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San Giuseppe l'esicasta

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IL GHERONDA IOSIF
Archimandrita Antonio Scordino
Premessa
In questi due ultimi secoli i Paesi europei hanno conquistato
indipendenza, libertà, democrazia e benessere, con una ansio-
sa e continua ricerca di modernità, ma grandi sofferenze si
sono invece abbattute sul Patriarcato di Costantinopoli, la
Nuova Roma, e sulla romanità ortodossa: basti pensare che
questa epoca si apre con l’impiccagione (10 aprile 1821) del
santo patriarca Gregorio V. In seguito, quasi sino ai nostri gior-
ni, nessun patriarca riuscì a restare in trono per più di due, tre
anni in media.
In rapida successione, alcune Chiese – infette purtroppo dai
nazionalismi importanti dalla Francia napoleonica – si
staccarono dalla loro Chiesa-Madre, Costantinopoli, per
costituirsi in organizzazioni “autocefale”, indipendenti una
dall’altra. I romani ortodossi della Morea, della Rumelia, ecc.
che riuscirono ad affrancarsi dal giogo ottomano, furono
chiamati “Greci” dalle Potenze occidentali (e “Grecia” fu
chiamata la Nazione che fu da esse riconosciuta) e sottoposti a
un regime sostanzialmente anti-ortodosso. Per di più, milioni
di romani ortodossi furono costretti a fuggire dalla Dacia, dal
Ponto, dalla Cappadocia; centinaia e centinaia di migliaia
furono barbaramente uccisi, e Chiese gloriose sin dall’Età
apostolica (Efeso, Smirne, …) scomparvero: di monasteri ed
edifici sacri spesso non restano che ruderi. In pieno ventesimo
secolo, non pochi ortodossi romani – per esempio, tutti gli
abitanti del Dodecanneso – erano ancora sottoposti a Governi
anti-ortodossi, e ancora nel 1955 a decine di migliaia furono
costretti a fuggire dalla Città. Mentre l’Italia già si affacciava
alla Dolce vita, nella Grecia moderna ancora infuriava la
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guerra, conseguenza della divisione dell’Europa in un blocco
dominato dall’Unione Sovietica e in un blocco sotto l’egemonia
degli Stati Uniti d’America.
Eppure, anche in questa epoca oscura, Dio non ha abbando-
nato il suo popolo: ha suscitato guide spirituali e ha ricolmato
tante donne e tanti uomini di molteplici carismi, rendendoli
taumaturghi che hanno illuminato il deserto dei nostri giorni.
Una di queste meravigliose figure è il gheronda Iosif: gheron-
da, che in greco letteralmente vorrebbe dire anziano, sono
chiamati – a prescindere dalla loro età anagrafica – i monaci di
provata vita spirituale.
La vita nel mondo
Egli nacque il 2 novembre 1897 a Lefkes, un umile villaggio
nell’isola di Paros (un’isoletta delle Cicladi), da un bracciante
analfabeta, Giorgio Kottis, e da Maria Rigusi, una profuga dal-
la Crimea; al battesimo fu chiamato Frankiskos, Francesco: il
nome, sconosciuto alla tradizione ortodossa, dimostra l’asser-
vimento in cui versavano all’epoca gli ortodossi della Grecia
moderna. I Kottis erano poverissimi e, quando morì il capo-fa-
miglia, Francesco dovette abbandonare la scuola (piccino: alla
seconda elementare!) per andare a lavorare alla giornata nei
campi. Ancora adolescente, trovò lavoro nelle miniere di La-
vros, nell’Attica, finché nel 1915 – a diciotto anni d’età – fu ar-
ruolato in Marina per il servizio di leva, mentre divampava la I
Guerra Mondiale.
Congedato dopo due anni, Francesco si stabilì al Pireo e –
con il “soldo” messo da parte – si dedicò al piccolo commercio
ambulante. Il giovane era spigliato, vivace, sempre scherzoso
ma soprattutto onesto, sicché incontrava la simpatia dei clienti,
tanto che riuscì a raggranellare una discreta sommetta. Si fi-
danzò, anche se non smise mai di aiutare la madre, vedova, i
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suoi quattro fratelli e le due sorelle, per le quali provvide an-
che a una dignitosa dote.
