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Testo dei “Biologi Evoluzionisti”

“Date le molte affermazioni riguardo vaccinazioni che causano


l’emergere di varianti virali, abbiamo infatti deciso di provare a
fare chiarezza. in questo documento spieghiamo che la vera
causa dell’emergere delle varianti è il processo di mutazione del
genoma virale che in ultima istanza è promossa dalla
replicazione del virus e dal contagio. Da questo fatto e
dall’evidenza della riduzione di contagiosità e contagiabilità dei
vaccinati, si può affermare che i vaccini, al contrario, mettano i
bastoni tra le ruote all’emergere delle varianti virali. “

“Grazie alla teoria dell’evoluzione oggi disponiamo di modelli


matematici e statistici che ci permettono di prevedere e stimare
l’andamento stesso delle epidemie, quali quella di Sars-CoV-2.
Gli strumenti che un genetista evoluzionista usa per ricostruire
l’albero delle discendenze di un organismo (dei virus, magari)
sono infatti usati anche da virologi ed epidemiologi che tentano
di risalire ad un ceppo originario a partire dalle varianti. Così
come i modelli di diffusione di mutazioni genetiche in
popolazioni animali, batteriche...
“La causa dell’insorgere delle varian virali è la mutazione del loro DNA o RNA. Le mutazioni si
generano in maniera spontanea e casuale, principalmente a causa di errori di copiatura del
genoma quando il virus si riproduce all’interno delle nostre cellule. Quindi più il virus circola, più è
probabile che compaiano varian . La maggior parte delle mutazioni non causa e e apprezzabili
sulla capacità di sopravvivenza dei virus (Frost et al. 2018), ma alcune mutazioni possono risultare
in una migliorata o peggiorata contagiosità. Quando una variante ha un forte vantaggio sulle altre
può di ondersi più velocemente, come nel caso della variante Delta.”

“I vaccini però riducono velocizzano la decrescita della carica virale e, potenzialmente, riducendo le
possibilità di contagio di quella persona (Vi ello A et al, 2021; Singanayagam et al, 2021). Di
conseguenza, riducono il numero di riproduzioni del virus diminuendo così la possibilità di nuove
mutazioni (Levine-Tiefenbrun et al, 2021). I vaccini quindi, a con fa , riducono la possibilità di
insorgenza di nuove varian . A validazione di ciò sono disponibili studi che mostrano la riduzione
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della frequenza di mutazione come conseguenza di restrizioni che limitano il contagio (Arevalo,
Sifuentes et al, 2021).”

“È possibile che una variante non susci una buona risposta immunitaria nell’ospite, in questo caso
si dice comunemente che il virus ha superato la protezione del vaccino ed è diventato “resistente al
vaccino”. Più propriamente, si parla di elusione immunitaria del virus. Una variante di questo po
avrebbe un vantaggio sulle altre varian , sopra u o in un ambiente in cui tu sono vaccina . I
vaccini in tal senso fungono da pressioni sele ve agen su una variante che è nata casualmente.
La presenza di persone non completamente vaccinate o l’uso ine cace di tra amen come plasma
convalescente o an corpi monoclonali possono ampli care questo fenomeno, creando bacini di
persone con una immunità parziale che facilita la selezione di varian immuno-elusive già presen
(Krause et al, 2021).”

“È importante notare che un virus immuno-elusivo è generalmente anche resistente agli an corpi
prodo naturalmente da una persona guarita (Wang et al, 2021). È quello che succede
con nuamente con altri virus come quello dell’in uenza: periodicamente compaiono nuove
varian che eludono le difese immunitarie perché sono abbastanza diverse da sfuggire agli
an corpi. Pare sia il caso della nuova variante Mu, che mostra resistenza non solo ai vaccini ma
anche agli an corpi delle persone guarite (Uriu et al, 2021).
Inoltre, se volessimo assumere come vero che i vaccini siano la causa delle varian , dal momento
che anche le risposte immunitarie degli immunizza “naturalmente” cos tuiscono una pressione
sele va in favore dei tra immuno-elusivi, con o senza vaccino le varian di questo po
nirebbero per emergere ugualmente. Essendo inoltre il contagio più rapido della vaccinazione,
sarebbe da imputare all’immunità naturale, piu osto che alle vaccinazioni, un ipote co maggior
ruolo causale nell’emergenza delle varian .”

