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Appunti su Discorso in Elogio alla conoscenza

Nel Discorso in elogio alla conoscenza, Bacon parla anche della cosmologia aristotelica e poi
di Copernico e delle nuove teorie.
Bacon dice:
<<Chi non riderebbe di Aristotele, quando egli ammira l’eternità e invariabilità dei cieli,
come se non ce ne fosse altrettanta nelle profondità della terra? Ai confini e ai limiti di questi
due regni, ecco dove avvengono continue alterazioni e incursioni. Le superfici e le parti
superiori della terra sono piene di varietà. Le superfici e le parti inferiori dei cieli (che noi
chiamiamo la media regione dell’aria) sono piene di varietà. C’è tanto spirito in una parte
che non può essere infuso nella massa. E, d’altro lato, c’è tanta massa corporea che non può
essere raffinata in spirito. L’aria comune è come il suolo calpestato tra i confini. Chi non
riderebbe degli astronomi, non dico di questi nuovi canti che fanno muovere la Terra (Bacon
si riferisce alla teoria copernicana, non vuole deridere ovviamente lui e i nuovi astronomi, che
fanno muovere la terra), ma gli antichi astronomi, che immaginano che la Luna sia il più
veloce dei pianeti in movimento, e che i rimanenti siano disposti in ordine, dal più alto al più
basso; e così sono obbligati a immaginare un duplice movimento, mentre è evidente che ciò
che essi chiamano movimento contrario non è altro che una cessazione di movimento? Le
stelle fisse al di sopra di Saturno, e tanto in loro quanto nei rimanenti pianeti, tutto è un
unico movimento, tanto più veloce quanto più prossimo alla Terra; un movimento al quale
anche l’aria e l’acqua partecipano, benché molto discontinuo.>>
Questa parte sul discorso di Bacon presume tutta una conoscenza tecnica: qual era il cosmo
per Aristotele e come si arriva alle nuove cosmologie.
La nuova rivoluzione scientifica e le nuove scienze nascono dal crollo della visione
aristotelica e tolemaica del mondo. I principi aristotelici muoiono con il rovesciamento della
fisica aristotelica, laddove, in realtà, il linguaggio tolemaico di Tolomeo sopravvive, seppur
modificato, nell’opera di Copernico.
L’immagine che segue, si trova nel De cielo, che rappresenta l’opera per eccellenza, che
riguarda la cosmologia aristotelica: in quest’opera aristotelica, si trova la sua visione del
cosmo, che perdura e sopravvive, non solo domina la cultura antica, ma anche tutto il
Medioevo e, quindi, per due millenni, ha rappresentato la visione dell’universo, considerata la
visione dominante.
Il cosmo di Aristotele è una sfera finita, costituita da sfere concentriche.
Al centro dell’universo è presente la terra (per questo motivo, si parla di un sistema
geocentrico), che è immobile, non si muove ed è ferma: ci sono le fiamme che rappresentano
l’elemento del fuoco, poi ci sono i fiumi, che rappresentano l’acqua e poi ci sono l’aria e la
terra (disegnato con un paesino al centro).
Poi sono presenti sette sfere concentriche e ognuna di essa contiene un pianeta: è presente,
innanzitutto, la luna, poi ci sono Mercurio, Venere, il sole, Marte, Giove e Saturno. In ogni
sfera, quindi, vi erano le stelle fisse e i pianeti.
Attorno alle sette sfere, è presente una sfera più esterna, dove c’è scritto firmamento, che
trasmetteva il moto a tutte le altre sfere interne: era la sfera delle stelle fisse. La sua rotazione
era dovuta a Dio stesso.
Il primo mobile era una nona sfera, che fu aggiunta da Tolomeo (non faceva parte del sistema
aristotelico) e diventa quel cielo, che fa muovere la sfera delle stelle fisse.

