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La pittura fiamminga è un tipo di pittura nata nel '400 nelle Fiandre grazie a Jan Van Eyck.

La
pittura fiamminga è favorita dalla ricchezza che vi era nelle Fiandre nel '400 ed è un'arte di alto
pregio e che raffigura molti particolari.

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Caratteristiche
L'arte fiamminga ha, essenzialmente, tre caratteristiche principali:

• Uso dei colori ad olio


• Ritratto visto con posa di 3/4
• Visione perfetta e particolareggiata della realtà

Uso dei colori ad olio


I colori ad olio erano già utilizzati nel Basso Medioevo, ma avevano moltissimi difetti (si
stendevano male, asciugavano in fretta, erano di bassa qualità, ecc.).

L'utilizzo fiammingo dei colori ad olio conferisce al dipinto una nitidezza estrema ed un'ottima
resa della luce atmosferica, grazie alle trasparenze delle sottili velature di colore. Va comunque
sottolineato che tale tecnica non è un'invenzione degli artisti delle Fiandre, in quanto conosciuta già
nell'antichità, anche se per lungo tempo abbandonata a causa dei lentissimi tempi di essi-cazione
che la rendono poco pratica. Ai fiamminghi spetta casomai il merito di averla reintrodotta ed
attualizzata a seguito di una ragionevole contrazione di tali tempi, resa possibile dall'abilità nel
miscelare olio di diversa natura. Inizialmente, come diluente viene utilizzato l'olio di noce o quello
di papavero, pur con l'inconveniente della loro tendenza ad ossidarsi e ad ingiallire.

Nel procedimento pittorico, il lubrificante si amalgama ai pigmenti, ricavati da elementi naturali.


Una volta terminato, il dipinto viene protetto da uno strato di vernice trasparente, più o meno lucida,
per preservare le tinte dagli agenti atmosferici.

I fiamminghi, nel '400 perfezionarono questa tecnica di pittura, rendendola adatta alle sfumature:
siccome asciugava molto lentamente (poteva impiegare anche una settimana), era possibile
mescolare il colore molte volte. Inoltre, questa tecnica permetteva di eseguire le velature, ovvero
diversi strati di colore ad olio che rendevano il dipinto brillante e lucido e permetteva di raffigurare
la profondità.

Infatti, i fiamminghi non conoscevano ancora la prospettiva geometrica, inventata da poco in Italia
grazie a Filippo Brunelleschi.

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Goes, Hugo van der Olio su tavola. 253 × 304 cmAdorazione del Bambino, (pannello centrale del Trittico
Portinari), 1476-1478, Firenze, Uffizi

Ritratto con posa di 3/4

I fiamminghi, inoltre, inventarono un altro modo di visualizzare il personaggio: non di profilo, non
frontale, ma a tre quarti, appunto. Questo cambiamento nella rappresentazione del punto di vista,
permette all'osservatore di cogliere maggiori informazioni della fisionomia di uno stesso volto.

Rogier van der Weyden, Ritratto di Dama, c.1455, Washington (D.C.), National Gallery of Art 37 × 27 cm

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Perfezione e particolari

Uno degli elementi caratterizzanti la pittura fiamminga quattrocentesca è indubbiamente la


maniacale resa dei dettagli, tanto negli interni borghesi quanto nei paesaggi, al punto di
subordinare la verosimiglianza d'insieme alla resa dei singoli elementi. Mentre la pittura toscana si
concentra sulla restituzione complessiva dello spazio, ricorrendo ad una meticolosa impaginazione
prò-
spertica, la pittura fiamminga opta per la fedele descrizione dei particolari. Nel primo caso,
l'ambizione è quella di riprodurre una visione sintetica, complessiva, della realtà a partire da un
punto di vista, nel secondo, invece, si percorre la via di una sua lettura analitica, giocata
sull'abbondanza dispersiva delle minuzie. Nell'ottica di un rapporto "mimetico" (imitativo) con la
realtà, l'approccio fiammingo - intonandosi metodologicamente alla molteplicità - cozza con il
criterio di unitarietà della scena che il Rinascimento maturo porrà a cardine imprescindibile della
rappresentazione "moderna". Tale approccio contraddice altresì la fisiologia e la psicologia della
percezione visiva, considerato che - inevitabilmente - non è possibile "mettere a fuoco" nello stesso
istante ogni singolo particolare della scena che si ha di fronte, arrivandone tutt'al più a sintetizzare
un approssimato "colpo d'occhio". Paradossalmente, quindi, la morbosa attenzione pittorica per i
dettagli - quantitativamente proposti nella loro "iperdefinizione" -determina una rappresentazione
complessiva "irreale", inverosimile per eccesso, un naturalismo, in definitiva, dal sapore di
artificiosità.

L'esempio più evidente, però, è il ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eyck. Qui vengono
rappresentati due persone dell'alta società che stanno celebrando il loro matrimonio. Anche qui tutto
è rappresentato alla perfezione, e fin qui tutto normale. Ma nella stanza c'è uno specchio, che riflette
il pittore stesso e il testimone degli sposi in uno spazio di pochi centimetri. Inoltre, nel bordo dello
specchio (spazio di un centimetro scarso) è rappresentata la passione di Cristo; questo dimostra
come i fiamminghi fossero ottimi pittori della realtà, tanto che i loro dipinti potrebbero essere
associati ad una fotografia.

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Pittori famosi
Come scritto prima, l'iniziatore della pittura fiamminga fu Jan Van Eyck, anche il più famoso
pittore fiammingo. Un altro famoso fu Hugo Van der Goes, responsabile del primo contatto fra
pittori fiamminghi e i pittori italiani. Fra gli altri, ricordiamo Rogier Van der Weyden e Hans
Memling.

I fiamminghi e gli italiani


Fra la pittura fiamminga e la pittura del '400 in Italia vi erano molte differenze. Prima fra tutte, il
modo di dipingere: gli italiani avevano una pittura più nel complesso e con equilibrio compositivo,
mentre la pittura fiamminga cerca i particolari e ha colori molto intensi. Inoltre, gli italiani non
conoscono la pittura ad olio ed usano, soprattutto, la pittura a tempera e l'affresco.

