
dopo aver fornito la prova della violazione di una regola di correttezza fondata sulla buona fede in senso
oggettivo risulta altresì integrata la prova della colpa, pertanto la colpa è implicita nel fatto stesso della
lesione si è quindi introdotta una presunzione di colpevolezza, e così facendo si è compiuto un passo nel
senso della progressiva trasformazione della responsabilità precontrattuale in una forma di responsabilità
di tipo oggettivo, caratterizzata dall'inversione dell'onere della prova in quanto la colpa è presunta e non
occorre provare elementi ulteriori. Si sta quindi passando da una responsabilità per colpa a una
responsabilità di tipo oggettivo, con conseguente mutamento delle regole suppletive dell'ordinamento,
ossia delle regole che si applicano in assenza di una specifica disciplina in senso contrario.

-Responsabilità precontrattuale e pubblica amministrazione


La progressiva tendenza a privatizzare i rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione si è
manifestata anche in materia di responsabilità contrattuale, pertanto eventuali scorrettezze poste in essere
dalla pubblica amministrazione nel corso delle trattative possono essere fonte di responsabilità
contrattuale secondo quanto sancito dall'art 11 comma 4 l. 241/1990.
Nel 2015 la cassazione ha riconosciuto che la pubblica amministrazione risponde a titolo di responsabilità
precontrattuale dei danni risentiti dal privato per violazione del dovere di informazione circa l’esistenza di
norme da cui potrebbe discendere l’invalidità/inefficacia del contratto SE il privato abbia confidato (senza
sua colpa) nella validità del contratto.
SEZIONE II: I DOVERI DI INFORMAZIONE
-Società post industriale e informazione
Nel 1976 Bell aveva pubblicato un libro in cui parlava del progressivo passaggio da un'economia dei beni a
un’economia dell'informazione, caratterizzata dalla crescente arrivata e centralità dell'informazione, fino
ad arrivare alla società dell'informazione. Oggi non c'è nessun settore dell'ordinamento in cui i problemi
connessi all'informazione non abbiano visto l'attenzione degli interpreti: è il caso ad esempio del controllo
della veridicità delle informazioni divulgate dai giornali e dai media, del problema della tutela della
riservatezza, del problema dei doveri di informazione dei datori di lavoro. Inoltre si pensa all'informazione
come una nuova forma di proprietà, nonché all’arricchimento senza causa e alla responsabilità civile come
possibili rimedi in caso di sfruttamento abusivo di idee e informazioni protette, pertanto l'informazione
appare come un bene sempre più prezioso che necessita di attenzione.
-I doveri di informazione
Il problema attiene alla configurabilità dei doveri di informazione nell'ambito delle trattative, in particolare
se siano reciprocamente da rivelarsi notizie rilevanti ai fini della conclusione di un contratto all'inizio del
XX secolo la dottrina dominante riteneva che i doveri di informazione fossero configurabili solo in presenza
di un esplicito riferimento legislativo; a partire dagli anni ‘70 del XX secolo la dottrina è giunta ad affermare
la configurabilità di dovere di informazione anche al di fuori dei casi di espressa previsione legislativa e ciò
ha dato adito a 2 ordini di problemi:
in primo luogo si tratta di chiarire quando e con riferimento a quali dati sia possibile configurare un
dovere di informazione giuridicamente rilevante, in quanto occorre pur sempre cercare di individuare
criteri che consentano di distinguere le informazioni che devono essere rivelate da quelle che possono
essere taciute una prima difficoltà nell'individuare con esattezza la linea di confine tra informazione
giuridicamente rilevante e informazione irrilevante deriva dal fatto che non si tratta di un problema di pura
tecnica giuridica ma di un problema di politica del diritto e a partire dal l’800 fino ad oggi c'è stata una
progressiva espansione dei doveri di informazione e giuridicamente rilevante, perciò bisogna capire fino a
che
punto avrà luogo questa espansione. Anche con riferimento all'ingiustizia del danno è risaputo che i casi in
cui il danno è considerato ingiusto si sono espansi notevolmente e si può notare come la responsabilità
civile si sia progressivamente estesa, prima nel settore della lesione del credito e poi in quello dei danni
puramente economici fino ad arrivare agli interessi legittimi: in queste condizioni non è facile dare una
definizione di ingiustizia del danno e il legislatore si è astenuto dal darne una definizione rigida. Questa
problematica è comparabile con i profili dei doveri di informazione questo non esime l'interprete dal
tentativo di tipizzare i doveri di informazioni al fine di individuare i casi in cui si è giunti ad individuare i
doveri di informazione, rispetto a quelli in cui tali doveri non sono ancora stati ammessi
in secondo luogo si tratta di capire quali conseguenze giuridiche comporti la reticenza e a tal proposito ci
sono perlomeno 2 conseguenze: il risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1337-1338 cc nonché
l'annullamento del contratto per dolo omissivo ai sensi dell'art. 1439 cc posto che la reticenza può essere
sia fonte di responsabilità precontrattuale sia di annullabilità del contratto per dolo omissivo, si tratta di
capire quando sia possibile chiedere unicamente il risarcimento dei danni e in quali casi il contratto è altresì
suscettibile di annullamento per dolo omissivo e in quali casi non è possibile chiedere né il risarcimento del
danno né l'annullabilità; con riguardo alla reticenza si può distinguere tra reticenza che dà luogo sia ad
annullabilità del contratto si ha risarcimento, reticenza che dà luogo unicamente al risarcimento del danno
e reticenza giuridicamente irrilevante
-La rilevanza economica dell'informazione
L'informazione è un bene al pari di tutti gli altri e si tratta oggi di un bene di particolare importanza nella
società contemporanea in questa prospettiva anche il livello di benessere, sia collettivo sia individuale,
dipende dall'informazione disponibile: il livello di benessere è strettamente collegato a quello
dell'informazione disponibile, basta pensare allo sviluppo tecnologico e alle conoscenze in campo medico.
L'informazione e la conoscenza può quindi rappresentare un vantaggio non solo per la collettività ma anche
per il singolo individuo e allo stesso modo il successo dei singoli individui può dipendere molto dalle loro
conoscenze e abilità tecniche se è vero che l'informazione può rappresentare un vantaggio per gli stati e
per i singoli individui, è altrettanto vero che l'informazione non è sempre facile da ottenere: basta pensare
alle ingenti somme che vengono investite ogni anno dagli stati per la ricerca scientifica e tecnologica, agli
investimenti effettuati dalle imprese per la ricerca di nuovi ritrovati tecnologici... Le informazioni poi
possono richiedere molti anni per essere prodotte, come ad esempio accade per un’invenzione e al
contempo sono trasmissibili con estrema facilità da un soggetto all'altro.
L'informazione riveste un'importanza notevole in specie nell'ambito dei mercati finanziari, dove lo stesso
valore di titoli, nonché l'afflusso dei capitali, dipende dalle informazioni disponibili; esistono agenzie
specializzate nella produzione di informazioni, che vengono cedute dietro la devoluzione di un
corrispettivo. La produzione di informazioni è associata ad un alto livello di esternalità positive, la cui
presenza può comportare un livello di

sottoproduzione del bene in questione l’informazione è quindi un bene particolare che presenta
caratteristiche in comune con i beni pubblici:
a) l’uso da parte di qualcuno non preclude il godimento da parte degli altri b) risulta difficile escludere i non
paganti dal servizio
Per tutelare chi produce informazioni ed evitare il rischio della sottoproduzione si può procedere in 3 modi:
a) attribuendo alla p.a. il compito di produrre informazioni
b) assicurando sussidi a chi produce informazioni
c) concedendo diritti di monopolio, ossia un’idonea protezione a chi produce
informazioni impedendo ad altri di avvalersene
L’informazione attribuisce un vantaggio a chi e a coloro che ne possono disporre; la produzione delle
informazioni può però essere lunga, difficile e costosa di qui l’opportunità di proteggere gli investitori e
coloro che producono informazioni tramite un sistema di brevetti.
-Le asimmetrie informative
Il dovere di informare obbliga a rinunciare alla posizione di vantaggio di cui si dispone in virtù della
maggiore informazione in realtà vi sono ragioni di carattere economico che rendono auspicabile la
configurabilità di doveri di informazione molto estesi alle contrattazioni. Tutto ruota attorno
all'informazione e la ragione principale per cui viene concluso un contratto inefficiente risiede nel fatto che
una parte diffonde informazioni errate o non rende note tutte le informazioni rilevanti, inducendo la
controparte a concludere un contratto che non avrebbe concluso o avrebbe concluso a condizioni diverse
rispetto a quelle in cui lo ha compiuto in casi di questo genere una prima soluzione consiste nel negare
efficacia vincolante al contratto, consentendo alla parte svantaggiata di liberarsi dal vincolo; una seconda
soluzione consiste nei doveri di informazione, in modo da agire in via preventiva ed evitare la conclusione di
contratti viziati.
Le conseguenze delle asimmetrie informative nell'ambito della contrattazione sono state oggetto di studi e
in particolare è noto lo studio di Akerlof, che ha richiamato l'attenzione sul fatto che la presenza di forti
asimmetrie informative può ridurre il volume delle transazioni si pensi al mercato delle auto usate: qui si è
in presenza di forti asimmetrie informative non facilmente eliminabili, dovute alla maggior conoscenza dei
difetti dell'auto da parte del venditore rispetto all'acquirente e questo come conseguenza del fatto che il
prezzo è un indicatore poco preciso e non sempre attendibile a circa l'effettiva qualità del bene messo in
vendita. Ne consegue che, definito un prezzo medio di acquisto, saranno disponibili a vendere a quel prezzo
solo coloro i quali hanno auto che hanno un valore uguale o inferiore rispetto a quello medio del mercato,
mentre invece chi ha un'auto che vale di più non sarà disposto a venderla a quel prezzo si instaura così un
circolo vizioso in virtù del quale l'impossibilità di conoscere con esattezza la qualità delle auto usate
conduce a una progressiva riduzione del prezzo e della qualità delle auto investe sul mercato: si tratta del
Scaricato da Federica Mancini (ludo_mancini@hotmail.it)

lOMoARcPSD|1671130
fenomeno della selezione avversa. Si parla invece di azzardo morale quando dopo la conclusione del
contratto una parte non ha modo di controllare il comportamento dell'altra. Le asimmetrie informative
creano quindi danni alla società nella misura in cui ostacolano l'instaurazione di un mercato o comunque
riducono il volume dei possibili scambi: spesso infatti i contraenti tendono a comportarsi in modo
opportunistico, cercando di trarre vantaggio dalle loro maggiori conoscenze e questo può condurre a
risultati inefficienti, impedendo la massimizzazione del profitto congiunto; in questa prospettiva le
asimmetrie informative sono considerate esempi tipici di fallimenti del mercato, con la conseguenza di
rendere auspicabili dei correttivi.
-Asimmetrie informative e giustizia contrattuale
Il discorso sulle asimmetrie informative è strettamente collegato a quello della giustizia contrattuale in
quanto spesso è la carenza di informazioni che dà luogo a contratti squilibrati da un punto di vista
economico una tendenza diffusa in ambito contrattuale è quella dell'opportunismo, che consiste nel
cercare di sfruttare la propria posizione diventando informazioni rilevanti. Anche da un punto di vista
strettamente giuridico le asimmetrie informative precludono la possibilità di concludere contratti giusti ed
equilibrati. La giustizia contrattuale presuppone la conoscenza e ne consegue che solo combattendo le
asimmetrie informative è possibile garantire condizioni di maggiore equità delle condizioni contrattuali. La
carenza di informazioni può essere unilaterale (dolo) o bilaterale (errore) ma non è l'unica ragione che dà
conto dell'ingiustizia del contratto infatti il contratto può essere ingiusto anche per altre ragioni, come ad
esempio la violenza o lo stato di bisogno.
-Doveri di informazione ed espropriazione
Posto che l'informazione ha un costo ed è un bene, ci si trova di fronte a una nuova forma di proprietà
stando così le cose si tratta di chiarire se e fino a che punto la configurazione di doveri di informazione da
parte dello stato possa integrare o meno gli estremi dell’espropriazione: se così fosse non si potrebbe
prescindere dal far applicazione di quanto previsto dall'art. 42 comma 3 Cost che prevede che la proprietà
privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse
generale se la garanzia costituzionale dovesse essere estesa anche all'informazione in primo luogo ne
conseguirebbe che solo il legislatore potrebbe configurare doveri di informazione e in secondo luogo
l'espropriazione non potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima in mancanza della provvigione di
un equo indennizzo. Un'altra soluzione potrebbe consistere nel ritenere che l'informazione come bene
presenta un regime particolare accostabile a quello dei beni pubblici e questo spiegherebbe la peculiarità
del regime e l’inconfigurabilità dell'indennizzo in caso di configurazione dei doveri di informazione.
-Costo dell'informazione e asimmetrie informative
Produrre informazioni può essere costoso in termini di tempi e di investimenti effettuati e non sempre chi
investe in questo settore ha la garanzia di conseguire il diritto di sfruttare in via esclusiva il frutto del suo
lavoro da questo punto di vista l'informazione può

rappresentare per chi la possiede un vantaggio; dall'altro lato gli economisti sottolineano le inefficienze
tipiche dei mercati caratterizzati da asimmetrie informative, nonché la necessità di introdurre dei correttivi
come ad esempio il dovere di informazione. È indubbio che la configurazione dei doveri di informazione si
pone in conflitto con le esigenze di tutela reale posizioni di vantaggio che i privati hanno conseguito si
tratta di chiarire quale di queste esigenze debba prevalere in caso di conflitto, ossia se debba prevalere
l'esigenza di tutelare le posizioni di vantaggio che il privato ha conseguito oppure se si devono evitare le
sacche di inefficienza tipiche dei mercati caratterizzati da asimmetria informativa: Kronman aveva
sostenuto che occorre escludere il dovere di comunicare le informazioni costose e in particolare ha preso
come esempio quello di una compagnia petrolifera che dopo investimenti e ricerche aveva scoperto
l'esistenza di un pozzo di petrolio in un terreno ed escludeva l'obbligo di informare il venditore in quanto
l'economista partiva dall'idea che l'informazione è un bene costoso che appartiene a colui che ha effettuato
gli investimenti per conseguirlo si tratta di un ragionamento eccessivamente unilaterale che non tiene
conto delle esigenze di assicurare l'efficienza nei mercati per il tramite dell'eliminazione delle sacche di
inefficienza e inoltre questa soluzione si pone in contrasto con quanto stabilito dal cc in materia di
ritrovamento del tesoro, in quanto l'art. 932 cc prevede che il tesoro appartiene al proprietario del fondo in
cui si trova e se il tesoro è stato ritrovato nel fondo altrui spetta per metà al proprietario del fondo e per
metà al ritrovatore. Inoltre Kronman trascura il fatto che chi vende un terreno ignorando la presenza di un
pozzo di petrolio commette un errore essenziale sul l'oggetto venduto, il quale se riconoscibile può
legittimare l'impugnazione del contratto per errore essenziale: se così stanno le cose ai sensi dell'art. 1338
scatta la responsabilità della controparte che era a conoscenza dell'errore per conclusione di un contratto
invalido, con l'obbligo di conseguenza di risarcire i danni in quanto l'art. 1338 cc non distingue se si tratta di
informazione costosa o gratuita.
-Mancanza di qualità del bene venduto e pregi del bene acquistato
In dottrina è stato proposto un secondo criterio che si fonda sulla distinzione tra vizi e difetti del bene
venduto e pregi e qualità positive di quello acquistato in questa prospettiva mentre si è tenuti a rivelare
tutto quello che attiene agli eventuali vizi e difetti del bene che si vende, non si sarebbe tenuti a
comunicare di eventuali pregi del bene che si acquista: a tal proposito viene fatto l'esempio di un violinista
che trova da un rigattiere un violino preziosissimo in vendita per pochi soldi. Fermo restando che nessuno
dubita che chi tace eventuali vizi e difetti del suo bene ne deve rispondere, dubbia è la questione con
riferimento alle circostanze positive del bene acquistato un tempo venivano configurati doveri di
informazione solo con riferimento ai vizi del proprio bene o della propria persona e non anche con
riferimento ai pregi o alle qualità positive del bene acquistato, questo tuttavia non esclude che l'evoluzione
della sensibilità sociale verso un problema possa far apparire auspicabile la configurabilità di doveri di
informazione anche nei casi di questo genere. Ne consegue che ci sono tutti i presupposti per configurare
doveri di informazione anche con riferimento alle qualità positive dei beni acquistati.
-I doveri di informazione nel codice

Nel codice è possibile trovare diversi articoli che sanciscono il nuovo espresso la presenza di doveri di
informazione:
l’art. 798 cc prevede che la garanzia del donante non si estende ai vizi della cosa, a meno che il donante
sia stato in dolo: questo significa che il donante che abbia consapevolmente taciuto i vizi del bene donato è
considerato responsabile, pertanto vige l'obbligo di comunicare i vizi del bene oggetto di donazione
l’art. 1338 cc sancisce che la parte che conoscendo o dovendo conoscere una causa di invalidità del
contratto non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire i danni, pertanto si desume un obbligo di
comunicare a tutte le circostanze non solo note ma anche quelle conoscibili che possono determinare
l'invalidità del contratto
l’art. 1759 cc prevede che il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note relative alla
valutazione e alla sicurezza dell’affare
l’art. 1821 cc prevede che il mutuante è responsabile del danno cagionato al mutuatario per i vizi delle
cose date a prestito, se non prova di averli ignorati senza colpa
l’art. 1812 cc prevede che la cosa comodata ha vizi tali che rechino danno a chi se ne serve, il comodante
è tenuto al risarcimento qualora conoscendo i vizi della cosa non abbia avvertito il comodatario
l’art. 1892 cc prevede che le dichiarazioni inesatte e reticenze del contraente relative a circostanze tali
che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se
avesse conosciuto il vero stato delle cose sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha
agito con dolo o colpa grave
l’art. 1893 cc prevede che se il contraente ha agito senza dolo o colpa grave, le dichiarazioni inesatte e le
reticenze non sono causa di annullamento del contratto ma l'assicuratore può recedere dal contratto
Inoltre il codice configura numerosi obblighi di informazione successivi alla conclusione del contratto in
questi casi il dovere di informazione tramite l'invio di rendiconti periodici o altro costituisce un mezzo di
controllo delle esattezza dell'adempimento:
ai sensi dell'art. 1710 comma 2 cc il mandatario è tenuto a rendere note le circostanze sopravvenute che
possono determinare la revoca o la modificazione del mandato
ai sensi dell'art. 1713 cc il mandatario deve rendere al mandante il conto del suo
operato
ai sensi dell'art. 1746 cc la gente deve fornire al proponente le informazioni
riguardanti le condizioni del mercato della zona che gli è stata assegnata e ogni altra informazione utile per
valutare la convenienza dei singoli affari
-I doveri di informazioni nelle leggi speciali
Le leggi speciali, in particolare per quanto riguarda il settore dei contratti del consumatore, hanno previsto
un n° crescente di doveri di informazione il legislatore sembra porre i contraenti nelle condizioni di poter
valutare al meglio l'opportunità di concludere il contratto,

piuttosto che non intervenire con norme imperative finalizzate a imporre certe scelte di contenuto ai
contraenti.
Sempre più frequenti infatti sono i provvedimenti in cui il legislatore ha previsto in modo esplicito i doveri
di informazione con riferimento a situazioni caratterizzate dalla presenza di forti asimmetrie informative,
con l'obiettivo di colmare il divario che esiste tra operatore professionale e consumatore. Significativo a tal
proposito è il testo unico bancario, ove l’art. 116 T.U.B. prevede che in un locale aperto al pubblico sono
pubblicizzati i tassi di interessi, i prezzi, le spese per le comunicazioni alla clientela e ogni altra condizione
economica relativa alle operazioni e ai servizi offerti, ivi compresi gli interessi di mora e le valute applicate
per l'imputazione degli interessi, precisando che non può essere fatto rinvio agli usi. L'art. 117 comma 4
T.U.B. precisa poi quali informazioni deve contenere il contratto disponendo che i contratti indicano il tasso
di interesse e ogni altro prezzo o condizione praticati, inclusi gli eventuali in maggiori oneri in caso di mora;
l'art. 118 prevede l'obbligo di comunicare i clienti le eventuali variazioni unilaterali operate direttamente
dalla banca; l'art. 119 prevede varie comunicazioni periodiche alla clientela, in particolare 1 volta all'anno il
rendiconto dell'attività svolta.
Anche il Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria prevede dei doveri informativi l'art. 21
stabilisce che gli intermediari finanziari devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza,
nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati e inoltre devono acquisire le informazioni necessarie
dai clienti e operare in modo che questi siano sempre adeguatamente informati: a tal proposito è possibile
distinguere i doveri di informazione in:
doveri di informazione attivi rientra la suitability rule che prevede l'obbligo per gli intermediari di
astenersi dall'effettuare operazioni non adeguate e l'obbligo di fornire al cliente ogni informazione
rilevante in ordine all'effettiva rischio di ogni operazione
doveri di informazione passivi rientra la know your customer rule che impone all'intermediario di
acquisire una serie di informazioni sulle caratteristiche e sulla propensione al rischio del cliente
L'art. 30 comma 7 prevede che in caso di offerta fuori sede i contratti devono contenere l'indicazione della
facoltà di recesso a pena di nullità.
Per quanto riguarda la disciplina dei contratti conclusi a distanza, l'art. 52 cod.cons. prevede che prima della
conclusione di qualsiasi comprato a distanza di consumatore deve ricevere una lunga serie di informazioni
tra le quali si possono ricordare:
identità del fornitore
caratteristiche essenziali del bene o del servizi prezzo del bene o del servizio
modalità di pagamento
spese di consegna
diritto di recesso
L’art. 53 cod.cons. prevede che il consumatore deve ricevere conferma per iscritto di tutte le informazioni
di cui all’art. 52.
Per quanto riguarda la disciplina del commercio elettronico, l’art. 7 d.lgs. 70/2003 prevede che in aggiunta
agli obblighi informativi previsti per specifici beni e servizi il prestatore deve rendere facilmente accessibili
ai destinatari del servizio e alle autorità competenti tutta una serie di informazioni tra le quali rientrano:
il nome, la denominazione o la ragione sociale
il domicilio o la sede legale
gli estremi che consentono di contattare rapidamente il prestatore
Ai sensi dell'art. 8 le comunicazioni commerciali devono specificare:
che si tratta di comunicazione commerciale
la persona fisica o giuridica per conto della quale effettuata la comunicazione
commerciale
che si tratta di un'offerta promozionale
che si tratta di concorsi o giochi promozionali
Ai sensi dell'art. 12 il prestatore deve precisare in modo chiaro e comprensibile le varie fasi tecniche da
seguire per la conclusione del contratto e il modo in cui il contratto concluso sarà archiviato.
Per quanto riguarda la disciplina del contratto di viaggio, l’art. 37 cod.tur. prevede che nel corso delle
trattative e comunque prima della conclusione del contratto il venditore o l’organizzatore forniscono per
iscritto informazioni di carattere generale concernenti le condizioni applicabili ai cittadini dello stato
membro dell'Ue. Prima dell'inizio del viaggio l'organizzatore e il venditore devono comunicare al
consumatore per iscritto le seguenti informazioni:
orari, località di sosta intermedia e coincidenze
generalità e recapito telefonico di eventuali rappresentanti locali dell'organizzatore o
venditore
recapito telefonico dell'organizzatore o del venditore...
Ai sensi dell’art. 38 cod.tur. l'opuscolo informativo deve contenere in modo chiaro e preciso:
la destinazione, il mezzo, il tipo, la categoria di trasporto utilizzato la sistemazione in albergo o in altro
tipo di alloggio
i pasti forniti
l'itinerario...
Per quanto riguarda la disciplina della multiproprietà, l’art. 70 cod.cons. prevede che il venditore è tenuto a
consegnare ad ogni persona che richiede informazioni sul mobile un documento informativo in cui sono
indicati i seguenti elementi:
il diritto oggetto del contratto, con specificazione della natura e delle condizioni di esercizio di tale diritto
nello stato in cui si trova l'immobile

l’identità e il domicilio del venditore


se l'immobile è determinato la descrizione dell'immobile e la sua ubicazione nonché
gli estremi della concessione edilizia e delle leggi regionali che regolano l'uso dell'immobile
Ai sensi dell’art. 34 d.lgs. 1/2012 gli intermediari del ramo assicurativo sono tenuti a informare il cliente in
modo corretto, trasparente ed esaustivo sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da
almeno 3 diverse compagnie assicurative; con la precisazione che il contratto stipulato senza la
dichiarazione del cliente di aver ricevuto le informazioni in oggetto è affetto da nullità rilevabile solo da
parte dell'assicurato.
-I doveri di informazione nei progetti di codice europeo dei contratti Significativi sono i principi di diritto
europeo dei contratti di Ole Lando:
ai sensi dell'art. 4:106 in materia di informazioni inesatte si prevede che la parte che ha concluso il
contratto fidando su informazioni inesatte dell'altra parte ha diritto al risarcimento del danno anche
quando le informazioni non abbiano causato un errore essenziale, salvo che la parte che le ha fornite
avesse ragione di credere che le informazioni fossero esatte
ai sensi dell'art. 4:107 in materia di dolo si prevede che la parte che sia stata indotta a concludere il
contratto dai raggiri usati dall'altra parte, mediante parole o comportamenti o qualsiasi mancata
informazione, che invece secondo buona fede e correttezza avrebbe dovuto essere rilevata, può annullare il
contratto
Si tratta di una disciplina interessante in quanto si astiene dall’indicare i casi in cui è configurabile un
dovere di informazione, ma si limita a porre una clausola generale in base alla quale costituisce dolo
qualsiasi mancata informazione che secondo buona fede e correttezza avrebbe potuto essere rivelata.
Il progetto in questione ha aderito a una concezione moderna della reticenza, ormai sganciata rispetto alla
requisito del raggiro: in altre parole la reticenza leva in sé e per sé, a prescindere da requisiti ulteriori.
Interessante è anche il codice europeo dei contratti di Gandolfi:
ai sensi dell'art. 7 in materia di dovere di informazione si prevede che nel corso delle trattative ogni parte
ha il dovere di informare l'altra di ogni circostanza di fatto di diritto di cui sia o debba essere a conoscenza,
che consenta a quest'ultima di rendersi conto della validità e convenienza del contratto; in caso di omessa
informazione o di dichiarazione falsa o reticente, se il contratto non è stato concluso o è affetto da nullità,
la parte che ha agito in modo contrario a buona fede risponde nei confronti dell'altra, mentre se il contratto
è stato concluso è tenuto alla restituzione del corrispettivo versato o al pagamento di una somma di
denaro, a titolo di indennità, nella misura che il giudice ritenga conforme a equità, salvo il diritto della
controparte ad annullare il contratto per errore
-La responsabilità per conclusione di un contratto invalido
I progetti hanno optato per una clausola generale in materia di doveri di informazione, in particolare il
progetto Lando si limita ad asserire che costituisce reticenza qualsiasi mancata informazione che invece
secondo buona fede e correttezza avrebbe dovuto essere rivelata si tratta di un tipico esempio di clausola
generale che si astiene dal tipizzare in modo rigido, in modo tale da consentire un’evoluzione graduale e
spontanea della casistica. Ai sensi dell’art. 1338 cc la parte che conoscendo o dovendo conoscere
l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il
danno da questa risentito per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
-Invalidità del contratto e doveri di informazione
L'art. 1338 cc individua con un certo grado di precisione un primo nucleo di doveri di informazione ogni
qualvolta una parte era a conoscenza del vizio è configurabile un’ipotesi di reticenza giuridicamente
rilevante, con conseguente possibilità per la controparte di ottenere l'annullamento del contratto sia il
risarcimento danni: questo vale in particolare per tutte le ipotesi di errore essenziale di cui all'art. 1429 cc,
che se conosciuto dall'altra parte consente l'annullamento del contratto e anche il risarcimento dei danni
in altre parole si ha reticenza ogni qualvolta un contraente, pur essendo consapevole dell'errore altrui, ha
volutamente taciuto. In questo modo l'effettiva conoscenza dell'errore altrui consente di passare dal piano
dell'impugnazione del contratto per errore al piano dell'impugnazione per dolo omissivo.
Poiché ai sensi dell'art. 1338 cc la parte che conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di
invalidità del contratto non ne abbia dato notizia alla controparte è tenuta a risarcire i danni, si deve
concludere a favore della configurabilità di una responsabilità per reticenza colposa, in particolare l'art.
1338 sembra ricalcare quanto previsto dall'art. 1428 cc, secondo cui l'errore purché essenziale e
riconoscibile può dar luogo alla caducazione del contratto in queste condizioni sembra preferibile ritenere
che il medesimo errore riconoscibile può altresì assumere rilevanza ai sensi dell'art 1338 cc al fine di
fondare un obbligo di natura risarcitoria. Pertanto l'art. 1338 cc consente di individuare un nucleo di casi in
cui è possibile configurare dei doveri informativi e in particolare sorge un dovere di informazione ogni
qualvolta una parte sia consapevole che l'altra parte ha commesso un errore essenziale ai sensi dell'art.
1429 cc: si evince come un primo punto fermo consiste nel fatto che si ha reticenza giuridicamente
rilevante ogni qualvolta un contraente a conoscenza dell'altrui errore essenziale ha taciuto e questo
consente di delimitare la sfera della reticenza giuridicamente rilevante.
-Regole di correttezza e di validità del contratto
La reticenza assume rilevanza sotto un duplice ordine di profili: la consapevolezza che la controparte ha
commesso un errore essenziale di cui all'art. 1429 integra gli estremi della reticenza, rilevante sia ai fini
dell'annullamento del contratto per dolo omissivo sia ai fini del risarcimento del danno in dottrina si
distingue tra regole di correttezza e regole di validità del contratto: le regole di correttezza fondate sulla
buona fede possono essere
più ampie rispetto a quelle di validità del contratto, pertanto ne consegue che le regole di correttezza
possono operare anche in presenza di contratti validamente conclusi, con conseguente obbligo di risarcire i
danni.
-Vizi incompleti e risarcimento del danno
In tutti i casi in cui il contratto nasce squilibrato come conseguenza di un vizio minore del consenso si apre
la porta al rimedio risarcitorio; qualcuno sostiene che in questo modo si apra la porta all'incertezza in
quanto un'eccessiva rilevanza del principio di buona fede in senso oggettivo può sottoporre il destinatario
della dichiarazione a un rischio eccessivo, con conseguente effetto disincentivante sulla contrattazione ma
in realtà le cose non stanno così vi sono infatti 2 limiti che devono essere rispettati:
a. in primo luogo quando si parla di vizi incompleti bisogna essere consapevoli che un problema di
risarcimento danno può porsi esclusivamente in presenza di un dato oggettivo, ossia lo squilibrio tra le
prestazioni di entità tale da ritenersi rilevante nell'economia complessiva della fare, dovuta la violazione del
principio generale di buona fede e correttezza
b. in secondo luogo il risarcimento del danno può avere luogo solo in assenza di un concorso di colpa da
parte del dichiarante e ai fini del risarcimento del danno occorre per ciò che l'errore in cui è incappato il
dichiarante sia scusabile
In conclusione è possibile ritenere che la violazione del principio generale di buona fede di cui all’art. 1337
cc può condurre a risarcimento del danno anche quando non risulti integrata un'ipotesi tradizionale di vizi
del consenso, purché:
a. ci sia uno squilibrio tra prestazioni oggettivamente riscontrabili, di entità tale da ritenersi rilevante
nell'economia complessiva dell’affare
b. non ci sia un concorso di colpa dell'altro contraente
-Vizi incompleti e doveri di informazione
Se è vero che in presenza di un vizio incompleto del contratto si pone solo un problema di risarcimento del
danno, è altresì vero che è possibile configurare un dovere di informazione giuridicamente rilevante ai sensi
dell'art. 1337 cc ne consegue che la parte consapevole dell'altrui vizio del consenso è gravata da un
dovere di informazione giuridicamente rilevante, la cui violazione comporta l'obbligo di risarcire i danni. La
reticenza circa un vizio incompleto del contratto implica responsabilità di tipo risarcitorio, ferma la validità
del contratto e in casi di questo genere la reticenza ha come conseguenze solo il risarcimento e non anche
l'annullamento del contratto.
-La reticenza giuridicamente irrilevante
La reticenza circa la violazione di una regola di correttezza conduce unicamente al risarcimento del danno e
rimane ferma la visita del contratto; ne consegue che quando non risultano violate né le regole di validità
né di correttezza il contratto è pienamente valido e non sorge alcun obbligo di natura risarcitoria.
-Verso una tipologia dei doveri di informazione
La reticenza può essere distinta in 2 categorie fondamentali:
1) reticenza giuridicamente rilevante può essere distinta in 2 sottocategorie, a seconda che comporti sia
l'annullamento del contratto per dolo omissivo sia il risarcimento del danno o che comporti solamente il
risarcimento del danno
2) reticenza giuridicamente irrilevante
In materia di reticenza non è sufficiente far riferimento alla buona fede, ma occorre cercare di distinguere a
seconda del tipo di informazione di cui si tratta, anche al fine di indicare possibili linee evolutive del
sistema.
-Caratteristiche negative della propria persona
Ciascun contraente è in primo luogo tenuto a comunicare ogni circostanza rilevante relativa alla propria
persona, ossia le caratteristiche negative e quelle positive e tutto quello che possa assumere rilevanza ai
fini della conclusione del contratto sebbene la Cassazione in una sentenza isolata abbia detto il contrario,
sembra conforme ai principi di buona fede rivelare ogni circostanza utile. Il non rivelare il proprio stato di
difficoltà economica, specie tale da mettere in dubbio la possibilità di un esatto adempimento, può
integrare non solo gli estremi del dolo omissivo ma anche della truffa.
-Caratteristiche negative relative ai propri beni
Ciascun contraente è tenuto a comunicare a ogni circostanza, sia di fatto sia di diritto, rilevante relativa alla
propria prestazione, come ad esempio l'edificabilità di un terreno o la presenza di servitù che gravano
sull'immobile.
In particolare rileva il dovere di comunicare ogni circostanza circa eventuali rischi connessi all'uso del bene,
nonché fornire le relative istruzioni d'uso ai sensi dell’art. 6 cod.cons. i prodotti commercializzati sul
territorio nazionale devono riportare in lingua italiana indicazioni chiaramente visibili e leggibili relative a:
i. denominazione legale o merceologica del prodotto
ii. nome, ragione sociale, marchio e sede del produttore
iii. eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all'uomo o alle cose
iv. materiali impiegati
v. istruzioni e destinazione d'uso
Inoltre il produttore deve immettere sul mercato solo prodotti sicuri e deve fornire al consumatore le
informazioni utili alla valutazione e alla prevenzione dei pericoli derivanti dall'uso normale o prevedibile del
prodotto.
-Contratti dei consumatori
Particolari doveri di informazione si pongono quando uno dei contraenti è in una posizione di vantaggio
rispetto all'altro sotto il profilo dell'accesso alle informazioni, come per esempio

accade nel caso si tratti di un operatore professionale il diritto dei consumatori all'informazione è
riconosciuto all'art. 153 comma 1 TUE, nonché in tutta una serie di disposizioni di derivazione comunitaria
che prevedono specifici e analitici doveri di informazione, come ad esempio il Testo unico in materia
bancaria e il Testo Unico in materia finanziaria; la ratio di questa normativa è quella di proteggere il
consumatore nei confronti di un operatore professionale il quale è molto più esperto.
In alcuni casi l’inadempimento dei doveri di informazione comporta l'erogazione di sanzioni particolari, ad
esempio il professionista che non informa il consumatore in ordine al diritto di recesso comporta che i
termini per recedere siano aumentati, salva comunque la possibilità da parte del consumatore di richiedere
il risarcimento dei danni ulteriori.
-Vizi incompleti
Ci si chiede se sia possibile configurare doveri di informazione anche con riferimento ai vizi incompleti del
contratto, ossia errori determinanti ma non essenziali posto che le regole di responsabilità hanno un
raggio di azione più basso rispetto a quelle di validità, ne consegue la configurabilità e anche di dovere di
informazione con riferimento a vizi incompleti del contratto. Ad esempio la Cassazione ha stabilito che se il
committente di un appalto non comunica circostanze a lui note tali da rendere i lavori più onerosi del
prevedibile questo comporta responsabilità ai sensi dell'art. 1337 cc.
-La convenienza economica del contratto
Ogniqualvolta la controparte ha commesso un errore sul valore o il contratto appare affetto da squilibrio
tra le prestazioni di entità tale da ritenersi rilevante nell'economia è possibile configurare un dovere di
informazione, pertanto il contratto nasce valido salvo l'obbligo di riequilibrare le prestazioni sebbene la
giurisprudenza abbia deciso in una vecchia sentenza in modo contrario, sembra preferibile che sia
configurabile un dovere di informazione, salvo ogni eventuale profilo ulteriore di responsabilità per insider
trading e in questo senso si è espressa la giurisprudenza in tema di prospetto: è stato affermato il principio
in base al quale incombe sulla banca intermediaria un obbligo di informazione in ordine alla convenienza
economica dell'operazione la giurisprudenza ha escluso che la mancata informazione circa la convenienza
economica del contratto possa comportare nullità del contratto, salva tuttavia la responsabilità
precontrattuale; analogo dovere di informazione circa la convenienza economica dell’affare è stato
riconosciuto dalla giurisprudenza a carico del mediatore, e per quanto riguarda la materia dell'appalto è
stato stabilito che nel caso in cui il committente abbia previsto difficoltà di carattere geologico e non le
abbia rivelate all'appaltatore risponde dei danni ai sensi dell'art. 1337 cc.
Il codice europeo dei contratti estende esplicitamente i doveri di informazione alla convenienza economica
del contratto infatti viene detto che nel corso delle trattative ogni parte ha il dovere di informare l'altra di
ogni circostanza di fatto di diritto di cui si ha o si debba essere a conoscenza, che consenta quest'ultima di
rendersi conto della validità e convenienza del contratto.
-Le caratteristiche occulte
Scaricato da Federica Mancini (ludo_mancini@hotmail.it)

lOMoARcPSD|1671130
Si discute se siano configurabili doveri di informazione con riferimento alle caratteristiche occulte pertanto,
se il venditore debba o meno adempiere al dovere di informazione: la risposta non è unitaria ma può
variare a seconda della natura della circostanza taciuta.
-L’errore sui motivi
Generalmente il motivo non rileva, tuttavia se questo è rivelato dalla controparte o comunque è noto o
conoscibile con l'ordinaria diligenza, sarebbe in contrasto con il principio di buona fede non avvertire la
parte dell'errore sebbene il contratto non sia impugnabile per errore, si può ritenere che sussista un
dovere precontrattuale di informazione fondato sulla buona fede, la cui violazione può comportare
l'obbligo di risarcire il danno, sempre che il motivo per il quale la controparte conclude il contratto sia noto
o conoscibile con l'ordinaria diligenza.
-Le condizioni di mercato
Occorre distinguere non solo a seconda del tipo di mercato ma anche dei contraenti in primo luogo può
trattarsi di un contratto del consumatore e in particolare in questo caso ci si interroga sulla configurabilità o
meno dei doveri di informazione: in realtà la soluzione è di politica del diritto, più precisamente di
sensibilità sociale nei confronti di certi problemi. In giurisprudenza ad esempio si è deciso che il venditore di
un'auto che sia a conoscenza che l'acquirente ha diritto ad ottenere uno sconto è tenuto ad informarlo
altrimenti deve rispondere per risarcimento del danno.
-Le trattative parallele
Qualche dubbio interpretativo può sorgere con riferimento al dovere di comunicare o meno l'instaurazione
di trattative parallele le parti possono regolare espressamente la questione escludendo la possibilità di
instaurare trattative parallele o imponendo almeno un obbligo di comunicazione.
In generale instaurare trattative parallele non è di per sé illecito ma illecita può essere la rottura delle
trattative se sono in una fase avanzata, in quanto in questo caso si ricade nel risarcimento del danno a
seguito di recesso ingiustificato.
-Le informazioni costose
Ai sensi dell'art. 1338 cc relativo alla responsabilità di chi conclude un contratto consapevole della sua
invalidità o non rivelando all'altro l’errore, al venditore si dischiude l'opportunità di impugnare il contratto
per dolo omissivo, ossia per reticenza con conseguente diritto ad ottenere altresì il risarcimento del danno.
-Vizi e difetti del bene venduto e pregi di quello acquistato
Ogniqualvolta il venditore avrebbe la possibilità di impugnare il contratto per errore essenziale ove la
controparte fosse a conoscenza di un errore essenziale, il contratto è impugnabile altresì per dolo omissivo
e reticenza, con conseguente obbligo di risarcimento del danno. Ma anche nel caso in cui non si ritenga che
l'errore sul valore sia essenziale occorre comunque tener conto della possibilità di configurare un viso e
minore del contratto anche in assenza di errore essenziale, ogni qualvolta il contratto sia affetto da

squilibrio tra prestazioni di entità tale da ritenersi rilevante nell'economia complessiva dell’affare, dovuto
ad un errore scusabile, di cui la controparte ne sia a conoscenza, si apre la porta al rimedio risarcitorio con
conseguente riequilibrio delle condizioni economiche del contratto.
-I motivi per cui si conclude un contratto
Di solito non esistono doveri di informazione con riferimento ai motivi per cui si conclude un contratto, in
quanto i motivi personali di chi conclude il contratto non devono essere rivelati è diverso il caso in cui ci si
rende conto che la controparte ha commesso un errore sui motivi in quanto in questi casi i doveri di
correttezza possono imporre di comunicarlo.
-Norme imperative e doveri di informazione
Di solito si esclude che sussistano doveri di informazione con riferimento al contenuto di norme
imperative in realtà su questo punto si può discutere in quanto specialmente con riferimento a quei casi in
cui uno dei 2 contraenti ha maggiori possibilità di accesso ad informazioni che l'altro contraente avrebbe
difficoltà a reperire il con l'ordinaria diligenza. La Cassazione ha stabilito che la p.a. è tenuta a fornire
all'altro contraente ogni informazione rilevante attinente al procedimento e ha inoltre stabilito che accanto
al dovere di essere informati esiste tuttavia anche un dovere di informarsi; analogo discorso con
riferimento ai provvedimenti amministrativi che devono essere rivelati ogni qualvolta la controparte non
sarebbe in grado di venirne a conoscenza con la normale diligenza.
-Autoresponsabilità e doveri di informazione
Accanto ai doveri informazione ci sono anche i doveri di agire in modo diligente e responsabile e a tal
proposito il concorso di colpa può escludere o limitare la responsabilità; un limite generale ai doveri di
informazione deriva infatti dall'obbligo reciproco di diligenza e correttezza, salvi i casi in cui una parte si
trovi oggettivamente impossibilitata a procurarsi da sola le informazioni rilevanti ne deriva che in termini
del tutto generali si è tenuti a rivelare solo quelle informazioni che la controparte non avrebbe potuto
procurarsi con l'ordinaria diligenza. Un regime particolare è previsto in materia di compravendita: mentre la
garanzia per vizi è esclusa se al momento del contratto il compratore era a conoscenza dei vizi, non
altrettanto è previsto con riferimento all'evizione, pertanto ne consegue che la garanzia per evizione è
dovuta anche nel caso in cui il compratore fosse a conoscenza del rischio di evizione. Laddove il compratore
acquisti un bene che sa già essere di terzi la garanzia non opera, salvo il diritto al risarcimento del danno
per inadempimento del contratto.
-Il contratto tra buona fede e autoresponsabilità
Si tratta di una materia in continua evoluzione e attualmente ci sono alcune situazioni con riferimento alle
quali si è raggiunto un consenso generalizzato, come nel caso dei doveri di informazione relativamente alla
propria persona, ai vizi dei propri beni e dei doveri di informazione degli operatori professionali a favore dei
consumatori in questi gruppi l'elemento comune è costituito dal fatto dell'oggettiva difficoltà della
controparte a procurarsi

le informazioni necessarie con l'ordinaria diligenza: ne consegue perciò che ci si potrebbe anche limitare a
formulare la regola in base alla quale si è tenuti a rivelare solo quelle informazioni che la controparte non
avrebbe potuto procurarsi con l'ordinaria diligenza.
-I doveri convenzionali di informazione
Non può escludersi che le parti si impegnano reciprocamente a rivelarsi informazioni rilevanti ai fini della
trattativa: in questo modo le parti possono estendere convenzionalmente la sfera delle informazioni
rilevanti anche oltre i limiti in cui l'ordinamento configura l'esistenza di doveri di informazione. In presenza
di clausole di costruttivo l'eventuale inadempimento costituisce responsabilità ex art. 1218 cc.
-Dall’obbligo di informazione all’obbligo di spiegazione
Si pone il problema se la semplice informazione possa in ogni caso considerarsi sufficiente, in particolare
nel caso in cui si tratti di informazioni non facilmente comprensibili, come ad esempio nel caso di un
medico che si limita a fornire al paziente un semplice elenco di dati clinici ma senza fornire le necessarie
spiegazioni si ritiene che in questi casi la semplice messa a disposizione dei dati potrebbe non essere
sufficiente se non accompagnata da adeguate spiegazioni finalizzate a un’effettiva comprensione dei dati
oggetto di informativa.
SEZIONE III: IL QUANTUM
-Responsabilità precontrattuale e interesse negativo
Per quanto concerne la quantificazione del danno in materia di responsabilità precontrattuale si ritiene che
il risarcimento debba essere contenuto nei limiti dell'interesse negativo il concetto di interesse negativo
attiene al:
Ω danno emergente, ossia le spese effettuate
Ω lucro cessante, ossia la perdita di eventuali altre opportunità di guadagno
Tuttavia parte della dottrina solleva dei dubbi sull'opportunità di questa bipartizione del danno derivante
da responsabilità precontrattuale.
-L’interesse negativo nella giurisprudenza
Per quanto riguarda la giurisprudenza questa ritiene che in materia di responsabilità precontrattuale il
risarcimento è contenuto nei limiti del solo interesse negativo, salvo poi precisare che il risarcimento del
danno deve comprendere non solo le spese fatte a titolo di danno emergente ma anche la perdita di
analoghi occasioni contrattuali, ugualmente o anche più lucrose rispetto al contratto non concluso e
quest'ultima voce di danno richiederebbe una prova specifica.
Si è detto che il risarcimento del danno è sempre ed esclusivamente consentito nei limiti del solo interesse
negativo se venisse risarcita a titolo di lucro cessante anche la perdita dell'opportunità di concludere altri
contratti risulterebbe evidente che in questi casi il risarcimento non solo ingloba anche l'interesse positivo
ma può anche essere superiore all'interesse positivo.