bene citare piccolo passo del cardinale Bellarmino, il quale indica come le nuove visioni
comportarono una serie di problematiche teologiche e teoriche, che rappresentavano
questioni serissime (è interessante notare quanto fu grande l’impatto rivoluzionario di
abbandonare determinate teorie). La citazione del cardinale proviene da una pubblicazione
molto recente, che è stata fatta dalla libreria del professore Tullio Gregory, un grandissimo
storico della filosofia, ha lavorato per la Treccani per tantissimi anni. Da questa
pubblicazione recente, Fra i miei libri, una biblioteca enorme, in cui sono presenti moltissimi
volumi, racconta come acquisiva questi volumi e come li aveva comprati e, a tal proposito,
parla anche di un volume di Bellarmino. Gregory dice: <<qualcosa di analogo mi è capitato,
quando una volta mi sono messo a sfogliare le opere del cardinale Roberto Bellarmino.
Soddisfatto per averle comprate a poco prezzo nella splendida edizione veneta, in sette
volumi del 1721, in foglio grande, mi fermai casualmente su una delle grandi opere di
controversistica anti luterana, il “Christo capite totius Ecclesiae”. Qui, nel terzo libro,
Bellarmino polemizza, fra l’altro, come il teologo luterano, Johannes Brenz, si prova ad
affrontare un tema, che oggi ci può apparire curioso, ma, in realtà, di grande rilievo, perché
implica problemi e soluzioni di ordine cosmologico, esegetico e teologico. Nella sua ascesa
al cielo, Cristo, con il suo corpo, si è fermato sotto o sopra il tetto del mondo? Siamo, si
ricordi, in un mondo finito, chiuso dal cielo delle stelle fisse e dal primo mobile, il mondo
considerato reale. Ricordo il problema posto da Bellarmino, non per la polemica con Brenz,
ma in quanto ci permette di capire come sia ampia e pervasiva l’implicazione della
cosmologia nella teologia, che, in un determinato sistema del mondo, aveva trovato la
propria sistemazione tanto linguistica, quanto concettuale. Quella implicazione sarebbe
determinate sulle polemiche sul copernicanesimo, nelle quali Bellarmino, scientificamente
convinto che il mondo sia una bella casa con un suo tetto (c’è la sfera delle stelle fisse e poi il
primo mobile: per Aristotele, il vuoto non esiste, al di fuori del cosmo descritto da lui stesso
non c’era nulla), avrà una parte non marginale.>>
Il problema era se Cristo, ascendendo al cielo, avrebbe rotto la calotta di cristallo: il problema
risiedeva nel come attraversare le sfere celesti, perché erano considerate reali.
Nel passo baconiano viene esplicitamente citata la divisione del mondo, che lui trova ridicola,
perché Aristotele diceva che dalla luna in su vi era il mondo lunare, che era costituito da
un’unica materia celeste, l’etere, che è considerato eterno, non soggetto a crescita o
diminuzione, senza età, inalterabile, impassibile e incorruttibile. Dal momento che l’etere,
ossia, l’aria, non tende né verso il basso, né verso l’alto, ogni corpo celeste doveva
necessariamente, secondo Aristotele, muoversi secondo un moto circolare, uniforme e
ininterrotto.
Il cosmo aristotelico è nettamente distinto in due parti, che sono leggi del moto
completamente opposte e dicotomiche.
Dalla luna fino al primo mobile, che comprende le sfere dei sette pianeti più la sfera delle
stelle fisse, è presente l’etere, come unica materia, poi è presente un moto circolare uniforme
ininterrotto, non c’è corruzione e generazione: si parla di un mondo, che è incorruttibile.
Rappresenta la perfezione.
Invece, il mondo sublunare è quello terreno e la materia è costituita da quattro elementi
(tradizione presocratica): terra, acqua, aria e fuoco. Siccome possiede questa composizione, è
soggetto a generazione e corruzione (morte, rinascita e deterioramento). Il moto degli
elementi naturali di questo mondo, di quello sublunare, quindi, della terra, è un moto
rettilineo e funziona in questo modo: dal centro della terra verso l’esterno, per l’aria e il
fuoco, mente dall’esterno verso il centro della terra, per la terra e l’acqua. La teoria
aristotelica stabiliva che ogni elemento tendeva verso il proprio luogo naturale, in base ai
pesi: l’aria e il fuoco sono leggere e, quindi, dal centro della terra vanno verso l’alto (hanno
un movimento rettilineo verso l’esterno), mentre la terra e l’acqua sono pesanti, perciò
dall’esterno tendono, con un moto rettilineo, verso il centro della terra.
La terra è al centro di tutto il cosmo fisico, perché è l’elemento più pesante in assoluto e,
proprio per questo, è immobile. È un cosmo geocentrico, quindi, con la terra al centro e
immobile.
Le leggi del moto sono totalmente opposte ai due mondi: nel mondo lunare c’è un moto
circolare, eterno e uniforme, mentre, nel mondo sublunare, c’è un moto rettilineo.
Questa concezione veniva sentita come conforme al senso comune (anche noi nella
quotidianità, noi assistiamo al moto dei cieli e alla mobilità della terra, perché ormai questa
consapevolezza appartiene a tutti, a dimostrazione del fatto che l’intelletto e i sensi, senza
aiuti, non possono fare molto). Questa concezione geocentrica sembrava trovare un sostegno
nella dottrina cristiana, della creazione, incarnazione e redenzione, perché faceva della terra il
luogo unico e privilegiato per l’uomo, creato da Dio apposta come sua dimora e in cui si
realizzava la storia sacra, dal peccato di Adamo fino all’incarnazione di Cristo e alla fine dei
tempi.
La terra, quindi, meritava questa posizione di centralità nell’universo fisico: era un cosmo,
organizzato in funzione della centralità dell’uomo. C’era un parallelismo tra geocentrismo
aristotelico e antropocentrismo biblico: per questo motivo, la chiesa con grande forza le teorie
copernicane, perché, sostenere che la terra non fosse più al centro dell’universo, si muovesse
e che fosse della stessa natura della luna rappresentò una messa in crisi del geocentrismo e
dell’antropocentrismo, ossia, la centralità dell’essere umano nell’intero cosmo. Se si metteva
in discussione che l’universo e tutto ciò che si trova in natura è stato creato da Dio per
l’uomo, diventava una situazione assai problematica: è un dibattito che ha inizio
nell’umanesimo e nel rinascimento e che poi prosegue con le nuove cosmologie e la
rivoluzione scientifica.
Questa messa in crisi ha inizio, in particolare, con i dotti bizantini, i quali, vennero in Italia,
per il 17esimo concilio ecumenico (in seguito allo scisma tra la chiesa greca-bizantina e la
chiesa latina, si tenne un concilio tra queste due chiese a Basilea, nel 1431, ma fu itinerante,
perché poi questo concilio si spostò a Ferrara, nel 1438, poi si spostò a Firenze nel 1439-42 e,
infine, giunse a Roma, nel 1443-45), con a loro seguito dei codici/manoscritti/pergamene, con
importantissimi testi greci sconosciuti, soprattutto, di Platone, Diogene Laerzio e la vita di
Democrito e Leucippo: arrivano, così, le teorie degli atomisti greci, che vengono tradotti,
immediatamente in latino, grazie ai filologi dell’umanesimo, come Erasmo e Marsilio Ficino,
per poi essere diffusi. La rinascita del platonismo si deve proprio a questi testi e, tra i testi
sconosciuti che arrivano in Europa, vi sono anche il Corpus Hermeticum, un insieme di testi
filosofici e religiosi, attribuiti al famoso Ermete Trismegisto, tre volte grande, ossia, grande
sacerdote, grande re e grande guerriero e rappresenta dei testi di cultura dell’antico Egitto e,
insieme a questi testi, vi sono anche gli oracoli caldaici, gli orfici pitagorici e testi magici.
La distinzione fra gli elementi del mondo sublunare e del mondo lunare rimase fino alle
scoperte delle montagne della luna di Galilei, il quale, nel momento in cui, con il telescopio,
nel 1609, scopre le montagne della luna, viene meno la distinzione tra mondo lunare e mondo
terrestre: viene, cioè, meno quella perfezione, che doveva appartenere alla luna. Non si
poteva negare, a questo punto, il movimento della terra, facendo appello a questa distinzione
naturale tra cielo e terra. Inoltre, la scoperta delle macchie solari e delle fasi di Venere, da
parte di Galilei, dimostravano che anche Venere non brillava di luce propria, ma di luce
riflessa: cioè, tutti i pianeti, privi di luce, dovevano essere illuminati dal sole, girando intorno
ad esso. Questa era la dimostrazione che cielo e terra erano simili: da ciò si inizia a
distruggere il sistema aristotelico. La sconfitta dell’aristotelismo, quindi, avviene nel
momento in cui si dimostra che mondo sublunare e mondo lunare non sono diversi e che non
c’è distinzione tra cielo e terra. Complice dello smantellamento del cosmo aristotelico è la
riscoperta degli atomisti greci: l’arrivo di questi testi molto antichi, che non si conoscevano
nel Quattrocento, letti da scienziati e studiosi dell’epoca, portano a queste nuove scoperte.
Bacon dice che gli antichi non hanno prodotto nuove scoperte, ma ciò non toglie che le loro
teorie siano state importanti. Nel Seicento, però, si arriva con la nuova scienza: per esempio,
rileggendo gli atomisti greci e chi aveva già sostenuto nel mondo greco che la terra si dovesse
muovere, seppure sembrava un’opinione assurda, servivano comunque nuovi strumenti, come
il telescopio e i nuovi calcoli matematici, che farà poi Galilei per arrivare a queste scoperte
fondamentali.
Il De rerum natura di Lucrezio, citato da Bacon, in realtà, viene riscoperto nel 1417 e
stampato nel 1473 (tra i libri proibiti del Concilio di Trento, dato che Lucrezio era un autore
condannato) e così anche le vite dei filosofi, come Diogene Laerzio e, inoltre, sono presenti
Democrito e Leucippo e, attraverso le loro vite, seppur brevi, sono state tramandate le loro
teorie sugli atomi.
La fase che riguarda l’arrivo dei dotti in Europa si può ritrovare negli studi di Eugenio Garin
e alcuni suoi testi classici sono: “L’uomo del rinascimento”, “La cultura del rinascimento”,
“L’umanesimo italiano”. Anche se, in recenti studi, c’è un saggio, intitolato “Il nuovo
umanesimo” di Michele Ciliberto, un professore della Normale di Pisa, in cui non prende in
esame la parte sull’arrivo dei testi da parte della Grecia, ma, essendo uno studioso di Bruno
Giordano, dà molta importanza a Bruno e meno importanza ad autori classici dell’umanesimo
italiano, come Pico della Mirandola.
In realtà, il primo autore a rompere radicalmente con la cosmologia aristotelica era un autore
che non poteva ancora attingere a questi nuovi testi ed è Nicola da Cusa, o Nicola Cusano, il
quale è il primo filosofo a respingere il cosmo medievale e a negare che il mondo fosse
delimitato dalla sfera delle stelle fisse: egli parlerà di universo interminato, cioè, non
delimitato da un involucro esterno, di un universo che manca di una vera e propria
terminazione, ma non parlerà di universo finito.
Sia Cusano che Descartes non attribuiranno alcuna infinità all’universo, perché si rendevano
conto che avrebbe rappresentano qualcosa di fortemente eretico sostenere che l’universo
fosse infinito.
Cusano, quindi, è il primo a iniziare a smantellare la gerarchia del cosmo aristotelico,
secondo cui le leggi del moto terrestre non potevano essere applicate ai corpi celesti.
La prima opera a fare da spartiacque tra la cosmologia aristotelica e le nuove cosmologie a
venire è il “De revolutionibus orbium coelestium”, che significa “Sulle rivoluzioni delle sfere
celesti” del 1543, anno della morte di Copernico, il quale mantiene ancora nella sua opera la
visione delle sfere.
Copernico, essendo scienziato polacco e uomo religioso canonico, dedica quest’opera a Paolo
III e nella lettera dedicatoria al Papa scriveva: <<Il movimento della terra è contrario
all’opinione, ormai accettata dai matematici e contrasta con il comune modo di considerare
le cose.>>.
Copernico è ben consapevole che sostenere che la terra si muova è andare a rompere con il
senso comune. Il De revolutionibus viene condannato dalla Chiesa solo nel momento in cui
entra in contrasto con Galilei: allora si rende conto che l’opera di Copernico che può essere
pericolosa, perché l’opera di Copernico era stata considerata come un’ipotesi matematica e,
quindi, finché una teoria, seppur rivoluzionaria, rimane un’ipotesi, non diventava un affronto
nei confronti della teoria della Chiesa e alla visione del mondo tolemaico. Nel momento in
cui ci si rende conto che sulla base di questa teoria Galilei è andato avanti a studiare e
sostenere le sue tesi, allora si decide di condannarla: nel 1616, la Chiesa, con un decreto,
condanna il De revolutionibus, anche se non è una condanna totale, ma un donec corrigatur,
ossia da correggere solo dei passi, non si doveva stampare e non doveva essere posseduta,
altrimenti si era soggetti a eventuali condanne.
La Casanatense è una biblioteca importantissima e antica, istituita dal cardinale Casanate e
una delle prime biblioteche pubbliche di Roma (anche se era pubblica, potevano partecipare
comunque pochissime persone, un élite di uomini colti, tra cui ecclesiastici e aristocratici): è,
inoltre, preziosissima e ricchissima, poiché contiene molti del 1500 e 1600, originali e molti
dei testi condannati. Ad esempio, possiedono gli originali di Galilei con le censure dei Padri
della Chiesa.
In alcuni casi, i Padri della Chiesa facevano delle brevi annotazioni vicino al passo e in altri
casi, quando il passo era considerato maggiormente pericoloso, veniva direttamente
cancellato.
Copernico parte dalle fonti antiche, dai greci e scopre che Eraclide, Filolao e Aristarco di
Samo avevano sostenuto che la terra si muoveva, seppur essi dicevano che l’opinione,
potesse sembrare assurda: quindi, Copernico parte dall’ipotesi che la terra si muova. La tesi
centrale del sistema copernicano consiste nel fatto che sono i pianeti che ruotano intorno al
sole: la terra perde, allora, la sua posizione unica e privilegiata al centro del cosmo, ma
diventa un pianeta come gli altri e non c’è alcun privilegio e unicità. Il mondo di Copernico è
un mondo finito, delimitato dalla sfera di stelle fisse (le sfere celesti nell’opera di Copernico
rimangono): i pianeti sono ancora avvolti da questa sfera cristallina. Quindi, seguono le orme
degli astronomi medievali, ma ponendo la terra tra i pianeti. Copernico distrugge la
suddivisione del cosmo aristotelico in due livelli: finisce la divisione tra lunare e sublunare,
finisce la centralità del pianeta terra e finisce la centralità dell’uomo. Sostenere che la terra
fosse un pianeta significava sostenere che le leggi celesti erano valide anche sulla terra,
oppure, che le leggi della terra potevano applicarsi anche a quelle del cielo. La distinzione tra
materia celeste e terrestre cessava di costituire la base della spiegazione.
Copernico non si avventurò sul dibattito tra finitezza e infinitezza dell’universo: un filosofo,
invece, che radicalizzò il discorso di Copernico fu Giordano Bruno. Quindi, pur non essendo
un matematico e pur senza apportare alcuna prova di tipo astronomico, Giordano Bruno
sostenne, con grande determinazione, le teorie copernicane: si rese conto che queste nuove
ipotesi astronomiche implicavano un tipo di mutamento radicale nella concezione del mondo.
