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BIBLIOTECA DI «NUOVA STORIA CONTEMPORANEA»

Collana diretta da Francesco Perfetti

46
LUCIANO MONZALI

IL SOGNO DELL’EGEMONIA.
L’ITALIA, LA QUESTIONE JUGOSLAVA
E L’EUROPA CENTRALE
(1918-1941)

Le Lettere
Copyright © 2010 by Casa Editrice Le Lettere - Firenze
ISBN 978 88 6087 342 2
www.lelettere.it
INTRODUZIONE

Con questo libro abbiamo cercato di analizzare e raccontare un aspet-


to importante della storia della politica estera italiana negli anni fra le
due guerre mondiali: il tentativo dell’Italia di affermarsi in Europa cen-
trale come Potenza predominante sul piano politico ed economico. La
Grande Guerra produsse un profondo mutamento degli equilibri di po-
tere nel Vecchio Continente. In Europa centrale, in particolare, la fi-
ne dell’Impero asburgico, la crisi interna russa e l’indebolimento del-
la Germania crearono un vuoto di potere vantaggioso per l’Italia usci-
ta rafforzata dalla guerra. Il 1918, quindi, inaugurò un’epoca di cre-
scente influenza italiana in tutta la regione danubiana. Nella nostra nar-
razione abbiamo tentato di delineare un quadro interpretativo genera-
le del ruolo dell’Italia in Europa centrale fra il 1918 e il 1941, anno
della disgregazione della Jugoslavia monarchica. Grande spazio nel-
l’analisi è stato riservato al rapporto dell’Italia con lo Stato jugosla-
vo. Ciò si spiega con il fatto che al cuore della politica italiana verso
l’area danubiana e balcanica vi è sempre stato il rapporto fra l’Italia
e i popoli slavi del Sud, che ha fortemente condizionato l’azione del
governo di Roma verso gli altri Stati di quell’area. Altro aspetto che
merita di essere sottolineato è il fatto che l’azione internazionale
dell’Italia fascista può essere pienamente compresa solo tenendo con-
to dell’importanza della tradizione della politica estera dell’epoca li-
berale. Le aspirazioni e le ambizioni a cui il fascismo cercò di dare
soddisfazione, molte idee che animarono le iniziative internazionali
di Roma nel periodo fascista, sono prodotto di quell’affascinante la-
boratorio politico ed ideologico che fu l’Italia liberale fra Otto e
Novecento.
Va detto che fin dai primi anni Venti le ambizioni italiane di ege-
monia esclusiva in Europa centrale si rivelarono più un sogno che una
realtà. In quella parte del continente, accanto all’Italia si delineò for-
te e determinata la presenza della Francia, e fra le due Potenze si svi-
luppò una forte rivalità politica ed economica che fu uno degli ele-
menti caratterizzanti le vicende internazionali europee degli anni Venti.
A partire dal 1933 emerse poi l’inquietante presenza della Germania
4 INTRODUZIONE

nazionalsocialista, capace di dare vita ad un’azione di penetrazione po-


litica ed economica che la trasformò in pochi anni in Potenza egemo-
ne nell’Europa centrale. Fu proprio l’alleanza fra Italia fascista e
Germania nazionalsocialista, fondata sulla rinuncia italiana alla dife-
sa dell’indipendenza dell’Austria e della Cecoslovacchia, che segnò
il paradossale declino e ridimensionamento dell’influenza italiana nei
territori danubiani e balcanici. Il declino dell’influenza italiana fu an-
che accelerato dalla crisi della classe dirigente fascista, a partire dal-
la fine degli anni Trenta sempre più prigioniera di schemi ideologici
del passato e priva di realismo politico. Esemplificative ed istruttive
a tale riguardo sono la confusione e la contraddittorietà che caratte-
rizzarono l’azione dell’Italia di fronte alla disgregazione della Jugosla-
via monarchica e alla nascita di uno Stato croato indipendente nel
1941.
Nella preparazione del libro ho potuto usufruire dell’amicizia di
Federico Imperato e Rosario Milano, che hanno letto il testo e mi han-
no fornito utili suggerimenti e critiche, di cui sono loro grato. Ringra-
zio, poi, Francesco Perfetti per l’attenzione e la disponibilità nei miei
confronti e per aver accettato di pubblicare questo saggio nella col-
lana editoriale da lui diretta.

Modena 22 giugno 2010

Luciano Monzali
ELENCO DEI FONDI ARCHIVISTICI, DELLE RACCOLTE
DOCUMENTARIE E DELLE ABBREVIAZIONI

ACS: Archivio Centrale dello Stato, Roma.

ADAP: Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik 1918-1945, Göttingen,


1950-1995.

AF: Ufficio Adriatico-Fiume.

AMAF: Archives diplomatiques du Ministère français des Affaires étrangè-


res, Parigi.

AP: Ufficio Armistizio e Pace.

ASMAE: Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma.

BDFA: British Documents on foreign affairs: Reports and Papers from the
Foreign Office Confidential Print, Washington, 1983-.

CARTE PIETROMARCHI: Carte di Luca Pietromarchi, Fondazione Luigi


Einaudi, Torino.

CARTE SALATA: Carte di Francesco Salata, Archivio storico del Ministero


degli Esteri, Roma.

CARTE SFORZA: Carte di Carlo Sforza, Archivio storico del Ministero degli
Esteri, Roma.

DDA: Dokumente zur Aussenpolitik der Bundesrepublik Österreich 1918-


1938, München, 1993-.

DBFP: Documents on British Foreign Policy 1919-1939, London, 1947-


1985.

DDF: Documents Diplomatiques Français 1932-1939, (dal 1987,


Documents Diplomatiques Français), Paris e Bern, 1964-.

DDI: I Documenti Diplomatici Italiani, Roma, 1952-.

DDS: Documents diplomatiques suisses/Documenti diplomatici svizzeri/ Di-


6 ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

plomatische Dokumente der Schweiz 1848-1945, Berna, Benteli Verlag, 1979-.

DGFP: Documents on German Foreign Policy 1918-1945, Washington-


London, 1949-

FRUS: Papers on Foreign Relations of the United States, (dal 1932 Foreign
Relations of the United States), Washington, 1861-.

GAB: Gabinetto del Ministro.

GAB 1923-43: Carte del Gabinetto del Ministro e della Segreteria Generale
dal 1923 al 1943, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma.

SEBENICO, ARC. ORD.: Archivio del Vice-consolato italiano di Sebenico, ar-


chivio ordinario, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma.

SHS: Serbi, Croati e Sloveni.

Spalato: Archivio del Consolato italiano di Spalato, Archivio storico del


Ministero degli Esteri, Roma.

UC: Ufficio di Coordinamento, Gabinetto del Ministro degli Esteri.

WP: The Papers of Woodrow Wilson, Princeton, 1966-1994.

YPD: Yugoslavia. Political Diaries 1918-1965, Slough, 1997.

b.: busta.
c.: cartella
d.: documento.
ediz.: edizione.
n.: numero
p.: pagina
pp.: pagine
rap.: rapporto
sc.: scatola
s.d.: senza data
s.n.: senza numero
ss.: seguenti
tel.: telegramma
vol.: volume
I

L’ITALIA LIBERALE, LA DISSOLUZIONE


DELL’IMPERO ASBURGICO E LA COSTITUZIONE
DEL REGNO DEI SERBI, CROATI E SLOVENI

Lo scoppio della prima guerra mondiale fu l’occasione per la classe


dirigente italiana per cercare di realizzare un progetto d’espansione che
era stato auspicato da molti decenni1. Va sottolineato che il governo
di Roma concluse il Patto di Londra – l’accordo segreto con Francia,
Gran Bretagna e Russia che impegnò l’Italia a entrare in guerra a fian-
co della Triplice Intesa – ritenendo che, anche dopo l’eventuale vit-
toria militare, si sarebbe sostanzialmente preservato l’equilibrio di for-
ze vigente in Europa prima del conflitto, con l’esistenza di una forte
Germania e la sopravvivenza dell’Impero asburgico e di quello rus-
so: il controllo del displuvio alpino in Tirolo e in Venezia Giulia, il
possesso della Dalmazia e dell’Albania centrale furono rivendicati,
quindi, sulla base di una percezione dei futuri equilibri di potere in
Europa ancora fondati sull’esistenza dell’Austria-Ungheria e sulla ne-
cessità di assicurare all’Italia una posizione di forza nei suoi confronti.
Bisogna rimarcare pure un’importante conseguenza del Patto di
Londra sulla politica estera italiana dei decenni futuri: la conclusione
del trattato, prevedendo il controllo italiano di territori balcanici, adria-
tici e alpini abitati non solo da italiani2, ma anche da altre nazionalità,

1 Sulla politica estera italiana prima del 1914 rimandiamo a: LUCIANO MONZALI, Italiani
di Dalmazia dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze, 2004; ID., L’Etiopia nella poli-
tica estera italiana (1896-1915), Parma, 1996; GIANPAOLO FERRAIOLI, Politica e Diplomazia
in Italia tra XIX e XX Secolo. Vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914), Soveria Mannelli,
2007; ALFRED FRANCIS PRIBRAM, Les traités politiques secrets de l’Autriche-Hongrie 1879-
1914, Paris, 1923; LUIGI SALVATORELLI, La Triplice Alleanza. Storia diplomatica 1877-1912,
Milano, 1939; LUIGI ALBERTINI, Le origini della guerra del 1914, Milano, 1942-1943, vol. I;
FRITZ FELLNER, Der Dreibund. Europäische Diplomatie vor dem Ersten Weltkrieg, in ID., Vom
Dreibund zum Völkerbund. Studien zur Geschichte der internationalen Beziehungen 1882-
1919, Salisburgo/Monaco, 1994, pp. 19-81; HOLGER AFFLERBACH, Der Dreibund. Europäische
Grossmacht- und Allianzpolitik vor dem Ersten Weltkrieg, Wien, 2002.
2 Sulla storia politica delle popolazioni italiane nell’Impero asburgico: MONZALI, Italiani
8 LUCIANO MONZALI

provocò il progressivo deterioramento dei rapporti fra Italia e Serbia


e l’aggravarsi dell’antagonismo nazionale fra italiani, austro-tedeschi,
croati, sloveni e serbi3. La guerra obbligò progressivamente la classe
dirigente italiana a riflettere con maggiore attenzione sul problema del-
l’assetto dell’Europa centrale, in gran parte inglobata nello Stato asbur-
gico, e sul ruolo dell’Italia nel continente. I principali punti del pro-
gramma politico-territoriale del governo Salandra-Sonnino (raggiun-
gimento della sicurezza strategica e unione all’Italia della maggior par-
te degli italiani d’Austria) riscossero il consenso unanime della clas-
se dirigente, ma sorsero dissidi sulle strategie e sulle tattiche da per-
seguirsi per raggiungere tali obiettivi finali. Ben presto si delinearo-
no anche diversi orientamenti sul futuro dell’Europa danubiana e bal-
canica. Vi erano, innanzitutto, i sostenitori di un approccio conserva-
tore e prudente verso le questioni nazionali in Europa centro-orienta-
le. Questo orientamento, particolarmente presente nella diplomazia,
nel liberalismo conservatore e nel cattolicesimo italiano, ebbe il suo
rappresentante più significativo in Sidney Sonnino, ministro degli
Esteri fra il 1914 e il 19194. Sonnino, come molti liberali italiani del-

di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, cit.; ID., Italiani di Dalmazia 1914-1924,
Firenze, 2007; ID., Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, Padova-Venezia, 2008;
JOSIP VRANDEČIĆ, Dalmatinski autonomistički pokret u XIX stoljeću, Zagreb, 2002; ANGELO
DE BENVENUTI, Storia di Zara dal 1797 al 1918, Milano-Roma, 1944; ARNOLD SUPPAN, Die
Kroaten, in ADAM WANDRUSZKA, PETER URBANITSCH, a cura di, Die Habsburgermonarchie
1848-1918, Wien, 1980, vol. III, tomo 2, p. 626 e ss.; GÜNTHER SCHÖDL, Kroatische
Nationalpolitik und ‘Jugoslavenstvo’. Studien zu nationaler Integration und regionaler Politik
in Kroatien-Dalmatien am Beginn des 20. Jahrhunderts, München, 1990; BENIAMINO SALVI,
Il movimento nazionale e politico degli sloveni e dei croati. Dall’Illuminismo alla creazione
dello Stato jugoslavo (1918), Trieste, 1971; LUCA RICCARDI, Francesco Salata tra storia, po-
litica e diplomazia, Udine, 2001; UMBERTO CORSINI, Problemi di un territorio di confine.
Trentino e Alto Adige dalla sovranita austriaca all’accordo Degasperi-Gruber, Trento, 1994;
RICHARD SCHOBER, Storia della Dieta tirolese: 1816-1918, Trento, 1987; AMLETO BALLARINI,
L’antidannunzio a Fiume. Riccardo Zanella, Trieste, 1995; MARINA CATTARUZZA, L’Italia e
il confine orientale, Bologna, 2007.
3 Al riguardo: MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.; FRANCESCO CACCAMO, Il
Montenegro negli anni della prima guerra mondiale, Roma, 2008; DRAGOVAN ŠEPIĆ,
Sudbinske Dileme Rađanja Jugoslavije. Italija, Saveznici i jugoslavensko pitanje 1914-1918,
Pola-Fiume, 1989, tre volumi (prima ediz. 1970); LEO VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-
Ungheria, Milano, 1985 (prima ediz. 1966).
4 Per lo studio del pensiero politico di Sidney Sonnino in politica estera e della sua azio-
ne come ministro degli Esteri vi è un’abbondante documentazione edita: SIDNEY SONNINO,
Carteggio 1914-1916, Roma-Bari, 1974; ID., Carteggio 1916-1922, Roma-Bari, 1975; ID.,
Carteggio 1891-1913, Roma-Bari, 1981; ID., Diario 1866-1922, Roma-Bari, 1972, tre volu-
mi; ID., Scritti e Discorsi extraparlamentari 1870-1920, Roma-Bari, 1972, due volumi; ID.,
Discorsi parlamentari di Sidney Sonnino, Roma, 1925, tre volumi. Importante è poi la rac-
colta I Documenti diplomatici italiani (d’ora innanzi DDI), Roma, 1952-: serie V, vol. 2-11;
L’ITALIA LIBERALE 9

la sua generazione5, considerava l’Impero asburgico un fattore di sta-


bilità e ordine in Europa centrale, ostacolo a potenziali mire espan-
sionistiche della Russia e della Germania nella regione. Nel corso del-
la guerra, pur rifiutando ogni idea di pace separata con Vienna,
Sonnino evitò ogni iniziativa che facesse della disgregazione dell’Im-
pero asburgico un obiettivo centrale della politica estera italiana. Il car-
teggio e il diario del politico toscano mostrano il suo timore che il crol-
lo degli Asburgo aprisse la strada all’assorbimento dei territori tede-
schi dell’Impero da parte della Germania e all’eccessivo rafforzamento
di questa6. Riguardo alla questione jugoslava, Sonnino era favorevo-
le ad un ingrandimento della Serbia: nei negoziati interalleati dell’e-
state 1915, il ministro degli Esteri dichiarò di essere pronto ad accet-
tare la conquista serba della Dalmazia centro-meridionale e della
Bosnia-Erzegovina; ma netto era il rifiuto di uno Stato jugoslavo uni-
tario, ritenuto una potenziale minaccia politica e militare: un grande
Stato jugoslavo avrebbe ostacolato la desiderata egemonia italiana
nell’Adriatico e poteva divenire un alleato per la Russia o per la
Francia in funzione anti-italiana. In caso di disgregazione dell’Austria-
Ungheria, Sonnino giudicava conveniente per l’Italia l’esistenza di più
Stati jugoslavi: una Serbia ingrandita, il Montenegro, la Croazia, in-
dipendente o federata all’Ungheria. Gli sloveni non erano ritenuti in
grado di costituire un proprio Stato autonomo ed indipendente, e si
pensava sarebbero rimasti parte dell’Austria tedesca o inseriti nello

serie VI, vol. 1-2. Fra la storiografia ricordiamo: PAOLA CARLUCCI, Il giovane Sonnino fra cul-
tura e politica (1847-1886), Roma, 2002; GEOFFREY A. HAYWOOD, Failure of a Dream. Sidney
Sonnino and the Rise and Fall of Liberal Italy 1847-1922, Firenze, 1999; LUCIANO MONZALI,
Sidney Sonnino e la politica estera italiana dal 1878 al 1915, «Clio», 1999, n. 3, p. 397 e ss.;
ID., L’Etiopia nella politica estera italiana (1896-1915), cit.; MARIO TOSCANO, Il patto di
Londra. Storia diplomatica dell’intervento italiano (1914-1915), Bologna, 1934; ID., La Serbia
e l’intervento in guerra dell’Italia, Milano, 1939; ID., Gli accordi di San Giovanni di Moriana,
Milano, 1936; LUCA RICCARDI, Alleati non amici: Le relazioni politiche tra l’Italia e l’Intesa
durante la prima guerra mondiale, Brescia, 1992; LUIGI ALBERTINI, Venti anni di vita politi-
ca, Bologna, 1950-1953, parte II, vol. 1, 2, 3; PIETRO PASTORELLI, Dalla prima alla seconda
guerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera italiana 1914-1943, Milano, 1997,
pp. 13-81; ID., L’Albania nella politica estera italiana 1914-1920, Bari, 1970; VALIANI, La
dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit.; ROLANDO NIERI, Sonnino, Guicciardini e la politica
estera italiana (1899-1906), Pisa, 2005; CACCAMO, Il Montenegro negli anni della prima guer-
ra mondiale, cit.
5 Al riguardo le riflessioni sulla percezione dell’Impero asburgico nella classe dirigente
italiana che abbiamo svolto nel volume MONZALI, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento al-
la Grande Guerra, cit.
6 Ad esempio: SONNINO, Carteggio 1916-1922, cit., d. 358, Sonnino a Macchi di Cellere,
15 ottobre 1918.
10 LUCIANO MONZALI

Stato croato. Con lo svolgimento della guerra l’azione diplomatica di


Sonnino suscitò crescenti critiche e contestazioni da parte dei fautori
di una politica nazional-democratica, mirante ad alimentare i nazio-
nalismi secessionistici in seno all’Impero asburgico al fine d’indebo-
lire la resistenza militare austro-ungarica e favorire la vittoria
dell’Italia7. Fra i primi sostenitori di questo orientamento, che resu-
scitava l’antica politica anti-asburgica di Giuseppe Mazzini, vi furo-
no gli storici Gaetano Salvemini8 e Pietro Silva9 e il socialista rifor-
mista Leonida Bissolati10. Per Salvemini, Silva e Bissolati, l’Impero
asburgico era un’entità che costituiva una minaccia mortale per gli in-
teressi dell’Italia e che quindi andava sostituita in Europa centrale con
una pluralità di Stati nazionali. Fin dalle guerre balcaniche Salvemini
sostenne la necessità di favorire l’espansionismo serbo e mostrò sim-
patia verso la formazione di una grande Serbia, ritenuta naturale al-
leata dell’Italia contro l’Impero asburgico. Successivamente lo stori-

