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La
pittura fiamminga è favorita dalla ricchezza che vi era nelle Fiandre nel '400 ed è un'arte di alto
pregio e che raffigura molti particolari.
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Caratteristiche
L'arte fiamminga ha, essenzialmente, tre caratteristiche principali:
L'utilizzo fiammingo dei colori ad olio conferisce al dipinto una nitidezza estrema ed un'ottima
resa della luce atmosferica, grazie alle trasparenze delle sottili velature di colore. Va comunque
sottolineato che tale tecnica non è un'invenzione degli artisti delle Fiandre, in quanto conosciuta già
nell'antichità, anche se per lungo tempo abbandonata a causa dei lentissimi tempi di essi-cazione
che la rendono poco pratica. Ai fiamminghi spetta casomai il merito di averla reintrodotta ed
attualizzata a seguito di una ragionevole contrazione di tali tempi, resa possibile dall'abilità nel
miscelare olio di diversa natura. Inizialmente, come diluente viene utilizzato l'olio di noce o quello
di papavero, pur con l'inconveniente della loro tendenza ad ossidarsi e ad ingiallire.
I fiamminghi, nel '400 perfezionarono questa tecnica di pittura, rendendola adatta alle sfumature:
siccome asciugava molto lentamente (poteva impiegare anche una settimana), era possibile
mescolare il colore molte volte. Inoltre, questa tecnica permetteva di eseguire le velature, ovvero
diversi strati di colore ad olio che rendevano il dipinto brillante e lucido e permetteva di raffigurare
la profondità.
Infatti, i fiamminghi non conoscevano ancora la prospettiva geometrica, inventata da poco in Italia
grazie a Filippo Brunelleschi.
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Goes, Hugo van der Olio su tavola. 253 × 304 cmAdorazione del Bambino, (pannello centrale del Trittico
Portinari), 1476-1478, Firenze, Uffizi
I fiamminghi, inoltre, inventarono un altro modo di visualizzare il personaggio: non di profilo, non
frontale, ma a tre quarti, appunto. Questo cambiamento nella rappresentazione del punto di vista,
permette all'osservatore di cogliere maggiori informazioni della fisionomia di uno stesso volto.
Rogier van der Weyden, Ritratto di Dama, c.1455, Washington (D.C.), National Gallery of Art 37 × 27 cm
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Perfezione e particolari
L'esempio più evidente, però, è il ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eyck. Qui vengono
rappresentati due persone dell'alta società che stanno celebrando il loro matrimonio. Anche qui tutto
è rappresentato alla perfezione, e fin qui tutto normale. Ma nella stanza c'è uno specchio, che riflette
il pittore stesso e il testimone degli sposi in uno spazio di pochi centimetri. Inoltre, nel bordo dello
specchio (spazio di un centimetro scarso) è rappresentata la passione di Cristo; questo dimostra
come i fiamminghi fossero ottimi pittori della realtà, tanto che i loro dipinti potrebbero essere
associati ad una fotografia.
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Pittori famosi
Come scritto prima, l'iniziatore della pittura fiamminga fu Jan Van Eyck, anche il più famoso
pittore fiammingo. Un altro famoso fu Hugo Van der Goes, responsabile del primo contatto fra
pittori fiamminghi e i pittori italiani. Fra gli altri, ricordiamo Rogier Van der Weyden e Hans
Memling.
Piero della Francesca e Sandro Botticelli uniscono pittura fiamminga e pittura italiana nei loro
dipinti.
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Jan van Eyck (Maaseik, 1390 circa – Bruges, giugno 1441) è stato un pittore fiammingo.