Quando fiamminghi e italiani entrarono in contatto, i fiamminghi appresero dagli italiani la


prospettiva e la rappresentazione dello spazio, mentre gli italiani appresero dai fiamminghi la pittura
ad olio, la posa di 3/4 e l'uso delle velature.

Piero della Francesca e Sandro Botticelli uniscono pittura fiamminga e pittura italiana nei loro
dipinti.

Rogier van der Weyden,


Ritratto di Francesco d'Este, 1450, New York, Metropolitan Museum of Art 29,8 × 20,3 cm

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Jan van Eyck (Maaseik, 1390 circa – Bruges, giugno 1441) è stato un pittore fiammingo.

La vita
Nonostante sia considerato il capostipite della pittura nei Paesi Bassi nel '400 ed il maggior pittore
nord europeo del suo tempo, le notizie certe riguardanti la sua vita sono ancora molto scarse, inclusi
il luogo e la data di nascita esatti. Jan van Eyck nacque in una data compresa fra il 1390 e il 1400
quasi sicuramente a Maastricht che all'epoca faceva parte dei possedimenti del duca di Borgogna e a
introdurlo nel mondo della pittura dovrebbe essere stato il fratello maggiore Hubert, anche se parte
della critica dubita persino della sua esistenza, visto che di lui esistono solo due riferimenti: il primo
sul più volte smontato e rimontato polittico dell'Agnello Mistico e l'altro su una pietra tombale nella
diruta abbazia di San Bavone a Gand.Nulla sappiamo sulla formazione dell'artista, nemmeno se essa
si svolse in francia o nella terra di origine.Alla fine del trecento e nella prima metà del quattrocento
le fiandre, ovvero l'odierno belgio settentrionale e una parte dei paesi bassi, erano governate dai
duchi di borgogna.

Le prime informazioni che si hanno sul conto di Van Eyck risalgono quindi al periodo che va
dall'ottobre 1422 al settembre 1424, quando il pittore si trovava all'Aja alla corte di Jean de Bavièere
Hainaut, conte d'Olanda. L'anno successivo divenne pittore di corte del duca di Borgogna Filippo il
Buono, per conto del quale compì anche numerose missioni diplomatiche: si recò infatti a Lisbona
nel (1428) per concordare le nozze del duca con Isabella del Portogallo, alla quale farà
successivamente un ritratto. Dopo aver abitato per qualche tempo nella città francese di Lille, nel
1432 si trasferì definitivamente a Bruges, dove trascorse il resto della sua vita e morì ancora in
giovane età nel giugno 1441, come testimoniano gli incartamenti relativi al suo funerale custoditi
nell'archivio della cattedrale di Saint-Donatien.

La sua arte ebbe una portata rivoluzionaria al pari di quella di Masaccio in Italia: essa rappresentò il
superamento delle convenzioni del gotico in nome di una concezione 'naturalistica' ricondotta alle
istanze della percezione visiva e all'indagine scientifica della realtà.

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Le opere

Le sue opere più famose risalgono quasi tutte al periodo in cui viveva a
Bruges, mentre più scarse sono le testimoninze relative al suo soggiorno
olandese; tra le prime opere conosciute del pittore vi sono le due tavole
raffiguranti la Crocifissione ed il Giudizio finale, eseguite intorno al 1430
e forse facenti parte di un polittico smembrato oppure unite insieme a
formare un dittico. Lo spazio della Crocifissione è organizzato secondo
un punto di vista rialzato che aumenta il senso di profondità; ai piedi
delle croci è riunita una gran folla di personaggi in cui si vedono soldati e
dignitari di corte ritratti con impassibile distacco, contrapposto alla
disperazione della Vergine inginocchiata in primo piano ed avvolta in un
largo abito celeste che lascia scoperto soltanto il volto. Il senso di
drammaticità è accentuato dalla posizione del ladro sulla destra
raffigurato con il corpo piegato sulla croce, come nel tentativo estremo di
liberarsi dalle corde, mentre il cielo plumbeo annuncia l'imminente morte del Cristo; la città che si
vede sullo sfondo, con i suoi numerosi edifici che ricordano le costruzioni fiamminghe del tempo,
rappresenta la Gerusalemme celeste.

La tavola con il Giudizio finale è invece


costruita secondo un modello di derivazione
medievale, con una disposizione su tre piani
e con le figure di grandezza diversa a
seconda del loro grado d'importanza; in alto
si trova il Cristo circondato da angeli che
reggono gli strumenti della Passione, dalla
Madonna e S. Giovanni e sotto i 12 apostoli
affiancati da santi e beati. Nella parte
inferiore del dipinto si vedono i morti che
emergono dalla terra e dal mare in attesa del
giudizio con l'arcangelo Michele che
sovrasta lo scheletro della Morte raffigurato
con ali da pipistrello usate per delimitare lo
spazio degli inferi dove i dannati vengono
scaraventati in preda a terribili mostri che ne
straziano i corpi. La tavola contiene anche
delle iscrizioni destinate alla corretta
interpretazione delle immagini conferendo
una funzione di erudizione all'opera che
forse era destinata ad una persona istruita, in
grado perciò di leggerla e di comprenderne
il significato.

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Il polittico di Gand

Al 1432 viene datato il completamento del monumentale polittico di Gand, realizzato per la chiesa di
San Bavone e presumibilmente iniziato dal fratello Hubert, morto nel 1426, come conferma
l'iscrizione presente sulla cornice esterna del dipinto. Esso è costituito da 12 pannelli, disposti su due
registri, uno superiore e uno inferiore; al centro del registro superiore si trova il Dio Padre, con ai
lati la Vergine e S. Giovanni Battista, mentre a sinistra si trovano gli Angeli cantori e Adamo a destra
gli Angeli musici e Eva. Nel registro inferiore si può ammirare la grande tavola centrale con
l'Adorazione dell'agnello mistico, affiancata da due scomparti laterali con i Cavalieri di Cristo e i
Giudici integri (a sinistra) e gli Eremiti e i pellegrini(a destra). La critica sembra oggi propensa ad
attribuire a Hubert la concezione ed in parte l'esecuzione della tavola con l'Adorazione e delle tre
tavole sovrastanti, mentre tutto il resto venne eseguito da van Eyck che vi lavorò a fasi alterne, ciò
spiegherebbe l'evidente carattere di disomogeneità tra i vari scomparti, che per esere pienamente
apprezzati devono essere analizzati singolarmente. In quest'opera compaiono comunque quelli che
diverranno i caratteri tipici della pittura di van Eyck: naturalismo analitico, uso di colori luminosi,
cura per la resa del paesaggio e grande lirismo, tutti elementi che si ripresenteranno anche nei dipinti
eseguiti a pochi anni di distanza dal polittico di Gand.