“In previsione di nuove varian , una buona no zia viene da studi evolu vi sulle proteine di Sars-
CoV-2. Le proteine come Spike, sulle quali vengono “disegna ” sia gli an corpi da contagio naturale
sia quelli prodo dal vaccino, non possono venir modi ca eccessivamente. Se infa le Spike
mutassero troppo rischierebbero di ridurre la propria capacità di legarsi alle nostre cellule,
perdendo infe vità. A riprova, s amo scoprendo che le varian tendono ad accumulare
indipendentemente mutazioni ricorren (Rochman et al, 2021a), cioè sempre le stesse pur in aree
geogra che diverse, in quanto le altre ridurrebbero l’infe vità del virus no a renderlo meno
contagioso (Rochman et al, 2021b). La variante Mu mostra segni di aumentata resistenza, ma è
anche meno contagiosa della Delta e non si sta di ondendo velocemente. La Delta, che è molto
contagiosa ma anche ben riconosciuta dai vaccini, è ancora la variante di gran lunga più di usa
(da h ps://www.gisaid.org).
In conclusione, i vaccini non sono la causa dell’insorgenza delle varian e anzi, data la loro capacità
di ridurre il bacino di potenziali infe e dunque di replicazione e mutazione virale, esercitano
un'e cace funzione di prevenzione dell’insorgenza di varian immuno-elusive, sopra u o quando
usa in combinazione con misure di contenimento e distanziamento sociale (Rella et al, 2021).”
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Rispost
I virus mutano costantemente e senza dubbio SARS-CoV-2 non fa
eccezione. Sebbene alcune mutazioni aiutino la replicazione del
virus, alcune possono impedire il processo di riproduzione e altre
mutazioni sono neutre. Le mutazioni in grado di rendere il virus
più o meno virulento o trasmissibile possono essere utilizzate per
tracciare la diffusione del virus nel mondo. Data questa
considerazione, solo alcune mutazioni danno qualche vantaggio al
virus. Alcune mutazioni hanno anche il potenziale per diminuire
l'efficacia dei vaccini alterando la capacità degli anticorpi e
delle cellule T di rilevare i patogeni. In assenza di pressione
selettiva, i virus possono rimanere stabili nel loro ospite.
Tuttavia, quando un evento esercita una pressione selettiva sulle
popolazioni virali, queste possono evolversi rapidamente.
Pertanto, finché il virus può diffondersi facilmente all'interno
di una specie, non è necessario che cambi. La trasmissione diffusa
di una certa mutazione può essere dovuta ai cosiddetti "effetti
fondatori", in cui i lignaggi che compaiono precocemente nei
centri di trasmissione (ad esempio Wuhan o Nord Italia) hanno una
mutazione che viene trasmessa quando si diffondono in altre aree.
Alcuni autori hanno discusso sul fatto che i farmaci antivirali
che inibiscono la replicazione del virus possono selezionare la
fuga mutazionale che rende la terapia inefficace. Sebbene
attualmente l'efficacia di diversi farmaci antivirali, come
remdesivir, lopinavir e ritonavir, da soli o in combinazione,
vengono testati per SARS-CoV-2 in diversi studi clinici in tutto
il mondo, questi farmaci potrebbero diventare inefficaci
attraverso la “fuga” mutazionale. Dato ciò evitando l'uso di
farmaci antivirali e puntando sulla modulazione del sistema
immunitario dell'ospite, si potrebbero sfruttare i potenziali
vantaggi di imporre meno selezione sulle popolazioni virali. È
stato riportato che diverse persone infette da SARS-CoV-2 hanno
una pressione meno selettiva sulle popolazioni virali.

