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Fichte

A Fichte si deve l'inizio dell'idealismo, ovvero della massima espressione loso ca del
romanticismo. Egli infrange i limiti conoscitivi imposti da Kant e inaugura una nuova meta sica
dell'in nito, sostituendo all’io penso kantiano (principio di conoscenza che si scontra con
l'impossibilità di cogliere il noumeno, la cosa in sé) un io in nito, principio non soltanto del
conoscere umano, ma di tutta la realtà.

La speculazione di Fichte si innesta infatti sulle ri essioni dei cosiddetti "critici immediati di
Kant", un gruppo di pensatori che avevano appuntato le loro critiche sul concetto di noumeno.
Partendo dalla presunta contraddizione di base di Kant, il quale avrebbe dichiarato esistente e
nello stesso tempo inconoscibile la "cosa in sé", essi l'avevano a loro volta giudicata una
nozione loso camente inammissibile; il ragionamento generale a cui i critici immediati di Kant
erano pervenuti è il seguente: ogni realtà di cui siamo consapevoli esiste come rappresentazione
della coscienza, la quale funge, a sua volta, da condizione indispensabile del conoscere. Ma se
l’oggetto risulta concepibile solo in relazione a un soggetto che lo rappresenta, come può
venire ammessa l'esistenza di una cosa in sé, ossia di una realtà non pensata e non
pensabile, non rappresentata e non rappresentabile? Evidentemente la cosa in sé non può
con gurarsi se non come un concetto impossibile. Nonostante queste critiche mosse i
successori immediati di Kant e si muovono ancora in un orizzonte prevalentemente
gnoseologico. Il passaggio a un livello meta sico, che coincide con la nascita dell'idealismo
romantico, è opera dello stesso Fichte.

La parola "idealismo" presenta una moltitudine di signi cati. Nel linguaggio comune si dice
idealista colui che è attratto da determinati ideali o valori e che per essi può giungere persino a
sacri care la propria vita, in tal senso diciamo ad esempio che Mazzini e mazziniani fossero
idealisti. In loso a, invece, si parla di idealismo, in senso lato, a proposito di tutte quelle visioni
del mondo come ad esempio il platonismo e il cristianesimo che vanno a privilegiare la
dimensione ideale rispetta quella materiale e che a ermano il carattere spirituale della realtà delle
cose. Tuttavia, questa accezione, non ebbe molta fortuna, infatti in loso a la parola idealismo è
usata più per alludere alle varie forme di idealismo gnoseologico oppure romantico, o assoluto.

- Con l'espressione idealismo gnoseologico si indicano tutte quelle prospettive che niscono
per ridurre l'oggetto della conoscenza a idea o rappresentazione. In questa accezione il
termine idealismo serve a cogliere a torto o a ragione tutte quelle dottrine per le quali vale in
qualche modo la tesi che sarà enunciata da Schopenhauer in seguito secondo cui “il mondo è
una mia rappresentazione”.

- L'espressione idealismo romantico indica invece la grande corrente loso ca post kantiana
che si sviluppò in Germania nel periodo romantico e che ebbe come fondatori Fichte e Shelling.
Questo idealismo fu chiamato trascendentale o soggettivo o assoluto:

• L'attributo trascendentale tende a collegarlo con il punto di vista kantiano, che aveva fatto
dell'io penso il principio fondamentale della conoscenza;

• La quali ca di soggettivo tende a contrapporre al punto di vista di Spinoza, che aveva sì


ridotto la realtà un principio unico, la sostanza, ma aveva inteso la stessa sostanza in termini
di oggetto e di natura;

• L'aggettivo assoluto, in ne, mira a sottolineare la tesi che L’io, o lo spirito, è il principio
unico di tutto e che fuori di esso non c'è nulla. Ed è proprio di quest'ultima a ermazione
chiave dell'idealismo romantico che intendo adesso occuparmi, mostrandone la genesi
chtiana e i vari signi cati.

In Kant l’io era qualcosa di nito, in quanto non creava la realtà, ma si limitava a ordinarla secondo
proprie forme a priori. Per questo, sullo sfondo dell'attività dell'io si stagliava il concetto di cosa in
sé, di X, di noumeno. L'idealismo sorge allorquando Fichte sposta il discorso dal piano
gnoseologico, cioè dalla dottrina del conoscere, al piano meta sico, cioè alla dottrina
dell'essere, e abolisce la concezione di qualsivoglia realtà estranea all'io. Quest'ultimo, infatti, in
Fichte diviene un'entità creatrice, fonte di tutto ciò che esiste e in nita, cioè priva di limiti esterni.
Da ciò la tesi tipica dell'idealismo tedesco, secondo cui "tutto è spirito". Per comprendere
questa a ermazione bisogna tener presente che con il termine spirito Fichte intende, in ultima
istanza, la realtà umana considerata come attività conoscitiva e pratica e come libertà
creatrice: quando infatti si a erma che per Fichte e per gli idealisti lo spirito coincide con
l'umanità, non si intende quest'ultima come razza biologica particolare, ma come un'entità
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autocosciente, razionale e libera, che potrebbe anche esistere in altre zone dell'universo. Per gli
idealisti, difatti, vi è spirito laddove esistono intelligenza e libertà.

