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QUESTIONI SOSTANZIALI SULLA PROVA

Gianluigi Morlini
Giudice del Tribunale di Piacenza
Piacenza, 14 febbraio 2009

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Sommario:
- 1. Premesse

- 2. Le decadenze istruttorie
2.1. Il passaggio dalla fase di trattazione alla fase istruttoria
2.2. Il termine finale per le deduzioni testimoniali
2.3 Il termine finale per le produzioni documentali in primo grado
2.4 Il termine finale per le produzioni documentali in appello

- 3. La non contestazione ed il fatto notorio come limiti all’onere probatorio


3.1 Il giudizio di ammissibilità e rilevanza
3.2 L’ammissibilità della prova di un fatto negativo
3.3 L’irrilevanza della prova di un fatto non contestato
3.4 L’irrilevanza della prova di un fatto notorio

- 4. Le prove documentali
4.1 La tipologia e l’efficacia delle prove documentali
4.2 L’atto pubblico
4.3 La scrittura privata
4.4 Le altre prove documentali

- 5. Le prove testimoniali
5.1 Lo sfavore legislativo per le prove testimoniali
5.2 I limiti di ammissibilità delle prove testimoniali e le relative eccezioni
5.3 I limiti di ammissibilità della prove testimoniali nella simulazione
5.4 Il regime di rilevabilità dei limiti sostanziali delle prove testimoniali
5.5 L’incapacità a testimoniare

- 6. Le prove atipiche
6.1 Nozione, tipologia ed efficacia probatoria delle prove atipiche
6.2 Il catalogo delle prove atipiche
6.3 Le prove illegittime.
6.4 Le dichiarazione sostitutive dell’atto notorio.

- 7. La valutazione delle prove


7.1 Prove legali come limite al principio del libero convincimento del Giudice
7.2 Prove libere come espressione del principio del libero convincimento del Giudice
7.3 Le presunzioni
7.4 Gli argomenti di prova
7.5 Le testimonianze de relato

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1. PREMESSE
Ci sono almeno tre buone ragioni per ritenere che una relazione ad una platea di
avvocati sulla tematica degli aspetti sostanziali della prova, sia un compito gravoso e di non
facile soluzione.
La prima ragione è data dal fatto che sull’argomento esiste una sterminata produzione
di contributi dottrinali dei più qualificati Autori. Dire qualcosa di nuovo o di meglio rispetto a
quanto già scritto prima da altri (e migliori!) commentatori, è quindi impresa davvero ardua.
La seconda ragione è che, in ogni caso, la materia che qui occupa è oggettivamente
molto articolata ed eterogenea, presentando un complesso intreccio di problematiche sia
sostanziali (solo a titolo esemplificativo, si pensi ai limiti alla prova testimoniale) sia
processuali (proseguendo nell’esemplificazione proposta, si pensi al regime di rilevabilità di
tali limiti alla prova testimoniale); di problematiche sia tradizionali (si pensi al valore
probatorio dell’atto pubblico) sia innovative in quanto frutto del progresso tecnologico e
dell’evoluzione del sistema sociale (si pensi al valore probatorio del documento informatico);
di problematiche, infine, sia sulle quali la giurisprudenza sembra avere recentemente
composto ogni divergenza ricostruttiva (si pensi alla produzione dei documenti in appello),
sia sulle quali persiste un significativo contrasto interpretativo (si pensi alla materia della non
contestazione).
La terza ed ultima ragione è che la tematica dell’ammissione e della valutazione delle
prove è davvero centrale nell’ambito del processo civile.
Con riferimento all’ammissione, infatti, non vi è chi non veda come il mancato ingresso in
causa di una prova ritualmente e legittimamente dedotta, possa pregiudicare le possibilità di
una parte di far valere il diritto azionato; mentre l’espletamento di una prova in realtà inutile
ai fini del decidere, aumenti i già insopportabili tempi di definizione del processo civile.
Parimenti, con riferimento alla valutazione delle prove, è appena il caso di accennare al fatto
che, laddove la valutazione non sia correttamente operata, è la stessa decisione complessiva
che può risultarne inficiata.
Ciò detto, e pur nella consapevolezza delle difficoltà sopra esposte, si è comunque
cercato di analizzare schematicamente le principali questioni oggetto del tema proposto1.
In particolare, si inizierà dall’argomento processuale delle decadenze istruttorie, per poi
muovere alla tematica sostanziale della non contestazione e del fatto notorio come limiti
all’onere probatorio delle parti. Nella parte centrale della trattazione, si analizzeranno poi le
prove documentali, le prove testimoniali e le prove atipiche, per poi terminare lo scritto con
una riflessione sulla valutazione delle prove.
Ovviamente, in aderenza alle finalità cui si ispirano i corsi di formazione e
aggiornamento, non sarà effettuata una trattazione con un taglio teorico, descrittivo e
dogmatico; ma piuttosto, l’attenzione sarà focalizzata su temi di quotidiana applicazione
giurisprudenziale, sviluppati con un taglio pratico e finalizzato alla soluzione di questioni
concrete.

1
Per altri spunti sempre relativi alla materia probatoria, soprattutto con riferimento alla prospettiva processuale,
ci si permette di rinviare a tre altre relazioni già tenute da chi scrive ai corsi di formazioni per magistrati
organizzati al CSM e reperibili sul sito di Cosmag:
- MORLINI, I poteri istruttori del Giudice, l’ammissione e l’assunzione della prova, relazione tenuta a Roma
il 24/5/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM;
- MORLINI, I poteri officiosi del Giudice ed in particolare la Consulenza Tecnica d’ufficio, gruppo di lavoro
tenuto a Roma il 14/3/2006 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM;
- MORLINI, La riforma e l’articolo 183 c.p.c., gruppo di lavoro tenuto a Roma il 26/2/2007 ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM.

2
Per non appesantire ulteriormente il testo, le citazioni giurisprudenziali in nota, se riferite a
pronunce di Cassazione, indicheranno solo data e numero della sentenza, senza ulteriori
riferimenti bibliografici di pubblicazione su riviste, atteso che tutti i provvedimenti della
Suprema Corte possono essere comodamente reperiti sulle banche dati tradizionalmente
utilizzate nell’attività giudiziaria, sia quelle private commerciali, sia quella di Italgiure.

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2. LE DECADENZE ISTRUTTORIE

2.1 Il passaggio dalla fase di trattazione alla fase istruttoria


Una delle più rilevanti modifiche apportate al rito processualcivilistico dalla riforma
del 2005, è certamente quella dell’accorpamento, nella nuova udienza ex art. 183 c.p.c., delle
attività in precedenza frazionate nell’udienza di prima comparizione ex art. 180 c.p.c. e nella
prima udienza di trattazione del previgente art. 183 c.p.c.; nonché nella concessione dei tre
termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c., in luogo dei precedenti quattro termini concessi,
due per volta, dai previgenti articoli 183 comma 5 e 184 c.p.c.. E ciò, al fine di superare
quella che era stata definita la “stucchevole trilogia”2 della successione delle udienze secondo
i previgenti artt. 180, 183 e 184 c.p.c..
Sotto il profilo fattuale, può ritenersi che il primo dei tre termini corrisponda sostanzialmente
al primo termine in precedenza posto dall’art. 183 comma 5 c.p.c., essendo deputato alla
“precisazione o modificazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già
proposte”; il secondo termine inglobi il precedente secondo termine del previgente art. 183
comma 5 c.p.c. ed il primo termine del previgente art. 184 c.p.c., essendo finalizzato a
“replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le
eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezione medesime”, nonché per
“l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali”; il terzo termine corrisponda al
secondo termine di cui al previgente art. 184 c.p.c., riguardando le “indicazioni di prova
contraria”.
Inoltre, va evidenziato che, mentre nel vigore del precedente rito, i termini di cui all’art. 183
comma 5 c.p.c. erano “non superiori a trenta giorni” ed i termini ex art. 184 c.p.c. erano non
predeterminati, gli attuali tre termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. sono indicati dal legislatore in
modo fisso nella sequenza di trenta, trenta e venti giorni.
Ciò posto, il problema che si pone è quello di verificare se la concessione dei termini
sia o meno obbligatoria da parte del Giudice, una volta che sia stata formulata la relativa
istanza ad opera di una parte.
Secondo una tesi, che valorizza il dato letterale per il quale “se richiesto, il giudice concede”,
la concessione dei tre termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c. è atto dovuto da parte del
Giudice a seguito di semplice richiesta di una parte.
Per un’opposta ricostruzione, invece, non essendo stato abrogato l’art. 80 bis disp. att. c.p.c.,
il Giudice ben potrebbe rifiutare la concessione dei termini richiesti, ritenendo la causa matura
per la decisione e fissando conseguentemente udienza di precisazione delle conclusioni3. In
particolare, tale evenienza dovrebbe verificarsi, appalesandosi del tutto inutile la concessione
dei termini in quanto nemmeno astrattamente idonei a consentire una modifica del petitum od
un apporto probatorio rilevante ai fini della decisione, laddove si tratti di decidere questioni
pregiudiziali quali, tra le altre ed a mero titolo esemplificativo, il difetto di giurisdizione, il
difetto di competenza, l’improcedibilità della domanda, la sua inammissibilità per tardività et
similia.
Per una più articolata tesi, sostanzialmente mediana tra le due sopra esposte, bisogna invece
distinguere tra diverse situazioni.

2
CIPRIANI, Il processo civile tra vecchie ideologie e nuovi slogan, in Riv. Dir. Proc., 2003, 455 ss..
3
Cfr. STEFANI, L’udienza ex art. 183 c.p.c. e l’operatività delle preclusioni nel quadro delle novità normative
e dei più recenti orientamenti della Corte di Cassazione, relazione tenuta a Roma il 13/3/2006 ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 29.

4
a) Da un lato, infatti, ben è possibile che le parti formulino direttamente in udienza le
rispettive istanze istruttorie, procedendo ad apposita capitolazione o richiamando istanze
in precedenza già svolte, e non richiedano la concessione di alcun termine.
In tal caso, determinandosi l’immediata operatività delle preclusioni istruttorie4, il giudice
dovrà decidere sulle istanze così formulate, con provvedimento contestuale o riservato,
senza alcuna concessione di termini e con immediato passaggio dalla fase di trattazione
alla fase istruttoria.
b) Da una seconda angolazione, poi, le parti, od anche solo una di esse, potrebbero richiedere
la concessione dei soli termini per modificare e precisare le proprie domande e per
repliche, così come nel caso del previgente art. 183 comma 5 c.p.c., senza invece
richiedere anche i termini istruttori.
In tal caso, il Giudice dovrà concedere solo i primi due termini di cui all’art. 183 comma 6
c.p.c., e la concessione di tali termini, come nel caso del previgente articolo 183 comma 5
c.p.c., appare doverosa e non discrezionale. Invero, sotto un profilo logico-sistematico, è
del tutto ragionevole ipotizzare che il Giudice non possa pronunciarsi prima che le parti
abbiano cristallizzato il proprio petitum; sotto un profilo letterale-normativo, la
disposizione dell’art. 187 c.p.c., richiamata dall’art. 183 comma 7 c.p.c., che legittima
l’immediata fissazione di udienza di precisazione delle conclusioni laddove la causa sia
“matura per la decisione”, chiarisce che ciò accade laddove il Giudice ritenga non vi sia
“bisogno di assunzione di mezzi di prova”, ma non consente di inferire che una causa
possa essere matura per la decisione anche prima della possibile emendatio libelli5.
Dopo lo spirare dei termini concessi, dovrà poi decidersi sulle richieste istruttorie
eventualmente in precedenza rassegnate, disponendo l’istruttoria ovvero fissando udienza
di precisazione delle conclusioni ove la causa sia ritenuta matura per la decisione.
c) Da un terzo punto di vista, è possibile che le parti richiedano solo i termini per deduzioni e
produzioni e per prova contraria, così come nel previgente art. 184 c.p.c., senza invece
richiedere anche i termini per modificare o precisare domande ed eccezioni.
In tal caso, il Giudice può concedere il secondo ed il terzo termine di cui all’art. 183
comma 6 c.p.c.6, e poi decidere sulle istanze istruttorie; ma ben potrebbe anche, ritenuta la
causa matura per la decisione senza bisogno di istruttoria, rinviare per precisazione delle

4
Osserva BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 2, come la
definizione del concetto di preclusione non sia rinvenibile in alcuna disposizione normativa, pur se è utilizzata
dagli articoli 268 comma 2, 269 comma 5 e 294 comma 1 c.p.c., e deriva dagli studi dottrinali del
CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, vol. II, Napoli, 1965, 858-859.
5
Non è possibile in questa sede affrontare in modo esaustivo il classico quanto annoso tema della differenza tra
l’inammissibile mutatio libelli e la legittima emendatio libelli.
Per i fini che qui rilevano, sia sufficiente richiamare il tradizionale insegnamento, secondo il quale per
distinguere tra mutatio ed emendatio libelli, occorre muovere dalla distinzione tra diritti autodeterminati ed
eterodeterminati. In particolare, nel caso di diritti autodeterminati, quali ad esempio proprietà o diritti reali di
godimento, l’allegazione di fatti nuovi costituisce mera emendatio (Cass. n. 3950/1999); nel caso invece di diritti
eterodeterminati, quali i diritti di credito, se muta il nucleo dei fatti collegati con la domanda, si ha mutatio
(Cass. n. 5152/2001, Cass. n. 8717/1997, Cass. n. 3592/1995, Cass. n. 8043/1994).
L’art. 1453 comma 2 c.c. è invece norma speciale che deroga alla norma generale, consentendo in ogni caso la
mutatio libelli da adempimento in risoluzione fino all’udienza di precisazione delle conclusioni.
6
Si osserva sul punto come non possa che essere favorevolmente commentata la prassi virtuosa, vigente in
diversi uffici giudiziari, secondo la quale, nello spirito di una sempre auspicata collaborazione tra parti e
Giudice, con le memorie istruttorie le parti stesse provvedono a ricapitolare anche le istanze precedentemente
formulate negli atti introduttivi, e ciò sia al fine di rivalutare il persistente interesse a riproporre tutti le prove in
precedenza dedotte ed evitare la proposizione di prove tra loro contrastanti; sia al fine di consentire al giudice di
provvedere all’ammissione di istanze istruttorie tutte concentrate in un unico documento, e non disseminate in
più atti, con il rischio di incorrere in involontarie omissioni.

5
conclusioni7, attesa l’apposita prescrizione dell’art. 187 c.p.c.8, espressamente richiamata
dal novellato art. 183 comma 7 c.p.c., ciò che rende la concessione dei termini istruttori
momento non ineliminabile della scansione temporale del processo9.
Specularmente, la richiesta della parte di fissazione di udienza di precisazione delle
conclusioni o l’adesione alla stessa, seguita dall’effettiva fissazione di tale udienza da
parte del giudice, implicano tacitamente la rinuncia alle prove non ancora espletate e
l’adesione del Giudice ex art. 245 comma 2 c.p.c.10.
d) Da ultimo, e tale ipotesi sarà presumibilmente quella di gran lunga numericamente
prevalente, le parti, od anche solo una di esse, potrebbero richiedere la concessione di tutti
i termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c.. In questo caso, atteso che non vi è spazio per
negare la concessione quantomeno dei termini per precisazioni e modificazioni (cfr. art.
183 comma 6: “se richiesto, il Giudice concede alle parti”), appare ragionevole
concludere che tutti e tre i termini vadano comunque concessi.
In ogni caso, come supra evidenziato, l’appendice scritta dei termini dell’art. 183
comma 6 c.p.c. è solo eventuale, ben potendo le parti, in linea teorica, precisare domande-
eccezioni-conclusioni (cfr. ultima parte del novellato art. 183 comma 5 c.p.c.) e formulare le
istanze istruttorie, già in udienza di trattazione.
Se quindi precisazione delle domande e formulazione delle istanze istruttorie possono essere
alternativamente effettuate sia in udienza ex art. 183 c.p.c., sia nei termini concessi ex art. 183
comma 6 c.p.c., così non è per la possibilità di chiamata del terzo ad opera dell’attore e per la
reconventio reconventionis.
Invero, come già accadeva prima della riforma (cfr. previgente art. 183 comma 4 c.p.c.),
l’attore è onerato di richiedere la chiamata del terzo e di operare la reconventio reconventionis
direttamente in udienza ex art. 183 c.p.c. (cfr. novellato art. 183 comma 5 c.p.c.), con la
conseguenza che sarebbe tardiva l’effettuazione di tali attività nei termini concessi ex art. 183
comma 6 c.p.c..

2.2 Il termine finale per le deduzioni testimoniali


Sin dal periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della riforma operata
dalle leggi nn. 353/1990 e 534/1995, e fermo restando che l’unico mezzo istruttorio nella
disponibilità delle parti che sfugge al regime delle preclusioni è il giuramento decisorio ex art.
233 c.p.c., potendo esso essere deferito “in qualunque stato della causa”, uno dei temi che
più avevano occupato gli interpreti nella materia che qui si tratta, era relativo alla presenza o
meno di preclusioni istruttorie già in un momento precedente alla concessione dei termini ex
art. 184 c.p.c., ora 183 comma 6 c.p.c. a seguito dell’introduzione del cd. rito competitivo11.

7
Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alle controversie aventi natura documentale e già istruite con la
produzione dei documenti ritenuti necessari per decidere; ovvero alle controversie implicanti la soluzione di
questioni di mero diritto, ove nessun apporto utile ai fini del decisum può essere fornito dall’istruzione
probatoria.
8
In tale caso, peraltro, ai sensi del quarto comma della norma, nel caso di regressione del procedimento, i
termini istruttori dovranno essere concessi, se richiesti. Consegue che la parte non ha l’obbligo di formulare a
pena di decadenza le richieste istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni, potendosi limitare a chiedere
tempestivamente l’assegnazione dei termini per deduzioni e produzioni, ribadendo poi l’istanza dopo la
regressione della causa alla fase istruttoria.
9
Cfr. Cass. n. 16571/2002 e Cass. n. 2504/2002, sia pure con riferimento al rito di cui alla riforma del 1990-
1995, vigente prima della novella del 2005.
10
Cfr. Cass. n. 12241/2002, Cass. n. 5751/1991, Cass. n. 550/1981.
11
Così chiamato ironizzando sul fatto che il D.L. n. 35/2005, sottoposto all’esame della Commissione Finanze e
non Giustizia, era stato emanato al dichiarato fine di incentivare la competitività in materia di “sviluppo

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Una tesi, nettamente minoritaria pur se seguita in alcune pronunce della
giurisprudenza di merito12 e propugnata da alcuni Autori13, aveva dato risposta positiva al
quesito.
In particolare, valorizzando il dato delle prescrizioni degli artt. 163 n. 5 e 167 c.p.c., che
prevedono come contenuto necessario della citazione e della comparsa di risposta
l’indicazione specifica dei mezzi di prova, e valorizzano altresì il dato letterale dell’art. 184
c.p.c. allora vigente, che legittimava l’indicazione di “nuovi mezzi di prova”, si era arrivati
alla conclusione che nelle memorie istruttorie era possibile solo l’indicazione di quelle prove
necessitate dalle allegazioni, modificazioni o precisazioni, operate dalla controparte
nell’udienza ex art. 183 c.p.c.; e che, pertanto, le prove che potevano anche in precedenza
essere dedotte negli atti introduttivi, se indicate per la prima volta nelle memorie istruttorie,
erano inammissibili perché tardive.
Giurisprudenza e dottrina14 largamente maggioritarie, peraltro, sono sin dall’inizio
giunte a conclusioni opposte, ritenendo che nessuna preclusione istruttoria si verifichi

economico, sociale e territoriale”, e che la riforma del processo civile era stata inserita nel testo di legge quasi
come appendice rispetto all’oggetto principale del provvedimento: cfr. BARBUTO, Le novità introdotte al
processo di cognizione, ai procedimenti cautelari e possessori ed al sistema della comunicazioni e notificazioni,
relazione tenuta il 10/11/2005 a Torino ad un convegno organizzato dall’Ufficio dei referenti della formazione
decentrata del CSM, 1.
12
Si tratta, in particolare, di una posizione inizialmente seguita da alcune sezioni del Tribunale di Roma: cfr.
Trib. Roma 14/7/1997 in Giust. Civ., 1998, I, 2957; Trib. Roma 6/10/1997, in Giust. Civ., 1998, I, 256; Trib.
Roma 19/6/1998, in Foro It., 2000, 687; Trib. Roma ord. 5/6/2001.
Alle stesse conclusioni giungono anche Trib. Pescara 7/3/1998, in Giust. Civ., 1999, 32; Trib. Lucca 7/4/2000, in
Giur. Merito, 2000, 809.
13
Cfr. GRASSO, Note sui poteri del giudice nel nuovo processo di cognizione di primo grado, in Riv. Dir.
Proc., 1992, 721; ID, Interpretazione della preclusione e nuovo processo civile in primo grado, in Riv. Dir.
Proc., 1993, 654;
BLANDINI, in AA.VV., Le nuove norme del codice di procedura civile, Milano, 1991, 29 ss.;
DI NANNI, in Verde-Di Nanni, Codice di procedura civile, Torino, 1993, 176.
14
Cfr. BALENA, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 173-194 ss.;
BARRECA, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta
a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 9 ss.;
BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 7;
BUCCI-CRESCENZI-MALPICA, Manuale pratico della riforma del processo civile, Padova, 1991, 93 ss.;
CAPPONI, in Vaccarella-Capponi-Cecchella, Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, 103;
CARPI-COLESANTI-TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 1994, 425 ss.;
CARRATO, Profili problematici sul regime degli atti introduttivi e delle preclusioni nel rito civile novellato, in
Arch. Civ., 1995, 197;
CENTAURO, Commento alla riforma del codice di procedura civile, Rimi, 1992, 102 ss.;
CHIARLONI, Giudice e parti nella fase introduttiva del processo civile di cognizione, in Riv. Trim. Dir. Proc.
Civ., 1999, 385;
CIACCIA CAVALLARI, Le preclusioni istruttori nel processo civile, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1999, 918;
COMOGLIO, Istruzione e trattazione nel processo civile, in Digesto Civile, X, Torino, 1995, 232; ID.,
Preclusioni istruttorie e diritto alla prova, in Riv. Dir. Proc., 1998, II, 981 ss.; ID. Istanze istruttorie e poteri del
giudice ex art. 184 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 1999, 887;
COSTANTINO, in Provvedimenti urgenti per il processo civile, a cura di Tarzia-Cipriani, Padova, 1992, 90;
COSTANZO, La fase istruttoria nel processo civile ordinario. In particolare: il passaggio dalla fase della
trattazione alla fase istruttoria, preclusioni istruttorie, acquisizione, assunzione, valutazione delle prove,
relazione tenuta il 15-19/2/1999 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 18;
D’AIETTI-FRASCA-MANZI-MIELE, Il giudizio di primo grado, Milano, 1996, 130;
D’ASCOLA, Giudizio di primo grado: la prima udienza e le preclusioni, in Quaderni del CSM, Vol. 65, Roma,
1993, 153; ID. Attività istruttoria e poteri del giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il 7/6/2002 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 3;
EVANGELISTA, Giudizio di primo grado: la prima udienza e le preclusioni, in Quaderni del CSM, vol. 64,
Roma, 1993, 106;

7
anteriormente alla concessione dei termini istruttori, con la conseguenza che, concessi tali
termini, la parte ben può formulare prove relative a qualsiasi circostanza, nei limiti
ovviamente di quanto tempestivamente dedotto, e cioè nei limiti di quanto indicato prima
dello spirare delle preclusioni assertive.
Per supportare tali conclusioni, si osserva innanzitutto che, a livello letterale, l’inciso “nuovi
mezzi di prova” contenuto nel previgente art. 184 c.p.c., lungi dall’essere necessariamente
inteso come legittimante la formulazione di capitoli di prova solo ove in precedenza ne siano
stati indicati altri, ben può semplicemente essere inteso come legittimante la formulazione di
capi di prova non ancora indicati, cioè non previamente dedotti. In altre parole, la ‘novità’ va
apprezzata non con riferimento ad altre eventuali prove dedotte negli atti introduttivi, ma solo
con riferimento alle formulazioni effettuate per la prima volta in corso di causa15, così come
anche chiaramente emerge dai lavori preparatori16.
Da una seconda angolazione e con riferimento all’obbligo di indicare le prove sin dagli atti
introduttivi, si osserva che gli articoli 165 e 167 c.p.c., al contrario di quanto previsto dall’art.
420 comma 5 c.p.c. nel rito del lavoro, non comminano alcuna sanzione nel caso di violazione
del precetto, con la conseguenza che la funzione dell’obbligo è meramente conformativa, e la
tesi qui criticata introduce di fatto un’inammissibile preclusione non prevista dalla legge17.

FABIANI, L’istruzione probatoria a seguito della legge n. 353 del 1990, in Doc. Giust., 1992, 1231 ss.;
FORNACIARI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 18/10/1999 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 8;
GIULIANI, Interrogatorio libero e tentativo di conciliazione. Poteri del giudice e poteri delle parti nell’attività
istruttoria. Preclusioni istruttorie, in Quaderni del CSM, n. 115, vol. II, 112;
LAPERTOSA, Le preclusioni istruttorie nel giudizio di primo grado secondo la legge 353/1990, in Riv.
Dir.Proc., 1994, 1093 ss.;
LAZZARO-GUERRIERI-D’AVINO, L’esordio del nuovo processo civile, Milano, 1996, 58 e 87;
LUISO, Diritto processuale civile, II, Milano, 1997, 20;
MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, II, Torino, 2002, 94;
MONTELEONE, Diritto processuale civile, II, Padova, 1995, 60;
OBERTO, Il giudizio di primo grado dopo la riforma del processo civile, in Giur. It., 1991, IV, 314;
OLIVIERI, Udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione, in Il nuovo processo civile, Napoli,
1996, 83 ss.;
PANZANI, Giudizio di primo grado: la prima udienza e le preclusioni, in Quaderni del CSM, vol. 65, Roma,
1993, 116 ss.;
PINTO, Attività istruttoria e poteri del giudice e delle parti, relazione, relazione tenuta a Roma il 6-8/6/2002 ad
un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 3;
PISAPIA, Appunti in tema di deduzioni e preclusioni istruttorie nel processo civile, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ.,
2000, 829;
PREDEN, Il regime delle preclusioni nelle deduzioni istruttorie, relazione tenuta a Roma il 13-15/11/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 4;
RAZETE, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 15/5/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 9;
RICCI, Commentario breve al codice di procedura civile, diretto da Carpi-Taruffo, Padova, 1994, 425;
SANTAGADA, Le “nuove” preclusioni istruttorie, in Giust. Civ., 1998, I, 2962 ss.;
SASSANI, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 165;
TARUFFO, Le preclusioni nella riforma del processo civile, in Riv. Dir. Proc., 1992, 306; ID. La trattazione
della causa, in Le riforme della giustizia civile, a cura del medesimo autore, Torino, 1993, 271;
TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 1991, 110;
VACCARELLA, Postilla, in Giust. Civ., 1998, I, 2697 ss..
15
Cfr. BARRECA, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 10;
COMOGLIO, Preclusioni istruttorie e diritto alla prova, in Riv. Dir. Proc., 1998, 992.
LAPERTOSA, Le preclusioni istruttorie nel giudizio di primo grado secondo la legge 353/1990, In Riv. Dir.
Proc., 1994, 1094.
16
Cfr. BALENA, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 194.
17
Cfr. BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 7;

8
Da ultimo poi, e questa pare davvero l’argomentazione dirimente, la necessaria indicazione,
sin dall’atto introduttivo, di tutti i mezzi di prova necessari a supportare la domanda
formulata, sarebbe in logico contrasto con la scelta codicistica di operare una chiara
distinzione tra la fase preparatoria e la fase istruttoria, atteso che imporrebbe all’attore di
capitolare le prove prima ancora di sapere cosa il convenuto intenda contestare e se i fatti
allegati siano o meno controversi, prima quindi che sia fissato il thema decidendum. Ciò, pur
se fonte di distorsioni ormai unanimemente riconosciute, è un approdo necessitato nel rito del
lavoro, ove vi è coincidenza tra le due fasi della preparazione e dell’istruttoria, con
contestuale fissazione di thema decidendum e thema probandum sin dall’atto introduttivo, ma
non può essere accettato nel rito ordinario, proprio perché, in tale rito, le due fasi sono
chiaramente distinte18.
Anche in ragione di tali convincenti argomentazioni, la Suprema Corte ha
autorevolmente avallato questa seconda tesi, già in precedenza maggioritaria, sancendo che,
per potere richiedere la concessione dei termini istruttori, non è necessario avere in
precedenza formulato richieste istruttorie19.
Con l’entrata in vigore del cd. rito competitivo, poi, la problematica sembra
definitivamente essere stata superata nel senso già in precedenza indicato dalla Corte di
Cassazione, atteso che, nel novellato art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c., che prevede la concessione
dei termini istruttori in precedenza indicati dall’art. 184 c.p.c., non si parla più di ‘nuovi’
mezzi di prova, ma semplicemente di ‘mezzi di prova’, con ciò superando il dato testuale
posto a fondamento della tesi contraria alla deducibilità di mezzi di prova ove in precedenza
nessuna richiesta istruttoria era stata rassegnata20.