Improvvisamente però Francesco fu travolto dall’amore di-
vino, che lo spingeva a frequentare sempre più assiduamente
le celebrazioni liturgiche, a osservare rigidamente i digiuni, a
leggere – per quel poco che ne fosse capace! – libri ascetici. Ap-
pena finiva il suo giro da ambulante, correva a visitare i mona-
steri attorno Atene: si risolse infine a lasciare la sua ragazza li-
bera da impegni, e si dedicò interamente alla preghiera, ane-
lando di recarsi all’Athos.
Un sogno questo impossibile da realizzarsi: era sì finita la
Grande Guerra, ma ancora avvampano le Guerre Balcaniche,
la tremenda epidemia detta Spagnola mieteva ovunque vittime
a migliaia, mentre il nord della Grecia era ancora occupato dai
Turchi. Francesco riuscì a coronare il suo sogno solo nel 1921, a
ventiquattro anni di età.
L’Athos
L’Athos – detto anche Santo Monte oppure Giardino della
Tuttasanta – è una penisola lunga circa 45 km, abitata esclusi-
vamente da monaci sin dai primi tempi del cristianesimo; nel-
l’anno 963 l’imperatore romano Niceforo Focà ne riconobbe
l’assoluta indipendenza, come fosse uno ‘Stato’ del tutto auto-
nomo: la sua Costituzione è davvero la più antica al mondo,
poiché risale all’anno 972. Ai nostri giorni i rapporti tra l’Athos
e il resto del mondo sono gestiti direttamente dal Ministero de-
gli Esteri della Repubblica di Grecia, mentre gli affari interni
sono gestiti da un ‘Parlamento’ formato da 20 monaci in rap-
presentanza dei venti principali Monasteri, 4 dei quali – a tur-
no – formano il ‘Governo’: religiosamente, l’Athos è sotto la di-
retta giurisdizione del Patriarca di Costantinopoli.

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Sin dall’antichità affluirono al Santo Monte monaci da ogni
parte del mondo: è così che nacquero il Monastero degli Iberi
(Georgiani), degli Amalfitani, dei Russi, dei Siciliani, dei Serbi,
dei Calabresi, dei Bulgari, ecc. Ancor oggi è abitato da monaci
provenienti dalle più diverse parti della terra: Australia, Fin-
landia, Germania, Italia, Messico, Stati Uniti, … Al giorno
d’oggi, più di mille monaci sono distribuiti tra i venti più gran-
di monasteri (che quasi sempre somigliano a dei grandi villag-
gi), ma anche tanti monasteri più piccoli e tantissimi eremi.
All’epoca in cui vi giunse Francesco, sul Santo Monte si
contavano circa cinquemila monaci, ma la vita spirituale era in
profonda decadenza. Molti monaci di null’altro si occupavano
che d’una formale osservanza delle cerimonie, né mancavano
persino sbandati che vi si erano rifugiati dalla Russia dopo la
Rivoluzione del 1917 o a causa delle varie guerre di quegli
anni. In quasi tutti i monasteri si praticava l’idhiorithmìa:
s’erano cioè ridotti a qualcosa di simile a un “pensionato
religioso”.
Un tempo all’Athos era fiorita la Preghiera del cuore, al
tempo del grande asceta calabrese san Niceforo e del suo di-
scepolo san Gregorio Palamas, al tempo dei santi esicasti: ora
invece sembrava fosse il tempo dell’ateo Barlaam. Addirittura,
solo gli asceti più vecchi ricordavano ancora l’uso del komvo-
skini, il ‘rosario’ di corda annodata per sgranare le invocazioni
“Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me e salvami”.
Alla ricerca della Preghiera
Grande fu la delusione del giovane Francesco: egli non ave-
va abbandonato la ragazza, gli affari, il mondo per cercare le
dispute ecclesiastiche (che allora turbavano la Grecia) né le
dotte conversazioni, sia pure d’argomento teologico. Cercava
soltanto la preghiera.
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Girò per tutti i monasteri dell’Athos, si inoltrò nelle foreste,
si spinse sin nel deserto, alla ricerca di qualcuno che gli inse-
gnasse la preghiera. Qualche anziano asceta, che era stato ini-
ziato alla preghiera esicasta, gli insegnò a ripetere continua-
mente “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me e salvami”, ma
quella giaculatoria pronunciata con le labbra non era per Fran-
cesco la preghiera pura.