▷ la prima voce di danno che si deve considerare è quella costituita dalle spese le spese comprendono i
costi sostenuti per lo svolgimento delle trattative come ad esempio viaggi, redazione di progetti, nonché i
costi di assistenza legale per la stipulazione del contratto, i costi per la redazione dell'atto pubblico; salva
l'affermazione secondo cui le spese devono essere risarciti a titolo di danno emergente, non è del tutto
chiaro fino a che punto le spese possono essere risarcite, ossia se qualsiasi spesa anche di tipo superfluo
debba essere risarcita: in questa materia trova applicazione l'art. 1227 comma 2 cc, pertanto si deve
escludere la risarcibilità delle spese superflue o evitabili con l'ordinaria diligenza
▷ la seconda voce di danno è costituita dalla perdita di altre opportunità di guadagno qui la giurisprudenza
faceva perlopiù riferimento alle spese sostenute e alle perdite direttamente dipendenti dalle trattative o
dalla loro parziale esecuzione; è in un secondo momento che si è verificata una progressiva espansione
anche sotto il profilo del quantum risarcitorio che viene ad inglobare anche la perdita di opportunità
alternative al guadagno, purché si tratti di un'occasione sufficientemente certa
-La casistica giurisprudenziale
In primo luogo si deve ricordare che la giurisprudenza in materia di dolo o violenza è sempre stata
dell'opinione che in presenza di un fatto illecito connotato da dolo o violenza il risarcimento deve in ogni
caso essere integrale e quindi includere di interesse positivo; significative sono alcune sentenze che non
hanno esitato a concedere il risarcimento integrale, comprensivo anche dei guadagni attesi, in situazioni in
cui come conseguenza dell'illecito precontrattuale il danno era definitivo, ossia era venuta meno la
possibilità di trovare opportunità alternative di guadagno e a riguardo una sentenza significativa è quella
della Pretura di Macerata che ha riguardato una lettrice che si è classificata 1° in graduatoria ma non è stata
assunta dall'Università per motivi di contrasti personali e la decisione le è stata comunicata quando era
troppo tardi per presentare domanda altrove in questo caso il pretore, considerando che la lettrice in virtù
del suo curriculum avrebbe potuto essere assunta da un'altra università per il medesimo corrispettivo, le ha
concesso a titolo di risarcimento del danno la stessa somma che avrebbe lucrato in seguito all'incarico,
pertanto le ha riconosciuto l'interesse positivo. In un caso deciso dal Tribunale di Milano in materia di
responsabilità da prospetto alcuni investitori avevano subito dei danni in seguito all'acquisto di titoli sulla
base di prospetti che erano stati elaborati in modo negligente dalla banca intermediaria e in questo caso il
tribunale ha quantificato il danno tenendo conto sia delle perdite subite dagli investitori sia degli utili che
questi avrebbero potuto trarre da investimenti alternativi; il Tribunale di Genova in un caso di un gestore di
un cinema estivo che era venuto a conoscenza troppo tardi della decisione del proprietario di non
rinnovare la locazione e vendere l'immobile non era riuscito a trovare locali alternativi, provocandogli una
perdita dei profitti per l'intera stagione e in questo caso il tribunale gli ha concesso l'intero risarcimento; la
Cassazione ha riconosciuto un risarcimento del danno integrale a una compagnia di attori che dopo aver
predisposto tutto per la rappresentazione

non aveva potuto effettuarla a causa del recesso ingiustificato del committente soli 2 gg prima della data
prevista.
In un gruppo di sentenze relative alla materia del pubblico impiego sono stati risarciti in modo integrale i
mancati guadagni a titolo di responsabilità precontrattuale in varie occasioni sono state sollevate vertenze
con riferimenti a concorsi indetti da enti pubblici relativi all'assunzione di nuovo personale e in particolare
alcuni lavoratori risultati vincitori sulla base delle graduatorie erano stati pretermessi: in questi casi la
Cassazione ha asserito il diritto del lavoratore di essere risarcito in modo integrale dei mancati guadagni e
di essere assunto coattivamente, salva l'applicazione dell'art. 1227 comma 2 cc con conseguente obbligo
dei lavoratori di attivarsi al fine di mitigare il danno, ad esempio cercando nelle more del giudizio fonti
alternative di guadagno.
-La giurisprudenza della Corte suprema olandese
In Olanda la Corte ha riconosciuto la possibilità che in materia di responsabilità precontrattuale il
risarcimento comprenda non solo le spese ma anche i mancati guadagni e si tratta della sentenza Hoge
Raad in cui il Comune di Valburg era interessato alla realizzazione di una piscina comunale ed era stata
indetta regolare gara d'appalto ove erano stati presentati diversi progetti l'imprenditore Plas aveva
presentato l'offerta migliore e aveva vinto il concorso con comunicazione verbale da parte del sindaco ma,
prima che il consiglio comunale formalizzasse con regolare delibera, un altro imprenditore aveva
presentato un'offerta migliore e di conseguenza l’appalto era stato affidato a quest'ultimo; Plas instaurava
una causa invocando la responsabilità precontrattuale del comune per recesso ingiustificato delle trattative
e in primo grado aveva ottenuto l'intero risarcimento mentre invece il giudice d'appello aveva limitato il
risarcimento al solo interesse negativo o sia le spese sostenute. La Cassazione olandese ha confermato la
decisione di primo grado stabilendo che nel caso in cui una parte e recedere alle trattative in contrasto con
i dettami della buona fede il risarcimento può inglobare il lucro cessante, ossia la perdita di profitti attesi.
La Corte aveva distinto 3 fasi:
1. nella prima fase il recesso è libero per entrambe le parti senza conseguenze di carattere risarcitorio
2. nellasecondafaseilrisarcimentoèancoraliberosalvol'obbligodirimborsarelespese
3. nella terza fase il recesso non è più consentito, con conseguente obbligo di risarcire anche l’interesse
positivo ne deriva che se le trattative sono in una fase avanzata
il risarcimento deve essere integrale
-I vari casi di responsabilità precontrattuale
Il problema del quantum non può essere risolto in modo unitario ma va affrontato caso per caso:
un primo gruppo di ipotesi si riferisce ai casi in cui nel corso delle trattative vengano commessi illeciti di
varia natura, come ad esempio il danneggiamento del bene

oggetto di trattativa oppure il ferimento della controparte o la divulgazione di notizie riservate: in questo
caso il risarcimento deve essere integrale, in quanto le trattative sono solo l'occasione per la commissione
di fatti illeciti autonomi e rilevanti in sé e per sé
un secondo gruppo di ipotesi è quello che fa riferimento ai casi di dolo o di violenza e in questi casi
risultano integrati gli estremi di un fatto illecito rilevante ai sensi dell'art. 2043 cc: ne consegue che ad
esempio nel caso in cui si inizi non maliziosamente trattative già con l'intenzione di non portarle a termine
risultano integrati gli estremi di un illecito extracontrattuale
un terzo gruppo di ipotesi è costituito dai casi in cui si induce una parte a concludere un contratto che
altrimenti non avrebbe concluso: in questi casi il contratto è valido e non può essere impugnato pertanto si
deve far riferimento alle regole di responsabilità; anche in questi casi il risarcimento deve essere integrale
un quarto gruppo di situazioni è costituito dai casi in cui una parte viene indotta a concludere un
contratto a condizioni diverse da quelle cui avrebbe aderito in assenza della scorrettezza: in questi casi si
può agire solo con le regole di responsabilità, perciò il risarcimento del danno sarà pari alla differenza di
valore tra il contratto che si è concluso è quello a cui si sarebbe aderito in assenza della violazione delle
norme di buona fede
un quinto gruppo di ipotesi è costituito dai casi di recesso ingiustificato nelle trattative, di conclusione di
un contratto invalido, di responsabilità del falsus procurator negli ultimi 2 casi il legislatore specifica che il
risarcimento è concesso nei limiti dell'interesse negativo, in ogni caso in virtù dell’insegnamento
tradizionale si ritiene che il limite dell'interesse negativo operi anche con riferimento alle ipotesi di recesso
senza causa ex art. 1337 cc: tuttavia alcuni autori hanno rilevato come l'esplicita previsione di un limite
negli artt. 1338 e 1398 cc non necessariamente debba significare che anche negli altri casi di responsabilità
precontrattuale debba operare la stessa limitazione
-Il danno emergente
Nell'interesse negativo ricadono in primo luogo le spese, che si distinguono in:
฀ necessarie ฀ utili
฀ voluttuarie
In base a una seconda classificazione si distingue tra:
฀ spese effettuate ai fini della conservazione e del miglioramento di un bene ฀ spese finalizzate alla
realizzazione di un profitto
Secondo Bianca le spese comprendono i costi sostenuti per lo svolgimento delle trattative per la stipula del
contratto nonché i costi sostenuti per eseguire o per ricevere la prestazione. Ci si interroga sui limiti alla
pretesa di risarcimento delle spese:
▲ può trattarsi di spese di carattere voluttuario, come ad esempio nel caso in cui una parte per fare bella
figura affitti una lussuosa limousine per recarsi all'appuntamento e ci si domanda se spese di questo tipo
siano suscettibili di risarcimento secondo quanto disposto dall'art. 1227 comma 2 cc occorre effettuare
una verifica con riferimento a ogni singola voce di spesa se effettivamente non avrebbe potuto essere
evitata tenendo conto della natura dell'affare
▲ può trattarsi di spese del tutto inutili o eccessive, come ad esempio nel caso in cui un imprenditore invia
in Arabia Saudita uno staff di 10 consulenti legali quando in realtà ne sarebbe bastato 1 anche questo caso
occorre effettuare una verifica in termini di costi e benefici, ossia bisogna verificare se i costi effettuati sono
giustificati in relazione ai benefici attesi
▲ può trattarsi di spese specificamente finalizzate a una particolare trattativa e che non sono usufruibili
per impieghi lavorativi o possono essere spese riutilizzabili, come ad esempio l'imprenditore che per fare
bella figura il giorno dell'incontro decide di acquistare una Mercedes oppure se prima dell'apposizione della
firma finale una parte inizia ad effettuare investimenti in vista dell'adempimento ad esempio acquistando
macchinari specifici in questo caso occorre verificare caso per caso se si tratta di investimenti che non
possono essere altrimenti utilizzati oppure si tratta di investimenti che possono essere riciclabili: in questo
secondo caso il risarcimento dovrà essere congruamente ridotto tenuto conto delle possibilità di riutilizzo
alternative
In ogni caso pare evidente come non tutte le spese effettuate in occasione delle trattative e possono essere
risarcite, ma solo quelle ragionevoli e comunque non evitabili con l'ordinaria diligenza.
-Il lucro cessante
Sarebbe preclusa la risarcibilità dell'interesse positivo, ossia il profitto atteso in realtà questa affermazione
non è del tutto corretta in quanto esistono almeno 2 gruppi di situazioni in cui il risarcimento ingloba anche
l'interesse positivo:
█ in primo luogo c'è la possibilità che la parte lesa avesse perso l'opportunità di concludere altri contratti
altrettanto o anche più lucrativi di quello che non si è concluso a titolo di lucro cessante è possibile
ottenere il risarcimento anche della perdita di altre opportunità di guadagno e la giurisprudenza ammette
la possibilità che si tratti di opportunità di lucro anche più elevate di quella persa, e che a questi fini non
occorre necessariamente una prova specifica essendo sufficiente la ragionevole probabilità di occasioni
alternative di guadagno
█ in secondo luogo si procede al risarcimento integrale dell'interesse positivo anche nei casi in cui in
seguito alla scorrettezza viene meno la possibilità stessa di cercare opportunità alternative di guadagno ne
consegue che ogni qualvolta in seguito alle scorrettezze precontrattuali viene meno in modo definitivo la
possibilità stessa di cercare altre opportunità di guadagno, si avrà diritto a titolo di risarcimento ai profitti
che si sarebbero potuti conseguire

-Le trattative
Per quanto riguarda il concetto di trattativa, per definizione le trattative finiscono nel momento in cui viene
concluso il contratto; tuttavia appare poco agevole l'individuazione del momento iniziale delle trattative e
l'accertamento di quando si sia concretamente in presenza di trattative: per quanto riguarda il primo
profilo, l'accertamento dell'inizio delle trattative secondo parte della dottrina si rinviene anche prima delle
trattative vere e proprie, ad esempio quando viene inviato un invito a trattare a seconda che l'illecito
venga collocato o meno nell'ambito delle trattative, troverà applicazione o la disciplina specifica della
responsabilità precontrattuale oppure quella generale dei fatti illeciti.
-Interesse negativo e danni evitabili
Ci si domanda se sia giustificata l'impostazione tradizionale che limita il risarcimento del danno al solo
interesse negativo in primo luogo è possibile considerare come non si tratti di una questione di pura logica
giuridica ma soprattutto di opportunità del diritto: mentre in un primo tempo il recesso dalle trattative non
comportava alcuna conseguenza sul piano risarcitorio, in un momento successivo si è affermata la regola
della risarcibilità nei limiti dell'interesse negativo e in un momento ancora successivo il concetto di
interesse negativo è stato inteso fino ad inglobare anche l'interesse positivo, perciò in questa prospettiva è
possibile ritenere che già attualmente è caduto il limite tradizionale della risarcibilità nei limiti dell'interesse
negativo. L'esame della casistica consente di smentire l'assunto in base al quale a titolo di interesse
negativo non si risarciscono i mancati guadagni, perciò in queste condizioni non sarebbe corretto
concludere che in ogni caso occorre procedere indiscriminatamente a rifusione anche dei mancati profitti
in realtà si tratta di una questione da accertare caso per caso in applicazione dei normali criteri di
quantificazione del danno previsti dal legislatore e nel caso di specie bisogna far riferimento all'art. 1227
comma 2 cc in quanto occorre verificare se si tratta di un danno che non avrebbe potuto essere evitato con
la normale diligenza o meno:
per quanto riguarda le spese, occorre verificare se sono ragionevoli, eccessive o di carattere voluttuario
per quanto riguarda i profitti attesi, bisogna accertare se il soggetto danneggiato avrebbe potuto
contenere il danno trovandosi un'altra opportunità di guadagno o meno se il recesso ingiustificato non
priva la possibilità di trovare altre opportunità di impiego alternative ma causa unicamente un ritardo o una
perdita di profitti limitata nel tempo in questo caso il risarcimento a titolo di lucro cessante sarà limitato al
ritardo
Centrale diventa la teoria dei danni evitabili in base all'impostazione tradizionale si riteneva che mentre
l’art. 1227 comma 1 si riferisse al concorso di colpa del danneggiato, il comma 2 si riferisse a danni
autonomamente causati dal danneggiato: in questa prospettiva non ci sarebbe stato spazio per doveri di
mitigazione del danno ma in tempi più recenti l'art. 1227 comma 2 è stato collegato con il principio di
buona fede ex art. 1175 cc, con conseguente obbligo di attivarsi a carico del danneggiato al fine di limitare
le conseguenze dannose, ad esempio quindi il barista che acquista una macchina per il caffè è difettosa

deve attivarsi per farla riparare o per sostituirla in tempi ragionevoli. L'efficienza economica è favorevole ad
una estesa configurazione di doveri di mitigazione del danno in base alla teoria del danno evitabile, anche
in caso di responsabilità per inadempimento non è scontato che il creditore consegue in ogni caso l'intero
interesse positivo, infatti bisogna verificare caso per caso se il lavoratore licenziato avrebbe potuto mitigare
il danno trovando un altro impiego.
Da ciò ne deriva che:
☬ la responsabilità precontrattuale fa riferimento ad illeciti commessi nel corso delle trattative
☬ la responsabilità contrattuale fa riferimento a contratti validamente conclusi in cui si pone il problema
dell'inadempimento poiché le scorrettezze sono iniziate solo nella fase esecutiva si devono valutare le
conseguenze dannose dell'inadempimento alla luce del criterio dell’evitabilità del danno ex art. 1227
comma 2 cc e ne consegue che ai fini del risarcimento si farà riferimento esclusivamente al mancato
guadagno e non anche alle spese effettuate nel corso delle trattative, salva la prova che si tratta di un
contratto che non sarebbe stato concluso o sarebbe stato concluso con un contenuto diverso come
conseguenza di una qualche scorrettezza precontrattuale
-Interesse positivo e perdita di chances
Ai fini della quantificazione dell’entità del risarcimento del danno bisogna tenere conto non solo
dell’evitabilità del danno MA anche del grado di certezza che il contratto definitivo sarebbe stato concluso
a riguardo è utile la teoria della perdita di chances: in questa prospettiva l'entità del risarcimento del lucro
cessante potrà essere rapportata al grado di effettiva probabilità che il contratto finale sarebbe stato
concluso.
-Il risarcimento in forma specifica
Ci si chiede se sia possibile il risarcimento in forma specifica dell'interesse precontrattuale sussiste un caso
in cui legislatore ha specificamente previsto la possibilità di ottenere tutela in forma specifica anche in
materia di intese preliminari, ossia l'applicazione dell'art. 2932 cc: si tratta tuttavia di una norma di
carattere eccezionale e infatti la giurisprudenza ha escluso che l’art. 2932 possa trovare applicazione in
materia di responsabilità precontrattuale.
Ci si chiede se in materia di responsabilità precontrattuale possa trovare applicazione l'art. 2058 cc relativo
al risarcimento del danno in forma specifica: essendo illecito precontrattuale un fatto illecito che
ricadrebbe nel disposto dell'art. 2058 cc e considerando che il legislatore nulla dice in senso contrario si
dovrebbe ritenere che sia possibile applicare l’art. 2058 cc salvo che ciò non risulti escluso dai limiti previsti
dello stesso art. 2058 cc, ossia l'impossibilità e l'eccessiva onerosità. In dottrina alcuni autori considerano
che tale forma di tutela sarebbe incompatibile con la natura stessa dell'interesse negativo, che
tradizionalmente viene inteso come l'interesse ad essere posti nella stessa posizione in cui ci si sarebbe
trovati nel caso in cui le trattative non fossero mai iniziate; altri autori invece non escludono a priori
l'applicabilità dell'art. 2058 cc il problema deve essere scisso:

in primo luogo bisogna prendere in considerazione i casi in cui le trattative sono l’occasione per la
commissione di un fatto illecito autonomo e rilevante in sé e per sé in questi casi l'applicabilità dell'art
2058 cc è ovvia in quanto si tratta di comuni fatti illeciti
per quanto riguarda l'illecito contrattuale in sé e per sé considerato qui si tratta di un problema di politica
del diritto e di soluzione che si ritiene più opportuno adottare
Ove sia ammessa la configurabilità di una responsabilità precontrattuale anche in presenza di contratti
validamente conclusi, la questione della risarcibilità del danno in forma specifica può essere vista anche
sotto il profilo se sia possibile o meno optare per il risarcimento del danno in forma specifica, con
conseguente caducazione del contratto viziato, in questo modo quindi attraverso l'art. 2058 cc si aprirebbe
la strada all’annullabilità del contratto anche in presenza di vizi atipici in linea di principio la violazione di
regole di responsabilità conduce unicamente al risarcimento del danno; un'altra soluzione potrebbe essere
quella di ritenere che per il tramite dell’art. 2058 cc il contratto possa essere ricondotto ad equità
eliminando quindi lo squilibrio economico.
-Le clausole di esonero della responsabilità
Giurisprudenza e dottrina concordano in ordine all'applicabilità in materia di responsabilità precontrattuale
delle clausole di esonero della responsabilità, sebbene nei limiti di cui all'art. 1229 cc il rischio è quello che
a fronte dell'espansione della responsabilità precontrattuale cresca la tentazione di fare ricorso a queste
clausole di esonero dalla responsabilità al fine di scongiurare il rischio di incorrere in una responsabilità
sempre più invasiva. L'accordo di esonero deve essere esente da profili di invalidità, quali per esempio
approfittamento, dolo, violenza.
-La clausola penale
Ci si chiede se sia possibile prevedere penali a carico delle parti in caso di recesso o di scorrettezze
contrattuali in virtù di una clausola penale è possibile quantificare anticipatamente l'entità del
risarcimento del danno: nel caso in cui le clausole penali siano eccessive è prevista la possibilità di riduzione
da parte del giudice ma non è possibile che il giudice le aumenti giudizialmente e questo consente di
svuotare in concreto la responsabilità. Per ora la giurisprudenza si è limitata ad escludere che in caso di
responsabilità precontrattuale il quantum possa essere rapportato alla penale prevista dalle parti in caso di
inadempimento del contratto; la dottrina si è espressa in senso favorevole all’applicabilità della penale
anche in materia di responsabilità extracontrattuale.
-Variazioni del valore del bene e compensatio lucri cum damno
Si pongono problemi di quantificazione anche nel caso in cui dopo la conclusione del contratto venga a
mutare il valore dei beni scambiati, come sovente accade in ambito societario: l'unico istituto che potrebbe
consentire l'esclusione del risarcimento del danno è quello della compensatio lucri cum damno che
presuppone il danno e il lucro siano conseguenze del medesimo evento.

La questione è venuta alla ribalta nel caso Fondiaria Sai dove la Sai era intenzionata ad acquisire la
Fondiaria ma aveva omesso di indire un'offerta di pubblico acquisto e questo aveva comportato dei danni a
carico di un gruppo di azionisti che avevano acquistato un consistente quantitativo di azioni Fondiaria,
facendo affidamento sull'incremento del valore delle azioni; di contro la Sai, pur ammettendo la
scorrettezza, sosteneva la compensatio il Tribunale di Milano ha ammesso la responsabilità contrattuale e
ha escluso la compensazione invece la Corte d'Appello ha configurato la responsabilità come
precontrattuale ed ha ammesso la compensatio: la Cassazione ha confermato la natura contrattuale della
responsabilità con conseguente diritto degli azionisti al risarcimento del danno conseguente
all'adempimento, salvo l'onere degli azionisti di provare di aver subito un danno economico effettivo.
-Diritto internazionale privato
Per quanto riguarda l'individuazione della legge da applicare si deve far riferimento all'art. 12 Reg. Ue
864/2007.

CAPITOLO 6: LA PROPOSTA
-La formazione del contratto
Normalmente la conclusione di un contratto è preceduta da una fase di trattative alle quali fa seguito lo
scambio di proposta ed accettazione l’art. 1326 comma 1 cc prevede che il contratto è concluso nel
momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte.
-L’invito a trattare
Normalmente si ritiene che l'invio di cataloghi pubblicitari costituisca un invito a trattare, con la
conseguenza che l'eventuale adesione del destinatario del messaggio non implica la conclusione del
contratto, salvo che dalle circostanze o dalle frasi utilizzate emerga una precisa volontà delle parti
divincolarsi; per il caso dell'esposizione delle merci in vetrina in Italia si considera che questo costituisca
offerta al pubblico in quanto se l'esposizione della merce in vetrina valesse come offerta
incondizionatamente, non solo il negoziante potrebbe risultare inadempiente ove non abbia scorte
sufficienti per soddisfare tutte le richieste, ma ai fini della conclusione del contratto sarebbe sufficiente la
dichiarazione di accettazione, anche in mancanza di devoluzione del prezzo. Ove si ritenga che l'esposizione
della merce in vetrina integri gli estremi dell'offerta al pubblico, da un lato si deve ritenere che l'offerta sia
intesa nei limiti dell'effettiva disponibilità del venditore e dall'altro lato che ai fini del trasferimento della
proprietà non sia sufficiente la mera adesione dell'acquirente all'offerta, invece in caso contrario chiunque
potrebbe entrare nel negozio e dichiarare di accettare portarsi via la merce liberamente in ogni caso se le
scorte sono limitate è opportuno aggiungere espressamente la clausola salvo esaurimento scorte,
altrimenti in caso contrario l'offerente potrebbe essere considerato responsabile per i danni subiti dai
contraenti delusi e secondo alcuni si tratterebbe di responsabilità precontrattuale.
-I caratteri della proposta

Con riguardo alla proposta il legislatore non ha fornito una definizione legislativa e tradizionalmente si
ritiene che la proposta costituisce l'atto con cui si dà impulso al processo di formazione del contratto:
proponente è colui che indirizza una proposta all'oblato al fine di concludere un contratto.
Si discute in ordine alla natura della proposta parte della dottrina e della giurisprudenza nega che si tratti
di un atto negoziale e a tal proposito prevale la tesi negoziale in quanto l'atto non potrebbe valere come
proposta se non fosse accompagnato dalla volontà di vincolarsi e, in mancanza di questa volontà, al limite
potrebbe valere come invito a trattare. La dichiarazione di proposta deve essere formulata in modo idoneo
a comunicare la volontà del proponente e ne consegue che l'oblato è legittimato a non prendere in
considerazione una proposta formulata in modo tale da non poter essere compresa e, allo stesso modo, il
proponente è legittimato ad ignorare una dichiarazione di accettazione incomprensibile o formulata in una
lingua sconosciuta.
La proposta in linea di principio deve essere completa, ossia deve contenere tutti gli elementi necessari ed
essenziali del contratto che è finalizzata a concludere, compresa la determinazione del destinatario la
completezza dell'atto consentirebbe di distinguere la proposta da un mero invito a trattare. In definitiva
solo le parti sono arbitri di decidere se concludere o meno il contratto e questo dipende dalla loro volontà,
a prescindere da accertamenti ulteriori in ordine alla completezza o meno della proposta, salvo poi valutare
se è stato concluso o meno un contratto valido.
La volontà fino a quando rimane puramente interna non assume alcuna rilevanza il primo passo consiste
nell’esteriorizzazione della volontà e a tal proposito occorre che la dichiarazione sia volontariamente
indirizzata, in modo da consentire che la controparte ne possa venire a conoscenza. La proposta può altresì
determinare il termine finale entro il quale può aver luogo l'accettazione, può determinare il richiedere di
una forma particolare per la situazione nonché eventuali ulteriori adempimenti: in questi casi l'accettazione
non sarà efficace se non conforme a quanto indicato dal proponente. La proposta può altresì essere
condizionata al verificarsi di un evento futuro e incerto a tal proposito si possono ricordare le clausole
tenendomi libero, senza impegno, salvo venduto....e una parte della dottrina escludeva che si trattasse in
questi casi di proposta, mentre secondo altri invece si tratterebbe di proposta condizionata e secondo altri
ancora si tratterebbe di un invito a trattare; qualche dubbio interpretativo può sorgere anche nel caso in
cui il proponente abbia rivolto contemporaneamente la proposta a più oblati in casi di questo genere
secondo parte della dottrina il contratto dovrebbe considerarsi concluso con l'oblato che risponde per
primo mentre secondo l'orientamento prevalente è preferibile ritenere che, salvo il caso in cui nella
proposta risulti indicato che questa è rivolta a più oblati, che il contratto si concluda con tutti coloro che
dichiarano di accettare, salva la responsabilità del proponente che non possa adempiere nei confronti di
tutti.
-La volontà e la dichiarazione
Un tema classico è quello dei rapporti tra volontà e dichiarazione: ad esempio ai sensi dell'art. 1335 cc è
sufficiente ai fini della conclusione del contratto che la dichiarazione di accettazione all'indirizzo del
proponente, anche senza che questi ne sia effettivamente

venuto a conoscenza, salva la prova da parte di quest'ultimo di essere stato, senza sua colpa,
nell'impossibilità di averne notizia; allo stesso modo l’art. 1433 cc dispone che il proponente possa risultare
vincolato alla sua proposta anche nel caso in cui questa sia stata inesattamente trasmessa dalla persona o
dall'ufficio che ne era stato incaricato.
Ne consegue perciò un definitivo superamento della concezione classica del contratto inteso come effettivo
incontro delle volontà infatti la volontà può anche mancare ma ciò non esclude che il contratto si concluda
in quanto occorre contemperare l'esigenza di tutelare la volontà del dichiarante con l'affidamento
ingenerato dalla dichiarazione della controparte. Il problema consiste nel trovare un punto di equilibrio tra
l'esigenza di tutelare la volontà del dichiarante e quella di tutelare l'affidamento della controparte in modo
da sacrificare nel minor modo possibile da un lato la volontà del dichiarante dall'altro lato all'affidamento
del destinatario della dichiarazione; a tal proposito rileva l’art. 1429 cc secondo cui l'errore è causa di
annullamento del contratto solo quando è essenziale è riconoscibile dall'altro contraente. Da un altro punto
di vista si è contestata l'idea stessa del contratto come incontro di volontà in quanto il contratto risulta
dalla congruenza di due dichiarazioni contrattuali e l'unica cosa che è possibile ravvisare e la congruenza tra
le 2 dichiarazioni.
-Il contrasto tra la volontà e la dichiarazione
I casi in cui può porsi un problema di contrasto tra volontà e dichiarazione sono diversi:
∏ un primo caso è costituito dall'errore ostativo, ossia l'errore che cade nella dichiarazione l'errore nella
dichiarazione può consentire l'annullamento del contratto purché sia essenziale e riconoscibile ai sensi
dell'art. 1433 cc e inoltre l'errore nell'espressione è contemplato anche nel codice europeo dei contratti:
questa disciplina trova applicazione anche nel caso in cui la dichiarazione è stata inesattamente trasmessa
dalla persona o dall'ufficio che ne era stato incaricato. In ogni caso se la dichiarazione è trasmessa da un
terzo, la giurisprudenza pone a carico del destinatario l'onere di verificare se la trasmissione dell'atto è
avvenuta o meno ad iniziativa di chi ha formato il documento
∏ differente è il caso in cui la dichiarazione è stata volontariamente alterata dalla persona incaricata della
trasmissione: quest'ipotesi non è specificamente prevista dall'art. 1433 cc che si riferisce solo ai casi di
errore involontario nella trasmissione. In un primo momento in giurisprudenza prevaleva l'opinione che
l'alterazione volontaria della dichiarazione da parte della persona incaricata della trasmissione fosse idonea
a spezzare il nesso di causalità, con conseguente necessità di esperire la querela di falso e successivamente
e la giurisprudenza ha ritenuto che anche nei casi di alterazione volontaria da parte della persona incaricata
possa trovare applicazione quanto disposto dall'art 1433; l'alterazione può riferirsi a qualunque elemento
della dichiarazione, ivi compreso il nominativo del dichiarante o quello del destinatario e nel caso in cui
l'alterazione riguarda il nominativo del dichiarante si tratta di un esempio tipico di dichiarazione resa sotto
falso nome

∏ un'altra ipotesi è quella in cui il terzo sia stato incaricato di trasmettere una dichiarazione ma senza
indicazione del destinatario: la Cassazione ha chiarito che nulla osta all'emissione di una proposta senza
determinazione del destinatario e in casi di questo genere sarà compito degli intermediari individuare ad
esempio l'impresa alla quale rivolgere l'offerta: qualche difficoltà ulteriore può sorgere nel caso in cui
l'intermediario presenti la proposta a più imprese l'intermediario riceve infatti l'incarico di presentare la
proposta a una sola impresa e, assolto l'incarico, la presentazione della proposta ad altre imprese ha luogo
senza incarico, con conseguente impossibilità di applicare in modo diretto quanto disposto dall'art. 1433,
perciò le alternative sono 2:
o si ritiene che, sebbene non ci sia stato conferimento di un incarico specifico, il terzo possa considerarsi
soggetto incaricato, con conseguente applicazione di quanto disposto dall'art. 1433 cc
oppure si fa riferimento alla teoria dell'apparenza secondo la quale se il dichiarante emette una
dichiarazione e da incarico ad un terzo di trasmetterla, può essere chiamato a risponderne in prima persona
in applicazione del principio dell'apparenza
∏ un altro caso di contrasto tra volontà e dichiarazione è costituito dall'abuso di biancosegno, che si
verifica quando un terzo riempie di contenuti abusivi un foglio firmato in bianco un tempo la
giurisprudenza riteneva che in casi di questo genere fosse esperibile la querela di falso ma in seguito la
giurisprudenza distingue a seconda che il foglio sia stato riempito in contrasto con un precedente incarico
oppure in assenza di incarico: nel primo caso in cui c'è riempimento in contrasto con precedente incarico
trova applicazione l'art. 1433 cc mentre nel caso di riempimento in assenza di previo incarico si deve essere
dire la querela di falso
∏ altro caso è quello in cui la dichiarazione non sia stata né omessa né tantomeno indirizzata ma
costituisca un falso ci possono essere in casi di questo genere l'esperimento della querela di falso in
quanto non ci può essere tutela dell'affidamento in mancanza dei presupposti dell'autoresponsabilità;
analogo discorso può essere fatto per il caso in cui la dichiarazione emessa dal dichiarante sia stata in
seguito alterata o manipolata da parte di un terzo non incaricato della sua trasmissione, perciò in questo
caso si può essere la querela di falso
∏ altrocasoèquelloincuiladichiarazionepuòessereemessadaldichiarantee indirizzata da un terzo non
incaricato è il classico caso della lettera firmata e sottoscritta ma lasciata sulla scrivania per meditarci e
che per errore la segretaria invia: in casi di questo genere non può trovare applicazione quanto disposto
dall'art. 1433 cc dato che la trasmissione ha avuto luogo da parte di un soggetto incaricato, tuttavia può
ritenersi che in casi di questo genere possa operare il principio di autoresponsabilità in quanto è
imprudente colui che lascia incustodita una lettera firmata con il rischio che qualcuno possa
impossessarsene e inoltrarla a sua insaputa in questi casi ne consegue una duplice possibilità:

o ritenere che anche nei casi di questo genere possa operare la logica di cui all'art 1433 cc
oppure fare applicazione della dottrina dell'apparenza in questa prospettiva sarebbe insufficiente
ritenere che la dottrina dell'apparenza possa trovare applicazione anche con riferimento alla dichiarazione
apparente
∏ altro caso ancora è quello in cui la dichiarazione sia stata trasmessa senza essere stata precedentemente
emessa, come ad esempio nel caso di un imprenditore che emette una dichiarazione e la consegni a un suo
fiduciario e questo dà incarico ad un terzo di trasmetterla e il terzo la trasmette lasciando credere all'oblato
che si tratta di una dichiarazione del fiduciario in casi di questo genere non si applica l'art. 1433, in quanto
viene in rilievo il principio di autoresponsabilità
-Il contratto sotto falso nome
Il problema si riduce ai casi in cui rileva d'identità dei contraenti per ragioni di fiducia o per altri motivi i
primi che hanno affrontato la questione hanno sostenuto la nullità del contratto concluso sotto falso nome:
il contratto concluso sotto falso nome non avrebbe potuto vincolare il titolare del nome per carenza di
potere rappresentativo ma al contempo non avrebbe potuto vincolare neppure il soggetto dichiarante in
quanto costui ha dichiarato delle false generalità un ulteriore argomento a favore della nullità veniva
ravvisato nella possibile rilevanza penale dell’uso di generalità false ai sensi dell'art. 494 cp: in realtà la
violazione di una norma penale da parte di un contraente e non necessariamente comporta la nullità del
contratto.
La dottrina più recente propende per la validità del contratto concluso sotto falso nome a questo punto si
apre un'alternativa fondamentale: posto che il contratto concluso fornendo false generalità è valido, si
tratta di capire in capo a quale soggetto si imputano gli effetti del contratto, ossia se si impupano al
dichiarante oppure al titolare del nome:
▶ parte della dottrina sostiene che ha gli effetti si imputano in capo al dichiarante
▶ altri autori ritengono che gli effetti si debbano imputare in capo al titolare del nome,
in virtù di un'interpretazione estensiva della disciplina della rappresentanza
▶ altri autori ancora sostengono che a seconda dei casi gli effetti del contratto debbono imputarsi in capo
al dichiarante o in capo al titolare del nome ad esempio secondo Piazza occorrerebbe distinguere a
seconda che il contratto sia stato concluso tra persone presenti o per lettera: nel primo caso, poiché
l'identificazione ha luogo in base a circostanze collegate all'aspetto fisico, il contratto dovrebbe produrre
effetti in capo al dichiarante mentre nel secondo caso, poiché è l'unico elemento di identificazione è
costituito dal nome, il contratto potrebbe produrre effetti solo in capo al titolare del nome
I fattori che possono assumere rilevanza sono numerosi:
a) in primo luogo può assumere rilevanza l'oggetto del contratto, seconda che rilevi o
non rilevi intuitus personae

b) in secondo luogo può rilevare che il contratto possa essere concluso da chiunque o solo da parte del
titolare del nome
c) in terzo luogo ci possono essere differenze a seconda delle modalità di conclusione del contratto tra
presenti oltre al nome possono operare altri elementi di identificazione collegati all'aspetto fisico mentre
tra persone assenti l'unico elemento che consente l'identificazione è costituito dal nome
d) in quarto luogo può rilevare la distinzione a seconda che l'uso di false generalità sia intenzionale o
dovuto ad errore
e) in quinto luogo può rilevare il fatto che il dichiarante sia stato autorizzato o meno ad utilizzare il nome di
un altro
f) in sesto luogo può rilevare la distinzione tra impiego di un nome di fantasia o impiego del nome di un
altro soggetto solo in questo secondo caso può sorgere il dubbio in ordine al soggetto al quale imputare gli
effetti del contratto
g) in settimo luogo può assumere rilevanza l'intenzione del dichiarante di imputare gli effetti del contratto a
se stesso o al titolare del nome
h) merita inoltre considerare la posizione della controparte, la quale può essersi indotta a concludere il
contratto per ragioni collegati al intuitus, con conseguente frustrazione delle sue aspettative ove risulti poi
che l'effettivo contraente è diverso da quello con cui riteneva di aver concluso il contratto
È possibile ritenere che per regola generale il contratto concluso fornendo false generalità in primo luogo
vincola personalmente il dichiarante ma è anche possibile che possa essere applicato il principio di
autoresponsabilità, ossia chi dichiara sotto falso nome e dà impulso al traffico giuridico creando
affidamento risponde in ogni caso personalmente, con la conseguente responsabilità in caso di
inadempimento. Questo non esclude che gli effetti del contratto possono essere imputati in capo al titolare
del nome e questo può avvenire in 3 un ordini di casi:
i. quando il titolare del nome ha rilasciato una procura al dichiarante si tratta di capire se in questi casi
possa costituire un equipollente della spendita del nome il fatto di aver direttamente dichiarato sotto nome
altrui. La questione è controversa: parte della dottrina nega questa possibilità mentre altra parte invece
l’ammette, non essendoci alcuna ragione per non consentire una tale estensione dell'istituto della
rappresentanza; in questa prospettiva la dichiarazione sotto nome altrui può essere equipollente rispetto
alla spendita del nome altrui, sempre che il dichiarante sia munito di procura e quindi a questi fini non
sarebbe sufficiente la mera autorizzazione ad utilizzare il nome altrui
ii. quando ha ratificato il suo operato in questo caso il titolare del nome, pur non avendo rilasciato previa
procura, ratifica in un momento successivo l'operato di chi ha utilizzato il suo nome: questo caso presenta
analogie con quello del falsus procurator, perciò ne consegue che anche in questo caso il titolare del nome
ha la facoltà di ratificare, con conseguente trasferimento degli effetti del contratto in suo capo; l'unica
differenza rispetto al falsus procurator sta nel fatto che mentre il falsus

procurator in caso di mancata ratifica non risponde in prima persona del contratto,
chi si dichiara sotto falso nome per regola risponde in prima persona
iii. quando operano i principi dell’apparenza gli effetti del contratto possono essere
imputati in capo al titolare del nome e indirizzo dell’apparenza
Un discorso a parte può essere fatto per i casi in cui si dichiara sotto falso nome non intende vincolare né se
stesso né il titolare del nome in questi casi il contratto è nullo per impossibilità dell'oggetto, in quanto
nessuno potrebbe garantire personalmente un proprio debito e ne consegue che può continuare a parlarsi
di nullità del contratto stipulato sotto falso nome salvi eventuali profili di responsabilità civile e penale.
Procura, ratifica, apparenza possono quindi far sì che gli effetti del contratto si producano in capo al titolare
del nome in luogo che in capo al dichiarante può quindi sorgere un altro ordine di problemi, infatti posto
che il contratto è comunque valido l'altro contraente non impedire che gli effetti del contratto si producano
in capo al dichiarante o al titolare del nome:
A. se si tratta di contratti in cui l'identità dei contraenti non assume alcuna rilevanza il problema non si
pone
B. se invece si tratta di contratti caratterizzati dall’intuitus personae o in cui comunque rileva l'identità dei
contraenti, in casi di questo genere l'altro contraente non può in linea di principio impedire che gli effetti
del contratto si producano in capo ad un soggetto diverso da quello con cui riteneva di aver contrattato,
salva tuttavia la possibilità di impugnare il contratto per vizio del consenso in dottrina si fa riferimento alla
figura dell'errore di persona
In linea di principio quanto detto non muta in materia di contratti per i quali è prescritto l'impiego della
forma scritta ai sensi dell'art. 1350 cc; diverso è il discorso con riguardo agli atti pubblici, tenuto conto degli
obblighi di accertamento dell'identità delle parti che gravano sul notaio e l'uso di uno pseudonimo è
consentito anche in materia di atti pubblici, salva l'irrogazione notaio di eventuali sanzioni disciplinari.
Anche in ambito matrimoniale il fornire false generalità non inficia linea di principio la validità del
matrimonio, tuttavia non vale ad escludere l'eventuale bigamia o le conseguenze previste dall'art. 495 cp,
salva l'impugnabilità del matrimonio per errore rilevante o per le altre cause previste dalla legge. Analogo
discorso può essere fatto per quanto riguarda il testamento, in quanto è sufficiente che la sottoscrizione
dei figli con certezza la persona del testatore; non può escludersi che anche unilaterale di altro tipo
possono essere resi sotto falso nome, come ad esempio nel caso della promessa al pubblico o della
remissione del debito:
A. se si tratta di atti negoziali come nel caso della promessa al pubblico non c'è ragione per non applicare gli
stessi principi che sono emersi in materia contrattuale la promessa resa sotto falso nome vincola il
soggetto che l’ha fatta, salva la possibilità di considerare vincolato il titolare del nome in virtù di procura,
ratifica o apparenza
B. per quanto riguarda le dichiarazioni di scienza queste possono essere perfettamente valide anche se rese
sotto falso nome, sempre che si riferiscono a fatti relativi del dichiarante