2.3 Il termine finale per le produzioni documentali in primo grado


Un ulteriore quesito che si è posto in giurisprudenza ed in dottrina relativamente alle
preclusioni istruttorie è quello, fermi restando i limiti temporali previsti per la deduzione di
prove testimoniali, relativo alla possibilità o meno di produrre i documenti anche dopo lo
spirare del termine istruttorio.
Una tesi giurisprudenziale21, per la verità nettamente minoritaria, ritiene di dare al
quesito risposta positiva.

D’ASCOLA, Attività istruttoria e poteri del giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il 7/6/2002 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 3;
RAZETE, in L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta
a Roma il 15/5/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 9;
CECCHELLA, L’attività istruttoria: poteri del giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 6;
18
Cfr. BARRECA, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 10;
CECCHELLA, L’attività istruttoria: poteri del giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 6;
CAPPONI, in AA.VV., Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, 102;
D’ASCOLA, Attività istruttoria e poteri del giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il 7/6/2002 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 5;
LUISO, Provvedimenti urgenti per il processo civile, in Doc. Giust., 1990, 4, 33.
19
Cfr. Cass. n. 18150/2003, Cass. n. 16571/2002.
20
Cfr. BALENA, La riforma (della riforma) del processo civile. Nota a prima lettura sulla L. 28/12/2005 n.
263, in Foro It., 2006, I, 64, nota 5;
STEFANI, Brevi note sulla novella al cubo, relazione tenuta a Roma il 28/2/2007 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 18.
21
Cfr. Trib. Roma 14/7/1997, in Giust. Civ., 1998, I, 2957;

9
Si argomenta in tal senso muovendo dalla classica distinzione tra prove costituende e prove
costitute, opinando che la produzione di documenti, al contrario dell’assunzione di prove
testimoniali, non comporta un aggravio dell’attività processuale, e quindi non avrebbe ragione
di sottostare ai termini decadenziali previsti dal previgente art. 184 c.p.c., che si giustificano
al fine di rendere più celere la definizione del processo.
Giurisprudenza di merito22 e dottrina23 nettamente maggioritarie, invece, convengono
sul fatto che non vi è spazio per un trattamento differenziato per la produzione dei documenti,

Trib. Roma 6/10/1997, in Giust. Civ., 1998, I, 256;


Trib. Chieti 27/5/1999, in Foro It., Rep. 2000, voce procedimento civile, n. 264;
Trib. Chieti 1/2/2000, in Foro It., Rep. 2000, voce procedimento civile, n. 274;
22
Cfr., ex pluribus:
Trib. Brindisi 26/5/1997, in Foro It., 1998, I, 2585;
Trib. Roma 14/7/1997, in Giur. Merito, 1998, 2957;
Pret. Torino 11/10/1997, 11/10/1997, in Giur. It., 1998, I, 2309;
Trib. Chieti 27/5/1999, in Foro It., Rep. 2000, voce procedimento civile, n. 264;
Trib. Torino 23/8/1999, in Giur. Merito, 2000, 556;
Trib. Trani 1/12/1999, in Giur. Merito, 2000, 556;
Trib. Milano, 6/3/2000, in Giur. Milanese, 2000, 291;
Trib. Salerno, 6/7/2000, in Giur. Merito, 2001, I, 25;
Trib. Trani 24/7/2000, Foro It., 2003, I, 654;
Trib. Messina 25/2/2002, in Giur. Merito, 2001, 648;
Trib. Torino ord. 22/4/2003, in Foro It., 2003, I, 2856;
Trib. Roma 29/4/2004 n. 13156, in Il Merito, 10/1994, 47.
23
Cfr. BALENA, Le preclusioni nel processo di primo grado, in Giur. It., 1996, IV, 282; ID., La riforma nel
processo di cognizione, Napoli, 1994, 197;
BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 12;
CECCHELLA, L’attività istruttoria: poteri del giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 6;
CIACCIA CAVALLARI, Le preclusioni e l’istruzione probatoria nel nuovo processo civile, in Riv. Trim. Dir e
Proc. Civ., 1999, 921;
COMOGLIO, Preclusioni istruttorie e diritto alla prova, in Riv. Dir. Proc., 1998, 994; ID., Istanze istruttorie
poteri del giudice ex art. 184 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 1999, 997;
CONSOLO, Profili della nuova disciplina delle impugnazioni, con una rinnovata critica all’appello “chiuso”
ed ai “nova”, in La riforma del processo civile, Padova, 1992, 194;
FAROLFI, I poteri istruttori del Giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione tenuta a Roma il
10/5/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 3;
FORNACIARI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 18/10/1999 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 11;
GIULIANI, I poteri istruttori del Giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione tenuta a Roma il
21/6/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 22;
LAPERTOSA, Le preclusioni istruttorie nel giudizio di primo grado secondo la legge 353/1990, in Riv. Dir,.
Proc., 1994, 1086;
LAZZARO-GUERRIERI-D’AVINO, L’esordio del nuovo processo civile, Milano, 1996, 88;
MONTESANO ARIETA, Diritto processuale civile- La cognizione nel processo ordinario, Torino, 1994;
OLIVIERI, Udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione, in Il nuovo processo civile, Napoli,
1996, 103;
C. PAPPALARDO, L’assunzione e la formazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 14/11/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 3;
PINTO, Attività istruttoria e poteri del giudice e delle parti, relazione, relazione tenuta a Roma il 7/6/2002 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 3;
PREDEN, Il regime delle preclusioni nelle deduzioni istruttorie, relazione tenuta a Roma il 14/11/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 4;
PROTO PISANI, Diritto processuale civile, Napoli, 2002;
R ICCI, Commentario breve al codice di procedura civile, diretto da F. Carpi e M. Taruffo, Padova, 1994, 426;
SANTAGATA, Le nuove preclusioni istruttorie, in Giust. Civ., 1998, I, 2962;
SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996;

10
i quali, nel rito ordinario ed in primo grado, soggiacciono quindi alle medesime preclusioni
previste per la deduzione di prove testimoniali.
Infatti, da un punto di vista letterale, la formulazione del dato normativo, sia con riferimento
al previgente articolo 184 c.p.c. (“produrre documenti ed indicare nuovi mezzi di prova”), sia
con riferimento al novellato articolo 183 c.p.c. (“indicazione di mezzi di prova e produzioni
documentali”), non consente di rinvenire alcun appiglio che legittimi la conclusione che le
produzioni documentali sono sottratte al regime delle preclusioni, ed anzi, l’inciso appare
davvero significativo nel senso della parificazione della disciplina24.
Da un punto di vista di logica giuridica, poi, è stato autorevolmente e convincentemente
spiegato come “non è possibile che, date due parti, le quali, in ordine alla prova dei fatti
rispettivamente favorevoli, dispongano l’una soltanto di prove costituende, l’altra di prove
costituite, esse siano soggette a due regimi totalmente opposti, la prima incontrando un
rigido termine di preclusione, la seconda potendo effettuare le produzioni senza limiti di
tempo”; né può opinarsi che, a seguito della prova documentale offerta dopo le preclusioni
istruttorie, controparte potrebbe chiedere di essere rimessa in termini per fornire la prova
contraria, proprio perché “non è possibile ritenere equilibrata una situazione nella quale una
parte può fornire la prova a sé favorevole senza limiti, mentre la controparte, per contrastare
tale prova, deve chiedere di essere rimessa in termini”. Per tali motivi, “nulla autorizza
dunque ad ammettere la produzione di documenti con maggiore liberalità rispetto alla
deduzione di prove costituende”25.
Da un’ultima angolazione, poi, la soluzione qui prescelta appare vieppiù rafforzata alla luce
dell’entrata in vigore del novellato articolo 111 Cost., posto che ben si armonizza con il
valore costituzionale che riveste la ragionevole durata del processo, una scelta ermeneutica
che certamente rende più snello, ordinato e veloce l’iter processuale26.
Tali conclusioni, che si è detto erano già state raggiunte dalla giurisprudenza di merito
sulla scorta dell’insegnamento dottrinale, sono poi state pienamente avallate dalle Corti
Superiori. Infatti, la Corte di Cassazione ha confermato che, con riferimento ai termini
istruttori, le prove precostituite soggiacciono alle medesime preclusioni previste per le prove
costituende27 e la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata l’eccezione di
legittimità costituzionale dell’art. 184 c.p.c. allora vigente, laddove considera inammissibile la
produzione di documenti dopo la concessione dei termini istruttori28.
Alla luce di ciò, l’unica differenza di disciplina che residua tra prove costituende e prove
precostituite, nel primo grado del rito ordinario, è che solo per le prime si ha un giudizio di
ammissibilità e rilevanza ai fini della loro ammissione; i documenti, invece, potranno trovare
comunque ingresso nel fascicolo, se prodotti ritualmente ex artt. 74 o 87 disp. att. c.p.c., fatta
salva ogni valutazione da parte del giudice ai fini della loro utilizzabilità in sede di sentenza,
ma senza possibilità di espunzione o di divieto di produzione29, e ciò sia perché il giudizio

TAVORMINA, Provvedimenti urgenti per il processo civile. Commento agli articoli 7-35, in Corr. Giur., 1991,
1, 40 ss.;
TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 2002, 111 ss..
24
Cfr. BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 12;
CECCHELLA, L’attività istruttoria: poteri del giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 6.
25
FORNACIARI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 18/10/1999 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 11.
26
Cfr. PINTO, Attività istruttoria e poteri del giudice e delle parti, relazione, relazione tenuta a Roma il
7/6/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 4.
27
Cfr. Cass. n. 5539/2004 e Cass. n. 15646/2003.
28
Cfr. Corte Cost. n. 401/2000.
29
Cfr. Cass. n. 2652/1995, Cass. n. 150/1965.

11
preventivo di ammissibilità e rilevanza sembra riguardare le sole prove costituende30, sia
perché è comunque utile che il documento rimanga acquisito al processo al fine di rivalutare
la questione in sede di eventuale gravame31.
Parimenti, anche nel rito del lavoro, l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del
giudizio di primo grado, dei documenti e l’omesso contestuale deposito degli stessi,
determinano la decadenza dal diritto alla produzione, salvo che la stessa sia giustificata dal
tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al
ricorso od al deposito della comparsa di risposta, ad esempio a seguito di riconvenzionale o
chiamata del terzo32.

2.4 Il termine finale per le produzioni documentali in appello


Detto dell’ammissibilità della produzione documentale in primo grado solo entro i
limiti temporali dettati anche per le prove costituende, occorre riflettere sull’ammissibilità
della produzione documentale in appello, tematica recentemente riesaminata funditus ed in
modo meritorio da un doppio intervento selle Sezioni Unite, che con le sentenze 8202/2005
ed 8203/2005 hanno affrontato la questione rispettivamente con riferimento al rito del lavoro
ed al rito ordinario, giungendo a conclusioni restrittive, certamente più condivisibili pur se in
contrasto con la tesi prima prevalente, se non addirittura pacifica.

30
Cfr. BARRECA, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 44 ss.;
BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 31;
COMOGLIO, Istruzione e trattazione nel processo civile, in Digesto Civile, X, Torino, 1995, 234;
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova; la
decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 43;
FAROLFI, I poteri istruttori del Giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione tenuta a Roma il
10/5/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 17;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 17;
C. PAPPALARDO, L’assunzione e la formazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 14/11/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 2;
STEFANI, I poteri istruttori delle parti e del giudice. L’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova.
La decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 8/3/2000 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 51;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
19-20.
31
Cfr. BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 13;
GIULIANI, I poteri istruttori del Giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione tenuta a Roma il
21/6/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 27.
32
Cfr. Cass. n. 11922/2006, Cass. n. 20153/2005 e Cass. Sez. Un. n. 8202/2005, per la quale ultima vedi infra.

12
E’ noto, infatti, che con riferimento al rito ordinario, dottrina maggioritaria33 e
consolidata giurisprudenza di legittimità34, hanno sempre consentito la produzione di
documenti in fase di appello senza limiti, atteso che, in diritto, la limitazione posta dall’art.
345 c.p.c. circa la possibilità di produrre solo “nuovi mezzi di prova… indispensabili ai fini
della decisione”, si riferirebbe alle prove costituende, non anche alle prove costituite; e che,
in fatto, la distinzione parrebbe giustificata ove si riflettesse sulla circostanza che le
produzioni documentali, contrariamente all’assunzione delle prove testimoniali, non
comportano un allungamento dei tempi processuali.
Ciò posto, una tesi ritiene tale conclusione non incompatibile con il fatto che per i
documenti vige invece una preclusione in primo grado, una volta spirati i termini istruttori. Si
deduce infatti che, da un lato, l’esecutività della pronuncia di primo grado ex art. 282 c.p.c.
dovrebbe indurre la parte a produrre tempestivamente i documenti35; dall’altro lato e
comunque, non sarebbe illogico che in primo grado vi sia uno stadio di concentrazione
endoprocessuale maggiore di quella propria dell’appello36.
La stessa Corte Cost. n. 401/2000, sia pure in via incidentale, ha così chiarito che “la
possibilità che un’attività istruttoria rimasta preclusa nel giudizio di primo grado sia esperita
in appello, per cui l’instaurazione del secondo grado di giudizio sia l’unico mezzo attraverso
il quale quell’attività può essere svolta, non è di per sé irragionevole”.
Altra tesi, invece, più radicalmente, e più convincentemente, muove proprio dall’ormai
pacifica conclusione dell’impossibilità di produrre documenti in primo grado dopo lo spirare
dei termini istruttori, per porre in discussione l’assunto che tale produzione sia possibile in
sede di appello37, evidenziando che tale approdo non solo non è coerente, ma si pone

33
Cfr. ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 160; ID., Le preclusioni nel giudizio
di primo grado, in Foro It., 1990, V, 385 ss.;
BALENA, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 196 ss. e 437;
CAPUTO, La nuova normativa sul processo civile, Padova, 1993, 237;
DI NANNI, Codice di procedura civile, Torino, 1993, 333;
EVANGELISTA, Giudizio di primo grado: la prima udienza e le preclusioni, in Quaderni del CSM, Vol. 64,
106;
FERRI, L’appello, in Le riforme della giustizia civile, a cura di Taruffo, Torino, 1993, 398;
LASAGNO, in Le riforme del processo civile, a cura di Chiarloni, Bologna, 1992, 443;
MANDRIOLI, Le modifiche del processo civile, Torino, 1993, 159; ID., Corso di diritto processuale civile, II,
Torino, 1997, 405-406;
MONTESANO ARIETA, Il nuovo processo civile, Napoli, 1991, 87; ID, Diritto processuale civile, II, Torino,
1997, 76, 77, 316;
PARIMBELLI, in Commentario breve al codice di procedura civile, diretto da Carpi-Taruffo, Padova, 1994,
739;
PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 210 ss.; ID., Lezioni di diritto
processuale civile, Napoli, 1996, 539;
RAMPAZZI, Le riforme del processo civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 1992, 216;
REDENTI, Diritto processuale civile, a cura di Vellani, II, Milano, 1987, 455;
SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996, 573;
TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 1999, 111 e 249.
34
Ex pluribus e solo tra le più recenti, cfr. Cass. n. 2895/2005, Cass. n. 16995/2004, Cass. n. 10572/2004, Cass.
n. 10026/2004, Cass. n. 8235/2004, Cass. n. 6528/2004, Cass. n. 4189/2004, Cass. n. 3973/2004, Cass. n.
1048/2004, Cass. n. 77/2004.
35
Cfr. SABATO, Deduzioni istruttorie delle parti e mezzi di prova disposti d’ufficio: riflessioni sul nuovo testo
dell’art. 184 c.p.c., in Il Foro Napoletano, 1996, 144.
36
In giurisprudenza, cfr., tra le tante, Cass. n. 15646/2003.
In dottrina, cfr. BALENA, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 283; ID. Le preclusioni nel
processo di primo grado, in Giur. It., 1996, IV, 265; DE STEFANO, L’istruzione della causa nel nuovo
processo civile, Padova, 1992, 242-244; C. PAPPALARDO, L’assunzione e la formazione delle prove, relazione
tenuta a Roma il 14/11/2003 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 3-4.
37
Cfr. FABIANI, L’istruzione probatoria a seguito della legge n. 353 del 1990, in Doc. Giustizia, 1992, 1240;

13
addirittura in logico contrasto con le conclusioni cui si è giunti circa i limiti temporali alla
produzione in primo grado.
Da un lato, infatti, viene evidenziata la discrasia che si avrebbe in un sistema che, negando il
principio della ultrattività in secondo grado delle decadenze verificatesi in primo grado,
vedrebbe un termine finale per la produzione di documenti in primo grado, salvo poi riaprire
tale termine nel caso di interposizione di appello. Ciò che, è stato icasticamente evidenziato,
sarebbe “farisaico”38.
Dall’altro lato, poi, si ribadisce l’irragionevolezza, sotto il profilo della logica giuridica, di
una distinzione, ai fini del termine per la loro indicazione, tra le prove costituende e le prove
costitute, così come supra già argomentato39.
Da una terza angolazione, si evidenzia come, anche a livello di lavori preparatori relativi alla
novella del 1990-1995, era stato chiaramente esplicitato che «L’innovazione più significativa
è costituita dalla soppressione dello ius novorum; si ripristina, pertanto, la struttura
dell’appello quale revisio prioris instantiae. Il novellando articolo 345, infatti, preclude
l’ingresso nel giudizio di secondo grado non solo alle nuove domande, ma anche alle nuove
eccezioni non rilevabili d’ufficio e ai nuovi mezzi di prova. Tale modificazione è resa
necessaria dalla struttura impressa al procedimento di primo grado; infatti, ‘se la parte
potesse fare in appello tutto ciò che non ha fatto in primo grado, anche quando un termine sia
stato assegnato al suo fare -insegnava Carnelutti- è chiaro che tutto il sistema di stimoli alla
sua azione, sui quali è fondato il processo civile, riuscirebbe sconvolto’»40.
Da un quarto punto di vista, si argomenta che, anche in questo caso e come già più sopra
argomentato circa l’impossibilità di produrre documenti in primo grado dopo lo spirare dei
termini istruttori, è proprio il parametro costituzionale della cd. parità delle armi e quello del
celere svolgimento dell’attività processuale, codificati dall’art. 111 Cost., che fa preferire la
tesi dell’impossibilità di produzione in appello dei documenti, posto che l’opposta tesi
imporrebbe la riapertura della fase istruttoria e renderebbe problematica la tutela delle
prerogative difensive della controparte, esposta ad una produzione documentale addirittura
dopo la sentenza di primo grado.
Alla luce di tutte queste argomentazioni, la soluzione che viene proposta per superare
la tesi tradizionale è quella di ridefinire il concetto di mezzi di prova ‘indispensabili’, come
tali passibili di ammissione anche in appello ex art. 345 c.p.c., parificando le produzioni
documentali alle deduzioni istruttorie.
Sotto questo profilo, si è innanzitutto evidenziato come sia indispensabile la prova relativa a
fatti allegati in primo grado, “ma in ordine ai quali non è stato possibile formulare istanze
istruttorie, in quanto, prima che i relativi termini si maturassero, il giudice ha ritenuto la
causa matura per la decisione sulla base di una questione preliminare di merito o
pregiudiziale di rito, che il giudice di appello ritenga di risolvere diversamente”41.

FORNACIARI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 18/10/1999 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 19 ss.;
MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova, 1995, 305;
PINTO, Attività istruttoria e poteri del giudice e delle parti, relazione, relazione tenuta a Roma il 7/6/2002 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 13 ss.;
RUFFINI, La prova nel giudizio civile di appello, Padova, 1997.
38
PINTO, Attività istruttoria e poteri del giudice e delle parti, relazione, relazione tenuta a Roma il 7/6/2002 ad
un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 14.
39
Cfr. FORNACIARI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice,
relazione tenuta a Roma il 18/10/1999 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 19 ss..
40
Relazione Acone-Lipari nel testo approvato il 17 gennaio 1990 in sede redigente dalla Commissione Giustizia
del Senato e successivamente dall’Aula nella seduta del 28/2/1990.
41
FORNACIARI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 18/10/1999 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 19.

14
Secondariamente, si è opinato che sono altresì ‘indispensabili’ i mezzi di prova che siano
diretti a supportare la domanda in appello di corrispondere “gli interessi, i frutti e gli
accessori maturati dopo la sentenza di primo grado, nonché il risarcimento dei danni sofferti
dopo la sentenza stessa”, così come ammesso dall’art. 345 comma 1 c.p.c.42.
Ogni ulteriore ampliamento della nozione di ‘indispensabilità’, tale da riferirsi ad ogni prova
diretta di un fatto non ancora provato o prova contraria di un fatto già provato, renderebbe
priva di spessore la categoria, che dovrebbe necessariamente coincidere con quella di ‘utilità’
ai fini della decisione43.
Con la sentenza n. 8203/2005, le Sezioni Unite fanno proprie gran parte delle
argomentazioni qui sostenute, e, muovendo da un filone prima minoritario44, superano la
conclusione dell’indiscriminata possibilità di produrre in appello documenti.
Sotto il profilo strettamente giuridico, si chiarisce innanzitutto che non è accettabile la
dicotomia tra ‘mezzi di prova’ e ‘documenti’, prima utilizzata per giustificare l’esistenza di
barriere preclusive solo per le prove costituende, non anche per i documenti. In senso
contrario, si esclude che l’inciso ‘mezzi di prova’ utilizzato dagli articoli 345 comma 3 e 437
comma 2 c.p.c. come limite all’attività probatoria in appello riguardi le sole prove costituende
e non anche le prove precostituite, perché “tutte le prove sono mezzi, cioè strumenti per
asseverare quanto assunto dalle parti nei loro atti difensivi”. I documenti, infatti, lungi
dall’essere esclusi dal novero dei “mezzi di prova”, ne sono piuttosto una species rispetto al
genus, come acclara l’art. 163 n. 5, che, con formula analoga all’art. 414 n. 5 e 416 comma 3
c.p.c., prevede come l’attore debba indicare in citazione i “mezzi di prova” e “in particolare i
documenti” di cui intende valersi.
Per quanto attiene al piano fattuale, le Sezioni Unite evidenziano che ogni opzione
interpretativa deve armonizzarsi con l’esigenza di tutelare il valore costituzionalmente
protetto dall’art. 111 comma 2 della ragionevole durata del processo. Sotto questo angolo
visuale, viene smentito l’orientamento che fonda proprio sull’assenza di aggravio temporale
l’ammissibilità indiscriminata della produzione documentale, osservandosi che, da un lato, il
prolungamento delle attività processuali potrebbe essere integrato dall’eventuale
presentazione di una querela di falso relativa ad un atto pubblico o di un’istanza di
verificazione relativa ad una scrittura privata; dall’altro lato, tale prolungamento
conseguirebbe comunque dalla doverosa concessione di un termine a controparte, per dedurre
prove conseguenti alla produzione documentale.
In ragione di tali considerazioni, le Sezioni Unite concludono nel senso della generale
inammissibilità della produzione di documenti in appello, eccetto i casi in cui la produzione
sia giustificata “dallo sviluppo assunto dal processo”, ovvero “dalla formazione successiva
allo spirare dei termini”, ovvero infine dal requisito della reale ‘indispensabilità’, che deve
peraltro essere inteso in senso più rigido rispetto alla ‘rilevanza’ di cui al previgente art. 184
c.p.c. ora art. 183 comma 7 c.p.c.45. Ferma restando la condivisibilità delle prime due
eccezioni, rimane il problema di capire quale sia il confine tra ‘rilevanza’ ed
‘indispensabilità’, atteso che, come già supra argomentato, le due categorie, sotto il profilo
giuridico, sembrano in realtà coincidere.
A conferma della labilità di tale confine, va segnalata la successiva opinabile sentenza di
Cass. n. 1656/2007, che ha ritenuto ammissibile la produzione di documenti in appello da

42
PINTO, Attività istruttoria e poteri del giudice e delle parti, relazione, relazione tenuta a Roma il 7/6/2002 ad
un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 18.
43
Cfr. FORNACIARI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice,
relazione tenuta a Roma il 18/10/1999 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 20-21.
44
Cfr. Cass. n. 3310/2004, Cass. n. 2027/2003, Cass. n. 5133/2001, Cass. n. 15716/2000, Cass. n. 9604/2000.
45
Sul punto della necessità, per la produzione in appello, di una prova ‘indispensabile’ e non solo ‘rilevante’,
conforme anche la successiva Cass. n. 16526/2005.

15
parte del contumace in primo grado, con ciò di fatto creando una disparità di trattamento
processuale tra contumace e parte costituita nel senso favorevole al contumace.
Più coraggiosamente, nel rito del lavoro, con la sentenza n. 8202/2005, le Sezioni
Unite sono giunte a conclusioni ancora più nette. Prendendo le mosse da un filone in
precedenza nettamente minoritario46 e superando la tesi nettamente prevalente relativa alla
producibilità in appello di ogni tipologia di documento47, viene infatti sancito il nuovo
principio di diritto per il quale “l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di
primo grado, dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto,
determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la
produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione48 o dall’evolversi della
vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio
a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata del terzo)”.
Le argomentazioni utilizzate sono le stesse utilizzate dalla sentenza n. 8203/2005 e sopra
riassunte, sia con riferimento all’impossibilità di operare una contrapposizione tra mezzi di
prova e documenti, sia con riferimento al concreto pericolo di un allungamento dei tempi
processuali ove si optasse per la tesi contraria.
Quanto al pericolo che l’introduzione di barriere temporali alla produzione dei documenti in
appello possa ostacolare la ricerca della verità materiale cui è doverosamente finalizzato il
processo del lavoro, si replica che “la preoccupazione di addivenire a soluzioni distanti dalla
realtà fattuale” è “in buona misura ammortizzata dall’attribuzione al giudice di appello di
incisivi poteri d’ufficio in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova” ove essi siano
“indispensabili” ex art. 437 comma 2 c.p.c..
Del tutto conformi sono le successive Cass. Sez. Lav. nn. 2468/2006 e 11922/2006.

46
Cfr. soprattutto Cass. Lav. n. 775/2003 e 14110/2002.
Cfr. anche Cass. Lav. n. 3380/2003, Cass. Lav. n. 6342/2000, Cass. Lav. n. 7907/1998, Cass. Lav. n. 7233/1994
e Cass. Lav. n. 4013/1992 circa l’impossibilità di produrre in appello documenti dichiarati inammissibili in
primo grado; Cass. Lav. n. 16265/2003 circa la non producibilità in appello di documenti, da parte del convenuto
tardivamente costituito, di documenti, salvo che la loro formazione sia successiva al termine di costituzione
ovvero il convenuto dimostri la difficoltà di procurarsi i documenti stessi; Cass. Lav. n. 7233/1994 circa
l’inammissibilità della produzione in appello di documenti già producibili in primo grado.
47
Cfr., tra le ultime, Cass. n. 10128/2004 con riferimento alla materia locatizia cui si applica il rito del lavoro e
Cass. Lav. n. 16265/2003.
In realtà, la giurisprudenza in precedenza nettamente maggioritaria, ferma restando la ritenuta ammissibilità delle
produzioni documentali in appello, era solo divisa tra la tesi che richiedeva a pena di decadenza l’indicazione del
documento nel ricorso in appello o nella memoria di costituzione Cass. n. 10124/2004, Cass. Lav. n. 7845/2003,
Cass. Lav. n. 15197/2000, Cass. n. 10335/2000, Cass. Sez. Un. n. 9199/2000, Cass. n. 7948/2000) e la tesi che
riteneva possibile la produzione sino all’udienza di discussione in appello anche senza la previa indicazione
nell’atto introduttivo del giudizio (Cass. Lav. n. 4048/2003, Cass. Lav. n. 817/2000, Cass. Lav. n. 150/2000).
48
E cioè dal fatto che il documento si è formato dopo lo spirare delle preclusioni in primo grado, conclusione
peraltro pacifica attesa l’applicabilità all’appello dell’art. 184 bis c.p.c., in forza del generale rinvio operato
dall’art. 359 c.p.c..