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Al 1433 vengono fatti risalire la
Madonna con Bambino, detta di
Ince Hall ed il ritratto dell'Uomo
con il turbante rosso, da alcuni
considerato come l'autoritratto del
pittore che vi appose la sua firma e
la data di esecuzione (21 ottobre
1433) ed il motto fiammingo
divenuto famoso: <<come posso,
non come vorrei>>. Lo sfondo
scuro esalta le sembianze
dell'uomo che indossa un
voluminoso copricapo, su cui cade
inevitabilmente lo sguardo dello
spettatore che ammira la
stupefacente abilità nel rendere le
pieghe del panneggio attraverso il
contrasto tra luci ed ombre.

L'uomo con il turbante rosso, 1433,


Londra, National Gallery olio su legno
cm 26 x 19

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Tra le altre opere importanti di van Eyck
vanno ricordate la Madonna del cancelliere
Rolin, che molti mettono in relazione con la
pace di Arras stipulata nel 1435, la Santa
Barbara e il Trittico di Dresda.

La Madonna del cancelliere Rolin venne


eseguita tra il 1434 ed il 1435 e oggi si trova
al Louvre di Parigi; la scena di svolge
all'interno di un ambiente chiuso ma con
un'ampia arcata di fondo che crea un
complesso gioco di luci ed ombre. Le due
figure principali, la Vergine ed il donatore,
sono perfettamente bilanciate e disposti l'una
di fronte all'altro; l'abito del cancelliere in
adorazione è decorato con preziosi ricami;

La Madonna del cancelliere Rolin, 1434-39, Parigi, Louvre

mentre il Bambino tiene in mano un monile luminescente e la Vergine è vestita con un lungo abito
rosso sul quale sono ricamate in lettere d'oro i passi dell'ufficio mattutino recitato durante la messa
celebrata davanti al cancelliere. Le arcate lasciano intravedere la veduta di una città fluviale
riprodotta in ogni suo dettaglio: gli edifici, le strade e persino i suoi minuscoli abitanti.

Questa minuzia descrittiva nella composizione contribuiva alla sua visione d'insieme ed era
cosiddetta come la soluzione ideale per combinare la raffigurazione di un interno con un paesaggio
aperto sullo sfondo.

Nel trittico di Dresda, invece, la tavola centrale raffigura la Madonna in trono con il Bambino e sui
pannelli laterali si vedono S.Michele con il donatore a sinistra e S.Caterina a destra; la coRnice è
ancora quella originale e sul lato esterno degli sportelli si può vedere un'Annunciazione dipinta a
grisaille. Il nuovo motivo iconografico qui introdotto da van Eyck che proponeva l'identificazione di
Maria con la Chiesa stessa, venne ripreso da molti altri artisti anche italiani, tra cui Piero della
Francesca per la sua famosa Pala di Brera.

All'ultimo periodo di attività del pittore sono da riferirsi la


Madonna della fontana (opera firmata e datata nel 1436,
custodita al museo Nazionale di Anversa) e quella che è
conosciuta come la Madonna di Lucca.

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L'opera più conosciuta di van Eyck resta il celebre Ritratto dei coniugi Arnolfini realizzato nel
1434. Sul significato del duplice ritratto e dei numerosi simboli che il pittore aggiunse, va senz'altro
menzionato il particolare dello specchio in cui sono riflessi il pittore stesso e un altro personaggio in
qualità di testimoni dell'evento. Secondo l'interpretazione tradizionale, il quadro celebrava il
matrimonio tra il mercante lucchese Giovanni Arnolfini, da oltre un decennio stabilitosi a Bruges, e
Giovanna Cenami.

L’OPERA

Ritratto dei coniugi Arnolfini Jan Van Eyck, 1434 olio su tavola , 82 × 59,5 cm Londra, National Gallery

Il quadro del pittore fiammingo Jan Van Eyck, indubitabilmente databile 1434, é considerata una
delle sue opere più notevoli, ed é inoltre uno dei dipinti più rappresentativi dell’arte fiamminga.

E uno dei primi esempi di ritratto indipendente da opere religiose, che si conservano, infatti propone
una tematica più “umana”, quotidiana, ed é contemporaneamente un'informativa scena regionalista.
Rappresenta il matrimonio (di convenienza) tra Giovanni Arnolfini, un ricco mercante di Lucca con
Giovanna Cenami, anch'ella lucchese (non sono nobili). I quali si stabilirono e prosperarono, dal
1420 al 1472, nella città di Bruges, (in italiano antico Bruggia) oggi Belgio. Il matrimonio si svolge
nella camera da letto degli sposi: la coppia appare in piedi ed il marito benedice la moglie che gli
offre la sua mano destra, mentre appoggia la sinistra sul proprio ventre.

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La posa dei personaggi appare piuttosto teatrale e cerimoniosa, praticamente ieratica; alcuni
specialisti vedono in questi atteggiamenti “flemmatici” una certa comicità, ma la più estesa e
completa interpretazione del ritratto, ci permette di attribuire questa' aria pomposa, al fatto che si sta
rappresentando la celebrazione di un matrimonio, ove pertanto é d'obbligo, o consono, tale serietà.
La camera é descritta fin nei minimi dettagli, essendo la pittura di miniature, parte importante della
tradizione fiamminga; in questa opera in particolare, ogni dettaglio é ricco di significato che ci
forniscono una più ampia comprensione e interpretazione di ciò che stiamo osservando.