C. per quanto concerne atti personalissimi in casi di questo genere la falsità del nome e non pregiudica in
linea di principio la validità dell'atto qualora questo si riferisca alla persona del dichiarante significa che il
dichiarante può accettare un’eredità sebbene utilizzi false generalità
-La posizione giuridica del proponente e dell’oblato
Il proponente è in linea di principio libero di effettuare o effettuare la proposta e l'oblato in linea di
principio è libero di accettare o meno la proposta è in linea di principio revocabile, salvo l'obbligo di
indennizzo ai sensi dell'art. 1328 comma 1 cc e salvi gli estremi della responsabilità precontrattuale per
recesso ingiustificato dalle trattative: ne consegue che la proposta semplice non comprime in alcun modo
le facoltà e poteri del proponente in ordine alla gestione dei suoi beni e in generale dei suoi interessi,
pertanto il proponente resta libero di alienare i beni a terzi, di distruggerli... tuttavia si può discutere se
questi comportamenti implicano o meno legittimo esercizio del potere di revoca della proposta per fatti
concludenti, tenuto conto del carattere normalmente recettizio della revoca.
Si discute della qualificazione giuridica dell'oblato: in dottrina si è parlato di potere di accettare o di facoltà
di accettare mentre in altri ordinamenti la dottrina parla di diritto potestativo in realtà il carattere
revocabile della proposta non esclude che fino a quando questa non viene revocata l'oblato abbia il potere
di determinare la conclusione del contratto in virtù dell'esercizio di un potere unilaterale.
-La cedibilità della proposta
Si discute se la proposta sia suscettibile di cessione, in quanto parte della dottrina nega che ciò sia
possibile tuttavia non ci sono ragioni per non considerare cedibile la posizione dell'oblato, sempre che sia
cedibile il contratto a cui questa si riferisce e che ci sia il consenso del proponente.

CAPITOLO 7: LA RECEZIONE
-Le dichiarazioni recettizie
Vengono definite dichiarazioni recettizie quelle dichiarazioni che per produrre effetto devono
necessariamente essere portate a conoscenza di un altro soggetto mentre sono definite dichiarazioni non
recettizie quelle che sono perfette con la sola emissione. Poiché la dichiarazione recettizia necessita di
essere portata a conoscenza del destinatario si discute se la recezione sia elemento costitutivo della
fattispecie dichiarativa, condizione di efficacia o altro ancora qualche dubbio interpretativo è sorto anche
in materia di dichiarazioni tacite: ci si domanda se possa considerarsi il recettizia o meno anche una
dichiarazione è messa per fatti concludenti in realtà non ci sono ragioni per non considerare recettizie
anche le dichiarazioni tacite.
La recettizietà opera in linea di principio in materia di dichiarazioni rivolte a 1 o più destinatari determinati;
diverso è il discorso che occorre fare in materia di proposte rivolte al pubblico in genere la dottrina
riconosce in questo ambito ampio spazio all'autonomia privata e ne

consegue che in linea di principio è possibile attribuire il carattere recettizio ad una dichiarazione che non
lo è e viceversa.
-Le dichiarazioni contrattuali
Le dichiarazioni contrattuali sono sicuramente recettizie e questo significa che non potrebbero produrre
effetto se non fossero portate a conoscenza della controparte con mezzi idonei la dichiarazione
contrattuale assume forma e consistenza con l'emissione, ossia con il distacco di questa dal dichiarante;
l'emissione non sarebbe però sufficiente di per sé a far conoscere la dichiarazione alla controparte e a
questi fini occorre l'invio con mezzi idonei alla dichiarazione, con conseguente perdita di controllo sulla
dichiarazione stessa l'indirizzamento non sarebbe però sufficiente di per sè ove non avvenisse la recezione
ossia l'ingresso della dichiarazione nella sfera di controllo del destinatario e a tal fine si delineano 4 fasi:
1. emissione in base a questa teoria è sufficiente che l'oblato abbia emesso la dichiarazione di
accettazione
2. indirizzamento inbaseaquestateoriaèsufficientechel'oblatoabbiaimboccatola lettera di risposta
3. recezione in base a questa teoria è sufficiente che la dichiarazione di accettazione sia giunta nella sfera
di controllo del proponente
4. cognizione è necessario che il proponente abbia preso effettiva cognizione dell’accettazione
-Capacità e stati soggettivi rilevanti
Ci si domanda se il dichiarante debba essere capace e il suo consenso privo di vizi solo nella fase
dell'emissione o anche in quella dell'indirizzamento o anche in quella della ricezione ed eventualmente
della cognizione: in ogni caso il dichiarante deve essere capace ed immune da vizi al tempo dell'emissione e
in caso contrario il suo consenso potrebbe essere viziato, con la conseguente possibilità di agire in giudizio
per l'annullamento del contratto. Nulla è previsto con riferimento al momento dell'indirizzamento, anche
se occorre ritenere che anche lì indirizzamento debba essere frutto di una scelta libera e consapevole,
pertanto ne consegue che l'eventuale incapacità o vizio del consenso presente al tempo del
l'indirizzamento può avere rilevanza ai fini dell'annullamento del contratto.
Diverso è il problema se tale capacità ed assenza di vizi deve sorreggere il dichiarante fino al momento della
ricezione in linea di principio occorre escluderlo, dato che con l'indirizzamento ha luogo il definitivo
distacco della dichiarazione dal dichiarante, con conseguente perdita di controllo su di essa e in linea di
principio ne consegue l’irrilevanza dell'eventuale incapacità o vizio sopravvenuto del consenso. Un discorso
a parte deve essere fatto per quanto riguarda la proposta e l'accettazione, in quanto ai sensi dell'art. 1330
cc la morte o l’incapacità sopravvenuta del dichiarante privano di efficacia della dichiarazione, salvo che
questa sia stata effettuata da un imprenditore nell'esercizio della sua impresa.

In linea di principio l'incapacità del destinatario non può impedire che il processo di trasmissione si compia,
con conseguente operatività della presunzione di cui all'art. 1335 cc.
-La conclusione del contratto in generale
Per regola generale il contratto si conclude con l'incontro di proposta e accettazione il problema è quello
di individuare il momento esatto in cui ha avuto luogo la conclusione del contratto, in particolare se si
tratta di contratto concluso tra persone che comunicano a distanza. Tradizionalmente si individuano 4
criteri:
● emissione è sufficiente che l’oblato abbia manifestato una volontà seria di vincolarsi
● spedizione occorre che la dichiarazione di accettazione sia spedita al proponente
● recezione ai fini della conclusione del contratto si richiede che la dichiarazione pervenga nella sfera di
controllo del proponente, a prescindere dal fatto che questi ne abbia poi presa effettiva conoscenza o
meno
● cognizione occorre che il proponente abbia preso effettiva conoscenza della dichiarazione di
accettazione: si tratta del criterio più protettivo nei confronti del proponente, in quanto previene il rischio
che costui possa risultare vincolato ad un contratto senza saperlo, pertanto il legislatore italiano ha ritenuto
di adottare questo criterio anche se temperato da quello della recezione per quanto riguarda i contratti
conclusi a distanza, secondo quanto previsto dall'art. 1335 cc
In particolare ai sensi dell’art. 1326 comma 1 cc il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la
proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte: questo principio viene ribadito nell’art. 1334 cc
ove si prevede che gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della
persona cui sono destinati questo significa che per regola generale il contratto è concluso quando il
proponente ha conoscenza della situazione. Tuttavia questo principio viene attenuato dall'art. 1335 cc ai
sensi del quale le dichiarazioni contrattuali dirette ad una persona determinata si reputano conosciute nel
momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se costui non prova di esserne stato, senza sua
colpa, nell'impossibilità di averne notizia: significa che la ricezione della dichiarazione determina una
presunzione di conoscenza salva prova contraria, e la presunzione di conoscenza opera solo quando la
dichiarazione giunge all'indirizzo del destinatario, pertanto sarà onere del dichiarante provare che la
controparte ha preso effettiva conoscenza della dichiarazione e del suo contenuto.
-La conclusione del contratto tra persone presenti
La modalità più semplice di conclusione del contratto e quella tra persone presenti, anche se tuttavia
possono sorgere una serie di problemi:
Ω in primo luogo deve trattarsi di dichiarazioni formulate in modo tale da risultare intellegibili in quanto il
contratto non potrebbe considerarsi concluso se ad esempio una parte dichiara in italiano e ad esempio la
controparte risponde in cinese

Ω in secondo luogo non potrà considerarsi concluso il contratto laddove la dichiarazione venga rivolto a
una persona incosciente, ad esempio un soggetto ubriaco
Ω in terzo luogo la dichiarazione dovrà aver luogo con modalità tali da risultare concretamente percepibile
da parte dell'altro contraente, ad esempio non sarà valida una dichiarazione resa in forma scritta ad una
persona non vedente
Ω in quarto luogo non operando la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 cc, che opera solo con
riferimento alle dichiarazioni all'indirizzo della controparte, nel caso in cui sorgano contestazioni l'onere di
provare le stiva cognizione incombe sempre sul dichiarante
-La conclusione del contratto al telefono
Se le parti comunicano telefonicamente il contratto si ritiene concluso nel luogo in cui il proponente riceve
la dichiarazione di accettazione: questo non esclude che il proponente possa impedire la conclusione del
contratto semplicemente non rispondendo al telefono oppure mettendo giù la cornetta. Diverso è il
discorso se il proponente dispone di una segreteria telefonica in quanto in caso di questo genere ai fini
della conclusione del contratto può essere sufficiente che la dichiarazione di accettazione raggiunga
l'indirizzo del proponente applicando quindi l’art. 1335 cc.
-La conclusione del contratto tra persone lontane
Nel caso in cui il contratto sia stato concluso tra persone lontane, ai sensi dell’art. 1335 cc la dichiarazione si
presume conosciuta nel momento in cui giunge all'indirizzo del destinatario, salva la prova da parte di
questi di essere stato senza sua colpa nell'impossibilità di averne notizia: l’onere della prova del dichiarante
è agevolato da una presunzione di conoscenza salva prova contraria. In virtù di questa norma, il momento
della ricezione costituisce altresì lo spartiacque tra la sfera del rischio del dichiarante e quella del
destinatario della dichiarazione la dichiarazione viaggia a rischio e pericolo del dichiarante fino al
momento in cui giungere all'indirizzo del destinatario: a partire da quel momento questa si reputa viceversa
conosciuta, con la conseguenza che eventuali vicende successive come ad esempio errori di trasmissione
sono a carico del destinatario.
-L’indirizzamento
La dichiarazione recettizia di una persona necessita anche di essere portata a conoscenza con mezzi idonei
al destinatario o un suo rappresentante prima dell’indirizzamento la dichiarazione resta nella piena
disponibilità del dichiarante e solo con l'indirizzamento questa si distacca in modo definitivo dal dichiarante
ma è solo con la ricezione che si viene a perfezionare.
Il dichiarante deve in primo luogo scegliere un mezzo di trasmissione adatto, tenuto conto che il rischio
relativo alla trasmissione grave integralmente su di lui, pertanto potrà essere consegnato a mano oppure
affidato al corriere oppure spedito per posta ordinaria... il codice civile non disciplina in modo specifico le
modalità con cui deve aver luogo di indirizzamento, tuttavia a tal proposito possono trovare applicazione le
regole del cpc in materia di notificazioni in quanto possono costituire un punto di riferimento, in

particolare per quanto riguarda l'individuazione dell'indirizzo del destinatario; la scelta del mezzo è libera,
salvo il diverso grado di affidabilità dei vari mezzi di trasmissione e questo può riflettersi anche sotto il
profilo dell'onere di provare l'avvenuta ricezione. Se viene utilizzata la posta ordinaria la prova della
spedizione non consente di presumere la recezione; invece qualora venga spedita mediante raccomandata
la prova della recezione è presunta. Provata la spedizione mediante esibizione della ricevuta è possibile
presumere la ricezione e questo consente di collegare la presunzione di conoscenza al fatto stesso della
spedizione in quanto alla prova dell'invio della raccomandata consente di presumere la ricezione, che a sua
volta consente di presumere la cognizione salva prova contraria. In assenza del destinatario ai fini della
ricezione è sufficiente il rilascio dell'avviso di giacenza mentre in caso di consegna a persona diversa dal
destinatario la giurisprudenza ritiene che sia valida la consegna anche a persone legate dal destinatario da
un rapporto stabile di convivenza o collaborazione; può altresì capitare che la dichiarazione giunga a
conoscenza del destinatario anche se non indirizzata secondo una parte della dottrina e della
giurisprudenza sarebbe sufficiente che il destinatario ne venisse comunque a conoscenza, anche se
comunque prevale l'orientamento secondo cui l'indirizzamento volontaria e consapevole costituiscono una
mappa non eliminabile del processo dichiarativo. Nulla è disposto con riferimento al caso in cui non sia
noto l’indirizzo del destinatario della dichiarazione: in questi casi si ritiene che la notificazione possa
avvenire secondo quanto previsto dall'art. 143 cpc, ossia il deposito della notificazione presso la casa
comunale.
-La recezione
Se si tratta di dichiarazioni recettizie, il processo dichiarativo giunge a compimento con la recezione solo in
virtù della recezione l’atto acquisisce piena efficacia nei confronti del destinatario: in conformità ai principi
generali la prova della ricezione deve essere fornita dal dichiarante.
La ricezione costituisce altresì lo spartiacque fra la sfera di responsabilità del mittente e quella del
destinatario: fino alla ricezione la dichiarazione viaggia a rischio e pericolo del mittente e dopo che questa
viene ricevuta ne risponde il destinatario. Si discute se ai fini del perfezionamento della fattispecie
dichiarativa sia sufficiente che la dichiarazione pervenga comunque all'indirizzo del destinatario o se a
questi fini rilevino anche circostanze attinenti ai modi e tempi della recezione in casi di questo genere non
può operare la presunzione di conoscenza ex art. 1335 cc, per cui l'onere della prova grava integralmente
sul dichiarante. Analogo discorso può essere fatto per il caso in cui la dichiarazione giunga a tarda ora, ad
esempio in piena notte: in quanto in casi di questo genere la presunzione di conoscenza può operare solo a
far data dal giorno di riapertura degli uffici, salva la possibilità di provare anche la conoscenza ha avuto
luogo in un momento precedente. Il dichiarante deve infatti scegliere modi e tempi della trasmissione
idonei a portare la dichiarazione a conoscenza del destinatario in quanto in caso contrario non può operare
la presunzione di cui all'art. 1335 cc e allo stesso modo il dichiarante non può invocare l'art. 1335 cc ove sia
consapevole che il destinatario non avrebbe modo di prenderne conoscenza.
Sebbene la recezione avvenga a rischio del dichiarante, anche il destinatario deve prestare la necessaria
collaborazione il destinatario di una dichiarazione infatti

non potrebbe evitarne gli effetti negativi semplicemente rifiutando di riceverla o non lasciandosi reperire o
cambiando indirizzo senza darne comunicazione: il rifiuto di ricevere la dichiarazione non impedisce che la
recezione possa considerarsi come avvenuta.
Il legislatore parla genericamente di indirizzo, senza precisare cosa si intenda per esso, pertanto la
questione va chiarita in via interpretativa in primo luogo compete alle parti indicare un luogo ove inviare
la corrispondenza; l'indicazione, in mancanza di diversa manifestazione di volontà, non esclude che la
dichiarazione possa essere recapitata in un altro indirizzo del destinatario e inoltre può essere indicato
come luogo l'indirizzo di un professionista di fiducia del destinatario. In mancanza di indicazioni la
corrispondenza può essere fatta pervenire nei luoghi in cui il destinatario della dichiarazione risiede, lavora
o in cui si trova la sede dell'impresa... sempre che si tratti di un luogo che presenta un legame di carattere
stabile con il destinatario della dichiarazione a questi fini può anche essere sufficiente fare riferimento
all'indirizzo indicato nella carta intestata utilizzata dalla controparte per la corrispondenza.
Altra questione oggetto di discussione è cosa debba intendersi per recezione, ossia se debba intendersi
l'effettivo ingresso materiale della dichiarazione nella sfera di controllo del destinatario o se sia sufficiente
che costui ne prenda visione oppure se sia sufficiente che al destinatario giunga notizia che la dichiarazione
è stata emessa:
i. in base al primo criterio può ritenersi assolto l'onere della recezione solo se una copia della dichiarazione
viene materialmente consegnata al destinatario
ii. in alcuni casi la giurisprudenza ha ritenuto sufficiente che la dichiarazione venga esibita al destinatario
iii. nel caso in cui il destinatario abbia semplicemente avuto notizia dell'avvenuta emissione della
dichiarazione nel caso in cui manca l'indirizzamento tale notizia in linea di principio non è sufficiente; invece
laddove il dichiarante dopo aver emesso la dichiarazione ne dia notizia al destinatario la soluzione potrebbe
essere di segno opposto. Si pensi inoltre al caso in cui il dichiarante abbia inviato per errore la dichiarazione
ad un terzo e costui ne dia notizia al destinatario oppure si pensi al caso dell'oblato che abbia ricevuto una
proposta scritta--> ove si ritenga che funzione della recettizietà sia quella di consentire alla parte di
disporre di una copia del documento e la risposta è negativa, mentre invece laddove si ritenga che
l'assunzione della recettizietà sia quella di partecipare una notizia la soluzione sarebbe diversa
-I fatti impeditivi
Con la recezione si completa l'iter della comunicazione l’arrivo della dichiarazione all’indirizzo del
destinatario fa scattare la presunzione di conoscenza ex art. 1335 cc; a partire dall'ingresso della
dichiarazione nella sfera del destinatario, questa passa sotto il controllo di quest'ultimo e ne consegue che
eventuali disguidi successivi sono a suo esclusivo carico. L'arrivo della dichiarazione all'indirizzo del
destinatario fa scattare la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1336 cc un primo ordine di problemi
concerne l'individuazione dell'oggetto della presunzione in oggetto:

a) l'arrivo del plico all'indirizzo del destinatario fa presumere noto il fatto materiale dell'avvenuta ricezione
b) la presunzione in linea di principio si estende anche al contenuto del documento se l’oblato invia la
dichiarazione di accettazione all’indirizzo del proponente il suo contenuto si considera noto per il solo fatto
della ricezione, anche se in concreto il proponente non ne ha preso visione
c) qualche dubbio può sorgere nel caso in cui si lamenti una difformità tra il contenuto del documento
inviato e quello ricevuto: secondo la giurisprudenza la presunzione di conoscenza di cui all'art 1335 opera
anche nei casi di questo genere, salva la prova contraria
d) qualche dubbio interpretativo può sorgere anche nel caso in cui il plico sigillato non contenga alcuna
dichiarazione al suo interno: in questo caso la presentazione di cui all'art. 1335 cc non può essere fondata
sul ricevimento di un plico vuoto, tuttavia la giurisprudenza anche in casi di questo genere ritiene che la
presunzione di cui all'art. 1335 trovi applicazione
Un secondo ordine di problemi attiene all'individuazione delle circostanze la cui prova da parte del
destinatario della dichiarazione consentono di superare la presunzione di conoscenza ex art. 1335 cc il
codice parla di impossibilità di averne notizia non dipendente da colpa del destinatario: la formulazione
sembra ricalcare quanto previsto nell'art. 1218 cc, con la sola differenza che in questo secondo caso il
legislatore non parla di colpa ma di impossibilità che dipende da causa non invocabile:
a) il destinatario della dichiarazione deve quindi in primo luogo provare l'impossibilità di avere notizie della
dichiarazione nonostante l'arrivo di questa al suo indirizzo il codice parla di impossibilità e non anche di
eccessiva onerosità: sarebbe preferibile ritenere parlarsi di impraticabilità come per quanto avviene ai sensi
dell'art. 1218 cc
b) l'impossibilità di conoscere il contenuto della dichiarazione non deve però dipendere da colpa del
destinatario il legislatore non chiarisce cosa si intende per assenza di colpa in quanto si tratta di una
clausola generale il cui significato va chiarito in via interpretativa e il relativo accertamento va fatto dal
giudice di merito:
un primo gruppo di casi si riferisce alla assenza del destinatario dal luogo degli invia
l'assenza da casa in seguito a un ricovero in ospedale può essere una scusante così come l'assenza dal
luogo di lavoro durante il periodo estivo
ciascuno è libero di cambiare il luogo di residenza o di domicilio; se tuttavia si tratta di una persona in
rapporto d'affari con un'altra potrebbe essere in contrasto con il principio di buona fede non comunicare
l'avvenuto cambio di indirizzo
Un altro profilo oggetto di discussione è quello di chi ha la possibilità di dimostrare la mancata cognizione
per impossibilità non dovuta a colpa del destinatario:
secondo parte della dottrina questa facoltà compete non solo al destinatario ma anche al mittente e se
l'oblato ha sia la facoltà di dimostrare l’avvenuta conclusione del contratto conseguente alla ricezione della
accettazione da parte del proponente sia quella di far valere la mancata conclusione del contratto per
impossibilità non dovuta a colpa da parte del proponente di conoscere l'accettazione
-I diritti potestativi
Per quanto riguarda le dichiarazioni che costituiscono esercizio di un diritto potestativo secondo parte della
dottrina in casi di questo genere l'onere che incombe sul dichiarante dovrebbe considerarsi ascolto nella
misura in cui questi abbia fatto tutto quanto in suo potere per recapitare la dichiarazione in questa
prospettiva eventuali ostacoli frapposti dal destinatario della dichiarazione non potrebbero impedire che la
recezione si consideri come avvenuta. Verificatasi la recezione scatta la presunzione di conoscenza di cui
all'art. 1335, salva la prova dell'impossibilità di cognizione non dipendente da colpa questo significa che
non solo il dolo ma anche l'impossibilità colpevole non impedisce che la dichiarazione si consideri
conosciuta; l’unico limite è costituito dall'impossibilità incolpevole, come ad esempio nel caso in cui il
destinatario della dichiarazione non ho potuto prenderne visione perché la corrispondenza è stata sottratta
da un ladro poco dopo il recapito.
Secondo parte della dottrina se la dichiarazione costituisce esercizio di un diritto potestativo non potrebbe
essere sottoposta alla regola ex art. 1335 cc: in particolare, tenuto conto che costituisce esercizio di un
diritto che compete al dichiarante, il suo effetto non potrebbe essere subordinato all’effettiva possibilità
del destinatario di venirne a conoscenza e consentire al destinatario di superare la presunzione di
conoscenza dimostrando l'impossibilità di conoscenza non dovuta a colpa potrebbe in concreto limitare le
possibilità di esercizio del diritto che compete al dichiarante di qui l'opportunità di considerare in ogni
caso assolto l'onere che compete al dichiarante con la prova della recezione, con conseguente esclusione
della possibilità per il destinatario di provare il contrario. Attualmente in alcuni casi il legislatore prevede un
regime più rigoroso: ad esempio i sensi dell'art. 66 cod.cons. gli effetti del recesso del consumatore si
producono in virtù della ricezione della comunicazione da parte del consumatore, senza che sia richiesta
l'effettiva conoscenza da parte del professionista o la possibilità di provare il contrario.
-La rinuncia
La dichiarazione tardivamente notificata non è in linea di principio efficace in quanto pervenuta in ritardo
secondo parte della dottrina il destinatario non avrebbe neppure la possibilità di considerarla efficace per
rinunciando alla recettizietà: l'inefficacia di un atto sarebbe un dato oggettivo che ciascuna parte può far
valere e come tale sottratto alla disponibilità di una sola parte. In ambito contrattuale l’art. 1326 comma 3
cc prevede espressamente che il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva purché ne dia
immediato avviso alla controparte.

CAPITOLO 8: L’ACCETTAZIONE
-I requisiti dell’accettazione

Ai sensi dell'art. 1326 comma 1 cc il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha
conoscenza dell'accettazione dell'altra parte tuttavia la conclusione del contratto non può aver luogo se
l’accettazione non fosse:
conforme alla proposta
tempestiva
rispettosa delle formalità previste dal proponente
-Conformità dell’accettazione
L'accettazione deve essere conforme alla proposta altrimenti in caso contrario non può considerarsi
accettazione. La dottrina ha rilevato che l'enunciazione del principio di conformità proprio dei codici di
commercio corrisponde a un’esigenza di maggior certezza delle relazioni commerciali, esigenza che ha
altresì condotto al progressivo abbandono della teoria della volontà a favore della teoria della
dichiarazione in questa prospettiva elemento costitutivo del contratto non è più l’effettivo accordo tra le
volontà dei contraenti, piuttosto la congruenza formale delle dichiarazioni: questo principio è stato ribadito
all’art. 1326 comma 5 cc.
L'art. 19 Convenzione di Vienna al comma 1 prevede il tradizionale principio di conformità alla proposta ed
accettazione e al comma 2 prevede che una risposta che contiene clausole aggiunte o difformi che non
alterano sostanzialmente i termini della proposta vale come accettazione, a meno che l'autore della
proposta, senza ingiustificato ritardo, non si opponga verbalmente a queste differenze o a tale scopo non
invii un avviso; il comma 3 precisa che le clausole aggiunte o difformi che si riferiscono al prezzo, al
pagamento, alla qualità e quantità dei beni, al luogo e al termine della consegna si considera che alterino in
maniera sostanziale i termini della proposta.
In presenza di difformità tra proposta e accettazione le soluzioni astrattamente prospettabili sono almeno
5:
1) non considerare concluso il contratto e ritenere che la accettazione non conforme equivale a nuova
proposta ai sensi dell'art. 1326 comma 5 cc
2) considerare concluso il contratto in conformità a quanto previsto nella proposta
3) considerare concluso il contratto in conformità a quanto previsto nell’accettazione
4) ritenere che le clausole difformi si elidono a vicenda, con la conseguente applicazione
della disciplina dispositiva del rapporto
5) ritenere che il proponente possa considerare valida l'accettazione difforme purché ne
dia prontamente notizia all’oblato ai sensi dell'art. 1326 comma 3 cc
Le modalità con cui può aver luogo l'accensione sono diverse:
⃞ l'oblato può sottoscrivere lo stesso documento già sottoscritto dal proponente o limitarsi ad aderire a
questo per relazione, dichiarando di essere d'accordo e non occorre che l'accettazione ripeta parola per
parola il contenuto dell'offerta ma è sufficiente che ne riproduce
⃞ se invece l'oblato effettua delle precisazioni, richiama norme dispositive o usi negoziali che comunque
troverebbero applicazione anche in assenza di specifico

richiamo in questo caso ciò è ammissibile in quanto si tratta solo di precisazioni o di richiami a norme che
hanno carattere legislativo o consuetudinario
⃞ l'oblato non può invece eliminare clausole che riproducono norme dispositive o usi negoziali in quanto
l'eliminazione di queste clausole potrebbe essere considerata espressione della volontà di non ritenere
applicabili al contratto in questione
⃞ ci si chiede se l’oblato possa accettare eliminando clausole nulle o sostituendo a queste quanto previsto da
norme imperative o se possa provvedere alla cancellazione di clausole presenti in moduli e formulari,
specialmente se redatto in modo incomprensibile o in una lingua straniera sconosciuta tenuto conto del
fatto che una tale caducazione parziale o la sostituzione di clausole avrebbe comunque luogo
successivamente alla conclusione del contratto, non c'è ragione per non considerare efficace l'accettazione,
anche se in alcune occasioni la giurisprudenza si è espressa in senso contrario
⃞ ci si chiede se l'oblato abbia facoltà di accettare modificando la proposta se l'errore è riconoscibile
l'oblato che si limiti ad accettare non solo rischia di concludere un contratto annullabile ma anche di dover
risarcire i danni subiti dal proponente, pertanto secondo il principio di buona fede e correttezza costui
dovrebbe avvertire il proponente dell'errore, in modo che quest'ultimo possa rettificare la proposta
⃞ nel caso in cui nella proposta non risulti indicato il prezzo, tenuto conto dell'intenzione del proponente di
far riferimento ai prezzi normalmente applicati, non costituisce difformità indicare tale prezzo
nell'accettazione
⃞ qualche dubbio interpretativo può sorgere nel caso in cui la proposta contenga singole clausole formulate
in modo incomprensibile o in una lingua non conosciuta dall'oblato in questo caso l'oblato può non
prendere in considerazione l'intera proposta; dubbio è se possa accettare eliminando le clausole
incomprensibili. In questo caso la soluzione può variare a seconda che si tratti di refusi o di clausole
completamente decontestualizzate oppure di clausole non comprensibile da parte del solo oblato o
suscettibili di essere intese in più modi
⃞ salvo che il proponente abbia espressamente dichiarato di non ritenersi vincolato alla sua offerta ove
dovesse risultare in contrasto con norme imperative di legge, occorre riconoscere al proponente la facoltà
di premunirsi dal rischio della nullità parziale o della sostituzione di clausole limitando espressamente
l'efficacia della proposta al caso in cui non si ponga in contrasto con norme imperative di legge
⃞ il problema può porsi anche nel caso in cui l’accettazione contenga variazioni o aggiunte che non alterano
sostanzialmente i termini dell'offerta: in casi di questo genere potrebbe ritenersi efficace l'accettazione,
salva la facoltà del proponente di opporsi senza giustificato ritardo
⃞ ove la modifica si riferisca ad aspetti essenziali del contratto, in questo caso la modifica può valere come
controproposta che necessita di accettazione, salvo che la modifica si risolva ad esclusivo vantaggio del
proponente, nel qual caso il contratto potrebbe considerarsi concluso purché il proponente resti in silenzio

⃞ qualche dubbio interpretativo può sorgere anche nel caso in cui l'accettazione si riferisca a una quantità
maggiore e minore rispetto a quella indicata nella proposta se si dichiara di accettare una quantità
maggiore di quella offerta, la dichiarazione può essere scissa in via interpretativa in un’accettazione pura
del quantitativo offerto e in una proposta relativa all'acquisto di un quantitativo aggiuntivo; se la quantità
accettata è minore rispetto a quella offerta occorre verificare in via interpretativa se l'oggetto del contratto
è divisibile e se il proponente si era limitato ad indicare un quantitativo massimo di merce disponibile
-La tempestività dell’accettazione
Secondo requisito di efficacia dell'accettazione è quello della tempestività è facoltà del proponente
stabilire il termine di efficacia della proposta, senza che la fissazione del termine gli precluda la possibilità di
revoca; il termine può essere fissato anche in un momento successivo, tenuto conto del fatto che il
proponente conserva in linea di principio la facoltà di revocare la proposta e di effettuare un'altra. Si
discute se il termine debba essere congruo ne consegue che in caso di termine eccessivamente breve non
potrà ritenersi ammissibile un'accettazione fuori termini, quand'anche il ritardo dell'accettazione sia
imputabile al proponente, salva eventuale e responsabilità ai sensi dell'art. 1337 cc. In ogni caso il termine
decorre in modo oggettivo, con conseguente irrilevanza di ogni ragione di sospensione dovuta a caso
fortuito o altre cause. Laddove manchi l'indicazione di un termine l'accettazione deve comunque giungere
nel termine ordinariamente previsto secondo la natura degli affari e secondo gli usi: con la previsione di cui
al comma 2 il legislatore ha dato indicazione del fatto che la proposta, anche in mancanza di indicazione di
un termine finale, deve essere contenuta entro certi convenienti limiti di tempo e in particolare occorre
contemperare l'interesse del proponente ad essere vincolato per il minor tempo possibile e dall'altro lato
l'interesse del soggetto oblato di valutare al meglio l'opportunità di aderire alla proposta. In giurisprudenza
prevale un atteggiamento liberale che può dilatare notevolmente i tempi di efficacia della proposta, salva la
facoltà di revoca del proponente.
Per quanto riguarda l'accettazione tardiva, questa non è necessariamente inefficace: ai sensi del comma 3 il
proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all'altra
parte si tratta di una facoltà che compete al proponente, purché ne dia immediato avviso al soggetto
oblato: a questi fini è stata considerata idonea la notificazione da parte del proponente di un atto di
citazione con cui si dà inizio alla stazione di risoluzione del contratto stesso.
-La forma dell’accettazione
Se il contratto è a forma libera anche l'accettazione non richiede particolari formalità; nel caso in cui per il
contratto è previsto l'utilizzo di una forma particolare (scrittura privata o atto pubblico), in questi casi anche
l'accettazione dovrà rivestire i medesimi requisiti formali; inoltre ai sensi dell'art. 1326 comma 4 cc si può
prevedere che il proponente possa richiedere per l’accettazione l'impiego di una forma determinata e
qualora il proponente richiede ha per l'accettazione una forma determinata l'accettazione non ha effetto se
è data in forma diversa.
Qualche dubbio può sorgere in ordine all'efficacia della citazione senza forma parte della dottrina ritiene
che questa potrebbe valere al limite come nuova proposta che a sua volta necessita di accettazione: in base
a questa impostazione il proponente avrebbe la facoltà di predisporre in modo unilaterale le regole del
gioco, che una volta poste però non potrebbero più essere oggetto di rinuncia o di modifica unilaterale. In
dottrina e in giurisprudenza prevale l'opinione secondo cui può trovare applicazione analogica quanto
disposto dall'art. 1326 comma 3 cc in relazione alla accettazione tardiva: ne consegue che il proponente ha
facoltà di considerare efficace l'accettazione amorfa, purché ne dia immediatamente avviso all’oblato.
-La lingua dell’accettazione
Nulla è previsto circa la lingua dell'accettazione, pertanto ne consegue questa è tendenzialmente libera.
Tuttavia ci sono dei limiti che discendono l'applicazione del principio di buona fede e ad esempio potrebbe
essere considerato un’accettazione espressa in una lingua che non è conoscibile da parte del proponente
con l'ordinaria diligenza.
-La conclusione del contratto
Ai sensi dell'art. 1326 comma 1 il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha
conoscenza dell'accettazione dell'altra parte il tempo e il luogo della conclusione del contratto rileva
specialmente sotto il profilo dell'individuazione del foro competente nonché della legge da applicare.
Le modalità di conclusione del contratto possono variare a seconda che il contratto sia concluso tra
presenti o assenti:
a) nelprimocasoilcontrattosiconcludeneltempoenelluogoincuihaluogoloscambio contestuale dei consensi
b) nel secondo caso il contratto si conclude nel tempo e nel luogo in cui il proponente ha conoscenza
dell'accettazione, con la precisazione che le dichiarazioni dirette a una persona determinata si reputano
conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario; se le parti comunicano al telefono, il
contratto si considera concluso tra persone lontane, con riferimento al luogo, e tra persone presenti con
riferimento al tempo pertanto è preferibile ritenere che il contratto si conclude nel luogo e nel tempo in cui
si trova il proponente quando riceve la comunicazione di accettazione
-La conclusione del contratto tra parti in movimento
Sorgono dubbi nel caso in cui il proponente si trovi in movimento nel momento in cui riceve la
dichiarazione di accettazione come ad esempio nel caso in cui una persona sta viaggiando e riceve una
telefonata in cui il soggetto oblato dichiara di accettare: in questi casi è difficile ricostruire con esattezza il
luogo in cui è stato concluso il contratto: in mancanza si potrebbe radicare la competenza del giudice
facendo riferimento al luogo di partenza o di arrivo.
-Le dichiarazioni incrociate

Qualche dubbio interpretativo è sorto anche nel caso in cui le parti si inviino reciprocamente la stessa
proposta in casi di questo genere non si è di fronte ad una proposta e un’accettazione ma a 2 proposte
che hanno lo stesso contenuto e questo non esclude che il contratto possa concludersi per effetto della
ricezione delle 2 proposte.
-Il documento unico
Si tratta del caso in cui il documento contrattuale è unico ed è sottoscritto in calce da entrambi i
contraenti in questo caso non è facile distinguere tra proposta e accettazione in quanto si tratta di una
dichiarazione unica che costituisce il testo contrattuale: in particolare è delicata la questione nel caso in cui
il testo contrattuale venga sottoscritto in tempi diversi dai 2 contraenti in casi di questo genere dovrebbe
applicarsi la regola per cui il contratto è concluso quando la parte che ha sottoscritto per prima ha notizia
che anche la controparte ha firmato. In realtà in presenza di una dichiarazione congiunta sottoscritta in
calce da entrambi i contraenti è legittima la presunzione che si tratti di un contratto concluso tra persone
presenti, salvo in ogni caso prova contraria.
-La lettera di conferma
Spesso accade che tra operatori professionali il contratto venga concluso in modo informale e mancando
una prova documentale della conclusione del contratto talvolta uno dei contraenti invia all'altra una lettera
di conferma in cui viene ricapitolato il contenuto dell'accordo se il contratto è stato già concluso la lettera
di conferma ha una funzione ripetitiva, utile ai fini della documentazione del contratto. Tuttavia può
capitare che la lettera di conferma presenti contenuti parzialmente innovativi rispetto al contratto
precedentemente concluso in forma orale: in questi casi si pone un problema di conformità tra contratto
concluso oralmente e lettera di conferma la questione è disciplinata dai Principi Unidroit prevedendo che
se viene spedita una lettera di conferma che contiene clausole aggiunte o difformi, tali clausole diventano
parte del contratto a meno che non ne alterino sostanzialmente il contenuto o il destinatario, senza
ingiustificato ritardo, non si opponga ad esse.

