Sei sulla pagina 1di 15

lOMoARcPSD|5509640

SE Questo E' UN'UOMO riassunto capitolo per capitolo

Scienze della comunicazione (Università degli Studi di Firenze)

StuDocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo.


Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)
lOMoARcPSD|5509640

Primo Levi "Se questo è un uomo"


Nel primo capitolo Primo Levi racconta le circostanze della sua cattura il 13 dicembre 1943, da parte della
Milizia fascista, insieme ad altri ebrei. Levi viene quindi rinchiuso nel campo di internamento di Fossoli,
vicino a Modena, dove venivano convogliate tutte le persona non gradite al governo fascista, primi fra tutti
gli ebrei che in breve tempo passarono da 150.000 persone a oltre 600.000. Il 21 febbraio del 1944 nel
campo trapela la notizia dell’immediato trasferimento, per ordine dei nazisti, di tutti gli ebrei, anche bambini,
vecchi e malati, in un campo di concentramento nazista. L’ultima notte viene vissuta tragicamente nella
consapevolezza dell’infausto destino che li aspetta, ognuno reagendo a proprio modo, piangendo, pregando,
ubriacandosi, ecc.; solo le madri si organizzano per sbrigare i preparativi di viaggio e per poter assicurare ai
propri figli il cibo, i vestiti puliti e i giocattoli di cui necessitano abitualmente. All’alba, dopo l’appello dei
nazisti e la conta dei pezzi da trasferire, vengono fatti tutti salire alla stazione di Carpi su un treno di 12
vagoni merci piombati, le cosiddette tradotte, in cui vengono stipati, compressi come bestie, 650 persone. E’
la prima occasione in cui si rivela la violenza gratuita e fredda dei nazisti che, in Primo Levi , suscita uno
stupore profondo che fa porre all’autore da domanda “come si può percuotere un uomo senza collera?”.
Soltanto alla sera, dopo un’intera giornata con i deportati segregati dentro ai vagoni, il treno viene fatto
partire. Il viaggio è molto lungo e lento intervallato da soste infinite. Ad ogni fermata, i deportati attraverso
le fessure dei vagoni chiedono pietosamente da bere, da mangiare, un pugno di neve ma i soldati di scorta
impediscono a chiunque di avvicinarsi. I prigionieri vengono trasportati in treno fino in Polonia,
attraversando prima il Brennero e poi l’Austria. Già in Austria più nessuno di loro cerca di comunicare con
l’esterno; tra i deportati predomina ormai lo sconforto. Alla quarta notte il convoglio si arresta in mezzo alla
campagna deserta, i prigionieri vengono fatti scendere su una banchina illuminata da riflettori, sembrano
ombre e sotto lo stretto controllo dei soldati nazisti, di cui non comprendono la lingua, vengono divisi in base
all’età e alle condizioni fisiche. Chi indugia viene ucciso all’istante: è il caso di Renzo che troppo a lungo si
intrattiene a salutare la fidanzata Francesca e per questo gli viene sparato in faccia. Tutti gli uomini validi
utili al lavoro vengono radunati in un gruppo e separati da tutti gli altri. Il gruppo è composto da novantasei
uomini e ventinove donne e vengono destinati ai campi di lavoro di Monowitz e Birkenau, mentre tutti gli
altri, oltre cinquecento tra donne, anziani e bambini, vanno alla morte. E’ in questo frangente che i deportati
entrano in contatto con gli altri prigionieri da tempo detenuti nei campi, Levi li descrive come automi sporchi
e malvestiti, ombre di se stessi, intenti ad armeggiare con i bagagli; l’autore intuisce che quella è ciò che lo
attende. I selezionati salgono su degli autocarri dove vengono confiscati loro tutti gli averi per una iniziativa
personale del nazista di guardia che gli fa capire che tanto non ne avranno più bisogno. Levi citando Dante
paragona la guardia tedesca a Caronte, come questi per traghettare le anime all’inferno chiedeva una moneta
così l’aguzzino tedesco si appropria degli oggetti di valore dei prigionieri. Il capitolo secondo descrive
l’arrivo dei deportati nel campo di Buna-Monowitz, vicino ad Auschwitz. L’autocarro con i prigionieri si
ferma, dopo un breve viaggio di una ventina di minuti davanti ad un cancello con la scritta “Il lavoro rende
liberi” (Arbeit macht frei). I deportati vengono fatti scendere ed entrare in una camera poco riscaldata e con
un rubinetto dal quale non si può bere, in quanto l’acqua è inquinata. I prigionieri sono assetati, dopo quattro
giorni di viaggio in cui non gli è stato dato nulla da bere, è una vera tortura. Nella stanza entra infine una SS
(un soldato nazista) che inizia a dare ordini in tedesco, tradotti da un interprete che fa parte del gruppo dei
deportati: “ Bisogna mettersi in fila…, spogliarsi…, togliersi le scarpe..." Viene raccomandato di fare
attenzione di non farsi rubare le scarpe ma poi tutte le scarpe accumulare in un angolo vengono scopate via e
mescolate in un mucchio. Quattro uomini con rasoio, pennelli e tosatrici, vestiti con pantaloni e giacche a
righe con un numero cucito sul petto entrano e radono e tosano tutti. I deportati, tutti nudi e tosati, vengono
portati in una sala docce fredda in cui rimangono per un certo lasso di tempo con i piedi immersi nell'acqua
senza che succeda nulla. E allora cominciano a domandarsi che sarà di loro, dove sono gli altri, le donne, i
bambini, se mai li rivedranno, perché vengono fatti stare tutti nudi in quella stanza, perché non gli vengono
date spiegazioni. Vengono zittiti con brutalità dal maresciallo delle SS attraverso la traduzione dell’interprete
a cui le parole cattive che è costretto a tradurre danno disgusto . Tutte queste operazioni avviliscono e
mortificano i prigionieri e sono volte ad annullare l’umanità dei deportati già al loro arrivo al campo . Entra
nella stanza un detenuto con la divisa a righe che con un italiano stentato e con accento straniero spiega ai
deportati che si trovano nel campo di lavoro di Monowitz in una fabbrica di gomma che si chiama la Buna
che dà il nome al campo, che presto gli verrà fatta la doccia e la disinfezione e gli saranno dati scarpe e
vestiti come i suoi e che tutti dovranno lavorare nella fabbrica. L’uomo risponde alle domande che gli
vengono poste, ma non a tutte, e fa sapere che è entrato lì di nascosto perché “ha un po’ di cuore” e perché
gli sono simpatici gli italiani. Egli fugge appena sente il suono di una campana. Dalle docce inizia allora a
scorrere acqua bollente, ma subito dopo tutti vengono cacciati con urla e spintoni nella camera vicina, che è

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

gelida e gli vengono forniti stracci e scarpe. I deportati raggiungono, infine, nudi correndo nella neve un’altra
baracca dove viene loro concesso di vestirsi. Primo Levi fa una riflessione sull'aspetto miserabile dei suoi
compagni e suo, si pone l’interrogativo se possano definirsi uomini questi prigionieri privati di tutto e resi
incapaci di difendersi e reagire. L’opera di annientamento di ogni forma di dignità fisica e morale dei
prigionieri viene completata negando loro anche il nome sostituito da un numero tatuato sul polso sinistro. Il
nome di Primo Levi è adesso: 174 517, e solo mostrando questo numero egli può ricevere pane e zuppa. A
fine della prima lunghissima giornata i prigionieri vengono infine radunati e contati in un vasto piazzale al
centro del campo dove rimangono poi in sosta in piedi per un’altra ora finchè, accompagnati dalla musica
allegra di una fanfara che suona Rosamunda ed altre marce, arrivano nel piazzale anche i deportati che fino
allora erano stati al lavoro, camminando “come fantocci rigidi fatti solo di ossa”. Il primo contatto di Levi
con gli altri prigionieri del campo è con un giovanissimo ebreo-polacco, Schlome, sedicenne, già recluso da
tre anni, che gli pone alcune domande e gli raccomanda di resistere alla sete e non bere fino alla sera.

Vi è una gerarchia che distingue tre tipologie di prigionieri:

1. i criminali, identificati  con un triangolo verde,

2. i politici che invece hanno un triangolo rosso,

3. gli ebrei, ed hanno la stella ebraica rossa e gialla come segno di riconoscimento.