7 Per un’analisi del cosiddetto «interventismo democratico», che noi preferiamo defini-
re interventismo «nazionaldemocratico» rimandiamo a: VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-
Ungheria, cit.; OTTAVIO BARIÈ, Luigi Albertini, Torino, 1972, p. 323 e ss.; LUCIANO MONZALI,
Albertini, la guerra mondiale e la crisi del dopoguerra, in LUIGI ALBERTINI, I giorni di un li-
berale. Diari 1907-1923, Bologna, 1999, p. 155 e ss.; LUCA MICHELETTA, Pietro Silva stori-
co delle relazioni internazionali, «Clio», 1994, n. 3, p. 497 e ss.; ANGELO TAMBORRA, L’idea
di nazionalità e la guerra 1914-1918, in Atti del XLI Congresso di storia del Risorgimento
italiano, Trento, 9-13 ottobre 1963, Roma, 1965, estratto; ROBERTO VIVARELLI, Storia delle
origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, Bologna, 1991, I, p.
179 e ss.
8 Sul pensiero politico di Gaetano Salvemini manca, a nostro avviso, un’analisi piena-
mente soddisfacente. Ricordiamo comunque: VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria,
cit.; MASSIMO L. SALVADORI, Gaetano Salvemini, Torino, 1963. Per la comprensione di
Salvemini sono fondamentali i suoi carteggi: GAETANO SALVEMINI, Carteggio 1912-1914,
Roma-Bari, 1984; ID., Carteggio 1914-1920, Roma-Bari, 1984. Utili pure: GAETANO
SALVEMINI, Austria, Italia e Serbia, «L’Unità», 18 dicembre 1914, riedito in ID., Come sia-
mo andati in Libia e altri scritti dal 1900 al 1915, Milano, 1963, pp. 414-420; ID., La
Dalmazia, in ID., Come siamo andati in Libia, cit., pp. 370-373; ID., Fra la grande Serbia ed
una più grande Austria, «L’Unità» 7 agosto 1914, riedito in ID., Come siamo andati in Libia,
cit., pp. 344-350. Si vedano anche SALVEMINI, MARANELLI, La questione dell’Adriatico,
Firenze, 1918, riedito in GAETANO SALVEMINI, Dalla guerra mondiale alla dittatura (1916-
1925), Milano, 1964; ELIO APIH, Gaetano Salvemini e il problema adriatico, in AA.VV.,
L’imperialismo italiano e la Jugoslavia, Urbino, 1981, pp. 85-127.
9 PIETRO SILVA, I problemi fatali agli Asburgo. Il problema czecoslovacco. Il problema
jugoslavo, Milano, 1918, pp. 62-64. Sulla figura di Pietro Silva: MICHELETTA, Pietro Silva
storico delle relazioni internazionali, cit.; BRUNO GATTA, Pietro Silva, uno scrittore di storia,
«Clio», 1985, n. 3, pp. 467-474.
10 LEONIDA BISSOLATI, La politica estera dell’Italia dal 1897 al 1920, Milano, 1923, pp.
332-335. Si vedano anche: IVANOE BONOMI, Leonida Bissolati e il movimento socialista in
Italia, Roma, 1945; RAFFAELE COLAPIETRA, Leonida Bissolati, Milano, 1958.
L’ITALIA LIBERALE 11

co pugliese si dichiarò favorevole alla costituzione di uno Stato ju-


goslavo unitario, inglobante sloveni, croati e serbi, che era preferibi-
le fosse dominato dall’elemento serbo ortodosso, ritenuto un baluar-
do contro l’espansionismo germanico:

L’Italia deve preferire di avere alle spalle di Trieste e dell’Istria, una


Serbia-Croazia-Slovenia invece che l’Austria-Germania. Uno Stato jugosla-
vo, infatti, con dodici milioni di abitanti sarebbe un vicino, non solo più de-
bole dell’Austria-Germania (80 milioni di tedeschi), e quindi meno perico-
loso, ma trovandosi incastrato con la Slovenia fra le provincie adriatiche
dell’Italia e l’Austria-Germania, sarà interessato, insieme con l’Italia, a in-
tercettare ai tedeschi la via dell’Adriatico11.

Questa linea favorevole alla formazione di uno Stato jugoslavo uni-


tario assunse forte peso politico in Italia solo quando, a partire dal
1917, cominciò ad essere sostenuta anche da esponenti del liberalismo
conservatore quali il senatore Luigi Albertini, direttore del principale
quotidiano italiano, «Il Corriere della Sera»12. Il crollo della Russia za-
rista, il colpo di Stato bolscevico, l’armistizio russo-austro-tedesco mu-
tarono radicalmente la situazione politica e militare in Europa13.
Albertini contestò la rigidità della politica estera di Sonnino e sotto-
lineò l’esigenza di rinnovare l’impostazione dell’azione internazionale
italiana tenendo conto dell’andamento delle operazioni militari e del
mutamento della situazione europea. L’Italia doveva ormai porsi l’o-
biettivo della dissoluzione dell’Impero asburgico, e il sostegno alla na-
scita della Jugoslavia era parte cruciale di tale direttiva politica.
Secondo Albertini, italiani e jugoslavi avrebbero dovuto ricercare
un’intesa amichevole sui confini sulla base dell’accettazione jugosla-
va del controllo italiano di tutta la Venezia Giulia, di Zara e di alcu-

11 GAETANO SALVEMINI, Il problema serbo-croato, in ID., Dalla guerra mondiale alla dit-
tatura (1916-1925), cit., pp. 73-80.
12 Sul ruolo di Albertini nel dibattito politico sulla questione adriatica nel corso della pri-
ma guerra mondiale: ALBERTINI, Venti anni di vita politica, cit., parte II, vol. 1, 2, 3; BARIÈ,
Luigi Albertini, cit.; MONZALI, Albertini, la guerra mondiale e la crisi del dopoguerra, in
ALBERTINI, I giorni di un liberale. Diari 1907-1923, cit., p. 155 e ss.; VALIANI, La dissolu-
zione dell’Austria-Ungheria, cit. p. 332 e ss.
13 Sull’atteggiamento italiano verso le due rivoluzioni russe: GIORGIO PETRACCHI, La
Russia rivoluzionaria nella politica italiana. Le relazioni italo-sovietiche 1917-25, Roma-Bari,
1982; ID., Da San Pietroburgo a Mosca. La diplomazia italiana in Russia 1861-1941, Roma,
1993; RICCARDI, Alleati non amici, cit., p. 436 e ss.; DANIELE VENERUSO, La Grande Guerra
e l’unità nazionale. Il ministero Boselli, Torino, 1996, p. 223 e ss.
12 LUCIANO MONZALI

ne isole dalmate; in cambio l’Italia avrebbe rinunciato alla Dalmazia


continentale e accettato di concedere alcuni territori dell’Albania set-
tentrionale alla futura Jugoslavia. La politica delle nazionalità teoriz-
zata da Albertini aveva una finalità fortemente propagandistica, in
quanto mirava a indebolire politicamente l’Impero asburgico fomen-
tando le spinte secessionistiche. Dopo il tracollo di Caporetto e l’ar-
mistizio russo, le tesi di Salvemini e Albertini acquisirono sempre più
consenso e il governo italiano fu costretto a mutare direttive politiche
al fine di sopravvivere nella lotta sempre più dura contro gli austro-
tedeschi. La linea di favorire la dissoluzione dell’Impero asburgico e
di sostenere politicamente i movimenti di liberazione nazionale
dell’Europa centrale fu appoggiata dal nuovo presidente del Consiglio,
Vittorio Emanuele Orlando14. Alla fine del 1917 e nei primi mesi del
1918, con il consenso della Presidenza del Consiglio, alcuni esponenti
politici e militari italiani iniziarono contatti con i capi del Comitato
jugoslavo in esilio, che portarono alla conclusione di un’intesa infor-
male sui princìpi che dovevano regolare le relazioni italo-jugoslave
(accordo Torre-Trumbić del 7 marzo 1918) e al Convegno dei popoli
oppressi di Roma nell’aprile 1918, che sancì l’ufficiale sostegno ita-
liano alle aspirazioni indipendentistiche dei popoli compresi
nell’Impero asburgico. Il grave limite della politica jugoslava soste-
nuta da Salvemini e Albertini stava nel fatto che l’auspicato accordo
territoriale si dimostrò irraggiungibile in quanto le richieste italiane
anche più moderate erano sempre inaccettabili per croati, serbi e slo-
veni. La politica delle nazionalità fu comunque un grande successo di
propaganda che rivitalizzò l’immagine internazionale dell’Italia e se-
minò discordia in un esercito asburgico, ancora compatto ma sempre
più affamato e scettico sulle prospettive di vittoria. Nel corso del 1918
Orlando assunse la guida sostanziale della politica estera italiana, ri-
dimensionando il ruolo di Sonnino, ostile alla direttiva filojugoslava:
l’azione politica italiana si orientò, quindi, con crescente decisione ver-
so il pubblico sostegno alla lotta delle nazionalità cosiddette oppres-

14 Sulla politica delle nazionalità e il dibattito politico italiano: LUCIANO TOSI, La pro-
paganda italiana all’estero nella prima guerra mondiale. Rivendicazioni territoriali e poli-
tica delle nazionalità, Udine, 1977, p. 168 e ss.; TAMBORRA, L’idea di nazionalità e la guer-
ra 1914-1918, cit.; RENZO DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, 1965;
VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma,
cit., I, p. 196 e ss.; VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit.; FEDERICO IMPERATO,
Roberto Forges Davanzati, il nazionalismo italiano e la politica estera italiana (1911-1918),
Alessano, 2006.
L’ITALIA LIBERALE 13

se in Austria-Ungheria. Era quella di Orlando, in realtà, una politica


ambigua, che, da una parte, alimentava la propaganda anti-asburgica,
dall’altra, non disdegnava di coltivare, per il tramite della Santa Sede
e del ministro Nitti, contatti segreti con Vienna alla ricerca di un pos-
sibile accordo per una pace separata favorevole all’Italia15. Il che non
sorprende, poiché ancora nel 1917-1918 la classe dirigente italiana nel
suo complesso rimaneva condizionata dall’antica percezione dell’Im-
pero asburgico quale grande Potenza europea, Stato solido e organiz-
zato, più forte militarmente del Regno sabaudo: da qui la convinzione
di molti italiani, amici e nemici degli Asburgo, della possibile sua so-
pravvivenza alla guerra e alla sconfitta16.
La rapida disgregazione dell’Impero asburgico nell’autunno 1918
sorprese molti in Italia, creando un nuovo scenario politico in Europa
centrale, pieno di opportunità per lo Stato italiano, ma anche di peri-
coli. Nel corso del 1918, con l’indebolirsi delle prospettive di vittoria
delle Potenze centrali e la crescente crisi interna dell’Impero asburgi-
co, la formazione di uno Stato jugoslavo indipendente assunse una
concretezza politica. La Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti ab-
bandonarono le ultime remore e iniziarono a sostenere la costituzio-
ne di uno Stato jugoslavo unitario, anche perché ritenuto potenziale
contrappeso alla crescente influenza italiana nei Balcani e al possibi-
le risorgere della potenza germanica17. Per molti anni le idee unioni-

15 ALBERTO MONTICONE, Nitti e la grande guerra (1914-1918), Milano, 1961; FRANCESCO


MARGIOTTA BROGLIO, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione. Aspetti po-
litici e giuridici, Roma-Bari, 1966; ANTONIO SCOTTÀ, (a cura di), La Conciliazione ufficiosa.
Diario del barone Carlo Monti “ incaricato d’affari” del governo italiano presso la Santa
Sede (1914-1922), Roma, 1997, due volumi.
16 Sull’incertezza della diplomazia italiana circa la possibile sopravvivenza dell’Austria-
Ungheria ancora nell’ottobre 1918, si veda il memoriale del segretario generale della Consulta,
Giacomo De Martino: SONNINO, Carteggio 1916-1922, cit., d. 355, De Martino a Sonnino,
11 ottobre 1918.
17 VICTOR. H. ROTHWELL, British War Aims and Peace Diplomacy 1914-1918, Oxford,
1971; KENNETH J. CALDER, Britain and the Origins of the New Europe 1914-1918, Cambridge,
1976; FRANÇOIS FEJTÖ, Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-
ungarico, Milano, 1990, p. 315 e ss.; JACQUES BARIETY, La France et la naissance du Royaume
des Serbes, Croates et Slovènes, 1914-1919, «Relations Internationales», n. 103, 2000, pp.
307-327; VICTOR S. MAMATEY, The United States and East Central Europe 1914-1918. A Study
in Wilsonian Diplomacy and Propaganda, Princeton, 1957; HUGH e CHRISTOPHER SETON-
WATSON, The Making of a New Europe. R.W. Seton-Watson and the Last Years of Austria-
Hungary, London, 1981; ARNO MAYER, Political Origins of the New Diplomacy 1917-1918,
New York, 1970 (prima ediz. 1959); ID., Politics and Diplomacy of Peacemaking.
Containment and Counterrevolution at Versailles 1918-1919, New York, 1967; FRÉDÉRIC LE
MOAL, La France et l’Italie dans les Balkans 1914-1919. Le contentieux adriatique, Paris,
14 LUCIANO MONZALI

ste jugoslave erano state poco popolari fra le masse slave del sud, ma
la crisi dell’Impero asburgico provocò un crescente consenso in
Slovenia, Croazia, Dalmazia e Bosnia verso i progetti di una Jugo-
slavia indipendente. Il 29 ottobre 1918, i principali partiti croati, slo-
veni e serbi dell’Austria-Ungheria, riuniti nella Dieta croata, procla-
marono l’indipendenza di tutti i croati, serbi e sloveni asburgici e la
formazione di un governo autonomo, affidato al Consiglio nazionale
di Zagabria. Nelle settimane successive si svilupparono negoziati fra
il Consiglio nazionale di Zagabria, il governo di Belgrado e il Comitato
jugoslavo di Londra, che portarono alla proclamazione del Regno dei
Serbi, Croati e Sloveni (Kraljevina Srba, Hrvata i Slovenaca, d’ora
in poi SHS), guidato dalla dinastia Karadjordjević e con un’ammini-
strazione centralizzata, il 1° dicembre18.
La fine dell’Impero asburgico e la crisi interna russa liberarono
l’Italia dalla presenza di antichi rivali nell’area danubiana e balcani-
ca e inaugurarono un’epoca di crescente influenza italiana in tutta la
regione. L’Italia ottenne dal Consiglio interalleato il riconoscimento
del diritto di occupare i territori promessi dal Patto di Londra19; inol-
tre, le truppe italiane, sole o insieme agli Alleati, in rappresentanza dei
vincitori occuparono gran parte dell’Albania, le coste del Montenegro,
nonché vasti territori sloveni e austriaci. Ben presto, però, le ambizioni
italiane di svolgere un ruolo preponderante nell’Europa danubiana e
balcanica si scontrarono con difficoltà e ostacoli. Il vuoto di potere
creatosi in Europa centrale e nei Balcani con la rivoluzione bolscevi-
ca, la dissoluzione dell’Impero asburgico e la sconfitta della Germania

2006; GEORGES-HENRI SOUTOU, Recherches sur la France et le problem des nationalités pen-
dant la Première Guerre Mondiale (Pologne, Ukraine, Lituanie), Paris, 1995; JEAN-BAPTISTE
DUROSELLE, Clemenceau et l’Italie, in AA.VV., La France et l’Italie pendant la première guer-
re mondiale, Grenoble, 1976, p. 492 e ss.
18 Sulla costituzione e le lotte interne dello Stato jugoslavo: IVO J. LEDERER, La Jugoslavia
dalla conferenza della pace al trattato di Rapallo 1919-1920, Milano, 1966, pp. 57-67; JOŽE
PIRJEVEC, Il giorno di San Vito. Jugoslavia 1918-1992. Storia di una tragedia, Torino, 1993,
p. 15 e ss.; IVO BANAC, The National Question in Yugoslavia. Origins, History, Politics, Ithaca,
1984; JOHN R. LAMPE, Yugoslavia as History. Twice there was a Country, Cambridge, 2000,
p. 101 e ss.; BOSILJKA JANJATOVIĆ, Politički Teror u Hrvatskoj 1918.-1935., Zagreb, 2002;
STEVAN K. PAVLOWITCH, Yugoslavia, New York, 1971, p. 53 e ss.; HRVOJE MATKOVIĆ, Povijest
Jugoslavije 1918-1991, Zagreb, 1998; ALEX N. DRAGNICH, The First Yugoslavia. Search for
a Viable Political System, Stanford, 1983; DUŠAN BILANDŽIĆ, Hrvatska Moderna Povjiest,
Zagreb, 1999, p. 60 e ss.; ATTILIO TAMARO, Origini e Crisi della Jugoslavia, in ID., La lotta
delle razze nell’Europa danubiana, Bologna-Roma, 1923, pp. 157-256.
19 MARIA GRAZIA MELCHIONNI, La vittoria mutilata. Problemi ed incertezze della politi-
ca estera italiana sul finire della Grande Guerra (ottobre 1918-gennaio 1919), Roma, 1981.
L’ITALIA LIBERALE 15

attirò l’attenzione di altre Potenze rivali dell’Italia. La Francia, in par-


ticolare, cercò di affermare la propria influenza in questa parte
d’Europa, sfruttando con una certa abilità le ostilità che l’espansioni-
smo italiano alimentava in alcune nazioni della regione e il suo supe-
riore potenziale militare ed economico20. La fine della guerra e l’ap-
plicazione dell’armistizio italo-austriaco21 crearono forte tensione fra
italiani, sloveni, croati e serbi22. L’imprevista disgregazione dell’Impe-
ro asburgico e la nascita di uno Stato jugoslavo unitario che contestava
le rivendicazioni territoriali adriatiche dell’Italia spinsero molti italiani
a chiedere che si tentasse d’inglobare al Regno sabaudo anche terri-