CAPITOLO 9: LA CAUSA DEL CONTRATTO


-Il problema della causa
La causa è stata recepita dal codice civile francese del 1804 e successivamente recepita dagli altri codici;
successivamente in area francese si è diffusa una concezione di causa soggettiva intesa come fine
perseguito dai contraenti quest'ultima concezione si è diffusa anche in Italia ma è entrata in conflitto con
la concezione oggettiva, in base alla quale per causa deve intendersi la funzione economico-sociale del
contratto. Il tentativo di socializzare gli istituti più svariati si colloca in una prospettiva socializzante che era
particolarmente sentita da Betti funzionalizzare gli istituti del diritto privato significa affermare la
superiorità dell'interesse pubblico su quello privato nonché asserire la necessità che l'autonomia privata si
indirizzi in primo luogo verso finalità conformi al pubblico interesse e, come conseguenza ulteriore, ne
deriva la necessità di un controllo pubblico circa la

conformità con l'interesse sociale degli atti di esercizio dei diritti e dell'autonomia privata. Non tutti gli
autori erano favorevoli al requisito della causa, infatti si sono affermate anche delle teorie anticausali,
ispirate dal modello tedesco: il codice civile tedesco non contempla la causa tra gli elementi costitutivi del
contratto e la dottrina tedesca distingue tra negozi causali e negozi astratti dove i negozi astratti sono
contratti che producono effetti reali.
-Le teorie sulla causa
Sono state formulate in materia di causa diverse concezioni:
▷ concezione soggettiva la causa è intesa come scopo ultimo perseguito dai contraenti; tale concezione
può dirsi completamente superata, anche se non c'è dubbio che in concreto ci può essere coincidenza tra
causa è motivo
▷ concezione oggettiva 1 la causa è intesa come funzione economico sociale del contratto; tale concezione
ha a lungo dominato in Italia in dottrina e giurisprudenza, in particolare si è ritenuto che la causa deve
essere valutata in astratto. In questa prospettiva il requisito della causa dovrebbe essere letto in stretta
connessione con quello della meritevolezza dell'interesse perseguito dalle parti ai sensi dell'art. 1322
comma 2 cc, con conseguente necessità di sottoporre ad un controllo di meritevolezza lo schema
contrattuale adottato dalle parti
▷ concezione oggettiva 2 la causa è intesa come corrispettività delle prestazioni: Gorla in particolare si
muove in una prospettiva classica, in quanto va alla ricerca degli elementi che devono aggiungersi al
consenso affinché l’accordo possa considerarsi vincolante. In questa prospettiva sembra emergere
dall'intera tradizione giuridica occidentale un principio di corrispettività che affonda le sue radici anche nel
diritto inglese nonché in quello moderno. Tuttavia questa concezione presenta dei limiti e il principale è
quello che non sempre ai fini della vincolatività dell’accordo si richiede la corrispettività della prestazione;
inoltre un altro limite è quello che il requisito causale, inteso come corrispettività, poi svuotato in concreto
dall'affermazione secondo cui non si richiede un’effettiva corrispondenza o congruità dei valori scambiati
ma è sufficiente che sia comunque previsto un corrispettivo anche se inadeguato
▷ concezioni anticausaliste
-La causa in concreto
In dottrina in particolare ci sono posizioni contrarie a quelle della teoria della causa intesa come funzione
economico sociale del contratto, infatti si è affermato un altro orientamento che sostiene che la causa
dovrebbe essere intesa in concreto, in particolare con riferimento ai singoli contratti che vengono conclusi
e, in questa prospettiva, la causa dovrebbe ravvisarsi nella sintesi degli interessi concretamente perseguiti
per molto tempo la Cassazione ha continuato a sostenere la teoria della funzione economico-sociale ma a
partire da una pronuncia del 2006 ha iniziato a mutare orientamento, aderendo all'idea della funzione
economico individuale (causa in concreto)

intesa come sintesi degli interessi concretamente perseguiti dai contraenti; in seguito le applicazioni sono
aumentate, anche se richiami alla causa concreta non sono sempre stati opportuni e in diverse occasioni la
dottrina ha manifestato il rischio che la causa concreta possa diventare una specie di panacea, ossia un
rimedio per combattere ogni tipo di inconveniente che possa verificarsi in ambito contrattuale e le
applicazioni sono ormai numerose come ad esempio viene in materia di danni non patrimoniali, mentre in
altri casi la giurisprudenza non richiama il concetto di causa in concreto (come ad esempio in materia di
preliminare di preliminare).
-L’elemento giustificativo del contratto
A partire dal 1942 sia il concetto di ingiustizia del danno sia quello di casa hanno subito una forte
evoluzione:
da un lato l’ingiustizia del danno si è espansa dal settore della tutela dei diritti soggettivi assoluti al
settore della tutela dei diritti relativi
dall’altro lato sono emersi nuovi fondamenti dell' efficacia vincolante delle promesse, oltre a quelli
tradizionali della corrispettività e della forma
-La corrispettività tra le prestazioni
Si tratta dello scambio di beni, prestazioni o servizi tale per cui ciascuna prestazione risulta giustificata dalla
presenza di una controprestazione, pertanto ne consegue l'inammissibilità della promessa di donazione
tuttavia si tratta di capire fino a che punto sia possibile individuare la consistenza economica dello scambio:
█ il caso più elementare è costituito dallo scambio di prestazioni di carattere economico, come ad esempio
nel caso della compravendita ove la causa consiste nello scambio di cosa contro prezzo; non ci sarebbe
causa nel caso in cui quanto previsto dal contratto a carico di una delle due parti sia già dovuto per legge o
sulla base di un titolo questo non toglie che le parti possono concludere contratti aleatori, come ad
esempio nel caso della vendita di beni futuri
█ ai fini della corrispettività occorre considerare l'intera operazione posta in essere, pertanto ne consegue
che un atto apparentemente privo di causa in realtà può essere giustificato se inserito in un contesto più
ampio
█ corrispettività non significa necessaria coincidenza tra il soggetto che paga e quello che riceve il beneficio
█ ai fini della causa non rileva la congruità dei valori scambiati, ma è sufficiente che sia comunque previsto
un corrispettivo
Questi principi sono condivisi anche da parte della dottrina e della giurisprudenza italiana, anche se negli
ultimi tempi è possibile ravvisare un mutamento di rotta in particolare la giurisprudenza distingue a
seconda che non sia previsto alcun corrispettivo o un corrispettivo dai casi in cui sia previsto un
corrispettivo sebbene vile; resta fermo il principio che l'adeguatezza della causa non è considerata un
requisito di validità del contratto. Un discorso a parte deve essere fatto in materia di lavoro, dove l'art. 36
comma 1 cost riconosce il diritto

del lavoratore a percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro.
█ qualche dubbio sorge anche con riferimento ai casi limite in cui non è previsto alcun corrispettivo o il
corrispettivo è devoluto dal venditore all'acquirente ci si domanda se in questi casi sia ancora possibile
ravvisare la consistenza economica dello scambio: se non c'è corrispettivo non ci può essere scambio nel
senso tradizionale dell'espressione ma questo non significa che si tratti di una donazione, in quanto la
donazione presuppone lo spirito di liberalità, inteso come intenzione di effettuare una elargizione a titolo
gratuito. In casi di questo genere non si può peraltro escludere la consistenza economica dello scambio se
lo scambio è effettuato a costo zero può essere sufficiente ad integrare la consistenza economica dello
scambio il vantaggio economico conseguito dall'alienante in termini di risparmio di spesa: il risparmio di
spesa può infatti essere sufficiente a integrare la consistenza economica dello scambio, a prescindere dalla
necessità di ricorrere ai formalismi tipici della donazione
█ il discorso invece viene a complicarsi nel caso in cui si tratti di uno scambio tra una prestazione
economica e una prestazione di carattere non patrimoniale o nel caso di scambio tra 2 prestazioni di
carattere non economico in dottrina si è dubitato che nei casi di questo genere possa ravvisarsi la
consistenza economica dello scambio e si è invece parlato di contratti ad interessi non patrimoniali, anche
se bisogna tuttavia distinguere 2 situazioni:
può trattarsi di una promessa unicamente supportata da un interesse di carattere non patrimoniale,
come ad esempio nel caso in cui lo zio ha promesso al nipote di mantenerlo fino al conseguimento della
laurea in casi di questo genere si cade nella figura delle promesse a titolo gratuito
diverso è il caso in cui la promessa si riferisce a un comportamento effettivamente tenuto in questi casi
ove il comportamento richiesto sia stato concretamente posto in essere non ci sono particolari difficoltà a
ravvisare la consistenza economica dello scambio e in questo senso depone l'art. 1174 cc in materia di
obbligazioni in quanto l'obbligazione può altresì essere finalizzata a soddisfare anche interessi di carattere
non patrimoniale
█ collegato a questo profilo è il discorso relativo alla causa preterita si può promettere una somma di
denaro a una persona se farà qualcosa di interesse per il promittente e altresì si può promettere una
somma di denaro per una prestazione che ha già avuto luogo in passato (è il caso della causa preterita):
questo discorso è strettamente collegato alle obbligazioni naturali perché bisogna capire se la promessa di
adempiere un'obbligazione naturale possa considerarsi vincolante o meno secondo l'attuale disciplina
ossia l'art. 2034 cc le obbligazioni naturali non hanno altro effetto oltre l’irripetibilità della prestazione,
pertanto si è esclusa la possibilità di fondare una promessa su di un’obbligazione naturale; ne consegue che

è possibile adempiere un'obbligazione naturale in virtù di una prestazione, con conseguente soluti retentio
ma non è possibile invece assumere l'impegno di riempire in futuro un obbligazione naturale
█ i motivi per cui può aver luogo una promessa sono innumerevoli e tradizionalmente queste promesse
sono ricondotte nell'alveo della donazione, normalmente volta a soddisfare interessi di carattere non
patrimoniale del promittente se infatti la promessa fosse supportata da un interesse di carattere
patrimoniale non si tratterebbe di donazione
-La forma
Gorla contrappone causa e forma sostenendo che la mancanza della causa possa essere supplita dalla
forma e viceversa ne consegue perciò che la forma può costituire un’idonea alternativa rispetto alla causa
e a tal proposito emblematica è la donazione, la quale necessita dell'atto pubblico:
▲ daunlatoladottrinarecenterichiamal'attenzionesullacrisidelformalismoinmateria di donazione in quanto
in alcuni casi è possibile procedere a donazione senza dover necessariamente ricorrere al l'atto pubblico,
come ad esempio accade nel settore delle donazioni indirette
▲ dall'altro lato considerando che la forma appare meno importante rispetto a una volta anche in materia
di donazione, la dottrina ha intrapreso la ricerca di elementi giustificativi ulteriori diversi rispetto alla forma
in materia di donazione, come ad esempio nel caso delle donazioni motivate.
-La consegna
Un terzo elemento idoneo a rendere giuridicamente vincolante la promessa, anche qualora mancasse la
causa, consiste nella consegna del bene--> questo elemento tradizionalmente assume rilevanza in materia
di contratti reali. La crescente centralità assunta dal contratto consensuale moderno ha indotto a ritenere
che anche i contratti configurati come reali possono essere conclusi in forma puramente consensuale, cioè
prescindendo dall'effettiva dazione materiale del bene ciò trova conferma nell'art. 3 Unidroit che ritiene
che tutti i contratti sono rigorosamente consensuali. Tuttavia il problema è quello di capire fino a che punto
tale soluzione possa essere ammessa:
⦿ nulla quaestio laddove sia previsto un corrispettivo
⦿ se invece il contratto è a titolo gratuito sembra preferibile l'opinione che richiede
l'effettiva dazione materiale del bene
⦿ se il contratto è a titolo oneroso può essere concluso o in forma consensuale oppure in forma reale
-L’interesse patrimoniale
Ci sono tuttavia dei casi in cui manca la consegna materiale, come ad esempio nel caso di trasporto
gratuito, considerato perfettamente valido ed è assoggettato allo stesso regime del contratto di trasporto
oneroso poiché il contratto di trasporto gratuito è

considerato perfettamente valido nonostante l'assenza di causa, di forma e di consegna bisogna capire
quale sia il fattore che assume rilevanza in questo contesto:
1. unaprimasoluzionepotrebbeconsisterenelfareriferimentoall'iniziodell'esecuzione, ossia ritenere che il
contratto di trasporto gratuito si perfezioni solo con l'effettivo inizio dell'esecuzione
2. una seconda soluzione fa perno sull'interesse patrimoniale o vantaggio economico in capo al
promittente, come ad esempio nel caso del datore di lavoro che trasporta gratuitamente i propri lavoratori
per portarli sul posto di lavoro e in questo caso la finalità che spinge il trasportatore non è meramente
liberale ma è di tipo economico, in quanto il trasporto effettuato al fine di portare lavoratori sul luogo di
lavoro per farli lavorare ne consegue che l'interesse o il vantaggio economico del promittente può
considerarsi idoneo a rendere giuridicamente vincolante la promessa
-Le promesse gratuite atipiche interessate
Ad esempio in un caso deciso dalla Cassazione è stato stabilito che l'impegno assunto dal venditore dopo la
conclusione del contratto di vendita di attivarsi per eliminare i difetti che si sono manifestati nell'utilizzo del
bene dà luogo ad un’obbligazione autonoma rispetto alle obbligazioni che nascono dal contratto di vendita,
pertanto la promessa unilaterale del fornitore di eliminare a proprie spese i difetti dell'opera realizzata dal
compratore con i materiali acquistati è valida, nonostante l'assenza di un corrispettivo, in quanto fondata
sull'interesse del fornitore ad evitare un discredito commerciale derivante dalla cattiva riuscita di un'opera
realizzata con materiale da lui commercializzato. Le S.U. hanno ritenuto che qualora il venditore sì impegni
ad eliminare i vizi e l'impegno sia accettato dal compratore sorge in questo caso un’obbligazione autonoma
di facere soggetta alla prescrizione ordinaria del termine di 10 anni. In una sentenza del Tribunale di Roma
ha ritenuto vincolante la dichiarazione unilaterale inviata a un cliente da una ditta nella quale veniva data
comunicazione della vincita di un concorso a premi e in questo caso l'interesse reclamistico è stato ritenuto
determinante ai fini della vincolatività della promessa.
Altri casi si possono ravvisare in ambito societario, dove la giurisprudenza esclude la presenza della
donazione per carenza di animus donandi: si tratta di promesse o di assunzione di impegni all'interno del
gruppo o del socio di controllo nei confronti della società che sono valide e vincolanti anche in assenza del
rispetto del formalismo della donazione. In casi di questo genere l'elemento giustificativo della promessa,
pur in assenza di corrispettività, è costituito dalla presenza di un interesse di natura patrimoniale in capo a
chi assume l'impegno invece se l'interesse fosse di natura non patrimoniale si avrebbe la figura della
donazione, con obbligo di rispettare i requisiti previsti dalla legge; ne deriva che mentre l’interesse
patrimoniale può supportare la promessa non solo quando la controprestazione sia stata concretamente
eseguita, l'interesse non patrimoniale può supportare la promessa solo nel caso in cui sia prevista una
controprestazione e la controparte abbia adempiuto quanto richiesto.
-L’affidamento oneroso

Causa, forma, dazione materiale, inizio dell'esecuzione, interesse patrimoniale sono elementi che possono
aggiungersi al consenso ma di cui non è agevole far riferimento si prenda ad esempio il caso di una
fideiussione gratuita in virtù della quale il fideiussore assume l'impegno di garantire l'adempimento di un
debito altrui; in alcuni casi l'impegno del fideiussore può giustificarsi facendo riferimento all'interesse
patrimoniale del promittente ma tuttavia questo non è sempre possibile. Gorla ha configurato una vera e
propria causa di garanzia e in questa prospettiva l'efficacia vincolante della fideiussione gratuita dovrebbe
ravvisarsi nella causa di garanzia tipica della fideiussione tuttavia sembra preferibile far riferimento ad altri
istituti come ad esempio l'affidamento oneroso: il fondamento dell’efficacia vincolante dell'impegno infatti
non può essere ricercato nella causa ma va ricercato nelle esigenza di tutelare l'affidamento oneroso
ingenerato dalla promessa stessa nei confronti del creditore, in quanto quest'ultimo se non avesse avuto
idonee garanzie non avrebbe concesso il credito, pertanto non è possibile ritirare in un momento
successivo alla parola data in quanto altre persone hanno fatto affidamento su quella promessa.
-La pubblicità
Anche il rendere pubblica una promessa, il divulgarla tramite mezzi di comunicazione è un modo per creare
affidamento ne consegue che coloro che facendo affidamento nella promessa resa pubblica tengono il
comportamento richiesto avranno diritto a percepire quanto promesso, anche in assenza di corrispettività
in quanto in questo contesto appare centrale l'esigenza di tutelare l'affidamento del destinatario della
promessa.
-Mancanza ed illiceità della causa
La causa assolve la funzione di tutela dei contraenti, impedendo che possano essere presi impegni
considerati ad esempio per motivi futili, pertanto ai sensi dell'art. 1418 comma 2 il contratto privo di causa
è nullo ne deriva che la causa, a pena di nullità, deve risultare indicata nel contratto e laddove si tratti di
un contratto formale ai sensi dell'art. 1350 occorre che i costituenti essenziali del contratto tra i quali
rientra la causa risultino indicati per iscritto e che il documento sia stato confezionato al fine specifico di
manifestare la volontà negoziale. Il codice richiede poi che la causa non sia illecita, ossia la causa non deve
essere contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume bisogna quindi capire in cosa
si differenzia l'illiceità della causa rispetto all’illiceità dell'oggetto: il contratto può essere illecito sotto il
profilo delle prestazioni in sé e per sé considerate e in casi di questo genere l'illiceità si riferisce all'oggetto
stesso del contratto, in quanto ad esempio è illecito acquistare della droga; l'illiceità può anche richiedere
nello scambio delle prestazioni ossia può esserci il caso in cui le prestazioni gratuite sono entrambe
perfettamente lecite ma l'illiceità risiede lo stesso dello scambio, come ad esempio nel caso di una coppia
di anziani che promette di adottare una giovane ragazza in cambio di prestazioni lavorative e assistenziali
nei loro confronti: in questo caso non ci sono divieti all'adozione ma è illecito subordinare l'adozione alla
prestazione di un'attività gratuita lavorativa.
-L’astrazione della causa

In certi casi la mancanza di causa può essere supplita dalla forma, in altri casi dall'interesse patrimoniale del
disponente e in altri casi ancora dall'affidamento oneroso ingenerato dalla promessa fatti salvi questi casi,
ci sono dei casi in cui l'ordinamento prescinde dal requisito della causa: in generale, mentre la causalità è
protettiva dell'interesse particolare dei contraenti, l’astrattezza è funzionale alle esigenze della circolazione
e della protezione dei terzi e questo spiega perché abbondano i negozi astratti, in particolare per quanto
riguarda la materia dei diritti di credito.
Si parla di astrazione materiale della causa quando l'ordinamento consente che si produca l'effetto
giuridico in assenza della causa; a tal proposito un esempio significativo è quello che attiene ai diritti di
credito, in quanto ad esempio chi sottoscrive una cambiale assume un impegno astratto rispetto
all'eventuale rapporto sottostante giustificativo e nel caso in cui l'acquirente di una partita di merci
sottoscrive una cambiale a titolo di corrispettivo e poi questa cambiale viene successivamente girata un
terzo, l'acquirente non può opporre al terzo giratario che la merce non gli è stata consegnata in quanto sarà
comunque tenuto ad adempiere l'impegno assunto.
In dottrina si è discusso in ordine all'esatta qualificazione della remissione del debito e anche in ordine alla
qualificazione del contratto unilaterale per quanto concerne la remissione, questa è stata per lo più
ritenuta un atto unilaterale che quindi non necessita di causa, anche se resta comunque il fatto che la
remissione consente di eludere facilmente il requisito della causa in quanto è sufficiente effettuare una
prestazione non dovuta e poi rinunciare alla restituzione; analogo discorso può essere fatto con riferimento
al pactum de non petendo, ossia l'accordo con cui viene dilazionato l'adempimento dell'obbligazione.
Qualche dubbio interpretativo invece è sorto in materia di cessione del credito in quanto la cessione del
credito può aver luogo per le finalità più svariate ma questo non significa che l'operazione sia priva di
causa, piuttosto significa che il requisito causale deve essere accertato con riferimento al contratto che ha
previsto la cessione. Qualche problema sotto il profilo causale può altresì sorgere in materia di regolamento
di condominio, ove è considerato possibile introdurre vincoli di destinazione relativi non solo alle parti
comuni ma anche relativi alle singole unità immobiliari la giurisprudenza precisa che il vincolo per avere
effetto deve essere accettato da tutti i condomini o comunque da coloro i quali subiscono limitazioni nelle
loro posizioni dominicali; anche la confessione di fatti a sè sfavorevoli, tenuto conto delle limitate
possibilità di impugnazione previste dal legislatore, può consentire di eludere il requisito causale, in quanto
è sufficiente confessare fatti non veri.
Inoltre l'astrazione materiale della causa si nota nei casi in cui le parti concludono un contratto di
accertamento o di transazione relativo un rapporto controverso la transazione consente alle parti di porre
fine ha una lite tramite concessioni reciproche e l'art. 1970 cc precisa che la transazione non può essere
impugnata per causa di lesione: questo significa che nella transazione qualsiasi reciproca concessione che le
parti si facciano è idonea a giustificare il contratto a prescindere dall'entità e dalla proporzionalità delle
concessioni stesse; analogo discorso può essere fatto con riguardo al contratto di accertamento, ossia quel
contratto con cui le parti accertano di comune accordo una
situazione giuridica questo contratto può avere ad oggetto sia obbligazioni sia diritti reali e non necessita
di forma scritta e può essere concluso per fatti concludenti e inoltre non presuppone necessariamente una
lite in atto e non richiede la reciprocità di concessioni; questo contratto produce effetto vincolante astratto
rispetto al rapporto oggetto di accertamento, con la conseguenza che le parti risulta ranno vincolate a
quanto accertato, a prescindere dal contenuto del rapporto sottostante.
L'astrazione materiale va distinta dall’astrazione in senso processuale per quest'ultima si intende i casi in
cui l'astrazione della causa produce effetti solo sul piano processuale, consentendo ai soggetti interessati di
far valere un diritto senza doverne trovare il fondamento nell'ordinamento. Questo fenomeno si verifica in
2 casi specifici:
○ promessa di pagamento
○ ricognizione del debito se una persona riconosce di essere debitore di una somma
di denaro, tale promessa esonera il creditore dalla necessità di dover provare il rapporto fondamentale, il
quale si presume esistente fino a prova contraria pertanto compete a chi ha effettuato la promessa
dimostrare il contrario
In sostanza in questi casi si verifica un’inversione dell'onere della prova, nel senso che non è più il creditore
a dover provare il rapporto fondamentale, ma è il debitore che deve dimostrare che il rapporto
fondamentale non sussiste; allo stesso regime sono sottoposte le dichiarazioni titolate, ossia quelle
dichiarazioni in cui viene menzionata la causa debendi della prestazione. La ricognizione può in ogni caso
essere provata attraverso testimoni, anche nel caso in cui si riferisca un contratto che richiede la forma
scritta ad substantiam.
-Gli atti solutori
Si tratta di atti la cui causa deve ravvisarsi in un rapporto esterno, come ad esempio nel caso del mandato
senza rappresentanza al trasferimento di un bene immobile acquistato in nome proprio dal mandatario a
favore del mandante o nel caso della conclusione del contratto definitivo in esecuzione del preliminare... il
problema è stato discusso anche per quanto concerne la materia degli accordi di separazione, ossia quando
1 dei 2 coniugi assume l'impegno di trasferire un bene immobile a favore dell'altro o dei figli: la
giurisprudenza ha escluso che si tratti di donazione in questi casi poiché manca l'animus donandi, piuttosto
si è invece ritenuto che l'impegno assunto dal marito nei confronti della moglie costituisca un contratto
preliminare a favore del figlio e che quindi la successiva dichiarazione scritta con cui il coniuge obbligato
dichiara la sua volontà di trasferire il bene al figlio costituisce una proposta di contratto unilaterale atipico
che ai sensi dell'art. 1333 cc si perfeziona anche in assenza di formale accettazione. In senso analogo è
stato deciso che la proposta scritta di trasferire la proprietà di un immobile a titolo statista attivo di un
preesistente debito del proponente costituisce una proposta di datio in solutum.
Tenuto conto del fatto che si tratta di un negozio con causa esterna, occorre che risulti in modo evidente la
causa del trasferimento e secondo parte della dottrina a questi fini occorre una dichiarazione espressa, con
conseguente invalidità del trasferimento effettuato in sua assenza.

Diverso è il problema di quali effetti possa produrre l’atto solutorio in mancanza di idonea causa
giustificativa sottostante secondo parte della dottrina l'atto solutorio sarebbe in ogni caso idoneo di per sé
a produrre l’effetto traslativo, anche in mancanza di idonea causa giustificativa sottostante perciò l'effetto
traslativo si produrrebbe in modo astratto; tuttavia è preferibile ritenere che la causa, sebbene esterna, sia
un elemento essenziale della adempimento traslativo, con conseguente nullità della fattispecie traslativa.
-Le clausole di assunzione del rischio
In passato si era dubitato della validità delle clausole di assunzione del rischio, ossia quelle clausole in virtù
delle quali le parti accettano di rendere una prestazione indipendente dall'altra si riteneva che queste
clausole contraddicessero il principio della causa; è stato invece appurato che queste clausole sono da
ritenersi lecite ove si riferiscono ad eventi sopravvenuti e ai fini della validità del contratto è sufficiente che
la causa sussista al tempo della conclusione del contratto, a prescindere dal suo mantenimento fino al
tempo dell'inadempimento. È dubbio invece se queste clausole possono estendersi fino a coprire anche
eventuali cause di nullità o di impossibilità originaria riferita a una singola obbligazione infatti
l'ammissibilità di clausole di questo genere consentirebbe di vanificare il requisito causale.
-Il riconoscimento di diritti reali
Ci si chiede se la disciplina del riconoscimento possa essere applicata anche ai diritti reali, in particolare nel
caso in cui una persona riconosca la titolarità di un bene immobile a favore di altre persone:
la dottrina si è sempre espressa in senso favorevole a tale ammissibilità
la giurisprudenza esclude l'applicazione dell'art 1988 cc ai diritti reali in quanto teme che l'estensione
delle promesse nel settore dei diritti reali potrebbe condurre a configurare modalità atipiche di
trasferimento del diritto di proprietà al di fuori di
quelli prescritti dalla legge
-Il contratto autonomo di garanzia
Si tratta di un caso di astrazione materiale della causa nel contratto di fideiussione nel caso in cui le parti
stabiliscono che il garante deve pagare a prima richiesta, ossia senza la possibilità di opporre eccezioni
relative al rapporto fondamentale tra creditore e debitore in questi casi se il fideiussore è costretto a
pagare nonostante l'insussistenza del rapporto sottostante, costui potrà agire nei confronti del debitore
principale.
-Gli accordi modificativi
Per quanto riguarda l'accertamento della causa in materia di accordi finalizzati a regolare o modificare un
precedente contratto l'accertamento comporta delle difficoltà e la questione va affrontata per gradi:

Ω se l'accordo modificativo pone nuovi oneri a carico di entrambi i contraenti non ci sono particolari
problemi sotto il profilo causale e lo stesso accade nel caso in cui una parte si limiti a rinunciare in tutto o in
parte alla prestazione della controparte
Ω più problematici sono i casi in cui l'accordo si limiti a prevedere nuove o maggiori prestazioni a carico di
1 sola parte e altresì sono frequenti gli accordi modificativi in materia di lavoro, ad esempio quando il
datore di lavoro concorda con il dipendente un aumento di stipendio a parità di mansioni ci si domanda
quindi fino a che punto questi accordi possono ritenersi vincolanti: anche in materia di accordi modificativi
l'elemento giustificativo dell’accordo può essere costituito non solo dalla corrispettività ma anche dalla
presenza di uno degli altri fattori come può essere l’interesse patrimoniale, l'affidamento oneroso... e in
particolare la presenza di un interesse economico in capo al promittente può fungere da elemento
giustificativo della promessa; analogo discorso può essere fatto in caso di presenza di errore, lesione o
eccessiva onerosità sopravvenuta
Si consideri tuttavia che poiché le parti hanno in ogni caso sempre la facoltà di sciogliere il precedente
contratto per mutuo dissenso e di stipulare un nuovo contratto con contenuto diverso non dovrebbero
porsi particolari problemi anche nel caso in cui venga la previste nuove prestazioni a carico di una sola
parte in questa prospettiva l'unico controllo che potrebbe essere effettuato è quello sotto il profilo della
buona fede e della giustizia contrattuale.
-I motivi
Mentre la causa è un qualche cosa di oggettivamente riscontrabile lo stesso non vale per i motivi, in quanto
questi si riferiscono alla sfera interna di ciascun contraente, ossia alle ragioni di carattere puramente
individuale che inducono i singoli contraenti fa concludere un contratto, perciò le motivazioni per cui viene
concluso un contratto possono essere infinite ne consegue che in termini generali l’errore sui motivi non
assume rilevanza ai fini dell’impugnazione del contratto.
Le parti però possono attribuire specifica rilevanza i motivi per il tramite di una condizione, ossia
subordinare l'efficacia del contratto a un evento futuro incerto il legislatore si occupa in modo specifico
dei motivi all'art. 1345 cc ai sensi del quale il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a
concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambi e a questi fini occorrono 3
condizioni:
a. che il motivo sia illecito, ad esempio il contratto sia finalizzato all'esercizio di un'attività non consentita
dalla legge
b. che il motivo sia comune ad entrambe le parti, come ad esempio nel caso in cui sia concluso un contratto
di società relativo ad una casa di gioco clandestina
c. che le parti si siano indotte a concludere il contratto esclusivamente per qualche motivo illecito

A questi fini poiché non è sufficiente la mera consapevolezza dell'altrui motivo illecito, occorre che risulti in
modo oggettivo la compartecipazione a un medesimo disegno criminoso o quantomeno la partecipazione
ai relativi profitti. Non è invece ritenuto illecito l'intento delle parti di recare danno a un terzo.
L'art. 1345 cc può trovare applicazione anche in materia di atti unilaterali, con conseguente nullità dell'atto
per illiceità del motivo unico determinante; il motivo deve quindi risultare dall’atto e deve essere il solo che
ha determinato il donante a compiere la liberalità.
-Il contratto indiretto
Il contratto indiretto a sua volta può essere lecito, illecito o in frode alla legge per contratto indiretto si
intende qualsiasi contratto che sia finalizzato a conseguire un risultato in modo indiretto, ad esempio chi
desidera effettuare una liberalità a favore di un'altra persona può concludere un contratto di donazione
rispettando quanto previsto dalla legge ma può anche avvalersi di altri contratti che consentono di
raggiungere in modo indiretto il medesimo risultato, ad esempio a questi fini può essere utilizzata la figura
del contratto a favore di terzo pure la remissione del debito.
I motivi per cui si stipula un negozio indiretto possono essere molteplici, anche se spesso è il motivo è
quello di cercare di eludere qualche norma imperativa come ad esempio nel caso di divieto di patto
commissorio in alcuni casi vengono elaborate nuove figure contrattuali, come ad esempio il contratto
autonomo di garanzia al fine di eludere il principio di sussidiarietà che caratterizza la fideiussione. Il negozio
indiretto è reso possibile dal fatto che l'ordinamento non solo appresta numerosi schemi negoziali e
consente alle parti di lavorare schemi contrattuali e atipici ma consente anche di utilizzare schemi
contrattuali tipici per raggiungere finalità diverse da quelle previste dalla legge questo in linea di principio
non è vietato.
-I contratti normativi
I contratti normativi si limitano a disporre un assetto standard di interessi cui le parti dovranno poi
attenersi in sede di conclusione di singoli contratti non esiste una disciplina legislativa dei contratti
normativi: ne consegue che ci sono molti dubbi che vanno risolti in via interpretativa.
Tradizionalmente si distingue a seconda che si tratti di contratti ad efficacia reale o ad efficacia
obbligatoria:
a. nel primo caso le clausole concordate avrebbero il potere di inserirsi nei singoli contratti, anche in
contrasto con l'eventuale volontà difforme espressa dai contraenti b.
nelsecondocasoilcontrattonormativoimpegnasololepartiadinserirenelcontratto
quanto è stato in precedenza concordato
Da un primo punto di vista i contratti normativi vengono distinti in:
a. bilaterali sefinalizzatiaregolareinmodouniformefuturicontrattitralepartistesse
b. unilaterali se finalizzati a vincolare gli aderenti al patto a stipulare condizioni contrattuali
uniformi nei rapporti con i terzi
Un primo dubbio è sorto con riferimento all’efficacia dei contratti normativi: si è discusso se si tratti di
accordi privi di rilevanza giuridica o se hanno una qualche rilevanza giuridica e quale valore si può
eventualmente loro attribuire secondo l'opinione prevalente il contratto normativo si limita a predisporre
un aspetto uniforme di interessi che poi confluiranno in modo automatico nei singoli contratti, salva la
possibilità per le parti di derogare a questo nei singoli contratti: in questa prospettiva il contratto
normativo, stante la libertà dei contraenti di decidere liberamente si concluderà o meno i singoli contratti
attuativi, si limiterebbe ad integrare il contenuto anche se non specificamente richiamato e salva altresì la
possibilità delle parti di derogare ad esso in singoli contratti. Secondo parte della dottrina il contratto
normativo non si limiterebbe ad integrare il contenuto dei singoli contratti attuativi ma invece
obbligherebbe le parti a concludere i singoli contratti attuativi. Il contratto normativo non pone particolari
problemi sotto il profilo della causa, dato che la sua efficacia vincolante è limitata e le parti non perdono la
libertà di concludere singoli contratti attuativi nonché di determinarne il contenuto l’unico effetto è quello
di consentire alle parti di predisporre un assetto regole di default, che in mancanza di una diversa
manifestazione di autonomia entreranno automaticamente a far parte dei singoli contratti; inoltre il
contratto normativo non richiede particolari adempimenti formali, salvo quelli eventualmente richiesti per i
singoli contratti finali che si intendono concludere e altresì non si pongono particolari problemi per quanto
riguarda il profilo della determinabilità dell'oggetto, in quanto è sufficiente che l'oggetto sia determinato o
determinabile. L'invalidità per incapacità a concludere singoli contratti attuativi non inficia la validità del
contratto normativo e degli altri eventuali contratti attuativi conclusi; l’invalidità del contratto normativo
che invece dipende da nullità o annullabilità può riflettersi sui singoli contratti attuativi, rendendoli a loro
volta nulli o annullabili.
Il contenuto del contratto normativo non deve necessariamente essere ripetuto in occasione della
conclusione dei singoli contratti attuativi in quanto il suo contenuto entra automaticamente a far parte
integrante dei singoli contratti attuativi tuttavia qualche dubbio interpretativo può sorgere nei casi in cui
risulti un contrasto tra il contenuto del contratto normativo e quello dei singoli contratti di attuazione: si
tratta di capire se debba prevalere il contenuto del contratto normativo o quanto stabilito dalle parti nei
singoli contratti difformi. A favore di questa seconda soluzione può considerarsi che si tratta comunque di
una manifestazione di volontà più recente che, salvo il profilo dell'errore, dovrebbe prevalere su quella più
risalente che è stata sancita nel contratto normativo; tuttavia sono prevalenti le esigenze di uniformità dei
rapporti in quanto il contratto normativo assolve una funzione che è comparabile a quella delle condizioni
generali di contratto e nelle condizioni occorre ritenere che in mancanza di una chiara manifestazione di
volontà dei contraenti di concludere singoli contratti con un contenuto differenze, quanto concordato nel
contratto normativo deve prevalere in caso di contrasto, con conseguente uniformazione automatica dei
contratti difformi a quanto previsto in generale dal contratto normativo.

-La parabola della causa


Il requisito della causa costituisce un limite di carattere puramente formale che è liberamente svuotabile
dai contraenti ed è sufficiente prevedere ad esempio un corrispettivo il più basso possibile ma
quand’anche sia stato previsto un corrispettivo adeguato, nulla potrebbe impedire al venditore di trasferire
la proprietà del bene in quanto ai sensi dell'art. 1376 cc opera lo scambio dei consensi e in seguito
rimettere il debito o lasciarlo estinguere per prescrizione. Analogo discorso può essere fatto con riguardo
alla forma della donazione, in quanto i modi per donare sono infiniti e ad esempio si può donare attraverso
l'istituto della donazione indiretta ne consegue che, nonostante le intenzioni del legislatore, i requisiti
della causa e della forma sono eludibili facilmente e in modo legale senza particolari conseguenze: proprio
per quest’ordine di ragioni alcune legislazioni non menzionano più la causa tra i requisiti del contratto come
ad esempio avviene nel codice olandese e per quanto riguarda i testi di diritto europeo questi prevedono
che le parti sono libere di concludere un contratto di determinarne il contenuto, a prescindere dai requisiti
della forma e della causa e a tal proposito l'art. 2.101 PECL prevede che il contratto è concluso quando le
parti hanno manifestato la volontà di obbligarsi giuridicamente e hanno raggiunto un accordo sufficiente,
precisando che non occorre alcun altro requisito. L’art. 2 CEC altresì non menziona la causa sembra quindi
che la causa e la forma abbiano esaurito la loro funzione, con conseguente riaffermazione del principio del
pacta sunt servanda secondo cui il solo consenso è in ogni caso sufficiente ad instaurare un valido vincolo
contrattuale tra le parti. Sebbene questi codici non prevedano il requisito della causa, pongono attenzione
ai profili di giustizia in senso sostanziale del contratto:
ad esempio l'art 3.10 PICC prevede che una parte possa annullare il contratto o una sua clausola se, al
momento della sua conclusione, il contratto o la clausola attribuivano ingiustificatamente all'altra parte un
vantaggio eccessiva
ai sensi dell'art. 4.109 PECL si prevede che una parte possa annullare il contratto se, al momento della
conclusione di questo, fosse in situazione di dipendenza o avesse una relazione di fiducia con l'altra parte, si
trovasse in situazione di bisogno economico o avesse necessità urgenti, fosse affetto da prodigalità,
ignorante, priva di esperienza o dell'accortezza necessaria a contrattare e l'altra parte era o avrebbe dovuto
essere a conoscenza di ciò è, date le circostanze e lo scopo del contratto, ha tratto dalla situazione un
vantaggio iniquo o un profitto ingiusto
Si evince quindi che non si tratta di una liberalizzazione completa del contratto ma di uno spostamento del
controllo da parte dell'ordinamento sul contenuto, che non deve provocare lesioni e non deve essere frutto
di approfittamento di un altrui situazione di debolezza. L'eliminazione della causa non significa quindi una
rinuncia dell'ordinamento a controllare l'atto di autonomia privata sotto il profilo della sua giustificazione,
ma presa di coscienza che tale controllo se affidato ai requisiti classici della causa e della forma rischia di
diventare del tutto formale o comunque di poter essere eluso dalle parti.