Nel campo vigono regole ferree e complicate a cui attenersi. Queste regole, apparentemente assurde, sono
volte a privare con ferocia i prigionieri della dignità umana. L’organizzazione del lavoro mira a sfruttare il
più possibile i deportati, chi non ce la fa muore.

Levi da subito capisce che l’unico modo per sopravvivere è seguire le regole del campo, evitare questioni,
rispondere sempre “ Jawohl”, fingere sempre di aver capito e non fare mai domande, rimanere sempre
all’erta, tenere sempre d’occhio le proprie cose e tenere conto che qualsiasi oggetto può essere utile.

In queste condizioni assurde di vita gli uomini si dividono tra pessimisti e ottimisti, ovvero tra:

• coloro che credono che ormai tutto sia perduto,

• e chi invece, nonostante le condizioni disumane di vita, continuano a sperare che ci sia una via di salvezza.

Capitolo terzo, Levi viene assegnato, dopo vari trasferimenti, al Block 30, ad una cuccetta in cui dorme già
un altro prigioniero, Diena, che lo accoglie cordialmente facendogli posto.

Inizia così la vita da deportato per Primo Levi che si trova ad affrontare due problemi fondamentali:

1. il problema della lingua, considerato che il lager è abitato da una marea di persone che parlano lingue
diverse e non è facile capirsi. Anche gli ordini e le minacce vengono urlati in lingue sconosciute e per chi
non capisce al volo sono botte e punizioni;

2. il problema del cibo che consiste nella distribuzione di una zuppa e del pane, un “ sacro blocchetto grigio
che sembra gigantesco in mano del tuo vicino, e piccolo da piangere in mano tua”.

La notte di Levi è agitata e abitata da sogni cupi e angosciosi. All’alba le luci si accendono e tutti si agitano,
vestendosi frettolosamente e correndo alle latrine e al lavatoio per poter arrivare per primi alla distribuzione
della razione quotidiana di pane.

L’igiene nel campo scarseggia.


Il lavatoio, decorato da grandi affreschi didascalici che fungono da monito a lavarsi e ad avere cura di sé, è in
realtà un luogo immondo e dal cattivo odore, il pavimento è coperto di fanghiglia, dai lavandini scorre
un’acqua torbida, maleodorante e non potabile, è praticamente inutile ai fini di una effettiva igiene. Infatti
pochi in quelle condizioni mantengono la voglia di pulizia ed anche Levi, dopo solo una settimana di
prigionia, considera il lavarsi come un inutile spreco di energia e completamente inefficace.

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

Nonostante ciò c’è chi insiste a mantenere l’abitudine di lavarsi come Steinlauf. Steinlauf nonostante
l’inutilità dell’azione è intento a strofinarsi vigorosamente senza sapone e con ben scarsi risultati. Egli si
rivolge a Levi chiedendogli perché non si voglia lavare e gli ricorda che smettere di aver cura di sé equivale
a cominciare a morire ed a fare il gioco del Lager, ridurre l’uomo a bestia. Aver cura della propria igiene,
anche se inutile, è un modo per reagire e sopravvivere, sopravvivere per testimoniare e per affermare la
propria dignità.

Quarto capitolo, Il tempo scorre tutto uguale nel Lager popolato da persone segregate in un ambiente
nemico. 

Il compagno di lavoro di Primo Levi si chiama Null-Achtzehn, Zero Diciotto, nome derivato dagli ultimi tre
numeri del suo numero di matricola. E’ un ragazzo molto giovane ormai indifferente a tutto. Mentre tutti
cercano di sottrarsi alle fatiche lui non si cura più di evitarle ed è quello che lavora più di tutti. Tutti cercano
di evitare di lavorare in coppia con lui, che ha ritmi troppo faticosi, così come cercano di evitare di essere in
coppia con Levi che è debole e maldestro e quindi rappresenta un peso aggiuntivo. Così i due si ritrovano a
lavorare insieme.

Il lavoro consiste nel trasporto di pesantissime traversine di ghisa. Un giorno Null-Achtzehn inciampa
durante un trasporto facendo cadere tutto il carico, anche Primo Levi viene travolto e rimane ferito ad un
piede, colpito di taglio dallo spigolo di ghisa. Il dolore è molto intenso, tutti accorrono, approfittando
dell’accaduto per avere una tregua dalla fatica, arriva anche il Kapo (prigioniero scelto dai nazisti per la sua
indole aggressiva e violenta per controllare gli altri prigionieri) che rimanda brutalmente tutti al lavoro e dà
due ceffoni a Levi che si alza da terra e constatato che riesce a reggersi in piedi continua la giornata di lavoro
fino a sera, quando, finalmente tornato alla baracca, può togliersi la scarpa scoprendo che è piena di sangue. 

Levi decide dunque di andare, appena dopo aver mangiato la sua razione di zuppa, all’infermeria, in Ka-Be.

Ka-Be è l’abbreviazione di Krankenbau, “ ospedale”, è una costruzione composta da otto baracche dove
pochi vi soggiornano più di 2 settimane e nessuno più di 2 mesi: o si guarisce o si viene mandati alle camere
a gas.

Nella zona all’aperto davanti ai due ambulatori, Medico e Chirurgico, vi sono due lunghe file di uomini,
“ombre". I primi della fila sono già scalzi e pronti ad entrare; è proibito presentarsi con scarpe e berretto.

Quando arriva il turno di Levi questi lascia le scarpe al deposito e viene fatto entrare in una stanza in cui vi è
un’altra fila. Qui i deportati che arrivano ai primi posti della fila devono farsi trovare nudi e l’infermiere
infila ad ognuno sotto l’ascella il termometro qualsiasi sia la patologia di cui soffre. Dopo la visita Levi viene
dichiarato Arztvormelder e rispedito in baracca. Il compagno di letto Chajim si felicita con lui e gli spiega
che Arztvormelder significa che l'indomani mattina dovrà ripresentarsi al Ka-Be per la visita definitiva. 

Cucchiaio, gamella, berretto e guanti gli vengono portati via perché è vietato portarli in Ka-Be ed il giorno
seguente, Levi insieme a tutti gli altri prigionieri dichiarati Arztvormelder vengono riuniti nella piazza
dell’Appello, qui vengono fatti spogliare al freddo, gli vengono tolte le scarpe, vengono rasati e contati più
volte, gli vien fatta due volte la doccia e complessivamente devono rimanere in piedi per 10 ore di cui 6
nudi. 

Dopo una veloce visita, eseguita da un medico anch’egli un deportato, Levi viene destinato al Block 23. Ma
per poter entrare al block 23 Levi è costretto ad aspettare ancora molte ore durante le quali egli viene deriso
dai deportati polacchi in quanto italiano, poiché la nomea degli ebrei italiani è di persone facilmente
derubabili, che non sanno lavorare e che sono destinati a soccombere; infatti, constata amaramente lo stesso
Levi, da 174.000 che erano all’arrivo sono rimasti in tutto in una quarantina. Dopo la compilazione di una
scheda di ricovero, Levi finalmente riesce ad entrare nella baracca a cui è assegnato e viene destinato alla
cuccetta 10. Con sua meraviglia score che è l’unico occupante della cuccetta! Per la prima volta Levi ha un
letto tutto per sé.

Nel Ka-Be Levi può riposarsi e godere di una tregua di venti giorni dalle dure condizioni di vita del Lager.

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

Nel Ka-Be non fa freddo, non si lavora e non si viene percossi. Tutto è più rallentato e c’è meno rigore, si
rimane nella cuccetta anche per mangiare, solo per la visita del medico è necessario alzarsi, spogliarsi e
rimanere in fila. In lontananza si sente la musica della banda che accompagna come automi i detenuti al
lavoro, quella musica “ infernale” che rappresenta la voce del Lager ed il cui ricordo rimarrà inciso nella
mente dei deportati ancora per molti anni dopo la liberazione.

Levi ha 2 vicini di cuccetta, un olandese, Walter Bonn, e un ebreo polacco, albino, non più giovane che si
chiama Schmulek. Quest'ultimo il giorno successivo viene messo in uscita con il gruppo di quelli che non
fanno più ritorno, destinati alle selezione; lascia a Levi il suo coltello e il suo cucchiaio. 