16
3. LA NON CONTESTAZIONE ED IL FATTO NOTORIO
COME LIMITI ALL’ONERE PROBATORIO

3.1 Il giudizio di ammissibilità e di rilevanza


Detto della deduzione delle istanze istruttorie ad opera delle parti, può ora muoversi al
tema dell’ammissione delle prove, solo laconicamente disciplinato dal previgente art. 184
c.p.c. e dall’attuale art. 183 c.p.c., nonché dall’art. 186 c.p.c..
E’ noto che la valutazione operata dal giudice in proposito è duplice, dovendo investire sia il
profilo dell’ammissibilità della prova, sia quello della sua rilevanza, posto che ammissibilità e
rilevanza fungono da limite al diritto alla prova, spettante alla parte ex art. 24 Cost. ed art. 6.1
CEDU49.
Per quanto concerne il giudizio di ammissibilità, esso ha natura strettamente giuridica
e riguarda la cosiddetta legalità della prova, integrando una valutazione diretta a verificare,
caso per caso, se ricorrano ragioni di non ammissione del mezzo di prova proposto rispetto
allo schema legale50. Tale giudizio riguarda quindi la sussistenza delle condizioni, con
riferimento a modalità e limiti di deduzione, alle quali l’ordinamento subordina l’esperimento
di un determinato mezzo di prova51, e spiegava già Carnelutti che si tratta per questo di un
giudizio ricondotto a regole negative, ossia a “quelle regole che negano efficacia ad un mezzo
di prova”52.
In particolare, la conformità della prova al modello normativo, va scrutinata sia sotto il profilo
processuale, valutando se essa sia stata tempestivamente dedotta prima dello spirare dei
termini istruttori; sia sotto il profilo sostanziale, valutando se essa sia stata dedotta nel rispetto
delle norme codicistiche previste per la validità del mezzo istruttorio (cfr. artt. 2721-2726 c.c.
con riferimento alla prova testimoniale, art. 1417 c.c. con riferimento alla prova della
simulazione, per le quali vedi infra sub 5; artt. 244 e 230 c.p.c. con riferimento alle modalità
di deduzione dei capitoli di prova, art. 246 c.p.c. con riferimento alla capacità a testimoniare,
art. 2731 c.c. con riferimento alla confessione, artt. 2737 e 2739 c.c. con riferimento al
giuramento, art. 118 c.p.c. con riferimento all’ispezione, art. 210 c.p.c. con riferimento
all’esibizione di documenti).
Per quanto concerne poi il tema dell’inammissibilità del capo di prova testimoniale
contenente valutazioni, l’assunto deve essere valutato con particolare prudenza nel caso di
testimonianza tecnica, relativamente alla quale, ha spiegato la Suprema Corte che “il
principio secondo cui la prova testimoniale deve avere ad oggetto non apprezzamenti o
giudizi, ma fatti obiettivi, deve essere inteso nel senso che il testimone non deve dare

49
Sul diritto alla prova, cfr.:
BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 20;
MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, Torino, 1993, 131 ss.;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 4;
TARUFFO, Il diritto alla prova nel processo civile, in Riv. Dir. Proc., 1984, 78;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
14.
50
Cfr. COMOGLIO, Le prove civili, Torino, 2004, 123.
51
Cfr. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, II, Torino, 106 ss..
52
CARNELUTTI, Diritto e processo, Napoli, 1958, 198.

17
un’interpretazione del tutto soggettiva o indiretta delle circostanze di fatto ed esprimere
apprezzamenti tecnici o giuridici su di esso, ma ciò non comporta, peraltro, che egli non
possa riferire anche il convincimento sul fatto e le sue modalità derivatogli dalla sua stessa
percezione ed esprimere gli apprezzamenti che non sia possibile scindere dalla deposizione
dei fatti”53.
Relativamente invece al giudizio di rilevanza, si osserva come esso abbia natura
logico-ipotetica e sia volto a verificare a priori se il mezzo di prova, alla luce del brocardo
latino frustra probatur quod probatur non relevat, sia potenzialmente utile per l’accertamento
dei fatti controversi, o, in altre parole, se sia tecnicamente idoneo a dimostrare l’esistenza o
l’inesistenza dei fatti allegati in causa.
In tutta evidenza, non si può mai definire irrilevante una prova che mira a contrastare l’esito
di altre prove e comunque fornire una diversa versione dei fatti che debbono essere provati:
una prova diventa superflua “solo quando ciò che essa intende dimostrare è già altrimenti
dimostrato”54.
Si è quindi acutamente osservato, per fissare la distinzione tra ammissibilità e
rilevanza, che il giudizio di ammissibilità della prova riguarda un profilo esterno di
rispondenza allo schema legale, mentre il giudizio di rilevanza riguarda invece un profilo
interno di conducenza della prova ai fini della decisione55, ed è escluso quindi con riferimento
a fatti pacifici, già provati o non utili ai fini della decisione. Testualmente, afferma la
Suprema Corte che “l’ammissibilità attiene al rispetto delle norme che stabiliscono modalità
e limiti di deduzione del singolo mezzo di prova”, mentre il giudizio di rilevanza va svolto
verificando la sussistenza del “nesso tra i fatti da provare ed il riconoscimento della
fondatezza della domanda o dell’eccezione”56.
Ciò posto, muovendo dal presupposto che anche la mancanza di uno solo tra i due requisiti di
ammissibilità e rilevanza, impedisce l’ammissione della prova, la Corte di Cassazione ha poi
chiarito che non vi è gerarchia tra i due giudizi, nel senso che il giudice può indifferentemente
procedere prima alla valutazione dell’ammissibilità e poi della rilevanza, ovvero prima alla
valutazione della rilevanza e poi dell’ammissibilità57.
Fondamentale è poi chiarire, con la dottrina58 e la giurisprudenza59 assolutamente
pacifiche sul punto, che ammissibilità e rilevanza vanno valutati con riferimento all’astratta

53
Cfr. Cass. n. 5/2001
54
BARRECA, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 25;
COMOGLIO, Il principio di economia processuale, Padova, 1980, 203; ID., in Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezioni
sul processo civile, Bologna, 1995, 512-514;
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova; la
decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 40;
TARUFFO, Il diritto alla prova nel processo civile, in Riv. Dir. Proc., 1984, 97.
55
Cfr. RAZETE, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 15/5/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 27.
56
Cfr. Cass. n. 14386/1999.
57
Cfr. Cass. n. 8164/2000.
Contra, nel senso che il giudizio di rilevanza è concettualmente precedente a quello di ammissibilità, cfr.
TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, Milano, 1992, 337.
58
Cfr. BARRECA, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 18;
BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 29;
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova; la
decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 38;

18
idoneità del mezzo a provare una circostanza rilevante ai fini della decisione, senza alcuna
preventiva prognosi circa l’esito dell’assunzione o la verosimiglianza delle circostanze
dedotte.
Pertanto, relativamente alla richiesta di interpello, formulata dai procuratori delle parti in
modo quasi meccanico relativamente alla grande maggioranza delle controversie, è pacifico
come la stessa non possa essere disattesa per il solo fatto che la parte interroganda abbia, in
atti processuali pregressi, smentito quanto dedotto in sede di interrogatorio, atteso che lo
scopo dell’interrogatorio stesso è proprio quello di provocare, nel contatto diretto con
avversario e giudice, la confessione. L’unico limite all’assolutezza del principio, è dato dal
fatto che, non potendosi rendersi idonea confessione di fatti dei quali, per qualsiasi ragione,
non può aversi diretta conoscenza, è inammissibile l’interpello allorché sia da escludere la
possibilità che l’interpellato possa avere diretta conoscenza delle circostanze per le quali è
interrogato60.

3.2 L’ammissibilità della prova di un fatto negativo


Contrariamente a quanto potrebbe prima facie apparire, non può dirsi di per sé
inammissibile un capo di prova volto a provare un fatto negativo, atteso che, nel nostro
ordinamento, non esiste un principio generale riassumibile nel brocardo latino negativa non
sunt probanda, come attesta l’unanime dottrina61 e la pacifica giurisprudenza62.
Infatti, è facile invece evidenziare che non è inusuale rinvenire norme di diritto
positivo che pongono la prova del fatto negativo come elemento costitutivo della relativa
azione 63.
Ad esempio, in materia contrattuale, nel caso di inadempimento di obbligazioni negative, è
onere del creditore dare la prova negativa integrata dall’inadempimento di controparte, e, fino
alla pronuncia di Cass. Sez. Un. n. 13533/2001, la maggioritaria giurisprudenza della Corte di
Cassazione aveva sempre ritenuto che fosse onere del creditore dare la prova negativa
dell’inadempimento di controparte in tutte le situazione in cui il creditore agiva per la
risoluzione del contratto o per richiedere i danni.

RAZETE, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 15/5/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 28;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
15.
59
Cfr., ex pluribus, Cass. n. 14386/1999, Cass. n. 9640/1999, Cass. n. 5313/1998, Cass. n. 3380/1995, Cass. n.
5458/1993.
60
Cfr. Cass. n. 8544/2000, Cass. n. 7195/2000, Cass. n. 9881/1997, Cass. n. 4370/1996, Cass. n. 4296/1987.
61
Cfr. CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione , l’assunzione e la valutazione della
prova; la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 14;
GIOVANNETTI, L’attività istruttoria ed i potersi del giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il
12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati;
RAZETE, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 15/5/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 18;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
6.
62
Cfr. Cass. n. 384/2007, Cass. n. 12746/1992, Cass. n. 11432/1992, Cass. n. 1614/986, Cass. n. 3741/1976,
Cass. n. 3515/1972, Cass. n. 2612/1969, Cass. n. 285/1952.
63
Cfr. RAZETE, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 15/5/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 18.

19
In tema di obbligazioni ex delictu, a norma dell’art. 2047 c.c., chi è tenuto alla sorveglianza di
un incapace, può andare esente da responsabilità solo ove provi la circostanza negativa di non
avere potuto impedire il fatto.
A norma dell’art. 2900 c.c., poi, il creditore è abilitato all’esercizio dell’azione surrogatoria
relativa alle azioni di contenuto patrimoniale e non strettamente personali che spettano verso i
terzi al proprio debitore, solo allorché provi il fatto negativo dell’inerzia del debitore stesso.
In materia di ripetizione d’indebito ex art. 2033 c.c., grava sull’attore l’onere di fornire la
prova negativa dell’inesistenza della causa solvendi64.
Per quanto concerne poi i rapporti agrari, spetta a chi aziona il diritto di prelazione ex art. 8 L.
n. 590/ 1965, fornire la prova negativa della mancata vendita di fondi rustici nel biennio
precedente. Similmente, il concedente che esercita il diritto di ripresa ex art. 42 L. n.
203/1982, ha l’onere di fornire la prova negativa di non essere nel godimento, a qualsiasi
titolo, di altri fondi che integrino le condizioni di cui all’art. 42 lettera d).
Circa la materia lavoristica, nel caso di licenziamento di una pluralità di lavoratori per
giustificato motivo oggettivo, spetta al datore la prova negativa dell’impossibilità di
repechage, ovverosia dell’impossibilità di una diversa utilizzazione dei lavoratori licenziati.
Infine, nell’ambito del diritto assistenziale, la concessione dell’indennità di
accompagnamento è subordinata, ex art. 1 comma 3 L. n. 108/1980, alla prova del mancato
ricovero presso un istituto di cura a carico dello Stato.
Non potendosi quindi dubitare della necessità, talvolta, di dover provare fatti negativi,
il punto diviene quello di capire come fornire tale prova.
Si suole in proposito distinguere tra fatti negativi definiti ed indefiniti65.
I primi, e cioè i fatti negativi definiti, devono essere provati in via presuntiva sulla base della
dimostrazione di fatti secondari da cui si possa inferire come probabile la veridicità della
proposizione negativa
I secondi, cioè i fatti negativi indefiniti, possono più agevolmente essere provati mediante la
prova dello specifico fatto positivo contrario, tramite il meccanismo cosiddetto dell’alibi.

3.3 L’irrilevanza della prova di un fatto non contestato


In tutta evidenza, non abbisogna di essere provato, e pertanto una prova dedotta sul
punto dovrà essere dichiarata irrilevante, il fatto non contestato. Peraltro, in assenza di una
definizione normativa66, è proprio la nozione di non contestazione in senso giuridico ad essere
controversa in giurisprudenza, con la conseguenza che, a seconda delle ricostruzioni che si
intendono seguire relativamente a tale nozione, determinate prove, nel caso concreto, saranno

64
Tra le ultime, cfr. Cass. n. 17146/2003 e Cass. n. 11073/2003.
65
In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 23229/2004, Cass. n. 5427/2002, Cass. n. 9385/2000, Cass. n. 6050/1998, Cass.
n. 1790/1998, Cass. n. 1557/1998, Cass. n. 5744/1993, Cass. n. 13872/1991.
In dottrina, cfr. CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la
valutazione della prova; la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 14; GIOVANNETTI, L’attività istruttoria ed i potersi del
giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati; ZULIANI,
La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione delle prove,
relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 6.
66
In dottrina, la contestazione in senso giuridico è stata definita come “l’attività processuale mediante la quale
si deducono e si offrono alla considerazione dell’avversario elementi positivi che si pongono come materia di
contrasto… Proprium della contestazione è di opporre all’avversario questioni in facto e in iure sulle quali si
appunta il contrasto sottoposto a giudizio: contrasto relativo all’esistenza di determinati fatti ed ai loro effetti
giuridici, palesato mediante il contributo prestato tanto dal convenuto, quanto, e prima ancora, dall’attore”:
BONA CIACCIA CAVALLARI, La contestazione nel processo civile, Milano, 1992, introduzione, XV-XVI.

20
ritenute rilevanti od irrilevanti, in quanto vertenti su circostanze che accedendo ad una
definizione di non contestazione risulteranno pacifiche, ma accedendo ad una diversa
definizione tali non saranno.
In particolare, la tradizionale e maggioritaria giurisprudenza, con massime da anni
ricorrenti ed ormai tralatizie, ritiene che i fatti allegati possano essere considerati pacifici
senza la necessità di darne prova, solo in tre casi, e cioè allorquando l’altra parte li abbia
esplicitamente ammessi; ovvero abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente
incompatibili con il disconoscimento; ovvero si sia limitata a contestare esplicitamente e
specificamente alcune circostanze, con ciò implicitamente riconoscendo le altre67.
Tale assunto, che si fonda sul richiamo degli articoli 115 c.p.c. e 2697 c.c., muove dalle
premesse logiche che non esiste nel nostro ordinamento un generale onere di contestazione, e
non esiste quindi il principio secondo cui il convenuto ha l’onere di contestare esplicitamente
tutte le circostanze dedotte dall’attore, se vuole evitare che esse vengano ritenute come
ammesse.
Conseguentemente, non solo dalla contumacia non è possibile desumere la non contestazione
rispetto ai fatti dedotti68 (ed ora anche l’art. 13 comma 2 D.Lgs. n. 5/2003 sul cd. rito
societario, che prevedeva la non contestazione a seguito di contumacia, è stato dichiarato
illegittimo dalla sentenza di Corte Cost. n. 340/2007); ma neppure silenzio e contestazione
generica possono equivalere a non contestazione, al più integrando violazione del dovere di
lealtà processuale ex art. 88 c.p.c. valutabile ex art. 116 comma 2 c.p.c.69.
Né un generale onere di contestazione può ricavarsi in via interpretativa da specifici oneri di
contestazione che sono posti da apposite norme, quali l’onere di disconoscere la scrittura
privata nella prima difesa ex art. 215 c.p.c., ovvero con la tempistica di cui all’art. 293 comma
3 c.p.c. nel caso del contumace; l’onere di proporre istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c.;
l’onere di disconoscere la conformità della copia rispetto all’originale ex art. 2719 c.c.;
l’onere di contestare la verità dei fatti e delle circostanze aggiunte alla confessione ex art.
2734 c.c.. Anzi, proprio muovendo dalla natura eccezionale, come tale non estensibile
analogicamente ex art. 14 delle preleggi, di tali norme, che impongono solo in determinati
casi la negazione specifica dei fatti allegati ex adverso, dovrebbe a contrario inferirsi
l’inesistenza di un generale obbligo di contestazione70.
Mutando orientamento e prendendo le mosse da un precedente minoritario indirizzo
dottrinale71 e giurisprudenziale72, teso a valorizzare maggiormente l’istituto della non
contestazione, Cass. Sez. Un. n. 761/200273, richiamata poi anche da Cass. Sez. Un. n.

67
Da ultimo ed ex pluribus, Cass. n. 14880/2002, Cass. n. 13814/2002, Cass. n. 13904/2000, Cass. n.
10434/2000, Cass. n. 9424/2000, Cass. n. 11513/1999, Cass. n. 4687/1999, Cass. n. 2524/1999, Cass. n.
1213/1999.
68
Ex pluribus, cfr. Cass. n. 5251/2006, Cass. n. 4822/1997.
69
Cfr. Cass. n. 4438/2001, Cass. n. 11495/2000, Cass. n. 11495/2000, Cass. n. 5359/1994, Cass. n. 10849/1990.
70
BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 23.
71
Cfr. BALENA, Le preclusioni nel processo di primo grado, in Giur. It., 1996, IV, 279, secondo il quale anche
il mero silenzio renderebbe pacifiche le allegazioni avversarie;
CARRATA, Il principio di non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 330, che reputa come alla non
contestazione possano ricondursi non solo il mero silenzio e la contestazione generica, ma addirittura anche la
contumacia;
CEA, Il principio di non contestazione al vaglio delle Sezioni Unite, in Foro It., 2002, I, 2019.
72
Cfr. Cass. n. 5536/2001, Cass. n. 6230/1998, Cass. n. 7758/1997, Cass. n. 1576/1995, Cass. n. 4834/1988,
Cass. n. 6620/1982.
73
E’ stato convincentemente osservato che, essendo chiamate le Sezioni Unite a pronunciarsi su di uno specifico
tema lavoristico, “alcune massime ritratte dalla decisione in commento non rendono giustizia all’importanza”
della pronuncia: FAROLFI, I poteri istruttori del Giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione
tenuta a Roma il 10/5/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 14.

21
11353/2004, afferma invece l’esistenza in via generale nel processo civile, sia nell’ambito del
rito ordinario, sia nell’ambito del rito del lavoro, del principio in parola in relazione ai fatti
principali del processo, pur se non anche in relazione ai fatti secondari. Più convincentemente,
poi, il principio è stato successivamente esteso anche ai fatti secondari, non solo a quelli
principali74; ed è stato chiarito che trova applicazione anche ai fatti principali su cui si fonda
la riconvenzionale, che vanno quindi tempestivamente contestati dall’attore75.
Si argomenta che il principio di non contestazione è già enunciato ed applicato in diverse
ipotesi ordinamentali (cfr. artt. 14 comma 3, 35, 186 bis e 423 comma 1, 215 comma 1, 263
comma 2, 316 comma 3, 512 comma 2, 541, 542, 548, 597, 598, 643, 647, 663, 666, 669
novies comma 2, 785, 789, c.p.c.; artt. 2712 e 2734 c.c.; artt. 30 comma 2 L. n. 392/1978, 4
comma 2 L. n. 118/1995, 101 LF); può essere fondato in via generale sugli artt. 167 comma 1
e 416 comma 3 c.p.c., che pongono al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti ex
adverso dedotti a fondamento della domanda76, ed ora anche dall’art. 4 D.Lgs 5/2003 in tema
di processo societario; si spiega, sotto un profilo logico, argomentando che la non
contestazione rappresenta una linea difensiva incompatibile con la negazione del fatto, e sotto
il profilo giuridico con la necessità di aumentare la concentrazione e l’efficienza processuale;
è un principio tendenzialmente stabile, in quanto le contestazioni tardive sono possibili sino a
quando non si verificano le preclusioni processualcivilistiche in ordine alla emendatio libelli.
Muovendo da tali premesse e rafforzando ulteriormente le conclusioni raggiunte, in un
recentissimo arresto della Prima Sezione della Suprema Corte, si è apertis verbis esplicitato
che l’onere di contestazione deve ritenersi un principio generale che informa il sistema
processuale civile, poggiando le proprie basi non solo su specifiche norme, ma soprattutto sul
carattere dispositivo del processo, comportante una struttura dialettica a catena; sulla generale
organizzazione delle preclusioni; sul dovere di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c.; infine,
sul generale principio di economia processuale ricavabile dall’art. 111 Cost.77
Ovviamente, per essere rilevante, la non contestazione deve riguardare fatti storici, non già la
ricostruzione giuridica degli stessi o l’applicazione di norme giuridiche, che spettano sempre
al Giudice.
In ogni caso, poi, il principio di non contestazione sarebbe comunque inapplicabile ai processi
relativi a diritti indisponibili ed a quelli in cui interviene il PM, proprio in ragione della
rilevanza dei diritti in discussione e della loro non disponibilità; ai contratti per i quali è
prescritta la forma scritta, attesa la particolarità delle forme che presidiano la stessa esistenza

74
Cfr. Cass. n. 10031/2004, Cass. n. 6936/2004, Cass. n. 13467/2003 (quest’ultima resa con specifico
riferimento all’opposizione a decreto ingiuntivo che si svolge secondo le forme del rito del lavoro). Per la
sezione lavoro della Suprema Corte, cfr. Cass. n. 12636/2005, Cass. n. 6663/2004, Cass. n. 4556/2004, Cass. n.
405/2004, Cass. n. 3245/2003, Cass. n. 1562/2003, Cass. n. 535/2003, Cass. n. 13972/2002, Cass. n. 8502/2002,
Cass. n. 5526/2002, Cass. n. 1902/2002. Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Ivrea 13/12/2006 n. 150/2006
(in Foro It. 2007, I, 968, con nota di De Santis; in Guida al Diritto, 17/2/2007, 7/2007, 70; in N.G.L., 207, 1,
122); Trib. Ivrea 5/11/2003 n. 459/2003 (in Giur. Merito, 2004, 2, 272 ed in Gius, 2004, 588) e Trib. Foggia
7/5/2002 in Foro. It., 2002, I, 2020).
Contra, nel senso della non persuasività dell’estensione della non contestazione ai fatti secondari, cfr.
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 10 ss.
75
Cfr. Cass. Lav. n. 535/2003.
76
Per la necessità di verificare la persistente validità della tesi tradizionale sulla non contestazione, sopra
esposta, a seguito della novella dell’art. 167 comma uno c.p.c., in dottrina cfr. già:
BARRECA, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta
a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 41;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
7.
77
Cfr. Cass. n. 23638/2007.

22
o comunque la prova di tale rapporto; ai processi contumaciali, perché la non contestazione è
stata ricostruita come riferita ad un comportamento della parte costituita.
La nuova posizione delle Sezioni Unite, non è stata seguita da una parte della
successiva giurisprudenza di legittimità, che peraltro, singolarmente, in motivazione
nemmeno dà conto del precedente contrario rappresentato dalle stesse Sezioni Unite, il cui
pronunciamento appare essere addirittura inconsapevolmente ignorato78.
Può quindi dirsi che, allo stato e con riferimento al rito ordinario, persiste un chiaro contrasto
giurisprudenziale, ancor più grave in quanto almeno in parte inconsapevole, circa la nozione
di non contestazione, che auspicabilmente dovrà essere al più presto sanato tramite
l’intervento delle Sezioni Unite.
Con riferimento invece al rito del lavoro, molto più chiaramente la giurisprudenza ha
sposato la più recente e più estesa nozione di non contestazione, fatta propria dalla citata
Cass. Sez. Un. n. 761/2002, sancendo che, per evitare l’applicazione del principio di non
contestazione, la contestazione non può comunque essere generica e concretizzarsi in clausole
di stile, in espressioni apodittiche od in asserzioni meramente negative, ma deve piuttosto
essere puntuale e circostanziata, avendo l’art. 416 c.p.c. un contenuto più rigido dell’art. 167
c.p.c.79. Peraltro, l’onere di contestazione è direttamente collegato alla completa esplicitazione
dei dati fattuali ad opera della controparte, e non riguarda anche i fatti che, pur configurandosi
come presupposti o elementi costitutivi del diritto, non sono esposti in modo specifico ed
espresso (cfr. sempre Cass. Sez. Un. n. 11353/2004).
Più in generale ed innovando rispetto alla precedente giurisprudenza80, testualmente Cass.
Lav. n. 3245/2003 acclara che “il sistema di preclusioni su cui si fonda il rito del lavoro
comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare a circoscrivere la materia controversa,
evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione; ne consegue che ogni volta che sia
posto a carico di una delle parti un onere di allegazione e di prova, il corretto sviluppo della
dialettica processuale impone che l’altra parte prenda posizione in maniera precisa rispetto
alle affermazioni della parte onerata, nella prima occasione processuale utile, atteso che il
principio di non contestazione, derivando dalla struttura del processo e non soltanto dalla
formulazione dell’art. 416 c.p.c., è applicabile, ricorrendone i presupposti, anche con
riguardo all’attore, ove oneri di allegazione gravino anche sul convenuto” (conforme la
successiva Cass. Lav. n. 12636/2005, che fa discendere il principio anche dal precetto della
ragionevole durata del processo)81.
Similmente e con specifico riferimento all’usuale tematica dei conteggi elaborati dall’attore
circa la retribuzione dovuta, è stato ribadito che il convenuto ha l’onere della specifica
contestazione dei conteggi stessi, ai sensi dell'art. 167 primo comma e dell’art. 416 terzo
comma c.p.c., con la conseguenza che la mancata o generica contestazione, rappresentando, in
positivo e di per sé, l’adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto, rende i
conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice82. La contestazione, poi,
78
Cfr. Cass. n. 13958/2006, Cass. n. 2273/2005, Cass. n. 20916/2004, Cass. n. 2699/2004, Cass. n. 2299/2004,
Cass. n. 4909/2003, Cass. Lav. n. 1672/2003 e Cass. Lav. n. 559/2003, Cass. n. 2959/2002.
Sul punto, cfr. le ineccepibili e pungenti osservazioni di CEA, Il principio di non contestazione tra fronda e
disinformazione, in Foro It., 2003, I, 2107; ID. La non contestazione dei fatti e la Corte di Cassazione: ovvero
un principio poco amato, in Foro It., 2005, I, 728, ove si parla di “tartufismo giurisprudenziale” posto che “si
può dissentire su tutto e, quindi, anche da una decisione delle sezioni unite (visto che il nostro ordinamento non
conoscere il vincolo dello stare decisis); ma il dissenso non può tradursi nell’ignoranza degli altrui argomenti,
soprattutto quando vengono dal supremo organo nomofilattico e soprattutto quando gli stessi sono stati (e lo
sono tuttora) oggetto di un’attenzione dottrinaria che oserei definire spasmodica”.
79
Cfr. Cass. Sez. Un. n. 11353/2004.
80
Relativamente a tale superata posizione, cfr. ex multis Cass. n. 9424/2000 e Cass. n. 5359/1994.
81
Cfr. anche Cass. Lav. n. 13878/2007, Cass. Lav. n. 11108/2007, Cass. Lav. n. 17947/2006, Cass. Lav. n.
18598/2003 e Cass. Lav. n. 1562/2003.
82
Cfr. Cass. Lav. n. 9285/2003, Cass. Sez. Un. n. 761/2002.

23
deve essere effettuata nella memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c.83 ed è necessaria anche
laddove venga contestata in radice l’esistenza del credito84.