Prima ancora di arrivare nel Giardino della Madre di Dio,
l’Athos, Francesco aveva letto che Cornelio, centurione della
coorte Italica, pur essendo un militare, pregava
continuamente, e perciò fu fatto degno di angeliche visioni
(Atti 10, 2). Frequentando le chiese, aveva sentito dire
dall’Apostolo che bisogna pregare nello Spirito e sempre (Ef 6,
18), senza interruzione (I Tess 5, 17): lui faceva sì lunghe
preghiere, ma non riusciva a pregare sempre, né sapeva cosa
volesse dire pregare nello Spirito. Francesco ripeteva la
preghiera trasmessa dai Padri – Signore Gesù Cristo, abbi pietà
di me e salvami – ma aveva l’impressione di essere come le
cose inanimate – un flauto, una chitarra – che pure emettono
suoni. Sentiva di parlare al vento; ma poiché aspirava a un
dono spirituale, non voleva pregare solo con le labbra, ma
anche con il cuore e con la mente (I Cor 14, 7-15).
Gli anziani asceti che incontrava nelle isolate grotte e
capanne del Santo Monte, gli parlavano tutti della Preghiera
del cuore, della Preghiera mentale, di cui – a loro volta –
avevano sentito parlare dai monaci più anziani, ma non
sapevano insegnargli a come far pregare la mente, a come far
pregare il cuore.
Francesco vagava per l’Athos gemendo, piangendo e gri-
dando: “Salvami, Signore, perché non resta un santo, perché
scompare la verità dai figli degli uomini!”. (Ps 11, 2). Perlustrò
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tutte le spelonche e i luoghi più impenetrabili del Santo Monte,
piangendo e chiamando, caso mai gli fosse possibile incontrare
qualcuno dei sette (o dodici, non si sa) Santi nudi che – nasco-
sti a tutti – vivono all’Athos nutrendosi soltanto di preghiera.
Francesco si fermò nei dintorni della Grande Laura, in una
grotta (in realtà, una fessura della roccia), nutrendosi di erbe
selvatiche e continuando a ripetere la preghiera “Signore Gesù
Cristo, abbi pietà di me e salvami”. Quando trovava eriche, ne
faceva scope che portava al Monastero: in cambio, gli davano
un po’ di pane secco.
Una notte, mentre piangeva nella sua grotta, levò gli occhi
verso la cima dell’Athos, lì dove c’è la chiesetta dedicata alla
Metamorfosi del Signore, e gridò: “Signore, tu hai mostrato la
tua Gloria ai discepoli; perché non mi illumini?”. Allora un
raggio di luce balenò dalla cima del monte e lo trafisse, un
vento impetuoso lo atterrò, e la Preghiera cominciò a pregare
dentro di lui. Non erano più le sue labbra a ripetere, all’ester-
no, il Nome di Gesù: era il suo stesso cuore che pulsava il
Nome, anzi era lo stesso Nome di Gesù che operava dal suo in-
terno e che sgorgava dal suo cuore, circondandolo d’una dol-
cezza, d’una luce, d’un calore che nessuno può descrivere. Da
quel momento, per tutto il resto della sua vita, non fu più lui a
pregare, era la stessa preghiera che pregava dentro di lui.
Noi infatti, spiega l’apostolo Paolo, non sappiamo pregare
come è necessario, ma è lo Spirito stesso che intercede con ge-
miti inesprimibili. Ciò che occhio non vide né orecchio udì né
mai salì nel cuore dell’uomo, Dio infatti lo ha preparato per chi
lo ama, e lo Spirito scruta ogni cosa, anche i segreti di Dio
(Rom 8, 26-27; I Cor 2, 9).
Travolto da quell’esperienza, il giovane Francesco si decise
allora a salire sulla cima dell’Athos, che raggiunge i 2033 metri
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d’altezza, per adorare il Signore nella cappella della Metamor-
fosi: lì incontrò il monaco Arsenio, un profugo dal Ponto, che
diventò suo inseparabile compagno di ascesi. Per vincere la
tentazione dell’orgoglio spirituale, Francesco scese dal monte
insieme ad Arsenio, ed entrambi si recarono nel deserto di Ka-
tunakia, dove trovarono un anziano monaco – Efrem il suo
nome – a cui prestarono obbedienza.
