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Indice 3

Valentina Cantone Anna Serbati

I mosaici della Sicilia normanna


nella didattica universitaria
Dalla peer review alla costruzione
delle competenze trasversali
4 Indice

Pubblicazione realizzata con il patrocinio del Dipartimento dei Beni Culturali:


Archeologia, Storia dell’Arte, del Cinema e della Musica dell’Università degli Studi
di Padova. Le attività svolte con gli studenti a Palermo sono state sostenute grazie al
Fondo per il miglioramento della didattica.

DIPARTIMENTO
DEI BENI CULTURALI
ARCHEOLOGIA, STORIA
DELL’ARTE, DEL CINEMA
E DELLA MUSICA

Le foto della Cappella Palatina e della Martorana sono state pubblicate su autoriz-
zazione del FEC, Fondo per gli Edifici di Culto, Prefettura di Palermo, cui appar-
tengono. Tutte le altre immagini sono state scattate dagli studenti.

La casa editrice e le autrici sono a dispozione degli aventi diritto nell’ambito delle
leggi del copyright.

Editing a cura di Martina Varchetta

Prima edizione: settembre 2019

ISBN 978 88 5495 101 3

© 2019 Cleup sc
“Coop. Libraria Editrice Università di Padova”
via G. Belzoni 118/3 – Padova (t. 049 8753496)
www.cleup.it - www.facebook.com/cleup

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento,


totale o parziale, con qualsiasi mezzo (comprese
le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.

In copertina: Palermo, Santa Maria dell’Ammiraglio, pannello dedicatorio, mosaico,


La Vergine intercede per Giorgio di Antiochia, dett.
Indice 5

Οὐ γὰρ ὡς ἀγγεῖον ὁ νοῦς ἀποπληρώσεως ἀλλ’ὑπεκκαύματος μόνον ὥσπερ ὕλη


δεῖται, ὁρμὴν ἐμποιοῦντος εὑρετικὴν καὶ ὄρεξιν ἐπὶ τὴν ἀλήθειαν.
La mente non è un vaso da riempire, ma come la legna da ardere
ha solo bisogno di una scintilla che l’accenda e le dia
l’impulso della ricerca e un amore ardente per la verità.
Plutarco, L’arte di ascoltare, 48C
6 Indice
Indice 7

Indice

Premessa 11
Valentina Cantone

Valutazione tra pari e apprendimento in università: l’esperienza


con studenti dell’insegnamento di Storia dell’arte bizantina 13
Valentina Cantone e Anna Serbati
Alcuni cenni teorici 13
Un modello di intervento nell’insegnamento di Storia dell’arte bizantina 17
Il punto di vista degli studenti sull’esperienza di peer review 25
Riflessioni conclusive e propositive 30
Bibliografia 32

La fortuna critica del duomo di Cefalù 35


Maria Irene Bertulli, Elisa Stoppa e Martina Varchetta
L’architettura e i mosaici 35
Dal Cinquecento al Settecento 38
L’Ottocento: l’iconografia storica, i viaggiatori inglesi e i contributi
di Cavalcaselle e Crowe 39
Il Novecento: contributi critici per la conoscenza e la valorizzazione
del monumento 43
Studi recenti 53

La cattedrale di Cefalù come manifesto della regalità di Ruggero II 57


Maria Irene Bertulli
La costruzione della cattedrale di Cefalù 58
I due sarcofagi porfiretici di Ruggero II 60
Il trono regale nella cattedrale di Cefalù 62
I modelli di regalità di Ruggero II 66
8 Indice

Riflessioni intorno al Pantokrator di Cefalù 69


Elisa Stoppa
Quando il Cristo è Pantocratore 69
Un’iconografia bizantina 70
Il prototipo e le sue filiazioni 73
L’abside come porta del Paradiso? 74

La cattedrale di Cefalù tra restauri e memoria 77


Martina Varchetta
Un restauro cinquecentesco? 77
Rosario Riolo e la restituzione delle antichità normanne 78
I restauri cinquecenteschi 81
Gli ultimi interventi conservativi 83