20 Sulla politica francese nella regione danubiana si consulti la documentazione pubbli-


cata in Documents diplomatiques français du bassin des Carpates 1918-1932, Budapest, 1993
e ss., vol. 2. Per un’analisi della politica della Francia verso la questione jugoslava e l’asset-
to dell’Europa centrale: LE MOAL, La France et l’Italie dans les Balkans 1914-1919. Le con-
tentieux adriatique, cit.; FRANÇOIS GRUMEL-JACQUIGNON, La Yougoslavie dans la stratégie
française de l’Entre-deux-Guerres (1918-1935). Au origines du mythe serbe en France, Bern,
1999; MIRO KOVAČ, La France, la création du royaume « yougoslave » et la question croa-
te, 1914-1929, Bern, 2001, p. 207 e ss.; PIOTR WANDYCZ, France and her Eastern Allies 1919-
1925, Minneapolis, 1962. Si vedano anche PETER PASTOR, The Vix Mission in Hungary, 1918-
1919: A re-examination, «Slavic Review», 1970, pp. 481-498; MARIO TOSCANO, L’accordo
revisionista franco-ungherese del 1920, in, ID., Pagine di Storia diplomatica contemporanea,
Milano, 1963, vol. I, pp. 303-438; ANNE ORDE, France and Hungary in 1920: Revisionism
and Railways, «Journal of Contemporary History», 1980, pp. 475-492. Riguardo alla riva-
lità italo-francese in Europa centro-orientale rimandiamo a: FRANCESCO CACCAMO, L’Italia e
la «Nuova Europa». Il confronto sull’Europa orientale alla conferenza della pace di Parigi
(1919-1920), Milano, 2000; FRANCESCO GUIDA, Ungheria e Italia dalla fine del primo con-
flitto mondiale al trattato di Trianon, «Storia contemporanea», 1988, n. 3, p. 381 e ss.; LEO
VALIANI, La politica estera dei governi rivoluzionari ungheresi del 1918-19, «Rivista Storica
Italiana», 1966, fasc. IV, pp. 850-911; RODOLFO MOSCA, La Missione Tacoli, «Corvina», 1944,
n. 1, pp. 5-19; ID., Storia diplomatica delle relazioni italo-ungheresi. La formazione del trat-
tato di Trianon, «Corvina», 1940, n. 3, pp. 186-204; ID., L’Italia e la questione dell’Ungheria
occidentale, in ID., Le relazioni internazionali nell’età contemporanea. Saggi di Storia di-
plomatica (1915-1975), Firenze, 1975, pp.119-154; MARIO TOSCANO, Le origini della Piccola
Intesa secondo i Documenti Diplomatici Ungheresi, in ID., Pagine di Storia diplomatica con-
temporanea, cit., vol. II, pp. 1-16; ID., Un mancato riavvicinamento ungaro-romeno del 1920,
ivi, vol. 2, pp. 17-74. In questi saggi Toscano fece ampio ricorso ai tre volumi della raccol-
ta documentaria magiara Papers and Documents relating to the Foreign Relations of Hungary,
(d’ora innanzi PDH), Budapest, 1939-1946, tre volumi, ancora oggi utile per lo studio del-
la politica estera ungherese tra l’agosto 1919 ed il dicembre 1921.
21 Testo dell’armistizio con l’Austria-Ungheria, firmato il 3 novembre 1918, in Foreign
Relations of the United States (d’ora innanzi FRUS), Washington, 1861-, The Paris Peace
Conference, 1919, II, pp. 175-182. Sulla genesi dell’armistizio: MELCHIONNI, La vittoria mu-
tilata, cit.; LEDERER, op. cit., p. 55 e ss.
22 A titolo d’esempio: DDI, VI, 1, dd. 363,341, 500, 529. A proposito dei rapporti fra
Italia e Stato jugoslavo fra la fine del 1918 e l’inizio del 1919: CACCAMO, L’Italia e la «Nuova
Europa», cit.; ID., Il sostegno italiano all’indipendentismo croato 1918-1920, «Nuova Storia
Contemporanea», n. 5, 2003, p. 1 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 71 e ss.
16 LUCIANO MONZALI

tori non previsti dal Patto di Londra: il Consiglio nazionale italiano


di Fiume, città a maggioranza italiana ma circondata da un retroterra
compattamente croato e principale sbocco al mare della Croazia set-
tentrionale, chiese l’annessione all’Italia23; nella Penisola molti so-
stennero anche la tesi che si dovesse occupare Spalato, principale città
dalmata con una forte minoranza italiana24. Pure nell’Adriatico meri-
dionale si aggravò la tensione fra l’Italia e lo Stato jugoslavo: la ra-
pida avanzata serba in Albania e la soppressione del Montenegro in-
dipendente25 inquietarono la classe dirigente italiana. Il deterioramento
di rapporti con il Regno SHS portò all’irrigidimento dell’atteggia-
mento italiano verso gli jugoslavi, anche da parte di coloro che, come
il presidente del Consiglio Orlando, si erano dimostrati disponibili a
cercare un’intesa amichevole con i serbi e gli altri politici jugoslavi.
Il governo italiano contestò la soppressione dell’indipendenza del
Montenegro giudicandola illegale, non riconobbe lo Stato jugoslavo
proclamato il 1° dicembre 1918 e cercò d’ostacolare il consolidamento
del nuovo Regno, sostenendo tutte le forze politiche slave del sud se-
cessioniste ed anti-unitarie (legittimisti asburgici, movimento conta-
dino e partito del diritto croati, indipendentisti montenegrini).
Le sfide che l’esito della guerra mondiale pose all’Italia si evi-
denziarono in tutta la loro drammaticità nel corso del 1919-1920, i dif-
ficili anni della Conferenza della Pace a Parigi e dell’elaborazione di
un nuovo ordine europeo. Per valutare il ruolo e l’azione diplomatica
dell’Italia in quegli anni occorre tenere conto della situazione interna
italiana e degli effetti che la guerra aveva avuto su di essa. La guer-
ra, la mobilitazione di milioni di uomini, la riorganizzazione dell’e-
conomia in funzione del conflitto bellico avevano sconvolto la società
italiana e i suoi equilibri interni. Lo Stato centrale e la classe dirigen-

23 Al riguardo: LUIGI ELMO LONGO, L’esercito italiano e la questione fiumana (1918-


1921), Roma, 1996, I, p. 18 e ss. Sulla storia dell’italianità fiumana: MARIO DASSOVICH, La
diaspora fiumana nella testimonianza di Enrico Burich, Udine, 1986; BALLARINI, op. cit.;
ESTER CAPUZZO, Dall’Austria all’Italia. Aspetti istituzionali e problemi normativi nella sto-
ria di una frontiera, Roma, 1996, p. 7 e ss.
24 Ad esempio: DDI, VI, 1, dd. 419, 426; LUCIANO MONZALI, Un contributo alla storia
degli italiani di Dalmazia. Le carte Ghiglianovich, «La Rivista dalmatica», 1997, n. 3, in par-
ticolare p. 206 e ss.; ID., Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.; ID., Antonio Tacconi e la
Comunità italiana di Spalato, cit.
25 DDI, VI, 1, dd. 245, 459, 514, 526; ANTONELLO BIAGINI, I rapporti tra l’Italia e il
Montenegro durante la prima guerra mondiale (1914-1918), «Rassegna storica del
Risorgimento», 1981, n. 4, p. 443 e ss.; BANAC, The National Question in Yugoslavia, cit.;
CACCAMO, Il Montenegro, cit.
L’ITALIA LIBERALE 17

te liberale furono incapaci di rispondere alle esigenze delle masse con-


tadine, che cominciavano a mostrare un impegno politico intenso e ine-
dito, e di mantenere ordine e compattezza in una società sconvolta da
lotte sociali ed economiche26. La guerra, in realtà, accelerò processi
sociali e politici già in atto da tempo in Italia, in particolare la crisi di
rappresentanza dell’establishment liberale e l’emergere delle forma-
zioni politiche socialista e cattolica. Un Paese diviso e spaccato, scon-
volto da sommovimenti sociali, guidato da una classe politica sempre
meno rappresentativa: questo fu il quadro della società italiana negli
anni del primo dopoguerra. Tutto ciò ebbe un forte impatto sulla po-
litica estera dello Stato italiano, inevitabilmente, anche a causa della
crisi interna, meno efficace ed incapace di pensare e perseguire stra-
tegie di lungo termine. La reazione della classe dirigente liberale di
fronte alla crisi interna fu di puntare sempre più sulla politica estera
come strumento per rafforzare la propria posizione presso l’opinione
pubblica. Fra il 1918 e il 1922 i governi liberali, guidati da Orlando,
Nitti, Giolitti, Bonomi e Facta, cercarono successi di politica estera al
fine di poterli usare a vantaggio delle proprie posizioni di potere27.
Altra conseguenza della crisi dello Stato liberale fu il concentrarsi qua-
si ossessivo della classe dirigente sui problemi territoriali e politici ita-
liani e la frequente rinuncia a svolgere un ruolo internazionale globa-
le. Ciò emerse con molta chiarezza nel corso della Conferenza della
Pace, dove la delegazione italiana s’impegnò prevalentemente sulle
proprie rivendicazioni politiche, territoriali ed economiche e sugli sce-
nari adriatico-balcanico e anatolico, rinunciando spesso a svolgere un
ruolo attivo in altre aree geopolitiche e in altre questioni trattate alla
Conferenza (dal problema della Germania al tema dei rapporti con la
Russia sovietica, all’assetto dell’Asia orientale, ecc.)28. Riguardo al
problema dell’assetto dell’Europa centrale29, sul piano generale la di-

26 Rimandiamo qui alle efficaci pagine di GUIDO CRAINZ, Padania. Il mondo dei brac-
cianti dall’Ottocento alla fuga dalle campagne, Roma, 2007, p. 147 e ss.; Si veda anche
VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma,
cit., due vol.
27 LUCIANO MONZALI, La politica coloniale africana di Tommaso Tittoni nel 1919, «Clio»,
2003, n. 4, pp. 565-627.
28 LUCIANO MONZALI, Riflessioni sulla cultura della diplomazia italiana in epoca libe-
rale e fascista, in GIORGIO PETRACCHI, a cura di, Uomini e Nazioni. Cultura e politica estera
dell’Italia del Novecento, Udine, 2005.
29 Sull’atteggiamento italiano verso i problemi dell’Europa centrale alla Conferenza del-
la Pace il testo migliore è CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit. Per un’analisi del-
18 LUCIANO MONZALI

plomazia italiana accettò e favorì il consolidamento dei nuovi Stati na-


zionali successori dell’Impero asburgico, percependo, però, a diffe-
renza di altri governi (ad esempio quello francese), che l’esistenza di
minoranze allogene troppo numerose all’interno di questi Stati avreb-
be potuto costituire una grave minaccia per la loro sicurezza. Da qui
la convinzione della diplomazia italiana che fosse opportuno frenare
le eccessive rivendicazioni nazionalistiche polacche, romene, ceco-
slovacche e jugoslave ed evitare draconiane umiliazioni agli Stati scon-
fitti. Altro elemento caratteristico dell’azione italiana riguardo l’assetto
dell’Europa centrale alla Conferenza fu il favore verso lo stabilimen-
to di frontiere fondate su fattori strategici e geografici, considerati ele-
menti che contribuivano al consolidamento dei confini e alla loro sta-
bilizzazione30. In seno alla Conferenza della Pace l’attenzione della di-
plomazia italiana si rivolse soprattutto alla questione jugoslava. Il dis-
sidio fra Roma e Belgrado sui confini creò un aspro contenzioso fra i
due Paesi, alimentato da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, che ve-
devano con favore il rafforzamento della Jugoslavia, così come della
Grecia, in funzione anti-italiana31. La conflittualità latente si trasformò

l’azione generale dell’Italia alla Conferenza della Pace: LUIGI ALDROVANDI MARESCOTTI,
Guerra diplomatica. Ricordi e frammenti di Diario (1914-1919), Milano, 1936; ID., Nuovi
Ricordi e frammenti di Diario, Milano, 1938; SILVIO CRESPI, Alla difesa d’Italia in guerra e
a Versailles, Milano, 1937; ANTONIO SALANDRA, I retroscena di Versailles, Milano, 1971;
VITTORIO EMANUELE ORLANDO, Memorie (1915-1919), Milano, 1960; RENÉ ALBRECHT-CARRIÉ,
Italy at the Paris Peace Conference, New York, 1938; LEDERER, op. cit.; PASTORELLI, L’Albania
nella politica estera italiana 1914-1920, cit.; H. JAMES BURGWYN, The Legend of the Mutilated
Victory. Italy, The Great Powers and the Paris Peace Conference, Westport, 1993; ITALO
GARZIA, L’Italia e le origini della Società delle Nazioni, Roma, 1995; RICCARDI, Francesco
Salata, cit., p. 164 e ss.; PAOLO ALATRI, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica (1919-1920),
Milano, 1959; LUCA MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna nel primo dopoguerra, Roma, 1999;
MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.
30 CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit.
31 Sulla politica della Gran Bretagna: ROTHWELL, British War Aims, cit., p. 111 e ss.;
HAROLD NICOLSON, Peacemaking 1919, London, 1945, p. 129 e ss.; MICHAEL L. DOCKRILL,
J. DOUGLAS GOOLD, Britain and the Peace Conferences 1919-1923, London, 1981, p. 105 e
ss., 186 e ss.; SETH P. TILLMAN, Anglo-American Relations at the Paris Peace Conference of
1919, Princeton, 1961, p. 315 e ss.; PAUL C. HELMREICH, From Paris to Sèvres. The Partition
of the Ottoman Empire at the Peace Conference of 1919-1920, Columbus, 1974; ERIK
GOLDSTEIN, Winning the Peace. British Diplomatic Strategy, Peace Planning and the Paris
Peace Conference, 1916-1920, Oxford, 1991; MICHAEL LLEWELLYN SMITH, Ionian Vision.
Greece in Asia Minor 1919-1922, New York, 1973; MARGARET MACMILLAN, Parigi 1919. Sei
mesi che cambiarono il mondo, Milano, 2006. Riguardo all’atteggiamento degli Stati Uniti
verso la politica estera italiana nel 1918-1919: ALBRECHT-CARRIÉ, Italy at The Paris Peace
Conference, cit., p. 35 e ss.; JEAN-BAPTISTE DUROSELLE, Da Wilson a Roosevelt. La politica
estera degli Stati Uniti dal 1913 al 1945, Bologna, 1963; LILIANA SAIU, Stati Uniti e Italia
L’ITALIA LIBERALE 19

ben presto in vero e proprio scontro politico. In occasione delle di-


scussioni per la delimitazione delle nuove frontiere in Europa centra-
le e meridionale la delegazione jugoslava a Parigi decise di presenta-
re rivendicazioni territoriali massimalistiche, chiedendo l’annessione
di Trieste e Gorizia, dell’Istria, della Dalmazia e dell’Albania setten-
trionale32. Pure il governo italiano ampliò i propri piani di conquista
territoriale, chiedendo, oltre ai territori previsti dal Patto di Londra,
Fiume e un mandato sull’Albania33. Gli alleati dell’Italia, francesi e
britannici, si dimostrarono freddi e ostili verso le rivendicazioni ita-
liane e manifestarono simpatia per gli jugoslavi. Ma, soprattutto, fu
la delegazione americana, guidata dal presidente Woodrow Wilson, ad
opporsi apertamente all’Italia. A parere di Wilson, la dissoluzione
dell’Impero asburgico e la futura creazione della Società delle Nazioni
rendevano ingiustificate le paure italiane di essere minacciati militar-
mente ad Oriente: era opportuno, quindi, definire un confine italo-ju-
goslavo (la cosiddetta linea Wilson) fondato prevalentemente sul prin-
cipio etnico, che lasciasse al Regno SHS il controllo della Dalmazia
e dell’Istria orientale; per superare il contenzioso su Fiume, invece, il
presidente americano propose la costituzione di una città libera34.
L’opposizione della diplomazia statunitense alle rivendicazioni adria-
tiche dell’Italia provocò un’impasse nel contenzioso italo-jugoslavo,
che rimase irrisolto per molti mesi. L’atteggiamento dell’Italia verso
i problemi della Cecoslovacchia, dell’Ungheria e dell’Austria fu
profondamente condizionato dalla politica italiana verso la Jugosla-

nella Grande Guerra 1914-1918, Firenze, 2003; MAYER, Politics and Diplomacy of
Peacemaking, cit.; ID., Political Origins of the New Diplomacy, cit., p. 329 e ss.; DANIELA
ROSSINI, Il mito americano nell’Italia della Grande Guerra, Roma-Bari, 2000, p. 157 e ss.;
DRAGAN R. ŽIVOJINOVIĆ, America, Italy and the Birth of Yugoslavia (1917-1919), Boulder,
1972; RAY STANNARD BAKER, Woodrow Wilson and the World Settlement, New York, 1923,
vol. 2, p. 127 e ss.; LOUIS JOHN NIGRO JR., The New Diplomacy in Italy. American Propaganda
and U.S. – Italian Relations, 1917-1919, New York, 1999.
32 LEDERER, op. cit., p. 143 e ss.
33 Il memoriale italiano presentato alla Conferenza della Pace è edito in DDI, VI, 2, d.
787. Si veda al riguardo: RICCARDI, Francesco Salata, cit. p. 194 e ss.
34 Sullo scontro fra Wilson e la delegazione italiana alla Conferenza della Pace molto ma-
teriale documentario nelle carte di Wilson: WP, volumi 56, 57, 58, 59, 60. Si vedano anche i
verbali delle discussioni del Consiglio dei Quattro: PAUL MANTOUX, Les Délibérations du
Conseil des Quatre (24 mars-28 juin 1919), Paris, 1955, due volumi. Fra la storiografia:
ALBRECHT-CARRIÉ, Italy at the Paris Peace Conference, cit.; DUROSELLE, Da Wilson a
Roosevelt. La politica estera degli Stati Uniti dal 1913 al 1945, cit., 1963; LEDERER, op. cit.;
GARZIA, L’Italia, cit.; ŽIVOJINOVIĆ, America, Italy and the Birth of Yugoslavia (1917-1919),
cit.
20 LUCIANO MONZALI

via35. Ispirata da una strategia politica ostile a Belgrado, la delegazione


italiana si sforzò di frenare l’espansione territoriale jugoslava. Da qui
il sostegno italiano alle tesi austriache in Stiria e Carinzia, a quelle ro-
mene nel Banato, e la difesa dei diritti nazionali albanesi contro le mi-
nacce jugoslave e greche. Notevole fu lo sforzo di aiutare la diplo-
mazia romena a realizzare la gran parte delle sue rivendicazioni ter-
ritoriali: nel 1919 il governo di Roma considerò la Romania un im-
portante partner in Europa centrale, senza però essere contraccambiato
nelle attenzioni, in quanto Bucarest preferì privilegiare i rapporti con
Parigi36. Inizialmente speranzosa di ottenere il sostegno di Parigi sul-
la questione adriatica, l’Italia accettò e sostenne i progetti francesi d’in-
debolire la Germania concedendo confini occidentali molto vantag-
giosi alla Cecoslovacchia e alla Polonia37. In generale la delegazione
italiana mostrò disinteresse verso le questioni polacche: nel corso del-
le discussioni del maggio 1919, però, Sonnino fu ostile alle rivendi-
cazioni polacche sulla Galizia orientale e ad un’eccessiva espansione
orientale della Polonia. È in un contesto di antagonismo italo-jugo-
slavo e di cattivi rapporti fra Roma e gli alleati dell’Intesa che prese
lentamente sviluppo una politica di attenzione dell’Italia verso il nuo-
vo Stato austriaco38. In Italia molti considerarono utile l’esistenza di