Non era semplicemente la correzione in un particolare campo della scienza: non significava
semplicemente correggere la cosmologia, ma significava cambiare totalmente la concezione
del mondo. Bruno concepisce l’universo infinito e parla di infiniti mondi, intuisce le
sconvolgenti conseguenze morali e religiose di questo nuovo universo e di questo nuovo
posto, che viene assegnato all’uomo. Da qui ne deriva la polemica fortissima contro chi vuole
restringere e falsificare la portata di Copernico, perché, in una prima fase, si parlava della
teoria copernicana come un’ipotesi matematica, ma non come una teoria filosofica, che
volesse dare un’immagine reale di un altro mondo: vi è, allora, una disperata e tragica difesa
da parte di Bruno dell’autonomia del sapere dalla religione. Nel febbraio del 1600, Giordano
Bruno fu arso vivo a Campo de’ Fiori, dopo 13 anni di prigionia a Venezia e qualche anno al
Sant’Uffizio di Roma.
Il libro di Copernico viene condannato e proibito il 5 marzo 1616 e il decreto ufficiale
condanna l’opera come contraria alla Sacra Scrittura: cioè, viene condannata la teoria
eliocentrica (pone il sole al centro dell’universo), perché sentita contraria alla Sacra Scrittura.
In realtà, l’attenzione della Chiesa si rivolge all’opera di Copernico solo nel momento in cui
entra in contrasto con Galilei. Il Sant’Uffizio diede comunicazione ufficiale e formale a
Galilei della condanna della teoria eliocentrica, proprio perché Galilei la insegnava e aveva
esplicitamente detto di seguire la teoria eliocentrica, diffidandolo dal continuare ad insegnare
dottrine condannate dalla Chiesa di Roma. Nel 1616, venne fatto questa sorta di avvertimento
nei confronti di Galilei di non continuare più a insegnare la teoria eliocentrica, perché teoria
condannata dalla Chiesa.
Galilei si pose il problema su come considerare il testo Sacro e la lettura della Bibbia: se i
passi biblici vanno intesi in senso letterale o in senso figurato e metaforico. Galilei tentò di
sostenere che, in realtà, i passi che andavano a contrastare teorie scientifiche erano parole o
parabole, che erano state utilizzate da Gesù per parlare al volgo, alle persone comune e che
non andavano, quindi, prese alla lettera. Ad esempio, il famoso passo di Giosuè, che diceva
<<Fermati, o sole>>, creava il problema dell’impossibilità del movimento del sole, che
andava a contrastare con la teoria eliocentrica e copernicana. La Chiesa di Roma non accettò
questo suo modo di pensare, tanto che il Concilio di Trento si espresse per l’interpretazione
letterale del testo. Galilei, nonostante il decreto di condanna dell’opera di Copernico e della
teoria eliocentrica, pubblicò nel 1632 il famoso “Dialogo sopra i due massimi sistemi del
mondo”, cioè, il sistema tolemaico e il sistema copernicano. C’era un’immagine nell’opera di
Galilei, nella quale venivano rappresentati Aristotele, il quale rappresenta l’antico, Tolomeo e
Copernico, i quali tengono in mano degli strumenti astronomici. Galilei sosteneva che la
teoria copernicana non era un’ipotesi, ma trasformava da ipotesi a realtà oggettiva e fisica
questa struttura del mondo, che rappresentava un vero e proprio rovesciamento della
concezione tradizionale. Nel 1633, Galilei fu condannato dal Sant’Uffizio, un anno dopo la
pubblicazione del Dialogo, che entra negli indici dei libri proibiti nel 1634 e ci rimase fino al
1822 (fino a quel momento, la Chiesa considerava l’opera di Galilei pericolosa e da non
leggere). Galilei sarà costretto alla famosa abiura, ad abiurare la teoria copernicana: ciò
avverrà nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva (fuori ha una facciata rinascimentale e
dentro ha uno stile gotico), che si trova dietro la biblioteca Casanatense.

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