Walter spiega che il nome della baracca, Schonungsblock, indica la baracca in cui vengono messere i malati
leggeri, convalescenti e dissenterici. Ogni 3 giorni i dissenterici vengono sottoposti a controlli per verificare
che effettivamente siano malati mostrando, a due per volta, lì sul posto, in un minuto esatto, una secchio di
latta che confermi il persistere della loro diarrea. 

Le pagine conclusive di questo capitolo si basano sulla considerazione che il ka-be, parentesi di relativa
pace, è il luogo dove il deportato riesce a riprendere per un attimo coscienza di sé, di ciò che è diventato, ed
inevitabilmente emerge anche la consapevolezza di quanto gli è stato tolto e il doloroso ricordo della vita
passata. Quando si lavora e si soffre non si ha invece il tempo di pensare.Quinto capitolo, dopo 20 giorni di
ricovero Levi viene dimesso dal Ka-Be, viene assegnato ad un nuovo Block, il numero 45, ed avviato ad un
nuovo lavoro. E’ un nuovo inizio, è come ripartire dal primo giorno perché si ricevono nuovi abiti e scarpe,
nuovi per modo di dire perché sono solo disinfettati e in precedenza appartenevano ad altri deportati, devono
quindi essere riadattati alla propria persona. Si riparte da capo anche per quanto riguarda gli utensili, bisogna
trovare il modo di procurarsi nuovamente cucchiaio e coltello, che in Ka-be erano stati requisiti e mai
restituiti. Inoltre non viene mai riassegnato il block in cui si alloggiava in precedenza , si hanno nuovi
compagni e nuovi capi con i quali dover trovare il modo giusto per relazionarsi.

L’aspetto positivo per Levi è che nel Block 45 vi è anche Alberto, il suo miglior amico. Tuttavia i due amici
non riescono ad ottenere di poter dormire nella stessa cuccetta; cosa non di poco conto perché avrebbe dato
ad entrambi il vantaggio di “ avere un compagno di letto di cui fidarsi”.

In inverno le notti nel Lager sono lunghe, dopo l’esiguo rancio serale, solitamente l’ingegnere Kardos gira
tra i deportati a curare piaghe e calli ricevendo in cambio del cibo, e volentieri si rinuncia ad un pezzetto del
prezioso pane per alleviare il tormento ai piedi.

L’ultima funzione della giornata consiste nella possibilità di cambiare le scarpe rotte, ciò dà luogo ad una
scatenata corsa di 40/50 persone verso il Tagesraum nella speranza di arrivare primi e poter usufruire del
cambio, dato che il numero di scarpe disponibili è esiguo e meno di una decina di deportati riusciranno
nell’intento.

Dopo di che le luci si spengono e tutte le attività si interrompono, non rimane altro che coricarsi.

Levi non conosce il suo compagno di letto, non lavora nel suo stesso Kommando e si stende in cuccetta solo
al momento del silenzio, addormentandosi immediatamente ed occupando buona parte della cuccetta. Levi
tenta di farsi spazio ma alla fine finisce per dormire per metà sulla traversina di legno.

Ha inizio la tormentata nottata dello scrittore: cade in uno stato di dormiveglia dove i vari suoni si
confondono tra veglia e sonno e così il russare del vicino di cuccetta diventa il rumore di una locomotiva che
sta per arrivare ed il fischio in lontananza del cantiere della Decauville, che lavora anche di notte, è il fischio
di quella stessa locomotiva che nel sogno riporta Levi in Italia, a casa sua, dove si ritrova a raccontare alla
sorella, a qualche amico e ad altra gente, la sua vita del Lager ma gli ascoltatori non lo seguono e sono del
tutto indifferenti. Allora egli si sveglia angosciato e si ricorda di aver già fatto quel tipo di sogno, e ricorda
anche di averlo raccontato ad Alberto che gli ha confidato di aver fatto anche lui quello stesso sogno e come
loro molti dei deportati .

Un altro tipo di sogno ricorrente e comune è il sogno di mangiare.

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

A metà della notte inizia l’andirivieni dei deportati al secchio, per smaltire il grande quantitativo di acqua
ingerito attraverso la zuppa. La legge della baracca prevede che una volta colmo il secchio questo vada
svuotato dall’ultimo utilizzatore che è costretto in camicia e mutante ad uscire nella neve per raggiungere la
latrina. Compito che con ogni probabilità toccherà ai più inesperti e ai non privilegiati, anche se, dato che
inevitabilmente qualcosa del contenuto del secchio trabocca sui piedi, è sempre meglio che l’operazione
spetti “a noi stessi piuttosto che il nostro vicino di cuccetta”, di cui poi si avranno i piedi all’altezza del viso
per il resto della nottata.

Tra sonno, veglia e incubi passa la notte e prima dell’alba suona la campana del campo. La guardia di notte
accende quindi le luci e urla: “ Aufstehen” o in polacco “ Wstawac”, “Alzarsi” dando inizio una nuova lunga
giornata.

Sesto capitolo, il compagno di letto di Levi non è sempre lo stesso. Per un certo periodo è un polacco di cui
Levi, e tutti gli altri, ignorano il nome, che odora di malattia, ha infatti due grosse piaghe alle tibie ed è
debole di vescica, problema per cui si alza, svegliando Levi, anche dieci volte per notte. Quando il polacco
entra in ospedale lasciando in consegna i suoi guanti a Levi, subito viene sostituito da un altro polacco alto e
rosso di capelli.

Il più delle volte i compagni di cuccetta di Levi, dato che lui è basso di statura, sono alti, perché due alti nella
stessa cuccetta non riescono a stare.

Il nome del nuovo compagno è Resnyk, ha 30 anni e nonostante abbia vissuto a Parigi per lungo tempo parla
un francese strano. Egli si rivela da subito un buon compagno che oltre a non dare grossi disturbi durante il
sonno si offre di fare il letto al mattino, operazione che svolge bene e rapidamente. Resnyk viene assegnato
anche allo stesso Kommando di lavoro di Levi.

Il lavoro consiste nel trasporto di traversine di legno che servono per spostare un grosso cilindro di ghisa che
pesa diverse tonnellate. Anche le traversine sono molto pesanti, circa 80 Kg.

Le condizioni in cui Levi e i suoi compagni devono lavorare sono disumane ed essi cercano di ricorrere a
piccole astuzie per poter sopportare la fatica. Per esempio, Levi che dopo il primo trasporto è stroncato dallo
sforzo e rischia di soccombere, decidere di chiedere a Resnyk, decisamente più alto, forte e robusto, se vuol
essere il suo compagno di lavoro. Con grande stupore dell’autore Resnyk accetta e si rivela un compagno di
lavoro gentile.

Nonostante questo per Levi la fatica continua ad essere enorme, chiede quindi, per poter staccare e
riprendere le forze, di andare alla latrina che è piuttosto lontana. Una volta al giorno viene concesso di
recarvisi ma solo se accompagnati e Levi verrà affiancato da Wachsmann, un altro prigioniero che è stato
investito della carica di “ accompagnatore alle latrine”. Tornato al lavoro Levi, sempre in coppia con Resnyk,
fa ancora 2 o 3 trasporti di traversine, cercando di prendere quelle più leggere finché si sente la sirena che
annuncia il rancio di mezzogiorno. Tutti corrono con la loro gamella in mano ma nessuno vuole essere il
primo della fila per non avere la razione più liquida, considerato che il Kapo si guarda bene dal rimescolare
la marmitta visto che il fondo, ben più sostanzioso, spetta di diritto a lui.

Dopo il rancio è prevista una pausa dal lavoro e tutti possono tornare nelle loro cuccette dove possono
riposare. I sogni che ognuno fa durante questo intervallo  sono i sogni di tutti.

L’avvertimento “Es wird balde in Uhr sein” dolorosamente annuncia che è quasi l’una, manca poco a dover
ricominciare. All’una il lavoro riprende, ciascuno torna alla propria fatica.

Settimo capitolo, Levi sottolinea come nel campo di prigionia le mete che l’uomo si pone siano molto
diverse da quelle che si hanno nella vita da uomini liberi. Lo scopo fondamentale che i deportati si pongono
e di cui parlano in continuazione è quello di riuscire ad arrivare a primavera. Essi scrutano in continuazione
il cielo in cerca di segnali che rivelino l’arrivo della stagione mite.