Interpretazione dell’opera

Ancora oggi, gli storiografi dell'arte discutono esattamente l'immagine che il quadro presenta; la tesi
per molto tempo dominante, introdotta da Erwin Panofsky nel 1934, sostiene che l'immagine
corrisponde al matrimonio di ambedue, celebrato in gran segreto e testimoniato dal pittore. Tuttavia,
molte altre interpretazioni hanno permesso differenti teorie, fino a giungere al consenso che la
teoria di Panofsky è difficilmente sostenibile. Va considerato che all’epoca, perché una unione
matrimoniale fosse considerata legalmente valida, era sufficiente, e necessario, un documento che
testimoniasse l'avvenimento, e la presenza di testimoni; non era pertanto indispensabile la presenza
di un sacerdote. E il quadro funge esattamente ( tra le varie) a questa funzione.

Il simbolismo
Grazie, precisamente, a questi piccoli oggetti, propri di una società che vive nell'opulenza, l'esperto
in Storia dell'Arte, Erwin Panofsky, riuscì a svelare il significato di questo quadro: il quale va
interpretato come un'allegoria del matrimonio e della maternità. Questa é la chiave di lettura, che ci
svela il senso della moltitudine di dettagli che, apparentemente, non hanno importanza, ma che
danno una nuova dimensione al quadro. In primo luogo, la rappresentazione della coppia, che è
antagonistica e simboleggia i differenti ruoli che ognuno ricopre nel matrimonio. Non
dimentichiamo che parliamo di una società di più di 500 anni fa, a cavallo tra il Medioevo e l'Età
Moderna:

lui è severo, benedice o, chissà, giura, (fides levata).

In qualsiasi caso, ostenta il potere morale della casa (potestà), e sostiene con autorità la mano di sua
moglie, (fides manualis), che china la testa in atteggiamento sottomesso e posa la sua mano sinistra
nel suo ingrossato ventre, segno inequivocabile della sua gravidanza che non è reale che sarebbe
stato (all'epoca) il suo culmine come donna. Ci sono inoltre, una, moltitudine di dettagli oggetti che
appaiono senza giustificazione apparente, come se non avessero rilevanza. Tutto quello che
contiene il quadro proclama la ricchezza della giovane coppia, dai vestiti ai mobili fino alla frutta
nel davanzale della finestra. La cosa certa è che la coppia, sembra avere collezionato molteplici

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oggetti di molti paesi dell'Europa: Russia, Turchia, Italia, Inghilterra, Francia... Senza dubbio,
Arnolfini, ricco mercante, intraprese rapporti con impresari di tutta l'Europa.

Come si sa, Bruges, dove si stabilì Giovanni, era un'ebollizione di borghesi provenienti da tutto il
mondo, e con questa opera, il protagonista del quadro vorrebbe anche mettere in risalto queste sue
importanti “conoscenze”.

In definitiva, la cosa certa è che tutti i molteplici dettagli, hanno un significato nitido che dà una
nuova dimensione all'opera:

Gli stessi vestiti che portano rinforzano questo messaggio, malgrado l'ambientazione suggerisca un
tempo estivo o, almeno primaverile, portano pesanti vestimenti, che rivelano la loro alta posizione
socioeconomica; la tunica di lui è scura e sobria, benché i dettagli di pelle di marmotta risultassero
particolarmente cari. Lei indossa un ampolloso vestito, di colori vivi ed allegri, con pugni di
ermellino, (arricchito da una collana, vari anelli ed una cintura broccato tutto d' oro).

Le arance, importate dal sud, erano un lusso nel nord dell'Europa, e qui alludono
chissà all'origine mediterranea dei protagonisti del ritratto. Conosciute come "mele
di Adamo", rappresentavano inoltre il frutto proibito dell'eden (chissà sìano
un'evocazione del paradiso perduto) in allusione al peccato mortale della lussuria,
probabile motivo della perdita della grazia. Gli istinti peccaminosi dell'umanità si
santificano mediante il rituale del matrimonio cristiano.

Il letto ha relazione, soprattutto con la regalità e nobiltà, con la continuità del lignaggio e del
cognome. Rappresenta il posto dove si nasce e si muore. I tessuti rossi simbolizzano la passione
oltre a proporzionare un poderoso contrasto cromatico col verde del vestiario femminile. In ogni
caso, era abitudine dell'epoca, nelle case della Borgogna, collocare un letto nel salone dove si
ricevevano le visite. Benché, generalmente, si usava per sedersi, occasionalmente, era anche il posto
dove le madri appena puerpere ricevevano, col suo bebè, le congratulazioni di familiari ed amici.

Il tappeto che è vicino al letto, (sul quale poggiano gli zoccoli di


Giovanna) è molto lussuoso e caro, proveniente da Anatolia, un'altra
dimostrazione della sua posizione e fortuna economica.

Gli zoccoli sparsi per il pavimento, indicano che i protagonisti sono scalzi: in
quel tempo si credeva che pestare il suolo scalzi, assicurasse la fertilità, e
rappresentano il vincolo col suolo sacro della casa e sono anche segno che si
stava celebrando una cerimonia religiosa. Anche la loro disposizione sul
pavimento della stanza è rilevante: quelli di Giovanna, rossi, stanno vicino al
letto; quelli di suo marito, più prossimi al mondo esterno.

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I rosari erano un presente abituale del fidanzato alla futura moglie;
scrutando con attenzione se ne nota uno appeso di fianco al piccolo
specchio in fondo alla stanza. Il vetro è segno di purezza, ed il
rosario suggerisce la virtù della fidanzata ed il suo obbligo di essere
devota.

Anche il vetro dello specchio allude alla purezza del sacramento


matrimoniale, speculum sine macchia.

Lo specchio è uno dei migliori esempi della minuziosità


microscopica ottenuta da Van Eyck, misura 5'5 centimetri, e nella sua cornice sono rappresentati 10
episodi della passione di Cristo. A quell'epoca, questi piccoli specchi convessi erano molto
popolari: spesso si trovavano vicino alle porte o alle finestre, per cercare effetti luminosi nelle
stanze, ma soprattutto si usavano per allontanare la sfortuna. La sua presenza, all'interno del quadro,
con il particolare tema della cornice, suggerisce che l'interpretazione dell'avvenimento, deve essere
cristiana e spirituale in uguale misura.