In uno studio antecedente sul virus H7N9 la maggior parte delle


mutazioni farmaco-resistenti segnalate per questo virus sono state
riscontrate in casi sporadici ma senza aver effettuato studi
sistematici. In questo studio utilizzando una piattaforma di
evoluzione in vitro e la tecnologia di sequenziamento di nuova
generazione (NGS), sono state sistematicamente tracciate le
traiettorie evolutive delle quasispecie del virus H7N9 sotto la
pressione selettiva di peramivir, e quindi analizzato gli effetti
di sostituzioni aminoacidiche in NA causate dall'evoluzione di
quasispecie sulle caratteristiche biologiche del virus. Si è
scoperto che le quasispecie del virus H7N9 si sono evolute sotto
la pressione antivirale del peramivir, portando a cambiamenti
nelle popolazioni dominanti del virus. Inoltre, sono state
identificate due importanti sostituzioni di amminoacidi in NA,
I222T e H274Y (numerazione del sistema N2), tra le quali I222T che
è stato identificato per la prima volta nel virus H7N9 del 2013.
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Infine, sono stati studiati il profilo di resistenza ai farmaci,


la fitness e l'attività enzimatica delle varianti. I risultati
indicano che l'evoluzione della quasispecie del virus H7N9 e la
potenziale comparsa delle varianti NA-I222T e NA-H274Y dovrebbero
essere attentamente monitorate, il che può guidare l'adeguamento
delle strategie antivirali.

I virus a RNA, come il virus dell'immunodeficienza umana, il virus


dell'epatite C, il virus dell'influenza e il poliovirus si
replicano con tassi di mutazione molto elevati e mostrano una
diversità genetica molto elevata. La diversità genetica
estremamente elevata delle popolazioni di virus a RNA deriva dal
fatto che si replicano come spettri mutanti complessi noti come
quasispecie virali. Le dinamiche delle quasispecie dei virus a RNA
sono strettamente correlate alla patogenesi e alla malattia virale
e alle strategie di trattamento antivirale. Negli ultimi decenni,
il concetto di quasispecie è stato ampliato per fornire un quadro
adeguato per spiegare il comportamento complesso delle popolazioni
di virus a RNA. Recentemente, il concetto di quasispecie è stato
utilizzato per studiare altri sistemi biologici complessi, come
cellule tumorali, batteri e prioni.

Queste varianti possono riemergere e diventare una delle


principali varianti di quasispecie se la quasispecie è soggetta a
pressioni selettive. Ciò è particolarmente rilevante nel
trattamento antivirale perché le varianti resistenti ai farmaci
con memoria di minoranza possono espandersi rapidamente sotto la
pressione della selezione dei farmaci. Un esempio del ruolo chiave
delle varianti minoritarie dell'HIV-1 è il fatto che le donne che
ricevono la monoterapia con nevirapina intrapartum hanno meno
probabilità di mostrare soppressione virologica dopo 6 mesi di
trattamento postpartum con un regime contenente nevirapine. I
virus a RNA possono sfuggire all'attività antivirale attraverso
mutazioni nel gene virale bersaglio stesso, causando una
diminuzione dell'affinità con l'inibitore e portando alla
resistenza. Questi cambiamenti influenzano anche il fenotipo della
proteina bersaglio e di conseguenza diminuiscono la capacità di
replicazione del virus. La replica continua di questi virus può
portare all'acquisizione di cambiamenti compensatori, che possono
fissare la variante farmacoresistente nella popolazione virale e
aumentare l'idoneità virale. Pertanto, poiché la frequenza di una
variante in una quasispecie dipende dall'idoneità relativa di
quella particolare variante, i genomi della memoria che vengono
mantenuti dopo l'interruzione del farmaco saranno presenti con una
frequenza maggiore rispetto alla popolazione originale.

La memoria quasispecie è un tipo di memoria molecolare che dipende


dalla storia recente del lignaggio evolutivo e dall'integrità
dello spettro mutante. La ricerca della memoria è stata stimolata
dal complesso comportamento del sistema adattativo di una
quasispecie virale, suggerito dalla presenza di informazioni di