3.4 L’irrilevanza della prova di un fatto notorio


Ai sensi dell’art. 115 comma 2 c.p.c. ed a temperamento del principio di disponibilità
delle prove codificato nel comma precedente, il giudice può “senza bisogno di prove… porre
a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.
Chiariscono dottrina85 e giurisprudenza86 che la nozione di fatto notorio va intesa in senso
rigoroso, come fatto acquisito alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da
apparire incontestabile, proprio perché il ricorso al fatto notorio comporta “una deroga al
principio dispositivo ed a quello del contraddittorio”87, al punto che sul fatto che ne forma
oggetto non è ammessa alcuna prova contraria88.
Così, secondo la Cassazione, sono notorie “le nozioni di fatto che fanno parte del
bagaglio di conoscenza di ogni uomo di media cultura in un certo luogo e in un certo
momento storico, senza necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici”89.
In particolare, si tratta di “un fatto di comune conoscenza, anche se limitatamente al tempo ed
al luogo in cui esso è invocato, o perché appartiene alla cultura media della collettività ivi
stanziata, o perché le sue ripercussioni sono tanto ampie ed immediate che la collettività ne
faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull’interesse pubblico che
spinge ciascuno dei componenti della collettività a conoscerlo”90; tuttavia, al Giudice è data
la possibilità di far capo anche alla comune cultura di una specifica e particolarmente
qualificata cerchia sociale, così da far assurgere all’alveo del notorio anche nozioni

83
Cfr. Cass. Lav. n. 85/2003).
84
Cfr. Cass. Lav. n. 945/2006.
85
Cfr. BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 24;
BONIFACIO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 7/6/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 7;
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione , l’assunzione e la valutazione della prova;
la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 22 ss.;
MUNARO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 21/6/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 23 ss.;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 26-27;
SALARI, I poteri istruttori delle parti e del giudice. L’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova,
relazione tenuta a Roma il 6/6/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 16;
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 17;
STEFANI, I poteri istruttori delle parti e del giudice. L’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova.
La decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 8/3/2000 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 11 ss.;
TRONCONE, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 10/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 12 ss.;
86
Cfr., ex pluribus e tra le ultime, Cass. n. 4862/2005, Cass. n. 3980/2004, Cass. n. 4556/2003, Cass. n.
11946/2002, Cass. n. 9623/2002, Cass. n. 5417/2002, Cass. n. 2698/2002, Cass. n. 16165/2001, Cass. n.
6396/2001, Cass. n. 5809/2001, Cass. n. 5680/2000.
87
Testualmente, Cass. n. 3980/2004 e Cass. n. 4556/2003, Cass. n. 2698/2002.
88
DE STEFANO, Fatto Notorio, in Enc. Diritto, XVI, Milano, 1967, 1005.
89
Cass. n. 2859/1995.
90
Cass. n. 7181/1999. Cfr. anche Cass. n. 11946/2002 e Cass. n. 16165/2001.

24
sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della
nozione in oggetto91.
Non possono invece rientrare nel notorio quelle acquisizioni tecniche e quegli elementi
valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati92. Conseguentemente,
l’applicazione delle cosiddette tabelle utilizzate da alcuni uffici per la liquidazione del danno
biologico, non rientra nelle nozioni di fatto di comune esperienza ex art. 115 c.p.c., sicché il
Giudice che intenda utilizzarle, per non incorrere nell’errore di omessa motivazione, deve
dare conto dei criteri indicati ed utilizzati per il caso concreto93.
Necessariamente estesa e variegata è la casistica relativamente ai fatti che, a livello
giurisprudenziale, sono stati ritenuti notori. La fattispecie più ricorrente e rilevante è
certamente quella della svalutazione monetaria94 e del fenomeno inflattivo così come
individuato dall’ISTAT; in particolare, con riferimento alla tematica del maggior danno
nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie ex art. 1224 comma 2 c.c., a partire dalla sentenza di
Cassazione n. 2368/1986 cd. sulle griglie presuntive, la Suprema Corte ha onerato l’istante
della prova di rivestire una determinata qualità personale (quella di imprenditore, di
risparmiatore abituale, di creditore occasionale o di modesto consumatore), dalla quale far poi
discendere il fatto notorio di un danno parametrato agli indici inflazionistici ISTAT previsti
per tale categoria; mentre con Cass. Sez. Un. n. 19499/2008, il notorio è divenuto
direttamente l’esistenza di un danno pari alla differenza tra inflazione e rendimento netto dei
titolo di stato di durata non superiore a 12 mesi.
Senza pretesa di completezza, tra gli altri esempi giurisprudenziali di fatti notori vanno
segnalati la natura endemica di determinate malattie tropicali95; l’apprezzamento del valore di
beni immobili di proprietà delle parti, quale indice della capacità del titolare di adempiere le
obbligazioni a suo carico, come nel caso di assegno di divorzio96; i canoni locativi correnti in
una determinata zona97; il livello retributivo di un funzionario statale di una determinata
qualifica98; la durata della stagione turistica in una determinata zona99; un evento storicamente
determinato ed oggettivamente peculiare (quale una guerra, un terremoto, un’alluvione, una
festa patronale, un’insurrezione, un’epidemia, uno sciopero generale).
E’ poi pacifico che il Giudice di merito possa fondare la decisione sul notorio senza
obbligo di indicare gli elementi su cui la propria determinazione si basa. Infatti,
l’affermazione circa la sussistenza del fatto notorio, può essere censurata in sede di legittimità
solo se è stata utilizzata una inesatta nozione di notorio, non anche per inesistenza o difetto di
motivazione100.
La nozione di fatto notorio va distinta dalla scienza privata del giudice, la quale deve
riguardare norme giuridiche e non fatti, così come ribadito anche dall’art. 97 disp. att.
c.p.c.101.
Parimenti, il notorio va distinto anche dal cosiddetto notorio giudiziale, cioè quel
complesso di fatti che il Giudice viene a conoscere per motivi d’ufficio.

91
Cfr. Cass. n. 5809/2001.
92
Cfr Cass. n. 5680/2000.
93
Cfr. Cass. n. 8169/2003.
94
Cfr. Cass. n. 10022/2003.
95
Cfr. Cass. n. 4826/1987.
96
Cfr. Cass. n. 1133/1992
97
Cfr. Cass. n. 219/1979.
98
Cfr. Cass. n. 4787/1979.
99
Cfr. Cass. n. 12112/2003.
100
Per la pacifica giurisprudenza, ex pluribus e solo tra le ultime, cfr. Cass. n. 13056/2007, Cass. n. 9244/2007,
Cass. n. 13073/2004, Cass. n. 5493/2004, Cass. n. 9263/2002.
101
Cfr. Cass. n. 13426/2003 e Cass. n. 3160/1986.

25
L’orientamento di dottrina102 e giurisprudenza103, infatti, ammette il ricorso al notorio
giudiziale unicamente nei casi previsti dalla legge, quali gli articoli 273 e 274 c.p.c. in tema di
riunione di procedimenti, dovendosi per il resto “ricomprendere il notorio giudiziale
nell’ambito della scienza privata del giudice, per la quale si è detto vigere il relativo divieto
generale di utilizzazione delle percezioni ottenute al di fuori del processo”104.
E’ invece diffuso convincimento che anche le massime d’esperienza integrino la
nozione di fatto notorio, e come tali costituiscano una deroga al divieto per il Giudice di usare
la propria scienza privata.
In realtà, è stato in contrario avviso osservato105 che le massime d’esperienza si differenziano
dai fatti notori, atteso che questi ultimi coincidono con accadimenti individuali storicamente
precisati, mentre le prime rappresentano regole generali di carattere logico utilizzate per
valutare un fatto già accertato tramite un criterio di inferenza probatoria, non già il mezzo di
accertamento del fatto stesso106: in sostanza, tramite la massima d’esperienza è possibile
muovere dal fatto probatorio al fatto accertato.
Tipici esempi di massime d’esperienza sono le leggi matematiche e fisiche, la regola per la
quale una persona sotto turbamento psichico percepisce male o quella relativa al calcolo della
strada percorsa da una determinata vettura in determinate circostanze spazio-temporali.

102
Cfr. CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione , l’assunzione e la valutazione della
prova; la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 27;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
16.
103
Cfr. Cass. n. 3980/2004, Cass. n. 3087/1994 e Cass. n. 4223/1992.
104
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della
prova; la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 27.
105
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della
prova; la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 27
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 17-18.
106
Cfr. anche Cass. n. 4326/1983

26
4. LE PROVE DOCUMENTALI

4.1 La tipologia e l’efficacia delle prove documentali


Nella tradizionale bipartizione delle prove in precostituite e costituende, la prova
documentale integra il primo cono dell’alternativa, contrapponendosi logicamente alla prova
costituenda, il cui principale esempio è rappresentato dalla testimonianza107.
In particolare, la prova documentale, in quanto precostituita, preesiste al processo e vi trova
ingresso con la produzione o l’esibizione, non è caratterizzata né dalla formazione nel
processo108, né dalla preordinazione allo stesso, al contrario della prova costituenda che si
forma nel corso del processo. Pertanto, la prova documentale non nasce per essere utilizzata
nel processo, ma ha una valenza sostanziale che la rende pienamente idonea ad una sua
utilizzazione stragiudiziale.
Già si è chiarito, supra sub 2.3, che per le prove costituite non si pone un problema di
ammissibilità, ma soltanto di utilizzabilità, posto che la produzione di documenti nel
processo, se ritualmente effettuata secondo le previsioni di cui agli artt. 74 o 87 disp. att.
c.p.c., non è mai opponibile dalla controparte, né può essere impedita dal Giudice col divieto
di produzione o con l’ordine di espunzione, potendo solo il Giudice stesso, in sede di
decisione, illustrare i motivi dell’inutilizzabilità processuale del documento.
Il codice civile, negli articoli 2699-2720, elenca e disciplina sette tipi di prove
documentali tipiche, e cioè l’atto pubblico, la scrittura privata, le scritture contabili delle
imprese soggette a registrazione, le riproduzioni meccaniche, le taglie o tacche di
contrassegno, le copie degli atti e gli atti di ricognizione o rinnovazione, mentre un’ottava
prova documentale, id est il documento informatico, è ora disciplinato dall’art. 21 del D.Lgs.
n. 82/2005.
Dal punto di vista della loro efficacia, le prove documentali vanno sostanzialmente
suddivise in tre categorie109:
- documenti che fanno piena prova sino a querela di falso, quali l’atto pubblico ex art.
2700 c.c. e la scrittura privata autenticata o legalmente considerata tale ex art. 2702 c.c., alla
quale è ora equiparato, ex art. 21 comma 2 D.Lgs. n. 82/2005, il documento informatico
sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata;
- documenti che fanno piena prova ove non ne venga disconosciuta la conformità ai
fatti ed alle cose rappresentati, come nel caso delle riproduzioni meccaniche ex art. 2712 c.c.,
ovvero delle taglie o tacche di contrassegno tra coloro che usano provare in tale modo le
somministrazioni ex art. 2713 c.c. ;
- documenti che fanno prova senza ulteriore specificazione (carte e scritture
domestiche ex art. 2707 c.c., annotazione su documento non sottoscritto dal creditore ex art.

107
Per un compendio sulle prove documentali, cfr. BEGHINI, La prova per testimoni nel rito civile, Padova,
1997, 151-170;
GRASSELLI, L’istruzione probatoria nel processo civile, Padova, 1997, 57 ss.;
MERZ, Manuale pratico della prova civile, Padova, 2008, 33-165, 475-524;
108
Peculiari forme di prove sostanzialmente documentali che si formano nel processo, sono peraltro quelle
previste dall’art. 219 c.p.c. in tema di redazione di scritture di comparazione e dall’art. 261 c.p.c. in tema di
riproduzioni.
109
Cfr. CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 15;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
3 e 9.

27
2708 c.c., scritture contabili contro l’imprenditore che le ha redatte ex art. 2709 c.c.), possono
fare prova (scritture contabili regolarmente tenute nei rapporti tra imprenditori ex art. 2710
c.c.), possono valere come principio di prova (altre copie rilasciate dai pubblici ufficiali ex art.
2717 c.c.).
La vastità della materia delle prove documentali, correlata al taglio necessariamente
sintetico del presente contributo, impone una trattazione schematica e solo per sommi capi dei
principali tratti problematici che si pongono, rinviando alla sterminata manualistica che si è
occupata dell’argomento ogni ulteriore approfondimento110.

4.2 L’atto pubblico


La nozione di atto pubblico, posta dall’art. 2699 c.c., pone l’accento sulla provenienza
del documento da un pubblico ufficiale “autorizzato ad attribuirgli pubblica fede”. Pertanto,
non è sufficiente che si tratti di un documento formato da un pubblico ufficiale nell’esercizio
delle sue funzioni, occorrendo anche che tali funzioni consistano specificamente nell’attività
di documentazione assistita da pubblica fede111; laddove infatti il pubblico ufficiale formi un
atto nell’esercizio delle sue funzioni, ma per un fine diverso da quello di documentazione, il
documento non potrà essere considerato fidefacente, nel senso che i dati in esso contenuti
potranno fornire meri indizi quali scritti provenienti da terzi, senza quindi assumere l’efficacia
probatoria dell’atto pubblico112.
Rigorosi sono poi i limiti dell’oggetto dell’efficacia probatoria privilegiata dell’atto
pubblico posti dall’art. 2700 c.c., atteso che la pubblica fede investe solo la provenienza
dell’atto dal pubblico ufficiale e la verità dei fatti che egli attesta di avere personalmente
compiuto o di avere verificato essere avvenuti in sua presenza.
Invece, la pubblica fede non si estende ai fatti di cui il pubblico ufficiale si sia convinto in
virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche113, come ad esempio anche nel caso
dell’apprezzamento che il dichiarante è pienamente capace; ai fatti enunciati dal pubblico
ufficiale come da lui conosciuti in un momento anteriore alla formazione dell’atto, mediante
l’elaborazione critica di altri elementi di conoscenza, o comunque conosciuti al di fuori
dell’attività relativa alla stipula dell’atto114; alla veridicità del contenuto delle dichiarazioni
fatte al pubblico ufficiale da terzi, da eventuali testimoni dell’atto o dalle parti. In tutti tali

110
Tra i molteplici contributi dottrinali, particolarmente pregevole risulta VERDE, Prova documentale- diritto
processuale civile, in Enc. Giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991.
Estremamente puntuale e ricco di approfondimenti pratici è poi CONVERSO, La prova documentale: le ipotesi
tradizionali e il documento informatico, relazione tenuta a Roma il 26/11/2001 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM.
111
In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 8021/1999.
In dottrina, cfr. ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione,
assunzione e valutazione delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 20.
112
Cfr. CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 16;
TRONCONE, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 10/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 15.
113
Cfr. Cass. n. 9111/1995, Cass. n. 13122/1992, Cass. n. 3077/1992.
114
Cfr. Cass. n. 13449/2004, Cass. n. 17106/2002, Cass. n. 12834/1999, Cass. n. 10695/1999, Cass. n.
8021/1999, Cass. n. 12895/1993, Cass. Sez. Un. n. 12545/1992, Cass. n. 11964/1990.

28
casi, quindi, le dichiarazioni possono essere contrastate con tutti i mezzi di prova previsti
dalla legge, senza che occorra o possa proporsi la querela di falso115.
Parimenti, laddove vi sia mera contestazione di circostanze oggetto di percezione sensoriale, e
pertanto suscettibili di errore di fatto, non è necessario proporre querela di falso, essendo
invece sufficiente fornire prove idonee a vincere la presunzione di veridicità del verbale
secondo l’apprezzamento rimesso al Giudice di merito116.
L’atto pubblico in qualche modo viziato, per incompetenza od incapacità del pubblico
ufficiale, ovvero per l’assenza delle formalità prescritte, se sottoscritto dalle parti, si converte
in una scrittura privata. Il principio è infatti posto dall’art. 2701 c.c., norma costituente
espressione, nella materia de qua, del più generale principio di conservazione degli atti
giuridici, che trova concreta applicazione nell’interpretazione delle norme secondo il disposto
dell’art. 1373 c.c., nella nullità del contratto ex art. 1424 c.c. e nella nullità del testamento
segreto ex art. 607 c.c.
Per inficiare l’efficacia probatoria privilegiata di prova legale dell’atto pubblico, così
come della scrittura privata autenticata o riconosciuta o verificata, è indispensabile proporre la
querela di falso, in via principale od in via incidentale, secondo le forme minuziosamente
disciplinate dagli artt. 221 e ss. c.p.c., e dagli artt. 99 e ss. disp. att. c.p.c.
La querela investe l’efficacia probatoria dell’atto pubblico e della scrittura privata, nei soli
limiti di operatività della prova legale: discende che è esclusa l’ammissibilità della querela, e
la configurazione del correlativo onere di proporla, per porre in dubbio la verità intrinseca
delle dichiarazioni rese dalle parti, proprio perché tali dichiarazioni non hanno la dignità di
prova legale, ovvero per correggere un mero errore materiale non incidente sul contenuto
sostanziale dell’atto. Parimenti, laddove, relativamente ad un verbale di un pubblico ufficiale,
vi sia mera contestazione di circostanze oggetto di percezione sensoriale, e pertanto
suscettibili di errore di fatto, non è necessario proporre querela di falso, essendo invece
sufficiente fornire prove idonee a vincere la presunzione di veridicità del verbale secondo
l’apprezzamento rimesso al Giudice di merito117.
A differenza di quanto accade nel giudizio di verificazione, l’efficacia del positivo
esperimento della querela di falso è erga omnes118.
In questa sede, rinviando alla lettura del chiaro dato normativo per la completa disciplina e
per l’analisi dell’operatività dell’istituto, pare opportuno evidenziare che, giusto il disposto
dell’art. 221 comma 1 c.p.c., la querela di falso incidentale è insensibile all’operatività delle
preclusioni istruttorie. Tuttavia, la Suprema Corte, riducendo sensibilmente l’operatività di
detto principio, ha affermato che la parte non può più proporre querela di falso allorquando
abbia tenuto un comportamento confermativo del contenuto dell’atto stesso119.

4.3 La scrittura privata


E’ stato correttamente osservato che, mentre l’atto pubblico è un documento formato
da un soggetto diverso dagli autori delle dichiarazioni, la scrittura privata è un documento

115
Per la pacifica giurisprudenza, cfr. ex pluribus Cass. n. 10569/2001, Cass. n. 13935/1999, Cass. n.
10219/1996, Cass. n. 5013/1996.
116 Cfr. Cass. n. 22334/2006, Cass. n. 457/2006, Cass. n. 21367/2005, Cass. n. 17106/2002, Cass. n. 9909/2001,
Cass. n. 3522/1999.
117
Cfr. Cass. n. 17106/2002, Cass. n. 9909/2001, Cass. n. 3522/1999.
118
Ex pluribus, cfr. Cass. n. 4728/2007, Cass. n. 13190/2006, Cass. n. 19727/2003.
119
Cfr. Cass. n. 8711/1994.

29
formato dagli stessi autori delle dichiarazioni, del quale il codice non dà una definizione,
limitandosi a disciplinarne il contenuto e l’efficacia probatoria120.
Elemento essenziale della scrittura privata è la sottoscrizione, cioè la scrittura del
proprio nome che una persona fa in calce al documento, indipendentemente dal fatto che la
dichiarazione non sia invece stata redatta dal sottoscrittore121. La dichiarazione non
sottoscritta non possiede invece valenza probatoria, in quanto non conforme al modello
paradigmatico individuato dal legislatore122; tuttavia, la dichiarazione scritta olografa di una
delle parti priva di sottoscrizione, per i più può comunque essere apprezzata dal Giudice come
principio di prova. La sottoscrizione assume una duplice funzione: indicativa, in quanto volta
ad identificare l’autore del documento; dichiarativa, poiché attesta che esso è firmato per
conto di chi sottoscrive.
E’ necessario che la sottoscrizione sia autografa, cioè apposta di pugno dalla persona da cui
risultano provenire le dichiarazioni che formano il testo della scrittura, mentre è irrilevante il
fatto che sia apposta con caratteri a stampatello. Ben è possibile che la sottoscrizione sia
abbreviata o con sigla, a condizione peraltro che vi sia idoneità a designare con certezza la
persona del sottoscrittore123.
Non è invece valida la sottoscrizione cancellata, dovendosi presumere che la parte abbia
voluto successivamente porre nel nulla la volontà espressa al momento della formazione del
documento; è opinabile la validità della sottoscrizione apposta a margine, non essendovi
certezza che essa sia stata apposta a chiusura della scrittura124; mentre è solitamente
considerata sufficiente una sottoscrizione apposta solo sull’ultimo foglio di una pluralità di
fogli che costituiscono un unicum inscindibile sul piano logico e lessicale125.
La sottoscrizione ben può essere quella di un rappresentante organico di un ente collettivo,
ovvero quella di un soggetto investito dei poteri di rappresentanza commerciale. Nel caso di
scrittura contrattuale, la sottoscrizione di una delle parti può essere successiva a quella
dell’altra, od al limite essere implicita tramite la produzione del documento in giudizio con
l’intento di avvalersene126.
L’autenticità della sottoscrizione è data dalla presenza di una tra le quattro situazioni
del riconoscimento espresso da parte di chi appare l’autore o del suo successore,
dell’autenticazione della sottoscrizione ex art. 2703 c.c., del riconoscimento tacito ex art. 214
c.p.c. o della verificazione ex artt. 216 e ss. c.p.c.
In presenza di tali situazioni, la scrittura privata assurge al rango di prova legale con la stessa
efficacia probatoria di cui è fornito l’atto pubblico, ovviamente sempre limitatamente
all’estrinseco delle dichiarazioni ex art. 2702 c.c.; in assenza di tali situazioni, la scrittura
rileva invece solo come semplice indizio.
La produzione in giudizio di una scrittura comporta quindi l’onere per la controparte,
cui la scrittura è riferita, di disconoscere tempestivamente il documento nella prima udienza.

120
CONTE, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 4/6/1998 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 8.
121
Cfr. Cass. n. 16007/2003.
122
CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 18;
VERDE, Prova documentale- diritto processuale civile, in Enc. Giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991, 6.
123
Per la pacifica giurisprudenza, cfr. Cass. n. 720/1987.
124
Per Cass. n. 7764/1991, la sottoscrizione a margine deve ritenersi solitamente sufficiente, in mancanza di altri
elementi che facciano ritenere al Giudice la mancanza di volontà della parte di sottoscrivere l’atto nel suo intero
contenuto.
125
Cfr. Cass. n. 820/1995.
126
Cfr. Cass. n. 23966/2004.

30
Pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali, il disconoscimento deve avvenire in modo
inequivoco, chiaro e specifico127, pur se può essere implicito128 o derivare anche da un
comportamento concludente129.
D’altro canto, la tardività del disconoscimento non è rilevabile d’ufficio e va eccepita da chi
ha prodotto il documento stesso, e ciò a pena di sanatoria della tardività del disconoscimento
medesimo, secondo il regime delle nullità relative di cui all’art. 157 comma 2 c.p.c.130 Il
contumace, invece, seppur costituitosi tardivamente, può sempre disconoscere la scrittura
contro di lui prodotta, a prescindere dalla rimessione in termini o dalla presunzione di
riconoscimento ex artt. 215 comma 1 e 293 comma 3 c.p.c.131
Se il disconoscimento viene fatto tempestivamente, colui che ha prodotto il documento
ha la duplice possibilità o di rinunciare ad avvalersi della scrittura, con la conseguenza che il
documento resta privo di ogni efficacia probatoria, e non è quindi in nessun modo valutabile
dal Giudice; o di insistere nella pretesa di riferire la scrittura alla controparte che l’ha
disconosciuta, proponendo istanza di verificazione, che al pari della querela di falso può
essere proposta sia in via principale con autonomo atto di citazione132, sia in via incidentale
nel processo in corso133, e va definita con sentenza.
Per integrare le scritture di comparazione, cioè le scritture provenienti dalla persona che si
allega essere l’autrice della scrittura disconosciuta, il Giudice, nell’ambito della CTU
grafologica che viene di norma disposta, ben può ordinare alla parte che ha disconosciuto il
documento di scrivere sotto dettatura; e nel caso di rifiuto, può ritenere la scrittura
riconosciuta ex art. 219 comma 2 c.p.c.
Circa il fatto che, ai sensi dell’art. 220 c.p.c., sull’istanza di verificazione decide
“sempre il Collegio”, deve ritenersi che il richiamo sia frutto della mancata coordinazione
della norma originariamente posta dal codice del 1942, con la riforma introduttiva del Giudice
monocratico.
Pertanto, il richiamo deve ora essere inteso come riferito all’organo giudicante, collegiale o
monocratico, a seconda del fatto che trattasi o meno di cause per le quali è prevista la riserva
di collegialità ex art. 50 bis c.p.c.: infatti, la previsione originaria di decisione comunque
collegiale, è implicitamente abrogata, ex art. 15 preleggi, dall’entrata in vigore di legge
successiva di contenuto incompatibile, quale quella dell’introduzione del giudizio

127
Non è quindi idonea al disconoscimento la generica formula difensiva di “impugna tutto quanto dedotto da
controparte e la documentazione prodotta”: Cass. n. 12141/1997.
Parimenti, irrilevante è il disconoscimento preventivo, non più riproposto dopo la produzione in giudizio del
documento: Cass. n. 3431/1998.
Per il requisito della chiarezza ed univocità del disconoscimento, cfr. anche Cass. n. 2411/2005, Cass. n.
16232/2004, Cass. n. 15856/2004, Cass. n. 11419/2004, Cass. n. 11911/2003, Cass. n. 10912/2003, Cass. n.
9543/2002, Cass. n. 4865/1998, Cass. n. 11504/1992.
128
Cfr. Cass. n. 12976/2001 e Cass. n. 6613/1991.
129
Cfr. Cass. n. 890/2003 e Cass. n. 4036/1995, Cass. n. 143/1985.
130
Cfr. Cass. n. 9994/2003, Cass. n. 1300/2002, Cass. n. 5666/1994.
131
A seguito delle sentenze della Corte Costituzionale nn. 250/1986 e 317/1989 incidenti sull’articolo 292 c.p.c.,
per il riconoscimento implicito della scrittura ad opera del contumace ex art. 215 n. 1 c.p.c., è necessario che la
scrittura sia indicata nell’atto di citazione e prodotta contestualmente alla costituzione dell’attore; o che, nel caso
di scrittura prodotta successivamente, sia notificato al convenuto contumace il verbale contenente la menzione
della produzione della scrittura.
132
In tal caso, l’interesse ad agire è rappresentato dalla possibilità di doversi servire della scrittura come prova in
un diverso giudizio, oppure per effettuare trascrizioni od iscrizioni (cfr. i richiami di cui agli artt. 2657 e 2835
c.c.).
133
Per pacifica giurisprudenza, la mancata proposizione dell’istanza di verificazione equivale ad una implicita
dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura, con la conseguenza che il Giudice non può tenerne conto
anche se abbia elementi a sostegno dell’autenticità: Cass. n. 155/1994, Cass. n. 7302/1993.

31
monocratico nel processo civile sin dalla L. n. 353/1990 e dal residuo spazio operativo per le
decisioni collegiali solo nei casi previsti dall’art. 50 bis c.p.c.134
Anche la scrittura privata non riconosciuta può essere fatta oggetto di querela di falso,
e ciò in due casi: o per libera scelta dell’asserito sottoscrittore, che voglia optare per uno
strumento più gravoso (anche in considerazione del fatto che il carico probatorio incombe
sull’istante, a differenza di quanto accade nel caso del disconoscimento, che onera la
controparte della necessità di proporre istanza di verificazione), ma rivolto al più ampio e
definitivo risultato della completa rimozione del valore del documento con effetti erga omnes
e non solo nei riguardi della controparte135; ovvero nel caso di impossibilità di operare il
disconoscimento a causa dell’abusivo riempimento di un foglio effettivamente firmato, ma
firmato in bianco.
In quest’ultimo caso, però, va evidenziato che la querela di falso è possibile solo nel caso di
abusivo riempimento absque pactis, cioè in assenza di qualsiasi accordo, atteso che in tal
modo viene fatta valere una falsità materiale che travolge il collegamento tra dichiarazione e
sottoscrizione; nel caso invece di riempimento contra pacta, non è necessaria la querela di
falso, potendosi fornire la prova della violazione del patto con gli ordinari rimedi inerenti i
vizi della volontà136, atteso che viene fatta valere una mera mancanza di corrispondenza tra
ciò che risulta dichiarato e ciò che si voleva dichiarare, per una disfunzione del previsto
procedimento di formazione della volontà.
Altro elemento della scrittura privata, oltre a quello della sottoscrizione, è la data, che,
pur essendo normalmente connaturale alla scrittura, non ne è elemento essenziale. Essa serve,
in base al disposto di cui all’art. 2704 c.c., solo ai fini dell’opponibilità ai terzi, id est a
qualunque soggetto portatore di un interesse differenziato da quello delle parti della scrittura,
in modo tale da rendere possibile la configurazione di un conflitto anche solo potenziale con
questi ultimi.
In relazione invece al rapporto tra le parti, l’individuazione della data non è coperta
dall’effetto di prova legale, e rispetto ad essa è quindi “possibile formulare apposite
contestazioni e addurre prove orientate a dimostrane la simulazione”137. Pertanto, al di là del
caso di una scrittura privata autenticata, che comporta l’estensione dell’efficacia di prova
legale anche all’apposizione della data, il riconoscimento e la stessa verificazione della
scrittura attribuiscono la probatio plena ex art. 2702 c.c. esclusivamente alla provenienza del
documento dal suo sottoscrittore, e non anche al contenuto, nell’ambito del quale va compresa
la data, con la conseguenza che le parti stesse possono provare la simulazione della data con
qualsiasi mezzo.
Con riferimento invece all’efficacia della data verso i terzi, lo stesso articolo 2704 c.c. fissa
precise regole (relativamente alla registrazione dell’atto, alla morte od all’impossibilità fisica

134
CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 23;
CONTE, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 4/6/1998 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 13;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
24.
135
Cfr. Cass. n. 19727/2003, Cass. n. 3833/1994, Cass. n. 9013/1992, Cass. n. 5131/1987, che chiariscono come
la parte che abbia disconosciuto la scrittura privata oppostale in giudizio, può legittimamente proporre, nel corso
dello stesso processo, anche querela di falso avverso la medesima scrittura.
136
Giurisprudenza consolidata a partire da Cass. Sez. Un. n. 5439/1980.
Tra le ultime ed ex pluribus, cfr. Cfr. Cass. n. 5245/2006, Cass. n. 1691/2006, Cass. n. 2524/2006, Cass. n.
20834/2005, Cass. n. 23501/2004, Cass. n. 3155/2004.
137
CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 23.
In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 5/1998 e Cass. n. 10140/1991.

32
di sottoscrivere da parte dell’autore, alla riproduzione del contenuto in un atto pubblico, al
verificarsi di un fatto che provi l’anteriorità della scrittura138) per opporre la scrittura a terzi.
Trattasi peraltro di elencazione non tassativa, ed è quindi compito del Giudice stabilire se ad
un determinato fatto può attribuirsi efficacia probatoria analoga a quella riservata dall’art.
2704 comma 1 c.c. ai fatti ivi elencati139. Da questa angolazione, è stato ritenuto conferire
data certa alla scrittura privata l’avviso di ricevimento della raccomandata recante
l’apposizione del bollo postale140, il timbro postale quando lo scritto faccia corpo unico col
foglio sul quale il timbro è stato apposto141, il deposito in cancelleria dell’atto di iscrizione a
ruolo142.
Infine, va chiarito che le regole sopra esposte sull’efficacia della scrittura nei confronti dei
terzi, operano soltanto quando dalla scrittura, in relazione alla data, si vogliano conseguire gli
effetti negoziali propri della convenzione in essa contenuta; invece, il principio
dell’inopponibilità della data non vale quando la relativa convenzione venga invocata non per
il suo contenuto negoziale, ma come mero fatto storico, che può quindi essere provato come
tale con qualsiasi mezzo, anche di carattere presuntivo143.

4.4 Le altre prove documentali


Detto dell’atto pubblico e della scrittura privata, e cioè delle due principali prove
documentali, qualche brevissimo cenno può essere effettuato con riferimento alle altre prove
documentali previste dal codice civile144.
a. Scritture contabili) In base al disposto dell’art. 2709 c.c., i libri e le altre scritture
contabili delle imprese soggette a registrazione, fanno prova contro l’imprenditore che li ha
formati (e non anche a suo favore), ma la parte che voglia trarne vantaggio non può scinderne
il contenuto a proprio esclusivo beneficio, dovendo le scritture stesse, una volta invocate ed
esibite, essere valutate nella loro interezza145, e dovendo comunque tenersi conto di tutte le
risultanze che potrebbero portare ad attribuire alla singola annotazione una diversa valenza
probatoria da quella apparente146. L’efficacia probatoria delle scritture contabili tenute
dall’imprenditore, pone in essere una presunzione semplice in sfavore di quest’ultimo della
veridicità di quanto affermato nelle scritture stesse, ed ha una valenza processuale, non
sostanziale, alterando il principio generale sull’onere della prova147.
La previsione di cui all’art. 2710 c.c., secondo la quale i libri bollati e vidimati
possono fare prova tra imprenditori per i rapporti relativi all’esercizio dell’impresa, regola
invece l’efficacia probatoria delle scritture a favore dell’imprenditore obbligato alla tenuta;
tuttavia, trattandosi di atto formato dalla parte, la scrittura non ha valore di piena prova come
nel caso delle scritture private, ma è soggetta alla valutazione del Giudice, che deve
apprezzarla liberamente ex art. 116 comma 1 c.p.c., eventualmente in concorso con le altre

138
Cass. n. 6314/1998 e Cass. n. 2357/1994.
139
Per la pacifica giurisprudenza, cfr. Cass. n. 23793/2006, Cass. n. 19136/2006, Cass. n. 3999/2006, Cass. n.
12516/2001, Cass. n. 6314/1998.
140
Cfr. Cass. n. 7530/1997.
141
Cfr. Cass. n. 6943/1997, Cass. n. 2347/1994, Cass. n. 10873/1999.
142
Cfr. Cass. n. 3506/1996.
143
Cfr. Cass. n. 4058/1997 e Cass. Sez. Un. n. 6066/1993.
144
Per una più approfondita disamina, cfr. TRONCONE, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il
10/5/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 20 ss.;
145
Cfr. Cass. n. 22896/2005, Cass. n. 6306/2003, Cass. n. 2473/1999, Cass. n. 1679/1989, Cass. n. 3734/1983.
146
Cfr. Cass. n. 6306/2003.
147
Cfr. Cass. n. 4329/2003, Cass. n. 936/1996.

33
risultanze probatorie148. Ad esempio, nel caso di un rapporto commerciale contestato, la
fattura, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale, ancorché annotata nei libri obbligatori,
non può assurgere a prova del negozio, ma costituisce al più un mero indizio, con la
conseguenza che contro ed in aggiunta al contenuto della stessa sono ammissibili prove,
anche per testimoni, dirette a dimostrare le convenzioni non risultanti dall’atto o sottostanti149.
b. Riproduzioni meccaniche) A norma dell’art. 2712 c.c., la riproduzione meccanica,
fotografica o cinematografica, la registrazione fonografica ed in genere ogni altra
rappresentazione meccanica di fatti o cose, formano piena prova dei fatti e delle cose
rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità; infatti,
l’efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. è subordinata, in
ragione della loro formazione al di fuori del processo e senza le garanzie dello stesso, alla
esclusiva volontà della parte contro la quale esse sono state prodotte in giudizio, volontà
estrinsecantesi nella non contestazione che i fatti che tali riproduzioni tendono a provare,
siano realmente accaduti con le modalità risultanti dalle stesse.
Il disconoscimento, pur non abbisognando di formule sacramentali, deve tuttavia
essere chiaro, univoco e specifico150. E’ invece discusso se debba applicarsi la prescrizione di
cui all’art. 215 n. 2 c.p.c., relativa alla necessità di operare il disconoscimento stesso nella
prima udienza o difesa successiva alla rituale acquisizione della riproduzione151.
L’eventuale disconoscimento della riproduzione non impedisce, a differenza di quanto accade
nel disconoscimento della scrittura privata non seguita da istanza di verificazione, che il
Giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova,
comprese le presunzioni152, mentre è preclusa la verifica per mezzo della CTU, così come
invece accade per la scritture private153.
c. Taglie e tacche di contrassegno) Ai sensi dell’art. 2713 c.c., norma in verità
alquanto desueta, la taglia o tacca di contrassegno posseduta dal creditore, ove corrisponda al
contrassegno di riscontro tenuto dal debitore, forma piena prova tra coloro che usano provare
in tal modo le somministrazioni che fanno o ricevono al minuto.
d. Copie degli atti) A norma degli artt. 2714 e 2715 c.c., le copie degli atti pubblici e
delle scritture private, spedite nelle forme prescritte dai depositari pubblici autorizzati, hanno
la stessa efficacia dell’originale dalle quali sono estratte. Il Giudice può peraltro attribuire
rilevanza probatoria anche alle copie informi esibite dalle parti, allorquando riconosca che
corrispondono agli originali154; e le copie rilasciate dai pubblici ufficiali fuori dai casi indicati
in precedenza, hanno invece l’efficacia di un principio di prova per iscritto ex art. 2714 c.c.
Di notevole e concreta rilevanza, in ragione della diffusione nella pratica
giurisdizionale, è poi la tematica delle copie fotografiche di documenti (atti pubblici o
scritture private) ex art. 2719 c.c., e cioè della produzione di fotocopie di un originale.
Secondo il disposto normativo, esse hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la
conformità all’originale è attestata da un pubblico ufficiale competente, ovvero se non è
espressamente disconosciuta; pertanto, atteso che l’inefficacia probatoria della copia è
subordinata al concorso cumulativo di due condizioni (id est non attestazione di conformità ad
opera di un pubblico ufficiale e disconoscimento della parte), qualora la parte contro cui la

148
Cfr. Cass. n. 16516/2004, Cass. n. 1715/2001, Cass. n. 11234/2001, Cass. n. 3188/2003.
149 Cfr. Cass. n. 9593/2004, Cass. n. 8126/2004, Cass. n. 11343/2003, Cass. n. 8664/2001, Cass. n. 10160/1999,
Cass. n. 8566/1998, Cass. n. 5573/1997, Cass. n. 1798/1995, Cass. n. 6142/1992, Cass. n. 771/1982.
150
Per tutte, cfr. Cass. n. 935/2004.
151
Per la tradizionale tesi di Cass. n. 12715/1998, Cass. n. 1862/1996, il disconoscimento della riproduzione
meccanica non è soggetto a limiti e modalità di cui all’art. 214 c.p.c.; contra Cass. Lav. n. 8998/2001, che
richiede il disconoscimento nella prima udienza o difesa successiva all’acquisizione.
152
Cfr. Cass. n. 11445/2001.
153
Cfr. Cass. n. 12715/1998.
154
Cfr. Cass. n. 1636/1996.

34
copia è prodotta si limiti a dedurre l’assenza di autenticazione senza disconoscere
espressamente la conformità all’originale, esattamente il Giudice riconosce efficacia
probatoria al documento155.
Così come nel caso della scrittura privata e delle riproduzioni meccaniche, anche in tema di
copie, il disconoscimento, pur non richiedendo formule sacramentali, deve tuttavia essere
univoco, chiaro e specifico156, ed è inefficace se non è riferito ad una copia concretamente
individuata e non è successivo alla sua produzione in giudizio157.
Circa l’applicabilità al disconoscimento ex art. 2719 c.c. delle regole processuali di cui agli
artt. 214-215 c.p.c., ed in particolare quindi della necessità di operare la contestazione nella
prima udienza o difesa successiva alla produzione, la tesi nettamente maggioritaria è
favorevole, sulla base di un’applicazione analogica all’art. 2719 c.c. delle regole dettate
dall’art. 215 c.p.c. 158; la tesi minoritaria è invece contraria, in ragione del silenzio sul punto
dell’art. 2719 c.c.159.
La parte che abbia disconosciuto la sottoscrizione di scrittura privata prodotta in fotocopia,
deve reiterare il disconoscimento con riferimento all’originale della medesima scrittura
successivamente acquisito in giudizio, per impedire che la ridetta scrittura si abbia per
riconosciuta160.
Una volta disconosciuta la conformità della copia, la parte può evidentemente reagire con la
produzione dell’originale, ovvero con la prova per altra via del medesimo fatto oggetto del
documento. Laddove così non faccia, a differenza di quanto avviene nel disconoscimento
della scrittura privata, la parte può comunque provare aliunde e con qualsiasi mezzo,
comprese le presunzioni, l’identità del testo della copia all’originale161.
e. Documento informatico) La materia, dopo ripetute modifiche normative, è ora
regolata dal D.Lgs. n. 82/2002, cd. codice dell’amministrazione digitale.
Circa l’efficacia probatoria occorre distinguere due ipotesi: da un lato, nel caso di normale
documento informatico, l’idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente
valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza,
integrità ed immodificabilità (cfr. artt. 20 comma 1 e 21 comma 1 D.Lgs. n. 82/2005);
dall’altro lato, però, nel caso di documento informatico sottoscritto con firma elettronica
qualificata o con firma digitale, lo stesso si presume riconducibile al titolare del dispositivo di
firma salvo prova contraria, ha l’efficacia probatoria di cui all’art. 2702 c.c. e soddisfa il
requisito della forma scritta anche nei casi previsti sotto pena di nullità dall’art. 1350 c.c. (cfr.
artt. 20 comma 1 bis e 21 comma 2 D.Lgs. n. 82/2005).

155
Cfr. Cass. n. 16952/2003.
156
Conseguentemente, di nessuno spessore giuridico è la dichiarazione del difensore di “impugnare i documenti
prodotti in copia” dalla controparte, con contestuale richiesta al Giudice di ordinale l’esibizione dell’originale:
Cass. n. 7496/1995.
Cfr. anche Cass. n. 3314/1999 sulla necessità di un disconoscimento univoco, chiaro e specifico.
157
Cfr. Cass. n. 1609/2006, Cass. n. 150/2005, Cass. n. 16232/2004, Cass. n. 935/2004, Cass. n. 5742/1995.
158
Cfr. Cass. n. 3695/2007, Cass. n. 23174/2006, Cass. n. 1991/2006, Cass. n. 212/2006, Cass. n. 16232/2004,
Cass. n. 11419/2004, Cass. n. 1525/2004, Cass. n. 7960/2003, Cass. n. 10271/2002, Cass. n. 4661/2002, Cass. n.
10423/2000, Cass. n. 8878/2000, Cass. n. 14378/1999, Cass. n. 13334/1999, Cass. n. 659/1999, Cass. n.
12290/1998, Cass. n. 5346/1997, Cass. n. 4287/1997, Cass. n. 1141/1996, Cass. n. 7496/1995, Cass. n.
5742/1995.
159
Cfr. Cass. n. 12598/2001, Cass. n. 1852/1998, Cass. n. 6881/1987, Cass. n. 3632/1985.
In dottrina, cfr, anche ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione,
assunzione e valutazione delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 25.
160
Cfr. Cass. n. 24022/2004, Cass. n. 5189/2002, Cass. n. 194/1985.
161
Cfr. Cass. n. 2419/2006, Cass. n. 11269/2004, Cass. n. 1525/2004, Cass. n. 4661/2002, Cass. n. 56/2002,
Cass. n. 866/2000, Cass. n. 5346/1997, Cass. n. 8593/1993, Cass. n. 7433/1983.

35
In tema di copie dei documenti informatici, vengono sostanzialmente applicati i
principi generali codicistici dettati per la prova documentale. Pertanto, le copie su supporto
cartaceo di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica qualificata o con
firma digitale, sostituiscono ad ogni effetto di legge l’originale da cui sono tratte, se la loro
conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò
autorizzato (cfr. art. 23 comma 2 bis D.Lgs. n. 82/2005); i documenti informatici contenenti
copia o riproduzione di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti
e documenti amministrativi di ogni tipo, spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati
e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 c.c., se ad
essi è apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra
firma elettronica qualificata (cfr. art. 23 comma 3 D.Lgs. n. 82/2005).

36
5. LE PROVE TESTIMONIALI

5.1 Lo sfavore legislativo per le prove testimoniali


Già più sopra, sub 4.1, si è chiarito che la prova testimoniale è il tipico esempio di
prova costituenda162, e cioè di una “prova a formazione endoprocessule che, a differenza del
documento, classica prova costituita, richiede per la sua formazione un provvedimento
complesso che si sviluppa attraverso le fasi della deduzione, dell’ammissione e
dell’espletamento”163.
Può allora definirsi la testimonianza come la “dichiarazione che un terzo rispetto alle
parti in causa rende, davanti al Giudice e nel corso del processo, in ordine alla sua
conoscenza di fatti rilevati per la decisione”, dietro il solenne e formale impegno a riferire la
verità164.
Da ciò deriva che il primo connotato della prova testimoniale è la terzietà del teste, ciò che
esclude non già che le dichiarazioni della parte possano avere una qualche efficacia probatoria
(come invero acclara la confessione ex artt. 2730 e ss. c.c. e 228 e ss. c.p.c., il giuramento ex
artt. 2736 e ss. c.c. e 233 e ss. c.p.c., la valutazione del Giudice ex art. 116 comma 2 c.p.c.
delle risposte rese in sede di interrogatorio libero), ma esclude semplicemente che dette
dichiarazioni della parte possano essere considerate testimonianze165. D’altro canto, il
principio per il quale nemo testis in causa propria, largamente diffuso nei paesi di civil law e
scontato per la nostra tradizione giuridica, non è invece presente in sistemi giuridici non meno
razionali e garantistici dei nostri e di tradizione di common law166. Circa il requisito
dell’imparzialità del teste, valutato ex art. 246 c.p.c., vedi infra sub. 5.5.
Il secondo connotato della testimonianza è poi quello della dichiarazione di fatti (non già
interpretazioni, apprezzamenti tecnici od opinioni giuridiche), indicati in maniera specifica ex
art. 244 c.p.c.; d’altro canto, solo con riferimento a fatti ha logico significato l’impegno di
“dire tutta la verità” ex art. 251 comma 2 c.p.c. nel testo risultante dalla sentenza di Corte
Cost. n. 149/1995, posto che il concetto di verità è estraneo all’ambito dei giudizi.
162
Le altre prove costituende sono l’interrogatorio e la confessione ex artt. 2730-2735 c.c. e 228-232 c.p.c.; il
giuramento ex artt. 2736-2739 c.c. e 233-243 c.p.c.; l’ispezione giudiziale ex artt. 258-262 c.p.c.; il rendimento
dei conti ex artt. 263-266 c.p.c.; la stessa CTU nei limiti in cui si tratta di CTU percipiente, quindi vera e propria
prova, piuttosto che mezzo di valutazione delle prove come la CTU deducente.
163
PINTO, La testimonianza e la CTU, relazione tenuta il 7/6/2005 a Roma ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 3.
Per una complessiva disamina di tutte le questioni relative all’argomento de quo, vedi AMBROSINI, La prova
testimoniale civile. Profili processuali, Milano, 2006; BARBAGALLO, in Le prove, a cura di Cendon, Torino,
2007, 175-201; BEGHINI, La prova per testimoni nel rito civile, Padova, 1997; GRASSELLI, L’istruzione
probatoria nel processo civile, Padova, 1997, 179 ss.; MERZ, Manuale pratico della prova civile, Padova, 2008,
169-193 e 581-603.
164
ZULIANI, I poteri istruttori e del Giudice. In particolare:problemi in tema di ammissibilità della prova per
testimoni, in relazione ai limiti previsti dal codice civile; la consulenza tecnica d’ufficio; le prove documentali;
tecniche di redazione dei provvedimenti istruttori, relazione tenuta il 12/6/2002 a Roma ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 3.
165
Va peraltro osservato, senza che ciò possa apparire un’eccezione al principio sopra indicato, che la riunione di
cause di lavoro o previdenziali-assistenziali, disposta per mera identità delle questioni a norma dell'art. 151 disp.
att. c.p.c. sulla cosiddetta connessione impropria, non priva le persone che rivestano la qualità di parte in alcune
di esse, e siano ad un tempo indotte come testimoni in altre, della capacità di testimoniare sotto vincolo di
giuramento, proprio perché tale deposizione deve essere resa su circostanze attinenti alle domande proposte dalle
altre parti del processo riunito (cfr. Cass. n. 7545/2006, Cass. n. 9650/2003, Cass. n. 2618/1999, Cass. n.
11753/1998, Cass. n. 32/1994, Cass. n. 6932/1987, Cass. n. 387/1987, Corte Cost. n. 64/1980).
166
Cfr. TARUFFO, Prova testimoniale- Diritto processuale civile- in Enc. Diritto, XXXVII, Milano, 728 e ss.

37
All’evidenza, invece, non è escluso che i fatti siano dichiarazioni di altri soggetti, trattandosi
in tal caso di dichiarazione de relato, per la quale vedi infra sub. 7.5.
Il terzo connotato della testimonianza è quello dell’assunzione davanti al Giudice nel
contraddittorio tra le parti, atteso che una dichiarazione di un terzo resa al di fuori del
processo potrà al più essere valutata come prova atipica, per la quale vedi infra sub 6.2.
Pur se è “quasi istintiva un’immediata associazione tra processo civile e
testimonianza, essendo quest’ultima evenienza molto frequente nell’istruttoria”167, è del tutto
evidente che il Legislatore non guarda con favore, e guarda anzi con grande diffidenza, alla
prova testimoniale, che è addirittura vietata nel processo tributario168 e nel processo
amministrativo169.
Quanto al processo civile, i limiti di ammissibilità della prova testimoniale posti dagli artt.
2721 e ss. c.c. e da altre specifiche norme (quali gli artt. 239 e 241 c.c. in tema di filiazione
legittima, 1417 c.c. in tema di simulazione, 621 c.p.c. in tema di opposizione del terzo ad
esecuzione mobiliare), derivano presumibilmente sia da ragioni ricollegate alle necessarie
lungaggini collegate alla deduzione, articolazione ed assunzione della prova, sia soprattutto
dalla ritenuta ontologica inaffidabilità del mezzo di prova stesso. Da quest’ultima
angolazione, infatti, sono innegabili i naturali limiti della capacità di percezione e di memoria
delle persone, che ben può essere imprecisa, fuorviata od influenzata; ed altrettanto innegabile
è la possibilità che, consapevolmente od anche solo inconsapevolmente, il teste tenda a
favorire una delle parti in causa170.
Detto del disfavore legislativo nei confronti della prova testimoniale, è necessario
svolgere una fondamentale considerazione.
Va con forza ribadito che, per i pacifici principi processualcivilistici, una volta che il mezzo
probatorio abbia superato il vaglio dell’ammissibilità, il medesimo fatto può essere dimostrato
sia con prova documentale, sia con prova testimoniale. I principi costituzionali di uguaglianza
delle parti, di rispetto del contraddittorio e di diritto alla prova, infatti, impongono la piena
equiparazione dei mezzi di prova sul piano strettamente processuale, posto che tanto la prova
costituita, quanto la prova costituenda, sono espressione del diritto di difesa codificato dagli
artt. 24 e 111 Cost171.
Ne consegue che, mentre è più che doverosa un’oculata e ragionata valutazione circa
l’ingresso nel processo di prove testimoniali realmente ammissibili e rilevanti ai fini della
decisione, dovendosi invece evitare, per non appesantire e rendere difficoltosa l’istruttoria,
ordinanze di ammissione delle prove ‘così come dedotte’ con riserva di ulteriore valutazione
in sentenza; d’altro canto, è del tutto priva di spessore giuridico la formula, troppo spesso
utilizzata a livello di giurisprudenza di merito, per la quale un capo testimoniale sarebbe
inammissibile in quanto relativo a circostanza che ‘ben potrebbe essere provata per
iscritto’172.

167
SPACCASASSI, La testimonianza e la consulenza tecnica, relazione tenuta il 21/6/2005 a Roma ad un corso
di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 17.
168
Cfr. art. 7 comma 4 D.Lgs. n. 546/1992.
169
Cfr. art. 44 R.D. n. 1054/1924.
170
Significativo il fatto che le limitazioni legali all’ingresso nel processo della prova testimoniale, trovano un
precedente storico sin dall’art. 1341 del Codice Napoleonico.
Sul punto della sfiducia del Legislatore circa l’attendibilità della testimonianza, per tutti cfr. LIEBMAN,
Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1992, 151; MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile,
Torino, 2002, II, 246.
171
Sul punto, cfr. PINTO, La testimonianza e la CTU, relazione tenuta il 7/6/2005 a Roma ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 3.
172
Sul punto, esemplari per chiarezza le parole di ZULIANI, I poteri istruttori e del Giudice. In
particolare:problemi in tema di ammissibilità della prova per testimoni, in relazione ai limiti previsti dal codice
civile; la consulenza tecnica d’ufficio; le prove documentali; tecniche di redazione dei provvedimenti istruttori,
relazione tenuta il 12/6/2002 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 5.

38
In realtà, tale assunto sembra piuttosto volto a censurare come inattendibile la deposizione;
mentre l’inattendibilità della deposizione deve necessariamente essere statuita
successivamente all’espletamento della prova ed in sede di valutazione della stessa, non già in
sede preventiva rispetto all’assunzione173. Solo infatti il profilo giuridico dell’inammissibilità,
all’evidenza parametro del tutto diverso dal profilo fattuale dell’inattendibilità, può impedire
in via preventiva l’ingresso della prova testimoniale nel processo.
Tutto ciò posto, può ora passarsi alla trattazione dei limiti di ammissibilità della prova
testimoniale posti dal codice civile.

5.2 I limiti di ammissibilità delle prove testimoniali e le eccezioni ai


divieti
Occorre distinguere tra limiti concernenti il valore del contratto, la presenza di
documenti e l’oggetto del contratto, per poi verificare le eccezioni ai divieti posti.
a) Limiti concernenti il valore del contratto) Ai sensi dell’art. 2721 c.c., la prova per
testi non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede gli € 2,58; tuttavia, il Giudice può
consentire la prova oltre detto limite, in ragione della qualità delle parti, della natura del
contratto e di ogni altra circostanza.
Come chiarito dalla norma, il divieto riguarda solo la materia contrattuale, non anche quella
degli atti unilaterali, ad eccezione peraltro del pagamento e della remissione del debito, cui la
disposizione è applicabile in relazione al rinvio di cui all’art. 2726 c.c.174; conseguentemente,
può essere provato senza limiti il pagamento d’indebito175, proprio perché atto unilaterale non
rientrante nell’art. 2726 c.c.
Risulta evidente come, non essendo mai stato aggiornato alla perdita del potere
d’acquisto della moneta l’originario valore di cinquemila lire previsto dal codice del 1942, il
limite di € 2,58 deve essere ora inteso come genericamente riferito a quello di un “valore
sufficiente a far ritenere ragionevole, secondo l’id quod plerumque accidit, il ricorso a
pattuizioni scritte o alla documentazione dei pagamenti e delle remissioni di debito”176, e ciò
consente di ritenere infondata l’eccezione di legittimità costituzionale della norma177.
Secondo un recentissimo arresto giurisprudenziale, l’ammissione della prova
testimoniale oltre i limiti di valore stabiliti dall'art. 2721 cod. civ. costituisce un potere
discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, o mancato esercizio, è insindacabile in
sede di legittimità ove sia correttamente motivato178.

173
Tra le tante, cfr. Cass. n. 16259/2004, Cass. n. 12317/2003, Cass. n. 14386/1999, Cass. n. 2618/1999, Cass. n.
11753/1998, Cass. n. 5113/1998, Cass. n. 9786/1997.
174
Giurisprudenza pacifica sin dalla datata Cass. n. 2924/1975.
175
Cfr. Cass. n. 10989/2003, Cass. n. 10442/1994, Cass. n. 3004/1980.
176
ZULIANI, I poteri istruttori e del Giudice. In particolare:problemi in tema di ammissibilità della prova per
testimoni, in relazione ai limiti previsti dal codice civile; la consulenza tecnica d’ufficio; le prove documentali;
tecniche di redazione dei provvedimenti istruttori, relazione tenuta il 12/6/2002 a Roma ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 7.
Cfr. anche BONI, I poteri istruttori delle parti e del Giudice: ammissione, assunzione valutazione della prova,
relazione tenuta il 11/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 5;
SURIANO, I poteri istruttori delle parti e del Giudice: l’ammissione, l‘assunzione e la valutazione delle prova,
relazione tenuta il 8/3/2000 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 6.
In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 4600/1984.
177
Cfr. Cass. n. 4600/1983.
178
Cfr. Cass. n 11889/2007.