La lampada, con una sola candela accesa, che simbolizza la fiamma


dell'amore, ricorda la candela che brilla sempre nel sacrario delle
chiese, la permanente presenza di Cristo che tutto vede, incluso questa
sacra celebrazione. Inoltre era abitudine delle famiglie fiamminghe
accendere una candela il primo giorno delle nozze.

Il vestito di Giovanna é di colore verde: all'epoca il colore della fertilità. Ella non è incinta, la sua
posizione si limita a denunciare il ventre che allora si considerava una delle parti più belle del
corpo, e l'esagerata curvatura dello stesso .richiama la fertilità, una desiderata o propiziata
gravidanza che non risultò mai.

Nella testiera del letto si vede intagliata una donna, con ai piedi un dragone. È
probabile che sia Santa Margherita, patrona delle partorienti, il cui attributo è il
drago; ma per la spazzola che è al suo fianco, sullo schienale del letto, potrebbe
essere Santa Marta, patrona della casa con la quale condivide l'identico attributo.

Il cane mette una nota di grazia e sollievo in un quadro che è, per il resto,
esageratamente solenne e serioso. Nei ritratti, i cani normalmente simbolizzano,
come qui, la fedeltà e l'amore terreno. La meticolosità con cui sono stati dipinti i
peli di questo, è tutta una prodezza tecnica.

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Il realismo
L'opera è un fedele riflesso delle caratteristiche stilistiche dei primi artisti fiamminghi e, soprattutto,
è un compendio dello stile del suo autore, della sua prodigiosa abilita artistica. Richiama
l'attenzione il realismo ottico basato nella minuziosità microscopica, oltre ad una magistrale
ricreazione della luce e della prospettiva, che permette di risaltare l'orgoglio per il benessere
materiale. I fiamminghi s’ inorgogliscono del benessere materiale che sono riusciti ad acquisire, dei
loro piccoli possedimenti, e li rappresentano nelle loro opere, ed è difatti un aspetto molto vistoso in
questo quadro. Tale concezione, assieme allo scopo del dipinto come documento, ci permettono di
capire la motivazione di tanta cura ai particolari (la lampada, i mobili finemente intagliati, i vestiti,
ecc.); il perché di tutto ciò che contorna i coniugi, apparentemente senza rilevanza. La tesi di
Panofsky si appoggia in gran parte su essi. Nella sua composizione emergono:

la minuziosità; all'essere una pittura concepita per l'esibizione domestica, al vederla da vicino, ci si
può a lungo deliziare nel contemplare come i dettagli si plasmano con una scrupolosità
microscopica. Questa splendida riuscita tecnica è resa possibile solo grazie all'impiego dell'olio e di
piumini speciali; tecnica scoperta e sperimentata dalla scuola fiamminga.

Uno stupefacente esempio di miniatura, sono le


10 scene della Passione di Cristo, raffigurate sulla
cornice dello specchio sul fondo, alle spalle dei
coniugi. Nello specchio, da notare che la sua
dimensione complessiva è di soli 5cm, si riflette
tutta la stanza vista da dietro, includendo tutta la
mobilia, e la stessa coppia di sposi.

Van Eyck inserisce al suo interno, anche una


finestra, dalla quale s'intravede il panorama della
città di Bruges, e giustifica con tale intelligente
risorsa, la presenza di una luce che avvolge
dolcemente ogni oggetto, senza creare forti
chiaro-scuri. Che si sappia, questa è la prima volta
che tale oggetto s'impiega come risorsa
pittorica, ma l'idea ebbe molto successo e fu
imitata; il proprio Velazquez s'ispirò a questa
nel dipingere “Las Meninas”.

il naturalismo; Van Eyck si preoccupava molto


nel rappresentare la realtà con la maggiore
esattezza possibile, benché all'occhio moderno
l'immagine sembri scarsamente realistica per
l'atteggiamento ieratico dei protagonisti. Il
movimento è nullo nell'immagine; le forme
hanno una solidità scultoria, e la scena, in
generale, è rigida, teatrale e poco spontanea.

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La preoccupazione per la luce e la prospettiva; sono proprie di Van Eyck che in questo anticipa le
correnti artistiche dell'epoca.

La luce che penetra dalla finestra è soave ed avvolge delicatamente le forme, la chiarezza si
dissolve, a poco a poco, in un'atmosfera tangibile; la cornice
architettonica e la risorsa strategica dello specchio nel fondo, danno
una sensazione di profondità molto verosimile.

Al margine del significato metaforico, é logico domandarsi qual’ è il


motivo di quello spiritoillusionista, di quel desiderio di riprodurre con
prodigiosa fedeltà l'epidermide del mondo.

Sappiamo che le opere fiamminghe erano ideate per essere viste da vicino; ugualmente mostravano
l'orgoglio che sentiva l'alta società fiamminga per le sue città, per le sue abitazioni e per i suoi
oggetti, ma queste ragioni, con essere accettabili, non arrivano al cuore della questione. In questo
senso, è una credenza estesa che Jan Van Eyck, voglia coi suoi quadri , fare un inno alla natura; il
più minimo dettaglio, un filamento d'erba, per esempio, ci ricorda l'opera divina; è, dunque, un
modesto omaggio del pittore alla bellezza naturale. È un sentimento positivo che probabilmente Jan
va Eyck condivise con l'alta società florida e che alberga in quello spirito preumanista del basso
Medioevo.