Una giornata in cui spunta un tiepido sole risveglia subito la speranza che il peggio sia passato e che le cose
andranno migliorando. Una giornata serena fa notare le cose di cui prima non ci si accorgeva, per esempio il

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

verde dei campi che circondano il lager. L’unica cosa che rimane sempre grigia e squallida è la Buna, grande
quanto una città.

Levi riflette sul fatto che ciò che permette agli uomini di sopportare le sofferenze patite nel campo è la
capacità della natura umana di non soffrire le pene e i dolori patiti in modo simultaneo, sommando la
sofferenza. Per esempio accade che non appena la stagione primaverile fa cessare il freddo insopportabile
contro cui i deportati hanno lottato per tutto l’inverno, subito emerge, con maggiore forza, l’altro grande
nemico contro cui i deportati lottano quotidianamente: la fame. Da quel momento tutte le conversazioni
vertono sul cibo.

Sigi, un giovane diciassettenne, racconta con grande rimpianto di quando ad un pranzo nunziale non ha finito
il suo terzo piatto di zuppa di fagioli  e Béla parla di una ricetta per fare la polenta dolce. Anche Levi non
resiste a fantasie di fame che gli fanno danzare davanti agli occhi la pastasciutta cucinata al campo di
smistamento e lasciata lì alla notizia della partenza il giorno dopo per il lager.

Fischer, un ungherese, uno degli ultimi arrivati, è riuscito a conservare mezza razione del pane distribuito al
mattino; nessuno dei prigionieri di lungo periodo ha la capacità di conservare così a lungo un pezzetto del
proprio pane.

La giornata, raccontata da Levi in questo capitolo, è speciale, non solo per lo spuntare del sole dopo il lungo
inverno, ma anche perché uno dei deportati, Templer, è riuscito a procurare una razione aggiuntiva di zuppa
lasciata dagli operai polacchi che lavorano poco distante perché sapeva di rancido e che per i deportati
diventa un dono inaspettato capace di placare per un po’ i morsi della fame.

A fine giornata, poiché tutti si sentono eccezionalmente sazi, gli animi sono pacificati e non nascono i soliti
litigi. Ognuno si ritrova a pensare ai propri cari, cosa che non avviene solitamente.
Capitolo ottavo, tra i deportati si è creata un’organizzazione economica basata su una sorta di borsa valori
clandestina determinata da scambi tra i prigionieri di varia natura.

Per questo motivo vi è attenzione per ogni minimo accadimento che possa influire sugli scambi. Uno di
questi eventi è il cambio della biancheria. La stoffa è un bene prezioso nel campo e l’unico momento per
procurarsene qualche pezzetto, come fazzoletto o benda per i piedi, è appena prima che avvenga il momento
del cambio, in cui si riesce a tagliare qualche lembo prima di riconsegnare la biancheria utilizzata sino a quel
momento senza deturparla. Il cambio di biancheria avviene all’improvviso e molto velocemente proprio per
impedire che i deportati possano ritagliare e utilizzare del tessuto.

L’angolo più appartato del Lager è quello dove si ritrovano i deportati, spinti dalla fame o da altre necessità,
che sono interessati agli scambi. Alcuni barattano la loro piccola razione di pane con della zuppa, da cui
tolgono i pochi pezzetti di patata residui sul fondo, per poi tentare di scambiare la zuppa rimasta con del
pane, per ritentare da capo l’operazione fino a che non vengono scoperti. Altri barattano la loro camicia per
qualcosa da mangiare, pur sapendo che verranno puniti per questo e che così patiranno ancora di più il
freddo.

Tra la merce oggetto di scambio vi è anche il Mahorca, un tabacco di scarto che viene dato in cambio dei
buoni-premi che dovrebbero essere dati ai migliori lavoratori e che invece finiscono regolarmente solo ai
Kapos e ai prominenti. I buoni-premio sono diventati così una vera e propria moneta il cui valore varia a
seconda dei periodi e degli avvenimenti che influiscono sul mercato. In questo caso il baratto può avvenire
anche con l’esterno del campo, con i lavoratori civili della Buna.

Il baratto riguarda molti generi di merci fino ad arrivare alle coperture d’oro dei denti.

Per quanto riguarda i traffici limitati all’interno del campo, il limite massimo di “guadagno” non supera mai
le quattro razioni di pane, perché essendo impossibile stipulare accordi a credito, una razione superiore
verrebbe difficilmente  preservata da ruberie. Il traffico coi civili invece può portare ad un guadagno
nettamente superiore, ma se scoperto viene duramente punito dalle SS. Lo Haftling sorpreso in traffici di
scambio finisce nelle miniere di carbone, dove difficilmente sopravvive, ed il lavoratore civile complice
finisce nel lager, sottoposto alle condizioni di vita dei deportati per un periodo che va dai 15 giorni agli 8

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

mesi. I lavoratori civili condannati vivono nelle stesse condizioni dei deportati però non vengono tatuati e
non vengono rasati, vivono in una sezione a parte del Lager, lavorano in Kommandos particolari e non
entrano in contatto con i comuni Haftlinge.

Il baratto di generi provenienti dal Lager è duramente condannato dalle SS perché ritenuto basato su
materiale appartenente al Lager mentre per il baratto dei generi provenienti dall’esterno si chiude un occhio.
Il Ka-Be, l’ospedale del campo, è il luogo dove più facilmente si svolgono baratti, perché è più facile eludere
la sorveglianza e reperire merce. In particolare gli infermieri traggono guadagno dal commercio dei cucchiai
dato che in Ke-Be si può entrare con il cucchiaio ma non uscirne. E’ inoltre luogo di ricettazione della merce
rubata in Buna per utilizzarla come materiale sanitario, per esempio tubi sottili di plastica usati per gli
enteroclismi e le sonde gastriche, termometri, reagenti chimici e, da un’idea dello stesso Levi e del suo
amico Alberto, carta mill metrata da utilizzare per i diagrammi polso-temperatura.

Capitolo nono, Levi considera l’esperienza del Lager una “ gigantesca esperienza biologica e sociale” in cui
uno sperimentatore può individuare cosa sia essenziale e cosa acquisito nel comportamento dell’”animale-
uomo” che lotta per la propria vita.

In particolare egli individua l’emergere tra gli uomini di due categorie ben distinte: i salvati e i sommersi.
Nella vita da liberi questa distinzione è meno evidente perché l’uomo non è solo ma collocato in una società,
emerge invece nettamente nel Lager, dove ognuno è “ disperatamente ferocemente solo” nel combattere la
lotta per la sopravvivenza.

Così soccombono coloro che si attengono pedissequamente alle regole ufficiali che finiscono per essere i
primi a indebolirsi e morire. Le statistiche lo confermano dimostrando che tra i numeri esigui dei
sopravvissuti non emergono mai dei semplici Haftling ma solo coloro che hanno cercato di emergere come
Organisator, Kombinator, Prominent, guadagnando una posizione di lavoro privilegiato, come quella di
Kapo, infermiere, medico, ciabattino, musicista, ecc.

Chi si è sempre attenuto agli ordini ricevuti, si è limitato a mangiare la propria razione di cibo, si è adeguato
alla disciplina del lavoro e del campo, solo eccezionalmente è sopravvissuto più di tre mesi. Questi sono i
sommersi, la massa anonima del campo, tutti con la stessa storia di inadeguatezza.

Tra i salvati emergono i prigionieri a cui i nazisti avevano dato un ruolo specifico, come i Prominenten, i
funzionari del campo, tra cui il direttore-Haftling, i Kapos, i cuochi, gli infermieri, le guardie notturne, fino
ad arrivare agli scopini delle baracche.