La vita
Nonostante sia considerato il capostipite della pittura nei Paesi Bassi nel '400 ed il maggior pittore
nord europeo del suo tempo, le notizie certe riguardanti la sua vita sono ancora molto scarse, inclusi
il luogo e la data di nascita esatti. Jan van Eyck nacque in una data compresa fra il 1390 e il 1400
quasi sicuramente a Maastricht che all'epoca faceva parte dei possedimenti del duca di Borgogna e a
introdurlo nel mondo della pittura dovrebbe essere stato il fratello maggiore Hubert, anche se parte
della critica dubita persino della sua esistenza, visto che di lui esistono solo due riferimenti: il primo
sul più volte smontato e rimontato polittico dell'Agnello Mistico e l'altro su una pietra tombale nella
diruta abbazia di San Bavone a Gand.Nulla sappiamo sulla formazione dell'artista, nemmeno se essa
si svolse in francia o nella terra di origine.Alla fine del trecento e nella prima metà del quattrocento
le fiandre, ovvero l'odierno belgio settentrionale e una parte dei paesi bassi, erano governate dai
duchi di borgogna.
Le prime informazioni che si hanno sul conto di Van Eyck risalgono quindi al periodo che va
dall'ottobre 1422 al settembre 1424, quando il pittore si trovava all'Aja alla corte di Jean de Bavièere
Hainaut, conte d'Olanda. L'anno successivo divenne pittore di corte del duca di Borgogna Filippo il
Buono, per conto del quale compì anche numerose missioni diplomatiche: si recò infatti a Lisbona
nel (1428) per concordare le nozze del duca con Isabella del Portogallo, alla quale farà
successivamente un ritratto. Dopo aver abitato per qualche tempo nella città francese di Lille, nel
1432 si trasferì definitivamente a Bruges, dove trascorse il resto della sua vita e morì ancora in
giovane età nel giugno 1441, come testimoniano gli incartamenti relativi al suo funerale custoditi
nell'archivio della cattedrale di Saint-Donatien.
La sua arte ebbe una portata rivoluzionaria al pari di quella di Masaccio in Italia: essa rappresentò il
superamento delle convenzioni del gotico in nome di una concezione 'naturalistica' ricondotta alle
istanze della percezione visiva e all'indagine scientifica della realtà.
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Le opere
Le sue opere più famose risalgono quasi tutte al periodo in cui viveva a
Bruges, mentre più scarse sono le testimoninze relative al suo soggiorno
olandese; tra le prime opere conosciute del pittore vi sono le due tavole
raffiguranti la Crocifissione ed il Giudizio finale, eseguite intorno al 1430
e forse facenti parte di un polittico smembrato oppure unite insieme a
formare un dittico. Lo spazio della Crocifissione è organizzato secondo
un punto di vista rialzato che aumenta il senso di profondità; ai piedi
delle croci è riunita una gran folla di personaggi in cui si vedono soldati e
dignitari di corte ritratti con impassibile distacco, contrapposto alla
disperazione della Vergine inginocchiata in primo piano ed avvolta in un
largo abito celeste che lascia scoperto soltanto il volto. Il senso di
drammaticità è accentuato dalla posizione del ladro sulla destra
raffigurato con il corpo piegato sulla croce, come nel tentativo estremo di
liberarsi dalle corde, mentre il cielo plumbeo annuncia l'imminente morte del Cristo; la città che si
vede sullo sfondo, con i suoi numerosi edifici che ricordano le costruzioni fiamminghe del tempo,
rappresenta la Gerusalemme celeste.