39
b) Limiti concernenti la presenza di documenti) Ai sensi degli artt. 2722 e 2723
c.c., nel caso di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, vi è divieto assoluto di
prova testimoniale se tali patti si assumono precedenti o coevi al documento stesso; nel caso
invece di patti successivi, il Giudice può consentire la prova per testi se, “avuto riguardo alla
qualità delle parti, alla natura del contratto e ad ogni altra circostanza, appare verosimile
che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali”.
Anche in questo caso, il documento cui si riferisce la norma è necessariamente un
documento contrattuale179, con la conseguenza che il divieto di prova testimoniale non
riguarda documenti non contrattuali come fatture180, promesse di pagamento181 anche
cambiarie182, fideiussione prestata con atto unilaterale e non contratto183, indicazioni
contenute nel libretto di lavoro consistenti in attestazioni unilaterali del datore di lavoro184,
quietanze185. Tuttavia, per pacifica giurisprudenza, non è necessario che il documento
contenga la sottoscrizione delle parti, perché il divieto di cui all’art. 2722 c.c. opera anche in
relazione a dichiarazioni sottoscritte da una sola parte, ma che hanno comunque valenza
contrattuale186.
Oggetto del divieto sono solo i patti aggiunti o contrari, non anche fatti materiali
diversi, quali ad esempio la consegna del bene in epoca differente da quella prevista dal
documento187. Parimenti, il divieto non opera se, dissentendo le parti solo sull’interpretazione
del contratto e non già sulla sua sussistenza, la prova tende non ad inficiare il contratto, ma ad
offrire fatti utili alla sua interpretazione188.
c) Limiti concernenti la materia del contratto) Ai sensi dell’art. 2725 c.c., nel caso
di contratti aventi forma scritta ad substantiam o ad probationem per legge o volontà delle
parti, la prova per testi è ammessa solo quando il contraente ha perduto senza sua colpa il
documento che forniva la prova del contratto189.
d) Eccezioni al divieto di prova testimoniale) Nei casi sopra esposti dei limiti
concernenti il valore del contratto e la presenza di documenti, la prova per testimoni è
ammessa in ogni caso, ex art. 2724 c.c., laddove vi sia un principio di prova per iscritto,
laddove il contraente sia stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova
scritta, laddove il contraente abbia perduto senza colpa il documento che gli forniva la prova;
solo questa terza ed ultima ipotesi, come si è detto, legittima invece la prova testimoniale nel
caso di contratti aventi forma scritta ad substantiam o ad probationem.
Il principio di prova scritta, seconda la chiara dizione codicistica, è costituito da uno
scritto proveniente da controparte e di contenuto tale da far apparire verosimile il fatto

179
Cfr. Cass. n. 17040/2003.
180
Cfr. Cass. n. 8466/1998, Cass. n. 6142/1992.
181
Cfr. Cass. n. 17040/2003, Cass. n. 4563/1999, Cass. n. 8712/1998.
182
Cfr. Cass. n. 4563/1999 con riferimento all’ammissibilità di prova testimoniale della convenziona di favore
sottostante all’emissione del vaglia cambiario.
183
Cfr. Cass. n. 2747/1995.
184
Cfr. Cass. n. 7767/1992, Cass. n. 510/1988, Cass. n. 1832/1986, Cass. n. 983/1985, Cass. n. 4417/1982.
185
Cfr. Cass. n. 2093/2000, Cass. n. 8730/1997, Cass. n. 2716/1988, Cass. n 4815/1979; contra Cass. n.
7021/2001, che desume il limite alla prova testimoniale contraria alla quietanza non direttamente dall’art. 2722
c.c., ma dall’art. 2726 c.c.
186
Cfr. Cass. n. 897/1996, Cass. n. 9021/1993.
187
Cfr. Cass. n. 3503/1997.
188
Cfr. da ultimo Cass. n. 9243/2008, oltre alle risalenti Cass. n. 488/1979, Cass. n. 1758/1977, Cass. n.
1191/1974.
189
All’evidenza, peraltro, secondo i pacifici principi generali civilistici, solo il contratto con forma scritta ad
probationem, non anche quello con forma scritta ad substantiam, può altresì essere provato con giuramento e
confessione.

40
allegato190; in ogni caso, il documento non deve contenere un vago riferimento al fatto
controverso, ma deve invece attestare l’esistenza di un nesso logico tra documento e fatto
medesimo191.
L’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta è oggetto di specifica
controeccezione, rispetto all’eccezione di inammissibilità della prova testimoniale, e come
tale deve essere dedotta dalla parte che chiede l’ammissione della prova e non anche rilevata
d’ufficio dal Giudice192. In particolare, con riferimento all’impossibilità morale, la posizione
giurisprudenziale è molto restrittiva, non essendo sufficiente una situazione di astratta
influenza, autorità o prestigio della persona dalla quale lo scritto dovrebbe essere preteso, né
di vincolo di amicizia o di parentela, dovendosi invece accertare caso per caso una situazione
di reale inesigibilità del comportamento; parimenti, l’impossibilità materiale deve invece
essere assoluta ed indipendente dalla volontà del contraente che la deduce, come ad esempio
nel caso di calamità naturali od altri eventi eccezionali.
L’ipotesi di perdita incolpevole del documento, a differenza delle due ipotesi precedenti,
presuppone in tutta evidenza che il documento esista o sia comunque esistito. Nel caso di
consegna del documento ad un terzo che poi lo abbia smarrito, il requisito dell’incolpevolezza
sussiste se si dimostra che, con riferimento alle circostanze fattuali e personali, sia immune da
vizio di imprudenza o negligenza la scelta di affidare la custodia dello scritto al terzo, essendo
invece irrilevante la colpa o meno del terzo nel successivo smarrimento193.
In ogni caso, poi, tutti i limiti di prova testimoniale esaminati valgono solo
allorquando il contratto venga allegato come fonte del rapporto giuridico oggetto di causa tra
le parti, non anche quando esso costituisca un mero fatto storico influente sulla decisione194.
e) Eccezioni al divieto di prova testimoniale nel caso di intervento officioso ex art.
421 c.p.c.) L’articolo 421 comma 2 c.p.c., dettato per il rito del lavoro, prevede l’ammissione
d’ufficio dei mezzi di prova da parte del Giudice “anche fuori dei limiti stabiliti dal codice
civile”. Nell’interpretare siffatta disposizione, la giurisprudenza ha chiarito che, pur non
potendosi con l’intervento officioso formulare capi di prova testimoniale in deroga ai vincoli
posti dall’art. 2725 c.c. per i contratti con forma scritta ad substantiam o ad probationem, ben
può invece il Giudice formulare capi di prova testimoniali derogando alle prescrizioni di cui
agli artt. 2721-2723 c.c. in materia di prova testimoniale, nonché di cui all’art. 1417 c.c. in
tema di simulazione195.
Viceversa, non si dubita che, nel caso dei poteri officiosi del Giudice relativi al rito
ordinario ex art. 281 ter c.p.c., non essendo stato riproposto l’inciso ‘ogni mezzo di prova
190
Integra tale principio di prova scritta anche la dichiarazione resa in sede di interrogatorio libero, verbalizzata e
sottoscritta: Cass. n. 3120/1999, Cass. n. 4522/1993, Cass. n. 802/1982.
191
Cfr. Cass. n. 426/2000, Cass. n. 3583/1998, Cass. n. 1047/1975.
192
Cfr. Cass. n. 7976/1994.
193
Cass. n. 3059/2002, Cass. n. 6054/1996, Cass. n. 1745/1993.
194
In dottrina, cfr. LAMORGESE, La prova testimoniale. La consulenza tecnica d’ufficio e di parte, relazione
tenuta a Roma il 28/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 27; PINTO, La
testimonianza e la CTU, relazione tenuta il 7/6/2005 a Roma ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 6; POSITANO, La prova orale: prova testimoniale e privatizzazione dell’attività
istruttoria, relazione tenuta il 27/11/2001 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
23; SURIANO, I poteri istruttori delle parti e del Giudice: l’ammissione, l‘assunzione e la valutazione delle
prova, relazione tenuta il 8/3/2000 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 6;
ZULIANI, I poteri istruttori e del Giudice. In particolare:problemi in tema di ammissibilità della prova per
testimoni, in relazione ai limiti previsti dal codice civile; la consulenza tecnica d’ufficio; le prove documentali;
tecniche di redazione dei provvedimenti istruttori, relazione tenuta il 12/6/2002 a Roma ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 9.
In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 6191/2005, Cass. n. 15591/2002,Cass. n. 4226/2001, Cass. n. 566/2001, Cass. n.
1642/2000, Cass. n. 3562/1995, Cass. n. 5029/1983, Cass. n. 4923/1981.
195
Cfr. Cass. Lav. n. 1733/2005, Cass. Lav. n. 11926/2004, Cass. n. 7465/2002, Cass. Lav. n. 11540/1996, Cass.
Lav. n. 11255/1995, Cass. Lav. n. 11588/1993, Cass. Lav. n. 4245/1989, Cass. Lav. n. 117/1988.

41
anche fuori dai limiti del codice civile’, dettato in sede di art. 421 c.p.c., i mezzi di prova che
il giudice può ammettere d’ufficio nel rito ordinario, sono solo quelli nella disponibilità delle
parti, nel pieno rispetto quindi dei limiti di ammissibilità della prova testimoniale sopra
visti196.

5.3 I limiti di ammissibilità delle prove testimoniali nella simulazione


In ragione del disposto di cui all’art. 1417 c.c, la prova per testimoni della simulazione
è ammissibile senza limiti se la domanda è proposta da creditori e da terzi; se invece la
domanda è proposta dalle parti, la prova per testi è ammissibile senza limiti solo laddove sia
diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato197.
I terzi possono dare la prova della simulazione senza limiti e con qualsiasi mezzo, in
quanto per loro il contratto è un mero fatto; non operano in questo caso confessione e
giuramento, perché non si tratta di fatti noti ai terzi.
Sono considerati terzi, tra gli altri, il successore a titolo particolare dei contraenti, a meno che
sia stato a conoscenza della simulazione; l’erede che opera come mero successore mortis
causa, senza agire in reintegra; il mandante nel caso di contratto simulato in suo danno dal
mandatario con un terzo198; il mediatore rispetto al contratto stipulato dalle parti con il proprio
intervento; il subacquirente del simulato alienante199.
Le parti incontrano i limiti stabiliti dalla legge per la prova testimoniale e tali limiti di
prova valgono non solo tra le parti stesse, ma anche se l’azione è diretta a far valere la
simulazione verso terzi200.
Tranne perciò che nell’ipotesi in cui la prova è diretta ad accertare l’illiceità del negozio
dissimulato (per esempio, frode alla legge), nel qual caso la prova per testimoni è ammessa
senza limiti, c’è l’onere di provare la simulazione mediante controscrittura, confessione o
giuramento decisorio, fatte salve le eccezioni previste dagli artt. 2724 e 2725 c.c. A questo
proposito, la giurisprudenza tradizionale riteneva che il principio di prova scritta che può poi
giustificare la prova testimoniale, non può essere rintracciato direttamente nel negozio
simulato, ad esempio in presenza di stranezze contrattuali, ma deve dedursi da un atto
diverso201; ora invece, la Suprema Corte sembra avere mutato orientamento, ritenendo che “il

196
Cfr. FORNACIARI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice,
relazione tenuta a Roma il 18/10/1999 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 13;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 10;
C. PAPPALARDO, L’assunzione e la formazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 14/11/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 30;
RAZETE, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 15/5/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 57.
197
Non è illecito, e pertanto va provato con le limitazioni probatorie prescritte dalla norma, il negozio
dissimulato consistente nella donazione priva dei requisiti di forma, in quanto l’interesse perseguito dalle parti,
cioè l’arricchimento di un soggetto per lo spirito di liberalità dell’altro, non è contrario ai principi fondamentali
dell’ordinamento: Cass. n. 7048/2008.
198
Cass. n. 125/2000, Cass. n. 5143/1987.
199
Cfr. Cass. n. 151/1975.
200
Agli effetti della prova della simulazione, deve essere considerato parte e non terzo chi, pur essendo
apparentemente estraneo al contratto, assuma di essere uno dei soggetti del rapporto giuridico: Cass. n.
2252/1998.
201
Cfr. Cass. n. 2491/1990.

42
contratto simulato può legittimamente configurarsi quoad probationis in termini di principio
di prova scritta”202.
Per quanto concerne in particolare l’erede, subentrando nella posizione del de cuius,
egli incontra per la prova i limiti testimoniali previsti per le parti203. Tuttavia, se l’erede agisce
per la reintegra della sua quota di legittima, vi è concordia nel dire che non incontra i limiti
probatori di cui agli artt. 1417 e 2722 c.c.: secondo la giurisprudenza, ciò accade in quanto,
agendo per la reintegrazione della legittima, l’erede non è ancora tale, quindi è terzo e non
parte204; per una minoritaria ricostruzione dottrinale, ciò accade invece in quanto, pur
rimanendo parte, l’erede agisce per smascherare un illecito di frode alla legge e non incontra
quindi i menzionati limiti di prova testimoniale.
Componendo un contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite della Cassazione
hanno poi chiarito come non sia ammissibile la prova testimoniale diretta a dimostrare la
simulazione assoluta della quietanza, che dell’avvenuto pagamento costituisce
documentazione scritta. A ciò osta l’art. 2726 c.c., il quale, estendendo al pagamento il
divieto, sancito dall’art. 2722 dello stesso codice, di provare con testimoni patti aggiunti o
contrari al contenuto del documento contrattuale, esclude che con tale mezzo istruttorio possa
dimostrarsi l’esistenza di un accordo simulatorio concluso allo specifico fine di negare
l’esistenza giuridica della quietanza, nei confronti della quale esso si configura come uno di
quei patti, anteriori o contestuali al documento, che, appunto, il combinato disposto dei citati
art. 2722 e 2726 c.c. vieta di provare con testimoni in contrasto con la documentazione scritta
di pagamento205.
Anche relativamente alla classica tematica della prova della simulazione del prezzo,
si è verificato un contrasto giurisprudenziale solo recentemente composto dalle Sezioni Unite.
Invero, la tesi tradizionale e maggioritaria sosteneva che le parti non incontrano i limiti di cui
agli artt. 1417 e 2722 c.c.206. Si argomenta infatti che la pattuizione di celare una parte del
prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale o
funzionale, all’ipotesi di dissimulazione del contratto, sicché la prova relativa ha scopo e
natura semplicemente integrativa e può risultare dalle deposizioni testimoniali o per
presunzioni.
Tale conclusione è stata fortemente criticata dalla dottrina207, che ha rilevato come l’art. 1417
c.c. operi una distinzione, agli effetti probatori, tra l’impugnazione proveniente dai terzi o
dalle parti, ma non anche tra la simulazione assoluta e quella relativa, quale è la simulazione
del prezzo; da una seconda angolazione, il regime probatorio più favorevole riservato ai terzi
si giustifica per l’impossibilità di costoro di procurarsi la prova scritta della simulazione, e
tale ratio non può essere estesa anche alle parti nel caso di simulazione del prezzo; da ultimo,
il contratto impugnato per simulazione assume rilievo per i terzi come fatto storico, mentre
per le parti la previsione di un prezzo diverso non è un fatto giuridico, ma solo un patto di

202
Cass. n. 11232/1997.
203
Cfr. Cass. n. 19146/2006.
204
Cfr. Cass. n. 6332/2003, Cass. n. 2836/1997, Cass. n. 6031/1995, Cass. n. 5947/1986.
205
Cfr. Cass. Sez. Un. n. 6877/2002.
206
Cfr. Cass. n. 15516/2006, Cass. n. 17880/2003, Cass. n. 8426/2000, Cass. n. 11055/1999, Cass. n. 8999/1997,
Cass. n. 3857/1996, Cass. n. 526/1988, Cass. n. 5975/1987, Cass. n. 4366/1978.
207
Cfr. ALLEGRETTI, Simulazione del prezzo e ammissibilità della prova per testimoni, nota a sentenza Cass.
23/1/1988 n. 526 in Nuova Giur. Civ. Comm., 1988, I, 356;
COSTANZA, L’interposizione fittizia e la sua prova: brevi considerazioni, in Giust. Civ., 1995, I, 3094;
GALGANO, voce simulazione, in commentario Scialoja-Branca, 1998, 58;
PINTO, La testimonianza e la CTU, relazione tenuta il 7/6/2005 a Roma ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 15;
TOMMASEO, Sul patto di simulazione del prezzo nei contratti solenni, nota a Cass. 9/7/1987 n. 5975, in Giur.
It., 1989, I, 1, 536.

43
natura negoziale che incide sul contenuto del contratto. Pertanto, non vi sarebbe ragione di
consentire alle parti la prova per testi della simulazione relativa del prezzo.
Sulla base di tali argomentazioni, anche un indirizzo minoritario della Suprema Corte ha
ritenuto che la prova della simulazione del prezzo non possa essere offerta per testimoni208.
Tale approdo, componendo così il contrasto giurisprudenziale insorto, è stato recentemente
consacrato anche dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 7246/2007, che ha
recepito tutte le argomentazioni sopra esposte.

5.4 Il regime di rilevabilità dei limiti sostanziali delle prove


testimoniali
Una questione certamente complessa sotto il profilo teorico-dogmatico e molto
rilevante sotto il profilo pratico, è quella del regime di rilevabilità, d’ufficio o ad istanza di
parte, dei limiti sostanziali di ammissibilità della prova testimoniale sopra visti.
Sul punto, in giurisprudenza si è formato un orientamento nettamente maggioritario ed oramai
tralatizio, per il quale i limiti di ammissibilità della prova testimoniale posti dagli articoli
2721 e ss. e 1417 c.c., non sarebbero rilevabili d’ufficio ma solo ad istanza di parte,
dovendosi rinvenire il loro fondamento non già in un principio d’ordine pubblico, ma solo in
un principio posto nell’interesse delle parti; discende che la parte potrebbe rinunciare ad
eccepire l’inammissibilità o fare acquiescenza all’ammissione, con la conseguenza che
l’assunzione della prova testimoniale in violazione dei limiti sostanziali integrerebbe una
forma di nullità relativa, come tale sanata ex art. 157 c.p.c. laddove non eccepita nella prima
istanza o difesa successiva al suo verificarsi. Unica eccezione ai principi esposti sarebbe
quella relativa alla violazione del divieto di prova testimoniale per i casi di contratti aventi
forma scritta ad substantiam al di fuori del caso previsto dall’art. 2725 c.c., violazione che
sarebbe la sola rilevabile d’ufficio dal Giudice209.
La soluzione adottata dalla giurisprudenza sopra richiamata, così come
convincentemente esposto in un recente contributo dottrinale offerto proprio ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, è opinabile210. E’ stato in proposito osservato
che la ricostruzione unitaria risulta inappagante, dovendosi in realtà distinguere tra il
momento dell’ammissione della prova e quello successivo al suo espletamento.

208
Cfr. Cass. n. 5539/2004, Cass. n. 11273/1992.
209
Per la quasi totalitaria giurisprudenza, cfr. Cass. n. 9925/2006, Cass. n. 3392/2004, Cass. n. 15554/2003,
Cass. n. 194/2002, Cass. n. 144/2002, Cass. n. 10114/2000, Cass. n. 551/2000, Cass. n. 4690/1999, Cass. n.
4334/1999, Cass. n. 3287/1999, Cass. n. 264/1997, Cass. n. 2213/1996, Cass. n. 3550/1995, Cass. n.
10206/1991, Cass. n 6172/1982, Cass. n. 866/1981.
In dottrina, cfr. POSITANO, La prova orale: prova testimoniale e privatizzazione dell’attività istruttoria,
relazione tenuta il 27/11/2001 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 24;
RAZETE, La prova per testimoni, relazione tenuta il 7-8/2/2005 a Roma ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 126; SPACCASASSI, La testimonianza e la consulenza tecnica, relazione
tenuta il 21/6/2005 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 21; SURIANO, I
poteri istruttori delle parti e del Giudice: l’ammissione, l‘assunzione e la valutazione delle prova, relazione
tenuta il 8/3/2000 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 5; ZULIANI, I poteri
istruttori e del Giudice. In particolare:problemi in tema di ammissibilità della prova per testimoni, in relazione
ai limiti previsti dal codice civile; la consulenza tecnica d’ufficio; le prove documentali; tecniche di redazione
dei provvedimenti istruttori, relazione tenuta il 12/6/2002 a Roma ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 6.
210
Cfr. PINTO, La testimonianza e la CTU, relazione tenuta il 7/6/2005 a Roma ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 20 e ss.

44
Con riferimento alla fase di ammissione della prova testimoniale, il principio generale posto
dall’art. 183 comma 7 c.p.c. dovrebbe essere quello per il quale il giudizio di ammissibilità e
rilevanza va effettuato dal Giudice d’ufficio, senza alcuna necessità di eccezione di
inammissibilità della controparte, con una verifica di tutti i parametri normativi, di natura
processuale o sostanziale, compreso quindi il parametro della conformità della prova
testimoniale dedotta ai limiti previsti dagli articoli 2721 e ss. c.c.211. Diversamente opinando,
infatti, da un lato e sotto il profilo teorico, si giungerebbe alla singolare ed irragionevole
situazione per la quale il Giudice dovrebbe rilevare d’ufficio i vizi della prova testimoniale
relativi alla modalità di capitolazione212 ed alla violazione delle preclusioni istruttorie213, ma
non potrebbe invece rilevare d’ufficio i vizi sostanziali della prova; dall’altro lato e sotto il
profilo pratico, si arriverebbe all’inaccettabile paradosso che in un processo contumaciale, il
Giudice dovrebbe ammettere tutte le prove dedotte in violazione degli articoli 2721-2723 e
1417 c.c.
L’insegnamento della Corte di Cassazione relativo alla rilevabilità ad istanza di parte delle
violazioni dei limiti sostanziali della prova testimoniale (con la sola eccezione dell’art. 2725
c.c. per i contratti aventi forma scritta ad substantiam), conserverebbe invece validità solo con
riferimento al caso di effettiva ammissione ed espletamento della prova testimoniale violativa
del dettato codicistico. Laddove infatti la prova sia stata assunta vulnerando i limiti di legge,
ciò comporterebbe effettivamente un vizio nella formazione della prova integrante una nullità
relativa, come tale censurabile solo nella prima istanza o difesa successiva ex art. 157 comma
2 c.p.c., ferma comunque rimanendo la possibilità per il Giudice di apprezzare la deposizione
sul piano delle complessive risultanze di causa214.
Detto della persuasività delle conclusioni sopra esposte con riferimento alla
possibilità per il Giudice di rilevare d’ufficio, in sede di ammissione, l’inammissibilità di una
prova testimoniale per violazione dei limiti sostanziali previsti dal codice, potrebbe addirittura
opinarsi che, anche nel caso di assunzione di una prova illegittimamente ammessa, l’invalidità
della stessa sia rilevabile d’ufficio.
Ciò è stato ritenuto anche da un indirizzo della stessa Corte di Cassazione, sia pure
minoritario, per il quale l’inammissibilità di una prova testimoniale per contrasto con le
norme che la vietano quali gli artt. 2721-2725 c.c., non è sanata dalla mancata tempestiva
opposizione della parte interessata, e conseguentemente la relativa eccezione può essere
utilmente formulata anche dopo l’espletamento della prova vietata215.

5.5 L’incapacità a testimoniare


Con una dizione concisa ed apparentemente chiara, l’art. 246 c.p.c. statuisce che
“non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che
potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”, diversamente di quanto accade nel
processo penale, ove è ammessa la testimonianza della parte civile216.
211
Testualmente, PINTO, La testimonianza e la CTU, relazione tenuta il 6-10/5/2005 a Roma ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 20.
212
Giurisprudenza del tutto pacifica: per tutte, cfr. Cass. n. 8620/1996.
213
Cfr. Cass. n. 16921/2003, Cass. n. 5539/2004, Cass. n. 378/2002, Cass. n. 4376/2000.
214
Cfr. nuovamente PINTO, La testimonianza e la CTU, relazione tenuta il 7/6/2005 a Roma ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 23.
215
Cfr. Cass. n. 2101/1997, che ritiene possibile proporre con i motivi di appello l’eccezione relativa alla prova
testimoniale espletata in primo grado relativamente ad un contratto per il quale era richiesta la prova scritta ad
probationem.
216
Per tutte, Cass. pen. 8-23/4/2008, n. 16780.

45
Pertanto, l’ordinamento civilistico esclude la possibilità di testimoniare non solo per la parte
effettiva del processo, ma anche per la parte potenziale. Così facendo ed innovando rispetto
alla scelta del codice del 1865, che lasciava al Giudice la possibilità di un prudente
apprezzamento, si assume una posizione rigida ed aprioristica nel senso dell’incapacità del
teste interessato217, sgravando quindi il Giudice dall’onere di dovere valutare, volta per volta,
l’attendibilità o meno della deposizione di tale categoria di testi.
L’interesse cui fa riferimento la norma è quello di cui all’art. 100 c.p.c.: non si tratta quindi di
un interesse di mero fatto, quale ad esempio quello del creditore di una delle parti; ma
piuttosto di un interesse giuridico, personale, concreto ed attuale, che legittimerebbe la
partecipazione a quel particolare giudizio per proporre domande o per contraddirvi, anche
nelle forme di un intervento adesivo autonomo o dipendente218.
Il giudizio sulla capacità deve poi essere effettuato con riferimento al momento in cui la
deposizione viene resa, restando irrilevanti i mutamenti successivi o la situazione
precedente219; consegue che è valida la deposizione del teste che successivamente divenga
parte, sebbene la circostanza possa essere valutata dal Giudice al diverso fine
dell’attendibilità.
Quanto alla sterminata casistica formatasi in giurisprudenza sul punto220, senza
pretesa di completezza ed esaustività, può ricordarsi che sono stati ritenuti incapaci di
testimoniare:
- chi potrebbe o avrebbe potuto essere chiamato dall’attore in linea alternativa o solidale quale
soggetto passivo della pretesa fatta valere, anche a titolo di garanzia ed anche qualora il diritto
sia estinto per prescrizione o transazione221;
- colui che ha provveduto a trasportare ed installare la bombola del gas nel giudizio promosso
contro il fabbricante per ottenere il risarcimento del danno causato dalla fuoriuscita del gas
stesso, in quanto tale soggetto potrebbe rispondere ex art. 2050 c.c.222;
- il condomino in una controversia promossa da o contro il condominio223;
- il mediatore laddove si controverta sulla conclusione del contratto, e da tale decisione
dipenda il suo diritto alla provvigione224;

217
Per TARUFFO, Prova testimoniale- Diritto processuale civile- in Enc. Diritto, XXXVII, Milano, 728 e ss.,
trattasi di “un’operazione storicamente regressiva”. ID., Le prove, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1992, 285 ss.
218
E’ questa la tesi fatta propria dalla Corte Costituzionale sin dalla sentenza n. 248/1974.
Per la giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. n. 13585/2004, Cass. n. 14963/2002, Cass. n. 4358/1998, Cass. n.
3432/1998, Cass. n. 1987/1997, Cass. n. 3846/1995, Cass. n. 32/1994, Cass. n. 5919/1993, Cass. n. 1369/1989 e
Cass. n. 47/1981.
219
Cfr. Cass. n. 7740/1999, Cass. n. 9826/1996, Cass. n. 6943/1982, Cass. n. 2784/1971.
220
Per un dettagliato elenco del catalogo della situazioni in cui la giurisprudenza ha ravvisato o non ha ravvisato
l’incapacità di testimoniare ex art. 246 c.c., cfr.:
LAMORGESE, La prova testimoniale. La consulenza tecnica d’ufficio e di parte, relazione tenuta a Roma il
28/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 4 ss.;
POSITANO, La prova orale: prova testimoniale e privatizzazione dell’attività istruttoria, relazione tenuta il
27/11/2001 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 31 ss.;
RAZETE, La prova per testimoni, relazione tenuta a Roma il 8/2/2005 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 102 ss.;
SPACCASASSI, La testimonianza e la consulenza tecnica, relazione tenuta il 21/6/2005 a Roma ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 36 ss.;
STEFANI, Questioni controverse in tema di prove documentali, relazione tenuta a Roma il 8/2/2005 ad un corso
di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 48 ss.;
SURIANO, I poteri istruttori delle parti e del Giudice: l’ammissione, l‘assunzione e la valutazione delle prova,
relazione tenuta il 8/3/2000 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 21 ss.
221
Cfr. Cass. n. 13585/2004, Cass. n. 14693/2002, Cass. n. 703/2002.
222
Cfr. Cass. n. 10382/2002.
223
Cfr. Cass. n. 6483/1997.
224
Cfr. Cass. n. 2780//1987.

46
- il coniuge in comunione di beni nelle cause dalle quali può verificarsi un incremento o
decremento del patrimonio comune225;
- il lavoratore, nel giudizio tra datore di lavoro ed istituti previdenziali od assistenziali avente
ad oggetto il pagamento di contributi, laddove sorga contestazione sull’esistenza del rapporto,
con conseguente necessità di incidentale accertamento di detto rapporto quale presupposto
dell’obbligo contributivo. Invero, pur non essendo parte necessaria del processo, il lavoratore
ha una posizione di diritto soggettivo verso il datore226 che consente la partecipazione al
giudizio e lo rende quindi incapace a testimoniare227.
Sono invece stati ritenuti capaci di testimoniare:
- il coniuge in comunione legale nelle controversie in cui sia parte l’altro coniuge, ove
oggetto siano i crediti derivanti dall’esercizio dell’impresa di cui sia titolare esclusivo, in
quanto tali crediti divengono comuni solo al momento dello scioglimento della comunione e
nei limiti in cui ancora sussistano228;
- colui che abbia pendente con una delle parti analoga controversia, anche nel caso di
riunione229;
- il mediatore allorquando si controverta sulla determinazione del contenuto del contratto,
sull’esecuzione o sulla risoluzione per inadempimento230;
- il condomino in una causa promossa da altro condomino di impugnazione di una delibera,
qualora questa non attenga a diritti sulle cose comuni231;
- il subagente nella controversia tra proponente ed agente232;
- il soggetto che, munito di procura speciale, abbia rappresentato la parte nel processo con
potere di conciliare e transigere la controversia, atteso che tale rappresentanza non integra una
legittimazione sostanziale del procuratore, né pertanto una sua incapacità a testimoniare233;
- l’avvocato che abbia già prestato la sua opera come legale e che abbia dismesso il mandato
nella controversia oggetto della sua testimonianza234.
Dopo la sentenza n. 248/1974 della Corte Costituzionale è venuto meno nel nostro
ordinamento il divieto di testimoniare per i soggetti di cui all’art. 247 c.p.c., con ciò rendendo
impossibile ogni aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni di tali soggetti.
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come il vincolo di parentela possa, in
concorso con altri utili elementi, essere considerato ai fini della verifica dell’attendibilità della
deposizione235, atteso che esso può indurre il teste a riferire, anche in modo inconsapevole,
una visione distorta della realtà fenomenica e ad assumere posizioni non obiettive per
aprioristico atteggiamento di favore per uno dei contenenti236. Il vincolo di parentela,
pertanto, può, sempre in concorso con altri utili elementi, far preferire al Giudice la

225
Cfr. Corte Cost. n. 62/1995, Cass. n. 9786/1997, Cass. n. 1594/1984.
226
Ad esempio per l’azione risarcitoria ex art. 2216 comma 2 c.c., e per ottenere il versamento all’INPS della
somma necessaria a costituire una rendita vitalizia ex art. 13 L. n. 1338/1962.
227
Cfr. Cass. n. 10545/2007, Cass. n. 12729/2006, Cass. n. 7661/1998, Cass. n. 6299/1988; contra solo Cass. n.
1108/1982, nel senso della capacità a testimoniare.
228
Cfr. Cass. n. 4532/2004.
229
Cfr. le già citate Cass. n. 7545/2006, Cass. n. 9650/2003, Cass. n. 2618/1999, Cass. n. 11753/1998, Cass. n.
32/1994, Cass. n. 6932/1987, Cass. n. 387/1987, Corte Cost. n. 64/1980.
230
Cfr. Cass. n. 2780/1997.
231
Cfr. Cass. n. 12379/1992.
232
Cfr. Cass. n. 5203/1989.
233
Cfr. cfr. Cass. Sez. Lav. n. 3503/1988; Trib. Ivrea ord. 17/10/2002.
234
Cfr. Corte Cost. n. 433/2001, pur se resa in materia penale; Cass. n. 324/1980, Cass. n. 893/1951, Trib. Ivrea
13/12/2002, Trib. Roma 16/2/1989
235
Cfr. Cass. n. 1632/200, Cass. n. 11635/1997, Cass. n. 3651/1994.
236
Cfr. Cass. n. 11635/1997, Cass. n. 2250/1992, Cass. n. 1496/1983.

47
deposizione di un altro teste, che ha riferito circostanze inconciliabili con quelle riportate dal
teste legato alla parte da vincoli di parentela237.
Quanto poi all’eccezione di incapacità a testimoniare ex artt. 246 o 247 c.p.c., la stessa
deve essere sollevata nella prima difesa successiva all’assunzione, o al più tardi al momento
della acquisita conoscenza ove successiva, altrimenti la nullità è sanata ex art. 157 comma 2
c.p.c. per acquiescenza, sul presupposto che i divieti di cui agli artt. 246 e 247 c.p.c. sono
dettati nell’esclusivo interesse delle parti; la sanatoria opera anche laddove la preventiva
eccezione di incapacità a testimoniare non sia seguita dalla successiva eccezione di nullità
della deposizione, poiché la prima non è comprensiva della seconda238. Ai sensi dell’art. 157
comma 3 c.p.c., poi, la nullità non potrebbe essere eccepita da chi ha concorso a darvi luogo,
come nel caso di chi si è associato alla richiesta di assunzione del teste incapace indotto da
controparte od abbia essa stessa citato il teste 239.
L’orientamento circa la rilevabilità solo ad istanza di parte dell’eccezione di nullità, già
fortemente criticato in dottrina240, per una parte della giurisprudenza di merito dovrebbe
ritenersi superato sin dall’entrata in vigore della riforma di cui alla L. n. 353/1990, nel senso
che, a decorrere da tale momento, l’incapacità potrebbe addirittura essere sollevata d’ufficio,
in ragione dell’interesse pubblico all’ordinato e celere svolgimento del processo241.
Relativamente infine alla facoltà di astensione prevista dall’art. 249 c.p.c. ed
originariamente riferita alle ipotesi di cui agli artt. 351 e 352 c.p.p., va preliminarmente
chiarito che essa è ora riferita agli artt. 200-202 c.p.p.
Al proposito, si osserva che essa va esercitata mediante dichiarazione fatta in udienza, avendo
comunque i soggetti interessati l’obbligo di comparire; che il Giudice non è tenuto ad
avvertire il teste del diritto ad astenersi, così come previsto nel processo penale; che il Giudice
può semplicemente prendere atto dell’astensione ovvero interrogare le persone per valutare la
sussistenza degli estremi; che qualora il Giudice ritenga non fondata l’astensione, deve
procedere all’escussione.

237
Cfr. Cass. n. 12127/1998, Cass. n. 2250/1992, Cass. n. 1095/1990.
238
Cfr. Cass. n. 8358/2007, Cass. n. 11377/2006, Cass. n. 18068/2005, Cass. n. 5454/2005, Cass. n. 9864/2005,
Cass. n. 23468/2004, Cass. n. 22416/2004, Cass. n. 15587/2004, Cass. n. 14587/2004, Cass. n. 9061/2004, Cass.
n. 5550/2004, Cass. n. 2995/2004, Cass. n. 17613/2003, Cass. n. 10006/2003, Cass. n. 18040/2003, Cass. n.
9553/2002, Cass. n. 543/2002, Cass. n. 12634/1999, Cass. n. 8066/1999, Cass. n. 3962/1999, Cass. n.
5334/1997.
239
Cfr. Cass. n. 12634/1999, Cass. n. 303/1996, Cass. n. 2802/1969 e Cass. n. 1945/1967.
240
Cfr. ANDRIOLI, Prova testimoniale (diritto processuale civile), in Novissimo Digesto Italiano., XIV, 1967,
338 ss.;
DONDI, Prova testimoniale nel processo civile, in Dig. It. Disc. Priv., vol. XXXVIII, Milano, 1988, 49;
MICHELI, Corso di diritto processuale civile, II, Milano, 1960, 150;
SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano, 1960, 267;
VERDE, Profili del processo civile. 2 Processo di cognizione, Napoli, 1996, 115;
TARUFFO, Prova testimoniale- Diritto processuale civile- in Enc. Diritto, XXXVII, Milano, 728 e ss.
241
Cfr. Trib. Napoli 21/3/2000, in Foro It., 2000, I, 3367;
Trib. Torino 25/10/1999, in Giur. It., 2000, 953;
Trib. Napoli 15/7/1999, in Giur. Napoletana, 2000, 245;
Trib. Roma 18/11/1997, in Foro It. 1998, I, 2006.

48
6. LE PROVE ATIPICHE

6.1 Nozione, tipologia ed efficacia probatoria della prova atipica


Si possono definire prove atipiche quelle che non si trovano ricomprese nel catalogo
dei mezzi di prova specificamente regolati dalla legge242.
Va in proposito osservato che nell’ordinamento civilistico manca una norma generale, quale
quella prevista dall’art. 189 c.p.p. nel processo penale, che legittima espressamente
l’ammissibilità delle prove non disciplinate dalla legge. Tuttavia, l’assenza di una norma di
chiusura nel senso dell’indicazione del numerus clausus delle prove, l’oggettiva estensibilità
contenutistica del concetto di produzione documentale, l’affermazione del diritto alla prova ed
il correlativo principio del libero convincimento del Giudice, inducono le ormai da anni
consolidate ed unanimi dottrina243 e giurisprudenza244, ad escludere che l’elencazione delle
prove nel processo civile sia tassativa, ed a ritenere quindi ammissibili le prove atipiche.
Se contrasto vi è tra dottrina e giurisprudenza, esso è forse nel senso che la dottrina ha
addirittura evidenziato il pericolo di una “utilizzazione indiscriminata” e di un “abuso delle
prove atipiche”245.
In realtà, è stato però efficacemente controbattuto che il rimedio a tale paventato rischio è
semplicemente dato dall’assoluto rispetto del contraddittorio delle parti246, tenuto conto che

242
Sulle prove atipiche, cfr. CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso
di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 31 ss.;
CONTE, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 4/6/1998 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 15 ss.;
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova; la
decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 57;
MERZ, Manuale pratico della prova civile, Padova, 2008, 296-303;
MUNARO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 21/6/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 7 ss.;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 31 ss.;
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 26 ss.;
TRONCONE, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 10/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 34 ss.
243
Cfr. COMOGLIO, Le prove civili, Torino, 1998, 36 ss.;
D’ALESSANDRO, Prove tipiche, argomenti di prova e presunzioni, in Quaderni del CSM, 1999, n. 1089, 235;
TARUFFO, Prove atipiche e libero convincimento del Giudice, in Riv. Dir. Processuale, 1973, 389 ss.
244
Tra le tante Cass. n. 5965/2004, Cass. n. 4666/2003, Cass. n. 1954/2003, Cass. n. 12763/2000, Cass. n.
1223/1990.
245
In questi termini, rispettivamente VIAZZI, Poteri del Giudice e prassi giurisprudenziali nell’istruzione
probatoria: una serie di questioni aperte, in Quaderni del CSM, 1999, n.108, 266; e TARUFFO, La valutazione
della prova. Prova libera e prova legale. Prove e argomenti di prova, in Quaderni del CSM, 1999, n. 108, 433.
Nello stesso senso, CAVALLONE, Critica delle teoria delle prove atipiche, in Riv. Dir. Proc., 1978, 679;
SIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario. In particolare: il passaggio dalla fase della trattazione
alla fase istruttoria, preclusioni istruttorie, ammissioni, acquisizioni, assunzione, valutazione delle prove,
relazione tenuta a Roma il 2/3/1999 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 31 ss.
246
Cfr. CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della
prova; la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 33.

49
l’ingresso della prova atipica nel processo civile non può che essere effettuato con lo
strumento della produzione documentale, e deve conseguentemente soggiacere ai limiti
temporali posti a pena di decadenza ed alla possibilità ex adverso di replicare, interloquire e
controdedurre247, ciò che è peraltro confermato dalla giurisprudenza richiedendo la
produzione del documento integrante la prova atipica, nel rispetto delle preclusioni
istruttorie248. All’evidenza, secondo quanto già più sopra ricordato in termini generali per tutte
le prove documentali, resta ferma la possibilità per il Giudice di valutare rilevanza ed
ammissibilità della prova atipica ai fini della sua utilizzabilità, non anche di espungerla
materialmente dal fascicolo.
Detto quindi che non si dubita dell’ammissibilità delle prove atipiche e della loro
parificazione alle prove documentali per l’ingresso nel processo, la questione realmente
rilevante è quella relativa alla loro efficacia probatoria, che è comunemente indicata come
relativa a presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. od argomenti di prova249, pur se è stato
osservato che la dottrina sembra più prudente della giurisprudenza nel valorizzarne l’efficacia
probatoria250.
Prima di operare una breve rassegna delle principali prove atipiche conosciute
dall’esperienza giurisprudenziale, va segnalato come sia sostanzialmente impossibile
ricondurre concettualmente ad unità tali prove.
Invero, alcune di esse si caratterizzano per il fatto che l’atipicità dipende dalla circostanza che
la prova, pur se astrattamente tipica, è stata raccolta in una sede diversa da quella ove viene
adoperata (si pensi alla testimonianza resa in un processo penale ed utilizzata in un processo
civile); altre sono connotate dall’utilizzo di mezzi probatori tipici con una finalità diversa da
quella che tradizionalmente è loro riservata (si pensi ai chiarimenti resi dalle parti al CTU ed
alle informazioni da lui assunte presso i terzi); in altre ancora, l’atipicità dipende dalla stessa
fonte probatoria, e cioè dalla modalità con cui la prova viene acquisita al giudizio (si pensi
alle dichiarazioni scritte provenienti da persone che potrebbero essere assunte come testi, od
alle valutazioni tecniche delle perizie stragiudiziali che potrebbero essere effettuate in sede di
CTU).

6.2 Il catalogo delle prove atipiche


Diverse sono le fattispecie nelle quali la giurisprudenza ritiene processualmente
rilevanti ipotesi di prove atipiche251.

MONTESANO, Le prove atipiche nelle ‘presunzioni’ e negli ‘argomenti’ del Giudice civile, in Riv. Dir. Proc.,
1980, 233 ss.
247
Cfr. A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione
della prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad
un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 31.
248
Cfr. Cass. n. 7518/2001, Cass. n. 12422/2000, Cass. n. 2616/1995, Cass. n. 623/1995, Cass. n. 12091/1990,
Cass. n. 5792/1990.
249
In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 18131/2004, Cass. n. 12763/2000, Cass. n. 8/2000, Cass. n. 4821/1999, Cass.
n. 11077/1998, Cass. n. 4667/1998, Cass. n. 1670/1998, Cass. n. 624/1998, Cass. n. 4925/1987, Cass. n.
4767/1984, Cass. n. 3322/1983.
In dottrina, cfr. CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 31-33; TARUFFO, Prove atipiche e libero convincimento del
Giudice, in Riv. Dir. Processuale, 1973, 397 ss.
250
Così RICCI, Prove atipiche, argomenti di prove e presunzioni, relazione tenuta a Roma il 9/5/2000 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 10 ss.
251
Cfr. CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 33 ss.;

50
a. Scritti provenienti da terzi a contenuto testimoniale) A differenza di quanto
previsto dall’art. 283 del codice di rito del 1865, l’attuale codice civile non prevede tra le
prove la scrittura attribuita a terzi; pertanto, la stessa, non essendo assimilabile alla scrittura
privata, non è soggetta alla disciplina sostanziale dell’art. 2702 c.c., non avendo l’efficacia
probatoria legale della scrittura privata, né è soggetta alla disciplina processuale degli artt.
214-215 c.p.c., non dovendo essere disconosciuta e non essendo necessaria impugnarla per
falsità252, potendosi invece con qualsiasi mezzo di prova contestarne il contenuto.
Conseguentemente, tali scritti di terzi non sono idonei a costituire, di per sé soli, fonte di
convincimento del Giudice.
Tuttavia, la giurisprudenza è costante nel ritenere che le dichiarazioni a contenuto
testimoniale comprese in detti documenti, in difetto di contestazione ad opera della parte
contro cui sono prodotte ed in concorso con altri elementi, possono essere liberamente
apprezzate nel loro valore indiziario dal Giudice, ben potendo integrare fonte del suo
convincimento253.
In tutta evidenza, laddove poi il terzo sia chiamato alla conferma testimoniale del contenuto
del documento, non si potrà parlare di scrittura privata riconosciuta, non essendo il
documento riferibile alla controparte bensì appunto ad un terzo, ma nemmeno di mero indizio,
in ragione della conferma testimoniale: in tal caso, si avrà una normale prova testimoniale,
come tale valutabile dal Giudice.
b. Verbali di prove espletate in altri giudizi) Nel rito processualcivilistico manca
una norma come quella dell’art. 238 c.p.p., che nel processo penale disciplina in modo
generale l’acquisizione di verbali di prove di altro procedimento, conferendo loro, laddove
esse siano state formate in processi in cui l’imputato era parte, dignità di piena prova anche
nel processo penale nel quale trovano ingresso.
Nel processo civile, invece, l’unica norma di riferimento è quella specificamente posta
dall’art. 310 comma 3 c.p.c. con riferimento al valore indiziario delle prove raccolte in un
processo estinto. Tuttavia, sulla base di tale disposizione, è stato enucleato un principio
generale per il quale i verbali di prove espletate in altri giudizi civili, in giudizi penali od
amministrativi, compresi gli accertamenti di natura tecnica-peritale, hanno valore di mero
indizio, prescindono dalla circostanza che la prova sia stata raccolta in un processo tra le

CONTE, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 4/6/1998 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 16 ss.;
MUNARO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 21/6/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 9 ss.
252
Cfr. Cass. n. 12066/1998.
253
Cfr. Cass. n. 6620/2008, Cass. n. 26090/2005, Cass. n. 14122/2004, Cass. n. 4666/2003, Cass. n. 2149/2002,
Cass. n. 11946/2002, Cass. n. 11105/2001, Cass. n. 15027/2000, Cass. n. 12763/2000, Cass. n. 10041/2000,
Cass. n. 4503/2000, Cass. n. 2668/2000, Cass. n. 2066/1998, Cass. n. 9902/1998, Cass. n. 6258/1996, Cass. n.
482/1995, Cass. n. 4719/1987, Cass. n. 4295/1987.
In particolare, nella sentenza di Cass. n. 2668/2000, la Suprema Corte, con riferimento ad una lettera di
inequivocabile contenuto scritta dall’amante al marito della ricorrente, ha ritenuto provata l’esistenza di una
relazione extraconiugale del marito in pendenza di matrimonio.

51
stesse od altre parti254 e possono essere vagliate dal Giudice senza che egli sia vincolato dalla
valutazione fatta dal Giudice della causa precedente255.
Nel caso di prova assunta in un giudizio straniero, non essendo la fattispecie regolata dalla L.
n. 218/1995, è stato convincentemente sostenuto che occorre preliminarmente valutare la
compatibilità del mezzo di prova con i principi dell’ordinamento, così come indirettamente
desumibile dagli artt. 64 e 69 comma 4 L. n. 218/1995, e soltanto in caso di esito positivo
vagliare il valore indiziario256.
Ovviamente, del tutto diversa è la situazione della riassunzione della causa civile davanti al
Giudice competente a seguito di provvedimento ex art. 50 c.p.c.: in tal caso, gli atti istruttori
disposti ed espletati dal Giudice dichiarato poi incompetente, mantengono la propria efficacia
probatoria ordinaria, in quanto la traslatio iudicii presuppone la valida costituzione dell’intero
procedimento e la mera prosecuzione della controversia davanti ad altro Giudice257.
c. Atti dell’istruttoria penale od amministrativa) Relativamente agli atti assunti nel
corso del procedimento penale da parte del PM personalmente o tramite la polizia giudiziaria
(quali ad esempio le informative della PG relative agli incidenti stradali), ai verbali di
accertamento amministrativo (quali ad esempio quelli degli ispettori del lavoro o dei
funzionari degli enti previdenziali-assistenziali), agli atti e certificati amministrativi (quali
quelli anagrafici e catastali), va osservato che essi per un verso non sono atti propri di un
processo dibattimentale, ma per altro verso sono atti formati da pubblici ufficiali.
Pertanto, come tali fanno fede sino a querela di falso della provenienza dal pubblico ufficiale
che li ha firmati e dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o
essere stati da lui compiuti, mentre le altre circostanze, quali le dichiarazioni raccolte, sono
soggette al prudente apprezzamento del Giudice e possono essere controbattute con qualsiasi
prova258.
d. Chiarimenti resi al CTU, informazioni da lui assunte e risposte eccedenti il
mandato) Quanto poi all’efficacia probatoria dei chiarimenti resi dalle parti al CTU e dalle
informazioni da lui assunte da terzi, si rileva che i chiarimenti resi non hanno valore
confessorio o negoziale, mentre le informazioni assunte non possono essere considerate vere e
proprie prove testimoniali. In un caso e nell’altro, si è in presenza di elementi aventi valore
meramente indiziario di argomento di prova, rientranti nella categoria delle prove atipiche259.

254
Cfr. Cass. n. 4239/2008, Cass. n. 19457/2004, Cass. n. 244/2003, Cass. n. 7518/2001, Cass. n. 6347/2000,
Cass. n. 4122/2000, Cass. n. 653/1999, Cass. n. 2616/1995, Cass. n. 9630/1994, Cass. n. 4763/1993, Cass. n.
5792/1990, Cass. n. 3776/1987, Cass. n. 826/1983.
Con specifico riferimento alle prove assunte in un processo penale, cfr. poi Cass. n. 15181/2003, Cass. n.
3102/2002, Cass. n. 16069/2001, Cass. n. 12422/2000, Cass. n. 6437/2000, Cass. n. 8585/1999, Cass. n.
1670/1998, Cass. n. 1780/1998, Cass. n. 624/1998, Cass. n. 7009/1997, Cass. n. 4684/1997, Cass. n. 623/1995.
Con riferimento infine ad una relazione tecnica formata in un altro processo, cfr. Cass. n. 5682/2001, Cass. n.
12422/2000, Cass. n. 8585/1999 e Cass. n. 2839/1997.
255
Cfr. Cass. n. 3102/2002, Cass. n. 7713/2002, Cass. n. 6347/2000, Cass. n. 624/1998, Cass. n. 4763/1995,
Cass. n. 4763/1993, Cass. n. 1032/1986.
256
CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 36 e CONTE, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 4/6/1998 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 19.
257
Per tutte, cfr. Cass. n. 9344/1993.
258
Giurisprudenza pacifica a partire da Cass. Sez. Un. n. 12545/1992. Ex pluribus, cfr. Cass. n. 1124/2005, Cass.
n. 19833/2003, Cass. n. 9620/2003, Cass. n. 9963/2002, Cass. n. 3257/2001, Cass. n. 1786/2000, Cass. n.
1133/2000, Cass. n. 8659/1999, Cass. n. 3973/1998, Cass. n. 12782/1997, Cass. Sez. Un. n. 916/1996.
259
Cfr. FAROLFI, I poteri istruttori del Giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione tenuta a
Roma il 10/5/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 34;
SURIANO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della prova, con
particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 15/5/2002 ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 25.

52
Parimenti, nel caso di accertamenti e risposte fornite dal consulente oltre l’ambito dei quesiti
affidatigli, pur in materia attinente e comunque non estranea all’oggetto dell’indagine peritale,
dottrina260 e giurisprudenza261 parlano di argomenti di prova, ed in particolare di prova
atipica, non dubitandosi della possibilità per il giudice del merito di trarre elementi di
convincimento anche dalla parte di consulenza d’ufficio eccedente i limiti del mandato, ma
non sostanzialmente estranea all’oggetto dell’indagine in funzione della quale è stata disposta.
e. Perizie stragiudiziali) Si tratta di accertamenti giurati, posti in essere da tecnici al
di fuori del giudizio, che come tutti i documenti preesistono al processo, ma che all’evidenza
vengono formati al fine di un utilizzo nell’ambito di un instaurando giudizio.
Vi è concordia nel ritenere che, anche in questo caso, si debba parlare di valore indiziario
discrezionalmente valutato dal Giudice262, senza che possa parlarsi di piena efficacia
probatoria nemmeno per i fatti che il perito asserisce di avere accertato263; e con la necessità
da parte del Giudice stesso, laddove utilizzi la perizia stragiudiziale ai fini della decisione, di
indicare le ragioni per le quali ha ritenuto la stessa attendibile e convincente, anche in
relazione ad elementi di diversa provenienza264.
Nessun dubbio vi è però sul fatto che la parte che abbia prodotto la perizia giurata, possa
dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal consulente,
le quali, se confermate, diverranno prova testimoniale, che come tale dovrà essere valutata dal
Giudice.
f. Sentenze di altri processi e sentenze di patteggiamento) E’ noto che la sentenza
penale di condanna, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., ha efficacia di giudicato nel processo civile o
amministrativo, “nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si
sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale”, quando “si controverte intorno a un
diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi
fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati
ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni
alla prova della posizione soggettiva controversa”.
Al di fuori di tale ipotesi, il Giudice civile può comunque trarre elementi di giudizio
dalle sentenze pronunciate in altro processo, con riferimento alle risultanze dei mezzi di prova
esperite e alle affermazioni di fatti265.
Quanto alla sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.c., spetta al Giudice il potere-
dovere di accertare e valutare in via autonoma i fatti di causa per trarre elementi di giudizio,
sottoponendo la sentenza a vaglio critico266. Detta sentenza, pur ontologicamente diversa da
una vera e propria pronuncia di condanna, non impedisce che, alla stregua dei pacifici principi
generali, possa procedersi, nel corrispondente giudizio in sede civile ed ai fini della relativa
decisione, all’accertamento autonomo ed incidentale dei fatti illeciti del giudizio penale; e che
tale accertamento autonomo ed incidentale del giudice civile possa fondarsi sulla stessa
sentenza di patteggiamento, quale “indiscutibile elemento di prova che ben può essere
260
Cfr. FAROLFI, I poteri istruttori del Giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione tenuta a
Roma il 10/5/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 33;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 48.
261
Cfr. Cass. n. 11594/2004, Cass. n. 5965/2004, Cass. n. 117/2000, Cass. n. 14272/1999, Cass. Lav. n.
202/1995, Cass. Lav. 1374/1993, Cass. n. 11048/1991, Cass. n. 1223/1990, Cass. n. 6514/1980, Cass. n.
3780/1980.
262
Cfr. Cass. n. 5544/1999, Cass. n. 2574/1992.
263
Cfr. Cass. n. 4437/1997.
264
Cfr. Cass. n. 4186/2004, Cass. n. 2574/1992.
265
Cfr. Cass. n. 11773/2002, Cass. n. 2200/2001, Cass. n. 13889/1999, Cass. n. 4821/1999, Cass. n. 4763/1993,
Cass. n. 4949/1987.
266
Cfr. Cass. n. 2361/2004.

53
utilizzato, anche in via esclusiva, per la formazione del proprio convincimento, dal giudice di
merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le
ragioni per le quali l’imputato abbia ammesso una sua insussistente responsabilità ed il
giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione” ritenendo di non procedere al
proscioglimento ex art. 129 c.p.p.267

6.3 Le prove illegittime


Dalla prova atipica va distinta la prova illegittima, perché mentre la prima è quella non
prevista dall’ordinamento, la seconda è quella effettivamente prevista dalla legge, ma
acquisita nel processo al di fuori delle regole stabilite dal diritto sostanziale (si pensi
all’assunzione testimoniale di un tese incapace) o processuale (quale ad esempio un mezzo di
prova assunto senza che una delle parti sia stata ritualmente notiziata).
Per dette prove vale il criterio di assoluta inutilizzabilità, non avendo cittadinanza nel
nostro ordinamento il brocardo latino male captum bene retentum268.
Pertanto, si è così ad esempio esclusa l’utilizzabilità delle prove acquisite in violazione degli
artt. 2-4 L. n. 300/1970269.

6.4 Le dichiarazioni sostitutive dell’atto notorio


Parimenti, per la consolidata giurisprudenza di legittimità, nessuna rilevanza
probatoria, nemmeno indiziaria, può avere la dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà ex
art. 4 L. n. 15/1968, la quale ha attitudine certificatoria e probatoria, sino a prova contraria,
solo nei confronti della PA ed in determinate attività o procedure amministrative.
In difetto di diversa, specifica previsione di legge, nessuna rilevanza probatoria può infatti
essere attribuita a tale autocertificazione nel giudizio civile, caratterizzato dal principio
dell’onere della prova: ciò in quanto la parte non può derivare elementi di prova a proprio
favore, ai fini del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 c.c., da proprie dichiarazioni
e sul rilievo che, diversamente opinando, si ammetterebbe, in contrasto con gli artt. 233 ss
c.p.c., un giuramento decisorio non deferito dalla controparte, unica cui l’ordinamento
attribuisce la facoltà di sceglierne il rischio270.

267
Cfr. il testo di Cass. n. 20765/2005, Cass. n. 3626/2004 e Cass. n. 4193/2003, che richiamano a conferma del
dictum anche i precedenti di Cass. n. 2724/2001, Cass. n. 15572/2000, Cass. n. 11301/1998, Cass. n. 9976/1998,
nonché di Corte Cost. n. 394/2002 e Corte Cost. n. 499/1995; cfr. altresì, in termini, Cass. n. 23612/2004, Cass.
n. 5832/2001, Cass. n. 6347/2000, Cass. n. 909/1999, Cass. n. 5784/1998, Cass. n. 624/1998.
Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Ivrea sentenza 7/12/2005 n. 101/2005 (in Massimario di
Giurisprudenza del Lavoro, 3/2006, 118).
268
Cfr. CARRATO, La prova documentale, relazione tenuta a Roma il 8/5/2000 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 32;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 33;
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 27.
269
Cfr. Cass. n. 2813/1989.
270
Cass. n. 6132/2008, Cass. n. 26937/2006, Cass. n. 5321/2006, Cass. n. 21328/2004, Cass. n. 15306/2004,
Cass. n. 7299/2004, Cass. n. 1562/2004, Cass. n. 4493/2003, Cass. n. 3413/2003, Cass. n. 7966/2001, Cass. n.
6742/2001, Cass. n. 1777/2001, Cass. Sez. Un. n. 10153/1998.

54
7. LA VALUTAZIONE DELLE PROVE

7.1 Prove legali come limite al principio del libero convincimento


del Giudice
La norma cardine del sistema di valutazione delle prove è rappresentata dall’art. 116
c.p.c., il quale sancisce in via generale il principio del libero convincimento del Giudice (“il
Giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento”), ma chiarisce che
tale principio del libero convincimento non opera nel caso particolare dato dalla presenza di
prove legali (“salvo che la legge disponga altrimenti”).
Invero, pur se la relazione tra libero convincimento e prova legale è codificata secondo
il rapporto tra regola ed eccezione, permangono certamente nel nostro ordinamento rilevanti
ipotesi di prove legali, cioè di strumenti di prova la cui efficacia è predeterminata in astratto
dal legislatore, senza possibilità di una diversa valutazione in concreto da parte del Giudice,
quali ad esempio confessione, giuramento, atto pubblico e scrittura privata271.
E’ opinione condivisa quella per la quale le prove legali sono residui di epoca passata,
essendo la loro previsione storicamente fondata sulla sfiducia nei confronti del Giudice e della
sua capacità di valutare prudentemente le prove. Ciò posto, è certamente esatto dire che tali
prove offrono il vantaggio di una maggior certezza del diritto e di una semplificazione
istruttoria, a scapito peraltro di una più approfondita ricerca della giustizia del caso concreto,
ponendo limiti alla possibilità delle parti di provare fatti magari oggettivamente veri272.
Si suole distinguere tra prove legali negative e positive.
Le prime sono volte a limitare la facoltà del Giudice di ammettere o riconoscere valore
probatorio a determinate prove (cfr. ad esempio gli artt. 2721-2726 c.c. circa i limiti alla prova
testimoniale).
Le prove legali positive sono invece quelle che impongono al Giudice di attribuire valore
privilegiato a determinate fonti di prova (cfr. gli artt. 2700 e 2702 c.c. circa il valore
probatorio di atto pubblico e scrittura privata, nonché l’art. 2733 c.c. per il valore probatorio
della confessione). Ciò comporta l’impossibilità di offrire la prova contraria alle risultanze
della prova legale, a meno che si provochi la formazione di una prova legale contraria, quale
quella risultante dalla confessione mediante interrogatorio formale o dal giuramento273. Solo
infatti dinanzi a due o più prove legali dotate della medesima valenza probatoria, viene in

271
Secondo Cass. Sez. Un. n. 27337/2008, il catalogo delle prove legali previste dall’ordinamento civilistico è
rappresentato dagli artt. 2700, 2702, 2705, 2709, 2712, 2713, 2714, 2715, 2720, 2733, 2734, 2735, 2738 c.c.,
nonché dall’art. 239 c.p.c.
In tema, cfr. CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione
della prova; la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 55;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo covile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta a Roma il 18/6/2003 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
12 e ss.
272
Così CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della
prova; la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 55; e ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione,
acquisizione, assunzione e valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 18/6/2003 ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 11.
273
Cfr. LOMBARDO, Riflessioni sull’attualità della prova legale, in Riv. Trim. Dir. Proc., 1992, 611.

55
rilievo la possibilità di un apprezzamento del Giudice, che deve dare credito a quella ritenuta
più convincente274.
Circa in particolare la confessione, va ricordato che secondo la giurisprudenza, alle
ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti dal procuratore ad litem ben può essere
attribuito valore confessorio riferibile alla parte, quando quegli scritti rechino anche la
sottoscrizione della parte stessa, in calce o a margine dell’atto, dovendo presumersi che la
parte abbia avuto la piena conoscenza di quelle ammissioni e ne abbia assunto anch’essa la
titolarità; viceversa, le ammissione contenute negli atti difensivi sottoscritti unicamente dal
procuratore ad litem, non hanno il valore confessorio privilegiato della prova legale, ma
costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili ed apprezzabili dal Giudice per la
formazione del proprio convincimento275.

7.2 Prove libere come espressione del principio del libero


convincimento del Giudice
Se la prova legale è quella che è stata sottoposta dal legislatore ad una aprioristica
valutazione della sua efficacia, la prova libera è quella la cui efficacia non è cristallizzata o
determinata a priori dall’ordinamento, ma è stata rimessa al prudente apprezzamento del
Giudice, che la valuta sul piano concreto e particolare con il supporto della ragione e
dell’esperienza276.
E’ stato osservato che la regola integrata dalla prova libera, è quella che consente al Giudice
una valutazione del materiale istruttorio a critica libera, essendo autorizzato ad operare una
valutazione secondo il suo prudente apprezzamento; mentre l’eccezione, integrata dalla prova
legale, confina il Giudice in un ambito di critica vincolata del materiale probatorio, essendo
già stato operato a priori dal legislatore l’apprezzamento dell’efficacia probatoria del mezzo
di prova277.
In particolare, nel procedimento di valutazione della prova libera, il prudente apprezzamento
del Giudice consiste nel “corretto uso di massime logiche ed esperienza”278, e, pur se non è
possibile fissare regole formali per l’attività di valutazione279, è comunque possibile elencare
alcuni criteri che devono guidare tale apprezzamento.

274
Cfr. Cass. n. 12401/1997 relativamente all’ipotesi di documenti facenti fede fino a querela di falso e di tenore
contrastante.
275 Cfr. Cass. n. 21517/2008, Cass. n. 2306/2008, Cass. n. 15062/2005, Cass. n. 2469/2003, Cass. n. 6750/2003,
Cass. n. 1112/2003, Cass. n. 15760/2001, Cass. n. 7561/2001, Cass. n. 4727/2001, Cass. n. 2894/1999, Cass. n.
2849/1998, Cass. n. 6909/1997, Cass. n. 12096/1995, Cass. n. 12830/1992, Cass. n. 7764/1991, Cass. n.
7675/1987.
276
Cfr. A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione
della prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad
un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 23;
TARUFFO, La valutazione della prova. Prova libera e prova legale. Prove e argomenti di prove, in Quaderni
del CSM, 1999, n. 108, 423.
277
Cfr. COMOGLIO, Poteri delle parti e ruolo del Giudice nella fase istruttoria del processo civile ordinario, in
Quaderni del CSM, 1999, n. 108, 218.
278
ANDRIOLI, Commentario al codice di procedura civile, I, Napoli, 1957, 337.
279
PATTI, Libero convincimento e valutazione delle prove, in Rivista di Diritto processuale, 1985, 481.

56
Innanzitutto, in base al principio di acquisizione280, deve ritenersi che tutte le
risultanze istruttorie, qualunque sia la parte ad iniziativa della quale sono state assunte,
concorrono indistintamente alla formazione del libero convincimento del giudice281, “senza
che la loro provenienza possa condizionare tale decisione in un senso o nell’altro, e senza
che possa escludersi l’utilizzabilità di una prova fornita da una parte per trarne argomenti
favorevoli alla controparte”282. Ciò spiega perché, una volta ammessa una prova, per la
rinuncia al suo espletamento, ex art. 245 c.p.c., occorre l’adesione di controparte, oltre che il
consenso del Giudice; e perché è facoltà della parte chiedere al Giudice, ex art. 208 comma 1
c.p.c., l’assunzione della prova dedotta dall’avversario non comparso.
Quanto poi alla modalità di formazione del libero convincimento del Giudice, va
affermato che, al di fuori della prova legale, non esiste nel nostro ordinamento una gerarchia
delle prove per la quale i risultati di alcune debbano prevalere nei confronti di altri dati
probatori283, essendo piuttosto vero che il Giudice è libero di scegliere gli elementi di prova
dai quali trarre il proprio convincimento284.
Un ulteriore importante aspetto del libero convincimento si rinviene nel potere del
Giudice di arrestare l’istruzione quando gli elementi raccolti sono ritenuti sufficienti285.
Una volta formatosi, il convincimento del Giudice deve però essere esplicitato in
motivazione, dando conto del perché sono stati ritenuti più attendibili o comunque preferibili
alcuni elementi probatori rispetto ad altri. Tuttavia, la giurisprudenza ormai da anni
consolidata, ha chiarito che non è necessaria una comparazione analitica di tutte le prove
raccolte, essendo sufficiente il riferimento alle prove poste alla base della decisione, senza
necessità di specifica confutazione espressa di ogni argomentazione e rilievo contrari,
dovendosi ritenere disattesa per implicito ogni prova non menzionata in modo specifico ed
incompatibile con la decisione adottata286. Pertanto, secondo una recentissima pronuncia delle
Sezioni Unite, “non si richiede al Giudice merito dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di
tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire

280
Sul principio di acquisizione, cfr.:
BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 23;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 4 e 25;
RAZETE, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 15/5/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 13;
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 7;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
3 e 9.
281
Cfr., ex pluribus e tra le più recenti, Cass. n. 10847/2007, Cass. n. 1112/2003, Cass. n. 15408/2004, Cass. n.
16092/2002, Cass. n. 11911/2002, Cass. n. 15312/2000, Cass. n. 11559/2000, Cass. n. 5126/2000, Cass. n.
9592/1998, Cass. n. 5980/1998.
282
BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 23.
283
Cfr. Cass. n. 2394/2008, Cass. n. 9245/2007, Cass. n. 14972/2006, Cass. n. 6970/2003, Cass. n. 1747/2003,
Cass. n. 6347/2000, Cass. n. 4687/1999.
284
Cfr. Cass. n. 10869/1998, Cass. n. 5925/1994, Cass. n. 2498/1994.
285
Tra le tante, cfr. Cass. n. 6519/2004, Cass. n. 18719/2003, Cass. n. 11011/2000.
286
Cfr. Cass. n. 24331/2007, Cass. n. 14972/2006, Cass. n. 13441/2004, Cass. n. 12912/2004, Cass. n.
16087/2003, Cass. n. 7058/2003, Cass. n. 16034/2002, Cass. n. 6765/2002, Cass. n. 5964/2001, Cass. n.
5869/2001, Cass. n. 6023/2000, Cass. n. 10896/1998, Cass. n. 9384/119955, Cass. n. 8198/1994, Cass. n.
6868/1994.

57
un’adeguata motivazione logica dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee
e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse”287.
Conviene per concludere fare solo un cenno alla tematica dell’onere della prova,
evidenziando come il principio generale codificato dall’art. 2697 c.c., che deve guidare il
giudice nella valutazione delle risultanze istruttorie e nella decisione, soffra di alcune
eccezioni, normative o contrattuali.
Si parla infatti di inversione di onere della prova sia nelle ipotesi specificamente disciplinate
dal legislatore, quali quelle di cui agli artt. 2047 ss. c.c.; sia nelle ipotesi pattiziamente
concordate288, con l’osservanza peraltro dei limiti di cui all’art. 2698 c.c., che esclude
l’ammissibilità, sancendone la nullità, dei patti di inversione dell’onere della prova nel caso di
diritti indisponibili e nel caso si renda ad una parte eccessivamente difficile l’esercizio del
diritto.
Peraltro, deve essere sottolineato che l’unanime giurisprudenza289 ha chiarito che la pattizia
inversione dell’onere della prova non scaturisce dal mero comportamento processuale della
parte che offra spontaneamente di provare fatti che non ha l’onere di provare; ma richiede
invece un’inequivocabile manifestazione volta ad assumere un onere probatorio a sé non
spettante, rinunciando ai benefici ed ai vantaggi che derivano dal principio che regola la
distribuzione dell’onere probatorio ed accettando di subire le conseguenze dell’eventuale
fallimento della prova dedotta od offerta.

7.3 Le presunzioni
In sede di valutazione delle prove, ben può essere che il Giudice si trovi nelle
condizioni di dovere apprezzare non i fatti direttamente rilevanti per la decisione della causa,
bensì altri fatti, dai quali si possa risalire ai primi sulla base di tipici ragionamenti logici.
Si parla in tal caso di presunzioni, definite unitariamente dal codice come “le conseguenze
che la legge o il Giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto”, regolate dal
codice stesso agli articoli 2727-2729 c.c.290 e relativamente alle quali si suole distinguere tra
presunzioni legali assolute, legali relative e semplici.

287
Cass. Sez. Un. n. 7930/2008.
Conforme le precedenti Cass. n. 2272/2007, Cass. n. 14972/2006, Cass. n. 14075/2002.
288
Sull’inversione pattizia dell’onere della prova, cfr. Cass. n. 4211/1998, Cass. n. 1070/1994, Cass. n.
3167/1988, Cass. n. 5141/1986, Cass. n. 3796/1984.
289
Per tutte, cfr. tra le ultime Cass. n. 14306/2005, Cass. n. 17573/2002, Cass. n. 860/2000 e Cass. n. 4211/1998.
290
Sul punto, cfr. BARBAGALLO, in Le prove, a cura di Cendon, Torino, 2007, 145 ss.;
BONIFACIO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 7/6/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 24 ss.;
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova; la
decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 61-62;
MERZ, Manuale pratico della prova civile, Padova, 2008, 195-210;
MUNARO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 21/6/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 27-32;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 28-29;
SCIONTI, La prova orale: la prova testimoniale e presuntiva, relazione tenuta a Roma il 27/11/2001 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 2-9;
TRONCONE, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 10/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 31-34;

58
Le presunzioni legali assolute, ossia iure et de iure, sono prefissate dalla legge in
schemi rigidi che non prevedono la prova contraria291.
E’ stato osservato che più che sul piano probatorio, le presunzioni assolute operano sul piano
sostanziale, “nel senso di fissare un’equipollenza tra fatto produttivo di un dato effetto ed
altro fatto dalla legge equiparato”292.
Le presunzioni legali relative, ossia iuris tantum, sono prefissate dalla legge in schemi
parzialmente rigidi, in quanto da un lato dispensano la parte dall’onere della prova, ma
dall’altro ammettono la prova contraria293, pur se talvolta solo con limitazioni294.
Esse, in buona sostanza, si risolvono in un diverso modo di operare dell’onere probatorio,
tramite l’inversione della tradizionale regola di riparto.
Le presunzioni semplici, ovvero presunzioni hominis, sono ragionamenti logici che
consentono di desumere l’esistenza di un fatto ignoto muovendo da un fatto noto,
ragionamenti lasciati al libero apprezzamento del Giudice, ma che ai sensi dell’art. 2729 c.c.
devono essere corredati dai caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Ciò peraltro non significa che la presunzione possa essere ammessa soltanto allorché il fatto
ignorato sia l’unica conseguenza possibile del fatto noto, essendo sufficiente un rapporto di
probabilità logica tra i due fatti secondo un criterio di normalità alla stregua dell’id quod
plerumque accidit295.
La consolidata posizione giurisprudenziale esclude invece che si possa risalire al fatto
ignorato sulla scorta di una serie consecutiva di presunzioni, cioè ponendo il fatto accertato
per effetto di presunzione a fondamento di un nuovo ragionamento presuntivo, ostando a ciò
il divieto di praesumptio de praesumpto296.
La Suprema Corte, nonostante le critiche della dottrina, ha invece ritenuto possibile fondare la
decisione su di un unico elemento presuntivo, purché non contrastato da altro ragionamento
presuntivo di segno contrario. Ne consegue che il requisito della concordanza, che postula una

ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
13-14.
291
Tra gli altri, cfr. artt. 596-599 in tema di successioni, art. 232 c.c. in tema di filiazione, art. 238 c.c. in tema di
atto di nascita conforme al possesso di stato, artt. 880 e 881 c.c. in tema di comunione del muro divisorio, artt.
897-899 in tema di comunioni di fossi, siepi e alberi.
292
MUNARO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 21/6/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 27.
Cfr. anche FABBRINI TOMBARI, Note in tema di presunzioni legali, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1991, 917
ss.; SCIONTI, La prova orale: la prova testimoniale e presuntiva, relazione tenuta a Roma il 27/11/2001 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 8.
293
Tra gli altri, cfr. art. 1141 c.c. in tema di mutamento della detenzione in possesso, art. 1147 c.c. in tema di
possesso di buona fede, art. 1335 c.c. in tema di proposta-accettazione-revoca del contratto, art. 1588 c.c. in tema
di perdita e deterioramento della cosa locata, art. 1611 c.c. in tema di incendio di cosa locata, art. 1709 c.c. in
tema di onerosità del mandato, art. 1767 c.c. in tema di gratuità del deposito, art. 2600 c.c. in tema colpa nella di
concorrenza sleale, art. 2706 c.c. in tema di assenza di colpa del mittente nella riproduzione del telegramma.
294
Cfr. presunzione di paternità di cui all’art. 231 c.c., che ammette la prova contraria solo nelle ipotesi di cui
all’art. 235 c.c.
295
Cfr. Cass. n. 2394/2008, Cass. Lav. n. 154/2006, Cass. n. 13169/2004, Cass. n. 11196/2003, Cass. n.
4472/2003, Cass. n. 4/2003, Cass. n. 9884/2002, Cass. n. 6340/2002, Cass. n. 4168/2001, Cass. n. 15266/2000,
Cass. n. 2605/2000, Cass. n. 9782/1999, Cass. n. 2700/1997, Cass. Sez. Un. n. 9961/1996, Cass. n. 701/1995,
Cass. n. 564/1995, Cass. n. 10613/1994, Cass. n. 6954/1994, Cass. n. 1009/1994, Cass. n. 9583/1992, Cass. n.
7189/1992, Cass. n. 9717/1991, Cass. n. 644/1990, Cass. n. 4878/1989, Cass. n. 1621/1989, Cass. n. 1787/1987,
Cass. n. 4376/1982, Cass. n. 1301/1982, Cass. n. 597/1981.
296
Cfr. Cass. n. 10208/2007, Cass. n. 793/2004, Cass. n. 5045/2002, Cass. n. 2612/2001, Cass. n. 8180/1996,
Cass. n. 12023/1995, Cass. n. 1044/1995, Cass. n. 9265/1995, Cass. n. 2413/1995, Cass. n. 1044/1995, Cass. n.
3593/1994, Cass. n. 11013/1993, Cass. n. 7234/1990, Cass. n. 2617/1989, Cass. n. 796/1989, Cass. Sez. Un. n.
2639/1987, Cass. n. 934/1986, Cass. n. 7557/1986, Cass. n. 4688/1986, Cass. n. 4839/1986, Cass. n. 5306/1983,
Cass. n. 3306/1983, Cass. n. 560/1982, Cass. n. 3194/1980.

59
pluralità di presunzioni, perde il carattere di requisito necessario, e finisce per essere elemento
eventuale della valutazione presuntiva, destinato ad operare unicamente in presenza di più
presunzioni297.
In ragione di quanto già più sopra visto circa la mancanza di un criterio di gerarchia delle
prove, la prova presuntiva ha poi un’efficacia non minore delle altre prove, con la consueta
eccezione della prova legale, e pertanto il convincimento del Giudice può fondarsi anche solo
su una presunzione, e su una presunzione che sia in contrasto con le altre prove acquisite, se
ritenuta tale da far ritenere inattendibili gli altri elementi di giudizio298.
Non va infine dimenticato che, giusto quanto disposto dall’art. 2729 comma 2 c.c., il potere
del Giudice di ricorrere alle presunzioni semplici, trova gli stessi limiti legali posti
all’ammissibilità delle prove testimoniali.

7.4 Gli argomenti di prova


Di argomenti di prova299 il legislatore parla in chiave generale nell’art. 116 comma 2
c.p.c., chiarendo che essi possono essere tratti dalle risposte rese dalle parti in sede di
interrogatorio libero ex art. 117 c.p.c., dal rifiuto a consentire le ispezioni ordinate ex art. 118
comma 2 c.p.c., comunque dal contegno processuale delle parti; ed in chiave particolare in
alcune norme processuali (cfr. artt. 185, 200, 232, 310, 420 c.p.c.), che rimandano alla
valutazione ex art. 116 comma 2 c.p.c. di determinate situazioni.
La categoria si rivela quindi estremamente eterogenea, comprendendo sia specifici
comportamenti normativamente previsti (quali le risposte all’interrogatorio libero ex art. 117
c.p.c., il rifiuto senza giustificato motivo ad acconsentire alle ispezioni ex art. 118 comma 2
c.p.c., l’ingiustificata mancata conoscenza dei fatti della causa da parte del procuratore al
tentativo di conciliazione ex art. 185 c.p.c., le dichiarazioni rese dalle parti al CTU ex art. 200
c.p.c., la mancata ed ingiustificata risposta all’interpello ritualmente rivolto ex art. 232 c.p.c.,
le prove raccolte in un processo estinto ex art. 310 comma 3 c.p.c., l’ingiustificata mancata
comparizione della parti all’udienza ex art. 420 c.p.c. prevista nel rito del lavoro); sia
comprendendo la clausola generale del contegno delle parti genericamente considerato ex art.
116 comma 2 c.p.c.
Pur se è opinione diffusa quella per la quale gli argomenti di prova sarebbero collocati
al gradino più basso di un’ipotetica scala dei valori probatori, in realtà, come ha

297
Cfr. Cass. n. 19088/2007, Cass. n. 4472/2003, Cass. n. 12060/2002, Cass. n. 491/2000, Cass. n. 4406/1999,
Cass. n. 914/1999, Cass. n. 4777/1998, Cass. n. 4078/1995, Cass. n. 5925/1994, Cass. n. 4833/1994, Cass. n.
1377/1993, Cass. n. 7084/1990, Cass. n. 170/1987, Cass. n. 4089/1978.
298
Cfr. Cass. n. 2394/2008, Cass. n. 9245/2007, Cass. n. 4743/2005, Cass. n. 15737/2003, Cass. n. 9370/2003,
Cass. n. 6970/2003, Cass. n. 9834/2002, Cass. n. 2157/2002, Cass. n. 1071/2002, Cass. n. 914/1999, Cass. n.
4777/1998, Cass. n. 4078/1995.
299
Sul tema, cfr. BONIFACIO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 7/6/2005 ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 30 ss.;
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova; la
decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 62-63;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 29-30;
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 22 ss..

60
convincentemente spiegato la più autorevole dottrina, a livello di struttura, l’argomento di
prova non è facilmente distinguibile dalle presunzioni300.
Consegue che, per la pacifica giurisprudenza, anche l’argomento di prova, così come già si è
visto per le presunzioni, può da solo essere sufficiente a fondare il convincimento del
Giudice301.

7.5 Le testimonianze de relato


Si ha deposizione de relato quando un teste narra fatti che non hanno formato oggetto
della sua diretta ed immediata percezione sensoriale, ma che sono invece stati riferiti da terze
persone, con la conseguenza che si tratta di una narrazione “di secondo grado”302.
E’ pacifico che la testimonianza de relato ha un’efficacia probatoria ben minore di quella
diretta, pur se è necessario al proposito distinguere tre differenti tipologie: la testimonianza
relativa a dichiarazioni fornite al teste da un terzo estraneo alla lite, la testimonianza relativa a
dichiarazioni a sé favorevoli rese al teste da una parte, la testimonianza relativa a
dichiarazioni a sé sfavorevoli rese al teste da un parte.
Nel caso di testimonianza relativa a dichiarazioni rese al teste da un terzo estraneo alla
lite, si parla genericamente di deposizione de relato. Tale testimonianza, integrando una prova
meramente indiziaria, può acquisire rilevanza attraverso il riscontro di altre circostanze
oggettive e concordanti che ne suffraghino la credibilità, ed in tal modo influenzare il
convincimento del Giudice303.
All’evidenza, ben è possibile, rispetto alla deposizione de relato, indurre come teste di
riferimento ex art. 257 comma 1 c.p.c. il terzo dal quale l’informazione è stata resa, onde
ottenere sul punto una testimonianza piena.
Nel caso di testimonianza relativa a dichiarazioni a sé favorevoli rese al teste da una
parte, si parla di deposizione de relato ex parte. Tale testimonianza, se considerata di per sé
sola e senza il conforto di altri elementi, non ha valore probatorio, nemmeno indiziario, e la
sua rilevanza processuale, in tal caso, “è sostanzialmente nulla”304, potendo peraltro spiegare

300
REDENTI, Dritto processuale civile, II, Milano, 1980, 189.
Cfr. anche CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione
della prova; la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 63.
301
Cfr. Cass. n. 12145/2002, Cass. n. 10268/2002, Cass. n. 10268/2002, Cass. n. 10758/2000, Cass. n.
7002/2000, Cass. n 6568/1998, Cass. n. 5333/1998, Cass. n. 2700/1997, Cass. n. 3822/1995, Cass. n. 193/1995.
302
Così MUNARO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 21/6/2005 ad un corso di formazione
per magistrati organizzato dal CSM, 33.
Sulla deposizione de relato, cfr. anche LAMORGESE, La prova testimoniale. La consulenza tecnica d’ufficio e
di parte, relazione tenuta a Roma il 28/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
25; RAZETE, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 15/5/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 143-144; SCODITTI,
La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 18-19.
303
Cfr. Cass. n. 7926/2004, Cass. n. 15166/2002, Cass. n. 4306/2001, Cass. n. 5526/1999, Cass. n. 43/1998,
Cass. n. 10603/1994, Cass. n. 1328/1991, Cass. n. 3636/1989, Cass. n. 5974/198, Cass. n. 7077/1986, Cass. n.
2718/1976.
304
In questi termini, per la giurisprudenza di Cassazione cfr. Cass. n. 8358/2007, Cass. n. 43/1998.
Per la giurisprudenza di merito, cfr. le recentissime Trib. Ivrea, sentenza 26/2/2008 n. 22/2008 (in Diritto e
Giustizia, sito internet del 20/3/2008) e Trib. Ivrea sentenza 19/3/2008 n. 41/2008 (in Diritto e Giustizia, sito
internet del 28/3/2008).

61
una qualche efficacia probatoria alla sola rigorosa condizione che circostanze oggettive o
soggettive ad essa estrinseche ne confortino la credibilità305.
Nel caso infine la testimonianza relativa a dichiarazioni a sé sfavorevoli rese al teste
da un parte, si parla di deposizione de relato ex parte contra se, la quale può integrare una
confessione stragiudiziale liberamente apprezzabile dal Giudice con valutazione ex art. 2735
c.c.

Gianluigi Morlini
Giudice del Tribunale di Ivrea

305
Cfr. Cass. n. 6620/2008, Cass. n. 8358/2007, Cass. n. 11844/2006, Cass. n. 2815/2006, Cass. n. 1109/2006,
Cass. n. 8370/2002, Cass. n. 4306/2001, Cass. n. 10297/1998, Cass. n. 9702/1996, Cass. n. 4618/1996, Cass. n
269/1996, Cass. n. 1328/1991, Cass. n. 1095/1990, Cass. n. 325/1990, Cass. n. 5974/1988, Cass. n. 1492/1987,
Cass. n. 7062/1986, Cass. n. 3755/1985.

62

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