Gli ebrei devono lottare duramente per ottenere incarichi da Prominente, rispetto agli altri detenuti che in
“virtù della loro supremazia naturale” li ottengono automaticamente al loro arrivo nel campo, e proprio gli
ebrei si rivelano i più tirannici e crudeli, consapevoli che se non lo fossero, facilmente potrebbero essere
sostituiti da un altro ritenuto più idoneo. La ferocia dei prominenti ebrei è conseguenza anche della necessità
di appagare in qualche modo l’odio provato verso gli oppressori scaricandolo sugli oppressi. Oltre ai
prominenti vi è anche una categoria di individui che per sopravvivere ha condotto una lotta continua ogni
giorno ed ad ogni ora, in vari modi, attraverso aberrazioni e compromessi, aguzzando l’ingegno, sopportando
le umiliazioni, reprimendo la propria dignità.Solo gli individui superiori riescono a sopravvivere senza
rinunciare al proprio mondo morale. Levi racconta le storie di quattro prigionieri che appartengono alla
categoria dei salvati:

• Schepschel, da quattro anni nel Lager, aveva moglie e cinque figli e un negozio di sellaio. Non eccelle per
furbizia, prestanza fisica, coraggio e malvagità e si arrangia con espedienti miseri e saltuari: qualche furto,
qualche manufatto quando riesce a procurarsi i ferri del mestiere, qualche piccola esibizione canora per gli
operai slovacchi. Anch’egli quando gli si presenta l’occasione cede alla viltà di far condannare alla
fustigazione il suo compagno di ruberie nella speranza di acquisire credenziali per ottenere il posto di
lavatore delle marmitte.

• Alfred L., ingegnere sulla cinquantina che da libero dirigeva un’importantissima fabbrica di prodotti
chimici. Nel lager aveva ottenuto un posto come pulitore della marmitta degli operai polacchi in cambio di
mezza gamella di zuppa al giorno. Ma perseguiva con tenacia il progetto di un ruolo più importante, per

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

questo motivo in maniera meticolosa curava il proprio aspetto per distinguersi dal gregge: viso e mani
sempre perfettamente puliti, lavava regolarmente la propria camicia nonostante le difficoltà a reperire il
sapone, lo spazio in lavatoio e il rischio di furto mentre la asciugava, era riuscito a procurarsi una divisa a
righe della sua misura e pulita. L’occasione del salto di qualità gli capitò con la costituzione del Kommando
Chimico di cui venne nominato capotecnico di laboratorio. Quando si trattò di esaminare il nuovo personale
si guardò bene dal scegliere coloro che potevano rappresentare suoi possibili competitori.

• Elias Lindzin, uomo molto basso ma molto muscoloso, grande lavoratore, molto forte e capace. E’ capace
di fare mille lavoretti, trasportare enormi pesi, parla continuamente con voce tonante. Grazie alla sua fama di
lavoratore forte e infaticabile viene notato e da allora per assurdo smette di lavorare. Infatti viene occupato
solo per lavori di particolare perizia e vigore, per il resto è libero di fare scorribande in giro tornando con le
tasche gonfie di merce rubata. Egli rappresenti l’esemplare umano più idoneo alla vita del Lager perché
esternamente appare fisicamente indistruttibile e internamente, in quanto demente, rimane indenne
all’annientamento psicologico operato dal sistema nazista. Riacquistata la libertà un soggetto come Elias è
destinato a vivere ai margini della società, o in carcere, o in manicomio, mentre nel Lager, dove non esistono
né pazzi, né criminali, trionfa.

• Henri, è un giovane di 22 anni, intelligente, colto e parla diverse lingue. Dopo che in Buna è morto il
fratello egli ha reciso ogni vincolo di affetto e si è concentrato sulla lotta per sopravvivere attraverso tre
metodi che gli permettono anche di rimanere “ degno del nome di uomo”: organizzazione, pietà e furto. Con
la sua capacità di smuovere anche nell’anima più crudele il sentimento di pietà egli è riuscito a tessere una
tela di rapporti di amicizia e di protezione che egli ha strumentalmente e strategicamente sfruttato per
sfuggire all’annientamento. Capitolo decimo, Nel Lager viene costituito un reparto di specialisti chimici, il
Kommando 98. Levi, essendo laureato in chimica, si presenta, con altri 14 Haftlinge, tra cui il suo amico
Alberto, per essere inserito nel Kommando, sperando così di migliorare le proprie condizioni di vita.

A capo del Kommando, ovviamente, non viene scelto un chimico ma un deportato del gruppo dei delinquenti
professionali, che si rivela subito crudele e spietato come tutti gli altri Kapo. Con grande delusione di chi ha
chiesto di farne parte, il Kommando 98 si rivela da subito un comune Kommando di trasporto del Cloruro di
Magnesio. In programma ha però l’obiettivo di sottoporre, in un non ben precisato futuro, coloro che hanno
fatto richiesta di farne parte, ad un esame di chimica per verificare che abbiano effettivamente i requisiti
richiesti. Al comando del Kapo i candidati del Kommando 98 vengono fatti marciare fino al Magazzino del
Cloruro di Magnesio dove vengono divisi in tre squadre incaricate di scaricare i sacchi dal vagone,
trasportarli e impilarli nel magazzino.

Il ventilato esame di chimica preoccupa tutti per varie ragioni:

• perché sarà in tedesco

• perché i prigionieri candidati, nelle precarie condizioni fisiche in cui versano, sarà già un grosso problema
riuscire a reggersi in piedi davanti alla commissione esaminatrice,

• infine perché i candidati che non riusciranno a superare il test saranno sicuramente destinati alla camera a
gas.

Dopo tre giorni il gruppo dei candidati è già sceso a sette persone: tre sono sparite e cinque hanno rivelato di
non aver competenze chimiche e quindi sono stati tenuti nel gruppo solo come ausiliari. I sette candidati
rimasti vengono chiamati un giorno dal Kapo per sostenere l’esame. Tutti sono nervosi ad eccezione di
Mendi, rabbino russo che conosce sette lingue ed è inoltre sionista, glottologo, partigiano e dottore in legge;
non è chimico ma vuole tentare ugualmente per diventare Specialista e avere una detenzione meno dura. Sei
deportati vengono esaminati in mattinata, mentre il settimo, Levi, deve tornare nel pomeriggio. L’aspetto
fisico particolarmente miserevole di Levi preoccupa il Kapo che è scettico riguardo al fatto che egli sia
effettivamente un chimico e sia in grado di sostenere l’esame. Egli viene quindi presentato all’unico
esaminatore della commissione rimasto, in maniera negativa e sfiduciata dal Kapo che lo qualifica con le
seguenti caratteristiche:

1. è italiano,

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

2. è ebreo,

3. è da tre mesi soltanto in Lager ma “già mezzo kaputt”.

L’esaminatore, Doktor Pannwitz, è il classico tedesco ariano, egli squadra con sguardo malvagio Levi,
ritenuto appartenente ad un genere umano inferiore e da sopprimere ma da cui è necessario prima accertarsi
che non abbia qualche elemento utile da sfruttare prima di procedere alla sua eliminazione. Il Doktor
Pannwitz inizia ad interrogare in tedesco Levi che non conoscendo bene la lingua si sforza di intuire il
significato delle domande che gli vengono fatte.Levi, stupito che le sue facoltà intellettive siano inalterate,
riesce incredibilmente a rispondere alle varie domande. L’esame va bene e Levi ottiene di entrare a far parte
del laboratorio di chimica ma, sapendo come vanno le cose nel Lager, non fa previsioni ottimistiche ma si
accontenta di gioire del fatto che almeno per quel giorno non abbia dovuto lavorare e che quindi alla sera
sarà meno affamato rispetto al solito. 