La fortuna critica di Santa Maria dell’Ammiraglio detta la Martorana 85


Federica Bosio e Giulia Casalini
Architettura e decorazioni musive 85
Documento di fondazione e committenza 86
Una testimonianza dal mondo arabo: Ibn Giubayr 88
Demolizioni e ricostruzioni fra XVI e XVII secolo: l’edificio e la città 90
L’Ottocento: dagli eruditi ai conoscitori 92
Il Novecento: il contributo critico degli storici dell’arte 100

La rappresentazione della Vergine nei mosaici di Santa Maria


dell’Ammiraglio 113
Federica Bosio
Dedica al culto mariano nell’atto di fondazione 113
Il rapporto tra la divinità femminile e l’affermazione terrena 114
Il catino absidale 117
Annunciazione e Presentazione al Tempio 118
Natività e Dormizione della Vergine 120

L’immagine del potere nella Sicilia normanna: il ritratto di Ruggero II


in Santa Maria dell’Ammiraglio 125
Giulia Casalini
Introduzione 125
Ruggero II e i rapporti con Bisanzio 126
Arte bizantina per il sovrano normanno 129
Indice 9

L’icona regale e i suoi modelli 132


Un “ritratto politico”? 134

La fortuna critica della Cappella Palatina in Palermo 137


Maria Giovanna Fedre e Francesca Zancan
Introduzione 137
Storia e caratteri generali del monumento 138
Sintesi delle trasformazioni e degli interventi conservativi 142
Prime testimonianze sulla Cappella Palatina (XII s.) 143
La Cappella Palatina nei documenti cinquecenteschi 145
Il Settecento e la moda del Grand Tour 146
La Cappella Palatina nelle fonti ottocentesche 147
La Cappella Palatina nel pensiero storico-critico del XX
e del XXI secolo 153

Alcune considerazioni sul ciclo del Nuovo Testamento


della Cappella Palatina 167
Maria Giovanna Fedre
Distribuzione degli episodi del ciclo cristologico all’interno
della cappella 168
La loggia reale e le anomalie nella distribuzione delle scene
del Nuovo Testamento 169
La Natività e il Pantokrator della parete orientale del presbiterio:
un manifesto della regalità di Ruggero II 174
Il tema della luce nella Cappella Palatina e l’anagogia come processo
di avvicinamento al divino 179
La Fuga in Egitto e l’Ingresso di Cristo a Gerusalemme: la duplice
esaltazione del signore terreno e celeste 183
Gli episodi rimanenti del ciclo 189

Le Storie dei santi Pietro e Paolo 195


Francesca Zancan
Unità del programma decorativo e differenze stilistiche 195
Quali modelli? 197
Programma iconografico ed eredità apostolica 198
Le Storie di san Paolo 199
Le Storie di san Pietro 204
10 Indice

Sulla fortuna critica del duomo di Monreale e dei suoi mosaici 211
Gloria Boldrin, Gino Del Monte e Linda Salmaso
Cronologia e programma iconografico 211
Le prime fonti: dalla fondazione alla fine del XII secolo 213
Nel secolo del Concilio di Trento (1545-63): le regie visite,
la prima monografia, gli interventi conservativi 214
Il silenzio del Settecento illuminista 217
Il contributo dell’Ottocento romantico 218
Il Novecento 221

Il duomo di Monreale. Appunti dai restauri: documenti,


tecniche, materiali 229
Gloria Boldrin
Dal Medioevo all’Ottocento 229
Restauri novecenteschi 232
La riscoperta di tecniche e materiali 233
Tessere in ceramica e finestre murate 234

Appunti sulla diffusione del linguaggio artistico dei mosaici


di Monreale 237
Gino Del Monte

Il duomo di Monreale e le icone bizantine a mosaico 241


Linda Salmaso
Luce e oro per una mistica materializzata 245

Bibliografia 247

Appendice fotografica 267

Indice dei nomi 309


Il duomo di Monreale e le icone bizantine a mosaico 241

Il duomo di Monreale e le icone bizantine a mosaico


Linda Salmaso

Il suo involucro prezioso ha significato mistico: l’oro è la


Bellezza di Dio. All’occhio profano d’occidente l’unicità
di Bisanzio consiste nel suo essere ricca d’oro più d’o-
gni altra città e custode delle reliquie più preziose. Ma
sfugge il senso riposto di questa bellezza. I bizantini non
disgiungono l’ammirazione dell’oro e la venerazione del
sacro dall’ammirazione e dalla venerazione della bellezza
stessa: sanno pregustare, in tanto abbacinante splendore,
l’apparizione teofanica salvatrice1.

Le icone a mosaico di grande formato, di cui pochi sono gli esemplari su-
perstiti, “intrattengono più stretti rapporti con i mosaici parietali”2, rispetto
all’altra tipologia di icone musive di formato ridotto, quasi miniaturizzato.
La maggior parte delle grossformatigen Ikonen3, come le definisce Otto De-
mus (1902-1990), vennero realizzate in un periodo di circa due secoli che ha
come punto estremo la conquista latina di Costantinopoli nel 1204. Questi
limiti temporali, ovviamente, sono sempre imprecisi poiché, come fa notare
Italo Furlan (1929-2014), icone musive di grande formato furono realizzate
anche in età paleologa e alcune icone di minori dimensioni sono state da-
tate al periodo precedente alla massima diffusione di questi manufatti4. Le
icone più grandi erano “destinate al culto nelle chiese ed ispirate al mosaico
monumentale”5; inoltre venivano probabilmente realizzate dagli stessi mo-
saicisti che si occupavano delle decorazioni parietali. Erano immagini votive
che andavano collocate sulle pareti del templon o dell’iconostasi e, poiché
dovevano essere viste anche da lontano, le tessere utilizzate per comporle
erano poco più piccole di quelle usate per i mosaici parietali. La maggior
parte di esse presenta figure singole, a mezzobusto o a figura intera.
Con questo non si vuole certo dire che i mosaici parietali dipendano dalle
icone a mosaico di grande formato, né tantomeno si vuole affermare il con-

1
Furlan 1979, p. 7.
2
Pedone 2005, p. 98.
3
Demus 1991, p. 82, p. 104.
4
Furlan 1979, p. 11.
5
Ibidem.
242 Linda Salmaso

trario. Esse appartengono a un genere a sé stante, con una propria autono-


mia. Tuttavia, è possibile individuare dei legami tra alcune icone e i mosaici
di Monreale.
Nel 1942 Roberto Salvini (1912-1985)6 sosteneva che la patina di
“bizantinità”7 visibile nei mosaici monrealesi, per lui opera di magistri mu-
sivarii veneziani, era “dovuta da una parte ad un’esteriore osservanza della
tipologia bizantina – spiegabilissima con l’attrazione dei cicli musivi sicilia-
ni della metà del XII secolo – e dall’altra dall’influsso tecnico del mosaico
portatile”8. Per lo studioso, memoria della tecnica delle icone musive si rav-
visa addirittura nell’imponente figura del Pantokrator del catino absidale,
oltreché nella Madonna con Bambino sottostante (fig. 35). In questi due casi,
secondo Salvini, il trattamento delle vesti, il linearismo nel quale si risolvo-
no “le auree profilature” del panneggio del Cristo Bambino, “le filiformi
lumeggiature” della tunica del Pantocratore e “la stampigliatura delle vesti”
degli angeli ai lati della Vergine possono essere messi in stretto rapporto con
la resa dei medesimi elementi all’interno delle icone musive. Per lo studioso,
però, questa affinità non fa altro che sottolineare la distanza fra tradizione
bizantina e mosaici monrealesi, poiché mostra come i modelli della deco-
razione parietale provengano dalla produzione delle icone che si andavano
diffondendo in Occidente. Questa lettura, che pur sottolinea alcuni punti
di contatto tra icone a mosaico e ciclo musivo, non è supportata da esempi
specifici e non spiega come questo contatto possa essere avvenuto.
Valentino Pace9 (1944), invece, alla fine degli anni novanta documen-
ta alcuni casi di circolazione e ricezione delle icone bizantine soprattutto
nell’Italia meridionale. Egli propone un interessante confronto tra l’icona di
Andria10, l’icona musiva del Sinai11 e la rappresentazione della Vergine sulla
lunetta del portale maggiore del duomo di Monreale (fig. 40). Lo studioso
– al fine di fissare la datazione dell’icona di Andria intorno al 1200 o comun-
que non oltre il primo decennio del XIII secolo – sceglie per il confronto
queste due opere che vengono datate con buona sicurezza proprio in quegli
anni. A differenza di quanto proponeva Salvini, Pace ritiene che i mosaici di
Monreale siano da riferire “ad un mosaicista di sicura educazione artistica
bizantina”12. Dai mosaici monrealesi l’icona di Andria si differenzia per il

6
Salvini 1942.
7
Ivi, pp. 311-321, p. 313.
8
Ibidem.
9
Pace 1996.
10
Ivi, figg. 1 e 2, p. 163.
11
Ibidem.
12
Ivi, p. 158.
Il duomo di Monreale e le icone bizantine a mosaico 243

“puro pittoricismo che la caratterizza”13 e per il fatto che risultano assenti


quelle trame lineari caratterizzanti gran parte della produzione iconica del
tempo e da cui non restano indenni le rappresentazioni monrealesi. L’ico-
na di Andria dunque, pur presentando dei punti di contatto con i mosaici
monrealesi e con l’icona musiva del Sinai, si distanzia da queste per alcuni
elementi: “a cominciare dallo sguardo della Vergine, indirizzato, a Monreale
- e ad Andria, ma non al Sinai! – verso il fedele, a stabilire con lui un diretto
nesso devozionale”14; ulteriori differenze si riscontrano anche per quanto
riguarda lo sguardo del Bambino. Interessanti analogie si notano, invece, tra
i maphoria della Vergine delle varie opere prese in considerazione, analogie
che si estendono alle vesti del Bambino Gesù.
Già Demus, nel suo The mosaics of Norman Sicily, aveva istituito un con-
fronto tra l’icona sinaitica e la lunetta del duomo di Monreale. L’immagine
della Vergine a mezza figura ritratta nell’icona musiva portatile del monaste-
ro di Santa Caterina sul Monte Sinai, secondo lo studioso, condivide alcune
peculiarità del costume e della composizione con la mezza figura della Vergi-
ne nella lunetta sopra il portale occidentale di Monreale, in modo particolare
il naso ricurvo e appuntito, le sopracciglia arditamente arcuate e il delicato
disegno della bocca15. Affinità sono riscontrabili, inoltre, secondo l’opinione
di Demus, nella fisionomia di Cristo Bambino e nelle mani delle due Vergini.
Anche il panneggio è confrontabile, tanto da apparire quasi sovrapponibile16.
Lo studioso nota inoltre che le tessere musive sono state allettate nello stesso
modo in entrambi i casi, seguendo quasi un medesimo disegno preparatorio.
Conclude il confronto proponendo per l’icona sinaitica la stessa datazione
del ciclo musivo del duomo di Monreale (fine del XII secolo)17.
Pace, però, si pone un ulteriore quesito e, dopo aver analizzato l’ico-
nografia dell’icona di Andria in rapporto all’icona musiva sinaitica e alla
lunetta della cattedrale monrealese, espone la difficoltà degli studiosi nel
risalire al luogo di produzione dell’icona di Andria sostenendo che allo stato
delle conoscenze non si può far altro che attribuire la produzione di quest’i-
cona all’ambito definibile “bizantino” nel senso più ampio del termine18.
Infatti, secondo lo studioso, “nulla autorizza ad escludere una qualsiasi area
di produzione dove – verosimilmente ad una data intorno al 1200 – sia te-