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Il polittico di Gand
Al 1432 viene datato il completamento del monumentale polittico di Gand, realizzato per la chiesa di
San Bavone e presumibilmente iniziato dal fratello Hubert, morto nel 1426, come conferma
l'iscrizione presente sulla cornice esterna del dipinto. Esso è costituito da 12 pannelli, disposti su due
registri, uno superiore e uno inferiore; al centro del registro superiore si trova il Dio Padre, con ai
lati la Vergine e S. Giovanni Battista, mentre a sinistra si trovano gli Angeli cantori e Adamo a destra
gli Angeli musici e Eva. Nel registro inferiore si può ammirare la grande tavola centrale con
l'Adorazione dell'agnello mistico, affiancata da due scomparti laterali con i Cavalieri di Cristo e i
Giudici integri (a sinistra) e gli Eremiti e i pellegrini(a destra). La critica sembra oggi propensa ad
attribuire a Hubert la concezione ed in parte l'esecuzione della tavola con l'Adorazione e delle tre
tavole sovrastanti, mentre tutto il resto venne eseguito da van Eyck che vi lavorò a fasi alterne, ciò
spiegherebbe l'evidente carattere di disomogeneità tra i vari scomparti, che per esere pienamente
apprezzati devono essere analizzati singolarmente. In quest'opera compaiono comunque quelli che
diverranno i caratteri tipici della pittura di van Eyck: naturalismo analitico, uso di colori luminosi,
cura per la resa del paesaggio e grande lirismo, tutti elementi che si ripresenteranno anche nei dipinti
eseguiti a pochi anni di distanza dal polittico di Gand.
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Al 1433 vengono fatti risalire la
Madonna con Bambino, detta di
Ince Hall ed il ritratto dell'Uomo
con il turbante rosso, da alcuni
considerato come l'autoritratto del
pittore che vi appose la sua firma e
la data di esecuzione (21 ottobre
1433) ed il motto fiammingo
divenuto famoso: <<come posso,
non come vorrei>>. Lo sfondo
scuro esalta le sembianze
dell'uomo che indossa un
voluminoso copricapo, su cui cade
inevitabilmente lo sguardo dello
spettatore che ammira la
stupefacente abilità nel rendere le
pieghe del panneggio attraverso il
contrasto tra luci ed ombre.
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Tra le altre opere importanti di van Eyck
vanno ricordate la Madonna del cancelliere
Rolin, che molti mettono in relazione con la
pace di Arras stipulata nel 1435, la Santa
Barbara e il Trittico di Dresda.
mentre il Bambino tiene in mano un monile luminescente e la Vergine è vestita con un lungo abito
rosso sul quale sono ricamate in lettere d'oro i passi dell'ufficio mattutino recitato durante la messa
celebrata davanti al cancelliere. Le arcate lasciano intravedere la veduta di una città fluviale
riprodotta in ogni suo dettaglio: gli edifici, le strade e persino i suoi minuscoli abitanti.
Questa minuzia descrittiva nella composizione contribuiva alla sua visione d'insieme ed era
cosiddetta come la soluzione ideale per combinare la raffigurazione di un interno con un paesaggio
aperto sullo sfondo.
Nel trittico di Dresda, invece, la tavola centrale raffigura la Madonna in trono con il Bambino e sui
pannelli laterali si vedono S.Michele con il donatore a sinistra e S.Caterina a destra; la coRnice è
ancora quella originale e sul lato esterno degli sportelli si può vedere un'Annunciazione dipinta a
grisaille. Il nuovo motivo iconografico qui introdotto da van Eyck che proponeva l'identificazione di
Maria con la Chiesa stessa, venne ripreso da molti altri artisti anche italiani, tra cui Piero della
Francesca per la sua famosa Pala di Brera.
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L'opera più conosciuta di van Eyck resta il celebre Ritratto dei coniugi Arnolfini realizzato nel
1434. Sul significato del duplice ritratto e dei numerosi simboli che il pittore aggiunse, va senz'altro
menzionato il particolare dello specchio in cui sono riflessi il pittore stesso e un altro personaggio in
qualità di testimoni dell'evento. Secondo l'interpretazione tradizionale, il quadro celebrava il
matrimonio tra il mercante lucchese Giovanni Arnolfini, da oltre un decennio stabilitosi a Bruges, e
Giovanna Cenami.
L’OPERA
Ritratto dei coniugi Arnolfini Jan Van Eyck, 1434 olio su tavola , 82 × 59,5 cm Londra, National Gallery
Il quadro del pittore fiammingo Jan Van Eyck, indubitabilmente databile 1434, é considerata una
delle sue opere più notevoli, ed é inoltre uno dei dipinti più rappresentativi dell’arte fiamminga.