CAPITOLO 10: L’INTERPRETAZIONE


SEZIONE I: IL PROBLEMA DELL’INTERPRETAZIONE
-L’interpretazione come fenomeno generale
Il problema dell'interpretazione si pone non solo con riferimento ai testi normativi ma anche con
riferimento a qualsiasi testo scritto, come ad esempio i testamenti ci si chiede che cosa voglia significare
interpretare e a tal proposito esistono 2 teorie:
▶ teoria oggettiva lo scopo dell'interpretazione è quello di ricostruire il più esattamente e il più
fedelmente possibile il significato di un testo normativo
▶ teoria soggettiva l'interprete non si limita a fotografare il più esattamente possibile una realtà
normativa e a darne un giudizio di esistenza, ma di aggiungere un qualche cosa di suo
Il legislatore al fine di contenere il più possibile la soggettività dell'iter e rendere il più possibile oggettivo e
prevedibile l'esito dell'interpretazione ha disciplinato l'attività ermeneutica: ai sensi dell'art. 12 preleggi si
prevede che nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal
significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore.
-Recenti tendenze in materia di interpretazione
Recentemente alcune correnti di pensiero hanno cercato di utilizzare tecniche ermeneutiche tipiche
dell’analisi letteraria e semiologica per interpretare i testi giuridici: alla base di queste teoria vi è la
convinzione che il linguaggio è un qualcosa di convenzionale, che solo imperfettamente consente di
rappresentare la realtà in base a questa impostazione di testo letterario vive di vita propria, di
conseguenza non ha più senso cercare di risalire a una qualche interpretazione autentica conforme
all'intenzione originaria dell'autore.
Il problema dell'interpretazione sottende in primo luogo un problema di comunicazione per poter
comunicare il concetto ad un'altra persona occorre collegarlo a un qualche cosa di fisico, un qualche cosa di
scritto, un suono... e il problema nasce al momento della comunicazione in quanto la connessione tra
referente e significante è qualcosa di convenzionale che può essere inteso in modo imperfetto dagli altri
soggetti cui si comunica. Ciò che appare incontestabile è che nel processo interpretativo intervengono 3
entità:
chi ha fatto la cosa da interpretare
i simboli fisici oggettivamente considerati chi cerca di interpretare questi simboli fisici
Il simbolo di per sé non è un significato, in quanto sono gli individui che convenzionalmente gli
attribuiscono significato e il problema consiste nel fatto che non necessariamente chi utilizza un certo
segno per comunicare un concetto gli attribuisce lo stesso significato delle altre persone, pertanto il
problema è quello di decidere se ai fini dell'interpretazione si deve dare prevalenza un certo significato
piuttosto che a un altro.
-L’interpretazione nei contratti

Analoghi problemi si pongono con riferimento alla materia dei contratti e dei testamenti, oltre che delle
sentenze in quanto il problema è decifrare il significato del testo e in particolare cercare di attribuire
significato alle parole in esso contenuto a tal proposito il legislatore ha disciplinato l'interpretazione dei
contratti, prevedendo che queste norme fossero altresì applicabili agli atti unilaterali, ai testamenti e agli
atti amministrativi.
Ai sensi dell'art. 1362 comma 1 cc si stabilisce che nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia
stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole da ciò ne consegue che
anche nel caso in cui il testo contrattuale riproduca in modo pedissequo il testo di una norma giuridica, ai
fini dell'interpretazione occorre far applicazione dei normali criteri di interpretazione del contratto, che
anzitutto sono il criterio letterale e il criterio logico in quanto sia la legge sia i contratti devono essere
interpretati in primo luogo facendo riferimento al senso letterale delle parole nonché alla consistenza
complessiva del testo; altro criterio è quello che fa rinvio alla volontà del legislatore e alla volontà delle
parti per quanto riguarda la legge è tramontata la teoria secondo cui scopo dell'interpretazione è quello di
ricostruire il più esattamente possibile la volontà originaria del legislatore, infatti oggi si parla di necessità di
ricostruire lo scopo della norma anche in una prospettiva evolutiva (cd interpretazione teleologica).
-I precedenti storici degli artt. 1362-1371 cc
La disciplina attuale dell'interpretazione del contratto si riallaccia alla tradizione storica precedente e in
particolare il sistema degli artt. 1362-1371 cc trova le sue basi già negli artt. 1131-1139 codice civile 1865,
anche se nel vecchio codice ad esempio non compariva il criterio della buona fede ex art. 1366 cc anche se
una parte della dottrina lo desumeva dal principio dell'esecuzione dei contratti secondo buona fede come
previsto all'art. 1124 cc 1865 a Grassetti è dovuto un importante lavoro di ammodernamento della
disciplina dell'interpretazione: il giurista si è ispirato a quanto previsto dal codice civile tedesco in
particolare riprendendo la disciplina in materia di interpretazione, infatti nel BGB è prevista la regola
secondo la quale i contratti sono da interpretarsi secondo ciò che esige la buona fede avuto riguardo agli
usi dei comuni rapporti e in particolare è previsto che nell'interpretare una dichiarazione di volontà si deve
indagare la volontà effettiva e non stare al significato letterale dell'espressione oggi si è affermato il
principio che anche in presenza di un testo chiaro può essere consentita la valutazione di elementi
extratestuali idonei a dimostrare una differente volontà delle parti.
-L’interpretazione dei contratti nei paesi di common law
Analoghi sono le problematiche che si pongono in materia di interpretazione nei paesi di common law in
quanto il diritto inglese in materia di interpretazione ha le sue radici nel diritto romano e infatti si è
affermata una concezione dell'interpretazione dei testi scritti ancora più rigida di quella continentale in
particolare la regola classica è quella dell'interpretazione letterale, con impossibilità di ammettere prove
testimoniali o di altra natura che siano in contrasto con il tenore letterale del testo: si tratta di una regola
che
risale al 1600 adottata al fine di evitare eventuali frodi, stabilendo che i contratti di trasferimento di beni
immobili dovessero rivestire la forma scritta. Corollario di questa principio è quindi l'impossibilità di provare
per testimoni sia eventuali patti stipulati in forma orale che siano in contrasto con il tenore letterale del
testo sia di poter provare che le parti attribuivano alle parole un significato diverso da quello letterale
(questo rigore è stato poi temperato prevedendo una serie di eccezioni al divieto della prova testimoniale).
-L’interpretazione del contratto nei testi di diritto internazionale ed uniforme
Per quanto riguarda i testi di diritto uniforme ed internazionale questi risentono sia dell'influenza del civil
law sia dell'influenza del common law un particolare aspetto che rileva è quello della disciplina
dell'interpretazione contenuta nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili,
elaborata da una commissione mista composta sia da giuristi provenienti da sistemi di common law sia di
quelli provenienti dal civil law: l'art. 8 comma 1 prevede che le dichiarazioni e gli altri comportamenti di una
parte devono essere interpretati secondo la sua intenzione, se l'altra parte conosceva o non avrebbe
potuto ignorare tale intenzione e, laddove questo non sia possibile, il comma 2 prevede che le dichiarazioni
e gli altri comportamenti di una parte devono essere interpretati secondo il senso che avrebbe ad essi
attribuito una persona ragionevole della stessa qualità dell'altra parte nelle medesime circostanze ne
consegue che nel caso in cui una parte attribuisca a una dichiarazione un significato particolare prevale
questo significato ove la controparte ne fosse a conoscenza o avrebbe potuto esserne a conoscenza; in caso
contrario la dichiarazione dovrà essere intesa così come una persona ragionevole nella medesima posizione
dell'oblato avrebbe potuto intenderla. Il comma 3 corrisponde alla tradizione di civil law in quanto
ammette il ricorso a dati extratestuali per chiarire il significato della disposizione e, infatti, sancisce che nel
determinare l'intenzione di una parte o ciò che avrebbe inteso una persona ragionevole, si deve tener
conto di tutte le circostanze rilevanti del caso, tra cui le trattative, le pratiche che si sono instaurate tra le
parti, gli usi e ogni successiva comportamento delle parti.
Anche i principi Unidroit risentono dell'influenza della Convenzione di Vienna: infatti prevedono un
contratto deve essere interpretato secondo la comune intenzione delle parti e che le dichiarazioni e ogni
altro comportamento di una parte devono essere interpretati secondo l'intenzione di quella parte se l'altra
poteva conoscere o non poteva non conoscere tale intenzione; prendendo spunto dalla tradizione di civil
law si prevede che possano essere prese in considerazione ogni dato extratestuale rilevante come ad
esempio le pratiche commerciali e inoltre è previsto il principio di conservazione del contratto e il principio
di interpretazione contro l'autore della clausola.
La disciplina dei PECL enuncia il principio per cui il contratto deve essere interpretato secondo la comune
intenzione delle parti e laddove sia accertato che una delle parti attribuiva che l'azione un significato
particolare, prevarrà questa interpretazione, ove la controparte ne fosse a conoscenza o fosse in grado di
rendersene conto con l'ordinaria diligenza se questo non si verifica il contratto deve essere interpretato
secondo il significato che persone di media diligenza e con le stesse caratteristiche delle parti darebbero ad
esso nelle stesse circostanze. Questi principi prevedono altresì il ricorso ai dati

extratestuali e pongono il principio di interpretazione contro l'autore della clausola, nonché il principio di
prevalenza delle clausole oggetto di trattative e il principio di conservazione del contratto.
Per quanto riguarda la disciplina dell'interpretazione dettata dal codice europeo dei contratti, l'art. 39
comma 1 prevede che quando le dichiarazioni contrattuali sono tali da rivelare in modo chiaro e univoco
l'intenzione dei contraenti, il contenuto del contratto deve desumersi dal significato letterale di esse,
avendo riguardo al testo contrattuale nel suo complesso e coordinando le varie clausole le une per mezzo
delle altre; nel caso in cui dall'esame del testo sussistano dubbi interpretativi è possibile prendere in
considerazione dati extratestuali e secondo quanto previsto dall'art. 40 comma 2 le espressioni ambigue
devono intendersi nel senso in cui potrebbero avere qualche effetto e le clausole predisposte da uno dei
contraenti devono essere intese nel senso più favorevole alla controparte; l'art. 41 prevede come regola di
chiusura il principio dell'interpretazione nel senso meno gravoso per il soggetto obbligato.
-Le merger clauses (cd clausole di completezza del documento)
Queste clausole sono state elaborate nell’area del common law con il fine di ribadire il principio della non
rilevanza del contesto al fine dell’interpretazione del testo contrattuale. Queste clausole sono
specificamente disciplina anche dai principali testi di soft law e in particolare si ricorda l’art. 4: 104 DCFR,
che stabilisce quanto segue:
1. seundocumentocontrattualecontieneunaclausolanegoziataindividualmenteincui si stabilisce che il
documento contrattuale racchiude tutto il contenuto del contratto qualsiasi precedente dichiarazione non
fa parte del contratto
2. se la clausola di onnicomprensività non è negoziata individualmente determina solo la presunzione che le
parti abbiano voluto che le loro precedenti dichiarazioni non dovessero far parte del contratto
3. le precedenti dichiarazioni delle parti possono essere usate per interpretare il contratto
4. a una parte che mediante dichiarazioni/comportamenti abbia ingenerato nella controparte un
ragionevole affidamento in senso contrario può essere precluso invocare una clausola di onnicomprensività
Ci si chiede se in virtù della clausola di completezza si possa blindare il contratto in modo da impedirne la
normale integrazione ex art. 1374 cc a riguardo si deve distinguere a seconda che si tratti di norme
imperative o dispositive:
☬ con riguardo alle norme imperative è esclusa la possibilità di deroga e anche in presenza di una clausola
di completezza si devono applicare le norme imperative
☬ con riguardo alle norme dispositive si può ritenere che queste fonti possono integrare
il contratto, salva diversa volontà delle parti
Con riguardo all’interpretazione del contratto ci si chiede se la presenza di una clausola di completezza
escluda anche la possibilità di prendere in considerazione il contesto ai fini

dell’interpretazione del contratto in genere lo si esclude, in quanto la clausola di onnicomprensività ha


solo la funzione di blindare il contratto sotto il profilo del contenuto e non anche dell’interpretazione.
-L’accordo di interpretazione
Sovente i contratti sono preceduti da preamboli di varia natura, la cui funzione è quella di definire i termini
impiegati al fine di evitare eventuali incertezze interpretative e questo problema si pone in particolare e
quando i termini utilizzati siano suscettibili di più significati e a tal proposito l'accordo di interpretazione
consente di sciogliere la riserva in ordine al significato da apportare in linea di principio l'accordo di
interpretazione è sempre possibile e normalmente è contestuale alla redazione del contratto e viene
inserito nel preambolo, anche se tuttavia può precedere o seguire la conclusione del contratto (in
quest'ultimo caso si tratta di interpretazione autentica). Qualche dubbio può sorgere nel caso in cui per il
contratto sia previsto l'utilizzo della forma scritta e in particolare il problema si pone nel caso in cui
l'accordo di interpretazione sia stato raggiunto oralmente ci si chiede se in questi casi sia ammissibile o
meno il ricorso alla prova testimoniale per chiarire l'esatto significato che le parti intendevano attribuire al
documento contrattuale: la risposta è positiva, in quanto il divieto della prova testimoniale dei patti
aggiunti come previsto all'art. 2720 cc si riferisce ai patti aggiunti modificativi e non anche alle
testimonianze finalizzate a provare l'effettiva volontà delle parti in contrasto con il tenore letterale del
documento.
SEZIONE II: LE REGOLE DI INTERPRETAZIONE
-I criteri previsti dal codice
Il codice prevede una disciplina analitica in materia di interpretazione, ispirandosi a quanto previsto nel
modello giuridico tedesco e francese in area francese nel XIX secolo era diffusa la convinzione che poiché
lo scopo dell'interpretazione era unicamente quello di ricostruire nel modo più esatto possibile la volontà
delle parti e qualunque mezzo ermeneutico che potesse essere utilizzato a questo scopo doveva essere
ammesso, pertanto ne conseguiva che i criteri di interpretazione previsti dal legislatore erano considerati
suggerimenti rivolti al giudice di merito. Grassetti ha tolto ogni dubbio affermando che anche le norme
interpretative sono regole giuridiche la conseguenza è quella che pur trattandosi di un giudizio di fatto la
violazione delle regole ermeneutiche o in difetto di motivazione può consentire ricorso per Cassazione
mentre nei casi in cui i criteri previsti dalla legge non siano violati il ricorso è inammissibile; ai fini del
ricorso in Cassazione è essenziale indicare in modo specifico i criteri ermeneutici violati dal giudice nonché
gli elementi di fatto che non sono stati presi in considerazione, in quanto il sindacato della Cassazione non
può avere ad oggetto la ricostruzione della volontà delle parti ma solamente l'errore commesso dal giudice
di merito.
L'interpretazione non è censurabile nel caso in cui il giudice abbia omesso di prendere in considerazione
elementi non idonei a modificare il giudizio e questa soluzione ha comportato una progressiva estensione
del controllo esercitato dalla Cassazione in questa prospettiva i principi di ermeneutica giuridica sono in
primo luogo rivolti al giudice, che deve attenersi a
questi in sede di ricostruzione del significato della dichiarazione e in particolare secondo la Cassazione non
sarebbe ammissibile un ricorso contro una sentenza di merito che si sia uniformata a un indirizzo costante
della Cassazione ove non risulti indicata una ragione idonea giustificativa.
-La gerarchia tra criteri
Determinante è stato il contributo di Grassetti, che ha distinto le norme in criteri di interpretazione
soggettiva e criteri di interpretazione oggettiva, considerando le regole di interpretazione oggettiva
sussidiarie rispetto a quelle di interpretazione soggettiva in questa prospettiva compito dell'interprete in
primo luogo è quello di ricostruire il più esattamente possibile la volontà comune delle parti e ove questo
non sia possibile in virtù dell’intrinseca contraddittorietà del testo e a causa dell'assenza di elementi
extratestuali idonei a risolvere il dubbio, sarebbe possibile ricorrere ai criteri di interpretazione oggettiva
mediante cui attribuire comunque un significato al testo oscuro.
Qualche dubbio persiste in ordine all'esatta qualificazione dei vari criteri del primo e del secondo gruppo in
quanto ci sono state una serie di opinioni e in particolare si discute in ordine all'esatta collocazione del
principio di buona fede, che viene considerato come norma di sutura tra i 2 gruppi di norme o talvolta viene
considerato facente parte del primo gruppo e altre volte come facente parte del secondo gruppo.
Per quanto riguarda il principio di gerarchia, secondo alcune pronunce giurisprudenziali il criterio di
interpretazione letterale prevarrebbe su tutti gli altri; dopodiché troverebbe applicazione il criterio di
interpretazione logica, dopodiché quello che consente il riferimento a elementi extratestuali e infine il
criterio relativo all'interpretazione restrittiva e il criterio relativo all'interpretazione estensiva del contratto
problemi sorgono per quanto riguarda la gerarchia dei criteri di interpretazione oggettiva: a tal fine si può
ritenere sufficiente attenersi all'ordine previsto dallo stesso legislatore quindi fare riferimento al principio
della buona fede, al principio di conservazione, alle pratiche negoziali, alla natura del contratto, il principio
di interpretazione contro l'autore della clausola e infine il criterio di cui all'art. 1371 cc ossia
l'interpretazione nel senso meno gravoso per l’obbligato.
-Verso una nuova sistematica dei criteri ermeneutici
A riguardo interessante è la sistematica che è stata adottata dai testi di diritto internazionale che così si
articola:
1. in primo luogo viene posto il principio per cui il contratto deve essere interpretato secondo la comune
intenzione delle parti anche quando questa non è conforme al significato letterale delle parole
2. l'interprete è legittimato a prendere in considerazione non solo il testo ma anche il contesto, ossia il
comportamento delle parti prima o dopo la conclusione del contratto, nonché gli usi, la natura e l'oggetto
del contratto

3. se non è possibile ravvisare una comune delle parti in questi casi operano 2 alternative:
se la controparte era a conoscenza del significato particolare attribuito dalla controparte alla
dichiarazione o avrebbe potuto conoscerlo con l’ordinaria diligenza il contratto dovrà essere inteso in
questo senso
se invece non avrebbe potuto conoscerlo, il contratto dovrà essere inteso così come una persona di
media diligenza al posto delle parti avrebbe potuto intenderlo
4. possono applicarsi i criteri residuali, quali l’interpretazione contro l’autore della clausola, il principio di
conservazione del contratto...
Ne consegue che il contratto può risultare vincolante anche in assenza di un effettivo incontro tra le
volontà dei contraenti al contratto potrà essere attribuito un senso:
a. conforme alla volontà comune delle parti
b. conforme perlomeno alla volontà di una parte, ove l'altra ne fosse a conoscenza o
fosse in grado di conoscerla con l'ordinaria diligenza
c. un senso oggettivo, pari a quello che potrebbe attribuirgli una persona di media
diligenza al posto delle parti
Anche in questa prospettiva può ravvisarsi un ordine gerarchico tra i vari criteri interpretativi:
a) in primo luogo occorre verificare se le parti hanno concordemente attribuito alla dichiarazione un senso
differente rispetto a quello letterale e ove tale accertamento abbia esito positivo il contratto dovrà essere
inteso così come lo intendevano i contraenti
b) ove questo non sia possibile, il contratto dovrà essere inteso nel senso in cui lo intendeva perlomeno uno
dei contraenti, ove la controparte ne era a conoscenza o avrebbe dovuto conoscerlo con l'ordinaria
diligenza
c) ove non sia possibile neppure questo esito, il contratto dovrà essere inteso in modo oggettivo, così come
una persona di media diligenza al posto delle parti avrebbe potuto intenderlo
-La derogabilità delle norme interpretative
Ci si chiede se le norme interpretative siano rivolte anche alle parti e in che limiti sia consentito alle parti
apportarvi deroghe convenzionali non c'è dubbio che le norme interpretative, nella misura in cui hanno
carattere giuridico, vincolano qualsiasi interprete e quindi in linea di principio anche i contraenti: il
problema è quello di capire se si tratti di norme imperative oppure dispositive.
I contraenti hanno in primo luogo la possibilità di definire il significato delle espressioni utilizzate nel
contratto al fine di ridurre la discrezionalità dell'interprete e hanno facoltà di attribuire alle parole un
significato diverso da quello corrente, nonché di utilizzare dei sistemi di simboli convenzionali inoltre è
diffusa l'abitudine delle parti di disciplinare le stesse modalità di interpretazione, con conseguente
esclusione della possibilità di prendere in
considerazione anche i dati o elementi di carattere extratestuale. Il problema che si pone è quello di capire
se e fino a che punto accordi di questo genere possono essere presi in considerazione dal giudice in sede di
ricostruzione del significato della dichiarazione questo problema presenta 2 profili, in quanto una cosa è la
rilevanza dell’accordo interpretativo tra le parti e altra cosa è quella nei confronti dei terzi:
A. per quanto riguarda i rapporti interni tra i contraenti non ci sono ragioni particolari per non intendere il
contratto così come volevano intenderlo loro
B. tali accordi intercorsi tra le parti non possono assumere rilevanza alcuna nei confronti dei terzi in quanto
ci sono esigenze di tutela dell'affidamento dei terzi, salvo che i terzi ne fossero a conoscenza o avrebbero
potuto conoscerli con l'ordinaria diligenza ne consegue che anche in caso di cessione del contratto gli
accordi interpretativi potranno essere opposti nei confronti dei terzi gestionali solo se da questi noti o
conoscibili con l'ordinaria diligenza
C. altro dubbio attiene l'applicabilità o meno di quanto disposto dall'art. 2720 cc in materia di accordi
preventivi sia in dottrina sia in giurisprudenza prevale la soluzione negativa, tenendo conto che questi
accordi non integrano il contenuto del contratto ma si limitano a precisarne il significato.
-Interpretazione e principio dispositivo
Ci si chiede se e fino a che punto il giudice sia tenuto ad attenersi al modo di intendere il contratto
proposto dalle parti ciò deve essere coordinato con il principio dispositivo secondo cui il giudice non può
mai decidere ultra petita. Le parti possono essere d'accordo in ordine al significato del testo contrattuale
oppure proporre versioni contrastanti:
nel primo caso ci si chiede se il giudice possa proporre un'interpretazione diversa da quella comune
delle parti la giurisprudenza in alcune occasioni ha escluso la possibilità per il giudice di discostarsi dalla
comune interpretazione del contratto proposto dalle parti mentre invece la dottrina si è espressa in senso
favorevole bisognerebbe distinguere a seconda che la questione interessi solo le parti o anche i terzi:
se le parti concordano su un'interpretazione del contratto non c'è motivo di discostarsi da questa, salvo
che si tratti di interpretazione del tutto inverosimile o volta a frodare la legge o recare danno a terzi
nel caso in cui l'accordo interpretativo sottenda in realtà un accordo modificativo del contratto in questi
casi opera la tutela dell'affidamento dei terzi
altra possibilità è quella per cui le parti risolvano un dubbio di carattere interpretativo mediante un atto
di interpretazione autentica l'interpretazione autentica costituisce una tipica applicazione del contratto di
accertamento, che

vincola le parti in modo definitivo ad intendere una situazione controversa in conformità a quanto
accertato
nel secondo caso ci si chiede se il giudice possa proporre una terza interpretazione diversa da quelle di
entrambe le parti in questi casi si deve ritenere che il giudice, nei limiti del principio dispositivo, non è
necessariamente vincolato alle interpretazioni proposte dalle parti pertanto potrebbe proporre una terza
interpretazione in applicazione dei principi ermeneutici previsti dalla legge
Diverso è poi il caso in cui il debitore interpreti male ma adempie bene: in questi casi la controparte non
dovrebbe avere motivo di doglianza.
-Volontà e dichiarazione
Viene enunciato il principio per cui l'interprete non deve limitarsi al significato letterale delle parole ma
deve indagare quale sia stata la volontà comune delle parti in una prospettiva rigorosamente volontarista
il requisito della volontà comune è stato inteso in senso psicologico, come effettiva ricerca della volontà
comune delle parti; in una prospettiva più dichiarazionistica per ricerca della volontà comune si intende
l'accertamento del significato oggettivo del contratto quale risulta dal tenore delle dichiarazioni e dei
comportamenti delle parti.
Il problema che si pone è se e fino a che punto il contratto possa considerarsi effettivamente il risultato
dell'incontro delle volontà dei contraenti: per ammissione comune i motivi per cui contraenti concludono il
contratto possono anche essere divergenti ma questo non esclude che il contratto possa essere
validamente concluso. Allo stesso modo il contratto è validamente concluso anche se ciascuna parte
riteneva che dal contratto discendessero conseguenze giuridiche differenti al limite il contratto è
validamente concluso anche in presenza di un errore o di una divergenza tra la volontà e la dichiarazione
ove non si tratti di un errore essenziale riconoscibile e sia possibile rettificare il contratto.
-L'interpretazione letterale
Ai sensi dell’art. 1362 comma 1 cc nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia la comune
intenzione delle parti e non limitarsi al significato letterale delle parole; il comma 2 stabilisce che per
valutare la comune intenzione delle parti si deve valutare il loro comportamento complessivo anche
posteriore alla conclusione del contratto nonostante si tratti di un principio già affermato nel codice civile
francese, si pongono problemi interpretativi di questa norma: non sono del tutto chiariti i rapporti tra testo
e contesto e si tratta di capire se e quando l'interprete possa prendere in considerazione anche dati
extratestuali:
in base ad un primo filone giurisprudenziale se il testo della dichiarazione non dà adito a dubbi di
carattere interpretativo non è possibile prendere in considerazione elementi di carattere extratestuale e
inoltre competerebbe al giudice di merito valutare a questi fini il grado di chiarezza della clausola
contrattuale, con conseguente possibilità di ritenere esaustivo ai fini dell'accertamento della volontà delle
parti il solo riscontro letterale e sistematico

in base a un secondo filone giurisprudenziale la possibilità di ricorrere ad elementi extratestuali sarebbe


possibile in ogni caso e l’interpretazione extratestuale non sarebbe subordinata a quella testuale ma
potrebbe aver luogo in ogni caso. Il principio della prevalenza della volontà sul significato letterale delle
parole trova anche specifica applicazione in materia di testamento e infatti la dottrina ricorda che, anche in
assenza di un richiamo specifico, principi analoghi possano trovare applicazione anche in materia
contrattuale
Si tratta quindi di una problematica ampiamente condivisa anche in altri ordinamenti europei come ad
esempio quelli di common law, dove si consentiva l'ingresso della prova testimoniale solo in presenza di un
dubbio interpretativo non risolvibile in virtù del ricorso all'interpretazione letterale attualmente in Italia
convivono 2 regole:
a. una regola antica che vede il prevalere il principio della letteralità
b. una regola più moderna, che consente in ogni caso il ricorso ad elementi di carattere
extratestuale
-I contratti redatti in più lingue
Problemi particolari sorgono nel caso in cui il contratto sia stato arredato in più versioni linguistiche:
secondo l'orientamento prevalente è preferibile privilegiare di interpretazione che si desume dalla versione
in cui è stato in origine redatto il contratto.
-L’interpretazione sistematica
Ai sensi dell’art. 1363 cc le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a
ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto il testo contrattuale deve quindi essere considerato in
modo complessivo, considerando le singole clausole non separatamente ma nella loro connessione
reciproca: in questa prospettiva eventuali contrasti tra clausole potranno essere risolti in via interpretativa,
cercando di risalire al senso complessivo del contratto.
L’interpretazione di questa norma pone in primo luogo il problema di capire cosa si debba intendere per
clausola del contratto in dottrina è appurato che il concetto di clausola può essere inteso in senso formale
o sostanziale:
in senso formale per clausola si intende ogni singola partizione autonoma del contratto
in senso sostanziale per clausola si intende un precetto negoziale autonomo
I 2 concetti non necessariamente coincidono in quanto la clausola in senso formale può contenere più
clausole in senso sostanziale; ai fini dell’art. 1363 cc il concetto di clausola non deve essere assunto in senso
tecnico ma come comprensivo di ogni singolo elemento del contratto ai fini dell'interpretazione
sistematica possono infatti assumere rilevanza non solo le clausole precettive ma anche le clausole invalide,
eventuali dichiarazioni di scienza, le premesse, eventuali documenti o materiali allegati... Qualunque
elemento presente nel
contratto può quindi assumere rilevanza ai fini dell'interpretazione complessiva del contratto, con l'unica
eccezione rappresentata dalle clausole di stile laddove se ne escluda l'efficacia vincolante.
-Il contesto
Posto che l'interpretazione non può limitarsi al senso letterale delle parole ma deve ricercare la comune
intenzione delle parti occorre considerare il comportamento complessivo delle parti, anche
successivamente alla conclusione del contratto (anche se secondo la giurisprudenza non sarebbe
comunque sufficiente prendere in considerazione il solo comportamento successivo prescindendo in
questo modo dal tenore letterale della dichiarazione) il problema consiste nel capire quali siano i dati
extratestuali che possono assumere rilevanza per l'interpretazione: l’art. 1362 comma 2 cc si limita a far
riferimento al comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla conclusione del contratto:
a) le parti possono in primo luogo essersi accordate per attribuire alle parole un significato diverso rispetto
a quello letterale in questi casi si deve considerare possibile dare ingresso a prove sia di carattere
documentale sia testimoniale volte a chiarire l'esatto significato della dichiarazione, anche se qualche
dubbio sussiste in caso di ammissibilità di prove testimoniali ove si tratti di decifrare il testo di un contratto
per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam
b) anche in assenza di veri e propri accordi, può essere utile prendere in considerazione il comportamento
stesso delle parti sia prima sia dopo la conclusione del contratto si pensi in primo luogo alla fase delle
trattative, nel corso delle quali le parti si sono scambiate documenti e dichiarazioni varie: queste
dichiarazioni potrebbero conservare qualche rilevanza ai fini dell'interpretazione del testo finale; analogo
discorso può essere fatto con riguardo alle dichiarazioni di carattere reclamistico che poi non sono state
riprodotte nel contratto che, se sono idonee a creare affidamento, possono essere considerate parte
integrante del contratto
Non sarebbe possibile prendere in considerazione dichiarazioni o comportamenti di terzi, salvo che si tratti
di terzi che abbiano agito per incarico di uno dei contraenti
analogo problema si è posto in materia di contratto preliminare, in particolare con riferimento ai rapporti
tra preliminare e contratto definitivo in giurisprudenza domina la soluzione che il contratto definitivo
assorbe in linea di principio il contratto preliminare, con la conseguenza che ai fini della disciplina della
fattispecie occorre fare riferimento esclusivamente al contratto definitivo: tuttavia ciò non esclude che ove
il testo del definitivo evidenzi dubbi di carattere interpretativo, sia possibile far riferimento al testo del
preliminare
rilievo può altresì assumere di comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto in
quanto alle modalità di esecuzione possono chiarire l'esatto significato che le parti intendevano attribuire
al contratto oppure possono integrare il continuo

Un problema è quello di capire fino a che punto il comportamento successivo possa essere preso in
considerazione al fine di interpretare il contratto o integri gli estremi di un accordo modificativo o di un
inadempimento la divergenza tra dichiarazione contrattuale ed esecuzione può infatti essere indice di un
accordo modificativo oppure di un inadempimento e questa questione va risolta in via interpretativa
∏ in linea di principio i comportamenti unilaterali delle parti non possono assumere rilevanza ai fini
dell'interpretazione, salvo il caso in cui si tratti di dichiarazioni o di comportamenti in contrasto con
l'interesse di chi li pone in essere o nel caso in cui siano del suo interesse la controparte li abbia
consapevolmente accettati senza reclami la mancanza di una forma di reclamo può infatti essere
espressione di soddisfazione per l'adempimento oppure espressione di acquiescenza
∏ in linea di principio nessun rilievo potrebbe avere il comportamento di soggetti terzi, salvo che abbiano
agito per incarico dei contraenti stessi
∏ per quanto riguarda il contratto di lavoro in un primo tempo la giurisprudenza riteneva preminente
l'accertamento della volontà negoziale quale risultava dal tenore letterale della disposizione, invece a
seguito di un orientamento mutato si ritiene preminente l'accertamento delle modalità concrete di
attuazione del rapporto
-L’interpretazione restrittive ed estensiva
Il riferimento al contesto può aiutare a chiarire l'esatto significato delle espressioni usate in questa
prospettiva il contratto non comprende che gli oggetti su cui le parti si sono proposte di contrattare; invece
quando in un contratto si è espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono esclusi i casi
non espressi ai quali può quindi estendersi lo stesso patto.
Si tratta di specificazione del criterio generale ex art. 1362 cc nell'interpretare il contratto si deve indagare
quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi a significato letterale delle parole.
L'interpretazione estensiva può trovare applicazione in materia di contratti di compravendita, con
riferimento alla formazione del venditore che l'immobile si intende libero da ogni vincolo, peso o onere.
-L’interpretazione secondo buona fede
Ai sensi dell'art. 1366 cc il contratto deve essere interpretato secondo buona fede questo criterio è stato
introdotto con Grassetti, che intendeva il principio di buona fede come funzionale alla tutela
dell'affidamento e desumeva da questo principio sia la regola di interpretazione alla luce del
comportamento successivo delle parti sia il principio di interpretazione contro l'autore della clausola.
Il principio della buona fede indica in primo luogo e doveri di lealtà e correttezza che vincolano i contraenti
in ogni momento e fase del rapporto contrattuale, a partire dalle trattative fino ad arrivare all'esecuzione
del contratto--> per quanto riguarda nello specifico il momento dell'interpretazione, il richiamo alla buona
fede può scongiurare il rischio di interpretazioni non conformi allo spirito dell'intesa.
Ricorrente è altresì il collegamento del principio di buona fede a quello di tutela dell’affidamento
ingenerato dalla dichiarazione:

π può capitare che le parti abbiano entrambe attribuito alle parole il loro significato letterale o che
comunque si siano intese circa il significato attribuito alla dichiarazione in questi casi la giurisprudenza
ammette la possibilità di intendere in modo esatto il tempo del contratto in via interpretativa, senza che a
questi fini sia necessario un’impugnazione del contratto per errore
π per quanto riguarda il caso in cui le parti abbiano attribuito alla dichiarazione significato diverso, in
questi casi ci si può chiedere se il contratto possa considerarsi validamente concluso, in caso di risposta
affermativa, quale delle 2 posizioni deve prevalere:
- una prima soluzione potrebbe essere quella che consiste nel ritenere che il proponente attribuito alla
dichiarazione significato particolare, tra le 2 posizioni quella dell'oblato ove l'oblato fosse a conoscenza del
significato attribuito dalla controparte alla dichiarazione o comunque fosse in grado di conoscerlo con
l'ordinaria diligenza non c'è ragione di privilegiare l'interpretazione di quest'ultimo; se invece l'oblato non
solo non aveva conoscenza del significato attribuito dal dichiarante alle sue dichiarazioni, ma non avrebbe
neppure potuto rilevarlo con l'ordinaria diligenza, dovrà intendersi la dichiarazione nel senso in cui una
persona di media diligenza avrebbe potuto intenderla ove si fosse trovata nella medesima situazione della
persona oblata
In Italia i casi di divergenza tra volontà e dichiarazione sono stati trattati nell'ambito della disciplina
dell'errore ostativo ed equiparati alla disciplina prevista in materia di errore vizio in particolare in presenza
di un errore la parte in errore ha facoltà di chiedere l'annullamento del contratto, salva l'offerta di
riduzione ad equità; anche in questo caso può ritenersi che il ricorso alla disciplina dell'errore risulti
precluso ogni qualvolta sia possibile salvare il contratto interpretandolo secondo buona fede la possibilità
che il contratto possa essere valido anche nel caso in cui non sia ravvisabile un effettivo incontro di volontà
può considerarsi un dato acquisito nell'intera tradizione giuridica. Le applicazioni giurisprudenziali sono
comunque limitate, salva la precisazione che è il ricorso all'art. 1366 costituisce un criterio di
interpretazione sussidiaria.
Il principio di buona fede può offrire utili servigi anche sotto altri profili ad esempio si discute se e fino a
che punto il materiale pubblicitario messo a disposizione dell'oblato e successivamente non richiamato nel
testo finale del contratto possa assumere rilevanza o meno ai fini della precisazione degli estremi
dell'accordo: il principio di buona fede può fornire utili indicazioni a questo proposito, in quanto potrebbe
risultare in contrasto con il principio di buona fede reclamizzare un prodotto con certe caratteristiche e poi
consegnarne uno totalmente diverso.
Alcune posizioni dottrinali si sono spinte ad auspicare che per il tramite del principio di buona fede si possa
giungere a un vero e proprio controllo del contenuto del contratto, che in virtù del principio di buona fede
dovrebbe essere inteso in senso conforme ai principi della Costituzione e dell'ordinamento tuttavia la
buona fede non può spingersi fino al punto di consentire al giudice di riscrivere il contratto al posto delle
parti, in modo tale da renderlo conforme alla Costituzione e alla giustizia contrattuale nonché
alla meritevolezza degli interessi...Allo stesso modo secondo altra posizione dottrinale questo principio
di buona fede potrebbe consentire di gestire situazioni di squilibrio sopravvenuto del contratto, con
conseguente equa ripartizione dei rischi contrattuali così come il principio di interpretazione secondo
buona fede non può consentire un’ortopedia del contratto originario, così non può essere impiegato per
porre rimedio a situazioni di squilibrio sopravvenuto.
-Il principio di conservazione del contratto
Ai sensi dell'art. 1367 cc nel dubbio il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui
possono avere qualche effetto anziché in quello in cui non ne avrebbero alcuno questo principio è
tradizionalmente considerato di interpretazione oggettiva, per ciò significa che può entrare in gioco solo nel
caso in cui non sia stato possibile rilevare altrimenti la volontà delle parti: ne consegue che ove sia
ravvisabile un'alternativa tra un significato utile e un significato inutile, potrà farsi per il significato utile solo
nel caso in cui non risulti una contraria volontà delle parti.
Questo principio trova applicazione anche con riferimento alle singole clausole del contratto, che in caso di
dubbio dovranno essere preferibilmente intese nel senso in cui potrebbero avere un qualche effetto, salvo
che l'efficacia della clausola posta a sua volta travolgere l'intero contratto.
Ci si chiede se il principio di conservazione debba altresì essere inteso nel senso di preferire, tra più possibili
interpretazioni, quella che conduce ad attribuire al contratto l'efficacia maggiore si tratta di
un'interpretazione che non può essere accolta: l’attribuire al contratto il massimo significato possibile
potrebbe porsi in contrasto con altri principi di interpretazione giuridica, che potrebbero imporre di
interpretare il contratto nel senso meno gravoso per il soggetto obbligato o nel senso che si realizzi l’equo
contemperamento degli interessi delle parti.
-Gli usi interpretativi
Ai sensi dell'art. 1368 comma 1 le clausole ambigue si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente
nel luogo in cui il contratto è stato concluso in questa prospettiva il significato delle espressioni utilizzate
dalle parti dovrà essere chiarito anche facendo riferimento al significato locale dell'espressione; ove poi le
parti abbiano utilizzato espressioni dialettali o un gergo dovrà tenersi conto anche di tale significato.
La norma parla di usi generalmente praticati questo sembrerebbe escludere la possibilità di prendere in
considerazione anche eventuali pratiche aziendali o individuali; tuttavia questo non esclude che anche
eventuali pratiche individuali o aziendali possano assumere rilevanza ove sono ricondotte nell'alveo dell'art.
1362 comma 2, che contempla espressamente il comportamento delle parti anche precedente alla
conclusione del contratto.
Occorre chiarire che cosa si intende per uso interpretativo questo concetto non va confuso né con gli usi
contrattuali né con gli usi normativi di cui all'art. 8 preleggi: mentre

gli usi normativi si collocano sul piano delle fonti del diritto, gli usi negoziali sono equiparati a clausole
contrattuale, ne consegue perciò che mentre gli usi normativi non possono derogare a norme dispositive,
gli usi negoziali possono invece a queste derogare; in questa prospettiva secondo alcuni autori gli usi
interpretativi sarebbero null'altro che un particolare modo di essere degli usi negoziali in realtà gli usi
interpretativi non hanno molto in comune né con gli usi normativi né con quelli negoziali in quanto non si
tratta né di norme giuridiche né di clausole contrattuali che integrano il contenuto del contratto: si tratta
invece di calarsi nella realtà locale per risolvere eventuali dubbi di carattere interpretativo.
Il capoverso dell'art. 1368 precisa che se una delle parti è un imprenditore, le clausole ambigue si
interpretano secondo ciò che si pratica abitualmente nel luogo in cui ha sede l'impresa ci si chiede che
cosa succeda nel caso in cui l'impresa abbia sede in un paese straniero Ue/extra Ue: il codice non effettua
distinzioni, perciò ne consegue che in linea di principio occorrerà far riferimento alla sede effettiva
dell'impresa, ancorché situata al di fuori dell'Italia, salvo poi verificare se il contratto così inteso non si
ponga in contrasto con i principi giuridici dell'ordinamento italiano.
L'uso interpretativo opera in linea di principio anche nel caso in cui le parti non ne fossero a conoscenza
ne consegue che non sarebbe sufficiente ad escludere l'operatività dell'uso interpretativo la prova che le
parti non ne erano a conoscenza, ferma la possibilità per le parti di escludere l'operatività mediante
apposite clausole. Secondo la giurisprudenza il riferimento agli usi a carattere sussidiario può solo ove non
siano risultati fruttuosi i criteri di interpretazione soggettiva inoltre parte della dottrina ravvisa un
possibile conflitto tra usi interpretativi e norme dispositive: in realtà non c'è nessun conflitto in quanto i 2
concetti operano su piani tra loro diversi.
-L’interpretazione funzionale
Ai sensi dell'art. 1369 cc le espressioni che possono avere più sensi devono nel dubbio essere intese nel
senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto si tratta di un criterio funzionale che, in via
sussidiaria rispetto a quelli precedenti, indica di chiarire il significato di espressioni ambigue facendo
riferimento alla natura e all'oggetto del contratto. Nella pratica si tratta di un criterio scarsamente
applicato, anche se la dottrina lo qualifica come speciale all'interno del processo ermeneutico, in quanto
questa norma potrebbe costituire l’appiglio che consente di diversificare l'attività ermeneutica a seconda
della categoria contrattuale considerata.
-L’interpretazione contro l’autore della clausola
Ai sensi dell'art. 1370 cc le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli e formulari
predisposti da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro si tratta di un criterio
sussidiario; la norma non pone particolari problemi interpretativi ed è finalizzata a porre un onere di
chiarezza e trasparenza in capo al soggetto che predispone le condizioni generali di contratto. Il problema
che ha affrontato la dottrina è se tale principio di interpretazione contro l'autore del testo trovi
applicazione anche in

materia di contratti individuali il cui testo sia stato predisposto unilateralmente da una parte a parere
della giurisprudenza ciò non è possibile, anche alla luce di quanto disposto dall'art. 35 comma 2 cod.cons.
che ha esteso la regola in questione in materia di contratti dei consumatori.
-L’interpretazione secondo equità
L’art. 1371 prevede come regola finale che il contratto deve essere inteso nel senso meno gravoso per
l’obbligato, se a titolo gratuito, o nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti,
se a titolo oneroso questa norma ha suscitato dubbi di carattere interpretativo: non c'è dubbio che è
norma a carattere sussidiario, che può trovare applicazione solo quando tutti gli altri criteri ermeneutici
oggettivi non abbiano potuto operare, tuttavia questa norma si è ritenuto che non possa consentire al
giudice di rivedere il contratto o di ricondurlo in generale ad equità.
Occorre ritenere che il legislatore inviti l'interprete nei casi di dubbi a privilegiare come extrema ratio
l'interpretazione che comporta meno oneri per l’obbligato in materia di contratti a titolo gratuito, è quella
che realizza nel modo più alto possibile l'equilibrio contrattuale tra le prestazioni nel caso di contratti a
titolo oneroso ne consegue che in caso di dubbio il giudice è legittimato a scegliere l'interpretazione più
conforme ad equità. Il criterio in questione può trovare applicazione anche in materia di contratti collegati,
giurisprudenza si sia espressa in senso contrario.
Alcuni autori hanno sostenuto che il richiamo all’equo contemperamento degli interessi delle parti
dovrebbe essere letto in connessione ai principi della Costituzione, in modo tale da consentire la piena
affermazione dei principi di solidarietà, uguaglianza sostanziale e giustizia distributiva sanciti dalla
Costituzione: si tratta di una interpretazione in qualche misura si riallaccia a quanto previsto in origine
dall'art. 1371 comma 2 che effettuava un rinvio alle norme dell'ordinamento corporativo; in questa
prospettiva il tentativo sostituire in qualche misura le norme dell'ordinamento corporativo con quelle della
Costituzione non può essere accolto in quanto altrimenti verrebbe ad esserci una stacco alle ragioni
dell'autonomia privata. Oltre al criterio dell’equità potrebbe assumere rilevanza l’efficienza economica: ci si
chiede nel caso in cui si prospettino più interpretazione possibile se sia possibile preferire quella più
efficiente dal punto di vista economico: sebbene questo criterio non sia esplicitato tuttavia può essere
considerato insito nel principio di buona fede.
-L’interpretazione evolutiva
In dottrina ci si è interrogati in ordine alla configurabilità di un'interpretazione di tipo evolutivo anche in
materia di contratti il problema si pone in presenza di un mutamento delle circostanze successivo alla
conclusione del contratto e ci si domanda se e fino a che punto l'interprete possa interpretare in modo
evolutivo la dichiarazione contrattuale: si tratta di esigenze degne di considerazione, anche se sembra
preferibile far riferimento agli istituti previsti in materia di sopravvenienza.
-L’interpretazione dei contratti formali
Per quanto riguarda i contratti formali si pongono particolari problemi, in quanto ci si chiede se questi
contratti siano soggetti o no ai criteri di interpretazione qualche dubbio sorge soprattutto sotto il profilo
dell’ammissibilità della prova testimoniale finalizzate a provare che il significato che quelle parti
attribuivano alla dichiarazione contrattuale è diverso da quello letterale: in un primo tempo sia negli
ordinamenti di civil law sia in quelli di common law prevaleva un approccio di rigore, comportando il divieto
assoluto di provare per testimoni circostanze in contrasto con il tenore letterale del documento (un residuo
di questo favore è previsto nell'art. 2720 cc che prevede che la prova per testi non è consentita se ha per
oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è
stata anteriore o contemporanea): secondo l'orientamento prevalente questo divieto vale solo per i patti
aggiunti modificativi e non anche alle testimonianze finalizzate a trovare l'effettiva volontà delle parti in
contrasto con il tenore letterale del documento questo comporta un ridimensionamento del divieto
originario della prova per testi e pone il problema di individuare con precisione la linea di confine tra
accordi modificativi e accordi in ordine al significato della dichiarazione contrattuale, ove questi ultimi sono
suscettibili di prova testimoniale. Il problema si risolve in via interpretativa e a tal proposito giova far
riferimento all'art. 625 cc in materia di testamento, che ammette la prova testimoniale per ricostruire la
volontà delle parti. In altre occasioni la giurisprudenza ritiene che l’oggetto e gli elementi essenziali del
contratto possano essere determinati facendo riferimento al modo in cui il contratto è stato eseguito.
-L’interpretazione dei contratti conclusi per fatti concludenti
Ci si chiede se con riferimento a questi contratti possono trovare applicazione le norme dettate in materia
di interpretazione del contratto parte della dottrina non ritiene opportuno differenziare a seconda delle
modalità di conclusione del contratto; invece altri autori sottolineano la connessione che esiste tra forma e
interpretazione e in questa prospettiva anche le modalità di interpretazione possono variare a seconda
delle modalità di conclusione del contratto sono quindi ritenuti applicabili anche ai contratti conclusi per
fatti concludenti i criteri della comune intenzione dei contraenti e della valutazione globale del
comportamento delle parti, oltre che il criterio dell'interpretazione secondo buona fede, il principio di
conservazione e l'interpretazione secondo equità. Nel caso in cui si tratta invece di contratto a forma mista,
in questi casi essendoci un testo contrattuale trovano applicazione tutti i criteri interpretativi dettati nel
codice.
-Le norme interpretative speciali
Oltre i principi generali in materia di interpretazione il legislatore ha altresì previsto tutta una serie di
norme interpretative speciali come ad esempio in materia di testamento, ove l’art. 625 cc precisa che se la
persona dell'erede o del legatario è stata erroneamente indicata, la disposizione ha effetto, quando dal
contesto del testamento o altrimenti risulta in modo non equivoco quale persona il testatore intendeva
nominare. Altresì l'art. 808 quater cpc prevede che nel dubbio la convenzione arbitrale si estende a tutte le
controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce.