Il Ritratto del Matrimonio Arnolfini è, senza dubbio, un'opera maestra dell'arte dei primitivi
Fiamminghi. Secondo la propria firma dell'autore, fu dipinta nel 1434. Fece parte della collezione
reale spagnola, ma fu rubata dall'esercito francese durante la Guerra d'Indipendenza. Nel 1842 la
National Gallery di Londra l'acquisì per 730 libbre. Van Eyck dimostra, e dà fede, con l'opera il
Matrimonio Arnolfini, della rivoluzione che stava vivendo l'arte Fiamminga, parallela alle
innovazioni italiane. Il quadro, pieno di simbolismo, agisce in vari piani:

come ritratto di due importanti membri della società, eseguito dal più eminente artista locale

come testimone del suo matrimonio

come “sommario” degli obblighi che comporta il matrimonio a metà del XV secolo

Come illusione, come inganno, come promessa, come esorcismo, in sintesi, come un mistero. Van
Eyck fa inoltre gala della sua suprema destrezza come pittore e maestro delle ultime tecniche,
specialmente la pittura all'olio, per la quale raggiunse fama in tutta l'Europa.

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L’influenza fiamminga in Italia
Esperienze artistiche
In corrispondenza del punto di incontro dei due assi nevralgici, a voler sottolineare lo strategico
spostamento degli interessi politici sul nuovo abitato, il Rossetti colloca i palazzi più prestigiosi:
Palazzo dei Diamanti, Palazzo Sacrati e Palazzo Turchi di Bagno. L'ubicazione stessa suggerisce
all'architetto la loro caratterizzazione progettuale: trovandosi ad essere "quinte" invece che
"fondali" del gioco prospettico disegnato dagli ampi rettilinei dei viali, gli edifici vengono
valorizzati e vivacizzati nell'impatto complessivo delle facciate esterne, senza privilegiarne come
da consuetudine le zone centrali (si veda, ad esempio, l'omogeneo effetto "a diamante" reso dal
bugnato sporgente dell'omonimo palazzo); gli elementi di contatto con la pittura di Jan Van Eych
ed in particolare con la sua Crocifissione del Metropolitan Museum di New York. Del fiammingo, il
messinese Antonello da Messina adotta infatti il punto di vista rialzato - "a volo d'uccello" - ed
una collocazione delle croci che tende a strutturare uno spazio tridimensionale, sottolineando le
direttrici di profondità. A differenza di Van Eych, Antonello limita decisamente il numero dei
personaggi, abbassa l'orizzonte e valorizza maggiormente il paesaggio sullo sfondo. Quest'ultimo,
in omaggio alla terra natia, è caratterizzato dall'accostamento arbitrario di scorci effettivi e
realistici: si intravedono tanto il monastero basiliano del Salvatore e la Rocca Gue/fonia, quanto le
Isole Eolie.
Antonello da Messina
Nato attorno al 1430 a Messina, Antonello rappresenta uno dei personaggi più significativi
nell'ambito della sintesi tra diverse esperienze artistiche: toscana, fiamminga e veneta, ma anche
provenzale ed iberica. (1430 ca.-1479) - La sintesi di esperienze artistiche internazionali.
Purtroppo, si conosce solo una piccola parte della produzione del messinese; lo stesso Giorgio
Vasari (1511-1574) sottovaluta la sua figura, anche a causa di tale limitata informazione (per una
piena rivalutazione occorrerà attendere la fine dell'Ottocento).
La formazione. Antonello da Messina lascia ancor giovane la terra natia per trasferirsi a Napoli
(prima angioina, poi aragonese), centro di diffusione meridionale della cultura rinascimentale. Qui,
la sua formazione sembra derivare dalla bottega di Colantonio (1352 ca.-1442), in un contesto
cittadino in cui si intrecciano influenze fiamminghe, iberiche, provenzali e toscane (seppur ancora
intonate a modalità espressive medievali). È da questo clima artistico internazionale che l'artista
sviluppa il proprio stile personale, giocato sulla sintesi delle suddette componenti.

Una lezione che Antonello svilupperà magistralmente in testi come la


Crocifissione di Sibiu, ricca di un paesaggio da sempre riconosciuto
come una veduta dalla forte valenza simbolica. Vi si possono
individuare, infatti, le emergenze naturali e monumentali della città e
del porto di Messina: a destra il monastero basiliano di San Salvatore
e, più in fondo, il forte di Matagrifone o Rocca Guelfonia. Al centro
del braccio di mare, però, appaiono le isole Eolie, in realtà non
visibili da Messina, in quella posizione.
L'esperienza veneziana. Sul finire del 1474, Antonello si trasferisce
a Venezia, ove contribuisce a diffondere tanto le novità prospettiche
rinascimentali, quanto la conoscenza degli artisti nordici. Per contro
la pittura locale non mancherà di influenzarlo rispetto alla resa
coloristica. Nel corso del lungo viaggio da Napoli alla Serenissima,
l'artista ha certamente modo di confrontarsi con diverse realtà
pittoriche, ricavando grande impressione, tra le altre, dalle opere di
Piero della Francesca (1415-1492).
Crocifissione (1455), tempera su tavola, 39x23 cm, Muzeu de Arta, Bucarest.

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Antonello approda alla città lagunare su invito del nobile Pietro Bon, che probabilmente ne aveva
visionato l'opera durante i viaggi in meridione in qualità di console della Serenissima. In breve
tempo, il messinese riesce non solo a riscuotere il favore di numerosi collezionisti veneti, ma anche
a farsi stimare da importanti personalità al di fuori della regione. A questo periodo risalgono
numerosi ritratti, anche se pochi sono quelli giunti ai
giorni nostri .
Con buona probabilità, all'esperienza veneziana appartiene
anche il celebre San Girolamo nello studio (1474 ca.),
opera in cui cogliamo una struttura spaziale tipicamente
toscana, che si sovrappone - disciplinandola - ad una
maniacale resa dei dettagli di evidente ispirazione
fiamminga. Il dipinto presenta diverse possibili letture.
Secondo lo storico dell'arte Lionello Puppi, oltre agli ovvi
riferimenti alla vita di San Girolamo, l'opera alluderebbe
ad un per noi misterioso personaggio dell'epoca, da poco
defunto e quindi commemorato. Le tante simbologie
rimanderebbero ad una generale riflessione sulla vita e
sulla morte proprio a partire dalle vicende di
quest'individuo: il portale che incornicia la scena, ad
esempio, potrebbe essere letto come elemento di
distinzione tra "mondo dell'osservatore" e "mondo
dell'aldilà", tra la vita di chi guarda e la sopraggiunta