Questa puntualizzazione preliminare tuttavia lascia irrisolti due quesiti di base: in che senso lo
spirito rappresenta la fonte creatrice di tutto ciò che esiste? E che cos'è allora per gli
idealisti la natura o la materia? La risposta a questi due quesiti risiede innanzitutto nel concetto
di dialettica cioè nella convinzione secondo cui non essendoci mai nella realtà il positivo senza il
negativo, lo spirito, per essere tale, ha bisogno di quella sua antitesi vivente che è la natura.
Di fatto Fichte dice che un soggetto senza oggetto che lo pensa, un io senza un non io, un'attività
senza ostacolo sarebbero entità vuote e astratte, e quindi impossibili. Di conseguenza, mentre
tutte le loso e naturalistiche e materialistiche avevano sempre concepito la natura come causa
dello spirito, asserendo che l'uomo è un prodotto o un e etto di essa, Per Fichte lo spirito
diventa causa della natura, poiché quest'ultima esiste solo per L’io e in funzione dell’io. in altri
termini lo spirito crea la realtà, nel senso che crea l'uomo e l'uomo rappresenta la ragione di
esistere dell'universo; la natura invece esiste non come realtà a sé stante, ma come momento
dialettico necessario della vita dello spirito. Queste due tesi idealistiche di fondo trovano una
sorta di esempli cazione artistica nel romanzo i discepoli di Sais del Novalis, dove, nelle aggiunte
nali, si dice che: "accade ad uno di alzare il velo della dea di sais. Ma cosa vide? Egli vide-
meraviglia delle meraviglie-se stesso." Secondo l'interpretazione idealistica, la dea velata sarebbe
il simbolo del mistero dell'universo, mentre quell'uno che giunge a scoprirla sarebbe il losofo
idealista, il quale dopo una lunga ricerca, si rende conto che la chiave di spiegazione di ciò che
esiste, vanamente cercata fuori dall'uomo ad esempio in un Dio trascendente o nella natura, si
trova invece insita dell'uomo, ovvero nello spirito. Ma se l'uomo è la ragion d'essere e allo
stesso tempo lo scopo dell'universo, che sono gli attributi fondamentali che la loso a
occidentale ha riferito alla divinità, vuol dire che egli coincide con l'assoluto e con l'in nito,
cioè con Dio stesso (e questo ci serve a capire, tra l'altro, perché l'idealismo romantico sia
de nito anche idealismo assoluto). Laicizzando il biblico "Dio creò i cieli e la terra per l'uomo",
l’idealismo romantico si spinge sino a concludere che l'uomo stesso è Dio. Tanto è vero che la
gura classica di un Dio trascendente e staticamente perfetto è solo una chimera, in quanto
presupporrebbe l'esistenza di un positivo senza il negativo. L'unico Dio possibile è lo spirito
dialetticamente inteso, ovvero il soggetto che si costituisce per mezzo dell'oggetto, la libertà
che opera attraverso l'ostacolo, l’io che si sviluppa attraverso il non io. Per queste ragioni, con
l'idealismo ci troviamo di fronte, per la prima volta nella storia del pensiero, a una forma di
panteismo spiritualistico cioè Dio è lo spirito operante nel mondo e quindi uomo, che si
distingue nettamente sia dal panteismo naturalistico il quale a ermava che Dio fosse la natura, sia
dal trascendentismo di tipo ebraico cristiano il quale a ermava che Dio fosse una persona
esistente fuori dall'universo. Come tale, l’idealismo è anche una forma di monismo dialettico
esiste cioè unica sostanza: lo spirito che si contrappone a tutti i dualismi meta sici e
gnoseologici della storia del passato, dei greci a Kant.