-L'interpretazione dei contratti normativi


Si tratta di contratti in conformità alla loro natura sono finalizzati a trovare applicazione in un numero
indefinito di casi, e soprattutto nei confronti di soggetti diversi rispetto a quelli che gli hanno conclusi la
giurisprudenza in linea di principio ribadisce che i contratti collettivi sono in linea di principio soggetti
normali criteri di interpretazione del codice; ne consegue che il ricorso per Cassazione è possibile solo
indicando il modo specifico oppure il vizio della motivazione, salvo il ricorso all'interpretazione autentica. La
giurisprudenza non esclude la possibilità di prendere in considerazione anche elementi extratestuali
finalizzati a ricostruire l'effettiva volontà delle parti, come ad esempio le osservazioni dei rappresentanti
sindacali.
-L’interpretazione dei contratti associativi
L'interpretazione dei contratti associativi non è nello specifico disciplinata dal legislatore in passato era
emersa l'idea che, tenuto conto delle caratteristiche degli atti associativi, questi fossero soggetti ai criteri
ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, con conseguente possibilità di ricorso per cassazione;
successivamente è prevalso sia in dottrina sia in giurisprudenza l'opinione che i contratti associativi siano
soggetti ai criteri ermeneutici previsti dal legislatore in materia contrattuale, con conseguente possibilità di
ricorrere in Cassazione solo in presenza di vizi logici di motivazione e violazione dei canoni legali di
ermeneutica contrattuale.
Le parti in virtù di un contratto associativo danno infatti vita a un'entità che sarebbe in qualche misura
sganciata da loro e che è finalizzata ad instaurare relazioni con i terzi questo pone un problema di tutela
dell'affidamento dei terzi: ciò ha indotto parte della dottrina a ritenere che in materia di contratti
associativi il rapporto tra volontà e dichiarazione di cui all'art. 1362 cc sia ribaltato, nel senso di attribuire
preminenza al significato letterale della disposizione rispetto a quello effettivamente inteso dai contraenti
in realtà il problema della tutela dell'affidamento viene in gioco ogni qualvolta la dichiarazione venga in
qualche misura ad interessare soggetti a questi fini si deve distinguere tra un profilo interno e un profilo
della dichiarazione:
a. nelcasoincuilacontroversiainterpretativasiapuramenteinterna,coinvolgendosolo i contraenti, sarà
sufficiente fare applicazione dei normali criteri ermeneutici, con conseguente possibilità di far prevalere il
significato soggettivo della dichiarazione rispetto a quello oggettivo
b. se invece il conflitto si pone nei confronti di soggetti terzi che sono estranei alla contrattazione, questi
avranno diritto ad intendere la dichiarazione in conformità al suo significato corrente, con conseguente
inopponibilità di eventuali significati soggettivi
Ne consegue che anche nei confronti dei terzi è possibile enunciare la regola secondo cui il significato
soggettivo della dichiarazione, in ipotesi comune ai contraenti, può essere opposto nei confronti dei terzi
solo nel caso in cui questi ne fossero a conoscenza o avrebbero potuto conoscerlo con l’ordinaria diligenza
questo consente in parte di

ridimensionare il problema della particolarità sotto il profilo interpretativo dei contratti associativi: la
Cassazione ha stabilito che una volta che una società sia stata iscritta nel registro imprese non è più
possibile una diversa qualificazione dell’atto costitutivo che tenga conto dell’effettiva volontà dei
contraenti.
Qualche dubbio interpretativo è sorto con riferimento alla possibilità o meno di utilizzare in ambito
associativo il criterio di cui all'art. 1362 comma 2 cc, ossia si tratta di chiarire in che misura la situazione
concreta del rapporto possa essere presa in considerazione ai fini interpretativi se il problema è quello
della tutela dell'affidamento dei terzi, le modalità di esecuzione e di attuazione sono per definizione un
dato oggettivo sotto gli occhi di tutti e facilmente riconoscibili con l'ordinaria diligenza: ne consegue che
ove si ammetta la possibilità di prendere in considerazione le modalità di attuazione anche in ambito
associativo il criterio di cui all'art. 1362 comma 2 muta di significato e assume l'aspetto di un criterio
ermeneutico di carattere oggettivo, completamente sganciato rispetto a un problema di ricostruzione della
volontà originaria dei fondatori.
-L’interpretazione dei regolamenti di condominio
Possono ravvisarsi 2 fondamentali figure di regolamento di condominio:
a. regolamentoapprovatoamaggioranzaaisensidell'art.1138ccrelativoallemodalità di uso delle parti comuni
b. regolamento contenente vincoli di destinazione relativi all'uso delle parti comuni o delle singole unità
immobiliari o criteri di ripartizione delle spese
Il regolamento contrattuale può essere predisposto unilateralmente dal singolo proprietario- venditore e in
questo caso i vincoli contenuti nel regolamento saranno opponibili all'acquirente e agli eventuali successivi
aventi causa solo nel caso in cui il regolamento risulti trascritto o il contratto contenga un rinvio espresso al
regolamento ci si domanda quali criteri ermeneutici trovino applicazione in materia di condominio:
alcuni autori hanno suggerito di distinguere a seconda che si tratti di regolamenti approvati a
maggioranza o all'unanimità nel primo caso trovano applicazione i criteri ermeneutici di cui all'art. 12
preleggi mentre nel secondo caso i criteri dettati dal codice civile: in realtà sembra preferibile non
effettuare distinzioni sotto questo profilo e riconoscere la matrice essenzialmente negoziale anche dei
regolamenti. Si deve chiarire se e in che misura l'interpretazione dei regolamenti di condominio presenti
aspetti di specialità rispetto a quella dei contratti il problema principale deriva dal fatto che non
necessariamente vi è coincidenza tra i soggetti che approvano il regolamento e quelli che sono chiamati a
darne esecuzione: questo rende necessario distinguere anche in materia di regolamenti di condominio tra
profilo interno e profilo esterno:
se il dubbio interpretativo si pone tra i soggetti stessi che hanno approvato il regolamento non ci sono
particolari motivi per non consentire il ricorso ai normali canoni ermeneutici

se il conflitto si pone nei confronti di soggetti terzi estranei alla contrattazione, costoro avranno diritto ad
intendere la dichiarazione in conformità al suo significato corrente
-L’interpretazione dei contratti standard
In dottrina si discute se i contratti standard siano soggetti al regime ordinario dell'interpretazione o un
regime particolare prevale l’opzione per il regime particolare, in base alla considerazione che in materia di
contratti predisposti non potrebbe trovare applicazione il criterio della comune intenzione dei contraenti,
pertanto ne consegue che l'eventuale polisemia del testo dovrà essere risolta in base agli altri criteri di
interpretazione.
-L’interpretazione dei contratti dei consumatori
Ai sensi dell’art. 35 comma 2 cod.cons. in caso di dubbio sul senso di una clausola prevale l’interpretazione
più favorevole al consumatore la norma sembrerebbe limitarsi a ribadire quanto previsto dall’art. 1370 cc;
la dottrina ha però escluso tale interpretazione. In queste condizioni il problema consiste nell’individuare in
che cosa consista la specificità dell’art. 35 comma 2 cod.cons. rispetto all’art. 1370 cc:
Ω secondo alcuni l'art. 35 comma 2 costituirebbe una norma speciale di interpretazione che deroga
rispetto ai principi ordinari di interpretazione del contratto, pertanto ne conseguirebbe l'esclusione stessa
del ricorso ai normali criteri di interpretazione soggettiva del contratto
Ω secondo altri il criterio dell'art. 35 comma 2 prevale su altri eventuali criteri di interpretazione oggettiva,
salva comunque la possibilità di applicare gli altri criteri di interpretazione oggettiva ove il criterio dettato
dall'art. 35 comma 2 non sia sufficiente a risolvere il dubbio; può altresì condividersi che l'art. 35 comma 2
ha un ambito più vasto dell'art. 1370 cc, con conseguente applicazione ogni qualvolta il testo del contratto
sia stato predisposto unilateralmente dal professionista
-L’interpretazione dei contratti di impresa
Con riguardo ai contratti di impresa si può rilevare la loro tendenziale spersonalizzazione nonché la loro
vocazione alla circolazione MA risulta eccessivo escludere il ricorso all’interpretazione soggettiva.
-L’interpretazione degli atti unilaterali
I criteri di interpretazione del contratto in virtù del rinvio di cui all'art. 1324 cc in linea di principio trovano
applicazione anche in materia di atti unilaterali, con la precisazione che ove si tratti di atti non negoziali
l'effetto si produce anche se non voluto in questi casi ci si deve interrogare sulla ricostruzione del
significato oggettivo del lato sulla base di una valutazione di normalità sociale; ove la volontà invece
assume rilevanza si deve fare comunque riferimento alla volontà dell'autore dell'atto, che non può però in
ogni caso assumere prevalenza sul significato in cui può essere intesa dal destinatario

o dai terzi, restando inoltre esclusa la possibilità di prendere in considerazione il comportamento del
destinatario dell'atto e di applicare l'art. 1370 cc.
-L’interpretazione dei contratti con la pubblica amministrazione
Qualche dubbio interpretativo è sorto con riferimento ai contratti conclusi con la pubblica
amministrazione dottrina e giurisprudenza concordano che questi contratti sono in linea di principio
assoggettati ai normali criteri di interpretazione del contratto e ciò sarebbe conforme alla tendenza a
circoscrivere sempre di più la sfera di privilegi della pubblica amministrazione; tuttavia questo non esclude
che in diverse occasioni la specificità dei contratti amministrativi emerga dalle sentenze ne conseguirebbe
la prevalenza dei criteri di interpretazione oggettiva rispetto a quelli soggettivi, nonché l'impossibilità di
prendere in considerazione atti preparatori e inoltre si è escluso che il principio di conservazione degli atti
possa trovare applicazione in deroga rispetto agli altri valori costituzionalmente garantiti. In realtà anche in
materia di contratti con la pubblica amministrazione si deve distinguere tra un profilo interno e un profilo
esterno:
฀ se il problema interpretativo concerne esclusivamente le parti contraenti non c'è motivo per non
consentire la ricostruzione di eventuali significati soggettivi, sempre che la controparte ne fosse a
conoscenza o potesse conoscerli con l'ordinaria diligenza
฀ se si tratta di un problema interpretativo che interessa anche soggetti terzi il testo dovrà essere inteso in
conformità a un criterio di normalità sociale
In una sentenza la Cassazione ha stabilito che nell'interpretare i contratti tra enti pubblici, ai fini del
contemperamento degli interessi occorre tener conto anche degli interessi extra economici, che non
necessariamente corrispondono a una logica di nero mercato.
-L’interpretazione del testamento
Dottrina e giurisprudenza ritengono che il testamento sia in linea di principio soggetto alle stesse regole
ermeneutiche adottate dal legislatore in materia di contratti, salve le peculiarità proprie in materia
testamentaria, con conseguente possibilità di ricorrere ai criteri di interpretazione oggettiva peculiarità
che conducono a privilegiare la ricerca della volontà del dichiarante a scapito invece delle esigenze di tutela
dell'affidamento, anche se in alcuni casi viene arriva la priorità dell'interpretazione letterale anche in
materia testamentaria; ne consegue quindi la non applicabilità degli artt. 1366, 1368 e 1370 alcune
pronunce escludono altresì l'applicabilità dell'art. 1367 cc, anche se tuttavia è preferibile salvare nei limiti
del possibile e quanto previsto nel testamento. In ogni caso ai sensi dell'art. 625 cc è possibile prendere in
considerazione elementi extratestuali, eccezion fatta per il comportamento dei destinatari.

CAPITOLO 11: L’INTEGRAZIONE


SEZIONE I: L’INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO -I contratti incompleti

A volte succede che i contratti siano incompleti in quanto le parti non hanno regolato tutti gli aspetti il
problema che si pone è quello delle tecniche per gestire il rapporto contrattuale e colmare le lacune: in un
primo momento è prevalsa concezione volontaristica, in virtù della quale si cercava di fondare certe
soluzioni alla presupposizione; successivamente si è diffuso il metodo del contratto ipotetico, ove in
presenza di lacune si cercava di ragionare in base a quello che le parti stesse avrebbero stabilito se avessero
espressamente regolato la questione. I codici dei paesi di civil law oltre ad un certo numero di norme
imperative contengono anche un complesso di norme dispositive la cui funzione è quella di integrare l'atto
di autonomia privata in assenza di una manifestazione contraria di volontà delle parti mentre le lacune
della legge sono colmate mediante il ricorso all'analogia, quelle del contratto sono colmate in virtù di fonti
integrative quali la legge, gli usi, l'equità e la buona fede.
-Le fonti di integrazione del contratto
Il legislatore prevede un certo n° di fonti di integrazione del contratto e a tal proposito appare
fondamentale quanto disposto dall'art. 1374 cc che prevede che il contratto obbliga le parti non solo a
quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o in
mancanza secondo gli usi e l'equità in questa prospettiva il ruolo della legge era considerato del tutto
sussidiario e destinato ad operare solo in assenza di una diversa manifestazione di volontà delle parti: in
realtà questa concezione non è mai stata del tutto vera, in quanto le norme imperative hanno sempre
costituito limiti di carattere inderogabile, con conseguente nullità dei contratti e delle clausole che con
queste contrastassero. Il codice integra il disposto dell'art. 1374 cc con quello dell'art. 1339 cc ai sensi del
quale può aver luogo inserzione automatica di clausole anche in contrasto con quanto specificamente
previsto dai contraenti; con l'art. 1339 viene compiuto un ulteriore passo verso una concezione dirigista del
contratto in quanto il legislatore non si limita più a prevedere la nullità ma inserisce direttamente nel
contratto i contenuti e tutto questo comporta dei limiti all'autonomia privata.
In dottrina ci si è chiesti se il contratto così integrato ai sensi dell'art. 1339 cc possa ancora considerarsi
frutto di autonomia e di libera scelta dei contraenti la risposta dipende da che cosa si intende per
contratto:
⃞ se per contratto si intende un atto completamente libero non solo nel se ma anche nel come, la risposta è
in parte negativa
⃞ se ci si accontenta della libertà sul se concludere o non concludere il contratto, la risposta può essere
positiva
In dottrina e giurisprudenza prevale l’idea che anche così predeterminato il contratto non cessi di essere un
atto di autonomia; tuttavia rimane da chiarire quale sia il limite massimo di tolleranza all'integrazione
legislativa, oltre il quale non è più possibile fingere che si tratti ancora di un vero e proprio atto di
autonomia.
-La legge

La prima fonte di integrazione del contratto è la legge ai sensi dell'art. 1374 cc; a questi fini occorre
distinguere a seconda che si tratti di norme imperative o dispositive le funzioni del diritto dei contratti
sono essenzialmente 2:
a. predisporrelimitiall'autonomiaprivataneicasiincuiilcontrattorecherebbedannoa terze persone o alle
stesse parti contrattuali
b. predisporre un assetto di regole integrative finalizzate a colmare le lacune del regolamento contrattuale,
salva diversa disposizione dei contraenti
Le norme imperative costituiscono limiti inderogabili da parte dell'autonomia privata, posti a tutela di
interessi superiori di carattere pubblicistico il legislatore può limitarsi a prevedere la nullità del contratto o
di singole clausole di questo, con conseguente applicazione della disciplina della nullità parziale ma
l'intervento del legislatore può anche prevedere la sostituzione della clausola nulla con quanto previsto
dalla legge e in quest'ultimo caso la nullità di singole clausole non comporta la nullità del contratto quando
le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative. Per comune ammissione l'integrazione può
aver luogo anche nel caso in cui le parti non abbiano previsto nulla: questo però non consente di
stravolgere l'economia del contratto mediante l'introduzione di principi in contrasto con la volontà delle
parti.
La sostituzione può essere disposta d'ufficio e non richiede l'istanza di parte, come ad esempio accade in
materia di fissazione di prezzi di imperio di determinati beni o servizi di prima necessità o per quanto
riguarda i tassi di interesse... Diffuse sono anche le norme di protezione, che si limitano a prevedere una
disciplina minimale che è derogabile ad esempio dalla parte più debole.
Si possono porre dei problemi con riguardo al caso in cui nel corso di un rapporto di durata subentri una
norma imperativa che determina il contenuto del contratto la Cassazione ha ritenuto che in assenza di una
disciplina transitoria il contratto deve ritenersi assoggettato alla nuova disciplina per quel che riguarda la
parte residua del rapporto.
In dottrina si è discusso se oltre alle leggi e alle altre fonti primarie l'integrazione possa aver luogo anche
sulla base di fonti secondarie in linea di principio la soluzione dovrebbe essere negativa, dato che la legge
ricollega l'effetto sostitutivo esclusivamente a norme di legge di carattere imperativo, salvo che sia la legge
stessa a rinviare a fonti secondarie.
Con riferimento all'integrazione si pongono poi altri quesiti:
▲ ci si domanda se l'integrazione operi solo con riferimento al contratto già concluso o se operi già nella
fase di formazione con riferimento alla proposta e all'accettazione (ci si chiede se sia possibile accettare
una proposta adeguandola a quanto previsto dalla legge)--> in dottrina prevale la soluzione positiva, anche
se questo può comportare una deroga al principio di corrispondenza tra proposta e accettazione
▲ altri dubbi sono sorti con riferimento al profilo dei rapporti tra l'inserzione automatica delle clausole e
l'errore di diritto in quanto ci si domanda se la parte che ha concluso

il contratto ignorando l'inserzione automatica delle clausole posta ottenerne l'annullamento invocando
l'errore di diritto parte della dottrina e giurisprudenza ritengono che non sia possibile in base alla
considerazione che ammettere l'annullabilità del contratto per errore di diritto frustrerebbe la ratio dell'art.
1419 comma 2 cc, che esclude espressamente che nei casi di sostituzione legale di singole clausole la nullità
si estende all'intero contratto, pertanto non avrebbe senso escludere la nullità e poi consentire
l'annullabilità del contratto per errore di diritto; tuttavia alcuni autori e parte della giurisprudenza
ritengono che ciò sia possibile in base alla considerazione che, salvo il caso del contratto imposto, i
contraenti non hanno l'obbligo di concludere il contratto e quindi non possono essere costretti a dare
esecuzione a un contratto che non è conforme ai loro interessi
▲ altri problemi sorgono con riferimento alla possibilità di inserire nel contratto clausole di salvaguardia, in
virtù delle quali le parti dispongono lo scioglimento del contratto nel caso in cui dovessi operare una
qualche inserzione di clausole disposta dal legislatore queste clausole sono ammissibili in quanto sono
espressione di autonomia privata
Per quanto riguarda le norme dispositive, queste derivano dagli usi e dalle prassi negoziali che nel corso del
tempo sono avvenute a consolidarsi fino ad essere recepite dal legislatore: queste hanno quindi la funzione
di integrare il regolamento contrattuale semplificando le modalità di contrattazione in virtù di una
disciplina standard dei vari tipi contrattuali; in assenza di deroghe le norme dispositive integrano quindi il
testo contrattuale anche nel caso in cui siano ignorate dalle parti contraenti.
-I contratti collettivi
Per quanto riguarda i contratti collettivi di lavoro si è discusso in ordine alla loro efficacia vincolante in
quanto le peculiarità del rapporto di lavoro subordinato emergono sotto il profilo della conclusione del
contratto e della determinazione del suo contenuto ai sensi dell'art. 36 comma 1 Cost il lavoratore ha
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad
assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa: per consentire l’attuazione di questo
principio era stato previsto che i sindacati che si registravano potessero stipulare contratti collettivi di
lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce
tuttavia questa disposizione non è mai stata attuata perché i sindacati non si sono mai registrati e il
legislatore non ha mai precisato le modalità di attuazione di questa disposizione. Si è quindi posto il
problema di decidere quale valore attribuire agli eventuali contratti collettivi di categoria conclusi dei
rappresentanti delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori:
⃞ una prima via è stata quella di far riferimento ai principi della rappresentanza il contratto collettivo
esplica effetti a favore di tutti i lavoratori in virtù di un potere di rappresentanza conferito implicitamente o
esplicitamente all'organizzazione sindacale: in particolare si è fatto riferimento a questa teoria mediante il
ricorso alla

figura del contratto a favore di terzo, prevedendo che il contratto collettivo produce effetti anche a favore
dei lavoratori non iscritti
⃞ una seconda via per affermare l'efficacia nei confronti di tutti i lavoratori dei contratti collettivi è stata
quella di far riferimento all'art. 36 comma 1 Cost se i lavoratori hanno in ogni caso diritto ha una
retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, ne consegue la
nullità degli accordi che convengono livelli retributivi inferiori a quelli fissati nei contratti collettivi
In virtù di queste tecniche interpretative si può dire che il principio dell'efficacia erga omnes dei contratti
collettivi di lavoro è stato raggiunto, pertanto il contratto collettivo non è possibile che subisca delle
deroghe in peius.
-Gli usi
In subordine alla legge trovano applicazione gli usi gli usi a cui si riferisce l'art. 1374 sono gli usi normativi
di cui all'art. 8 preleggi, che possono operare solo se specificamente richiamati dal legislatore. Qualche
dubbio può sorgere con riferimento alle materie non regolate dalle leggi in quanto il ricorso all'analogia e ai
principi generali potrebbe limitare l'operatività della consuetudine: a riguardo prevale comunque l'opinione
che anche nei casi di questo genere sia possibile fare riferimento agli usi, come sostenuto dalla
giurisprudenza in materia di contratti di borsa.
L’art. 1340 cc dispone che le clausole d'uso si intendono inserite nel contratto se non risulta che non sono
state volute dalle parti secondo una prima ricostruzione dottrinale gli usi negoziali di questa norma non
sarebbero strutturalmente diversi dagli usi normativi di cui all'art. 8 preleggi, pertanto ne consegue che si
ha inidoneità degli usi negoziali a derogare alle norme di legge. Stabilito che gli usi negoziali non possono
essere confusi con gli usi normativi bisogna individuare quali sono i profili di distinzione tra le 2 figure:
▶ mentre gli usi normativi operano sul piano delle fonti del diritto, gli usi negoziali operano sul piano del
contratto e si tratta di vere e proprie clausole contrattuali che si inseriscono nel contratto in aggiunta
rispetto a quelle volute dai contraenti e possono avere un contenuto molto vario
▶ mentre gli usi normativi sono caratterizzati da una certa generalità di applicazione nonché dalla
convinzione che si tratti di principi vincolanti questo non vale per gli usi negoziali da un lato l'uso negoziale
non necessita di applicazione generalizzata, tuttavia anche gli usi negoziali devono avere un certo grado di
generalità e ne consegue che le prassi che si instaurano tra 2 contraenti non possono avere valore di uso
negoziale ma al limite costituiscono un elemento per interpretare il contratto; dall'altro lato l'uso negoziale
non è considerato come vincolante ma è liberamente derogabile dalle parti
▶ mentre gli usi normativi possono riferirsi anche a rapporti di natura non contrattuale, gli usi contrattuali
trovano applicazione solo in ambito contrattuale
▶ l’uso contrattuale può derogare norme dispositive di legge, invece l'uso normativo non può farlo
altrimenti si pone in contrasto con la legge

▶ mentre gli usi normativi operano indipendentemente dalla volontà delle parti e anche in contrasto con
essa, l'applicazione degli usi negoziali può essere esclusa da parte dei contraenti
▶ mentre l'uso normativo può essere applicato anche d'ufficio dal giudice, l'uso negoziale deve essere
specificamente allegato e provato da parte di chi vi ha interesse
▶ si discute se l'uso negoziale operi anche se non riconosciuto dalle parti o se operi solo nel caso in cui sia
richiamato sembra preferibile ritenere che l'uso negoziale operi in linea di principio anche se non
specificamente richiamato dalla parte dei contraenti o sia da questi ignorato, salva la loro facoltà di
escludere l'applicazione (questa lettura sembra essere conforme a quanto disposto dall'art. 1340 cc)
▶ sebbene gli usi negoziali così come quelli normativi possono operare come fonti di integrazione del
contratto, anche se non conosciuti dalle parti, questo non esclude la possibilità che i contraenti inseriscono
nel contratto specifiche clausole di rinvio agli usi: questo consente alle parti di far riferimento agli usi di
un'altra piazza o ad esempio agli usi del commercio internazionale
▶ ci si chiede se le parti abbiano la facoltà di inserire clausole contrattuali che escludono in blocco
l'applicazione degli usi a tal riguardo non sembrano esserci ostacoli alla possibilità di clausole di
salvaguardia di questo tipo, in particolare ove si ammetta che gli usi negoziali possono integrare il contratto
anche se ignorati
▶ sovente è il legislatore che esclude il richiamo agli usi. Ne deriva che mentre gli usi normativi sono
soggetti ai principi di interpretazione delle leggi, gli usi negoziali sono soggetti ai criteri di interpretazione
dei contratti
▶ gli usi negoziali possono operare solo in mancanza di una diversa regolamentazione pattizia della
questione secondo parte della dottrina gli usi negoziali non potrebbero operare se non specificamente
richiamati. Nonostante gli sforzi della dottrina di distinguere tra usi normativi e usi negoziali non è sempre
facile stabilire se si tratta di un uso normativo o negoziale e questo è evidente ad esempio in materia
bancaria. Si discute se gli usi negoziali siano soggetti o meno a specifica approvazione per iscritto ai sensi
dell'art. 1341 comma 2 secondo una prima interpretazione le clausole d'uso non potrebbero essere
assoggettate al requisito della specifica approvazione per iscritto in quanto per loro natura sono in linea di
principio idonee ad inserirsi nel contratto anche se non sono conosciute dalle parti; secondo altro
orientamento in certi casi queste clausole sono espressione di interessi corporativi e quindi la loro efficacia,
in quanto trattasi di clausole vessatorie, necessita di apposita sottoscrizione
-Tipologia degli usi
Gli usi vengono distinti in 3 categorie:
1) usi normativi 2) usi negoziali

3) usi interpretativi
Definite sono le differenze sotto il profilo degli effetti mentre l'uso normativo può operare solo secundum
legem l'uso negoziale può altresì derogare a norme di diritto dispositivo e a tal proposito ci si potrebbe
interrogare in ordine alla correttezza della ricostruzione dottrinale: in dottrina non sono mancate prese di
posizioni nette che hanno escluso la possibilità di distinguere gli usi negoziali dagli usi normativi e in base a
questa ricostruzione ne conseguirebbe che anche gli usi negoziali non potrebbero derogare a norme di
legge. In realtà sarebbe sufficiente ammettere che in ambito contrattuale degli usi locali hanno un’efficacia
maggiore rispetto ad altri settori dell'ordinamento. In questa prospettiva mentre in generale nelle materie
regolate dalla legge e gli usi possono operare solo se specificamente richiamati, in ambito contrattuale
possono altresì derogare a norme dispositive.
La maggior rilevanza degli usi in materia contrattuale si spiega tenendo conto della necessità di assicurare
la necessaria flessibilità al sistema che, grazie agli usi, ha la possibilità di adeguarsi nel modo più alto
possibile alle peculiarità dei mercati locali.
SEZIONE II: L’EQUITÀ CONTRATTUALE
-L’equità
In via subordinata rispetto alla legge e agli usi, l'art. 1374 cc indica come criterio per l'integrazione del
contratto l'equità l'equità è un concetto elastico, una clausola generale che opera come norma di chiusura
del sistema, consentendo l’integrazione del contratto anche nel caso in cui le altre fonti di integrazione non
possano operare.
L’equità può assolvere a 3 funzioni fondamentali:
1) funzione integrativa 2) funzione limitativa 3) funzione correttiva
-La nozione di equità
Tradizionalmente l'equità viene ravvisata nella giustizia del caso concreto tuttavia il giudizio di equità non
significa possibilità di giudicare in arbitrario: infatti la corte cost ha precisato che il giudizio equitativo, pur
essendo finalizzato ad evitare applicazioni ingiuste, non può prescindere dai principi di diritto nel cui
ambito deve aver luogo la decisione.
In ambito contrattuale l'equità assume un significato più ristretto un contratto equo è un contratto
equilibrato, ossia conforme ai principi della giustizia contrattuale: in questa prospettiva può quindi ritenersi
che l'equità contrattuale faccia riferimento al concetto di equilibrio tra prestazioni. L’accresciuta rilevanza
dell'equità in ambito contrattuale ha suscitato interesse della dottrina per le possibili applicazioni delle
clausole generali in questa prospettiva al fine di scongiurare le incertezze applicative di concetti indefiniti
c’è stato il tentativo di agganciare le clausole generali in materia contrattuale quali equità e correttezza.

Spesso i problemi di integrazione sorgono quando il contratto risulta in parte incompleto perché le parti
hanno trascurato di determinare aspetti di dettaglio (ad esempio l'entità del corrispettivo o la quantità
della merce da consegnare) o quando si pone un problema di gestione del contratto in seguito ad eventi
sopravvenuti non previsti dalle parti: in questi casi si tratta di integrare il contenuto del contratto mediante
regole di carattere dispositivo, il cui contenuto può essere predeterminato determinato con riferimento al
caso specifico dal giudice in applicazione di criteri generali come ad esempio quello dell'equità e buona
fede.
-L’equità integrativa
Il contratto può presentare delle lacune che vanno colmate e queste lacune possono essere volute o non
volute.
Le lacune possono in primo luogo essere conseguenza del fatto che le parti non hanno volutamente
determinato alcuni aspetti del contratto ma questo non esclude che il contratto sia stato validamente
concluso in quanto ai sensi dell'art. 1346 cc è sufficiente che il contratto sia determinato o determinabile
delicata è la questione nel caso in cui manchi l'indicazione dell'oggetto: in questi casi occorre verificare se
l'oggetto del contratto può comunque considerarsi determinabile in base ai principi generali ed è in questa
prospettiva che assume un ruolo centrale equità integrativa, intesa come equilibrio tra prestazioni. In
quest’ambito sono numerose le disposizioni di legge che individuano nell’equità il criterio per determinare
aspetti mancanti, come ad esempio nel caso delle entità del corrispettivo. Tuttavia non sempre l'equità
integrativa può consentire di colmare in modo adeguato le lacune del contratto in quanto dipende da che
tipo di lacuna presenta il contratto:
– se occorre determinare l'entità del corrispettivo, l'equità può offrire soluzioni valide
– se invece la lacuna riguarda ad esempio le modalità di attuazione del rapporto obbligatorio, il tempo il
luogo dell'adempimento le modalità della spedizione...in questi casi l'equità non è sempre in grado di
operare in modo sicuro significa che non sempre l’equità è idonea ad integrare in modo soddisfacente il
contratto: ne consegue che ove il contratto presenti lacune incolmabili o non facilmente colmabili
facendo riferimento all'equità occorre far applicazione di altri criteri di integrazione
Il contratto può risultare incompleto anche indipendentemente dalla volontà delle parti e questa è una
conseguenza del carattere limitato delle facoltà umane in quanto non è sempre possibile regolare ogni
singolo dettaglio anche in questi casi si pone un problema di integrazione del contratto e in questa
prospettiva l'equità può essere utile in quanto cerca di andare ad equilibrare le prestazioni contrattuali.
La lacuna può essere anche sopravvenuta, ad esempio quando le parti non hanno regolato certe
sopravvenienze, come nel caso dell'incremento dei costi di esecuzione dovuti a circostanze eccezionali:
anche in questi casi l'equità può rivelarsi utile ai fini della gestione della sopravvenienza e della corretta
allocazione del rischio sopravvenuto, in quanto consente di ristabilire l'equilibrio in origine fissata dai
contraenti.

-L’equità limitativa
Ci si chiede se la violazione del principio di equità possa condurre all'invalidità del contratto o di singole
clausole:
da un lato un'affermazione di questo genere potrebbe minare alle basi sistema economico che è
caratterizzato dalla libertà dei contraenti di determinare i termini dello scambio
dall'altro lato non si può non tenere conto delle tendenze evolutive, in particolare per quanto riguarda i
contratti del consumatore, e dei contratti conclusi tra soggetti dotati di un diverso potere contrattuale
Il problema è quello di capire se si tratta di disposizioni settoriali (insuscettibili di applicazione estensiva) o
se si tratti di disposizioni espressione di una logica generalizzabile all'intero settore contrattuale.
-L’equità correttiva
Ci si chiede se l'equità possa consentire al giudice di correggere il contratto in modo da ricondurlo ad
equità a prima vista ciò sarebbe in contrasto con i principi che regolano il sistema contrattuale; tuttavia
negli ultimi tempi invece si sono manifestate tendenze volte a privilegiare i rimedi conservativi rispetto a
quelli ablativi e questo può comportare nuovi profili di applicazione dell' equità correttiva, finalizzati a
consentire la sopravvivenza del contratto anche se rettificato e ricondotto ad equità.
-Le applicazioni
Tradizionalmente sono considerati istituti equitativi la rescissione del contratto per lesione e la risoluzione
del contratto per eccessiva onerosità, introdotti solo con il codice del ‘42 e sono stati poi recepiti dai
principi Unidroit per poi essere recepiti anche dai PECL.
L’equità trova applicazione in diversi settori, ad esempio la giurisprudenza ne ha fatto applicazione in
materia di contratto preliminare ritenendo possibile al contratto tutte le variazioni necessarie per
ricondurlo ad equità e lo stesso in materia di locazione, in quanto la giurisprudenza ritiene che la riduzione
del godimento in conseguenza di vizi del bene consenta una corrispondente riduzione del corrispettivo
delle entità del canone.
Inoltre l'equità è stata applicata anche in materia di clausola penale, che ai sensi dell'art. 1384 cc può
essere diminuita equamente dal giudice nel caso in cui il suo ammontare sia eccessiva e altresì è crescente
il ruolo dell'equità in materia di contratti del consumatore in particolare l'art. 2 lett. e) cod.cons. riconosce
il diritto dei consumatori all'equità dei rapporti contrattuali: questa norma è interpretata nel senso che non
è stato introdotto un principio di equilibrio in senso economico delle prestazioni, fermo il divieto di
squilibrio giuridico e salvo il caso in cui l'oggetto del contratto e l'entità del corrispettivo non siano
determinati in modo chiaro e comprensibile.
In caso di ritardo nei pagamenti delle transazioni commerciali è previsto il pagamento di interessi moratori
pari al tasso praticato dalla Bce aumentato di 8 punti percentuali, salvo diverso accordo tra le parti e in ogni
caso l'accordo è considerato nullo
laddove sia gravemente iniquo a danno del creditore un tempo il giudice che rileva questa nullità aveva
facoltà di ricondurre ad equità il contratto, tuttavia in seguito il legislatore ha stabilito che nei casi di nullità
delle clausole si riespande la disciplina dispositiva e quindi si tratta di un caso di nullità parziale necessaria.
Più restia è invece la giurisprudenza per quanto riguarda l'applicazione dell'equità in materia di rapporto di
lavoro subordinato: il legislatore è intervenuto per evitare i casi più gravi di discriminazione, vietando ad
esempio diversità di trattamento a parità di lavoro delle donne e dei minori. Ci si domanda se e fino a che
punto il principio di parità di trattamento economico a parità di lavoro possa o debba essere generalizzato
all'interno del settore del lavoro subordinato e se il datore sia tenuto a garantire a tutti i lavoratori lo stesso
trattamento retributivo tradizionalmente si ritiene che sia lecito devolvere a singoli gruppi di lavoratori o a
singoli lavoratori trattamenti salariali particolari, tenuto conto delle peculiarità dei singoli lavoratori con
conseguente esclusione della possibilità di intervento di carattere demolitivo o ricostruttivo, volti ad
estendere tale trattamento a tutti gli altri lavoratori; la dottrina prevalente e Cassazione hanno ribadito
l’inoperatività del principio di parità di trattamento in materia di lavoro, con piena legittimità dei contratti
che concedono trattamenti di favore ai lavoratori di singole aziende o categoria, salvo che la disparità sia
lesiva della dignità della persona.
-La derogabilità del principio di equità
La dottrina si è interrogata in ordine alla derogabilità del principio di equità:
1) da un lato non c’è nessun dubbio che le parti sono libere di determinare liberamente il contenuto del
contratto
2) diverso può essere il discorso nel caso in cui il contratto non può considerarsi il frutto di un accordo
veramente libero e informato ma piuttosto un approfittamento di una parte nei confronti dell’altra in
questi casi se si verifica una situazione di squilibrio conseguente ad un comportamento in contrasto con la
buona fede della controparte si può prospettare il ricorso alla caducazione del contratto o alla sua riduzione
ad equità
Si discute se il principio di equità integrativa possa essere o meno derogato dalle parti la questione va
affrontata congiuntamente alle altre fonti di integrazione del contratto: in questa prospettiva non c’è
dubbio che le parti possono derogare a singole norme dispositive; sarebbe al limite concepibile una
clausola che escluda in blocco l’applicazione della disciplina dispositiva di un contratto tipico per evitare il
rischio di eterointegrazioni non volute.
Per quanto riguarda l’equità, le parti anche in questo ambito hanno facoltà di escludere l’applicazione di
singoli istituti equitativi, ma non si può consentire di escludere in blocco la possibilità di far ricorso
all’equità e alla buona fede in funzione integrativa del contratto, altrimenti non si potrebbe integrare in
alcun modo il contratto e quindi il contratto potrebbe essere dichiarato nullo per indeterminabilità
dell’oggetto.

-L’efficienza economica
L'art. 1374 cc non fa alcun cenno ad altre possibili fonti di integrazione del contratto come ad esempio
l’efficienza economica: questa è un principio innovativo rispetto alla tradizione ma non sarebbe corretto
ritenere che questo in presidenza non operava per esempio a operato a seguito della rivoluzione francese.
SEZIONE III: LA BUONA FEDE
-La buona fede contrattuale
Di fondamentale importanza è il principio di cui all'art. 1175 cc che prevede che il debitore e il creditore
devono comportarsi secondo le regole di correttezza questo principio viene poi ribadito in altre
disposizioni del cc quali:
l'art. 1337, ai sensi del quale le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto
devono comportarsi secondo buona fede
l’art. 1366 secondo cui il contratto deve essere interpretato in buona fede
l’art. 1375, ove si prevede che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede
l’art. 1460 comma 2 che prevede che non è possibile avvalersi dell’eccezione di
inadempimento ove il rifiuto di adempiere sia contrario alla buona fede Il concetto di buona fede può
essere inteso:
★ in senso soggettivo indica uno stato soggettivo, ossia lo stato soggettivo di chi ignora di ledere l'altrui
diritto
★ in senso oggettivo fa riferimento alle regole di correttezza alle quali occorre attenersi nell'adempimento
delle obbligazioni, nelle trattative e nell'esecuzione del contratto
La buona fede è una clausola generale, come tale suscettibile di qualsiasi contenuto e grazie a questo
principio è possibile introdurre nel sistema una pluralità di doveri accessori che fanno corona
all'adempimento della prestazione principale alcuni doveri accessori sono previsti dallo stesso legislatore,
ad esempio ai sensi dell'art. 1177 cc l'obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di
custodirla fino alla consegna; la maggior parte dei doveri accessori non è però prevista dal legislatore e
trovano fondamento nel principio di buona fede, come ad esempio accade per i doveri di informazione si
ritiene infatti che, specialmente nell'ambito delle trattative, il principio di buona fede e correttezza
imponga alle parti di comunicarsi un n° crescente di circostanze rilevanti ai fini della conclusione del
contratto. Inoltre il concetto di buona fede assume rilevanza anche in materia di inadempimento, dove
viene utilizzato per identificare il margine di sacrificio fino al quale sono reciprocamente tenuti i contraenti,
venendo così a mitigare l'impossibilità di cui all'art. 1218 cc; il principio di buona fede trova altresì
applicazione in giurisprudenza in materia di recesso, in quanto il recesso può essere in contrasto con la
buona fede se prima di avvalersene si sia tenuto un comportamento tale da indurre l'altro contraente a fare
affidamento sulla prosecuzione del rapporto.