Antonello da Messina, San Girolamo nello studio (1474 ca.),


olio su tavola, 46x36 cm, National Gallery, Londra.
morte del protagonista (secondo lo studioso, la stessa posa di profilo richiamerebbe il ritratto
commemorativo della medaglistica). Come da iconografia cristiana, il pavone simboleggerebbe
l'immortalità quale premio per la buona condotta tenuta in vita, il bacile -evidente in primo piano -
la purificazione, la pianta di bosso - al contempo pianta funeraria e sempreverde -l'eternità
conseguita con la fede, il garofano, infine, la Vergine Maria. Il leone potrebbe alludere anche a
Venezia, fornendo preziose indicazioni sulla provenienza del personaggio in effige, mentre il gatto
potrebbe riferirsi al di lui temperamento collerico, soffocato con lo studio dei testi sacri.
Per quanto riguarda i riferimenti iconografici al santo, il pittore si rifa all'agiografia tradizionale
che gli conferisce - oltre al leggendario incontro con la fiera, liberata dalla spina conficcata in una
zampa - dignità cardinalizia, qui segnalata dall'abito rosso porpora e dal cappello sulla cassapanca.
Il dipinto è disseminato di rimandi storici:
dall'allontanamento di S. Girolamo dalla città a causa di
ingiuste accuse, al suo ritiro in solitudine (se in una
finestra si intravede un paesaggio urbano affollato, in
un'altra è visibile un contado solitario), fino all'impegno
negli studi teologici (da cui il ruolo di protettore degli
umanisti). In maniera insolita, il santo viene raffigurato
privo della barba e distante dal leone, abitualmente ai suoi
piedi.
Nel corso della sua permanenza veneziana, Antonello da
Messina realizza anche la Pala di San Cassiano (1475-
1476) e la tavola del San Sebastiano (1475-1476). La
Pala di San Cassiano prima - di cui restano soltanto alcune parti - nel
(1475-1476), olio su tavola, 115x140 cm ca., parte della suo complesso evidenzia riferimenti tanto alla
pala smembrata, Kunsthistorisches Museum, Vienna.
struttura pier-francescana della Pala di Brera

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(1472-1474 ca.), quanto all'uso veneto - probabilmente introdotto da Giovanni Bellini (1430 ca.-
1516) - di collocare la Vergine Maria su di un alto trono.

Anche nella tavola di San Sebastiano troviamo un rigore


geometrico derivato da Piero della Francesca, declinato secondo un
uso del colore e della luce di ascendenza fiamminga e veneta. In
questo caso, pur palesandosi nel rigore prospettico e nell'equilibrio
compositivo, l'influenza del sansepolcrese è disattesa dalla
caratterizzazione dell'evento rappresentato: Antonello evita infatti di
collocare il santo in uno spazio "intellettuale", fuori dal tempo; la
scena propone un'ambientazione contemporanea, tipicamente
veneziana. L'ardito scorcio della pavimentazione, dettato da un
punto di vista assai ribassato, permette un'impaginazione che
raccorda la monumentalità della figura in primo piano con la pro-
saicità dei personaggi all'estremità della piazza, colti in scene di vita
quotidiana (si noti in tal senso la resa "in scorcio" del dormiente
sulla sinistra del dipinto). San Sebastiano è raffigurato con
precisione anatomica, in una posa - desunta dalla statuaria antica
- tale da evidenziare la leggera torsione del corpo, a sua
naturalistico volta decisamente plastico grazie ad un sapiente effetto
chiaroscurale, quasi si trattasse di un solido marmoreo non
dissimile dal tronco di colonna adagiato sulla pavimentazione.
L'effetto coloristico è più atmosferico di quello di Piero della
San Sebastiano
Francesca; l'intellettualismo del toscano lascia qui il posto ad un (1475-1476), olio su tavola,
coinvolgimento giocato sulla maggior "morbidezza" della tradi- 171x85 cm, Staatliche
zione veneta. Gemàldegalerie, Dresda.

L'ultima fase siciliana. Nel 1476 Antonello torna nella sua


Messina, ove continua a dipingere. Tra le opere più importanti
di quest'ultimo periodo, occorre certamente ricordare la Pietà
(1476 ca.), un olio su tavola in cui l'artista conferisce estrema
drammaticità al momento in cui Cristo muore sorretto da un
angelo. Anche in questo caso, vi sono palesi riferimenti alla
lezione di Giovanni Bellini, in particolare a quella della
cimasa della Pala dell'Incoronazione (1470-1475).

Le ultime intense opere Rifiutata l'offerta di diventare


ritrattista per gli Sforza a Milano, nel 1476 Antonello tornò
definitivamente a Messina, dove creò opere stupefacenti per il
realismo e l'intensità espressiva, come l'Annunciata e la Pietà .
In quest'ultima tavola Cristo,
morto ma ancora sanguinante
dalle stigmate, è sorretto da
un giovane angelo - secondo
un'iconografia di origine
nordica - il cui piccolo volto rigato di lacrime, che sembrano
sgorgare vere dagli occhi arrossati, è emblematicamente affiancato
a quello di Gesù, di una bellezza struggente, che la morte non ha
saputo scalfire. La luce abbagliante e la dolcezza del paesaggio (i
tronchi secchi e i teschi alludono però alla morte) sembrano
stemperare la drammaticità della visione, inducendo a una

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silenziosa contemplazione aperta alla speranza della resurrezione.
La lezione magistrale di Antonello rimase senza seguito nella sua terra d'origine, mentre a Venezia
contribuì in modo decisivo alla crescita in senso moderno della pittura locale.