La seconda nascita
Un giorno il gheronda Efrem portò il giovane Francesco in
una vicina grotta – in cui, alla fine del decimo secolo era vissu-
to sant’Atanasio l’Athonita – e lì lo tonsurò, lo rivestì d’un abi-
to monastico e gli diede – come in un secondo battesimo – un
nuovo nome: Iosìf, Giuseppe. Era il 1925.
All’Athos tutti i monaci fanno un qualche lavoro: c’è il me-
dico e il farmacista, ma oggi anche il ‘tassista’ che per lo più
trasporta i pellegrini dal porto a Kariès, la minuscola capitale
della Repubblica monastica. C’è chi fa il muratore e chi dipinge
icone, chi fabbrica candele di cera d’api e chi incenso profuma-
to, ma quasi tutti si dedicano all’agricoltura (ci sono vigne, uli-
veti e tanti orti) per i bisogni del Monastero a cui appartengo-
no e per aiutare gli eremiti e i monaci inabili. Il gheronta Efrem
provvedeva ai suoi bisogni materiali (l’olio per le lampade, il
pane, qualche ortaggio, un po’ di pesce nelle feste) riparando e
costruendo barili, ed era piuttosto bravo. Soprattutto quando
si avvicinava la vendemmia, venivano perciò anche dai mona-
steri lontani per chiedere la sua opera, e l’isichìa – tranquillità
spirituale – ne era spesso turbata.
Il monaco Giuseppe si spostò quindi nella località detta San
Basilio dove, insieme ad Arsenio, tirò su una capanna. In quel
riparo i due trascorrevano l’inverno; poi, a Pasqua, comincia-
vano a percorrere tutta la penisola dell’Athos, alla ricerca d’un
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padre spirituale. Per otto anni. Senza mai scambiare tra loro
più di qualche parola indispensabile. Nutrendosi solo di erbe
selvatiche, di bacche e di pane secco, quando se ne potevano
procurare; ma Iosif era divinamente nutrito soprattutto dalla
Preghiera che dimorava in lui.
Poiché la luce non può restare nascosta, non pochi monaci e
laici cominciarono a cercare padre Iosif, per avere consigli spi-
rituali; anzi, alcuni giovani abbandonarono del tutto il mondo
per porsi sotto la sua guida: egli allora decise di fuggire da San
Basilio. Prese con sé il monaco Atanasio (suo fratello secondo
la carne, che lo aveva raggiunto dal paese natale) e il monaco
Arsenio, e si nascose nei dintorni di Mikri Aghìa Anna. Trovati
alcuni ruderi, e trasportando da lontano con grande fatica, a
spalle, tronchi, pietre e fango, i tre vi fecero una chiesetta – de-
dicata al Precursore – e tre stanzette minuscole, grandi quanto
bastava per ripararsi dalla pioggia e dalla neve che d’inverno lì
cade abbondante.
La giornata del gheronda Iosif
Al tramonto del sole, il gheronta Iosif non andava a dormi-
re, ma restava in preghiera sin oltre la mezzanotte: solo dopo
la lunga Ufficiatura notturna – in comune con i suoi discepoli –
riposava un poco; dall’alba al tardo pomeriggio lavorava (era
molto esperto nell’intagliare il legno); prima del tramonto, con
gli altri consumava l’unico pasto della giornata e ritornava, da
solo a solo, a parlare con Dio.
In quella località non c’era possibilità di coltivare neppure
un piccolo orto (erano dotati solo d’acqua piovana!), e per di-
versi anni Atanasio e Arsenio andarono a lavorare a giornata
in vari monasteri per procurarsi quel poco di che vivere e di
che gioire nei giorni di festa. Gioia grande e giorno di festa era
quando un monaco sacerdote – che viveva non lontano – si re-
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cava, un paio di volte l’anno, a celebrare la divina Liturgia e
dare la possibilità di partecipare ai divini Misteri.
Come si sa, raramente i monaci accedono al sacro Ordine
del sacerdozio, e solo nei grandi Monasteri si celebra la divina
Liturgia regolarmente tutte le domeniche e feste.