-Correttezza, buona fede ed equità


Per quanto riguarda i rapporti tra correttezza e buona fede sono state formulate 2 opinioni:
1) in base a una prima linea di pensiero i 2 concetti non devono essere confusi: mentre la correttezza
opererebbe solo in negativo, escludendo la possibilità di porre in essere comportamenti idonei a
pregiudicare l'interesse della controparte, la buona fede potrebbe operare anche in positivo imponendo
obblighi attivi finalizzati a salvaguardare l'interesse della controparte
2) secondo altra parte della dottrina non è possibile distinguere tra correttezza e buona fede, perciò i 2
criteri possono essere intesi in senso sostanzialmente unitario
Per quanto riguarda i rapporti tra buona fede ed equità la situazione è più complessa in quanto alcuni
autori considerano unitariamente questi concetti in base alla considerazione che in concreto le loro
funzioni sono molto simili tuttavia questa soluzione è stata contestata dalla maggior parte degli autori, i
quali attribuiscono alla nozione di buona fede e alla nozione di equità funzioni leggermente diverse e infatti
i 2 concetti non devono essere confusi e il loro ambito di applicazione non è del tutto coincidente: l'equità
svolge un ruolo utile quando si tratta di determinare aspetti che attengono all'equilibrio sinallagmatico tra
le prestazioni. Questo non comporta un’antitesi tra equità e buona fede, anzi nella normalità dei casi si
tratta di 2 fonti di integrazione che si completano reciprocamente, come ad esempio accade in materia di
revisione del contratto in caso di mutamento delle circostanze in quanto il dovere di revisione può essere
fondato sul principio di buona fede e determinato nel quantum in base al principio di equità.
-Buona fede e diligenza
Il concetto di buona fede non deve essere confuso con il concetto di diligenza ex art. 1176 cc mentre la
buona fede si riferisce al SE dell'obbligazione, la diligenza attiene al COME dell'adempimento, in quanto
consente di valutare le modalità dell'adempimento ai fini di un eventuale giudizio di responsabilità del
debitore, pertanto ne deriva che i due concetti si muovono su piani tra loro del tutto diversi.
-Il fondamento della buona fede
La dottrina si è interrogata sul fondamento e il contenuto del principio di buona fede il suo significato va
chiarito in via interpretativa e al fine di evitare possibili distorsioni si è diffusa l'abitudine di ricollegare le
clausole generali, quali ad esempio la buona fede e l'equità, ai principi e ai valori della Costituzione: questa
tendenza va approvata nella misura in cui l'aggancio ai valori costituzionali può in qualche misura
contribuire a circoscrivere l'arbitrio del giudice e a tal proposito degno di nota è quanto affermato dalla
corte cost tedesca, secondo cui le clausole generali sono delle specie di porta attraverso le quali si
trasformano nel diritto privato i principi sanciti dalla Costituzione. Il richiamo alla Costituzione può
contribuire a circoscrivere la discrezionalità del giudice tuttavia sarebbe eccessivo ritenere che tramite la
Costituzione sia effettivamente possibile colmare le lacune del contratto in quanto spesso le lacune si
riferiscono ad aspetti di dettaglio che ha poco a che vedere con i principi costituzionali.

-Le funzioni della buona fede


La buona fede rileva in ambito contrattuale sotto una serie di profili:
i. in primo luogo nella fase delle trattative l’art. 1337 cc prevede l'obbligo delle parti di comportarsi in
modo conforme a buona fede nel corso delle trattative
ii. in secondo luogo nella fase di esecuzione del contratto l'art. 1375 cc prevede che il contratto debba
essere adempiuto secondo buona fede
Tuttavia la buona fede può anche avere altre funzioni quali:
◎ funzione integrativa
◎ funzione limitativa
◎ funzione correttiva del contratto
-La buona fede precontrattuale
Negli ultimi anni l'intero settore della responsabilità precontrattuale ha subito profonde trasformazioni, in
particolare è emersa una tendenza espansiva delle figure dell'incapacità naturale, dell'errore del dolo
intese in senso sempre più lato dalla dottrina e a ciò va aggiunto l'emersione di nuove figure di vizio del
consenso come ad esempio il caso della sorpresa nei contratti dei consumatori o l'abuso di posizione
dominante è lo stesso principio di tipicità dei vizi del consenso che viene a vacillare a favore di soluzioni
omnicomprensive fondate sul principio della buona fede e in questa prospettiva vengono rivalutati i
modelli generali di repressione degli abusi precontrattuali tipici del modello tedesco che prevede che il
negozio giuridico sia nullo qualora i vantaggi superano il valore della prestazione.
L’accresciuta rilevanza del principio di buona fede ha condotto a moltiplicare i doveri di informazione e
rilevante il problema che si pone è quello degli eventuali limiti e delle conseguenze della violazione dei
doveri di informazione.
-La buona fede nell’esecuzione del contratto
Ai sensi dell'art. 1375 cc il contratto deve essere eseguito secondo buona fede la conclusione del contratto
non fa venir meno ai doveri di buona fede e correttezza reciproca, tenuto conto del vincolo che vincola le
parti tra loro; in particolare è possibile ravvisare nella fase dell'esecuzione un incremento di rilevanza del
ruolo della buona fede in senso oggettivo e a tal proposito un orientamento dottrinale ritiene che la buona
fede non avrebbe potuto considerarsi una fonte autonoma di integrazione del contratto, tenuto conto del
fatto che l'art. 1374 cc non lo considera in modo espresso; piuttosto il principio di buona fede rileverebbe
solo sotto il profilo delle modalità di esecuzione di obblighi già predeterminati.
-La buona fede integrativa
La buona fede può essere fonte di integrazione del contratto il problema consiste nel capire in che limiti e
in che termini la buona fede consente di integrare il contratto, in particolare in rapporto alle altre fonti di
integrazione del contratto e in particolare all'equità: in giurisprudenza a tal proposito è ricorrente
l'affermazione che il principio di buona fede, in quanto espressione dei doveri di solidarietà sociale ex art. 2
cost, impone
non solo di comportarsi in modo corretto ma anche di attivarsi positivamente per salvaguardare l'interesse
della controparte nei limiti in cui ciò non rappresenti un apprezzabile sacrificio a suo carico,
concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse della
controparte.
L'aggancio al principio di solidarietà sociale non costituisce una novità in senso assoluto in quanto già l’art.
1175 cc rinviava ai principi di solidarietà corporativa sebbene sia venuto meno il modello corporativo,
questo non ha impedito la giurisprudenza di rispolverare il concetto e di sostituirlo con quello di solidarietà
sociale:
█ un primo gruppo di casi si riferisce ai doveri di informazione che sorgono nella fase dell'esecuzione il
principio di buona fede impone infatti di comunicare tutte le circostanze rilevanti ai fini dell'adempimento,
in particolare nel caso in cui si verifichino circostanze sopravvenute che potrebbero ostacolare/rendere
impossibile l'adempimento in modo tale che la controparte possa essere messa in condizione di
salvaguardare meglio i propri interessi
█ ad esempio il venditore è tenuto a specificare le caratteristiche del bene venduto, in mancanza, è tenuto
a richiedere al compratore ulteriori indicazioni ne consegue che non potrebbe liberarsi consegnando un
bene qualunque appartenenti al genus prodotto o commerciale
█ad esempio occorre comunicare senza indugio eventuali inesattezze dell'adempimento, in modo tale da
consentire alla controparte di provvedere tempestivamente alla sostituzione, riparazione o rettifica delle
modalità dell'adempimento
█ ad esempio il venditore può essere responsabile nel caso in cui non informi l'acquirente del pericolo di
evizione
█ rilevanti sono poi i doveri di informazione che si pongono in materia di contratti finanziari
l’intermediario finanziario è tenuto a informare il cliente del grado di rischio che caratterizza i prodotti
finanziari, nonché a monitorare l'andamento del titolo e a comunicare tempestivamente all'investitore a
ogni circostanza rilevante relativa al prodotto finanziario in questione
█ dal principio di buona fede scaturiscono altresì obblighi di documentazione relativi al rapporto, in
particolare in ambito bancario e finanziario
█ in caso di contratto concluso con un soggetto che asserisce di agire in nome e per conto del dominus
questi è tenuto, ove richiesto, a fornire la prova del potere di rappresentanza
█ dal principio di buona fede possono scaturire obblighi di cooperazione attiva in questa prospettiva è
stato considerato contrario a buona fede il comportamento del promissario venditore che si è astenuto dal
cooperare al fine di concedere un mutuo al promissario acquirente
█ dal principio di buona fede possono scaturire doveri di collaborazione in capo al creditore, necessari per il
debitore al fine di adempiere all’obbligazione
█ ad esempio il rifiuto di ricevere in pagamento assegni circolari potrebbe costituire violazione del principio
di correttezza e buona fede ove non supportato da un giustificato motivo
█ ad esempio la mancata collaborazione del creditore all’adempimento può precludere la possibilità di
presentare istanza di fallimento
█ altro dovere è quello di offrire utilmente la propria prestazione in particolare le modalità
dell’esecuzione devono essere tali da rendere effettivamente fruibile l’adempimento alla controparte
█ contrario a buona fede è il comportamento del debitore che, venuto a conoscenza del mutamento della
legislazione vigente o delle esigenze del creditore, non apporti all'adempimento alle variazioni necessarie
nei limiti di un apprezzabile sacrificio
█ è contrario a buona fede il comportamento del creditore che non consente al debitore di rimediare ad
eventuali inesattezze o errori commessi nell'adempimento e allo stesso modo è contrario a buona fede il
caso in cui il creditore, senza nemmeno avvertire il debitore, ricorra subito alle vie legali o inizi una
procedura esecutiva nei confronti del debitore che per errore ha consegnato ad esempio un titolo privo di
firma o di girata
█ il dovere di buona fede non comporta che, ove una parte sia inadempiente, l'altra non possa avvalersi di
tutti gli strumenti apprestati dall'ordinamento per porre rimedio all'inadempimento
█ dal principio di buona fede deriva un obbligo di coerenza, il quale tutela l'affidamento ingenerato negli
altri dal proprio comportamento
█ in alcuni casi la buona fede può precludere per un certo periodo di tempo l'esercizio di un diritto, come
ad esempio nel caso in cui per un acquisto di un bene altrui l'acquirente non può chiedere la risoluzione del
contratto prima che sia trascorso un certo periodo di tempo
█ può essere contrario a buona fede eseguire per prima una prestazione che presupporrebbe
l'adempimento di una prestazione precedente
█ la buona fede è consentito altresì di integrare le lacune dei provvedimenti amministrativi
-Le figure tipiche
In dottrina vi sono stati tentativi di tipizzare le applicazioni della figura della buona fede integrativa in
particolare secondo Bianca è possibile individuare 5 applicazioni principali della buona fede:
⃞ casi in cui vengono configurati doveri in più rispetto a quelli previsti ⃞ casi in cui occorre apportare
modifiche alla propria prestazione
⃞ casi in cui occorre tollerare lievi difformità nell'adempimento altrui ⃞ casi in cui sorgono doveri di
documentazione
⃞ casi in cui viene limitato l'esercizio di facoltà discrezionali
Le applicazioni della buona fede sono fondamentalmente 2:
a) la buona fede può fondare doveri reciproci di collaborazione anche attiva
nell'esecuzione del contratto in capo ad entrambe le parti è possibile ravvisare una serie di ipotesi, come
ad esempio i doveri di informazione e di documentazione, il dovere di rinegoziare il contratto nei casi di
sopravvenienza contrattuale, il dovere di effettuare la prestazione in modo utile per il creditore, doveri di
collaborazione in capo al creditore (un tempo si riteneva che il creditore avesse un vero e proprio dovere di
ricevere la prestazione, tuttavia in seguito è prevalso la tesi secondo cui il creditore non è tenuto a ricevere
la prestazione, pertanto ne consegue che il debitore non ha il diritto ad effettuare la prestazione ma solo
quello di liberarsi in conformità al regime della mora credendi)
b) la buona fede può costituire un limite all'esercizio dei diritti
-L’inadempimento dell’obbligo di buona fede
L’inadempimento dei doveri di buona fede può comportare l'applicazione dei normali rimedi sinallagmatici,
come ad esempio la risoluzione per inadempimento in particolare per quel che riguarda il rimedio della
risoluzione del contratto non è di ostacolo il fatto che dal principio di buona fede possono scaturire
obbligazioni di carattere accessorio. Inoltre la violazione della regola di buona fede rilevante in sé e per sé,
a prescindere da accertamenti ulteriori relative all'elemento soggettivo.
-La buona fede limitativa
Ci sono una serie di resistenze a riconoscere che in determinate circostanze la buona fede può avere anche
una funzione limitativa in Italia non mancano orientamenti dottrinali a favore di un controllo più incisivo in
materia di clausole vessatorie, tuttavia questi spunti non hanno avuto particolare seguito fino al momento
in cui il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva comunitaria in materia di clausole vessatorie;
l'atteggiamento tradizionale della dottrina e della giurisprudenza è sempre stato nel senso di escludere che
la violazione del principio di buona fede possa comportare di per sé la nullità del contratto ai sensi dell'art.
1418 cc.
La tendenza sembra comunque nel senso di un incremento delle clausole generali con funzione limitativa
in tempi più recenti dottrina e giurisprudenza hanno iniziato a modificare il loro atteggiamento: ciò in
particolare si evince in materia di responsabilità precontrattuale, dove a partire dagli anni ‘70 si sono
manifestate tendenze dottrinali volte ad incrementare la rilevanza della violazione del principio di buona
fede; in secondo luogo non è più possibile prescindere dall'effetto dirompente che ha determinato
l’attuazione della direttiva sulle clausole vessatorie in queste condizioni il problema fondamentale che
occorre affrontare è se tale situazione sia espressione di una logica particolare o di una logica generale
suscettibile di estensione all'intero settore delle relazioni contrattuali: parte della dottrina si è espressa in
senso favorevole e anche la giurisprudenza in alcune occasioni ha ritenuto che il contrasto con il principio di
buona fede possa comportare l'invalidità di singole clausole inserite nel contratto e a tal proposito si può
ricordare il caso Fiuggi, con
l’applicazione giurisprudenziale in materia di clausole di esonero dalla responsabilità dell'impresa di leasing
per l'inadempimento del fornitore.
Il problema è quello di individuare i casi in cui la violazione del principio di buona fede può comportare la
nullità totale/parziale del contratto o comportare conseguenze di altro tipo come ad esempio il
risarcimento del danno il problema è connesso a quello della nullità virtuale nonché dell'individuazione
dei criteri che consentono di capire in quali circostanze la violazione di norme imperative comporta nullità
del contratto o altre conseguenze: punto di partenza può essere la disciplina delle clausole vessatorie nei
contratti del consumatore e a questi fini è sufficiente considerare che questa disciplina è suscettibile di
applicazione ogni qualvolta il contratto sia stato concluso tra parti dotate di disparità contrattuale; in alcuni
casi è lo stesso legislatore che ricollega la nullità all’approfittamento di un’altrui situazione di debolezza o
inferiorità.
-La buona fede correttiva
Ci si domanda se e fino a che punto la buona fede possa consentire non solo l'integrazione e la caducazione
del contratto ma anche la correzione del contratto la soluzione tradizionale è nel senso di una negazione
completa della funzione correttiva della buona fede in quanto si considera che tale intervento si pone in
contrasto con le ragioni dell'autonomia privata.
Diverso può essere il discorso nel caso in cui il contratto non possa considerarsi frutto di un consenso
effettivamente libero e informato, ossia quando l'accordo appare palesemente squilibrato in quanto
conseguenza dell’approfittamento di una situazione di debolezza in questi casi la soluzione tradizionale è
quella di consentire la caducazione del contratto sempre che risulti integrata un’ipotesi tipica di vizio del
consenso e lo stesso dicasi in caso di risoluzione del contratto: tuttavia queste conclusioni sono da
considerarsi superate in quanto la dottrina ha richiamato l'attenzione sull'insufficienza del rimedio dello
scioglimento del contratto per fronteggiare in modo adeguato i casi di squilibrio originario o sopravvenuto
tra le prestazioni queste tendenze hanno trovato accoglimento nei testi contrattuali di diritto
internazionale ed europeo e in questa prospettiva la revisione del contratto, se correttamente intesa, non
deve apparire come un qualcosa di strano ma come un nuovo strumento al servizio dell'autonomia privata
in quanto si tratta di intervenire sul contratto con finalità conservative solo dove effettivamente occorre: in
questa direzione sembra muoversi il legislatore, che in più occasioni ha espressamente previsto poteri
correttivi da parte del giudice, come ad esempio nel caso della riduzione della penale considerata eccessiva.
-L’abuso del diritto
Il divieto dell'abuso del diritto si è sviluppato nel settore dei diritti reali, in particolare del diritto di
proprietà, con funzione prevalentemente limitativa delle prerogative proprietarie, nel senso di escludere la
possibilità che il diritto di proprietà venga esercitato per finalità in contrasto con la sua funzione questo
problema può porsi in termini analoghi anche nel settore delle obbligazioni e dei contratti qualora certe
prerogative vengano esercitate con finalità abusive rispetto a quelle per le quali sono previste.

Qualche dubbio interpretativo è sorto in primo luogo in materia di richieste frazionate di adempimento e a
tal proposito ci si domanda se sia lecito oppure no frazionare il debito e agire in giudizio con procedimenti
separati per ogni singola rata in un primo momento la giurisprudenza ammetteva questa possibilità,
successivamente si è orientata in senso negativo in quanto il frazionamento potrebbe comportare un
incremento dei costi dell'esecuzione quindi costituire un abuso o comunque porsi in contrasto con il
principio di buona fede in senso oggettivo. In contrasto con il principio di buona fede può essere anche
l'esercizio troppo tempestivo di una domanda in giudizio senza valutare la possibilità di compensazione del
credito; inoltre l'abuso può manifestarsi anche con riferimento al diritto di sfratto, nel caso in cui il locatore
avrebbe potuto tutelare il suo interesse senza ricorrere al rimedio dell'ablazione del vincolo; altresì l'abuso
del diritto trova applicazione in materia di recesso e la Cassazione ha ritenuto che anche le dimissioni del
preposto nel rapporto di agenzia sono annullabili per vizio del consenso qualora siano determinate dal
comportamento del preponente che in genere nell'altro una falsa rappresentazione della realtà. Secondo la
giurisprudenza ci può essere abuso anche del diritto di chiedere la risoluzione del contratto per
inadempimento qualora l’interesse del ricorrente possa essere preservato senza ricorrere al rimedio
estremo dell'ablazione del vincolo; altresì l'abuso del diritto rileva anche in ambito societario, in particolare
nei casi in cui la maggioranza pone in essere delibere finalizzate ad estromettere o arrecare danno alle
minoranza ma il problema, analogo, si pone con riferimento all’abuso del diritto da parte della minoranza.
La giurisprudenza ritiene che costituisca condotta abusiva in ambito bancario l'abuso del diritto di recesso e
la concessione abusiva del credito senza aver fatto le opportune verifiche di solvibilità.
Inoltre il concetto di abuso del diritto trova applicazione in materia di rapporto di lavoro subordinato: in
tale materia la giurisprudenza ha chiarito che i poteri discrezionali che sono riconosciuti al datore di lavoro
con riferimento all'assunzione, alla progressione di carriera o al licenziamento devono essere esercitati in
modo corretto e non anche per discriminare ingiustamente lavoratori non graditi. Altresì l'abuso può aver
luogo in ambito processuale, come ad esempio nel caso in cui i coniugi simulano una separazione
consensuale per conseguire vantaggi fiscali o per provare i creditori, ma l'abuso può esserci anche in
materia di azioni di stato per la materia della filiazione o addirittura in materia di adozione, nonché
(notoriamente) in ambito fiscale.
-Presupposti ed effetti
In materia di atti emulativi la giurisprudenza richiede la prova 2 elementi:
1) elemento oggettivo consiste nell'assoluta mancanza di utilità dell’atto per il proprietario
2) elemento soggettivo consiste nell'intenzione di nuocere o recare molestie: questo elemento sovente è
implicito nel fatto stesso della mancanza oggettiva di utilità per il proprietario. Ne consegue che sarebbe
preferibile una concezione oggettiva
dell'abuso, fondata sull'oggettiva inidoneità della condotta a soddisfare un interesse meritevole di tutela
del titolare del diritto
-L'eccezione di dolo generale
Il diritto moderno non contempla in modo espresso questa figura: nonostante ciò, l'eccezione di dolo
continua ad operare a livello giurisprudenziale:
a tal proposito sono significative le applicazioni in materia di contratto autonomo di garanzia la
giurisprudenza consente al garante di evitare il pagamento nel caso in cui sussista una prova certa di tipo
documentale attesta che la pretesa della controparte è illegittima: in questi casi ove il garante adempia
trascurando di opporre l'eccezione di dolo con colpa grave, gli risulta precluso il diritto di regresso nei
confronti del garantito. Quanto detto vale anche per il credito documentario
altre applicazioni ci sono state per accordi intervenuti tra le parti di non dare esecuzione alla sentenza
altre applicazioni sono emerse in materia di mandato irrevocabile all'incasso
-Fraus omnia corrumpit
Alcune applicazioni giurisprudenziali sembrano indicare un risveglio di interesse per questo istituto:
> ad esempio la delibera di capitale adottata nella consapevolezza della falsità dei presupposti di fatto della
stima del conferimento in natura è colpita da nullità
> è nulla la delibera adottata dall'assemblea di una compagnia di assicurazioni al solo fine di eludere le
disposizioni imperative dettate in tema di vigilanza del settore assicurativo
> si pongono problemi in caso di doppia alienazione immobiliare in base ai principi del codice civile tra più
acquirenti dello stesso bene immobile prevale chi trascrive per primo indipendentemente che sia in buona
o in mala fede: in questi casi il primo acquirente può unicamente agire per inadempimento nei confronti
del venditore che non ha tenuto fede al suo impegno e per cercare di ovviare a questa conclusione una
parte della dottrina ha ritenuto applicabile in base al principio fraus omnia corrumpit la nullità della
trascrizione; secondo altro orientamento invece sarebbe possibile colpire il secondo acquirente solo nel
caso in cui siano ravvisabili gli estremi della revocatoria; in ogni caso la Cassazione ha stabilito che il
secondo acquirente che trascrive per primo consapevole che è stata fatta una prima alienazione è
responsabile ex art. 2043 cc
-La derogabilità del principio di buona fede
Ci si è chiesti se il principio di buona fede di cui all'art. 1375 sia derogabile anche gli autori che ritengono
derogabili gli altri principi ritengono che il principio di buona fede sia inderogabile in quanto rientra
nell'ordine pubblico; non può escludersi che le parti siano libere di escludere singole applicazioni del
principio di buona fede, tuttavia si discute se le
parti possono escludere del tutto l'integrazione del contratto in base al principio di buona fede in quanto il
rischio viene ad essere quello che il contratto non possa essere concretamente eseguito.
-La ragionevolezza e le nuove clausole generali
Il principio di ragionevolezza sta iniziando a prendere piede anche nei sistemi di civil law e in particolare
anche in Italia, in specie attraverso le direttive Ue e a seguito dei testi di diritto uniforme come ad esempio
la Convenzione di Vienna e dei principi di Unidroit.
Va osservato in particolare come questo principio sovente trovi applicazione in pronunce giudiziali; in ogni
caso parte della dottrina esclude che si tratti di una clausola generale equiparabile alle altre in quanto la
ragionevolezza è utile anche per l’interpretazione e la concretizzazione delle altre clausole generali.
CAPITOLO 12: I VIZI DEL CONSENSO
Sezione prima: I VIZI DEL CONSENSO NEL SISTEMA
- VIZI DEL CONSENSO E GIUSTIZIA CONTRATTUALE
Nel nostro ordinamento l’annullamento del contratto è subordinato alla semplice
prova di un vizio del consenso (dolo, errore o violenza), a prescindere dalla prova
di elementi ulteriori quali ad esempio il danno in concreto dubito dalla parte attrice.
- VIZI DEL CONSENSO E RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE
Ogniqualvolta lo squilibrio tra le prestazioni non sia frutto di una libera scelta
consapevole ed informata, ma sia la conseguenza di un vizio del consenso si rende
auspicabile il ricorso ai rimedi previsti dall’ordinamento.
È possibile effettuare un ulteriore passo logico; l’ordinamento offre strumenti i quali
operano in via preventiva al fine di scongiurare il più possibile la conclusione di
contratti affetti da vizi del consenso. Centrale sotto questo profilo appare l’istituto
della responsabilità precontrattuale e dei connessi doveri di informazione. La
responsabilità precontrattuale, ed in particolare la configurazione di doveri di
informazione, opera preventivamente scongiurando cioè la possibilità che possano
essere conclusi contratti affetti da vizi del consenso.
- VIZI DEL CONSENSO E CONSERVAZIONE DEL CONTRATTO
Negli ultimi tempi si è delineata una crescente tendenza a conservare il più
possibile l’atto di autonomia voluto dalle parti, ancorché con tutte le integrazioni, le
modifiche o le rettifiche necessarie per ricondurlo ad equità. Per esempio basti
ricordare la revisione del contratto; quest’ultimo non è limitato ai soli casi di
sopravvenienza contrattuale, ma può porsi anche in presenza di errore. Numerosi
sono gli atti che possono operare al fine di evitare la caducazione dell’atto viziato di
autonomia privata. La disciplina dei vizi del consenso deve essere così coordinata
con la normativa in tema di inserzione automatica di clausole. Il contratto, ancorché
affetto da vizio del consenso non può essere caducato ogniqualvolta avvenga di
diritto la sostituzione della clausola invalida con altra clausola prevista
dall’ordinamento. Un discorso comparabile può essere ripetuto a proposito della
normativa sull’interpretazione del contratto; ogniqualvolta in via interpretativa sia
possibile risalire al nucleo comune di volontà tra le parti, il contratto deve essere
salvato facendo prevalere la comune intenzione dei contraenti sulla volontà
apparente. Per converso, nel caso in cui in via interpretativa non sia possibile
individuare un nucleo volitivo comune dei contraenti, il contratto può essere
considerato puramente nullo per carenza di un requisito essenziale.
Notevole importanza ai fini della conservazione del contratto riveste l’istituto della
rettifica del contratto; nonché la facoltà della parte non in errore di escludere la
caducazione offrendo di eseguire il contratto in conformità al contenuto ed alle
modalità del contratto che quella intendeva concludere. Si pensi ancora al
risarcimento del danno; possibilità sicuramente ammessa anche in Italia. In
particolare i PECL: “Se la parte che ha diritto all’annullamento non lo esercita o lo
ha perduto, può domandare il risarcimento del danno limitatamente alla perdita
subita a causa dell’errore, del dolo, della violenza o dell’ingiusto profitto o vantaggio
iniquo. Il risarcimento sarà dovuto nella stessa misura alla parte fuorviata da
informazioni inesatte”.
Occorre considerare che l’errore può anche essere frutto di negligenza, di scarsa
ponderazione, di frettolosità nel concludere il contratto; sempre in conformità ai
principi generali, la colpa della parte che subisce il danno può integrare gli estremi
del concorso di colpa, con conseguente limitazione o esclusione dell’obbligo di
risarcitorio. Ai fini del risarcimento quindi occorre distinguere a seconda che l’errore
sia scusabile o meno. Ne consegue che ai fini del risarcimento del danno occorre
che si tratti di un errore scusabile, cioè non dovuto a colpa del soggetto che lo ha
commesso.
Inoltre se il contraente a cui compete l’azione di annullamento decide di convalidare
il contratto, non per questo vengono meno gli eventuali profili di scorrettezza nelle
trattative; ne consegue la possibilità di chiedere il risarcimento del danno, con
conseguente riequilibrio delle posizioni contrattuali.
Sezione seconda: L’INCAPACITÀ NATURALE
- L’INCAPACITA’ DI INTENDERE E DI VOLERE
Definizione di incapacità naturale; l’art 428 c.c. si limita a stabilire che gli atti o i
contratti conclusi da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per
qualsiasi causa, anche di carattere transitorio, incapace di intendere o di volere
sono suscettibili di annullamento. Il codice non precisa però cosa si intenda per
incapacità di intendere o di volere; quando cioè il dichiarante può essere dichiarato
incapace. L’incapacità di intendere fa riferimento alla sfera intellettiva, quella di
volere alla sfera volitiva. È sufficiente la carenza anche solo di uno di questi due
aspetti, anche se di solito essi sono presenti (o assenti) congiuntamente.
Secondo la giurisprudenza non è più necessaria la prova che il soggetto versava in
uno stato patologico tale da far venir meno le facoltà psichiche, ma è sufficiente
che tali facoltà fossero perturbate al punto da impedire al soggetto una seria
valutazione del contenuto e degli effetti dell’atto o del contratto. In presenza poi di
stati patologici di carattere permanente, si presume che l’atto sia stato compiuto in
stato di incapacità, salva la prova specifica che in realtà è stato compiuto in un
lucido intervallo, la cui prova deve essere fornita da chi vi abbia interesse.
È possibile notare la tendenziale espansione dei casi in cui il contratto è
considerato annullabile; a questi fini non è infatti più richiesta la presenza di una
patologia tale da consentire l’interdizione. Si pensi anche all’ubriachezza, all’effetto
di farmaci ecc.

- IL PREGIUDIZIO
In materia di incapacità naturale, ai fini dell’annullamento degli atti non è sufficiente
la presenza di un vizio de consenso, ma si richiede altresì la presenza di un grave
pregiudizio. a) si tratta di chiarire
cosa si intenda per pregiudizio; b) capire se questa norma ha valenza generale,
con conseguente applicabilità anche ai contratti al secondo comma (art. 428 c.c.)
oppure no.
A) Il legislatore ovviamente non chiarisce cosa si intenda per pregiudizio. tutti
concordano che il pregiudizio può essere inteso in primo luogo in senso
economico; si pensi ad esempio allo squilibrio economico tra le prestazioni.
Più dubbio è se il pregiudizio possa essere inteso anche in senso morale.
Analogamente si discute se il pregiudizio debba essere inteso in senso
rigorosamente oggettivo, o anche soggettivo. Tra queste due concezioni pare
sicuramente preferibile quella più lata, che ravvisa la presenza del pregiudizio non
solo in presenza di un danno patrimoniale, ma anche non patrimoniale o anche
solo soggettivo.
B) La formula dell’art. 428, 2 comma è ambigua: “l’annullamento dei contratti non
può essere pronunziata se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa
derivare, alla persona incapace, o per la qualità del contratto, o altrimenti, risulti la
mala fede dell’altro contraente”. Non è cioè del tutto chiaro se il pregiudizio è in
ogni caso richiesto, o se viceversa, è solo un segno disvelatore del requisito della
malafede, che può anche mancare.
In base all’impostazione classica, la fattispecie sarebbe integrata da tre requisiti
fondamentali: a) incapacità di intendere o di volere, b) pregiudizio, c) mala fede.
Altri autori sono viceversa dell’opinione che il requisito del pregiudizio rilevi solo in
quanto disvalore della mala fede dell’altro contraente; mala fede che peraltro,
anche in assenza di pregiudizio può risultare da altri elementi, come la qualità del
contratto. Tra queste due soluzioni sembra preferibile la seconda.
- LA MALA FEDE
L’art. 428, 2 comma c.c. subordina l’annullabilità dei contratti conclusi dall’incapace
alla prova della mala fede dell’altro contraente. Il requisito non compare viceversa
in materia di atti unilaterali e così pure di testamento e di donazione; nonché di
matrimonio. In questi ambiti prevale l’esigenza di tutelare in ogni caso la volontà del
dichiarante rispetto a quella di tutelare il destinatario della dichiarazione.
In conformità alle scelte effettuate dal legislatore in materia contrattuale le esigenze
di tutela della volontà devono essere contemperate con quelle di tutelare il
destinatario della dichiarazione. Ma cosa si intende
per mala fede? In dottrina ha dato lungo a discutere se a questi fini sia sufficiente la
semplice consapevolezza dell’altrui stato di incapacità o se viceversa occorra la
prova specifica della volontà di approfittare. Può ritenersi sufficiente la
consapevolezza dell’altrui incapacità. In altre parole basta che la controparte fosse
a conoscenza, o potesse rendersi conto con l’ordinaria diligenza, dell’altrui stato di
incapacità. A prescindere da ulteriori accertamenti.
Sezione terza: L’ERRORE
- L’ERRORE
L’errore in base a quanto stabilisce l’art. 1427 c.c. può essere causa di
annullamento del contratto. In termini generali l’errore può consistere in una falsa
conoscenza o nell’ignoranza di circostante rilevanti.
Tradizionalmente (codice 1865) gli errori vengono distinti in errore vizio ed errore
ostativo, a seconda che l’errore cada nel processo stesso di formazione della
volontà, o piuttosto della dichiarazione. Il codice del 1942 si è però discostato da
questa tradizione equiparando completamente le due figure di errore.
L’errore propriamente parlando può concernere esclusivamente il passato od al
limite il presente, ma non il futuro. L’errore di previsione o de futuro non può
assumere rilevanza, per lo meno per il tramite della disciplina dell’errore. Nulla
esclude però che l’errore di previsione possa assumere rilevanza in virtù di altri
istituti che operano nel settore della sopravvivenza contrattuale.
Ovviamente non tutti gli errori possono essere causa di annullamento del contratto,
ma solo quelli essenziali e riconoscibili.

- L’ESSENZIALITA’ DELL’ERRORE
In base a quanto stabilito dall’art. 1428 c.c. l’errore può assumere rilevanza ai fini
della caducazione del contratto solo quando sia essenziale e riconoscibile. L’onere
di dimostrare l’essenzialità e la riconoscibilità dell’errore grava sulla parte che
agisce in giudizio.
Ai sensi dell’art. 1429 c.c. l’errore è essenziale:
1) quando cade sulla natura o sull’oggetto del contratto;
2) quando cade sull’identità dell’oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità
dello stesso che deve ritenersi determinante del consenso;
3) quando cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente
(sempre che l’una o l’altra siano state determinanti del consenso);
4) quando trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione unica o principale del
contratto.
Tradizionalmente vengono distinte varie ipotesi di errore essenziale.
A) L’errore che cade sulla natura o sull’oggetto del contratto fa riferimento alla
figura tradizionale dell’error in negotio, che si verifica quando viene commesso un
errore sulla natura stessa del negozio o dell’atto che si sottoscrive.
B) L’errore che cade sull’identità dell’oggetto della prestazione corrisponde invece
alla figura tradizionale dell’error in corpore.
C) L’errore sulle qualità coincidente in gran parte con la figura tradizionale dell’error
in substantia. In questa categoria rientrano le ipotesi più classiche di errore sulla
materia. Resta la questione di accertare quali siano le qualità che possono
assumere rilevanza ai fini della caducazione del contratto.
Il codice del 1942 si è invece limitato a stabilire che l’errore assume rilevanza
quando cade su di una qualità che “secondo il comune apprezzamento” o “in
relazione alle circostanze” deve ritenersi determinante del consenso.
D) L’errore dell’identità o sulle qualità dell’altro contraente corrisponde alla figura
tradizionale dell’error in persona. In base a quanto stabilisce il codice, un tale errore
può assumere rilevanza sia nel caso in cui cada sull’identità o più semplicemente
su qualità rilevanti dell’altro contraente, sempre che l’una o le altre siano state
determinanti del consenso.
Vi sono contratti in cui l’errore di persona rileva sempre, come per esempio il
mandato, l’appalto, il contratto di società ecc. L’error in persona può però assumere
rilevanza anche nei contratti non caratterizzati dall’intuitus personae.
E) Anche l’errore sulla quantità (error in quantitate) può assumere rilevanza sempre
che sia determinante del consenso e non si riduca ad un mero errore di calcolo.

- CARATTERE TASSATIVO O MENO DELLA CLASSIFICAZIONE CODICISTICA


Si discute se l’elencazione contenuta nell’art. 1429 c.c. debba considerarsi
tassativa o meramente esemplificativa. In base a quanto emerge dalla Relazione
del Guardasigilli (n. 652) l’elencazione in questione dovrebbe considerarsi
esemplificativa con la conseguenza quindi di legittimare la giurisprudenza ad
estendere il giudizio di essenzialità anche ad altre ipotesi non specificamente
contemplate dal codice.
Però alcuni autori della dottrina ritengono che negare il carattere tassativo
dell’elencazione di cui all’art. 1429 c.c. finirebbe per sminuire la rilevanza stessa
dell’essenzialità dell’errore, attribuendo rilevanza a qualsiasi errore in concreto
determinante del consenso, purché riconoscibile.
In realtà occorre essere consapevoli che la disciplina dell’errore costituisce un
difficile tentativo di mediazione tra due opposte esigenze; da un lato quella di
tutelare l’effettiva volontà del dichiarante, dall’altro quella di tutelare l’affidamento
del destinatario della dichiarazione. In questa prospettiva tanto più si espande la
sfera dell’errore rilevante, tanto più risulta protetta la volontà del dichiarante a
scapito però dell’affidamento del destinatario della dichiarazione. Occorre quindi
cercare un punto di compromesso tra queste due opposte esigenze. Ne consegue
altresì l’impossibilità di ritenere puramente che qualsiasi errore determinante del
consenso, purché riconoscibile, conduca ad annullamento del contratto.

- L’ERRORE DI DIRITTO
Materia dell’errore del diritto; storicamente la questione è strettamente collegata a
quella dell’irrilevanza dell’ignoranza della legge (ignorantia legis non excusa).
L’errore di diritto è specificamente contemplato dal codice civile italiano del ’42; ai
sensi del n.4 dell’art 1429 c.c. può assumere rilevanza ai fini dell’annullamento del
contratto anche l’errore di diritto, purché esso sia stato la ragione unica o principale
del contratto.
In termini del tutto generali l’errore di diritto può riferirsi non solo all’esistenza di una
norma giuridica, sia essa legislativa o consuetudinaria, ma anche alla sua
interpretazione.
In dottrina molto discussa p l’esatta portata della norma; nonché i suoi rapporti con
la massima generale ignorantia legis non excusa; in base ad un’impostazione
risalente l’ignoranza della legge non potrebbe mai essere addotta a scusante,
proprio perché ciascuno cittadino si presume al corrente di tutte le leggi rese
conoscibili in virtù della loro pubblicazione.
In realtà la rilevanza dell’errore di diritto non conduce a negare l’applicabilità dei
principi di diritto; l’annullamento del contratto per errore di diritto non pone un
problema di disapplicazione delle norme, ma consente di sciogliere un vincolo
contrattuale concluso per errore.
In dottrina è stata altresì formulata l’opinione in base alla quale per non contraddire
la massima generale dovrebbe escludersi la rilevanza dell’errore di diritto
ogniqualvolta cada sulla disciplina giuridica del contratto stesso, o sui suoi effetti.
In realtà nei casi di questo genere il contratto non è impugnabile per errore di
diritto, non tanto perché l’errore si riferisce alla disciplina del contratto, ma piuttosto
perché si tratta di circostanze conoscibili con l’ordinaria diligenza. La vecchia regola
secondo cui l’errore di diritto è irrilevante perché inescusabile, dovrebbe essere
sostituita dalla regola in base alla quale l’errore di diritto non è scusabile SOLO
quando avrebbe potuto essere evitato con l’ordinaria diligenza. Secondo altri
occorrerebbe invece distinguere a seconda che la norma ignorata sia dispositiva o
imperativa; in questa prospettiva solo gli errori su norme dispositive potrebbero
aprire le porte all’annullamento del contratto. Alla luce dell’intervento della Corte
Costituzionale, sembra preferibile invece valutare caso per caso la sua rilevanza
nell’ambito dell’economia complessiva dell’affare.
Un altro punto in cui emerge il tradizionale sfavore nei confronti dell’errore di diritto
è in materia di integrazione del contratto; in base ad un filone giurisprudenziale non
sarebbe infatti possibile impugnare il contratto per errore di diritto nei casi in cui ha
luogo l’inserzione automatica di clausole ai sensi dell’art. 1339 c.c. ; l’impugnazione
del contratto per errore di diritto si porrebbe in contrasto con norme imperative in
virtù della sostituzione automatica delle clausole nulle.
La casistica in materia di errore di diritto:
A) Un primo gruppo di casi che ha dato adito a notevoli dubbi interpretativi è
costituito dai contratti di acquisto di un terreno erroneamente ritenuto edificabile; si
tratta infatti di capire se la presunzione di conoscenza delle norme giuridiche si
applichi o meno ai piani regolatori e in generale agli strumenti di pianificazione
urbanistica. Posto che i piani regolatori, pur non essendo norme di rango legislativo
sotto questo profilo sono equiparati alla legge, ne conseguirebbe l’impossibilità di
liberarsi da un vincolo contrattuale adducendo l’ignoranza di quanto previsto da un
piano regolatore; questo comporterebbe l’impossibilità di impugnare il contratto per
errore di diritto. In realtà si tratta di esiti non del tutto condivisibili; ormai chiaro è
infatti che l’ignoranza delle norme di legge non sempre può essere considerata
ingiustificata; specie se si tratta di norme o principi che una parte avrebbe difficoltà
a conoscere con l’ordinaria diligenza.