E uno dei primi esempi di ritratto indipendente da opere religiose, che si conservano, infatti propone
una tematica più “umana”, quotidiana, ed é contemporaneamente un'informativa scena regionalista.
Rappresenta il matrimonio (di convenienza) tra Giovanni Arnolfini, un ricco mercante di Lucca con
Giovanna Cenami, anch'ella lucchese (non sono nobili). I quali si stabilirono e prosperarono, dal
1420 al 1472, nella città di Bruges, (in italiano antico Bruggia) oggi Belgio. Il matrimonio si svolge
nella camera da letto degli sposi: la coppia appare in piedi ed il marito benedice la moglie che gli
offre la sua mano destra, mentre appoggia la sinistra sul proprio ventre.
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La posa dei personaggi appare piuttosto teatrale e cerimoniosa, praticamente ieratica; alcuni
specialisti vedono in questi atteggiamenti “flemmatici” una certa comicità, ma la più estesa e
completa interpretazione del ritratto, ci permette di attribuire questa' aria pomposa, al fatto che si sta
rappresentando la celebrazione di un matrimonio, ove pertanto é d'obbligo, o consono, tale serietà.
La camera é descritta fin nei minimi dettagli, essendo la pittura di miniature, parte importante della
tradizione fiamminga; in questa opera in particolare, ogni dettaglio é ricco di significato che ci
forniscono una più ampia comprensione e interpretazione di ciò che stiamo osservando.
Interpretazione dell’opera
Ancora oggi, gli storiografi dell'arte discutono esattamente l'immagine che il quadro presenta; la tesi
per molto tempo dominante, introdotta da Erwin Panofsky nel 1934, sostiene che l'immagine
corrisponde al matrimonio di ambedue, celebrato in gran segreto e testimoniato dal pittore. Tuttavia,
molte altre interpretazioni hanno permesso differenti teorie, fino a giungere al consenso che la
teoria di Panofsky è difficilmente sostenibile. Va considerato che all’epoca, perché una unione
matrimoniale fosse considerata legalmente valida, era sufficiente, e necessario, un documento che
testimoniasse l'avvenimento, e la presenza di testimoni; non era pertanto indispensabile la presenza
di un sacerdote. E il quadro funge esattamente ( tra le varie) a questa funzione.
Il simbolismo
Grazie, precisamente, a questi piccoli oggetti, propri di una società che vive nell'opulenza, l'esperto
in Storia dell'Arte, Erwin Panofsky, riuscì a svelare il significato di questo quadro: il quale va
interpretato come un'allegoria del matrimonio e della maternità. Questa é la chiave di lettura, che ci
svela il senso della moltitudine di dettagli che, apparentemente, non hanno importanza, ma che
danno una nuova dimensione al quadro. In primo luogo, la rappresentazione della coppia, che è
antagonistica e simboleggia i differenti ruoli che ognuno ricopre nel matrimonio. Non
dimentichiamo che parliamo di una società di più di 500 anni fa, a cavallo tra il Medioevo e l'Età
Moderna:
In qualsiasi caso, ostenta il potere morale della casa (potestà), e sostiene con autorità la mano di sua
moglie, (fides manualis), che china la testa in atteggiamento sottomesso e posa la sua mano sinistra
nel suo ingrossato ventre, segno inequivocabile della sua gravidanza che non è reale che sarebbe
stato (all'epoca) il suo culmine come donna. Ci sono inoltre, una, moltitudine di dettagli oggetti che
appaiono senza giustificazione apparente, come se non avessero rilevanza. Tutto quello che
contiene il quadro proclama la ricchezza della giovane coppia, dai vestiti ai mobili fino alla frutta
nel davanzale della finestra. La cosa certa è che la coppia, sembra avere collezionato molteplici
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oggetti di molti paesi dell'Europa: Russia, Turchia, Italia, Inghilterra, Francia... Senza dubbio,
Arnolfini, ricco mercante, intraprese rapporti con impresari di tutta l'Europa.