35 Al riguardo CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit. Una buona analisi della dif-
fidenza di gran parte della classe dirigente cecoslovacca verso l’Italia liberale in FRANCESCO
CACCAMO, L’Italia nella corrispondenza tra Masaryk e Beneš all’indomani della prima guer-
ra mondiale, «Clio», 1996, n. 3, pp. 489-513.
36 SHERMAN D. SPECTOR, Rumania at the Paris Peace Conference. A study of the
Diplomacy of Ioan I. C. Bratianu, New York, 1962; GIULIANO CAROLI, L’Italia e il problema
nazionale romeno alla conferenza della pace di Parigi, 1919-1920, «Storia e Politica», 1978,
n. 3, p. 453 e ss., saggio riedito in ID., La Romania nella politica estera italiana 1915-1965.
Luci e ombre di un’amicizia storica, Milano, 2009, p. 17 e ss.
37 CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit.; DANIEL PERMAN, The Shaping of the
Czechoslovak State. Diplomatic History of the Boundaries of Czechoslovakia 1914-1920,
Leiden, 1962.
38 Sulle relazioni italo-austriache nel primo dopoguerra vi è molto materiale in
Außenpolitische Dokumente der Republik Österreich 1918-1938, (d’ora innanzi DDA) Wien-
München, 1993-, vol. 1, 2, 3. Fra la letteratura si vedano: HANS HAAS, Le relazioni italo-au-
striache dall’armistizio di Villa Giusti al trattato di Saint Germani, «Storia e Politica», 1973,
pp. 411-428; FEDERICO CURATO, Le relazioni italo-austriache alla Conferenza della Pace, ivi,
pp. 429-457; GIORGIO MARSICO, Il problema dell’Anschluss austro-tedesco 1918-1922, Milano,
1983; RODOLFO MOSCA, L’Austria e la politica estera italiana dal trattato di St. Germain al-
l’avvento del fascismo al potere (1919-1922), in ID., Le relazioni internazionali nell’età con-
temporanea, cit., p. 94 e ss.; STEFAN MALFER, Wien und Rom nach dem Ersten Weltkrieg.
Österreichisch-italienische Beziehungen 1919-1923, Wien, 1978; ARNOLD SUPPAN,
Jugoslawien und Österreich 1918-1938. Bilaterale Aussenpolitik im Europäischen Umfeld,
L’ITALIA LIBERALE 21

uno Stato austriaco indipendente, sorta di seconda Svizzera, scudo pro-


tettivo e barriera fra la Germania e lo Stato sabaudo. Da qui la deci-
sione di rafforzare il nuovo Stato austriaco difendendolo dalle riven-
dicazioni jugoslave in Carinzia e Stiria e ostacolando ogni disegno di
creazione di un corridoio territoriale fra Jugoslavia e Cecoslovacchia.
Elemento di tensione nei rapporti bilaterali italo-austriaci rimase ov-
viamente l’Alto Adige, annesso all’Italia contro la volontà della popo-
lazione di lingua tedesca39. Ma, nel primo dopoguerra, la politica del-
lo Stato italiano verso i tedeschi dell’Alto Adige non era ancora chia-
ra e definita e sembrava possibile addolcire al governo di Vienna la per-
dita territoriale tramite la concessione di un regime di larga autonomia
ai sudtirolesi40.
La formazione del governo Nitti-Tittoni41 alla fine del giugno 1919
spinse la diplomazia italiana a cercare di migliorare i rapporti con gli
Alleati e di chiudere rapidamente il contenzioso territoriale con la
Jugoslavia. L’indebolimento diplomatico e il crescente isolamento in-
ternazionale dell’Italia consigliarono al nuovo esecutivo di ridimen-
sionare le rivendicazioni in Dalmazia al fine di assicurarsi Fiume e un
buon confine in Venezia Giulia42. Ma, nonostante il ridimensionamento
delle richieste italiane e la mediazione anglo-francese, il governo di
Belgrado rifiutò di chiudere in tempi rapidi la questione dei confini.
Lo scontro con la Jugoslavia spinse l’Italia liberale a cercare di de-
stabilizzare lo Stato vicino intrecciando rapporti con gruppi politici se-

Wien-München, 1996; LAJOS KEREKES, Von St. Germain bis Genf: Österreich und seine
Nachbarn, Budapest-Wien, 1979.
39 RICHARD SCHOBER, Die Tiroler Frage auf der Friedenskonferenz von Saint Germain,
Innsbruck, 1982.
40 UMBERTO CORSINI, RUDOLF LILL, Alto Adige 1918-1946, Bolzano, 1988; CORSINI,
Problemi di un territorio di confine. Trentino e Alto Adige dalla sovranita austriaca all’ac-
cordo Degasperi-Gruber, cit.; ROLF STEININGER, Südtirol 1918-1999, Innsbruck-Wien, 1999.
41 Al riguardo l’analisi di Rodd, ambasciatore britannico a Roma: British Documents on
Foreign Affairs: Reports and Papers from the Foreign Office Confidential Print, (d’ora in-
nanzi BDFA), Washington, 1983- II, F, 4, Rodd a Curzon, 23 giugno 1919, d. 45. Sulla poli-
tica estera dei governi Nitti fondamentale MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna nel primo do-
poguerra. Le relazioni diplomatiche tra Roma e Londra dal 1919 al 1922, cit.
42 MONTICONE, Nitti e la grande guerra, cit.; FRANCESCO BARBAGALLO, Francesco S. Nitti,
Torino, 1984; FRANCESCO SAVERIO NITTI, Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio
Nitti. Scritti politici. Volume V. Diario di prigionia, Meditazioni dell’esilio, Roma-Bari, 1967;
ID., Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti. Scritti politici. Volume VI.
Rivelazioni, Meditazioni e ricordi, Roma-Bari, 1963; ID., Edizione nazionale delle opere di
Francesco Saverio Nitti. Volume XVI. Tomo II. Scritti politici. Articoli e discorsi inediti va-
ri, documenti, Roma-Bari, 1980.
22 LUCIANO MONZALI

cessionisti croati, montenegrini, kosovari, macedoni43. Nelle destre ita-


liane, nel nazionalismo, nel nascente fascismo, ma anche in parte del-
le forze armate e degli ambienti liberali governativi si sviluppò una
forte ostilità contro l’esistenza di uno Stato jugoslavo unitario. Questo
anti-jugoslavismo fu un fattore centrale dell’azione internazionale del
movimento dannunziano che occupò Fiume fra il 1919 e il 1920 e
cercò in tutti i modi di favorire la disgregazione dello Stato jugosla-
vo44. Per D’Annunzio e i suoi seguaci la Jugoslavia era uno Stato ar-
tificiale, oppressore dei popoli e nemico implacabile dell’Italia.
D’Annunzio cercò di conciliare l’espansionismo italiano con la dife-
sa dei diritti nazionali dei piccoli popoli balcanici: la distruzione del-
la Jugoslavia, a suo avviso, avrebbe consentito non solo la trasfor-
mazione dell’Adriatico in un lago italiano ma anche la rinascita del
Montenegro, la creazione di una grande Albania, la costituzione di una
Croazia indipendente, amputata dei territori adriatici ma inglobante le
terre slovene. La diplomazia e la gran parte della classe dirigente ita-
liana favorirono inizialmente i disegni dannunziani e secessionisti so-
prattutto per spaventare Belgrado e convincere i serbi ad accettare le
rivendicazioni territoriali di Roma. Riguardo alle definizione dei trat-
tati di pace con Austria e Ungheria, Nitti e la delegazione italiana s’im-
pegnarono per evitare eccessive amputazioni territoriali dell’Ungheria
e della Bulgaria e per cercare di raggiungere un’intesa romeno-ma-
giaro-bulgara sotto l’egida italiana, che isolasse Belgrado e rafforzasse
l’influenza dell’Italia nella regione danubiano-balcanica contrastando

43 MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.; p. 148 e ss.; GIOVANNI GIURIATI, Con
D’Annunzio e Millo in difesa dell’Adriatico, Firenze, 1954; MASSIMO BUCARELLI, «Delenda
Jugoslavia». D’Annunzio, Sforza e gli “intrighi balcanici” del ’19-20, «Nuova Storia
Contemporanea», 2002, n. 6, pp. 19-34; CACCAMO, Il sostegno italiano all’indipendentismo
croato 1918-1920, cit.
44 Sul movimento dannunziano e l’impresa di Fiume: RENZO DE FELICE, D’Annunzio po-
litico 1918-1938, Roma-Bari, 1978; ID., Sindacalismo rivoluzionario e fiumanesimo nel car-
teggio De Ambris-D’Annunzio (1919-1922), Brescia, 1966; FRANCESCO PERFETTI,
Fiumanesimo, sindacalismo e fascismo, Roma, 1988; LONGO, L’esercito italiano e la questione
fiumana (1918-1921), cit.; FERDINANDO GERRA, L’Impresa di Fiume. Nelle parole e nell’a-
zione di Gabriele D’Annunzio, Milano, 1966; PAOLO ALATRI, D’Annunzio, Torino, 1983; ID.,
Nitti, D’Annunzio, cit.; MICHAEL A. LEDEEN, D’Annunzio a Fiume, Roma-Bari, 1975;
MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit.; CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit.; ID.,
Il sostegno italiano, cit.; RICCARDI, Francesco Salata, cit.; BUCARELLI, «Delenda Jugoslavia».
D’Annunzio, Sforza e gli “intrighi balcanici” del ’19-20, cit.; MONZALI, Italiani di Dalmazia
1914-1924, cit.; ANTONELLA ERCOLANI, Da Fiume a Rijeta. Profilo storico-politico dal 1918
al 1947, Soveria Mannelli, 2009.
L’ITALIA LIBERALE 23

la presenza della Francia45. L’intesa non ebbe realizzazione, ma indicò


un orientamento politico che sarebbe stato presente a intermittenza nel-
la politica estera italiana negli anni successivi.
Il contenzioso italo-jugoslavo trovò una sua soluzione solo dopo
il tracollo politico di Wilson – causato dal rifiuto del Senato america-
no di ratificare il trattato di Versailles e lo statuto della Società delle
Nazioni –, e il miglioramento dei rapporti italo-francesi seguito al-
l’avvento al potere di Giovanni Giolitti. Il governo Giolitti, con Carlo
Sforza ministro degli Esteri46, svolse un’abile strategia diplomatica
puntando a raggiungere un’intesa privilegiata con gli ambienti politi-
ci serbi. La decisione italiana di rinunciare al mandato sull’Albania e
di riconoscere l’indipendenza albanese (sancita definitivamente con il
trattato di Tirana dell’agosto 1920) e la volontà di chiedere in Dalmazia
l’annessione della sola Zara, lasciando al regno SHS il controllo del
retroterra dalmata, eliminarono gravi contrasti d’interesse fra italiani
e serbi. Il governo jugoslavo, ormai dominato dalla classe dirigente
serba, si dimostrò pronto a chiudere il contenzioso con l’Italia sacri-
ficando le rivendicazioni nazionali slovene e croate47. La difficile si-
tuazione interna jugoslava (con un crescente scontro fra croati, desi-
derosi di maggiori autonomie regionali e locali, e serbi, difensori di
uno Stato centralistico da loro egemonizzato)48 e il permanere di spin-
te secessionistiche in Montenegro, Macedonia, Kosovo, Vojvodina e
Croazia, rendevano preziosa la creazione di buoni rapporti di vicina-
to con l’Italia. Il 12 novembre 1920 i due governi italiano e jugosla-
vo firmarono a Rapallo un trattato che chiuse temporaneamente il con-
tenzioso confinario fra i due Paesi49. Il governo di Roma ottenne il con-

45 CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit.


46 Riguardo all’azione internazionale di Carlo Sforza e del governo Giolitti nel 1920-21:
MARIA GRAZIA MELCHIONNI, La politica estera di Carlo Sforza nel 1920-21, «Rivista di stu-
di politici internazionali», 1969, p. 536 e ss.; ID., La convenzione antiasburgica del 12 no-
vembre 1920, «Storia e Politica», 1972, n. 2, p. 224 e ss., n. 3, p. 374 e ss.; MONZALI, Italiani
di Dalmazia 1914-1924, cit.; MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit.; GIANCARLO
GIORDANO, Carlo Sforza: la diplomazia 1896-1921, Milano, 1987; LIVIO ZENO, Carlo Sforza:
ritratto di un grande diplomatico, Firenze, 1999; CARLO SFORZA, L’Italia dal 1914 al 1944
quale io la vidi, Verona-Milano, 1944; DDF 1920, II, dd. 109, 146, 212, 454, 467; DDF 1921,
I, dd. 77, 83, 100, 290, 300.
47 LEDERER, op. cit., p. 350 e ss.
48 Al riguardo: YPD, 1, ALBAN YOUNG, Annual Report on the Serb-Croat-Slovene
Kingdom for 1921, allegato a Young a Curzon, 6 aprile 1922, p. 485 e ss.
49 Il testo degli accordi di Rapallo (convenzione antiasburgica e accordo confinario) è
edito in AMEDEO GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia,
Roma, 1934, p. 36 e ss. Vi è una ricca documentazione italiana sul negoziato che portò a que-
24 LUCIANO MONZALI

trollo di tutta la Venezia Giulia fino al Monte Maggiore e al Nevoso.


Rinunciò alla gran parte della Dalmazia a favore di Belgrado, ma si
assicurò una presenza italiana sulla costa dalmata con l’annessione di
Zara e il riconoscimento di alcuni diritti culturali per gli italiani rimasti
nel Regno SHS e conquistò l’egemonia militare nell’Adriatico cen-
tro-settentrionale con il controllo delle isole di Cherso, Lussino,
Lagosta e Pelagosa. Il problema di Fiume fu temporaneamente risol-
to con la costituzione dello Stato libero fiumano: soluzione che gli ju-
goslavi accettarono solo in cambio della promessa italiana lasciar lo-
ro in futuro il controllo e l’uso di Porto Baros (promessa contenuta in
uno scambio di lettere segreto fra Sforza e il ministro degli Esteri ju-
goslavo, Trumbić). In cambio di queste rinunce territoriali il governo
di Belgrado ottenne il riconoscimento diplomatico italiano del Regno
SHS, sottraendo così alle forze secessionistiche anti-serbe il loro prin-
cipale alleato. Con la contemporanea firma della convenzione anti-
asburgica – un accordo con cui le due Potenze s’impegnarono a ri-
spettare i trattati di Saint Germain e del Trianon e l’Italia promise d’im-
pedire la restaurazione degli Asburgo in Austria e Ungheria50 – il go-
verno jugoslavo ottenne un’ulteriore garanzia della propria integrità
territoriale. La questione albanese non venne trattata nell’accordo, ma
Sforza fece capire di volere seguire una politica di collaborazione con
Belgrado in tale regione e di essere pronto a tenere conto degli inte-
ressi serbi. Il trattato di Rapallo, notevole successo diplomatico del go-
verno Giolitti-Sforza, fu ratificato dal Parlamento italiano a stragran-
de maggioranza e con il consenso di tutti i capi del cosiddetto inter-
ventismo democratico51; lo stesso Benito Mussolini, capo del movi-
mento fascista, che aveva strumentalizzato i dannunziani e il movi-
mento per la Dalmazia italiana per ritagliarsi un ruolo come leader na-

sti trattati in Archivio storico del Ministero degli Affari Esteri a Roma (d’ora innanzi ASMAE),
Carte di Carlo Sforza (d’ora innanzi Carte Sforza), busta (d’ora innanzi b.) 7, verbali delle
riunioni fra le delegazioni italiana e serbo-croata-slovena, 10, 11 e 12 novembre 1920. Si ve-
dano anche: CARLO SFORZA, Jugoslavia. Storia e ricordi, Milano, 1948, p. 154 e ss.;
MELCHIONNI, La politica estera di Carlo Sforza nel 1920-21, cit., 1969, p. 536 e ss.; LEDERER,
op. cit., p. 350 e ss.; RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 264 e ss.; MICHELETTA, Italia e Gran
Bretagna, cit., I; MARIO DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale. I
Dall’armistizio di Cormons alla decadenza del patto Mussolini-Pasić (1866-1929), Udine,
1989, p. 197 e ss.; MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit., p. 191 e ss.; ATTILIO
TAMARO, Venti anni di storia, Roma, 1971 (seconda ediz.) I, p. 96 e ss.
50 MELCHIONNI, La convenzione antiasburgica del 12 novembre 1920, cit.
51 GAETANO SALVEMINI, Il trattato di Rapallo, in ID., Dalla guerra mondiale alla ditta-
tura, cit., p. 637 e ss.
L’ITALIA LIBERALE 25

zionalista, accettò il trattato, criticandone solo le clausole relative al-


la Dalmazia52. Il trattato di Rapallo venne duramente contestato in
Italia dai sostenitori di D’Annunzio, dai nazionalisti italiani, da gran
parte del movimento fascista, nonché da alcuni capi della minoranza
italiana in Dalmazia. I nazionalisti e i dannunziani ritenevano che la
rinuncia alla Dalmazia significasse la mancata conquista dell’egemo-
nia nell’Adriatico53. Fra le nazionalità jugoslave il trattato di Rapallo
ottenne i maggiori consensi fra i serbi: l’Italia rinunciava a sostenere
l’indipendentismo montenegrino e accettava quindi l’assorbimento del
Montenegro nel Regno SHS; con il controllo della Dalmazia, poi, ve-
niva mantenuta tutta la nazione serba in seno allo Stato jugoslavo. Per
croati e sloveni, invece, Rapallo segnava una grande sconfitta, con il
passaggio di territori abitati da centinaia di migliaia di connazionali
sotto il dominio dell’Italia. Lo stesso Trumbić, uno dei negoziatori del
trattato, affermò che la revisione dei confini italo-jugoslavi doveva es-
sere uno degli obiettivi futuri della nazione croata54.
Con il governo Giolitti-Sforza la politica estera italiana raggiunse
i risultati più brillanti nel periodo fra il 1918 e il 1922. Sforza, abile
nel conciliare realismo politico e perseguimento di una moderna azio-
ne di espansione, svolse una politica europea a tutto campo, tentando
di fare dell’Italia la principale alleata della Francia e di creare un con-
dominio italo-francese in Europa centrale. La politica di Sforza giocò
in modo convinto e spregiudicato lo spauracchio della restaurazione
asburgica per raccogliere simpatie e consensi fra cecoslovacchi, po-
lacchi, romeni e jugoslavi. Sforza si dimostrò favorevole alla costitu-
zione della Piccola Intesa fra Romania, Cecoslovacchia e Jugoslavia.
Non a caso fra la fine del 1920 e i primi mesi del 1921 i rapporti
dell’Italia con la Cecoslovacchia conobbero una forte intensificazio-
ne, che culminò nell’adesione cecoslovacca alla convenzione anti-
asburgica del novembre 192055. La politica estera di Sforza e Giolitti,