Capitolo undicesimo, Mentre Levi è impegnato insieme ai suoi compagni di Kommando a raschiare e pulire
una cisterna arriva Jean, il più giovane del Kommando Chimico che era stato nominato Pikolo, cioè
fattorino-scritturale a cui competeva la pulizia della baracca e delle gamelle, la consegna degli attrezzi e la
contabilità delle ore di lavoro. Jean è uno studente alsaziano che parla correttamente francese e tedesco, forte
e scaltro ma nello stesso tempo mite e amichevole. E’ molto benvoluto nel Kommando, dove è riuscito con
perseveranza a conquistarsi la fiducia del Kapo e a mantenere rapporti umani con i compagni meno
privilegiati di lui. Il Kapo, Alex, uomo violento e ignorante, disprezza gli ebrei e li tratta con crudeltà, è
servile invece con i civili e amichevole con le SS.  Jean (Pikolo) è riuscito ad entrare nelle sue grazie
attraverso un’opera lenta e cauta, rendendosi utile per la stesura del registro del Kommando e del rapportino
quotidiano delle prestazioni, che tanto intimidiscono e mettono in difficoltà il Kapo. Tra le incombenze di
Jean c’è anche quella di prelevare il rancio per il Kommando chimico. Per il trasporto della pesante marmitta
egli può scegliere tra i deportati una persona e una mattina egli decide di chiedere a Levi di accompagnarlo.
Si tratta di andare fino alle cucine, ad un chilometro di distanza, e poi tornare trasportando una marmitta di
cinquanta chili. E’ un lavoro faticoso ma che permette di fare la camminata di andata all’aria aperta senza
carico facendo un lungo giro senza destare sospetti. Camminando i due parlano di varie cose, le loro case, gli
studi, le loro madri, e poi Jean dice che  gli piacerebbe imparare l’italiano. Levi vuole insegnarglielo e per
farlo fa una scelta metodologica significativa: ricorrere al canto XXVI dell’Inferno di Dante, quello di
Ulisse. Levi recita qualche terzina e poi tenta di tradurle, e continua di strofa in strofa, tra lacune e
dimenticanze, continuando a volte in prosa frettolosamente perché nel frattempo stanno per arrivare alle
cucine. Il canto diventa così un modo per evadere dall’ambiente brutale del Lager, per ritrovare se stessi e
l’umanità, per ricordare la vita da libero. Il faticoso far tornare alla memoria i versi danteschi si intreccia con
la memoria del vissuto di ognuno di loro, il mare,  le montagne, il passato. Levi si sforza di recitare la
conclusione del canto ma gli tornano alla memoria altri versi, si sforza di ricostruire le rime ma ormai non
c’è più tempo, sono arrivati alle cucine. Si mettono in fila insieme a tutti gli altri deportati porta-zuppa. La
dignità umana ritrovata, grazie alla profonda e significativa bellezza del canto dantesco, per un breve attimo,
viene sommersa dalla squallida e bestiale quotidiana realtà di Auschwitz. Capitolo dodicesimo, Nell’estate
del 1944 il campo si riempie di Ungheresi e Levi, detenuto da ormai cinque mesi, fa ormai parte dei vecchi
haftlinge, quelli che non si ponevano più domande sul proprio futuro, dato che l’esperienza gli aveva
dimostrato quanto vana fosse ogni previsione.

L’aver superato l’esame di chimica ed aver avuto accesso al Kommando 98 non ha portato ad alcun
miglioramento nelle sue condizioni di vita cambia.

Giunge eco degli ultimi eventi: lo sbarco in Normandia, l’offensiva russa, il fallito attentato a Hitler.

Nell’agosto del ’44 iniziano i bombardamenti, l’evoluzione del conflitto mondiale si comincia ad avvertire
anche nella Buna. Il procedere del lavoro diventa un’attività volte a fronteggiare i danni dei bombardamenti.
Le condizione di vita dei deportati diventano ancora più difficili, acqua e cibo che scarseggiano, niente luce
nelle baracche. Inoltre la cattiveria dei civili, dei prigionieri non ebrei e delle S.S. raddoppia nei confronti
degli ebrei .

Gli ebrei continuano a sopportare tutto, oramai rassegnato alle loro condizioni. Durante i bombardamenti non

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

potendo ripararsi nei rifugi, a loro vietati, si ammonticchiano gli uni sugli altri come morti, condizione che,
nonostante la paura delle bombe, gli porta, per assurdo, un temporaneo senso di pace dovuto al " riposo" e al
calore che si trasmette quella poca carne rimasta sui loro corpi.

E’ in questo periodo che Levi incontra Lorenzo, un operaio civile italiano che per sei mesi cerca di aiutarlo in
vari modi: portandogli del cibo, donandogli una sua maglia piena di toppe, inviandogli una cartolina in Italia
e poi facendogli avere la risposta. Nel campo a molti ebrei capitava di avere dei protettori, amici civili che gli
forniscono cibo, oggetti e vestiario, in cambio di qualcosa. E’ una pratica nota ma sempre trattata con
discrezione, sia per non compromettere il protettore, sia per non aver rivali con cui competere.

Nel caso di Lorenzo è diverso, lui lo fa semplicemente per pura bontà, senza pretendere alcun compenso in
cambio. Levi deve la propria vita a Lorenzo non solo per l’aiuto materiale che gli ha dato ma soprattutto
perché la sua amicizia che gli ha fatto credere ancora nel genere umano e nell’esistenza di un mondo giusto,
estraneo all’odio.

In contrapposizione con il mondo del Lager, l’umanità di Lorenzo, pura e incontaminata, grazie alla quale
Levi si ricorda di essere un uomo.

Capitolo tredicesimo, Inevitabilmente nel Lager è arrivato l’inverno e Levi sa bene cosa significa perché ne
ha già vissuto uno. Molti non riusciranno a superarlo e quelli che ce la faranno soffriranno ogni giorno, ogni
minuto, faticando nel vento e nel gelo con un abbigliamento inadeguato, deboli e affamati.

Durante l’estate si è aggiunto un grande numero di deportati che hanno alloggiato in due grandi tende.
Adesso le tende sono state smantellate e tutti questi prigionieri vanno distribuiti nelle baracche già affollate.
Tutto questo significa che, per far posto, presto le selezioni per il crematorio riprenderanno, già circola la
voce.

Chi ne ha la possibilità cerca una via di scampo facendosi ricoverare al Ka-Be, ma sono un’esigua
minoranza. Gli altri controllano vicendevolmente il proprio aspetto rassicurandosi per farsi forza, perché chi
è troppo debilitato, troppo vecchio e poco adatto al faticoso lavoro del Lager sicuramente finirà nelle camere
a gas.

Un giorno il suono della campana a metà giornata annuncia che è il giorno della selezione, tutti lo capiscono
subito prché normalmente la campana suona solo all’alba per la sveglia. Ogni deportato deve rientrare nella
propria baracca, verificato che tutti siano presenti, chiusa a chiave la porta, distribuisce ad ognuno un modulo
da compilare e ordina che ognuno si spogli completamente conservando solo le scarpe.

All’arrivo della commissione la massa dei deportati, nudi e spaventati, viene stipata nel Tagesraum, una
cameretta di 7 metri per 4. Aperta la porta che dà all’esterno ognuno deve correre nudo nel freddo di ottobre
fino alla commissione, che è formata da un sottoufficiale delle SS, dal Blockaltestere e dal furiere della
baracca, consegnare la propria scheda e infine rientrare dalla porta del dormitorio.

La SS giudica in base a questo passaggio chi deve vivere e chi morire, consegnando a sua volta la scheda a
chi sta alla sua sinistra o alla sua destra. Per esaminare una baracca che ospita duecento uomini bastano 3 o 4
minuti.

Quando arriva la volta di Levi egli, come tutti, esce cercando di tenere testa alta, i muscoli tesi, il petto in
fuori e quando è davanti alla Commissione con la coda dell’occhio cerca di sbirciare dove venga consegnata
la sua scheda: gli sembra a destra.

Rientrati nella baracca i prigionieri si rivestono. Tutti cercano di capire da che parte siano state consegnate le
schede dei prigionieri scelti per il crematorio e prima ancora che la selezione sia finita arrivano alla
conclusione che sono le schede di sinistra. Alcune scelte sembrano incongruenti, per esempio, René, giovane
e robusto, è finito a sinistra probabilmente per una svista che forse a favorito proprio Levi che era
immediatamente dietro di lui, potrebbe essere avvenuto uno scambio di schede.

Le sviste sono abbastanza frequenti perché la selezione è molto rapida e sommaria e ai tedeschi interessa

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

soprattutto liberare dei posti nelle baracche.

Finita la selezione viene distribuito il rancio, ai selezionati verrà data doppia razione. Tra i condannati in fila
per il rancio vi è Ziegler che quando vede che gli viene versata solo la normale razione con quieta fermezza
reclama la doppia razione a cui ha diritto e se ne va solo quando la ottiene.

Tra gli scampati vi è Kuhn che a voce alta rivolge una preghiera di ringraziamento a Dio per non essere stato
scelto. La sua insensibilità verso chi invece è stato condannato indigna Levi.

Capitolo quattordicesimo, E’ novembre e piove, Levi e i suoi compagni di prigionia stanno lavorando in
condizioni sempre più difficili, il terreno è diventato una palude e i deportat senza possibilità di alcun riparo.

