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12/15/2018 L’essere parmenideo come difesa della comunità dalle insidie dell’illimitatezza

L’essere parmenideo come difesa della comunità dalle insidie


dell’illimitatezza

di GIUSEPPE ROTONDO

Nella manualistica di riferimento la figura di Parmenide di Elea è stata spesso accostata in via negativa a quella di Eraclito
di Efeso.

La contrapposizione tra questi due pensatori è stata presentata in maniera netta e decisa, senza lasciare apparentemente
spazi di critica o di ripensamento: l’essere parmenideo si contrappone, per la sua totale indeterminatezza e stabilità
eterna, al divenire di Eraclito. Il carattere dinamico dell’essere di Eraclito fa da contraltare alla staticità assoluta
dell’essere parmenideo. Quando si parla di questi due pensatori tutto appare dunque come noto e consolidato. Pur
tuttavia il compito della filosofia è sempre stato hegelianemente quello di smascherare il già noto, come non
autenticamente conosciuto. Ciò che è noto, la dicotomia Eraclito-Parmenide, deve essere de-costruito, in nome di un più
alto riorientamento gestaltico. La posta in gioco di questo ribaltamento teorico è più alta di ciò che inizialmente potrebbe
apparire: qui non si tratta di un puro rompicapo o di una sterile diatriba. Mostrare la falsità della contrapposizione
Parmenide-Eraclito significa ridisegnare l’immaginario che noi abbiamo sulla grecità, come paradigma dell’intera cultura
occidentale e come stella polare di un approccio critico e trasformativo rispetto al proprio tempo. Al tempo stesso è
proprio rinvenendo una cifra comune alle pur svariate manifestazioni del pensiero greco, che si può facilmente confutare
la fallacia della contrapposizione tra Eraclito e Parmenide. Per Hegel occorreva vedere il tutto della foresta nelle parti
degli alberi, ossia individuare una matrice di fondo alle diverse espressioni di pensiero.

E la foresta che accomuna i singoli alberi del pensiero greco deve essere ritrovata nel principio del metròn o giusta
misura, come orizzonte di senso ad un tempo ontologico e socio-politico. Seguendo questo approccio storico-genetico ed
ontologico-sociale, rifiutando la de-storicizzazione propria della comune vulgata delle trattazioni manualistiche, troveremo
nel pensiero greco una straordinaria opera di riflessione sulla comunità politica e sulla sua salvaguardia dalle insidie
antitetico-polari del troppo e del troppo poco, della povertà e dell’illimitata ricchezza. In questo modo potremo pervenire
ad un primo approdo:“Anche le filosofie di Parmenide e di Eraclito possono essere interpretate come i due poli in
correlazione essenziale di una difesa della comunità dalle insidie dell’illimitatezza, tramite strategie accomunate dal
ricorso al lògos.”[1] Lungi dall’essere astratte e metafisiche, le filosofie di Eraclito e di Parmenide hanno la comune
preoccupazione per la stabilità ed il benessere delle comunità in cui si situano. L’essere parmenideo, come quello
eracliteo, è un essere ad un tempo ontologico e sociale, che include in sé la dimensione politica e comunitaria della polis.
Certo, è anche vero che i due filosofi prospettano due diverse soluzioni alla possibile dissoluzione della comunità in forza
delle potenze disgregatrici della ricchezza privata e dell’illimitatezza. Mentre Eraclito accetta il carattere dinamico
dell’essere sociale, in perenne conflitto tra le potenze che la animano, postulando il divenire come orizzonte ineliminabile
della vita politica, Parmenide pone un vincolo alla indeterminatezza socio-economica causata dal dilagare della ricchezza
privata, postulando come eterno ed immodificabile il vecchio ordine aristocratico basato sul metròn e sulla giusta misura.
Ma al di là di questa differenziazione, i due pensatori sono senz’altro accomunati dal comunitarismo politico e dalla difesa
della polis, come orizzonte di senso e di significato per l’individuo. E si tratta di un aspetto che ritroviamo un po' in tutti i
pensatori greci anteriori all’ellenismo: da Socrate a Platone, per arrivare ad Aristotele. Tutti questi filosofi, pur nelle loro
differenze, sono dei teorici della giusta comunità e pongono il limite come principio per il suo corretto funzionamento.
Questa ridefinizione del pensiero greco come riflessione sulla comunità e sulla sua corretta riproduzione socio-politica,
permette non soltanto di superare l’apparente dicotomia tra l’essere eracliteo e quello parmenideo, ma anche di dedurre
altre importanti caratteristiche peculiari del pensiero greco stesso:

-L’unità originaria ed ontologica di pensiero ed essere;

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12/15/2018 L’essere parmenideo come difesa della comunità dalle insidie dell’illimitatezza

-La perfetta corrispondenza tra giusto e vero, ontologia e assiologia, tale per cui la verità coincide con il corretto
funzionamento comunitario della polis;

-L’unità tra macrocosmo naturale e microcosmo sociale, che in Parmenide si realizza attraverso la sfericità dell’essere
che corrisponde anche alla sfericità della polis, come orizzonte chiuso e perciò sottratto al dilagare della ricchezza e del
commercio privato.

In un mondo, quello capitalistico odierno, dominato dall’illimitatezza e dal profitto, la ripresa e la ridefinizione della grecità
giocano un ruolo decisivo, perché permettono di individuare nel metròn e nella giusta misura un antidoto ai mali del
presente. D’altra parte il comunitarismo greco risulta più che mai attuale, nella sua inattualità, per contrastare
l’individualismo e l’atomismo sociale, due aspetti non certo trascurabili del nostro tempo.

[1]Diego Fusaro, Bompiani, Minima Mercatalia

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