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base (considerata quella che definisce l'identità virale)


nonostante la variazione degli elementi costitutivi (lo spettro
mutante). Un esempio ben noto è la memoria nel sistema immunitario
che mobilita ed espande componenti di minoranza in risposta a
stimoli precedentemente affrontati dal sistema. Negli esperimenti
progettati per identificare la memoria nelle quasispecie virali, i
membri dello spettro mutante sono aumentati di frequenza come
conseguenza della loro replicazione durante un evento di selezione
che li ha guidati verso il dominio. Quando il vincolo selettivo è
stato ritirato, i genomi della memoria sono rimasti a livelli da
10 a 100 volte superiori ai livelli basali attribuibili
esclusivamente alla loro generazione per mutazione, come
documentato con marcatori genetici FMDV indipendenti e con HIV-1
in vivo. Pertanto, la memoria è una proprietà collettiva della
quasispecie, dipendente dalla storia, che conferisce un vantaggio
selettivo per rispondere ai cambiamenti ambientali precedentemente
sperimentati dalla stessa linea evolutiva. Può manifestarsi solo
se lo spettro mutante mantiene la sua completezza, poiché la
memoria si perde quando la popolazione subisce un evento collo di
bottiglia che esclude le minoranze. Un esempio rilevante delle
conseguenze della memoria si ha in farmacologia antivirale con la
somministrazione per la seconda volta dello stesso o di un agente
antivirale correlato (capace di evocare mutazioni di resistenza
condivise) utilizzato in un precedente trattamento. Il secondo
intervento può affrontare genomi della memoria resistenti agli
inibitori dal trattamento precedente, contribuendo così alla fuga
del virus. Questo è un aspetto che non ha ricevuto adeguata
attenzione nella pianificazione degli interventi antivirali per i
pazienti che falliscono un primo trattamento e devono essere
sottoposti a un secondo trattamento.

L'adeguatezza della teoria della quasispecie (rispetto ad altre


formulazioni della dinamica evolutiva) come struttura per la
replicazione soggetta a errori dei virus e le sue conseguenze
deriva dalla sua inclusione della mutazione come parte integrante
del processo di replicazione. La dinamica della quasispecie
rappresenta una grande sfida per l'interpretazione molecolare
degli eventi evolutivi a breve termine che riguardano le
interazioni virus-ospite e i processi patologici. Un aspetto
gratificante del progresso nell'aver colto il significato della
sfida (almeno in parte) è che possiamo escludere alcune delle
strategie di prevenzione e controllo che una volta erano
considerate un'opzione. Comprendiamo ora che le barriere
antivirali focalizzate che coinvolgono un singolo vincolo (un
inibitore, un anticorpo monoclonale, un antigene peptidico come
vaccino) hanno una grande probabilità di fallire. Allo stesso
modo, è improbabile che i tentativi di produrre farmaci, vaccini o
strumenti diagnostici "universali" abbiano successo data la
diversità (presente e potenziale) all'interno della popolazione
degli agenti patogeni da controllare. Una regione del genoma
virale che è conservata tra tipi, sottotipi, isolati può essere

tale solo per quanto riguarda una sequenza consenso ma non lo


spettro mutante sottostante. Sono ora disponibili metodi per
identificare mutazioni di basso livello che possono prevedere la
fuga da vincoli selettivi.

Molti virus a RNA subiscono ricombinazione o riassortimento


durante la replicazione. Nelle cellule infettate ad alta
molteplicità, ad esempio, questo scambio di informazioni genetiche
può aumentare la diversità genetica combinando mutazioni
precedentemente uniche nello stesso genoma. Mentre l'impatto della
ricombinazione virale nell'evoluzione rimane alquanto oscuro, è
chiaro che questi processi possono anche riparare i genomi mutati
eliminando le mutazioni anche nelle cellule infettate a bassa
molteplicità. Pertanto, queste "riparazioni" mantengono l'idoneità
virale e possono servire ad aumentare la tolleranza mutazionale
delle popolazioni virali. Data la complessa relazione tra
complementazione, ricombinazione e robustezza, è probabile che
l'effettiva molteplicità dell'infezione all'interno degli
individui infetti sia un fattore critico che influenza
l'evoluzione del virus. Per testare in modo critico il ruolo della
ricombinazione nell'evoluzione del virus sarà necessario
manipolare i tassi di ricombinazione e determinare se il tasso di
ricombinazione rimodella la composizione genetica della
popolazione e la capacità del virus di accumulare e mantenere la
diversità e adattarsi ai cambiamenti.