La riflessione di Levi si basa principalmente sul cercare di capire che cosa permette agli uomini di sopportare
tali condizioni e di non cadere nella disperazione più totale. Egli giunge alla conclusione che ciò che
permette loro di andare avanti e tollerare, sono le piccole circostanze favorevoli; quel giorno per esempio è
consolante la mancanza di vento, che se ci fosse peggiorerebbe notevolmente la situazione, o come un
eventuale doppia razione di zuppa la sera.

Levi sta scavando una buca insieme ad altri 3 compagni: Kraus, Clausner e Gounan. Kraus è un ungherese
che capisce poco il tedesco e non parla francese, è un ingenuo, non ha ancora imparato i piccoli accorgimenti
da adottare per poter sopravvivere, lavora troppo senza capire che più si lavora più si è soggetti a stanchezza,
deperimento, fame e quindi alla selezione per la camera a gas. Kraus è ancora legato alla mentalità
dell’onesto lavoro impiegatizio del mondo esterno, la logica del lager è ben diversa ed è più conveniente
cercare in ogni modo di sopravvivere.

Finito il turno di lavoro i prigionieri rientrano marciando in fila per tre e Levi si ritrova proprio a fianco a
Kraus che maldestro fatica a tenere il passo. Levi, osservandolo per un attimo, intravede l’uomo Kraus, che
per la sua umanità è destinato sicuramente a soccombere e allora gli racconta un sogno in cui entrambi sono
uomini liberi: Levi è con la sua famiglia a Napoli a tavola quando Kraus suona all’uscio, portando con se del
pane caldo. Levi lo fa entrare e lo presenta a tutta la famiglia e gli dà da mangiare, da bere e da dormire e
tutto è caldo ed accogliente.

In realtà Levi non l’ha sognato per niente perché Kraus non rappresenta nulla per lui se non un momentaneo
sentore di umanità e dopo questa parentesi di empatia in lui tornano a predominare le sensazioni di fame e di
freddo.

Capitolo quindicesimo, La pioggia di novembre è diventata neve ed i deportati del Kommando chimico sono
rimasti con gli abiti estivi perchè in teoria dovrebbero lavorare al coperto in un laboratorio, in realtà
continuano a lavorare all’aperto spostando materiale chimico da un magazzino all’altro.

Per ora, per Levi, essere nel Kommando chimico non ha portato alcun vantaggio, anzi solo svantaggi come il
non aver ricevuto cappotti che agli altri sono stati invece distribuiti, o avere sacchi da trasportare che pesano
60 kg, mentre quelli degli altri sono di 50 kg.

Il più volte nominato aboratorio del Dottor Pannwitz nel Bau 939 non è mai stato realizzato.

Levi sta riflettendo sul fatto che in quelle condizioni sarà difficile arrivare ad un altro inverno, quando
avviene l’imprevedibile: Levi è tra i tre Haftlinge scelti per il Laboratorio “Die drei Leute vom Labor”,
ovvero in italiano “le tre persone del laboratorio”.

Gli altri deportati si congratulano e tra loro anche Alberto che ne è ben felice, sia per amicizia, sia perché
anche a lui ne deriveranno dei vantaggi.

Levi promosso a specialista del laboratorio di chimica ha diritto a camicia e mutande nuove e ad essere
sbarbato ogni mercoledì.

L’atmosfera del laboratorio, i suoi macchinari, la vetreria, gli odori per un attimo riportano a galla il ricordo

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

dell’aula universitaria in Italia.

A capo del laboratorio c’è un polacco-tedesco di nome Stawinoga, dottore non in chimica ma in glottologia
che li chiama con l’appellativo di Monsieur, cosa che Levi ritiene ridicola in quel contesto dove la schiavitù
è la morte sono pane quotidiano.

In laboratorio ci sono 24 gradi e vi sono molti oggetti e materiale da rubare utili per il baratto; il problema di
riuscire a superare il rigore dell’inverno e di mangiare abbastanza non si pone più. Già Levi programma di
cucirsi una tasca interna segreta per trasportare la merce rubata e di accordarsi con l’inglese che lavora in
officina per il baratto.
Dopo un anno di Lager sa di poter eludere qualsiasi controllo e sorveglianza.

Tuttavia pur sapendo che questo colpo di fortuna aumenta notevolmente le sue possibilità di sopravvivenza
Levi sa anche che basta poco, un piccolo errore nelle misure, un vetro rotto, una disattenzione e  in un attimo
potrebbe ricadere nella situazione precedente e finire al “ Camino”. Inoltre c’è l’ incognita dei russi che
hanno il fronte di guerra sempre più vicino al campo.

Levi vive una situazione privilegiata, in campo dalla sera al mattino è uguale a tutti gli altri ma di giorno, al
lavoro è al coperto e al caldo, seduto con un quaderno ed una matita, non rischia di essere picchiato ed ha la
possibilità di trafficare merce per procurarsi cibo. Ma è proprio questa situazione di tranquillità, come nel
Ka-Be e nelle domeniche di riposo, che gli fanno ricordare il suo essere uomo facendo emergere di nuovo la
sua coscienza ed è in queste occasioni che inizia a scrivere quello che egli afferma “ non saprei dire a
nessuno”. 

Tra i civili del laboratorio ci sono anche delle ragazze, di fronte a loro i prigionieri si sentono sprofondare di
vergogna, ripugnanti come sono nell’aspetto e sudici, pieni di pulci e puzzolenti. Le ragazze sono bionde,
ben vestite e ben pettinate, anziché lavorare spesso fumano, mangiano, si limano le unghie e chiacchierano
tra di loro, provano disprezzo e ripugnanza per i deportati. Sentire le ragazze conversare tra loro della propria
vita nel mondo libero riporta alla mente di Levi la sua vita di un anno prima quando ancora uomo libero e il
futuro appariva ricco di aspettative. La considerazione finale è che, anche se riuscisse a spiegare tutto questo
alle ragazze certo non lo capirebbero, e se anche lo comprendessero non potrebbero sostenere la sua
vicinanza e lo eviterebbero.

Capitolo sedicesimo, Da quando Levi lavora in laboratorio le occasioni per vedere e parlare con Alberto si
limitano alla marcia di rientro alla baracca dopo il lavoro, in cui si aggiornano sulle ultime novità.

Nell’ultima settimana Lorenzo (l’operaio civile italiano diventato amico di Levi) fa avere ai due amici ogni
sera tre o quattro litri di zuppa. Per poterla trasportare Levi e Alberto si sono ingegnati facendosi costruire,
con due pezzi di grondaia, un secchio in cambio di tre razioni di pane. Ne è scaturita una sorta di gamella
gigante come poche se ne trovano nel campo; l’iniziativa ha inoltre determinato un sensibile miglioramento
nella loro considerazione da parte degli altri deportati.

D’altra parte le trovate da parte dei due amici non si limitano solo al progetto di procurarsi un’altra gamella
gigante, per fare la rotazione con la prima, ma si estendono ad altre 3 imprese che attraverso ingegnose
soluzioni e inventiva li vedono complici in commerci che gli fruttano prestigio e gli portano cibo: la
sottrazione di una scopa che smembrata e ricostruita è stata così apprezzata da essere seguita da successive
ordinazioni dello stesso modello; la richiesta di una lima grossa in magazzino per poi scambiarla con due
piccole per rendere una delle due al magazzino e vendere l’altra; la fabbricazione di targhette colorate, al
posto di foglietti sgualciti, da distribuire ai deportati che hanno fatto regolarmente la doccia e che gli dà
diritto al loro rancio quotidiano.

Una sera vi è un cambiamento rispetto ai soliti e stabiliti ritmi del campo e la marcia di rientro alla baracca
viene prolungata fino alla piazza dell’Appello. In controluce sullo sfondo della piazza, i due amici
intravedono la sagoma della forca. Tutte le squadre di rientro dal lavoro sono state radunate lì per assistere
all'impiccagione di un uomo.

Levi, durante la sua prigionia, ha già assistito a 13 pubbliche impiccagioni per reati comuni come furti o

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

sabotaggi o tentativi di fuga, ma stavolta il condannato è accusato di aver partecipato ad una rivolta durante
la quale è stato fatto saltare un forno crematoio.