Come si sa, Bruges, dove si stabilì Giovanni, era un'ebollizione di borghesi provenienti da tutto il
mondo, e con questa opera, il protagonista del quadro vorrebbe anche mettere in risalto queste sue
importanti “conoscenze”.
In definitiva, la cosa certa è che tutti i molteplici dettagli, hanno un significato nitido che dà una
nuova dimensione all'opera:
Gli stessi vestiti che portano rinforzano questo messaggio, malgrado l'ambientazione suggerisca un
tempo estivo o, almeno primaverile, portano pesanti vestimenti, che rivelano la loro alta posizione
socioeconomica; la tunica di lui è scura e sobria, benché i dettagli di pelle di marmotta risultassero
particolarmente cari. Lei indossa un ampolloso vestito, di colori vivi ed allegri, con pugni di
ermellino, (arricchito da una collana, vari anelli ed una cintura broccato tutto d' oro).
Le arance, importate dal sud, erano un lusso nel nord dell'Europa, e qui alludono
chissà all'origine mediterranea dei protagonisti del ritratto. Conosciute come "mele
di Adamo", rappresentavano inoltre il frutto proibito dell'eden (chissà sìano
un'evocazione del paradiso perduto) in allusione al peccato mortale della lussuria,
probabile motivo della perdita della grazia. Gli istinti peccaminosi dell'umanità si
santificano mediante il rituale del matrimonio cristiano.
Il letto ha relazione, soprattutto con la regalità e nobiltà, con la continuità del lignaggio e del
cognome. Rappresenta il posto dove si nasce e si muore. I tessuti rossi simbolizzano la passione
oltre a proporzionare un poderoso contrasto cromatico col verde del vestiario femminile. In ogni
caso, era abitudine dell'epoca, nelle case della Borgogna, collocare un letto nel salone dove si
ricevevano le visite. Benché, generalmente, si usava per sedersi, occasionalmente, era anche il posto
dove le madri appena puerpere ricevevano, col suo bebè, le congratulazioni di familiari ed amici.
Gli zoccoli sparsi per il pavimento, indicano che i protagonisti sono scalzi: in
quel tempo si credeva che pestare il suolo scalzi, assicurasse la fertilità, e
rappresentano il vincolo col suolo sacro della casa e sono anche segno che si
stava celebrando una cerimonia religiosa. Anche la loro disposizione sul
pavimento della stanza è rilevante: quelli di Giovanna, rossi, stanno vicino al
letto; quelli di suo marito, più prossimi al mondo esterno.
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I rosari erano un presente abituale del fidanzato alla futura moglie;
scrutando con attenzione se ne nota uno appeso di fianco al piccolo
specchio in fondo alla stanza. Il vetro è segno di purezza, ed il
rosario suggerisce la virtù della fidanzata ed il suo obbligo di essere
devota.
Il vestito di Giovanna é di colore verde: all'epoca il colore della fertilità. Ella non è incinta, la sua
posizione si limita a denunciare il ventre che allora si considerava una delle parti più belle del
corpo, e l'esagerata curvatura dello stesso .richiama la fertilità, una desiderata o propiziata
gravidanza che non risultò mai.
Nella testiera del letto si vede intagliata una donna, con ai piedi un dragone. È
probabile che sia Santa Margherita, patrona delle partorienti, il cui attributo è il
drago; ma per la spazzola che è al suo fianco, sullo schienale del letto, potrebbe
essere Santa Marta, patrona della casa con la quale condivide l'identico attributo.
Il cane mette una nota di grazia e sollievo in un quadro che è, per il resto,
esageratamente solenne e serioso. Nei ritratti, i cani normalmente simbolizzano,
come qui, la fedeltà e l'amore terreno. La meticolosità con cui sono stati dipinti i
peli di questo, è tutta una prodezza tecnica.
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Il realismo
L'opera è un fedele riflesso delle caratteristiche stilistiche dei primi artisti fiamminghi e, soprattutto,
è un compendio dello stile del suo autore, della sua prodigiosa abilita artistica. Richiama
l'attenzione il realismo ottico basato nella minuziosità microscopica, oltre ad una magistrale
ricreazione della luce e della prospettiva, che permette di risaltare l'orgoglio per il benessere
materiale. I fiamminghi s’ inorgogliscono del benessere materiale che sono riusciti ad acquisire, dei
loro piccoli possedimenti, e li rappresentano nelle loro opere, ed è difatti un aspetto molto vistoso in
questo quadro. Tale concezione, assieme allo scopo del dipinto come documento, ci permettono di
capire la motivazione di tanta cura ai particolari (la lampada, i mobili finemente intagliati, i vestiti,
ecc.); il perché di tutto ciò che contorna i coniugi, apparentemente senza rilevanza. La tesi di
Panofsky si appoggia in gran parte su essi. Nella sua composizione emergono:
la minuziosità; all'essere una pittura concepita per l'esibizione domestica, al vederla da vicino, ci si
può a lungo deliziare nel contemplare come i dettagli si plasmano con una scrupolosità
microscopica. Questa splendida riuscita tecnica è resa possibile solo grazie all'impiego dell'olio e di
piumini speciali; tecnica scoperta e sperimentata dalla scuola fiamminga.
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La preoccupazione per la luce e la prospettiva; sono proprie di Van Eyck che in questo anticipa le
correnti artistiche dell'epoca.
La luce che penetra dalla finestra è soave ed avvolge delicatamente le forme, la chiarezza si
dissolve, a poco a poco, in un'atmosfera tangibile; la cornice
architettonica e la risorsa strategica dello specchio nel fondo, danno
una sensazione di profondità molto verosimile.
Sappiamo che le opere fiamminghe erano ideate per essere viste da vicino; ugualmente mostravano
l'orgoglio che sentiva l'alta società fiamminga per le sue città, per le sue abitazioni e per i suoi
oggetti, ma queste ragioni, con essere accettabili, non arrivano al cuore della questione. In questo
senso, è una credenza estesa che Jan Van Eyck, voglia coi suoi quadri , fare un inno alla natura; il
più minimo dettaglio, un filamento d'erba, per esempio, ci ricorda l'opera divina; è, dunque, un
modesto omaggio del pittore alla bellezza naturale. È un sentimento positivo che probabilmente Jan
va Eyck condivise con l'alta società florida e che alberga in quello spirito preumanista del basso
Medioevo.
Il Ritratto del Matrimonio Arnolfini è, senza dubbio, un'opera maestra dell'arte dei primitivi
Fiamminghi. Secondo la propria firma dell'autore, fu dipinta nel 1434. Fece parte della collezione
reale spagnola, ma fu rubata dall'esercito francese durante la Guerra d'Indipendenza. Nel 1842 la
National Gallery di Londra l'acquisì per 730 libbre. Van Eyck dimostra, e dà fede, con l'opera il
Matrimonio Arnolfini, della rivoluzione che stava vivendo l'arte Fiamminga, parallela alle
innovazioni italiane. Il quadro, pieno di simbolismo, agisce in vari piani:
come ritratto di due importanti membri della società, eseguito dal più eminente artista locale
come “sommario” degli obblighi che comporta il matrimonio a metà del XV secolo
Come illusione, come inganno, come promessa, come esorcismo, in sintesi, come un mistero. Van
Eyck fa inoltre gala della sua suprema destrezza come pittore e maestro delle ultime tecniche,
specialmente la pittura all'olio, per la quale raggiunse fama in tutta l'Europa.
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L’influenza fiamminga in Italia
Esperienze artistiche
In corrispondenza del punto di incontro dei due assi nevralgici, a voler sottolineare lo strategico
spostamento degli interessi politici sul nuovo abitato, il Rossetti colloca i palazzi più prestigiosi:
Palazzo dei Diamanti, Palazzo Sacrati e Palazzo Turchi di Bagno. L'ubicazione stessa suggerisce
all'architetto la loro caratterizzazione progettuale: trovandosi ad essere "quinte" invece che
"fondali" del gioco prospettico disegnato dagli ampi rettilinei dei viali, gli edifici vengono
valorizzati e vivacizzati nell'impatto complessivo delle facciate esterne, senza privilegiarne come
da consuetudine le zone centrali (si veda, ad esempio, l'omogeneo effetto "a diamante" reso dal
bugnato sporgente dell'omonimo palazzo); gli elementi di contatto con la pittura di Jan Van Eych
ed in particolare con la sua Crocifissione del Metropolitan Museum di New York. Del fiammingo, il
messinese Antonello da Messina adotta infatti il punto di vista rialzato - "a volo d'uccello" - ed
una collocazione delle croci che tende a strutturare uno spazio tridimensionale, sottolineando le
direttrici di profondità. A differenza di Van Eych, Antonello limita decisamente il numero dei
personaggi, abbassa l'orizzonte e valorizza maggiormente il paesaggio sullo sfondo. Quest'ultimo,
in omaggio alla terra natia, è caratterizzato dall'accostamento arbitrario di scorci effettivi e
realistici: si intravedono tanto il monastero basiliano del Salvatore e la Rocca Gue/fonia, quanto le
Isole Eolie.
Antonello da Messina
Nato attorno al 1430 a Messina, Antonello rappresenta uno dei personaggi più significativi
nell'ambito della sintesi tra diverse esperienze artistiche: toscana, fiamminga e veneta, ma anche
provenzale ed iberica. (1430 ca.-1479) - La sintesi di esperienze artistiche internazionali.
Purtroppo, si conosce solo una piccola parte della produzione del messinese; lo stesso Giorgio
Vasari (1511-1574) sottovaluta la sua figura, anche a causa di tale limitata informazione (per una
piena rivalutazione occorrerà attendere la fine dell'Ottocento).
La formazione. Antonello da Messina lascia ancor giovane la terra natia per trasferirsi a Napoli
(prima angioina, poi aragonese), centro di diffusione meridionale della cultura rinascimentale. Qui,
la sua formazione sembra derivare dalla bottega di Colantonio (1352 ca.-1442), in un contesto
cittadino in cui si intrecciano influenze fiamminghe, iberiche, provenzali e toscane (seppur ancora
intonate a modalità espressive medievali). È da questo clima artistico internazionale che l'artista
sviluppa il proprio stile personale, giocato sulla sintesi delle suddette componenti.
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Antonello approda alla città lagunare su invito del nobile Pietro Bon, che probabilmente ne aveva
visionato l'opera durante i viaggi in meridione in qualità di console della Serenissima. In breve
tempo, il messinese riesce non solo a riscuotere il favore di numerosi collezionisti veneti, ma anche
a farsi stimare da importanti personalità al di fuori della regione. A questo periodo risalgono
numerosi ritratti, anche se pochi sono quelli giunti ai
giorni nostri .
Con buona probabilità, all'esperienza veneziana appartiene
anche il celebre San Girolamo nello studio (1474 ca.),
opera in cui cogliamo una struttura spaziale tipicamente
toscana, che si sovrappone - disciplinandola - ad una
maniacale resa dei dettagli di evidente ispirazione
fiamminga. Il dipinto presenta diverse possibili letture.
Secondo lo storico dell'arte Lionello Puppi, oltre agli ovvi
riferimenti alla vita di San Girolamo, l'opera alluderebbe
ad un per noi misterioso personaggio dell'epoca, da poco
defunto e quindi commemorato. Le tante simbologie
rimanderebbero ad una generale riflessione sulla vita e
sulla morte proprio a partire dalle vicende di
quest'individuo: il portale che incornicia la scena, ad
esempio, potrebbe essere letto come elemento di
distinzione tra "mondo dell'osservatore" e "mondo
dell'aldilà", tra la vita di chi guarda e la sopraggiunta
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(1472-1474 ca.), quanto all'uso veneto - probabilmente introdotto da Giovanni Bellini (1430 ca.-
1516) - di collocare la Vergine Maria su di un alto trono.
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silenziosa contemplazione aperta alla speranza della resurrezione.
La lezione magistrale di Antonello rimase senza seguito nella sua terra d'origine, mentre a Venezia
contribuì in modo decisivo alla crescita in senso moderno della pittura locale.
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ebrei (la stola del rabbino appesa) e ai musulmani (il gatto, caro a Maometto e simbolo di inganno).
Le babbucce abbandonate indicano il necessario distacco dalle cose terrene, le quattro scansie i
quattro Vangeli, mentre il paesaggio è l'Eden.
La sintesi dei risultati artistici di Antonello
La tavola del San Sebastiano è quanto resta di
un'ancona veneziana che si trovava nella Scuola
dei Santi Rocco e Niccolo, composta da una
statua di san Rocco tra due pale raffiguranti san
Sebastiano appunto e san Cristoforo. Antonello
dipinse il San Sebastiano a Messina, tra il 1478 e
il 1479 (anno della sua morte), e poi lo spedì a
Venezia; il San Cristoforo fu eseguito da suo
figlio Iacobello.
Com’è strutturata la scena? Asse della
composizione è san Sebastiano, che, legato a un
albero al centro di un'ariosa piazza, è
rappresentato secondo un punto di vista
ribassato che ne esalta la maestosità. È trafitto
dalle frecce del martirio ma ha un'espressione
ispirata e dolce che non tradisce alcuna
sofferenza e richiama alcuni volti di Giovanni
Bellini.
In quest'opera Antonello sintetizza tutte le
capacità acquisite, fuse in modo consapevole in
uno stile cristallino e impeccabile, prima di
tutto nella perfetta padronanza luministica,
espressa dalle ombre radenti sulle case e dal
morbido chiaroscuro sul corpo di san Sebastiano.
L'abilità prospettica è evidente tanto nella
costruzione generale quanto nei virtuosistici
scorci della colonna a terra, del pavimento, delle
case - che con i loro comignoli ricordano quelle
veneziane - e soprattutto del soldato addormenta-
to a sinistra, memore dell'esempio di Mantegna
agli Eremi-tani di Padova (vedi p. 132), al quale
si rifanno anche le arcate classiche sullo sfondo.
Il rigore dell'impostazione spaziale è reso meno
rigido dalla leggera rotazione verso destra del
corpo del santo ed è ravvivato dai molti dettagli tratti dal quotidiano e dalle figurette che
popolano lo sfondo. Esemplare è anche la bellezza del giovane martire, il cui corpo è reso con
esattezza anatomica ma senza le tensioni muscolari delle statue classiche (ne è però ripreso il
contrappunto delle membra), cui vengono preferite la morbidezza e le proporzioni allungate che
derivano dalla pittura nordica. Dietro alla naturalezza della figura si celano le ricerche
proporzionali e l'assimilazione ai solidi geometrici che caratterizzavano i personaggi di Piero della
Francesca, da Antonello studiato e reinterpretato in modo originale.
Quali significati I pagani, gli ebrei, i cristiani
Dietro il pilastro di destra si intravedono due personaggi, uno con un cappello cilindrico nero e
l'altro con mantello damascato e tiara: sono un rabbino e un vescovo e rappresentano
rispettivamente il Vecchio e il Nuovo Testamento. Uno dei due soldati davanti allo stesso pilastro
tiene in mano un rebbio che ricorda quello del diavolo; quello che dorme a sinistra è simbolo del
paganesimo che rifiuta il messaggio cristiano.
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Bibliografia
AUTORE TITOLO CASA EDITRICE
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