La più grande ambizione di Fick te era quella di costruire un sistema grazie al quale la loso a
cessasse di essere semplice ricerca della conoscenza e divenisse nalmente un sapere assoluto
consolidato è perfetto. Infatti il concetto centrale espresso nella dottrina della scienza è quello di
una scienza della scienza, cioè di un sapere che mette in luce il principio su cui si fonda la validità
di ogni scienza e che a sua volta si fonda sullo stesso principio. Questo principio è Leo, o
l'autocoscienza.noi possiamo dire che qualcosa esiste, a erma il losofo, solo rapportandolo alla
nostra coscienza (soggetto), ossia facendone un essere per noi (oggetto). A sua volta la coscienza
soggetto è tale solo in quanto è coscienza di se medesima, ovvero autocoscienza. In sintesi:
l'essere per noi, l'oggetto, è possibile soltanto sotto la condizione della coscienza, l'oggetto, e
questa, a sua volta, è possibile soltanto sotto la condizione dell'autocoscienza. Dunque la
coscienza è il fondamento dell'essere, l'autocoscienza è il fondamento della coscienza.

Si tratta, si noti, di una deduzione radicalmente diversa da quella kantiana. Quest’ultima, infatti,
era una deduzione trascendentale, o gnoseologica, volta a giusti care le condizioni soggettive
della conoscenza (le categorie), mentre la deduzione di Fichte è una deduzione assoluta o
meta sica, che fa derivare dall’io sia il soggetto, sia l’oggetto del conoscere.

Partendo dal principio di identità, fondamento del sapere, si può a ermare che A=A. In realtà
l’esistenza iniziale di A è data dall’Io che la pone. Senza Io=Io, l’identità A=A non è giusti cata.

Dunque, l’Io prima di porre A, deve porre se stesso.

Ecco che il principio primo della conoscenza diventa l’Io=Io, cioè l’autocreazione, che coincide
con l’intuizione intellettuale, che si de nisce come l’autointuizione immediata che l’io ha di se
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stesso, in virtù della quale conoscere qualcosa signi ca fare o produrre tale qualcosa ed essere
consapevoli. Ecco che l’Io pone il non-io, senza il quale non si riconosce come fondamento della
realtà.

Tale prerogativa è de nita Tathandlung: l’Io è attività agente e prodotto dell’azione stessa,
totalmente incondizionato, in nito e libero.

Posti i primi due principi della dottrina della scienza -L’Io pone se stesso e il non-io- segue il terzo
principio: l’io, avendo posto il non-io, si trova ad essere limitato da esso, esattamente come
quest’ultimo risulta limitato dall’Io. Ecco la situazione concreta del mondo: una molteplicità di io
niti che hanno di fronte a sé una molteplicità di oggetti a loro volta niti.

• Il primo principio stabilisce che l'io pone se stesso, chiarendo come il concetto di Dio in
generale si identi chi con quello di un'attività auto creatrice e in nita.

• Il secondo principio stabilisce che l'io pone il non io: cioè l’io oppone a se stesso qualcosa che
è un non io ad esempio oggetto, mondo, natura. Il non io è posto dall'io ed è nell’io.

• Nel terzo principio L’io avendo posto il non io viene da essere limitato. Con questo principio
arriviamo alla realtà del mondo, nel quale abbiamo una molteplicità di io niti che sono limitati
da non io niti. Il losofo usa l'aggettivo divisibile per denominare il molteplice e il nito: dunque
L’io oppone nell'io all'io divisibile un non io divisibile.

Chiaramente questi principi devono essere interpretati non in modo cronologico, ma logico.

Ma…che rapporti ci sono tra l’io in nito e gli io niti? L’io in nito più che la sostanza degli io niti
è la loro meta ideale. Per io nito o puro Fichte intende un io libero, ossia uno spirito vittorioso sui
propri ostacoli e quindi privo o scevro di limiti. Situazione che per l'uomo rappresenta un semplice
ideale. Di conseguenza, dire che l'io in nito è la natura e la missione dell’io nito, signi ca dire
che l'uomo è uno sforzo in nito verso la libertà, ovvero una lotta inesauribile contro il limite, e
quindi contro la natura esterna (Le cose) e interna (gli istinti irrazionali e l’egoismo) in altri termini,
sotto le rigide formule della dottrina della scienza si cela un messaggio che è tipico della
modernità: il compito proprio dell'uomo è l'umanizzazione del mondo, ossia il tentativo incessante
di spiritualizzare le cose e noi stessi, dando origine, da una parte a una natura plasmata secondo i
nostri scopi e dall'altra, a una società di esseri liberi e razionali. Ovviamente questo compito si
staglia sull'orizzonte di una missione mai conclusa, poiché se L’io, la cui essenza è sforzo strenne
dei romantici, riuscisse davvero a superare tutti gli ostacoli, cesserebbe di esistere, e al
movimento della vita, che è lotto e opposizione, subentrerebbe la stasi della morte. Al posto del
concetto statico di perfezione, con tte subentra quindi un concetto dinamico che pone la
perfezione nello sforzo inde nito di autoperfezionamento.
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