13
Ibidem.
14
Ivi, p. 159.
15
Demus 1988, p. 430.
16
Ibidem.
17
Ibidem.
18
Pace 1996, p. 160.
244 Linda Salmaso

stimoniata o sia almeno in teoria plausibilmente ipotizzabile l’attività di una


bottega pittorica capace di una corrispondente qualità”19. Tra queste aree
“bizantine”, dove potrebbero essersi formate tali botteghe, Pace colloca an-
che la Sicilia.
Nel 2009 Simona Moretti20 (1970) afferma che, oltre ad esistere botte-
ghe che realizzavano icone dipinte, “probabilmente pure in Sicilia dovettero
prodursi immagini musive mobili”21. La studiosa porta a sostegno di quest’i-
potesi diversi dati; infatti a Palermo, alla fine del Settecento, era conservata
l’icona musiva con la Trasfigurazione, oggi al Louvre, datata dalla maggior
parte degli studiosi tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo22. Quest’icona
mostra notevoli “affinità tecniche e stilistiche con i mosaici del duomo di
Monreale, in particolare quelli delle navate”23, per esempio nella rappresen-
tazione di alcune tipologie di figure, come l’anziano o il giovane, oppure nel
trattamento dei panneggi e ancora nell’uso di tessere in marmo per gli abiti.
Già Sergio Bettini (1905-1986) aveva giudicato questa icona di stile
comneno maturo24, mentre Demus l’aveva paragonata proprio al ciclo mu-
sivo di Monreale; lo studioso infatti nota una grande quantità di punti in
comune tra l’icona e la scena della Trasfigurazione sulle pareti della catte-
drale, proponendo per l’icona una datazione di poco posteriore a quella
dei mosaici, al tempo della conquista latina di Costantinopoli. Se l’icona
sinaitica, pur essendo probabilmente contemporanea alla lunetta, era stata
realizzata da mosaicisti “in un certo modo più conservativi, se non addirit-
tura retrospettivi”25, la Trasfigurazione del Louvre, secondo Demus, “rimane
comnena nelle sue caratteristiche principali, benché il suo artefice vada un
passo avanti rispetto ai mosaicisti monrealesi”26, soprattutto nella plasticità
dei corpi e nell’utilizzo del chiaroscuro. Inoltre, va considerato che la cor-
nice di questa tavola è accostabile a quella del Cristo Pantocratore del Bar-
gello27, altra icona musiva databile entro la fine del XII secolo e accostabile,
come già faceva Demus28, al Pantokrator della conca absidale di Cefalù. Bet-

19
Ibidem.
20
Moretti 2013.
21
Ivi, p. 1001.
22
Si rimanda alla foto in Bettini 1938, fig. 7, p. 17 e Furlan 1979, fig. 9 (senza numero di
pagina).
23
Ibidem.
24
Bettini 1938, p. 23.
25
Demus 1988, p. 430.
26
Ivi, p. 431.
27
Bettini 1938, fig. 16, p. 30; Furlan 1979, fig. 11 (senza numero di pagina).
28
Demus 1988, p. 393.
Il duomo di Monreale e le icone bizantine a mosaico 245

tini, che proponeva per quest’icona una datazione agli inizi del XIII secolo,
percepiva nel mosaico “lo stesso curioso momento stilistico di certi mosaici
dugenteschi di San Marco a Venezia…, dei frammenti veneziani del 1218 a
Roma, e sopra tutto di certe parti della decorazione di Monreale”29.
A queste affinità tecnico-stilistiche bisogna aggiungere un documento
proveniente dall’archivio della Cappella Palatina. Si tratta di un inventario
del 1309, che riporta informazioni risalenti ad almeno quarant’anni prima,
nel quale è menzionata un’icona musiva con san Giorgio, mentre altre ico-
ne a mosaico sono citate nell’inventario di Santa Maria dell’Ammiraglio del
133330. Se, dunque, in un’epoca così vicina a quella della realizzazione dei
grandi cicli musivi di epoca normanna in Sicilia erano presenti e circolavano
così numerose le icone a mosaico, forse non è possibile escludere che esse
siano state realizzate in loco, magari dagli stessi maestri mosaicisti che si oc-
cuparono della decorazione delle chiese.