I divini carismi
Forse qualcuno si sarà stupito, leggendo che il gheronda ab-
bia ricevuto il divino dono della Preghiera e sia stato trasfigu-
rato dalle increate Energie prima ancora di essere monaco –
anzi, senza neppure fare un vero ‘noviziato – e che abbia ac-
quistato il carisma del discernimento dei cuori e quello della
direzione spirituale, pur essendo un giovane pressoché analfa-
beta e privo di qualsiasi informazione teologica. Grandi infatti
sono le opere del Signore, scelte per tutto ciò che egli vuole (Ps
110, 2): questo prodigio non è avvenuto senza motivo.
Tramite il gheronda Iosif, il Signore ci ha voluto insegnare
che egli usa misericordia con chi vuole (Rom 9, 18). Saremo noi
gelosi del Padre (Lc 15, 28-30)? Egli a uno dà la sapienza, a un
altro la scienza, a uno la fede, a un altro carismi di guarigioni,
a uno il potere dei prodigi, a un altro la profezia, a un altro il
discernimento degli spiriti, a un altro la varietà delle lingue, a
un altro l’interpretazione delle lingue, distribuendo a ciascuno
come vuole. (II Cor 12, 7-11). Dio infine ha scelto quanto nel
mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto quanto
nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto quan-
to nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla, affin-
ché nessuno possa gloriarsi davanti a Dio (Rom I, 27-29).
Il gheronda esce dall’Athos
E non stupisca un altro episodio della vita del gheronda,
che all’epoca suscitò non poche mormorazioni: l’abitatore dei

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deserti, l’asceta che aveva abbandonato il mondo per rifugiarsi
nel Giardino della Tuttasanta, abbandonò le capanne e le grot-
te, e ritornò nel mondo! Tra lo stupore di chi lo vide al porto di
Dafni imbarcarsi per la Grecia, tra la meraviglia e anche il di-
sprezzo di chi vedeva per le strade e sui mezzi pubblici un mo-
naco inselvatichito da veglie e digiuni, vestito di stracci, il ghe-
ronda arrivò sino ad Atene. Qui gli era venuta incontro la ma-
dre, che – a cinquantotto anni di età – dalle mani del figlio fu
tonsurata monaca e ricevette l’abito angelico, prendendo il
nome di Agatangela.
In seguito il gheronda Iosif si recò a Tessalonica, dove
radunò alcune vedove, vittime della Catastrofe d’Asia Minore:
come già detto, nel 1922 centinaia di migliaia d’ortodossi erano
stati barbaramente uccisi, e più di un milione erano stati
costretti alla fuga. Alcuni profughi riuscirono ad emigrare
subito nelle Americhe, ma nel 1930 molti vivevano ancora
d’elemosina e d’espedienti, in Campi profughi allestiti dal
Governo greco.
Il gheronda raccolse vedove e orfane (poverine, non parla-
vano altra lingua che il turco!) in una ’Confraternita’, e in un
rudere abbandonato nei dintorni di Drama fondò per loro un
monastero femminile che egli, finché visse, sostenne con le sue
preghiere e guidò con centinaia di lettere, scritte con grafia in-
certa, sgrammaticate, ma colme d’unzione spirituale.
Non pochi, all’epoca, si scandalizzarono del comportamento
del gheronda Iosif: perché non si ricordarono che anche san-
t’Antonio il Grande abbandonò il deserto dell’Egitto per recar-
si in Alessandria, a lottare contro gli eretici e a sostenere con la
sua presenza gli ortodossi!
La fondazione di quel monastero femminile fu, in un certo
senso, un gesto profetico: nella seconda metà del ventesimo
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secolo, i discepoli del gheronda Iosif hanno infatti diffuso
l’ideale della vita monastica, formando tante comunità che
hanno ricuperato monasteri decadenti o proprio abbandonati,
in Grecia e nello stesso Athos, e hanno stabilito comunità tra
genti che mai avevano conosciuto il monachesimo ortodosso
(come in Arizona).

Archidiocesi ortodossa d’Italia e Malta – X (2010)


Archimandrita Antonio Scordino, supplemento per lo studio e la
catechesi, a cura degli amici della chiesa San Paolo dei Greci in Reg-
gio di Calabria.
http://www.ortodossia.it/w/index.php?
option=com_content&view=article&id=989:il-gheronda-
iosif&catid=168&Itemid=334&lang=it

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