Comprendere la ricombinazione dell'RNA è importante anche per il


suo potenziale di produrre nuovi ceppi ibridi, che possono avere
nuove proprietà e una maggiore patogenicità. Molti ceppi di virus
a RNA ricombinante forniscono un'ampia indicazione che la
ricombinazione esiste in natura per generare nuove variazioni che
migliorano l'idoneità del virus. In alcuni virus questa nuova
variazione è ottenuta prendendo in prestito materiale genetico dai
loro ospiti. Ad esempio, è stato osservato che il virus
dell'influenza A si ricombina con l'RNA cellulare, determinando un
aumento della patogenicità per i virus ibridi. È importante
sottolineare che le conseguenze patogene della ricombinazione
devono essere attentamente considerate ogni volta che vengono
utilizzati vaccini vivi attenuati multivalenti. Ad esempio, la
ricombinazione di ceppi di vaccini per il poliovirus porta al
frequente recupero di poliovirus patogeno ricombinante e allo
stesso modo, ciò si osserva anche per il virus della bronchite
infettiva. Si ipotizza che ceppi patogeni di poliovirus possano
essere generati dalla ricombinazione con enterovirus non
sintomatici di specie C in individui vaccinati. È così possibile
estendere il concetto di quasispecie per includere ceppi virali
che co-circolano e che, co-infettando cellule negli individui
infetti, possono ricombinarsi aumentando lo spazio di sequenza che
il virus può esplorare alla ricerca di un’innovazione evolutiva.

La poliomielite paralitica un tempo affliggeva quasi mezzo milione


di bambini ogni anno. Il vaccino orale attenuato contro la
poliomielite (OPV) ha consentito sforzi di vaccinazione in tutto
il mondo, che hanno portato a un controllo quasi completo della
malattia. Tuttavia, l'eradicazione del poliovirus è ostacolata a
livello globale dalle epidemie di poliomielite derivata dai
vaccini. Scopriamo che eventi evolutivi simili si verificano nella
maggior parte delle epidemie. Le mutazioni e le traiettorie
evolutive che guidano queste epidemie vengono replicate
utilizzando una semplice configurazione sperimentale basata sulle
cellule in cui il tasso di evoluzione è intenzionalmente
accelerato. Inoltre, le mutazioni che si accumulano durante le
epidemie aumentano l'idoneità alla replicazione del virus nella
coltura cellulare e aumentano la virulenza in un modello animale.
Uno studio ha svelato le strategie evolutive attraverso le quali i
ceppi vaccinali diventano patogeni.

In pratica questa analisi fornisce un modello che descrive i


passaggi evolutivi sufficienti affinché il ceppo OPV2 perda la sua
attenuazione e diventi virulento. Questi includono una serie di
sostituzioni iniziali, la maggior parte delle quali sono
transizioni, in particolare un evento relativamente "facile" per i
poliovirus. In particolare, le mutazioni di transizione “gate-
keeper” sembrano conferire la più alta fitness iniziale, che le
porta a una fissazione rapida da livelli assenti o estremamente
bassi presenti nel ceppo vaccinale. Ciò è supportato dal fatto che
tutte e tre le mutazioni sono già presenti nei virus escreti dai
vaccinati 14 giorni dopo la vaccinazione e sono state osservate in
precedenza nei virus dei vaccinati primari o della sorveglianza
delle acque reflue. In seguito a ciò, proponiamo che la
replicazione diventi più efficiente, consentendo una popolazione
virale più ampia, che aumenta la probabilità di trasmissione,
coinfezione e ricombinazione con i ceppi prevalenti di HEV-C.

Il concetto della risposta immunitaria verso un agente infettivo


intracellulare è estremamente complesso in quanto non va visto
solo come reazione fine a sé stessa ma piuttosto come una
“decodifica” di una informazione che appunto va letta ed
interpretata prima di qualsiasi reazione che potrebbe portare più
danni all’organismo intero che non instaurare una sorta di
“tolleranza immunologica”, molto meno dispendiosa energicamente e
più preservante nell’ottica dell’integrità dell’organismo stesso.

Nell’immunità naturale questo concetto è stato ben espresso in


numerosissime pubblicazioni ante-covid e anche nel corso della
pandemia.