Luce e oro per una mistica materializzata

La produzione di icone musive e i cicli monumentali bizantini sono


espressione, pur con le differenze del caso, della stessa Weltanschauung
artistica31. L’icona, infatti, dopo la parentesi iconoclasta, ricominciò ad es-
sere realizzata e “conobbe”32 addirittura “un arricchimento sul piano dei
materiali”33. Usando una felice espressione di Italo Furlan: “i bizantini si
abbandonarono ad una mistica materializzata”34. Una concezione, questa,
che è da tenere in considerazione anche quando si analizza il ciclo musivo
di Monreale.
Come è noto, la luce assumeva grande importanza per il fedele bizantino.
Esempio principe è la chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, ma i mosai-
ci monrealesi non sono da meno. I Normanni adottano i modelli derivanti
dall’arte aulica costantinopolitana per poi applicarli ai loro edifici di culto,
con il fine di celebrare la dinastica.
Nella liturgia bizantina l’importanza dell’elemento luminoso emerge
spesso durante la celebrazione; come ricorda Furlan, l’espressione “abbia-

29
Bettini 1938, p. 30; Furlan 1979, pp. 53-55, concorda con questa datazione.
30
Moretti 2013, p. 1003.
31
Pedone 2005, p. 101.
32
Moretti 2013, p. 998.
33
Ibidem.
34
Furlan 1979, p. 6.
246 Linda Salmaso

mo visto la vera luce” è il canto intonato dai fedeli dopo la comunione35.


Inoltre, già nel Concilio di Nicea del 325, Cristo viene definito “luce da luce”;
inoltre il rito battesimale è definito fotismòs, ovvero illuminazione. Come
se il catecumeno andasse incontro a un bagno di luce e non d’acqua. La
rilevanza dottrinale e liturgica della luce si riflette nella decorazione interna
degli edifici sacri, in cui gli sfondi aurei e l’illuminazione artificiale sono uti-
lizzati per favorire quel processo anagogico di avvicinamento al divino che
tanta importanza ha nella cultura bizantina.
Se le icone vanno via via impreziosendosi e “la materia preziosa sotto-
linea e rafforza il valore sacro delle immagini”36, mediando il contatto del
fedele con la divinità, non si può fare a meno di notare la quantità di tessere
auree che caratterizza la decorazione musiva del duomo di Monreale. L’oro,
come dice Furlan, “è la Bellezza di Dio”37 e così veniva percepito dal fedele
bizantino, ma anche dai reali normanni.
L’immagine del Cristo Pantocratore è il punto focale dell’intero edificio,
ma non solo; il percorso cristologico si snoda, infatti, lungo il transetto e le
navate laterali, accompagnando il fedele nel suo percorso all’interno del-
la chiesa. Cristo, dunque, diventa figura centrale e personaggio principale
nel programma iconografico di questo edificio; nel “fermo occhio luminoso
dell’abside”38, colui che è stato definito “luce da luce” viene rappresentato
secondo l’iconografia del Pantocratore, mentre tiene un libro aperto nella
mano sinistra sul quale è contenuta un’iscrizione in greco e in latino che
riporta un versetto del Vangelo di Giovanni che recita: “Io sono la luce del
mondo, chi mi segue non camminerà mai nelle tenebre, ma conoscerà la luce
della vita”39 (fig. 41).
Pertanto è doveroso tenere in considerazione “continuità ed omogeneità
stilistica tra arte propriamente monumentale e arti cosiddette minori”40. Il
filo che le lega, rendendole parte e frutto della medesima concezione del
mondo, oltre alle analogie stilistiche e tecniche, è individuabile nella volontà
espressa dalla committenza normanna di circonfondere di luce aurea il po-
tere politico di re Guglielmo II che, secondo Otto Demus, intese Monreale
come la Saint Denis degli Altavilla41.

35
Ibidem.
36
Ivi, p. 7.
37
Ibidem.
38
B ettini 1965, p. 2.
39
Vangelo di Giovanni, 8,12.
40
Pedone 2005, p. 102.
41
Demus 1988, p. 99.

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