52 DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, cit., p. 636 e ss.


53 LUIGI FEDERZONI, Presagi alla nazione. Discorsi politici, Milano, 1925, pp. 177-213;
TAMARO, La lotta delle razze nell’Europa danubiana, cit., p. 157 e ss.; LUCIANO MONZALI,
Tra irredentismo e fascismo. Attilio Tamaro storico e politico, «Clio», 1997, n. 2, p. 286 e ss.;
ID., Attilio Tamaro, la questione adriatica e la politica estera italiana 1920-1922, «Clio», 2007,
n. 2, pp. 229-253.
54 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Intercettazione microfonica n. 5 (salotto jugoslavo), 10
novembre 1920.
55 MELCHIONNI, La politica estera di Carlo Sforza nel 1920-21, cit.; ID., La convenzione
antiasburgica del 12 novembre 1920, cit.; FRANCESCO CACCAMO, Italia e Cecoslovacchia ne-
gli anni Venti, «Nuova Storia Contemporanea», 2000, n. 2, pp. 59-76.; MICHELETTA, Italia e
26 LUCIANO MONZALI

però, fu duramente attaccata da nazionalisti e fascisti. Il principale


esperto nazionalista sull’Europa centrale, Attilio Tamaro56, contestò
l’azione diplomatica di Sforza, da lui definita come la ricerca del-
l’«alleanza con gli Slavi». La ricerca dell’amicizia della Jugoslavia e
della Cecoslovacchia da parte di Sforza, a parere dello scrittore trie-
stino, aveva attirato sull’Italia l’inimicizia o il sospetto di tutti i po-
poli (ungheresi, bulgari, tedeschi, albanesi) che avevano rivendicazioni
politiche e nazionali contro questi Stati. Per mezzo della collabora-
zione con la Jugoslavia e la Piccola Intesa Sforza cercava di afferma-
re l’influenza dell’Italia in Europa così come il governo di Roma ave-
va fatto prima della guerra con l’alleanza con l’Impero asburgico. Ma
l’alleanza italo-jugoslava aveva un valore politico assai scarso:

Le alleanze del passato costituivano un potente sistema di equilibrio, poi-


ché erano conchiuse con Stati formidabili. Il conte Sforza, invece, vuol le-
gare oggi l’Italia a due Stati, la Boemia e la Iugoslavia, che come Stati op-
pressori hanno ereditato tutto quanto di peggio era nei sistemi austro-unga-
rici, e come fattori politici contano pochissimo o nulla, sia perché sono tutti
assediati da nemici, che li odiano mortalmente, sia sono internamente corro-
si da incessanti e insolubili lotte nazionali. Ma non basta ancora. Il ministro
Sforza, che si illude di diventare il padreterno della “Piccola Intesa”, igno-
randone l’essenza panslavistica, vuole entrare in quest’alleanza boemo-iu-
goslava. Ma nel momento che si propone di fare una politica d’alleanza con
la Boemia non solo attira sull’Italia l’odio dei popoli che protestano contro
il dominio boemo – Tedeschi, Slovacchi e Magiari – ma rende diffidente e
ostile verso l’Italia la Polonia57.

A parere di Tamaro, l’Italia avrebbe dovuto affermare il suo pre-


dominio nell’Europa centrale e e in quella balcanica coordinando «in
un sistema da lei controllato tutte le forze antislave che si oppongono
agli sforzi egemonici di quegli Slavi, a nord e a sud del Danubio, che
poi gravitano con le loro forze sull’Adriatico»58. Sulla base di questa
visione strategica egli affermava l’esigenza di sostenere le forze anti-

Gran Bretagna, cit. I, p. 191 e ss.; DONATELLA BOLECH CECCHI, Alle origini di un’amicizia.
Italia-Cecoslovacchia 1918-1922, Soveria Mannelli, 2008
56 Sulla figura di Attilio Tamaro, il migliore esperto italiano di problemi dell’Europa cen-
trale negli anni Venti: MONZALI, Tra irredentismo e fascismo. Attilio Tamaro storico e politi-
co, cit.
57 ATTILIO TAMARO, L’alleanza con gli Slavi, «Politica», 1921, vol. VII, fasc. 20, pp. 151-
165, citazione p. 161.
58 Ivi, p. 157.
L’ITALIA LIBERALE 27

governative secessioniste in Jugoslavia e in Cecoslovacchia, di ap-


poggiare la revisione del trattato di pace del Trianon a favore dell’Un-
gheria e di non ostacolare l’unione fra Austria e Germania, unico mo-
do per evitare la restaurazione degli Asburgo59.
Con il trattato di Rapallo l’Italia riconobbe l’esistenza dello Stato
jugoslavo e venne meno tutta la tendenza anti-jugoslava che aveva in-
fluenzato l’atteggiamento italiano verso i problemi dell’Europa cen-
trale. Agli inizi degli anni Venti sembrò crearsi la possibilità di una
collaborazione fra i due Stati, a cui spingeva pure la natura comple-
mentare dei rispettivi sistemi economici. Questa era l’intenzione di
Giolitti e Sforza e dei politici serbi. Ma non mancavano gli ostacoli e
le difficoltà. In Jugoslavia, come abbiamo visto, la gran parte dei par-
titi croati e sloveni contestava i confini creati dal trattato di Rapallo
ed era ostile al miglioramento dei rapporti bilaterali. In Italia l’asce-
sa del movimento fascista riportò in auge il mito della «vittoria mu-
tilata» e la polemica sul trattato di Rapallo: fascisti e nazionalisti de-
nunciavano strumentalmente ogni concessione politica ed economica
a Belgrado come segno di debolezza dell’Italia. Non a caso il movi-
mento fascista raccolse i suoi primi successi politici proprio in Venezia
Giulia puntando sulla propaganda nazionalista e mirando ad aggravare
lo scontro italo-jugoslavo con violenze squadristiche60. Il successivo
rafforzarsi del fascismo in Italia e la sua politica di negazione dei di-
ritti politici e culturali delle popolazioni allogene rinfocolarono l’ita-
lofobia dei nazionalismi sloveno e croato, che risposero alle azioni fa-
sciste con analoghe violenze contro la minoranza italiana nella
Dalmazia jugoslava. Le rispettive minoranze furono naturalmente le
vittime di questo rinfocolarsi di violenze ed ostilità, che contribuiva
a rendere difficili i rapporti bilaterali. È quanto constatava nel marzo
1921 il ministro plenipotenziario italiano a Belgrado, Gaetano
Manzoni, invitando il governo di Roma a frenare le iniziative fasci-
ste rilevando i danni politici che le violenze contro le istituzioni cul-
turali slovene e croate provocavano alle relazioni bilaterali e alle con-

59 Ivi, pp. 165-166.


60 Sull’ascesa del movimento fascista in Venezia Giulia: DE FELICE, Mussolini il rivolu-
zionario, cit., p. 624 e ss; CLAUDIO SILVESTRI, Dalla redenzione al fascismo. Trieste 1918-
1922, Udine, 1959; ID., Storia del fascio di Trieste dalle origini alla conquista del potere
(1919-1922), in AA.VV., Fascismo Guerra Resistenza. Lotte politiche e sociali nel Friuli
Venezia Giulia 1918-1945, Trieste, 1969, pp. 13-99; ELIO APIH, Italia fascismo e antifasci-
smo nella Venezia Giulia (1918-1943), Roma-Bari, 1966, p. 113 e ss.; ALMERIGO APOLLONIO,
Dagli Asburgo a Mussolini.Venezia Giulia 1918-1922, Gorizia, 2001, p. 279 e ss.
28 LUCIANO MONZALI

dizioni delle minoranze italiane nel Regno SHS, facilitando reazioni


nazionaliste in Jugoslavia61. In particolare, il processo d’applicazione
del trattato di Rapallo si dimostrò alquanto travagliato e pesantemen-
te condizionato da esigenze di politica interna. Il governo italiano si
era impegnato a Rapallo, una volta avvenuta la ratifica del trattato, al-
l’immediato sgombero delle parti della Dalmazia occupate fin dal
1918. Dopo lo scambio delle ratifiche del trattato fra i due governi, il
2 febbraio 1921, vennero attivate le commissioni congiunte italo-ju-
goslave che avrebbero dovuto coordinare l’evacuazione dai territori
occupati e la delimitazione dei confini62. Ma la consegna dei territori
fu lenta e problematica63. Il governo italiano cercò di usare lo sgom-
bero dalla Dalmazia come pedina di scambio per un negoziato con
Belgrado che garantisse, oltre alla definitiva soluzione della questio-
ne fiumana, una maggiore tutela dei diritti della minoranza dalmata
italiana. Tale impostazione, però, era contestata dalla diplomazia ju-
goslava che riteneva lo sgombero un impegno che il governo di Roma
aveva già assunto e non più materia di negoziato: se l’Italia voleva ri-
solvere le altre questioni esistenti nei rapporti bilaterali, doveva in-
nanzitutto ritirarsi dalla Dalmazia64. A fine marzo fu raggiunta un’in-
tesa fra Roma e Belgrado, che consentì la consegna della prima zona
occupata in Dalmazia. Le evacuazioni decise dal governo Giolitti, sen-
za aver ottenuto nuove garanzie per i diritti della minoranza italiana,
e l’esodo di una parte rilevante degli abitanti italiani di quei territori
suscitarono le proteste dei nazionalisti, dei fascisti e di esponenti del-
la destra liberale. Nonostante ciò, Sforza e Giolitti, che ritenevano il
rafforzamento dei rapporti con Belgrado un elemento fondamentale
della politica estera italiana e consideravano ormai il problema di
Fiume più importante di quello della Dalmazia, decisero di prosegui-
re nell’applicazione del trattato di Rapallo. Fra maggio e giugno, i due
governi intavolarono negoziati al fine di accelerare l’applicazione del
trattato di Rapallo e definire l’assetto di Fiume. Alla fine di maggio

61 ASMAE, Carte di Gabinetto del Ministro e della Segreteria Generale (d’ora innanzi
GAB) 1923-1943, Ufficio Adriatico-Fiume (d’ora innanzi AF), b. 23, Manzoni a Ministero
degli Esteri, 8 marzo 1921.
62 MASSIMO BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia (1922-1939), Bari, 2006, p. 17.
63 Al riguardo: DANILO MASSAGRANDE, Italia e Fiume, 1921-1924. dal Natale di sangue
all’annessione, Milano, 1982; MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.
64 Ad esempio: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Nota verbale della Legazione del Regno
SHS al governo di Roma, 11 marzo 1921. Si veda anche: «Novo Doba», 14 gennaio 1921, O
zavlačenju izvršenja Rapalskog ugovora; ivi, 18 gennaio 1921, Demanti iz Beograda.
L’ITALIA LIBERALE 29

venne raggiunto un accordo secondo il quale, una volta costituitosi un


esecutivo legale fiumano, sarebbero iniziate conversazioni fra i go-
verni di Belgrado, Roma e Fiume per la conclusione di un’intesa sul-
lo sfruttamento e uso dei porti di Fiume, Susak/Sušak e delle loro di-
pendenze, il cui contenuto, però, era già stato concordato fra italiani
e jugoslavi: si prevedeva la costituzione di un consorzio italo-jugo-
slavo-fiumano per lo sfruttamento comune delle strutture portuali e fer-
roviarie di Fiume e Porto Baros; ma l’entrata in vigore dell’accordo
sul consorzio era condizionata dalla richiesta che l’Italia adempisse
pienamente al trattato di Rapallo:

era […] stabilito – ha ricordato Danilo Massagrande – che se a un mese


dalla firma dell’accordo non si fosse costituito il governo legale a Fiume, e
non si fosse provveduto alla consegna dei territori di spettanza allo Stato di
Fiume ed alla Jugoslavia (ciò che voleva dire l’evacuazione della seconda e
della terza zona dalmata, e dell’intero settore di Fiume), esso non avrebbe
più avuto alcun valore65.

Per facilitare il negoziato con gli jugoslavi, il governo italiano de-


cise di fare un gesto amichevole verso Belgrado, accelerando l’eva-
cuazione di tutta la seconda zona occupata della Dalmazia66. Il 12 giu-
gno Sebenico fu consegnata all’esercito jugoslavo e gran parte della
popolazione italiana abbandonò la città67. Nazionalisti, fascisti e de-
stra liberale, usciti rafforzati dalle elezioni parlamentari del maggio
1921, gridarono al tradimento degli interessi nazionali. Le vicende in
Dalmazia e l’intesa sul porto di Fiume indebolirono fortemente il go-
verno Giolitti. La politica estera di Sforza fu duramente contestata in
sede parlamentare, mettendo a repentaglio la maggioranza governati-
va. Dopo le discussioni parlamentari sulla politica estera Giolitti con-
statò la crescente fragilità del suo esecutivo e decise di presentare le
dimissioni del suo governo il 27 giugno68.

65 MASSAGRANDE, op. cit., pp. 38-39.


66 È quanto spiegò Contarini al console Rocco il 7 giugno: il governo aveva dovuto, «per
ragioni patriottiche», subordinare la soluzione dei problemi dalmatici alla «soluzione problema
Fiume che altrimenti sarebbe stata irreparabilmente perduta»: ASMAE, Archivio del Vice-
consolato italiano di Sebenico (d’ora in poi Sebenico), archivio ordinario (d’ora in poi arc.
ord.), b. 5, Contarini a Rocco, 7 giugno 1921.
67 MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit., pp. 322-324.
68 Sulla crisi del governo Giolitti: RENZO DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista
del potere 1921-1925, Torino, 1966, p. 101; MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.;
NICOLA TRANFAGLIA, La prima guerra mondiale e il fascismo, Torino, 1995, p. 262 e ss.;
30 LUCIANO MONZALI

Il 4 luglio 1921, Ivanoe Bonomi, socialista riformista, già ministro


della Guerra nell’esecutivo Giolitti, costituì un nuovo governo, fon-
dato su una coalizione fra liberali giolittiani, socialisti riformisti, de-
mocratico-sociali e popolari69. Bonomi nominò ministro degli Esteri
Pietro Tomasi Della Torretta70, diplomatico di carriera. A causa della
fragilità della sua maggioranza parlamentare, il governo Bonomi cercò
di raccogliere i consensi delle destre nazionalista e liberale e del fa-
scismo. Questa direttiva filo-fascista convinse Bonomi a fare proprie
alcune posizioni nazionalfasciste nella questione dell’applicazione di
Rapallo, in discontinuità con la politica di Sforza e Giolitti. Fra le pri-
me iniziative del governo Bonomi, infatti, vi fu la temporanea cessa-
zione dei lavori di delimitazione dei confini dello Stato di Fiume, de-
cisione che, come ha notato Danilo Massagrande, comportò, con il rin-
vio della consegna dei territori jugoslavi ancora occupati dall’Italia,
la sostanziale sconfessione dell’accordo sul consorzio portuale71. Di
fronte alle Camere, Bonomi confermò di volere rispettare ed applica-
re il trattato di Rapallo, ma mise in dubbio la validità dello scambio
di lettere Sforza-Trumbić su Porto Baros, dichiarando che il governo
si sentiva impegnato solo dall’accordo di Rapallo, firmato dai tre ple-
nipotenziari italiani e approvato dal Parlamento7. Il nuovo governo,
poi, decise di assumere una linea di maggiore durezza negoziale ver-
so Belgrado nella questione dalmatica, subordinando di fatto il ritiro
dalla terza zona dalmata (il retroterra di Zara e le isole vicine) a con-
cessioni da parte jugoslava sul piano dei rapporti commerciali ed eco-
nomici, nella questione di Fiume e riguardo a nuove garanzie forma-
li sui diritti della minoranza italiana in Dalmazia73. Il mutamento del-
l’atteggiamento verso la Jugoslavia fu uno dei primi segnali di una
nuova direzione della politica estera italiana, non più fondata su un’in-

EMILIO GENTILE, Storia del partito fascista 1919-1922. Movimento e milizia, Bari-Roma, 1989,
p. 208 e ss. Sull’importanza dei problemi della politica estera nella crisi del governo Giolitti:
BDFA, II, F, 4, Buchanan a Curzon, 27 giugno 1921, d. 327.
69 DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista del potere 1921-1925, cit., p. 101 e ss.;
DANILO VENERUSO, La vigilia del fascismo. Il primo ministero Facta nella crisi dello Stato
liberale in Italia, Bologna, 1968, p. 18 e ss.; BDFA, II, F, 5, Buchanan a Curzon, 4 luglio
1921, d. 7.
70 Sulla biografia di Della Torretta: MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit., II, pp. 405-
407; PETRACCHI, Da San Pietroburgo, cit., p. 170 e ss.
71 MASSAGRANDE, op. cit., p. 47.
72 «L’Idea Nazionale», 2 agosto 1921, La politica italiana in Adriatico e in Oriente;
MASSAGRANDE, op. cit., p. 47.
73 MASSAGRANDE, op. cit.; MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.
L’ITALIA LIBERALE 31

tesa privilegiata con la Francia e su una forte collaborazione con i nuo-


vi Stati nazionali dell’Europa centrale (Cecoslovacchia, Polonia,
Jugoslavia). Della Torretta, anglofilo e conservatore, desiderava l’al-
leanza con Londra e la creazione di una nuova costellazione politica
in Europa centrale, egemonizzata da Roma, imperniata sulla stretta
amicizia fra Austria, Ungheria e Italia74. Della Torretta progressiva-
mente abbandonò le direttive politiche di Sforza, che avevano porta-
to alla vicinanza italiana alla Piccola Intesa. Segnali di questa svolta
politica furono il raffreddamento dei rapporti con la Cecoslovacchia
e la Jugoslavia, dovuto anche all’intervento italiano nella questione del
Burgenland75, e il disinteresse del russofilo Della Torretta per la con-
clusione di un accordo di collaborazione politica con la Polonia, pro-
pugnato dal ministro a Varsavia, Tommasini76. Questa strategia italia-
na irritò gli jugoslavi e creò diffidenza anche negli ambienti politici
serbi più favorevoli alla collaborazione con Roma. La volontà italia-
na di affermare la propria influenza politica in Albania attraverso la
dichiarazione della Conferenza degli ambasciatori di Londra del no-
vembre 1921 – che confermava l’indipendenza albanese, ma ne affi-
dava la tutela all’Italia – contribuì non poco a far risorgere nei circo-
li politici serbi l’idea che gli italiani mirassero ad ostacolare gli inte-
ressi di Belgrado nella regione77. Il peggioramento delle relazioni ita-
lo-jugoslave ebbe come risultato il sostanziale interrompersi di tutta
la febbrile applicazione del trattato di Rapallo attraverso la conclusione
di nuove convenzioni che aveva caratterizzato la politica di Sforza nei
primi sei mesi del 1921. In realtà a partire dall’estate 1921 l’azione