Infatti il nostro sistema immunitario è ben addestrato a “sentire”


e percepire le possibilità divaricazioni nell’ambito di una
infezione virale, predisponendo un sistema ultra-sofisticato di
affinità prima e di adattabilità poi anche alle varianti.

L’utilizzo di vaccini che “puntano” come del resto gli anticorpi


monoclonali su una zona del virus estremamente suscettibile di
variazioni, non fa altro che esacerbare la mutabilità del virus e
far prendere il nostrosistema immune morale verso una selettività
più pronunciata sulla proteina target (che per altro ormai non
esiste più).
Questa esasperazione porta ad una minore adattabilità con una
down-regulation di quei cluster di Linfociti B e Plasma cellule di
lunga vita sempre meno adattativi e sempre più affini a quel
target.

La variante “immuno-elusiva” non significa immunopatologica. Non è


l’evasione dell’immunità su una porzione virale che ne determina
la scoperta immunitaria ma la disregolazione immunitaria operata
da una pressione selettiva “innaturale” sul sistema umorale e
anticorpale.

Sappiamo che con la vaccinazione entrano in gioco meno agenti


immunogeni: i vaccini a mRNA/DNA, infatti, presentano solo una
frazione del codice genetico del virus (5-10%) ma Finkel et al.,
(2021) riportano che il genoma del Sars-Cov-2 codifica per almeno
26 proteine, potenziali antigeni.
Con la vaccinazione, non venendo utilizzati epitopi altamente
immunogenici (ORF1), il sistema immunitario recluterà un numero
minore di cellule T e, di conseguenza, si potrà avere una risposta
immunitaria quantitativamente anche più forte ma con uno spettro
qualitativo più ristretto.

Come conseguenza, anche il tempo di attivazione immunitaria nei


soggetti sottoposti a vaccinazione sarà più lungo. Infatti, un
minor numero di epitopi bersaglio avrà come conseguenza un
ritardato allertamento del sistema immunitari e questo è un
fattore chiave per il successo nella battaglia contro il COVID-19:
più ampio è, infatti, il repertorio di epitopi bersaglio, più
velocemente avverrà l’incontro tra cellule dendritiche e antigeni
identificabili.
Sebbene siano state segnalate mutazioni SarsCoV-2 che annullano la
possibilità di formare il legame con l’MHC, Tarke et al. hanno
recentemente riportato che, nei convalescenti Covid-19, le
varianti SarsCov-2 hanno un impatto praticamente insignificante
sulle risposte cellulari T CD4+ e CD8+ (A. Tarke et al., Cell
Medicine; 2021). Inoltre, le risposte T alle varianti B.1.1.7,
B.1.351, P.1 e CAL.20C (emerse nella California meridionale) non
erano diverse da quelle del ceppo “ancestrale” di SarsCoV-2. Ciò
significa che la maggior parte degli epitopi SarsCoV-2 sono
conservati.1

E’ stato altresì osservato che, sebbene l'entit della risposta


cellulare T ad alcune “varianti di preoccupazione” (VOC) fosse
inferiore rispetto alla risposta nei confronti della variante
originale, il declino delle cellule T si è rivelato essere modesto
(H. Kared et al., The Journal of Clinical Investigation; 2021). In
un altro studio si è evidenziato come le diverse caratteristiche
degli epitopi segnalati per SARS-CoV-2 rappresentano un insieme
specifico di epitopi che sembrano indurre risposte delle cellule T
in più coorti e in una grande frazione di individui testati (A.A.
Quadeer et al., Cell Report Medicine; 2021). Le cellule T
rispondono alle VOC confermando, quindi, che molte di queste
varianti sono in relazione con bassi livelli anticorpali contro il
virus senza tuttavia che la risposta cellulare T subisca
alterazioni significative. Inoltre, l’osservazione che i
cambiamenti aminoacidici nella proteina spike delle varianti
SarsCoV-2 non influiscono sulla reattivit delle cellule T risulta
essere basilare. Nello studio citato, gli Autori riportano di aver
sintetizzato brevi peptidi che coprono l'intero proteoma di pi
isolati di SarsCoV-2, incluso il ceppo Wuhan-1 originale e le
varianti B.1.1.7, B.1.351, P.1 e CAL.20C, ed hanno trovato poche