La verità delle cose


Antonello da Messina dipinse questo
piccolo quadro per devozione privata forse
a Messina nel 1474, ispirandosi
probabilmente a un dipinto oggi perduto
del fiammingo Jan van Eyck.
Qual è la struttura della composizione?
Lo spettatore osserva la composizione
come se fosse affacciato a una porta
gotica (che richiama l'architettura in auge
nel regno aragonese), secondo un abile
illusionismo che suggerisce la continuità
dello spazio ai lati. San Gerolamo è seduto
nel suo studiolo ligneo inserito entro un
ambiente basilicale con elementi gotici (le
volte a crociera e le bifore) e
rinascimentali (le finestre rettangolari e il
luminoso loggiato a . destra). 124
Qual è il ruolo della luce?
La luce è resa con grande realismo e si
offre all'occhio nelle sue molteplici
manifestazioni, dai riflessi metallici del
catino agli effetti di controluce nel leone o
di morbidezza pulvi-scolare sul pavimento
a sinistra, diventando uno strumento
espressivo che crea un'atmosfera
raccolta e silenziosa. Il naturalismo
fiammingo si esprime negli scorci di
paesaggio, nei vari animali, ma
soprattutto nei mille dettagli dello studiolo, in cui l'apparente casualità degli oggetti na-j sconde in
realtà significati simbolici. Quali eredità tardogotiche e quali valori rinascimentali sono
presenti? Questo microcosmonordico di eredità ancora tardogotica non è però dispersivo come
quello di Colantonio, perché inserito entro una sapiente costruzione spaziale, la cui prospettiva è
resa nello scorcio delle architetture e nel disegno delle maioliche del pavimento ed evidenziata dai
raggi di luce. Solo la figura del santo sfugge alla prospettiva, in quanto evidenziata da un punto di
vista ribassato e dall'illuminazione diretta. La bellezza del reale si unisce a quella intellettuale,
secondo gli ideali rinascimentali: il santo è monumentale e plasticamente modellato e, privo di
aureola, è rappresentato come un letterato, a dimostrare l'importanza della cultura umanistica.
Animali e oggetti come simboli
Che significato La tavola è ricca di significati simbolici. Il portale rappresenta la porta del
hanno gli animali Paradiso e ha una cuspide a forma di cardo, emblema di Cristo
e gli oggetti dipinti? (il suo colore viola e le spine alludono alla Passione), mentre i conci dell'arco
sono 12 come gli apostoli. Fuori restano l'astuzia, di cui è simbolo la pernice, e gli Inferi custoditi
da Argo, mostro dai cento occhi a cui rimanda il pavone (per i disegni a forma di occhio delle penne
della coda). Accanto è un catino con l'acqua, allegoria del mare che circonda la terra e del fonte
battesimale che lava dal peccato originale. Tre sono gli archi e gli scalini dello studiolo, come le
virtù teologali che permettono di salire a Dio (il Crocifisso scorciato in alto), privilegio negato agli

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ebrei (la stola del rabbino appesa) e ai musulmani (il gatto, caro a Maometto e simbolo di inganno).
Le babbucce abbandonate indicano il necessario distacco dalle cose terrene, le quattro scansie i
quattro Vangeli, mentre il paesaggio è l'Eden.
La sintesi dei risultati artistici di Antonello
La tavola del San Sebastiano è quanto resta di
un'ancona veneziana che si trovava nella Scuola
dei Santi Rocco e Niccolo, composta da una
statua di san Rocco tra due pale raffiguranti san
Sebastiano appunto e san Cristoforo. Antonello
dipinse il San Sebastiano a Messina, tra il 1478 e
il 1479 (anno della sua morte), e poi lo spedì a
Venezia; il San Cristoforo fu eseguito da suo
figlio Iacobello.
Com’è strutturata la scena? Asse della
composizione è san Sebastiano, che, legato a un
albero al centro di un'ariosa piazza, è
rappresentato secondo un punto di vista
ribassato che ne esalta la maestosità. È trafitto
dalle frecce del martirio ma ha un'espressione
ispirata e dolce che non tradisce alcuna
sofferenza e richiama alcuni volti di Giovanni
Bellini.
In quest'opera Antonello sintetizza tutte le
capacità acquisite, fuse in modo consapevole in
uno stile cristallino e impeccabile, prima di
tutto nella perfetta padronanza luministica,
espressa dalle ombre radenti sulle case e dal
morbido chiaroscuro sul corpo di san Sebastiano.
L'abilità prospettica è evidente tanto nella
costruzione generale quanto nei virtuosistici
scorci della colonna a terra, del pavimento, delle
case - che con i loro comignoli ricordano quelle
veneziane - e soprattutto del soldato addormenta-
to a sinistra, memore dell'esempio di Mantegna
agli Eremi-tani di Padova (vedi p. 132), al quale
si rifanno anche le arcate classiche sullo sfondo.
Il rigore dell'impostazione spaziale è reso meno
rigido dalla leggera rotazione verso destra del
corpo del santo ed è ravvivato dai molti dettagli tratti dal quotidiano e dalle figurette che
popolano lo sfondo. Esemplare è anche la bellezza del giovane martire, il cui corpo è reso con
esattezza anatomica ma senza le tensioni muscolari delle statue classiche (ne è però ripreso il
contrappunto delle membra), cui vengono preferite la morbidezza e le proporzioni allungate che
derivano dalla pittura nordica. Dietro alla naturalezza della figura si celano le ricerche
proporzionali e l'assimilazione ai solidi geometrici che caratterizzavano i personaggi di Piero della
Francesca, da Antonello studiato e reinterpretato in modo originale.
Quali significati I pagani, gli ebrei, i cristiani
Dietro il pilastro di destra si intravedono due personaggi, uno con un cappello cilindrico nero e
l'altro con mantello damascato e tiara: sono un rabbino e un vescovo e rappresentano
rispettivamente il Vecchio e il Nuovo Testamento. Uno dei due soldati davanti allo stesso pilastro
tiene in mano un rebbio che ricorda quello del diavolo; quello che dorme a sinistra è simbolo del
paganesimo che rifiuta il messaggio cristiano.

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Bibliografia
AUTORE TITOLO CASA EDITRICE

Matteo Cadario\Cristina Fumarco Vivere l’arte vol.2 Mondadori


Giorgio Cricco\Francesco Paolo Itinerari nell’arte Zanichelli
Bruno Munari\Annibale Pinotti Itinerari artistici ATLAS

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