74 MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit., II; MOSCA, L’Italia e la questione


dell’Ungheria occidentale, cit., in particolare p. 143 e ss.; FRANCESCO TOMMASINI, La risur-
rezione della Polonia, Milano, 1925, p. 331 e ss.; Archives Diplomatiques du Ministère des
Affaires Étrangères de France, Paris (d’ora innanzi AMAF), Europe 1918-1929, Italie, vol.
79, Charles-Roux al ministro degli Esteri, 28 agosto 1921; BDFA, II, F, 5, d. 54, Buchanan
a Curzon, 9 novembre 1921, d. 54.
75 MOSCA, L’Italia e la questione dell’Ungheria occidentale, cit.; MARTA PETRICIOLI, La
questione dell’Ungheria occidentale nei documenti diplomatici italiani, in FRANCESCO GUIDA,
RITA TOLOMEO, Italia e Ungheria (1920-1960). Storia, politica, società, letteratura, fonti,
Cosenza, 1991, pp. 1-30. Il ministro siciliano tentò di dare vita ad un raggruppamento italo-
austro-ungherese in funzione anti-jugoslava, progetto che non ebbe grande fortuna. Al riguardo
vi è interessante documentazione ungherese ed austriaca edita: PDH, 3, dd. 887, 896, 932,
947, 1055, 1057, 1058; DDA, 4, dd. 581, 582, 584, 585, 649, 650, 652.
76 TOMMASINI, La risurrezione della Polonia, cit., pp. 250-251.
77 Sulla questione albanese nella politica estera italiana nel 1921: MICHELETTA, Italia e
Gran Bretagna, cit., II, p. 413 e ss.
32 LUCIANO MONZALI

internazionale dell’Italia fu sempre più debole a causa della crisi in-


terna, caratterizzata dall’esplosione di una guerra civile fra fascisti e
socialisti e dalla crescente volontà del fascismo di affermare con la for-
za la propria egemonia politica. Il governo Bonomi, indebolito dalle
lotte fra fascisti e socialisti e dallo scandalo provocato dal fallimento
della Banca Italiana di Sconto, si dimise il 22 gennaio 192278. Falliti
i tentativi di Nitti e Giolitti di formare un nuovo esecutivo, il 26 feb-
braio si costituì un governo guidato dal piemontese Facta79, fedelissi-
mo di Giolitti, che si appoggiava su un’eterogenea coalizione forma-
ta da liberali, popolari e destra salandrina. Per la carica di ministro de-
gli Esteri fu nominato Carlo Schanzer, che aveva ottenuto un grande
successo diplomatico come delegato alla Conferenza di Washington
garantendo all’Italia la parità navale con la Francia nel trattato delle
cinque potenze80. Schanzer81, desideroso di usare la politica estera per
rilanciare il prestigio di un esecutivo molto debole, cercò di rafforza-
re il peso internazionale dell’Italia puntando alla creazione di stretti
rapporti con Londra82. Tentò, in particolare, di sfruttare l’organizza-
zione di un’importante conferenza internazionale a Genova, dedicata
alla discussione sul modo di favorire la ripresa economica europea e
la distensione dei rapporti con l’Unione Sovietica, per fare crescere il
prestigio dell’Italia83. Schanzer e il suo sottosegretario, Tosti di

78 BDFA, II, F, 5, Graham a Curzon, 3 febbraio 1922, d. 73.


79 BDFA, II, F, 5, Graham a Curzon, 24 febbraio e 2 marzo 1922, dd. 86 e 87; VENERUSO,
La vigilia del fascismo. Il primo ministero Facta nella crisi dello Stato liberale in Italia, cit.
80 Sulla partecipazione italiana alla Conferenza di Washington: MATTEO PIZZIGALLO,
L’Italia alla Conferenza di Washington, in ID., Disarmo navale e Turchia nella politica ita-
liana 1921-1922, Napoli, 2004, pp. 11-84; ALBERTINI, I giorni di un liberale, cit., p. 265 e ss.
81 Per un’analisi della figura di Schanzer: MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit., II,
p. 595 e ss.
82 MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit., II; Documents on British Foreign Policy
1919-1939, (d’ora innanzi DBFP) London, 1947-, I, 24, dd. 3, 4, 5, 6, 7. La diplomazia fran-
cese fu molto ostile alla politica estera di Schanzer: AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol.
80, Barthou al Ministero degli Esteri, 9 maggio 1922; ibidem, Saint Aulaire al ministro degli
Esteri, 5 e 7 luglio 1922; ibidem, Barrère a ministro degli Esteri, 9 e 19 luglio 1922.
83 Sulla Conferenza di Genova nella politica europea: CAROLE FINK, The Genoa
Conference. European Diplomacy, 1921-1922, Chapel Hill-London, 1984; STEPHEN WHITE,
The Origins of Détente. The Genoa Conference and Soviet-Western Relations 1921-1922,
Cambridge, 1985; CAROLE FINK, AXEL FROHN, JURGEN HEIDEKING, (a cura di), Genoa, Rapallo
and European Reconstruction in 1922, Washington-Cambridge, 1991; PETER KRÜGER, Die
Aussenpolitik der Republik von Weimar, Darmstadt, 1993, p. 155 e ss.; AA.VV., La confe-
renza di Genova e il trattato di Rapallo (1922), Roma, 1974; PETRACCHI, La Russia rivolu-
zionaria nella politica italiana, cit., p. 214 e ss.; MATTEO PIZZIGALLO, Alle origini della po-
litica petrolifera italiana (1920-1925), Milano, 1981, p. 94 e ss.
L’ITALIA LIBERALE 33

Valminuta, dedicarono molta attenzione ai rapporti con la Jugoslavia.


Schanzer cercò di migliorare le relazioni con Belgrado intavolando un
lungo negoziato con gli jugoslavi per regolare e risolvere i dissidi aper-
ti circa l’applicazione del trattato di Rapallo e concludere accordi eco-
nomici e commerciali ritenuti d’interesse reciproco. Esito di questo
lungo e travagliato negoziato furono i cosiddetti accordi di Santa
Margherita, le cui basi furono gettate nelle settimane della Conferenza
di Genova (aprile 1922), ma che vennero firmati solo il 23 ottobre
1922. Con questi accordi si cercò di regolare il problema del regime
doganale e del traffico di frontiera fra Zara e i territori limitrofi ed una
serie di questioni relative alle condizioni della minoranza italiana in
Jugoslavia e all’applicazione del trattato di Rapallo in Dalmazia84. In
cambio di queste concessioni il governo italiano s’impegnò a sgom-
berare la terza zona d’occupazione dalmata (il retroterra di Zara e le
isole circostanti la città) e a consegnarla al Regno SHS entro dodici
giorni dalla ratifica degli accordi; vi fu poi l’impegno di abbandona-
re il territorio di Fiume, occupato dall’esercito italiano dopo il colpo
di Stato fascista del marzo 1922, e di operare perché si procedesse al-
la delimitazione dei confini e all’organizzazione dello Stato libero di
Fiume secondo quanto previsto dal trattato di Rapallo. Ma, di fronte
ad opinioni pubbliche sempre più dominate da umori nazionalisti e in
un clima caratterizzato da sfiducia e sospetti, la ratifica degli accordi
di Santa Margherita e la loro esecuzione rimanevano alquanto incer-
te. Due anni erano trascorsi dal trattato di Rapallo: il progetto di una
grande collaborazione politica ed economica fra Italia e Regno dei
Serbi, Croati e Sloveni rimaneva un sogno irrealizzato. Alla fine di ot-
tobre le dimissioni del governo Facta e l’avvento al potere di Benito
Mussolini, capo del fascismo, facevano prevedere a molti la sconfes-
sione italiana delle convenzioni di Santa Margherita: giungeva infat-
ti al governo dell’Italia il movimento politico che per mesi aveva con-
dotto un’aspra battaglia contro la conclusione di questi accordi e che
sul piano propagandistico aveva con foga sostenuto il disegno dan-
nunziano di disgregare lo Stato unitario jugoslavo.

84 Una ricostruzione della genesi degli accordi di Santa Margherita in MONZALI, Italiani
di Dalmazia 1914-1924, cit., p. 381 e ss. I testi delle convenzioni sono pubblicati in GIANNINI,
Documenti, cit., p. 76 e ss.
II

DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ ALLA CREAZIONE


DEL DISORDINE. L’ITALIA FASCISTA, LA JUGOSLAVIA
E LA REGIONE DANUBIANA 1922-1936

Per comprendere la politica estera dell’Italia fascista è necessario ave-


re ben presente la natura del regime mussoliniano. Il fascismo, movi-
mento nazionalista autoritario di massa, per conquistare e mantenere il
potere fu costretto ad assorbire le più diverse forze politiche e cultura-
li e i più svariati interessi sociali ed economici. Il regime fascista1 fu
sostanzialmente il coagulo di diverse forze e orientamenti, tenuti in-
sieme dall’accettazione del potere supremo del capo del fascismo,
Benito Mussolini, e dal consenso verso un progetto di riorganizzazio-
ne autoritaria della società italiana, che doveva anche consentire una
più decisa e forte affermazione internazionale dello Stato nazionale. Le
tradizioni politiche e culturali, le visioni di politica internazionale esi-
stenti nella società italiana nell’epoca liberale sopravvissero all’inter-
no dell’Italia fascista, in parte evolvendo e interagendo in seno al regi-
me. Nella classe dirigente fascista accanto ai teorici dell’imperialismo
nazionalista e fascista coesistettero i sostenitori di approcci ai proble-
mi dell’Europa centrale e balcanica ispirati alla tradizione realista li-
berale, all’esperienza dell’interventismo nazionaldemocratico e alla po-

1 Per la comprensione del sistema di potere fascista rimangono fondamentali le opere di


Renzo De Felice, in particolare la sua biografia di Mussolini: DE FELICE, Mussolini il fasci-
sta. La conquista del potere 1921-1925, cit.; ID., Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-
1936, Torino, 1974; ID., Mussolini il duce. Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino, 1981; e
ID., Mussolini l’alleato. L’Italia in guerra 1940-1943, Torino, 1990, due tomi. Si vedano an-
che gli scritti di Emilio Gentile: EMILIO GENTILE, Il culto del Littorio. La sacralizzazione del-
la politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993; ID., Le origini dell’ideologia fascista
(1918-1925), Bologna, 1996; ID., Il mito dello Stato nuovo, Roma-Bari, 1999; ID., La via ita-
liana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Roma, 1995; ID., La Grande
Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Milano, 1997. Sul pia-
no interpretativo utile l’analisi di DOMENICO FISICHELLA, Totalitarismo. Un regime del nostro
tempo, Roma, 1987, p. 166 e ss.
36 LUCIANO MONZALI

litica estera di Carlo Sforza. Non poche figure di spicco della diplomazia
fascista, pensiamo allo stesso Salvatore Contarini, erano stati collabo-
ratori di Sforza e partecipi delle sue idee. Possiamo quindi constatare
che nel corso degli anni Venti il dibattito interno al regime fascista sul-
la politica estera fu caratterizzato dalla coesistenza di due indirizzi. Da
una parte, vi erano coloro che desideravano proseguire una politica di
stabilizzazione dell’assetto europeo prodotto dalla guerra, puntando al-
l’intensificazione della collaborazione con gli Stati usciti vincitori dal
conflitto bellico. In questo quadro lo Stato jugoslavo veniva percepito
non come avversario ma come un partner fondamentale per la politica
estera italiana. Dall’altra, vi erano coloro, numerosi nel partito fascista,
che predicavano un rinnovamento della politica estera italiana, la qua-
le doveva assumere un stile e un orientamento più dinamici e aggres-
sivi2, con l’obiettivo di assicurare all’Italia l’espansione nel Mediter-
raneo e l’egemonia nell’Europa danubiana e balcanica: questo proget-
to egemonico era da perseguirsi svolgendo una politica favorevole ai
diritti di alcune nazionalità oppresse e alla revisione dei trattati di pa-
ce al fine di conquistare influenza negli Stati insoddisfatti dell’assetto
politico esistente (Austria, Ungheria, Bulgaria, Albania). Per molti fa-
scisti, spesso ex dannunziani ed ex nazionalisti, cruciale doveva esse-
re l’impegno per favorire la disgregazione dello Stato jugoslavo unita-
rio, ritenuto nemico mortale dell’Italia, attraverso il sostegno all’affer-
mazione del principio di nazionalità in Jugoslavia.
Essendo noti gli orientamenti esistenti in molti settori del fascismo
e del nazionalismo, vari osservatori internazionali assistettero con
preoccupazione alla conquista fascista del potere. In realtà, l’avvento
al potere di Benito Mussolini non provocò drammatiche svolte nella
politica internazionale del governo di Roma e, paradossalmente, eb-
be la conseguenza di produrre un miglioramento delle relazioni fra
l’Italia e il Regno SHS3. Mussolini era un politico cinico e pragmati-

2 Ricordiamo fra questi Francesco Coppola e Attilio Tamaro: FRANCESCO COPPOLA,


L’abdicazione di Losanna, «Politica», aprile 1923, n. XLIII, pp. 23-38; ID., Il Mediterraneo
e la politica italiana, «Gerarchia», 1925, pp. 303-312; ATTILIO TAMARO, Una politica italia-
na per l’Ungheria, «La Rassegna Italiana», novembre 1922, pp. 712-718.
3 Sulle relazioni italo-jugoslave nel corso degli anni Venti: BUCARELLI, Mussolini e la
Jugoslavia, cit.; MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, cit., p. 187 e
ss.; ID., La questione jugoslava nella politica estera italiana dalla prima guerra mondiale ai
trattati di Osimo (1914-75), in FRANCO BOTTA, ITALO GARZIA, Europa adriatica. Storia, re-
lazioni, economia, Roma-Bari, 2004, p. 24 e ss.; FRANCESCO LEFEBVRE D’OVIDIO, L’Intesa
italo-francese del 1935 nella politica estera di Mussolini, Roma, 1984; ALAN CASSELS,
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 37

co: desideroso di successi internazionali per consolidare il suo pote-


re interno, il politico romagnolo decise di procedere al miglioramen-
to dei rapporti italo-jugoslavi. In questa ottica si spiega il suo proget-
to iniziale, poi fallito, di nominare ministro degli Esteri Carlo Sforza,
e la conferma di Salvatore Contarini a segretario generale4, entrambi
sostenitori di una politica di buoni rapporti con Francia e Regno SHS.
I primi atti del Duce verso lo Stato jugoslavo furono orientati al mi-
glioramento delle relazioni bilaterali. Inviò segnali rassicuranti a
Belgrado circa la sua volontà di creare una reale amicizia italo-jugo-
slava5, impose ai gruppi nazionalisti e fascisti italiani di non suscita-
re incidenti anti-jugoslavi6 e, nel febbraio 1923, presentò gli accordi
di Santa Margherita al Parlamento ottenendone la ratifica. Mussolini
giustificò la ratifica degli accordi di Santa Margherita impegnandosi
a modificarne in futuro i contenuti. Obiettivo della nuova politica ju-
goslava di Mussolini era convincere Belgrado a procedere alla spar-
tizione dello Stato libero di Fiume, al fine di annettere la città del
Quarnero all’Italia e di ottenere così un grande successo di politica

Mussolini’s Early Diplomacy, Princeton, 1970; GIAMPIERO CAROCCI, La politica estera


dell’Italia fascista (1925-1928), Roma-Bari, 1969; ENNIO DI NOLFO, Mussolini e la politica
estera italiana 1919-1933, Padova, 1960; PIETRO PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927.
Origini diplomatiche del trattato di Tirana del 22 novembre 1927, Firenze, 1967; DASSOVICH,
I molti problemi dell’Italia, cit., I, p. 202 e ss.
4 Riguardo ai primi anni della politica estera fascista e al rapporto Mussolini-Contarini:
RUGGERO MOSCATI, La politica estera del fascismo. L’esordio del primo ministero Mussolini,
«Studi politici», settembre 1953-febbraio 1954; ID., Gli esordi della politica estera fascista.
Il periodo Contarini-Corfù, in AA.VV., La politica estera italiana dal 1914 al 1943, Torino,
1963, p. 39 e ss.; ETTORE ANCHIERI, L’esordio della politica estera fascista nei documenti di-
plomatici italiani, in ID., Il sistema diplomatico europeo: 1814-1939, Milano, 1977, p. 197 e
ss.; ID., L’affare di Corfù alla luce dei documenti diplomatici italiani, in ID., Il sistema di-
plomatico europeo, cit., p. 217 e ss.; RAFFAELE GUARIGLIA, Ricordi 1922-1945, Napoli, 1949;
LEGATUS (ROBERTO CANTALUPO), Vita diplomatica di Salvatore Contarini, cit.; CASSELS,
Mussolini’s Early Diplomacy, cit.; MATTEO PIZZIGALLO, Mediterraneo e Russia nella politi-
ca italiana (1922-1924), Milano, 1983; PIETRO PASTORELLI, La storiografia italiana del do-
poguerra sulla politica estera fascista, «Storia e politica», 1971, p. 575 e ss.; DI NOLFO,
Mussolini e la politica estera italiana, cit.; VLASTIMIL KYBAL, Czechoslovakia and Italy: My
Negotiations with Mussolini 1922-1924, «Journal of Central European Affairs», 1953, pp. 352-
368, 1954, pp. 65-76; MAC GREGOR KNOX, Il fascismo e la politica estera italiana, in RICHARD
J. B. BOSWORTH, SERGIO ROMANO, La politica estera italiana 1860-1985, Bologna, 1991, pp.
287-330; H. JAMES BURGWYN, Italian Foreign Policy in the Interwar Period 1918-1940,
London-Westport, 1997, p. 24 e ss.
5 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1313, LEGAZIONE ITALIANA A BELGRADO, Aide-
Memoire, 2 gennaio 1923, allegato a Negrotto a Ministero degli Esteri, 12 febbraio 1923; DDI,
VII, 1, dd. 62, 72; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., pp. 52-55.
6 DDI, VII, 1, d. 6.
38 LUCIANO MONZALI

estera utilizzabile anche sul piano interno. Gli elementi di pressione


sui quali il capo fascista puntava per convincere gli jugoslavi erano la
promessa della restituzione della terza zona dalmata ancora sotto il
controllo italiano, nonché la possibilità dell’annessione jugoslava di
parte del territorio fiumano (Porto Baros e il Delta) e della conclusione
di un’alleanza fra Roma e Belgrado. Per il governo di Belgrado, gui-
dato da Nikola Pašić e dominato dalla classe dirigente serba, accetta-
re la spartizione dello Stato di Fiume significava, però, affrontare le
ire dell’opinione pubblica croata che avrebbe visto in tale atto l’en-
nesimo sacrificio di terra croata a vantaggio dell’Italia. Da qui le ine-
vitabili resistenze del governo jugoslavo, che per alcuni mesi rifiutò
le proposte di Mussolini7. Gli elementi che sbloccarono il negoziato
furono le pressioni su Belgrado del principale alleato dello Stato ju-
goslavo, la Francia, desiderosa di rafforzare le relazioni italo-france-
si e alla quale la diplomazia italiana promise la futura conclusione di
un accordo tripartito italo-franco-jugoslavo8, e la volontà di Re Ales-
sandro Karadjordjević di chiudere il contenzioso territoriale con l’Italia
nell’Alto Adriatico e di consolidare lo Stato jugoslavo, già minato da
dure lotte nazionali interne, con un trattato che sancisse l’amicizia con
Roma. I trattati italo-jugoslavi firmati a Roma il 27 gennaio 19249 de-
terminarono la chiusura del contenzioso confinario fra i due Stati.
Nell’accordo concernente Fiume veniva sancita la spartizione dello
Stato libero: l’Italia annetteva la città e il porto di Fiume mentre il
Regno SHS otteneva la sovranità su Porto Baros, sul Delta e su alcu-
ni territori già appartenuti allo Stato fiumano. Contropartita all’accet-
tazione jugoslava della dissoluzione dello Stato di Fiume fu la firma
di un patto di amicizia e di collaborazione fra l’Italia e il Regno dei
Serbi, Croati e Sloveni. Con questo patto l’Italia di Mussolini soste-
neva e accettava l’esistenza di uno Stato jugoslavo unitario.
Nell’articolo primo, infatti, le due parti contraenti s’impegnavano a
prestarsi reciproco appoggio e a collaborare allo scopo di «mantene-
re l’ordine stabilito dai Trattati di pace conclusi al Trianon, a S.

7 Al riguardo: ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1313, Contarini a Legazione italia-


na a Belgrado, 20 luglio 1923.
8 WILLIAM I. SHORROCK, From Ally to Enemy: the Enigma of Fascist Italy in French
Diplomacy 1920-1940, Kent, 1988; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 62 e ss.
9 Sulla genesi dei trattati di Roma del 1924: BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.;
MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, cit., p. 187 e ss.; LEFEBVRE
D’OVIDIO, op. cit., p. 55 e ss.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 39

Germano e a Neuilly e a rispettare ed eseguire le obbligazioni stipu-


late in questi trattati». Nell’articolo secondo, dopo essersi promesse
reciproca neutralità in caso di attacco subito e non provocato da par-
te di una delle due parti contraenti, vi era l’impegno italiano a non so-
stenere le forze secessioniste anti-jugoslave. Con gli accordi di Roma
Mussolini abbandonava l’orientamento anti-jugoslavo che per anni era
stato propagandato dai nazionalisti, dai dannunziani e dallo stesso fa-
scismo. Nei mesi successivi le relazioni italo-jugoslave s’intensifica-
rono e portarono alla conclusione di numerosi trattati. Nel febbraio
1924 ebbero inizio a Belgrado i negoziati per la conclusione di accordi
commerciali ed economici fra Italia e Regno SHS. Italia e Jugoslavia
firmarono un trattato di commercio e due convenzioni ferroviarie il
14 luglio 1924. Il 12 agosto 1924 furono conclusi vari accordi tecni-
ci (i cosiddetti accordi di Belgrado), che si riferivano a svariati pro-
blemi bilaterali (ad esempio, l’assistenza delle persone a carico della
sanità pubblica, le assicurazioni private, la materia dei fallimenti, la
restituzione agli aventi diritto di beni, diritti e interessi sequestrati o
usati durante e dopo la guerra negli ex territori asburgici, ecc.)10.
Ulteriori accordi italo-jugoslavi furono firmati a Nettuno il 20 luglio
192511. Gli accordi di Nettuno consistettero in numerose convenzioni
tecniche aventi l’obiettivo d’integrare i trattati di Roma del gennaio
1924 e certe clausole dei trattati di pace del 1919-1920; in particola-
re garantirono una serie di diritti per la minoranza italiana nella Dalma-
zia jugoslava.
Insieme alle relazioni con Belgrado furono i rapporti con la
Cecoslovacchia a conoscere un positivo sviluppo12. Nonostante le di-

10 I testi di questi accordi italo-jugoslavi sono editi in GIANNINI, Documenti, cit., p. 162
e ss. Alcune informazioni su questi accordi in GABRIELE PARESCE, Italia e Jugoslavia dal 1915
al 1929, Firenze, 1935, p. 269 e ss.; DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orien-
tale. I, cit., p. 212 e ss.; UMBERTO NANI, Italia e Jugoslavia (1918-1928), Milano, 1928, p. 94
e ss.
11 Su questi negoziati: ASMAE, Spalato, b. 38, Pezzoli a Umiltà, 29 gennaio 1925; ibi-
dem, Umiltà a Ministero degli Esteri e Legazione italiana a Belgrado, 2 febbraio 1925;
ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1320, MINISTERO DEGLI ESTERI, UFFICIO III, Promemoria
per Sua Eccellenza il Ministro, 21 giugno 1925; DDI, VII, 4, dd. 73, 76. Il testo delle con-
venzioni di Nettuno del 20 luglio 1925 è pubblicato in GIANNINI, Documenti, cit., p. 308 e ss.
12 Sulle relazioni italo-cecoslovacche negli anni Venti si veda il pregevole saggio di
CACCAMO, Italia e Cecoslovacchia negli anni Venti, cit. Utili anche: KYBAL, Czechoslovakia
and Italy: My Negotiations with Mussolini 1922-1924, cit.; BOLECH CECCHI, Alle origini di
un’amicizia. Italia-Cecoslovacchia 1918-1922, cit.; CASSELS, op. cit., p. 175 e ss. Per un qua-
dro interpretativo generale sulla politica estera cecoslovacca: PIOTR WANDYCZ, The Foreign
40 LUCIANO MONZALI

versità ideologiche fra il fascismo italiano e il nazionalismo «demo-


cratico» di Beneš e di Masaryk, i buoni rapporti di Mussolini con la
Francia e la Jugoslavia favorirono il riavvicinamento fra Italia e
Cecoslovacchia nel corso del 1924. Italia e Cecoslovacchia concluse-
ro un accordo di commercio il 1° marzo 1924 e un trattato di amici-
zia e di collaborazione politica il 5 luglio dello stesso anno. Nel trat-
tato di amicizia Roma e Praga s’impegnarono a collaborare in Europa
centrale e a difendere lo status quo europeo sancito dai trattati di pa-
ce. Occasione per un ulteriore avvicinamento fra l’Italia e i Paesi cen-
tro-europei antirevisionisti si creò nel corso del 1925, a causa dei ne-
goziati per l’accordo di sicurezza sul Reno. Come ha giustamente ri-
levato Francesco Caccamo, la proposta tedesca di un patto che ga-
rantisse le frontiere nella regione del Reno ebbe effetti politici desta-
bilizzanti in Europa centrale e orientale:

La proposta del patto renano effettuata all’inizio del 1925 dal governo di
Berlino con l’appoggio inglese consisteva nella previsione di una specifica
garanzia per i confini occidentali della Germania e comportava dunque una
differenziazione con le altre frontiere tedesche stabilite dal trattato di
Versailles, aprendo implicitamente prospettive revisionistiche nella loro di-
rezione. Tali prospettive erano destinate a suscitare profonde preoccupazio-
ni sia in Italia che in Cecoslovacchia, intuendosi in entrambi i paesi che la
concessione di margini di manovra al revisionismo tedesco avrebbe potuto
avere riflessi pericolosissimi tanto sulla questione dell’indipendenza austria-
ca quanto sulle minoranze tedesche presenti in Alto Adige e, in misura assai
più massiccia, nelle terre ceche13.

Per qualche mese il timore delle conseguenze del riavvicinamen-


to franco-tedesco spinse il governo cecoslovacco a vedere nell’Italia
un potenziale alleato contro il risorgere dell’espansionismo germani-
co. Da parte sua, il governo di Roma considerò negativamente il fat-
to che gli accordi di Locarno, garantendo solamente l’assetto territo-
riale renano, sancissero una diversità fra le frontiere occidentali della
Germania e quelle meridionali e orientali. La diplomazia italiana re-
putò una grave minaccia politica il risorgere della questione dell’e-
ventuale unione austro-tedesca sul piano internazionale. Proprio nel
1925 il governo fascista cominciò a pensare ad accordi politici ed eco-

Policy of Edvard Beneš, 1918-1938, in VICTOR S. MAMATEY, RADOMIR LUZA, A History of the
Czechoslovak Republic 1918-1948, Princeton, 1973, pp. 216-238.
13 CACCAMO, Italia e Cecoslovacchia negli anni Venti, cit., p. 66.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 41

nomici fra l’Italia, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e l’Ungheria per


tutelare l’indipendenza dell’Austria e rafforzarne l’autonomia econo-
mica rispetto alla Germania. A partire dal marzo 1925 si svilupparo-
no conversazioni italo-cecoslovacche per delineare una linea comune
sulla questione austriaca. Nel settembre Beneš propose a Dino Grandi,
sottosegretario italiano agli Esteri, la futura conclusione di un accor-
do tra Cecoslovacchia, Italia e Jugoslavia per la difesa degli interessi
comuni e per il mantenimento dello status quo in Austria. Ma dopo la
conferenza di Locarno nell’ottobre 1925, e l’ottenimento di un nuovo
trattato di alleanza franco-cecoslovacco e di un accordo di arbitrato con
la Germania, il governo di Praga perse interesse verso questa iniziati-
va e verso l’intensificazione dei rapporti con Roma. Fra il 1925 e il
1926 Mussolini continuò a cercare di sfruttare l’insoddisfazione che
la politica di Francia e Gran Bretagna aveva creato in alcune capitali
dell’Europa centrale per rafforzare l’influenza dell’Italia nella regio-
ne. A tale fine rispose il progetto di una «Locarno danubiano-balcani-
ca», l’idea di un accordo di garanzia politico-territoriale che avrebbe
unito un’unica grande Potenza, l’Italia, e i vari Paesi dell’Europa cen-
tro-orientale, iniziativa lanciata nel febbraio 192614. Ma l’ostilità fran-
cese all’iniziativa di Mussolini e il disinteresse cecoslovacco e jugo-
slavo ad aderirvi vanificarono ben presto il progetto.
Peraltro, proprio gli anni 1925-1927, con il riesplodere della ten-
sione fra Italia e Jugoslavia a causa dell’Albania, segnarono l’inizio
di una nuova fase della politica estera italiana nell’Europa danubiana
e balcanica. Dopo il ritiro italiano nel 1920 lo Stato albanese si era
lentamente organizzato e si era dato una sua struttura politica.
Rimanevano però pesanti incognite sul futuro dello Stato. Innanzitutto
i confini con la Grecia e il Regno SHS erano incerti, con vasti terri-
tori assegnati dalle grandi Potenze all’Albania nel 1913 ancora sotto
occupazione militare serba e greca. Le mire territoriali degli Stati vi-
cini contribuivano a alimentare e a influire sulla conflittualità interna
albanese, caratterizzata da un diffuso uso della violenza politica.
L’Italia liberale e poi quella mussoliniana si erano impegnate a favo-
rire la stabilizzazione dell’Albania difendendone gli interessi contro
gli Stati vicini. Questa tendenza albanofila della politica italiana ave-
va provocato tensioni con la Grecia, sfociate nell’eccidio dell’ufficiale

14 PASTORELLI, Italia e Albania, cit., p. 195 e ss.; CACCAMO, Italia e Cecoslovacchia ne-
gli anni Venti, cit., p. 69.
42 LUCIANO MONZALI

Tellini, membro della Commissione per la delimitazione dei confini


greco-albanesi15. Il miglioramento dei rapporti italo-jugoslavi aveva
portato alla decisione del governo di Roma di perseguire una politica
in Albania in accordo con Belgrado. Da qui l’astensionismo italiano
dalle lotte interne albanesi che nel giugno 1924 provocarono un col-
po di Stato che rovesciò il governo di Ahmed Zogolli (più noto in Italia
come Zog), capo del partito progressista, e portò al potere i democra-
tici guidati dal vescovo ortodosso di Valona, Fan Noli16. Tuttavia, l’oc-
casione di affermare una propria posizione di forza nel Paese schipe-
taro si rivelò troppo allettante per Belgrado. Il governo jugoslavo de-
cise d’intervenire unilateralmente nella politica interna albanese so-
stenendo il tentativo di Zog di riconquistare con la forza il potere: nel
dicembre 1924 Zog, partendo dal territorio jugoslavo e con il soste-
gno finanziario e politico di Belgrado, penetrò in Albania e dopo al-
cune settimane di combattimenti rovesciò il governo di Fan Noli17.
L’atteggiamento di Belgrado irritò non poco Mussolini, che da quel
momento cominciò ad essere diffidente verso la classe dirigente ju-
goslava e a perseguire una politica di supremazia solitaria in Albania.
Il mutamento di politica italiana fu favorito dallo stesso Zog, il qua-
le, desideroso di preservare la propria autonomia da Belgrado, appe-
na riconquistato il potere fece alcune aperture politiche all’Italia. Fra
il 1925 e il 1928 vennero conclusi fra il governo di Zog e l’Italia fa-
scista numerosi accordi18 che crearono una strettissima collaborazio-

15 LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 21 e ss.


16 Circa la situazione interna albanese fra le due guerre: ROBERTO MOROZZO DELLA
ROCCA, Nazione e religione in Albania, Lecce, 2002; MARCO DOGO, Kosovo. Albanesi e Serbi:
le radici del conflitto, Lungro di Cosenza, 1992, p. 147 e ss.; ID., I discutibili privilegi del-
l’arretratezza: Zog e il caso albanese, in FRANCESCO GUIDA, a cura di, L’altra metà del con-
tinente: L’Europa centro-orientale dalla formazione degli Stati nazionali all’integrazione eu-
ropea, Padova-Roma, 2003, p. 77 e ss.; BERND J. FISCHER, King Zog and the Struggle for
Stability in Albania, Boulder, 1984; MICHAEL SCHMIDT-NEKE, Entstehung und Ausbau der
Königsdiktatur in Albanien 1912-1939, München, 1987; EDWIN E. JACQUES, The Albanians.
An Ethnic History from Prehistoric Times to the Present, Jefferson-London, 1995, p. 382 e
ss.; JOSEPH SWIRE, Albania. The Rise of a Kingdom, London, 1929.
17 Al riguardo: DBFP, I, 26, dd. 276, 281, 285, 299, 300, 308; YPD, 1, ALBEN YOUNG,
Report on the Serb-Croat-Slovene Kingdom for 1924, allegato a Young a Chamberlain, 12
maggio 1925, pp. 637-674, in particolare p. 643 e ss.
18 A proposito dei rapporti italo-albanesi nel corso degli anni Venti e Trenta: PASTORELLI,
Italia e Albania, cit.; CAROCCI, op. cit.; BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.; MOROZZO
DELLA ROCCA, Nazione e religione in Albania, cit.; ALESSANDRO ROSELLI, Italia e Albania:
relazioni finanziarie nel ventennio fascista, Bologna, 1986; PIETRO QUARONI, Valigia diplo-
matica, Milano, 1956; DI NOLFO, Mussolini e la politica, cit.; MASSIMO BORGOGNI, Tra con-
tinuità e incertezza. Italia e Albania (1914-1939). La strategia politico-militare dell’Italia in
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 43

ne fra i due Paesi e affermarono l’egemonia politica ed economica ita-


liana in Albania. Con l’accordo del 25 febbraio 1925 il governo di Zog
ottenne ingenti prestiti e in cambio concesse privilegi economici e pe-
troliferi all’Italia. Importante, poi, fu lo scambio di lettere Mussolini-
Zog datato 23-26 agosto 1925, un patto segreto di assistenza milita-
re, con la promessa, in caso di conflitto, di compensi all’Albania con-
sistenti nella futura annessione dei territori jugoslavi abitati da alba-
nesi (il Kosovo, il Montenegro meridionale e la Macedonia occiden-
tale). La collaborazione italo-albanese si manifestò più compiutamente
nei trattati di alleanza del novembre 1926 e del novembre 1927 e nel-
la convenzione militare del 31 agosto 1928, atti con i quali l’Italia ac-
quisì un alleato che indeboliva non poco la posizione strategica del
Regno SHS in caso di eventuale conflitto bellico italo-jugoslavo. La
nuova politica albanese di Mussolini provocò un radicale deteriora-
mento dei rapporti bilaterali con Belgrado19. In seno allo stesso
Ministero degli Esteri italiano l’influenza degli elementi favorevoli ad
una politica di collaborazione con la Jugoslavia s’indebolì con l’al-
lontanamento di Salvatore Contarini dalla segreteria generale nel 1926.
Nella diplomazia italiana con il declino di Contarini crebbe il peso del
partito fascista (che con Dino Grandi, sottosegretario dal 1925 e poi
ministro degli Esteri fra il 1929 e il 193220, organizzò una forte fasci-
stizzazione della diplomazia con l’immissione in carriera di numero-
si politici fascisti e nazionalisti)21, con la sua ostilità ideologica allo
Stato jugoslavo e la sua simpatia verso il revisionismo. La reazione
politica del governo di Belgrado allo scontro con l’Italia fu l’ulterio-
re avvicinamento alla Francia, che culminò nel patto d’amicizia fran-
co-jugoslavo del 1927 e in una crescente collaborazione economica e
militare fra i due Paesi22. Tale mossa preoccupò la classe dirigente ita-