1Alcune di queste varian hanno mostrato una maggiore trasmissibilit e quindi de nite da OMS "varian
di preoccupazione” (VOC). Tali VOC includono alfa (B.1.1.7), beta (B.1.351), delta (B.1.617.2) e gamma (P.1)
che hanno avuto origine rispe vamente nel Regno Unito, in Sud Africa, in India e in Brasile. I Centers for
Disease Control and Preven on (CDC) hanno recentemente declassato la variante epsilon (B.1.427/429),
originaria degli Sta Uni , da VOC a !variante di interesse” (VOI). Le varian VOC hanno sviluppato
mutazioni nelle sequenze della proteina Spike che quindi gli an corpi neutralizzan non riescono a
riconoscere, riducendo potenzialmente l'immunit nei confron di queste varian dei sogge vaccina . Ad
esempio, il vaccino AstraZeneca e cace contro la variante alfa ma mostra una dras ca riduzione
dell'e cacia contro la variante beta che, tra l"altro, ha mostrato una rido a susce bilit agli an corpi
neutralizzan in studi clinici che coinvolgono tale vaccino (P. Supasa et al., Cell; 2021). Il modo in cui le
nuove varian possono sfuggire agli an corpi neutralizzan ha sollevato preoccupazioni sulla capacit dei
vaccini di proteggere dalle infezioni a uali e future).
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differenze nella capacit delle cellule T di pazienti
convalescenti o vaccinati, nel riconoscere i peptidi di questi
virus. Questa osservazione consente di sostenere l’improbabilità
che i cambiamenti degli aminoacidi nelle varianti possano influire
sulla capacit delle cellule T di riconoscere il patogeno ed
eliminare l'infezione (A. Tarke et al., bioRxiv; 2021; A. Tarke et
al., Cell Reports Medicine; 2021; WT Harvey et al., Nature; 2021;
D. Geers et al., Science; 2021; C.A.M. La Porta et al., Frontiers;
2021). D’altra parte, è nota l’incertezza circa la capacità dei
vaccini di prevenire l'infezione da SarsCoV-2 nelle sue VOC ed è
altrettanto noto che i livelli anticorpali diminuiscono
fisiologicamente e rapidamente dopo l'infezione o la vaccinazione,
specialmente a livello della mucosa respiratoria; tuttavia, le
cellule T e B della memoria sono in grado di agire in un tempo
relativamente rapido garantendo sia la produzione di anticorpi ex-
novo sia l’attività delle cellule T virus-specifiche: gli
anticorpi limitano l'infezione mentre le cellule T eliminano le
cellule infettate dal virus. Ciò potrà tradursi clinicamente in
una infezione lieve o asintomatica che probabilmente non verrà
trasmessa ad altri.

Il vaccino da solo non è la causa delle varianti. E’ il contesto.


Virus a RNA, vaccinazione ed altre terapie “mirate” in piena
pandemia. Il virus elude i vaccini (dal momento che ci sono tutti
questi richiami proprio per potenziare un sistema immunitario che
è già reattivo).
Il sistema immunitario funziona a prescindere dal vaccino, se un
soggetto è già immune.
Esasperare un sistema immunitario che appunto sarebbe già
responsivo per i motivi citati sopra, non ha alcun senso, varianti
o no.

Se un soggetto non è immune (molto molto raro) può diventarlo (il


sistema immunitario, forse ce lo siamo scordati, può montare una
risposta anche verso un agente “ex-novo”).

Se un soggetto è immune può ammalarsi anche gravemente, ma questo


è appannaggio dell’immunopatologia dovuta alla non respposnvità
del sistema immunitario, dovuto a sua volta ad eventuali mutazioni
a carico di alcuni recettori o molecole responsabili della
trasduzione di alcuni segnali (anche questo ben pubblicato).

Non esiste che una persona sana (ovvero senza mutazioni di sorta e
con uno stato di salute normale) e immune si ammali gravemente.