Il fatto nuovo, che scuote le coscienze, è che prima di morire l'uomo grida: "Compagni, io sono l'ultimo!",
“Kamaraden ich bin der Letzel!”.

La riflessione di Levi è che: in quell’inferno di rassegnazione e di sterminio, ecco un uomo che trova ancora
il coraggio di ribellarsi e resistere. Sino alla fine egli non si è lasciato piegare dalla vita del Lager, ha trovato
la forza di reagire e muore davanti ad una massa di uomini inermi e spossati che, anche se scossi da
quell’urlo, rimangono in piedi, docili, a capo chino, ubbidienti agli ordini dei tedeschi.

Se i russi arriveranno a liberarli dalla loro prigionia si troveranno davanti un gregge di inermi in cui non è
più ravvisabile alcuna traccia dell’uomo. I tedeschi sono riusciti nel loro proposito di distruzione.

Alberto e Levi rientrano, senza riuscire a guardarsi in faccia, nella loro baracca dove, dopo aver soddisfatto
la fame dividendosi la zuppa , rimane solo il sentimento della vergogna.

Capitolo diciassettesimo, L’11 gennaio 1945 Levi viene di nuovo ricoverato al Ka-Be nel reparto degli
infettivi perché si ammala di scarlattina. Nella cameretta vi sono altri 12 pazienti ma Levi ha la fortuna di
avere una cuccetta tutta per sé.

Dal barbiere del Ka-Be viene a sapere che i russi stanno arrivando ed il campo verrà presto evacuato. La
notizia non provoca in Levi quella reazione emotiva che avrebbe potuto avere solo qualche mese prima.
Anche il medico conferma la notizia comunicando che tutti i malati in grado di camminare sarebbero partiti
con tutti gli altri per una marcia di 20 Km mentre i malati più debilitati sarebbero rimasti in Ka-Be con
personale di assistenza scelto tra i meno gravi.

Due dei malati, nonostante fossero molto deperiti, decidono di unirsi ai sani, hanno il terrore di rimanere nel
Ka-Be ed anche se è insensato nelle loro condizioni pensare di resistere ad una marcia di quella lunghezza, si
coprono sommariamente con degli stracci ed escono dalla finestra; saranno abbattuti dai nazisti dopo pochi
km non essendo in grado di proseguire.

Alberto passa a salutare Levi prima di partire, è allegro e fiducioso e si unisce a tutti gli altri che nella quasi
totalità della notte del 18 gennaio 1945 sparirono durante la marcia di evacuazione, la cosiddetta marcia della
morte.

Nel campo rimangono solo chi è malato o troppo debole e qualche sano ben consigliato da qualcuno, in tutto
il Ka-Be circa 800 persone e nella cameretta in 11.

Iniziano per chi è rimasto “dieci giorni fuori del mondo e del tempo”.

Il mattino seguente all’evacuazione i malati ricevono l’ultima distribuzione di zuppa ed una distribuzione di
pane, nel campo rimangono ancora alcune SS e per un po’ continua a funzionare l’elettricità mentre il
riscaldamento delle baracche viene spento. Levi si procura quindi delle coperte prendendole dal reparto dei
dissenterici. Durante la notte il campo viene bombardato e colpito, le SS abbandonano definitivamente il
campo. Nel campo adesso non ci sono più neppure acqua ed elettricità.

Il giorno seguente Levi, compreso che non possono resistere a lungo in quelle condizioni, organizza con due
prigionieri francesi una spedizione all’esterno del Ka-Be nella speranza di recuperare qualcosa di utile per
mangiare e riscaldarsi.

All’esterno i segni del bombardamento sono evidenti. Molti deportati cenciosi e scheletrici si aggirano in
cerca di cibo, o si scaldano vicino alle braci delle baracche fumanti, o fanno sciogliere sul fuoco la neve in
recipienti di fortuna.

Levi e i due francesi riescono a procurarsi e portare nella loro baracca una stufa di ghisa e due sacchi di
patate. Riescono a far funzionare la stufa ed a cuocere le patate. Gli altri malati in segno di gratitudine gli

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)


lOMoARcPSD|5509640

cedono parte del loro pane. E’ un avvenimento emblematico del fatto che il Lager non esiste più, infatti fino
al giorno prima sarebbe stato inconcepibile un simile gesto di generosità perché nel Lager vigeva la legge
che diceva: “ mangia il tuo pane, e, se puoi, quello del tuo vicino”.

La baracca di Levi e dei francesi è l’unica che è riuscita a dotarsi di una stufa e fuori dalla porta si accalcano
i malati degli altri reparti ma loro riescono a impedire che entrino.

Nelle giornate seguenti durante le escursioni fuori dalla baracca alla ricerca di cibo Levi riesce a trovare nel
laboratorio di chimica una batteria carica che gli permette di poter installare l’illuminazione nella baracca.

Una sortita fino all’area in cui vivevano le SS frutta a Levi ed ai suoi compagni altri generi di grande utilità
che li aiuta a resistere e a far fronte alle difficoltà.

Nonostante le SS se ne siano andate capita ancora un episodio di repressione quando un gruppo di SS in fuga
ed armato entra nel campo e sorprende 18 francesi che si erano stabiliti nel refettorio delle SS, saranno tutti
uccisi con un colpo alla nuca. I cadaveri dei 18 francesi rimangono esposti perché nessuno ha la forza di
dargli sepoltura. Così come rimangono abbandonati sparsi nelle baracche e nel campo i corpi dei prigionieri
che non erano riusciti a sopravvivere al freddo e alla fame.

La camera dove sta Levi con i suoi compagni è separata da quella accanto, dove stanno i dissenterici, da una
parete di legno attraverso la quale Levi sente due italiani, non più in grado di muoversi, piangere ed
implorare aiuto. Una sera per far smettere quei lamenti, vincendo il ribrezzo di entrare in quella stanza dove
molti giacevano morti o moribondi e dove il pavimento era ricoperto di escrementi, Levi decide di portare
loro un po’ d’acqua e di zuppa. L’iniziativa ha un effetto controproducente perché da allora i lamenti
arrivarono da tutti i prigionieri di quella stanza che giorno e notte chiamarono il nome di Levi implorando
aiuto.

Anche nella camera di Levi vi sono deportati in condizioni gravissime come Lakmaker un ebreo olandese di
17 anni che debilitato dalle malattie, tifo e scarlattina, una notte nel tentativo di raggiungere la latrina, cade e
rimane a terra
incapace di muoversi, gli va in soccorso Charles, uno dei francesi che vincendo la debolezza riesce a
ripulirlo e riportarlo nella sua cuccetta, disinfettando poi ogni cosa e se stesso con la cloramina.

Il quinto giorno la scoperta di un enorme silo di patate, stipate in due fosse lunghissime fuori dal campo,
oltre il filo spinato, permette di superare il problema della fame; ce n’è a sufficienza per tutti. Nonostante ciò
le condizioni dei deportati peggiorano continuamente, tutti sono estremamente deboli, nessuno guarisce e
molti si ammalano di polmonite e diarrea. Molti giacciono incapaci di muoversi nelle cuccette e quando
muoiono nessuno se ne accorge.

Alla baracca 14 i malati in discrete condizioni riescono ad organizzare una spedizione al campo evacuato dei
prigionieri inglesi e ne tornano con un carretto pieno di cibo: margarina, lardo, farina ecc. Tutto il campo ne
beneficia perché nonostante gli altri prigionieri non abbiano le forze fisiche per intraprendere la stessa
spedizione riescono però ad avere qualcosa tramite il baratto. Così per esempio nella baracca di Levi si
ingegnano a costruire candele che scambiano con lardo e farina.

I russi finalmente arrivano il 27 gennaio 1945.

Degli undici infettivi della camera di Primo Levi, 5 sono morti dopo qualche settimana e sei si sono salvati.

Alla fine del capitolo XVII è riportata la scritta: “ Avigliana-Torino, dicembre 1945 - gennaio 1947”. Le due
località indicano:

• Avigliana la sede della fabbrica dove Levi lavorerà come chimico

• Torino la casa dove egli era nato e dove abiterà per il resto della sua vita.

Scaricato da Fabrizio Simoni (simonif61@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche