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Premessa
3 - L'equilibrio
“Fu l'opera della sua compagna artista, la moglie Sophie Tauber, che
gli mostrò - scrive Arnheim - il fine equilibrio tra sopra e sotto, luce
ed ombra, eternità e transitorietà”, tanto da indurlo in seguito a
credere di nuovo, come nella sua gioventù, “che il ritorno ad un
ordine essenziale, a un'armonia, sia necessario per salvare il mondo da
una confusione senza limiti” (76). Da questo passo dei suoi scritti si
può forse desumere che Jean Arp aveva scoperto, nell'ambito concreto
e diretto della sua esperienza artistica, ciò che Arnheim doveva
giungere a sostenere al termine del suo saggio: ovvero che non ci si
può contentare di chiedere ad un'opera d'arte di raffigurare il disordine
dell'ambiente circostante o del proprio cervello, come avviene in certi
prodotti dell'arte contemporanea. Sebbene questi possano talvolta
essere considerati come effetti del bisogno quasi disperato di trarre
l'ordine da un ambiente caotico (77), l'interpretazione dell'arte che
dimostrano di adottare o assecondare si rivela debole e per lo più
sterile, almeno quanto quella che tende a contrapporre
ideologicamente allo stesso disordine il vuoto dell'omogeneità.