Le riserve di cellule B di memoria possono generare anticorpi


protettivi contro ripetute infezioni da SARS-CoV-2, ma con portata
sconosciuta dall'infezione originale alle varianti antigenicamente
derivate. Abbiamo tracciato gli anticorpi codificati per il
recettore delle cellule B di memoria da 19 soggetti convalescenti



COVID-19 contro il picco di SARS-CoV-2 (S) e abbiamo trovato sette


principali gruppi di competizione anticorpale contro epitopi
mirati in modo ricorrente tra gli individui. L'inclusione di
strutture pubblicate e appena determinate di complessi anticorpo-S
ha identificato le corrispondenti regioni epitopiche.
L'assegnazione del gruppo era correlata con l'ampiezza della
reattività crociata, la potenza di neutralizzazione e le firme
anticorpali convergenti. Sebbene le varianti emergenti di SARS-
CoV-2 siano sfuggite al legame di molti membri dei gruppi
associati all'attività neutralizzante più potente, alcuni
anticorpi in ciascuno di quei gruppi hanno mantenuto l'affinità,
suggerendo che i componenti altrimenti ridondanti di una risposta
immunitaria primaria sono importanti per la durevolezza conferendo
protezione da patogeni in evoluzione.* Questi risultati forniscono
una panoramica globale dei repertori di cellule B di memoria
specifiche per S e illustrano le proprietà che guidano la fuga
virale e conferiscono robustezza contro le varianti emergenti.

- Sette principali regioni epitopiche del picco di SARS-CoV-2 sono costantemente prese di mira dall'Abs
umano
- L’assegnazione del gruppo Ab è correlata all'ampiezza del legame di CoV e alla potenza di neutralizzazione
- Le varianti SARS-CoV-2 tendono a sfuggire agli Abs dai gruppi con i neutralizzatori più potenti
- La ridondanza del legame Ab all'interno del gruppo conferisce robustezza contro le varianti emergenti

(Cell, 2021)

* a questo proposito sottolineo ed evidenzio una Review del 2020 pubblicata su Nature, in
cui si pone l’accento sulla straordinaria capacità del sistema umorale nel disporre a
seguito di una primaria infezione virale un cluster di cellule B della memoria e plasma-
cellule di lunga durata che producono anticorpi contro “varianti” dal ceppo wild-type
iniziale.
Il bilanciamento tra alta affinità ed adattabilità è una prerogativa essenziale nei primordi
dell’infezione per determinare il futuro di anticorpi adattativi verso le varianti.

Le plasmacellule a vita lunga nel midollo osseo secernono anticorpi altamente selezionati e altamente specifici
(raffigurati in rosso) che formano una prima "parete" (in basso) contro la reinfezione da agenti patogeni
omologhi. Gli agenti patogeni varianti possono trovare buchi in questo muro; tuttavia, essendo sfuggiti agli
anticorpi delle plasmacellule a vita lunga, i patogeni varianti incontrano una seconda parete (in alto) formata
da cellule B di memoria che erano meno altamente selezionate e quindi mantengono una gamma più ampia di
affinità e specificità antigeniche. Le cellule B di memoria sono attivate dall'agente patogeno variante per
differenziarsi in plasmacellule a vita lunga o per rientrare nei centri geminali (GC) per ricostituire il pool di
cellule B di memoria. (Nature, 2020).

In particolare l’articolo pubblicato su Cell prende in considerazione le analisi dei sieri di individui vaccinati con
una o due dosi di vaccini mRNA (Pfizer e Moderna) contro 10 varianti circolanti di SARS-CoV-2 mostrano che
P.1 e B.1.351 in particolare mostrano una neutralizzazione limitata dall'immunità umorale indotta dal vaccino.
Si è scoperto che questa fuga è in gran parte mediata da mutazioni nel dominio di legame del recettore
della spike di SARS-CoV-2.

In definitiva lo studio ha dimostrato che:

- I vaccini mRNA provocano una potente attività neutralizzante


contro lo pseudovirus omologo
- La neutralizzazione incrociata dei ceppi con mutazioni del
dominio legante il recettore (RBD) è scarsa
- Sia le mutazioni RBD che quelle non RBD mediano la fuga
dall'immunità umorale indotta dal vaccino

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