- L ‘ERRORE SUI MOTIVI


Questo errore in linea di principio non può assumere rilevanza ai fini della
caducazione del contratto. L’errore sui motivi non può infatti considerarsi
essenziale. L’irrilevanza dell’errore sui motivi viene per lo più giustificata
adducendo esigenze di tutela dell’affidamento del destinatario della dichiarazione.
Se l’errore sui motivi è non solo riconoscibile ma viene in concreto riconosciuto e si
tratta del motivo unico o principale del contratto, si può ritenere che la buona fede
precontrattuale imponga di segnalarlo così che il silenzio possa qualificarsi come
reticenza dolosa, causa di invalidità del contratto.

- L’ERRORE SUL VALORE


Questo errore è la conseguenza delle caratteristiche e delle qualità in concreto
presenti nel bene oggetto di scambio. Ma cosa deve intendersi per qualità
essenziale?
Secondo Allara l’errore può considerarsi essenziale quando:
a) cade su di uno degli elementi costitutivi del contratto;
b) sia determinante del consenso.
In questa prospettiva però non sarebbe difficile ritenere che anche l’errore sul
valore possa ritenersi essenziale, al pari del resto dell’errore sulla quantità.
Un’altra soluzione è che l’errore potrebbe qualificarsi essenziale purché:
a) dia adito ad uno squilibrio tra le prestazioni di entità tale da ritenersi
determinante del consenso;
b) oppure cada sull’identità del bene oggetto di scambio o della persona dell’altro
contraente, sempre che l’uno o l’altro possano ritenersi determinanti del consenso.
In questo modo, sarebbe possibile rimpiazzare il non sempre chiaro ed univoco
concetto di qualità essenziale con un rigoroso accertamento quantitativo in ordine
all’entità dei valori di scambio.

- L’ERRORE DI CALCOLO
Questo errore non conduce in linea di principio all’annullamento del contratto ma
alla sua semplice rettifica; tranne che, concretandosi in errore sulla quantità sia
stato determinante del consenso. Secondo costante giurisprudenza l’errore di
calcolo può dar luogo a rettifica del contratto esclusivamente nel caso in cui venga
ad incidere nel processo stesso di computo, e non anche quando incida sulla
stessa determinazione dei parametri mediante i quali effettuare il calcolo.

- L’ERRORE NELLA DICHIARAZIONE


L’errore oltre che nel processo di formazione della volontà, può altresì venire ad
incidere nella dichiarazione o nella sua trasmissione. La rilevanza dell’errore nella
dichiarazione o nella sua trasmissione è subordinata alla sua riconoscibilità, con
conseguente maggior tutela dell’affidamento della controparte. L’errore ostativo ai
sensi dell’art. 1433 c.c. deve essere altresì essenziale.
All’errore nella dichiarazione è inoltre equiparato quello che è stato commesso in
sede di trasmissione.

- IL DISSENSO OCCULTO
Un tempo in dottrina prevaleva l’opinione che il dissenso, cioè il disaccordo tra i
contraenti circa il significato del contratto, comportasse nullità per carenza di
accordo tra le parti. Il dissenso veniva poi distinto in dissenso palese, in presenza
di una difformità già a livello di dichiarazione e in dissenso occulto quando pur in
presenza di un accordo formale tra le dichiarazioni delle parti si riferivano in realtà a
cose differenti. Nel caso in cui il dissenso rende difformi le stesse dichiarazioni
negoziali, il contratto può risultare nullo per carenza di un nucleo comune di
accordo. Nei casi viceversa di dissenso occulto prevale attualmente l’idea che il
contratto sia annullabile.

- ERRORE ED INTERPRETAZIONE
La disciplina dell’impugnazione del contratto per errore nella dichiarazione deve poi
in ogni caso essere coordinata in termini del tutto generali con la normativa in tema
di interpretazione del contratto. In queste condizioni il ricorso all’impugnazione del
contratto appare come una estrema ratio quando non sia possibile ricostruire
l’effettiva volontà delle parti. Si privilegia di conseguenza il ricorso
all’interpretazione correttiva del contratto. Risulta così precisato che in caso di
erronea formulazione o trascrizione del testo contrattuale non si realizza la
fattispecie dell’errore ostativo, dovendo prevalere sulla lettera del contratto la
comune volontà dei contraenti, desumibile sulla scorta delle trattative e di tutto il
materiale probatorio.

- RISCHIO LINGUISTICO E LINGUA STRANIERA


Il problema linguistico si pone maggiormente in caso di redazione del contratto in
lingua straniera. L’errore linguistico è stato inquadrato da parte della dottrina
tradizionale nell’ambito dell’errore ostativo con conseguente annullabilità del
contratto. Ove peraltro non risultino integrati gli estremi di un errore rilevante è
possibile inquadrare l’errore linguistico nella categoria degli errori incidenti, con la
possibilità di chiedere il risarcimento del danno per violazione dei doveri di buona
fede e correttezza ed in particolare dei doveri di informazione.
Salva ancora la possibilità di far prevalere in via interpretativa la comuno volontà
dei contraenti rispetto al tenore letterale delle dichiarazioni.

- LA RICONOSCIBILITA’ DELL’ERRORE
L’errore oltre che essenziale, deve essere anche riconoscibile da parte dell’altro
contraente. Il requisito della conoscibilità dell’errore è palesemente posto a tutela
del destinatario della dichiarazione.
La ratio è che se lo scopo perseguito dall’ordinamento è quello di evitare la
possibilità di errori al minor costo possibile, sarà in primo luogo possibile addossare
il rischio dell’errore sulla parte che lo ha commesso. Vi sono però anche casi in cui
il destinatario della dichiarazione è in una posizione migliore del dichiarante per
accertare la presenza dell’errore. Quando l’errore è facilmente riconoscibile, appare
giusto far gravare il rischio dell’errore sul destinatario della dichiarazione, ovvero
sulla parte che avrebbe potuto evitarlo al minor costo possibile. Se quindi l’errore è
facilmente riconoscibile, il principio dell’efficienza è una regola che impone una
responsabilità iniziale dell’errore sulla parte in errore ma che la sposti sull’altra
parte se questa è in grado di rendersene conto con facilità.
Il problema di scegliere se tutelare la volontà o l’affidamento potrebbe essere risolto
empiricamente considerando se è maggiore il danno che subirebbe l’errante della
conservazione del contratto o viceversa la controparte ove esso venisse caducato.
Ai sensi dell’art. 1431 c.c. l’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al
contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una
persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. Dalla lettera della norma
emerge che la riconoscibilità deve essere parametrata alle capacità di una persona
di media diligenza; nel senso che non rileva il fatto che un professionista o una
persona in possesso di conoscenze superiori alla media avrebbe potuto rilevare
l’errore.
Meno chiaro è come ci si debba regolare ogniqualvolta il destinatario della
dichiarazione sia in concreto un professionista, o un soggetto che in virtù della sua
competenza professionale ben avrebbe potuto rendersi conto dell’errore. Pare
senza dubbio preferibile parametrare il giudizio di riconoscibilità dell’errore
all’effettive capacità professionali del destinatario della dichiarazione alla luce della
rilevanza assunta dai doveri di buona fede.
In realtà quando si parla di errore comune si fa riferimento ad una pluralità di
fattispecie. Le parti possono aver semplicemente utilizzato una denominazione
errata per indicare il bene oggetto in via interpretativa facendo prevalere la comune
intenzione delle parti sul senso letterale delle parole. E cosi pure nel caso in cui le
parti siano incorse in meri errori materiali di dettatura, di copiatura o di grafia in
sede di redazione dell’atto. Se invece l’errore si riferiva all’identità stessa del bene
a cui si riferivano le parti, il contratto non potrà che essere irrimediabilmente nullo.
Ci si potrebbe domandare cosa succeda nel caso in cui il destinatario della
dichiarazione si sia reso conto che essa era affetta da un errore, ancorché non
riconoscibile. In dottrina è frequente l’affermazione in base alla quale l’errore
riconosciuto conduce sempre all’annullabilità del contratto, anche se non
astrattamente riconoscibile. In non aver palesato l’errore in cui si trovava l’altro
contraente può essere fonte di responsabilità precontrattuale nonché fonte di
annullamento del contratto in applicazione della normativa in tema di dolo.

- LA RETTIFICA DEL CONTRATTO


La parte in errore non può domandare l’annullamento del contratto se, prima che
ad essa possa derivarne pregiudizio, l’altra offre di eseguirlo in modo conforme al
contenuto e alle modalità del contratto che quella intendeva concludere (ex art.
1432 c.c.).
Alcuni autori facendo riferimento al pregiudizio che compare in questa norma erano
giunti alla conclusione che l’annullamento del contratto presupporrebbe la prova di
un pregiudizio. in realtà si tratta di una conclusione che non può essere accolta.
L’inciso “se prima che ad essa possa derivare un pregiudizio” serve solo a
delimitare nel tempo la probabilità dell’offerta di riduzione ad equità; che
ovviamente non potrà più avere luogo dopo che la parte in errore potrebbe
risultarne pregiudicata. Ovviamente il ricorso alla rettifica nel contratto non potrà più
aver luogo ogniqualvolta sia ormai venuto meno l’interesse della controparte
all’adempimento; o sia ormai intercorso un lasso di tempo eccessivo tenuto conto
delle circostanze. In termini del tutto generici la rettifica può operare con riferimento
a qualsiasi tipo di errore. Più discusso è se la rettifica possa operare anche con
riferimento agli altri vizi del consenso, come ad esempio il dolo, la violenza o
l’incapacità. Considerando il silenzio della legge è possibile ritenere che la
controparte abbia sempre la facoltà di fare un’offerta di riduzione del contratto ad
equità, ma che all’altra parte competa nel contempo la facoltà di decidere se
accertarla o meno; salvo in ogni caso l’eventuale risarcimento del danno ulteriore
nei casi di dolo o violenza.

Sezione quarta: IL DOLO


- IL DOLO RAGGIRO
In materia di vizi del consenso il termine dolo indica il comportamento di chi induce
altri a concludere un contratto con l’inganno. Il dolo che vizia il consenso può anche
essere qualificato raggiro. Il dolo raggiro vizia il consenso dell’altro contraente
facendolo cadere in errore. L’errore in questo caso non è spontaneo ma è
determinato dall’altrui condotta.
Errore indotto; in particolare in presenza di dolo raggiro viene meno il requisito
dell’essenzialità dell’errore; qualsiasi errore può condurre in concreto
all’annullamento del contratto. Ai fini dell’impugnazione non è necessaria la prova
del pregiudizio o della lesione subita dalla vittima del raggiro. Anche se ovviamente
nella stragrande maggioranza dei casi di dolo raggiro è altresì presente un
pregiudizio della vittima, il quale secondo la giurisprudenza ben può essere
considerato un fattore disvelatore del dolo stesso.

- L’ELEMENTO OGGETTIVO DEL RAGGIRO


Il dolo raggiro può consistere in linea di principio in qualsiasi condotta idonea a
trarre altri in inganno, sempre che provenga dall’altro contraente o da un terzo. Per
la verità un tale assunto non è del tutto pacifico, soprattutto in giurisprudenza dove
ci sono sentenze che precisano che il semplice mendacio o la reticenza non
sarebbero idonei da soli a consentire l’annullamento del contratto per dopo, ove a
tali comportamenti non si accompagnino vere e proprie macchinazioni finalizzate a
trarre in inganno la controparte. Tradizionalmente l’idea del dolo è strettamente
connessa a quella della machinatio.
A) In presenza di condotte complesse, vere e proprie macchinazioni, messe in
scena finalizzate a trarre in inganno, nessuno dubita che il contratto è suscettibile di
annullamento per dolo. Nei casi più gravi il dolo raggiro può altresì integrare gli
estremi del reato di truffa. Una soluzione diversa trova invece applicazione in
materia di circonvenzione di incapace, dove la giurisprudenza considera nullo e
non semplicemente annullabile il contratto.
B) Più controversa è la questione se anche una semplice menzogna possa ritenersi
sufficiente ai fini dell’annullamento del contratto. Pare preferibile ritenere che anche
la semplice menzogna non circostanziata, e cioè non accompagnata da
macchinazioni o messe in scena, possa assumere rilevanza ai fini
dell’annullamento del contratto ove in concreto sia stata determinante del
consenso.
Sarebbe infatti in contrasto con la regola della buona fede e con i più elementari
principi di correttezza, ritenere lecito indurre altri a concludere un contratto con
l’inganno.

- LA RETICENZA
Rilevanza del c.d. dolo omissivo. Ci si domanda se anche una semplice reticenza,
ovvero il non aver disvelato o comunicato circostanze che avrebbero impedito la
conclusione del contratto, possa assumere rilevanza ai fini del risarcimento del
danno e dell’annullamento del contratto per dolo raggiro.
Art. 1338 c.c. secondo cui la parte che, conoscendo o dovendo conoscere
l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra
parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato, senza sua
colpa, nella validità del contratto. In base all’opinione tradizionale la reticenza su
circostanze rilevanti ben può assumere rilevanza ai fini del risarcimento del danno,
ancorché nei limiti del solo interesse negativo. L’evoluzione dottrinale poi ha esteso
la rilevanza della reticenza su circostanze rilevanti anche ai sensi dell’art. 1439 c.c.
.
- L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL RAGGIRO
In base alla soluzione tradizionale il dolo raggiro deve essere intenzionale. In alcuni
casi la giurisprudenza ha addirittura equiparato l’elemento soggettivo del raggiro
civile e della truffa. Recentemente parte della dottrina ha messo in dubbio una tale
equiparazione, giungendo in termini del tutto generali ad attribuire rilevanza anche
al raggiro colposo. Si tratta di un’impostazione alla quale è possibile aderire ove si
consideri che, poiché il comportamento di chi raggira gli altri è altresì illecito, ne
consegue l’opportunità di equiparare il regime del raggiro colposo a quello
intenzionale.

- L’ANNULLAMENTO DELLA CONDOTTA A TRARRE IN INGANNO


A) La rilevanza del dolo è subordinata all’accertamento dell’idoneità dell’attività
illecita ad ingannare persone di normale avvedutezza; nel senso cioè che l’attività
ingannatoria non potrebbe assumere rilevanza ove la controparte avrebbe potuto
rendersi conto dell’errore usando l’ordinaria diligenza. Si ritiene che l’inganno possa
integrare gli estremi del dolo raggiro a prescindere da accertamenti circa l’idoneità
della condotta ad indurre in errore una persona sensata di media diligenza.
B) Materia del dolo omissivo; la giurisprudenza subordina infatti la rilevanza della
reticenza all’idoneità a trarre in inganno una persona di media diligenza. Ne
consegue quindi che potranno configurarsi doveri di informazione solo con
riferimento a quelle circostanze che la controparte non avrebbe potuto reperire con
l’ordinaria diligenza.

- IL DOLUS BONUS
Distinzione tra dolus malus e dolus bonus. Il dolo buono sarebbe costituito da
quelle vanterie che sono normali tra commercianti e come tali facilmente rilevabili
con l’ordinaria diligenza; si considerava infatti essere assente l’intenzione di
ingannare; ne conseguiva l’esclusione della possibilità di chiedere l’annullamento
del contratto in presenza di un raggiro non idoneo a trarre in inganno una persona
di media diligenza; salvo poi distinguerli se un tale accertamento dovesse essere
effettuato in concreto o in astratto. La più recente dottrina concorda nell’affermare
che l’espansione dei doveri di correttezza implica un progressivo restringimento del
campo di rilevanza del dolo.

- IL DOLO INCIDENTALE
Ex art. 1440 c.c. se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso il
contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni
differenti; ma il contraente in mala fede risponde dei danni. Anche la menzogna e la
reticenza possono integrare gli estremi del dolo incidentale. Il dolo incidentale, cioè
non determinante non consente di ottenere l’annullamento del contratto, ma solo il
risarcimento dei danni.

- IL RISARCIMENTO DEL DANNO


Il negozio è suscettibile di annullamento anche nel caso in cui sia astrattamente
vantaggioso per la vittima dell’inganno. Nulla impedisce inoltre all’ingannato di
limitarsi a chiedere il risarcimento del danno anche senza agire in annullamento.

- IL DOLO DEL TERZO


La rilevanza del dolo raggiro del terzo è subordinata ad un duplice ordine di
circostanze:
a) All’effettiva conoscenza dei raggiri posti in essere dal terzo da parte dell’altro
contraente;
b) ed al vantaggio che questi ne abbia tratto.
Il contraente ingannato potrà impugnare il contratto solo se la controparte è stata in
collusione con il terzo, o era comunque a conoscenza dell’inganno. La rilevanza del
dolo con il terzo è inoltre subordinata alla prova di un qualche vantaggio conseguito
dall’altro contraente. La dottrina nega la qualifica di terzo agli ausiliari del
contraente. Il terzo può in ogni caso essere tenuto a risarcire il danno e così pure il
contraente avvantaggiato ove fosse a conoscenza del raggiro.
Il dolo del terzo può inoltre consistere anche in una mera reticenza ove il terzo
nasconda volutamente circostanze che avrebbero inibito la conclusione del
contratto.

Sezione quinta: LA VIOLENZA


- LA VIOLENZA
Ai sensi degli artt. 1434-1438 c.c. anche la violenza può essere causa di
annullamento del contratto. Tradizionalmente la dottrina distingueva tra violenza
fisica e morale.
La violenza fisica avrebbe comportato la carenza di volontarietà dell’atto, con
conseguente nullità assoluta dello stesso.
La violenza morale sarebbe viceversa consistita in mere minacce, tali da mettere il
minacciato nell’alternativa tra concludere il contratto o subire il male minacciato. In
queste condizioni il contratto era considerato annullabile, dato che la volontà non
era carente ma viziata.
Da più parti si è rilevato come la distinzione possa ormai considerarsi superata. La
dottrina moderna preferisce distinguere tra violenza assoluta e relativa, a seconda
che venga esclusa o soltanto limitata la libera determinazione della volontà.

- LA MINACCIA
La fattispecie civile è più ampia di quella penale, con la conseguenza che la
violenza può essere accertata anche in caso di assoluzione. In base a quanto
stabilisce l’art. 1435 c.c. la minaccia per poter assumere rilevanza deve essere di
tal natura da fare impressione ad una persona sensata.
Il legislatore ha optato per una valutazione in base a criteri oggettivi dell’astratta
idoneità della minaccia a incutere timore su di una persona sensata. Questo criterio
oggettivo però ‘ attenuato grazie al riferimento all’età, al sesso ed alla condizione
delle persone.
Il giudizio deve pertanto essere parametrato con riferimento alla specifica categoria
di soggetti a cui appartiene il minacciato. Se quindi il soggetto ha avuto timore, ma
la minaccia non era tale da incuterlo in una persona sensata dello stesso sesso,
età e condizione, il contratto non potrà essere impugnato.
La minaccia può concernere la persona stessa del minacciato ed i suoi beni e così
pure la persona od i beni del coniuge del contraente, di un suo discendente o
ascendente. Se invece il male minacciato riguarda altre persone, l’annullamento del
contratto è rimesso alla prudente valutazione delle circostanze da parte del giudice.
La minaccia può inoltre non solo riguardare, ma anche essere rivolta ad un terzo.
La minaccia può estrinsecarsi mediante parole, scritti, gesti.
La minaccia non deve peraltro essere assolutamente esplicita ed evidente; in
giurisprudenza di è parlato di minaccia circospetta e discreta. La minaccia può
anche essere implicita e desunta dal comportamento tenuto in circostanze
analoghe dal minacciante. La minaccia può consistere in un unico atto minaccioso,
o anche in una serie di atti non necessariamente concomitanti con la conclusione
del contratto viziato; non si richiede la prova della contestualità tra la minaccia e la
conclusione del contratto. In assenza di minaccia o intimidazione proveniente
dall’esterno il contratto non può essere annullato per violenza, ancorché in concreto
il soggetto abbia avuto timore o si sia sentito minacciato (metus ab intrinseco).
Parimenti in assenza di minaccia, il c.d. timore reverenziale non può assumere
rilevanza ai fini della caducazione del contratto.
La generale irrilevanza del c.d. timore reverenziale subisce una deroga in materia
matrimoniale dove assumono rilevanza ai fini dell’annullabilità sia la minaccia, che il
timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo. In ogni caso
se la controparte approfitta in mala fede del timore reverenziale o del timore di fatti
inconsistenti o immaginari, si può ritenere che il contratto sia suscettibile di
impugnazione.

- L’INGIUSTIZIA DEL MINACCIATO


L’oggetto della minaccia deve essere un male ingiusto e notevole. Centrale ai fini
dell’interpretazione di questa disposizione appare il requisito dell’ingiustizia del
danno. La minaccia può non assumere rilevanza nel caso in cui il male minacciato
non sia ingiusto. L’art. 1438 c.c. sanziona la minaccia di far valere un diritto.
Il male appare ingiusto quando esso comporta la comminazione di qualche forma di
sanzione prevista dall’ordinamento; quindi non solo i danni di natura fisica alle cose
ed alle persone, ma anche i danni di natura patrimoniale nei casi in cui è possibile
ottenere il risarcimento appaiono ingiusti.

- L’ELEMENTO OGGETTIVO DELLA MINACCIA


Domandati se l’ingiustizia del male minacciato assuma rilevanza di per sé, o se
viceversa debba accompagnarsi all’effettiva consapevolezza e coscienza del male
medesimo. Prevale l’opinione che la minaccia possa assumere rilevanza solo nel
caso in cui sia qualificata dall’elemento soggettivo.

-LA MINACCIA DI FAR VALERE UN DIRITTO


In base a quanto stabilisce l’art. 1438 c.c. la minaccia di far valere un diritto può
essere causa di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire
vantaggi ingiusti.
Centrale appare il concetto di vantaggio ingiusto. Secondo un’autorevole dottrina
l’ingiustizia del vantaggio dovrebbe ravvisarsi nel carattere esorbitante del
vantaggio stesso rispetto al contenuto del diritto che viene esercitato. In base ad un
secondo filone interpretativo determinante ai fini dell’accertamento dell’ingiustizia
del vantaggio sarebbe lo squilibrio tra le prestazioni convenute.
Si considera come sebbene la presenza di una lesione, e cioè di uno squilibrio tra
le prestazioni sia molto spesso associato ad un vizio del consenso, può anche
capitare che la minaccia venga esercitata al fine di indurre uno scambio non
desiderato, ancorché a condizioni eque; nei casi così l’ingiustizia del vantaggio
consisterà nel carattere esorbitante di quanto ottenuto rispetto al contenuto ed alle
finalità del diritto in questione.

Sezione sesta: LO STATO DI NECESSITÀ E DI BISOGNO


- IL CONTRATTO CONCLUSO IN STATO DI PERICOLO
Il legislatore si occupa in primo luogo del contratto concluso in stato di pericolo (art.
1447 c.c.).
Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la
necessità nota alla controparte, di salvare se o gli altri dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona, può essere rescisso sulla domanda della parte che si è
obbligata. Gli elementi costitutivi della fattispecie sono tre: a) lo stato di pericolo, b)
l’iniquità delle condizioni, c) la mala fede dell’altro contraente.

- LO STATO DI PERICOLO
Lo stato di pericolo fa riferimento ad una situazione di pericolo oggettivo per
l’incolumità fisica del contraente o di altre persone. Il legislatore non definisce
direttamente le caratteristiche, nonché l’intensità dello stato di pericolo; salva la
precisazione che il pericolo deve essere attuale e non potenziale. In particolare
occorre chiarire se la situazione deve risultare pericolosa sulla base di una
valutazione oggettiva o anche solo oggettiva. Tenuto conto che il legislatore precisa
che deve trattarsi di un pericolo di danno grave alla persona, la valutazione in
conformità al disposto ex. Art. 1435 c.c. ai sensi del quale occorre aver riguardo
all’età, al sesso e alla condizione delle persone.
Il pericolo deve comunque riguardare una persona, non importa se quella del
contraente o di terzi; a questi fini non sarebbe sufficiente un pericolo di danno alle
cose. Non importa la causa del pericolo, che può essere determinato da cause
naturali o dall’uomo; non importa che il pericolo fosse evitabile o che il soggetto si
sia messo da solo in difficoltà.
Nel caso in cui lo stato di pericolo sia stato causato volontariamente da un terzo per
indurre la controparte a concludere il contratto, si ricade però nella disciplina della
violenza. Più controversa è la rilevanza del c.d. stato di pericolo putativo; quando
cioè il contratto viene concluso a condizioni inique perché si ritiene erroneamente di
essere in pericolo. La dottrina a proposito appare divisa; secondo alcuni lo stato di
bisogno putativo non assume in linea di principio rilevanza ai fini della rescissione,
salva secondo alcuni la possibilità di impugnare il contratto per errore. Secondo altri
non è viceversa possibile effettuare una distinzione tra stato di pericolo reale e
putativo.
In realtà, se scopo dell’ordinamento è quello di evitare che una parte approfitti di
una situazione di debolezza altrui, non vi è motivo per distinguere a seconda che lo
stato di pericolo sia reale o putativo.

- L’INIQUITA’ DELE CONDIZIONI


Il secondo presupposto è costituito dall’iniquità delle condizioni. Il legislatore non
precisa in quali casi il contratto sa stato concluso a condizioni inique.
Secondo Mirabelli, il concetto di equità non deve essere inteso soltanto in senso
rigorosamente economico di equilibrio tra le prestazioni, ma anche in senso morale;
in questa prospettiva si apre la possibilità di considerare iniquo anche un contratto
le cui prestazioni appaiono equilibrate sul piano economico, ma che impone al leso
l’adempimento di una prestazione che in condizioni normali non avrebbe accettato.
In dottrina vi è un accordo sul fatto che iniquità delle condizioni significa in primo
luogo squilibrio tra le prestazioni; salva la precisazione che lo squilibrio può essere
non solo economico, ma anche normativo.
Poiché il legislatore non precisa l’entità dello squilibrio è inoltre da ritenere che non
occorra necessariamente che si tratti di uno squilibrio di notevole entità; con la sola
precisazione che deve comunque trattarsi di uno squilibrio di entità tale da ritenersi
determinante del consenso.

- LA MALA FEDE DELL’ALTRO CONTRAENTE


L’ultimo presupposto è costituito dalla mala fede dell’altro contraente. In particolare
si parla di “necessità nota alla controparte”. L’inciso chiarisce che ai fini
dell’applicabilità della norma si richiede una conoscenza effettiva; la mera
conoscibilità o riconoscibilità dell’altrui situazione di svantaggio non è sufficiente ad
integrare gli estremi della fattispecie.
Problema: in che modo possa essere provato il requisito della mala fede del
contraente?
È possibile ritenere che la mala fede possa essere provata anche per presunzioni.
In altre parole, specie in presenza di un forte squilibrio tra le prestazioni, è possibile
presumere la mala fede dell’altro contraente.

- LA RESCISSIONE PER LESIONE


La seconda figura è la rescissione per lesione. Ex art. 1448 c.c. se vi è
sproporzione tra le prestazioni di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è
dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne
vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto.
Tre presupposti: a) lo stato di bisogno, b) la lesione, c) l’approfittamento; tenuto
conto anche del breve termine annuale di prescrizione.

- LO STATO DI BISOGNO
L’art. 1448 c.c. subordina la rescindibilità del contratto alla prova dello stato di
bisogno del contraente leso. Il legislatore non precisa cosa si intenda per stato di
bisogno, ed in particolare quali siano i bisogni che possono assumere rilevanza a
questi fini. Tradizionalmente ci si è sempre ricondotti ad una condizione di difficoltà
economica, tale da indurre il leso a concludere il contratto a condizioni inique. In
tempi più recenti non occorre un vero e proprio stato di indigenza economica, ma è
sufficiente anche una condizione momentanea di carenza di liquidità, tale da
indurre il leso ad accettare condizioni inique. Lo stato di bisogno può inoltre
concernere anche altre persone. In caso di rappresentanza o di amministrazione di
patrimoni altrui, lo stato di bisogno ovviamente deve essere valutato con esclusivo
riferimento alla persona del rappresentato o al patrimonio amministrato.
Dubbi sorgono sullo stato di bisogno putativo; pare preferibile considerare
rescindibile il contratto anche in questi casi, sempre che siano presenti gli altri
requisiti dell’azione.
Il problema è se ai fini della rescissione possa assumere rilevanza un qualsiasi
bisogno dell’uomo, o se viceversa a questi fini il concetto di bisogno debba essere
inteso in senso restrittivo.
Un altro problema connesso è se il concetto di bisogno debba essere inteso in
senso oggettivo, o anche soggettivo; non è infatti difficile rendersi conto che quello
che può apparire come un bisogno impellente per alcuni, non necessariamente lo è
anche per altri. Il bisogno può essere fisico, economico, non patrimoniale; ancora
può essere futile. Il bisogno di denaro può anche essere finalizzato a soddisfare
esigenze turpi o vietate dalla legge. Tuttavia proseguendo in questa direzione si
giungerebbe ad azzerare il requisito dello stato di bisogno; qualsiasi bisogno
potrebbe assumere rilevanza; e poiché non vi è contratto che non venga concluso
per soddisfare un bisogno, ne conseguirebbe la possibilità di impugnare
qualsivoglia contratto sulla base del solo dato oggettivo della presenza di una
lesione.
Un altro criterio potrebbe consistere nel distinguere a seconda della natura delle
spese che si intende effettuare; si avrebbe quindi stato di bisogno solo quando
devono essere effettuate spese necessarie e non anche utili o voluttuarie.
In realtà una prima distinzione che è possibile effettuare p quella tra a) contratti
finalizzati a procurarsi denaro liquido, e b) contratti direttamente finalizzati ad
acquistare beni o servizi di cui si ha bisogno.
a) La giurisprudenza è costante nell’affermare che lo stato di bisogno si ravvisa
normalmente nei casi di difficoltà economica, o anche solo di momentanea carenza
di liquidità.
Occorre in ogni caso effettuare una verifica sotto il profilo della tipologia dei bisogni
che si intendono soddisfare per il tramite del denaro che ci si è procurati con il
contratto lesionario.
b) Diversi sono i casi in cui viene acquistato direttamente a prezzo esorbitante un
bene della vita di cui si ha bisogno.
Un primo problema consiste nel distinguere quando il contratto è stato volutamente
concluso a condizioni svantaggiose, e quando viceversa è frutto di lesione.
La presenza di uno squilibrio tra le prestazioni non è di per sé indice del carattere
lesionario del contratto; lo squilibrio può infatti essere dovuto ad un intento liberale
del contraente o essere frutto dei normali meccanismi del mercato.
La dottrina concorda che lo stato di bisogno non si ravvisa esclusivamente nei casi
di difficoltà economica, ancorché estesi alla momentanea carenza di liquidità; e
come pertanto possa attribuirsi rilevanza anche a bisogni di natura patrimoniale o
soggettiva.
A questo punto le vie astrattamente percorribili appaiono due:
a) continuare in questa direzione fino a considerare rilevante qualsiasi tipo di
bisogno, con la conseguenza di azzerare il requisito dello stato di bisogno ex art.
1448 c.c.;
b) o viceversa selezionare i bisogni sulla base della loro meritevolezza; in questa
prospettiva, appurato che non debba essere necessariamente economico,
permane la necessità di effettuare un riscontro sotto il profilo della meritevolezza
dell’interesse perseguito.
- LA LESIONE
Il legislatore parla in materia di rescissione di sproporzione tra le prestazioni;
precisando che deve trattarsi di una sproporzione ultra dimidium.
Cosa si intende per squilibrio tra le prestazioni?
Occorre procedere con un calcolo del valore oggettivo di ciascuna prestazione, in
modo tale da poterle confrontare. Quello che rileva è il valore inteso in senso
oggettivo.
Come si fa ad accertare il valore oggettivo di ogni singola prestazione? Occorre far
riferimento ai valori di mercato; è però più che ovvio che per ciascun bene esistono
pluralità di mercati.
Il problema deve essere risolto facendo riferimento ai prezzi concorrenti nel tempo
e nel luogo in cui è stato concluso il contratto. L’art. 1448, comma 3 c.c. precisa
ulteriormente che la lesione permanga fino al tempo di proposizione della
domanda; non è sufficiente che la lesione sussista al tempo di proposizione della
domanda.
Ci si è domandati se un’eventuale riduzione della lesione al di sotto della soglia
dell’ultra dimidium precluda o meno il ricorso alla rescissione. Prevale l’opinione
che il contratto sarà rescindibile anche nel caso in cui vi sia un abbassamento della
lesione al di sotto dell’ultra dimidium, purché permanga uno squilibrio tra le
prestazioni di entità superiore all’alea normale del contratto.

- L’APPROFITTAMENTO
Il terzo requisito della rescissione è l’approfittamento dell’altrui stato di bisogno. Si
tratta di un requisito posto a tutela dell’affidamento del destinatario della
dichiarazione.
Cosa si intende per approfittamento? Un tempo, sulla scorta di Mirabelli, si
richiedeva la prova specifica di un comportamento attivo della controparte
finalizzato ad indurre il leso a concludere il contratto a condizioni inique. Ma in
seguito si è consolidata la soluzione che ai fini dell’esperibilità dell’azione di
rescissione non occorre la prova di alcun comportamento attivo da parte del
soggetto avvantaggiato.
Aperta resta invece la questione se sia sufficiente la semplice consapevolezza
dell’altrui stato di bisogno o si richieda la prova specifica della volontà di
approfittarne. Sembra preferibile limitarsi a richiedere la conoscenza del carattere
lesionario del contratto. Semmai il problema sarebbe se a questi fini sia richiesta
un’effettiva conoscenza o sia sufficiente anche la conoscibilità del vizio che inficia il
contratto.
Poiché il codice parla di approfittamento e il fatto dell’approfittamento implica per lo
meno una conoscenza effettiva, occorre ritenere che non sia sufficiente la mera
conoscibilità del carattere lesionario del contratto. La presenza di uno squilibrio
ultra dimidium tra le prestazioni ben può far presumere l’approfittamento.

- L’OFFERTA DI RIDUZIONE AD EQUITA’


In presenza di una lesione, la risoluzione del contratto non è scontata; il legislatore
consente alla controparte di paralizzare la domanda attrice per il tramite di
un’offerta di riduzione ad equità.
Dubbi sorgono sull’esatta natura di questo istituto. Secondo alcuni l’offerta di
riduzione ad equità poteva essere assimilata ad un’offerta contrattuale rivolta alla
controparte, la cui accettazione avrebbe comportato modifica del contratto
originario. Secondo un altro filone interpretativo l’offerta sarebbe stata un vero e
proprio atto processuale indirizzato al giudice. Ancora, secondo una variante,
sarebbe stato necessario distinguere a seconda che l’offerta avesse avuto luogo al
di fuori o nell’ambito del processo; nel primo caso si sarebbe trattato di una
normale proposta contrattuale; nel secondo cado in un atto di natura processuale
rivolto al giudice. Ma tutte queste soluzioni non possono essere accolte. Gli autori
che hanno approfondito la questione concordano che l’offerta di riduzione ad equità
non costituisce una proposta contrattuale, né tanto meno una domanda
processuale; si tratta piuttosto dell’esercizio di un vero e proprio diritto potestativo
che l’ordinamento riconosce alla controparte. Ne conseguono due conseguenze
fondamentali:
a) l’offerta di riduzione ad equità, non essendo una proposta contrattuale, non deve
essere accettata; essa produce effetto indipendentemente dal consenso della
controparte;
b) inoltre, ove l’offerta presenti i requisiti previsti dalla legge, la riduzione ad equità
ha luogo in modo automatico, a prescindere da una pronunzia del giudice.
Nonostante l’offerta, può sorgere il dubbio tra le parti circa la sua idoneità o meno a
ricondurre il contratto ad equità, con conseguente ricorso al giudice; il quale si
limiterà però ad accertare l’idoneità dell’offerta a ricondurre ad equità il contratto
con una sentenza di accertamento.
L’offerta non richiede formalità particolari; salvo che abbia luogo nell’ambito di un
atto processuale, nel qual caso dovrà rivestire la forma scritta.
In dottrina ha dato luogo a discussioni se l’offerta debba essere tale da eliminare
del tutto lo squilibrio tra le prestazioni, o se viceversa possa evitare la rescissione
anche un’offerta che riduca sensibilmente lo squilibrio senza però eliminarlo del
tutto. Sembra preferibile ritenere che sia sufficiente che il contratto venga
comunque ricondotti “ad equità” a prescindere da un accertamento matematico del
valore delle reciproche prestazioni.

-I CONTRATTI USURARI
La l. 108/96 ha configurato due ipotesi di reato: una a carico di chi si fa dare o
promettere interessi o vantaggi usurari, entro un limite fissato per legge; l’altra nei
confronti di chi, al di sotto della soglia legale, si fa dare o promettere vantaggi o
compensi che “risultano sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra
utilità, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica
o finanziaria”.
Secondo taluni, la rescissione sarebbe ancora l’unico rimedio nei confronti del
contratto usurario; altri si interrogano sulla nullità di tale contratto alla luce delle
nuove disposizioni di legge.
In passato, si escludeva tale forma di invalidità per una serie di motivazioni: da un
lato si rifiutava ogni automatismo fra norma penale e invalidità del negozio,
dall’altro era recepita la distinzione elaborata dalla dottrina penalistica fra reato-
contratto, che vieta il negozio e punisce il comportamento di entrambe le parti, e
reato in contratto, ove è sanzionato il contegno di una sola parte; e in quest’ultimo
caso la nullità non sarebbe stata affatto scontata.
Secondo questa linea costruttiva il negozio usurario non poteva essere nullo
perché era chiara l’intenzione della legge (anteriore) di colpire l’approfittamento di
un soggetto, e perché la figura della rescissione era un chiaro indizio della volontà
di apprestare all’iniquità un rimedio diverso dalla nullità.
La nuova disciplina pone fortemente in dubbio tale conclusione: nel testo si elimina
il requisito soggettivo dell’approfittamento e sono punite non solo le richieste di
interessi o di altri vantaggi usurari, ma anche la richiesta di vantaggi per ottenere
altra utilità in presenza di una sproporzione e di una difficoltà economica o
finanziaria della vittima.
In quest’ultima ipotesi non è applicabile l’art. 1448 c.c. qualora difetti la lesione
enorme e l’approfittamento, e si pone il problema dell’applicabilità dell’art. 1418 c.c.
La soluzione affermativa appare preferibile perché la norma penale non vieta solo
un contegno di un contraente, ma vuole impedire “sempre e comunque di
realizzare un determinato assetto di interessi”, sicché è difficile non ipotizzare una
contrarietà del contratto usurario con la norma imperativa penale e una
conseguente nullità.

Sezione settima: I NUOVI VIZI DEL CONSENSO


- L’abuso di posizione dominante
Quando una impresa abusa della propria posizione dominante sfruttando a proprio
vantaggio una potenza economica tale da essere in grado di impedire od
ostacolare il persistere di concorrenza effettiva sul mercato, in quanto essa si trova
nella condizione di poter significativamente agire in modo del tutto indipendente
rispetto ai propri concorrenti, clienti e consumatori. La fattispecie trova la propria
principale fonte di regolamentazione nell'art. 102 del TFUE. Il nostro legislatore ha
dando attuazione alla direttiva attraverso l'introduzione nel nostro ordinamento
del D.lgs.19 gennaio 2017, n. 3, riconosce il diritto al risarcimento in favore di
chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della
concorrenza da parte di un'impresa o di un'associazione di imprese. Il risarcimento
del danno deve comprendere il danno emergente, il lucro cessante oltre agli
interessi e non determina sovracompensazioni.

- La dipendenza economica
È vietato l'abuso da parte di una o più imprese, dello stato di dipendenza
economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o
fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia
in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo
squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto
anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul
mercato alternative soddisfacenti. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di
vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali
ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle
relazioni commerciali in atto.
Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo. Il
giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di
dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni.
L'Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un
abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e
del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri
poteri di indagine ed esperimento dell'istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni
previste dall'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti
dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso.

- Il conflitto di interessi
Si verifica quando il rappresentante conclude un contratto con il quale persegue
un interesse proprio o di altro soggetto (terzo) incompatibile con l’interesse del
rappresentato, in modo che all’utilità conseguita dal rappresentante per sé
medesimo o per il terzo, segua o possa seguire il danno del rappresentato.
Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato può
essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o
riconoscibile dal terzo con l’ordinaria diligenza.

- La pubblicità ingannevole, comparativa, indiretta, occulta, subliminale


Pubblicità ingannevole: qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, sia idonea ad
indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa
raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro
comportamento economico ovvero che sia idonea ledere un concorrente.
Pubblicità comparativa: ammessa nel nostro ordinamento con lo scopo di favorire il
consumatore; il codice definisce la pubblicità comparativa come:
qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o
beni o servizi offerti da un concorrente
Condizioni di liceità della pubblicità comparativa: si risolvono, in pratica, nella
necessità che la pubblicità comparativa non ingeneri confusione e non getti
discredito sul concorrente, oltre a non essere ingannevole.
Il codice disciplina, inoltre, la c.d. pubblicità occulta e subliminale, quest'ultima
esplicitamente vietata in ogni sua forma.
La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale ed è quindi
pubblicità occulta la ostentazione di marchi o prodotti che spesso si vede in film e
spettacoli televisivi.
Contro la pubblicità ingannevole è possibile rivolgersi alla Autorità garante della
concorrenza e del mercato che è compente a decidere i ricorsi contro l'operatore
pubblicitario della pubblicità ingannevole. L'Autorità possiede ampi poteri potendo
giungere a sospendere e poi vietare il messaggio ingannevole oltre ad irrogare
notevoli sanzioni al trasgressore. Il giudice ordinario conserva invece la sua
competenza in materia di atti di concorrenza sleale, nonché, per quanto concerne
la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul
diritto d'autore e del marchio d'impresa nonché delle denominazioni di origine
riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi
concorrenti.
- IL CONTRATTO ALIENO
Contratto il cui contenuto è ragguagliato al contratto “straniero”, che però è
regolato dal diritto italiano.
Il contratto alieno riguarda principalmente la cessione di partecipazione, anche di
controllo, societarie.

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