Albania fino all’operazione «Oltre Mare Tirana», Milano, 2007; SERGIO PELAGALLI, L’attività
politico-militare in Albania tra il 1927 ed il 1933 nelle carte del generale Alberto Pariani,
“Storia contemporanea”, 1991, n. 5.
19 Circa la visione britannica della politica italiana in Albania in quegli anni: DBFP, Ia,
4, dd. 47, 55, 61, 135, 136.
20 Sulla figura di Grandi: PAOLO NELLO, Dino Grandi. La formazione di un leader,
Bologna, 1987; ID., Un fedele disubbidiente. Dino Grandi da Palazzo Chigi al 25 luglio,
Bologna, 1993.
21 Al riguardo: MARIO DONOSTI [MARIO LUCIOLLI], Mussolini e l’Europa. La politica este-
ra fascista, Roma, 1945, p. 13 e ss.; FABIO GRASSI ORSINI, La diplomazia in AA.VV., Il re-
gime fascista. Storia e storiografia, Roma-Bari, 1995, p. 292 e ss.
22 GRUMEL-JACQUIGNON, La Yougoslavie dans la stratégie française de l’Entre-deux-
Guerres (1918-1935). Au origines du mythe serbe en France, cit. Sulla politica estera fran-
44 LUCIANO MONZALI

liana e fece sorgere la paura della Jugoslavia quale possibile braccio


armato della Francia, ossessione che caratterizzò lungamente nume-
rosi ambienti politici fascisti23. Ben presto l’Italia mussoliniana iniziò
a favorire la disgregazione dello Stato SHS. Consapevole della grave
crisi interna jugoslava – che vedeva la maggioranza della popolazio-
ne croata, musulmana, macedone e albanese ostile all’appartenenza ad
uno Stato jugoslavo unitario dominato dall’elemento serbo e che ob-
bligò Re Alessandro ad un colpo di Stato nel gennaio 1929 e alla crea-
zione di un governo puramente autoritario –, l’Italia fascista comin-
ciò a sostenere attivamente alcuni movimenti secessionisti anti-jugo-
slavi. Fra questi vanno ricordati l’Organizzazione rivoluzionaria in-
terna macedone, gruppo irredentista macedone che lottava contro le
persecuzioni serbe nei confronti delle popolazioni bulgaro-macedoni,
alcuni gruppi albanesi del Kosovo24 e numerosi elementi nazionalisti
croati, espressione dell’ala estremista del partito del diritto, molti dei
quali, guidati da Ante Pavelić, si rifugiarono in esilio in Italia a parti-
re dal 192925.
Nel corso del 1926 e del 1927, svanita la possibilità di coopera-
zione con Praga e entrata in crisi l’alleanza con Belgrado, Roma cercò
una collaborazione privilegiata con la Romania. Non a caso verso
Bucarest la diplomazia italiana compì un grande sforzo di avvicina-
mento, sfruttando l’avvento al potere in Romania del generale
Averescu26. Il 16 settembre 1926 fu concluso un trattato di amicizia

cese verso l’Europa centrale: WANDYCZ, France and her Eastern Allies 1919-1925, cit.; ID.,
The Twilight of French Eastern Alliances 1926-1936, Princeton, 1988.
23 LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 147 e ss.; SHORROCK, op. cit.; CAROCCI, La politica
estera, cit., p. 94 e ss.
24 DOGO, Kosovo, cit., p. 161 e ss.
25 Sul sostegno italiano ai movimenti secessionisti anti-jugoslavi negli anni Venti e Trenta:
BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.; BOGDAN KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, Zagreb, 1978;
IVO PETRINOVIĆ, Mile Budak. Portret jednog političara, Split, 2002; JAMES J. SADKOVICH,
Italian Support for Croatian Separatism 1927-1937, New York, 1987; PASQUALE JUSO, Il fa-
scismo e gli Ustascia 1929-1941. Il separatismo croato in Italia, Roma, 1998; CAROCCI, La
politica estera, cit., p. 168 e ss.; SRDJA TRIFKOVIC, Ustaša. Croatian Separatism and European
Politics 1929-1945, London, 1995; MARIO JAREB, Ustaško-domobranski pokret od nastanak
do travnja 1941, Zagreb, 2006; H. JAMES BURGWYN, Il revisionismo fascista. La sfida di
Mussolini alle grandi potenze nei Balcani e sul Danubio 1925-1933, Milano, 1979, in parti-
colare p. 168 e ss.; ERIC GOBETTI, Dittatore per caso. Un piccolo duce protetto dall’Italia fa-
scista, Napoli, 2001.
26 Sulle relazioni fra Italia e Romania negli anni Venti e Trenta: CAROCCI, La politica este-
ra, cit.; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 161 e ss.; CASSELS, op. cit., p. 338 e ss.; LUCA RICCARDI,
Il trattato italo-romeno del 16 settembre 1926, «Storia delle relazioni internazionali», 1987,
n. 1, pp. 39-72; CAROLI, La Romania nella politica estera italiana, cit., p. 77 e ss.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 45

italo-romeno, che pose le basi per un’eventuale cooperazione privile-


giata fra i due Paesi, mentre nel marzo 1927 l’Italia decise di ratifi-
care il protocollo internazionale che sanciva la sovranità romena sul-
la Bessarabia. Con queste concessioni Mussolini sperava di facilitare
la costituzione di una futura «quadruplice alleanza» fra Italia, Roma-
nia, Ungheria e Bulgaria, avente il chiaro obiettivo di isolare politi-
camente Belgrado e fare dell’Italia la Potenza mediatrice e riconci-
liatrice fra Stati vincitori e Stati sconfitti nell’Europa danubiana e bal-
canica. Il progetto mussoliniano si dimostrò ben presto irrealizzabile,
anche per l’impossibilità di superare i dissidi esistenti fra Romania,
Ungheria e Bulgaria. Nonostante i numerosi tentativi, l’Italia non riu-
scì a sganciare la Romania dalla Piccola Intesa e dalla Francia e ad
attirarla nella propria sfera d’influenza.
Proprio a partire dal 1927 le relazioni italo-jugoslave si deteriora-
rono gravemente, provocando la fine dell’alleanza fra Roma e
Belgrado: non a caso il governo di Roma decise di non rinnovare gli
accordi italo-jugoslavi del 192427. La crisi fra Italia e Jugoslavia con-
tribuì a favorire il forte peggioramento dei rapporti fra Roma e Praga,
alleata di Belgrado nella Piccola Intesa e accusata dagli italiani di es-
sere lo strumento della politica anti-italiana della Francia in Europa
centrale. Nel giugno 1929, avvicinandosi la scadenza dell’accordo ita-
lo-cecoslovacco del 1924, Mussolini decise di non rinnovarlo. Era l’i-
nizio di un lungo periodo di raffreddamento nei rapporti bilaterali, che
avrebbe non poco indebolito la posizione internazionale dello Stato
cecoslovacco.
L’incapacità dell’Italia di sostituire la Francia come principale part-
ner politico, economico e militare degli Stati anti-revisionisti centro-
europei, nonché l’esplodere della rivalità fra Roma e Belgrado spin-
sero progressivamente la politica estera italiana a mutare direttive nei
Balcani e in Europa centrale. Fallito il disegno originale di Mussolini
di fare dell’Italia lo Stato protettore della Piccola Intesa, la diploma-
zia italiana intensificò gli sforzi per conquistare influenza e posizio-
ni presso gli Stati revisionisti e insoddisfatti dello status quo, in pri-
mis Ungheria e Bulgaria. Fu una politica che ebbe un certo successo,
come dimostrò il patto d’amicizia italo-ungherese dell’aprile 1927, con
il quale, in uno scambio di lettere segreto, i due Paesi s’impegnarono
a una stretta consultazione politica. Oltre che con l’Albania e l’Unghe-

27 DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale, cit., I, pp. 273-275.


46 LUCIANO MONZALI

ria, l’Italia consolidò i suoi rapporti con la Bulgaria, anche sfruttan-


do il sostegno italiano all’irredentismo macedone28. Simbolo dell’in-
tensificazione dei rapporti bilaterali fu il matrimonio del sovrano bul-
garo Boris con la figlia di Vittorio Emanuele III, Giovanna29. Meno
felici, invece, furono i tentativi di Mussolini di attrarre Grecia e
Turchia nella sfera d’influenza italiana, che portarono alla conclusio-
ne di accordi bilaterali nel 1928, senza però ulteriori importanti svi-
luppi politici30. A partire dal 1927 molto forte divenne il sostegno pro-
pagandistico italiano, chiaramente strumentale, alle lamentele dei go-
verni ungherese, bulgaro e albanese, che denunciavano il maltratta-
mento dei propri connazionali viventi in Jugoslavia. La pubblicistica
italiana fu sempre più favorevole al revisionismo, ovvero al muta-
mento dei trattati di pace del 1919-1920 in Europa centro-orientale a
vantaggio delle Potenze sconfitte nella prima guerra mondiale, con l’i-
dea che sarebbe stata la Jugoslavia (nuovo nome ufficiale dello Stato
SHS dal 1929) la principale vittima di queste modifiche territoriali31.
La diplomazia italiana e la classe dirigente fascista mostrarono atten-
zione anche verso i conflitti nazionali in Cecoslovacchia, Polonia e
Unione Sovietica, ma in questi casi, a differenza della situazione ju-
goslava, non vi fu nessun serio appoggio politico e materiale alle mi-
noranze e ai gruppi irredentisti o secessionisti32.
La crisi finanziaria ed economica che cominciò a sconvolgere
l’Europa all’inizio degli anni Trenta e l’evoluzione politica europea,
con l’ascesa elettorale del nazionalsocialismo a partire dal 1930, in-
dicarono ai diplomatici e ai politici italiani più avveduti l’esigenza di
un approccio attento ai problemi dell’Europa centrale. Non a caso la

28 STEFAN TROEBST, Mussolini, Makedonien und die Mächte 1922-1930: die „Innere
Makedonische Revolutionäre Organisation“ in der Südosteuropapolitik des faschistischen
Italien, Köln, 1987. Sulle vita politica bulgara negli anni Venti e l’influenza italiana su di es-
sa: RICHARD J. CRAMPTON, A Short History of Modern Bulgaria, Cambridge, 1989, p. 119 e ss.
29 ALFREDO BRECCIA, La politica estera italiana e l’Ungheria (1922-1933), «Rivista di
studi politici internazionali», 1980, n. 1, p. 93 e ss.; BURGWYN, Italian Foreign Policy, cit.;
CAROCCI, op. cit., p. 78 e ss.; DI NOLFO, Mussolini e la politica estera, cit.; FULVIO D’AMOJA,
Italia ed Ungheria. I rapporti nel primo decennio. Considerazioni d’insieme, in GUIDA,
TOLOMEO, Italia e Ungheria, cit., p. XIII e ss.
30 LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 168 e ss.
31 Sulla pubblicistica revisionista anti-jugoslava in Italia fra le due guerre mondiali:
STEFANO BIANCHINI, L’idea fascista dell’Impero nell’area danubiano-balcanica, in AA.VV.,
L’Italia e la politica di potenza in Europa (1938-40), Milano, 1985, p. 173 e ss.; FRANCESCO
CASELLA, L’immagine fascista dell’Impero: Quale ruolo all’Adriatico, ivi, p. 187 e ss.
32 CACCAMO, Italia e Cecoslovacchia negli anni Venti, cit.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 47

questione dei rapporti con l’Austria cominciò a divenire sempre più


importante nella politica estera italiana. I primi anni di governo fascista
erano stati caratterizzati da cattive relazioni con Vienna33. La politica
di italianizzazione delle popolazioni tedesche dell’Alto Adige impo-
sta dal governo di Mussolini suscitò forti ostilità anti-italiane nell’o-
pinione pubblica austriaca e in quella tedesca34. Le proteste contro la
politica fascista in Alto Adige irritavano Mussolini, così come il fa-
vore che la gran parte della popolazione austriaca mostrava per l’idea
dell’Anschluss. I cattivi rapporti di Roma con la Germania35 pure pe-
savano sul quadro delle relazioni italo-austriache36. La reazione fa-
scista a tutto ciò fu spesso una pura polemica nazionalista e anti-pan-
germanista, prevalentemente ideologica e propagandistica, mirante a
mostrare lo status di grande Potenza dell’Italia e la sua forza interna-
zionale. A partire dal 1927-1928 l’Italia fascista cominciò a ritenere
utile rafforzare la propria influenza in Austria intrecciando rapporti con
alcune forze politiche, in particolare con il movimento nazionalista-
legittimista delle Heimwehren, già finanziato e sostenuto dal gover-
no ungherese, e con un capo di queste, Ernest Rüdiger Starhemberg37.
Gli stessi governi cristiano-sociali, guidati da Seipel e Schober38, ini-
ziarono a cercare un parziale miglioramento dei rapporti con l’Italia,
il che portò alla firma del trattato di amicizia italo-austriaco il 6 feb-
braio 1930. Il governo fascista era favorevole a che l’Austria intensi-
ficasse i rapporti economici e politici con Roma e Budapest per crea-
re una sorta di alleanza; contemporaneamente vi furono sforzi per
rafforzare il peso politico delle Heimwehren, con il tentativo di spin-
gere a destra gli equilibri politici interni austriaci, favorendo un’al-
leanza fra Starhemberg e i cristiano-sociali. I tentativi italiani furono

33 ENNIO DI NOLFO, I rapporti austro-italiani dall’avvento del fascismo all’Anschluss


(1922-1938), «Storia e Politica», 1974, nn. 1-2, pp. 33-81; CAROCCI, La politica estera, cit.,
LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit.; CASSELS, op. cit.; DDA, 5, dd. 738, 765, 790, 818, 827.
34 Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik 1918-1945 (d’ora innanzi ADAP),
Frankfurt/M.-Göttingen, 1950-1995, B, 3, dd. 3, 6, 19, 127; DDA, 5, dd. 822, 825.
35 ADAP, B, 4, dd. 3, 73.
36 FEDERICO SCARANO, Mussolini e la Repubblica di Weimar. Le relazioni diplomatiche
tra Italia e Germania dal 1927 al 1933, Napoli, 1996.
37 Al riguardo CAROCCI, op. cit.; LAJOS KEREKES, Abenddämmerung einer Demokratie.
Mussolini, Gömbös und die Heimwehr, Wien-Frankfurt, 1966.
38 Sulla politica estera austriaca negli anni Venti e Trenta: SUPPAN, Jugoslawien und Öster-
reich, cit.; WALTER GOLDINGER, DIETER A. BINDER, Geschichte der Republik Österreich 1918-
1938, Wien, 1992, p. 41 e ss.; RAINER HUBERT, Schober. “Arbeitermörder” und “Hort der
Republik”. Biographie eines Gestrigen, Wien-Köln, 1990, in particolare p. 242 e ss.
48 LUCIANO MONZALI

inizialmente fallimentari, poiché, fra il 1930 e il 1931, la diplomazia


austriaca cercò di reagire alla crescente crisi economica puntando so-
prattutto sull’intensificazione delle relazioni con la Germania39.
Culmine di questa politica fu la conclusione di un accordo di unione
doganale austro-tedesca il 19 marzo 1931, voluto da Schober, mini-
stro degli Esteri nel governo Ender. Il progetto di unione doganale, che
faceva presagire in alcuni capitali europee una possibile unificazione
austro-tedesca, si rivelò, però, irrealizzabile per l’opposizione della
Francia e della stessa Italia.
In generale possiamo notare che, all’inizio degli anni Trenta, la con-
trapposizione con la Jugoslavia costituì un elemento di debolezza del-
la politica estera italiana in Europa. Le dure e feroci polemiche di stam-
po nazionalistico fra i giornali italiani e jugoslavi, i numerosi incidenti
concernenti le rispettive minoranze nazionali nei due Paesi (condan-
ne a morte di sloveni responsabili di attentati in Italia40, aggressioni a
cittadini italiani in Dalmazia, distruzioni di monumenti veneziani a
Traù)41 e il sostegno italiano al separatismo croato avvelenarono i rap-
porti fra Italia e Jugoslavia. Alcuni politici e diplomatici italiani (ad
esempio Raffaele Guariglia42 e Carlo Galli43), però, percepivano l’in-
teresse dell’Italia ad avere buoni rapporti con la Jugoslavia. Carlo
Galli, ministro a Belgrado all’inizio degli anni Trenta, riteneva che un
pieno accordo con la Jugoslavia avrebbe enormemente rafforzato la
posizione strategica e la politica internazionale dell’Italia:

L’accordo italo-jugoslavo […] rafforzerebbe considerevolmente – scri-

39 SUPPAN, Jugoslawien und Österreich, cit.


40 Sulla politica fascista di repressione e snazionalizzazione delle popolazioni slovene e
croate della Venezia Giulia: APIH, Italia fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia, 1918-
1943, cit., p. 314 e ss.; ROLF WÖRSDÖRFER, Il confine orientale. Italia e Jugoslavia dal 1915
al 1955, Bologna, 2009, p. 19 e ss.; RAOUL PUPO, Il lungo esodo, Milano, 2005.
41 Sulle condizioni della minoranza italiana in Dalmazia all’inizio degli anni Trenta:
ASMAE, AP 1931-45, Jugoslavia, b. 40, Meriano a Galli, 31 luglio 1933; ivi, b. 45, Tacconi
al Consolato italiano a Spalato, 24 giugno 1934; DDI, VII, 12, d. 190. Si vedano anche:
MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, cit.; MARIO DASSOVICH, I mol-
ti problemi dell’Italia al confine orientale. II Dal mancato rinnovo del patto Mussolini-Pasić
alla ratifica degli accordi di Osimo (1929-1977), Udine, 1990, p. 40 e ss.; CARLO UMILTÀ,
Jugoslavia e Albania. Memorie di un diplomatico, Milano, 1947.
42 GUARIGLIA, Ricordi 1922-1946, cit.
43 A proposito di Carlo Galli, uno dei migliori conoscitori italiani della Jugoslavia negli
anni fra le due guerre: MASSIMO BUCARELLI, “Manicomio jugoslavo”. L’ambasciatore Carlo
Galli e le relazioni italo-jugoslave tra le due guerre mondiali, «Clio», 2002, n. 3, p. 467 e ss.;
CARLO GALLI, Diarii e lettere. Tripoli 1911-Trieste 1918, Firenze, 1951.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 49

veva Galli all’inizio degli anni Trenta – la nostra posizione diplomatica nei
riguardi della Francia spezzando uno dei tanti denti della tenaglia attorno al-
la nostra frontiera; per ragioni analoghe ci rafforzerebbe nelle trattative con
la Germania e di fronte a questa, venendo a limitare il peso dell’apporto fran-
cese nell’economia generale dei rapporti tra le grandi potenze44.

Pure alcuni settori degli ambienti imprenditoriali italiani giuliani


e veneti erano favorevoli ad un miglioramento dei rapporti politici fra
i due Paesi al fine di potenziare le relazioni commerciali45. Nonostante
le difficili relazioni politiche fra i due Stati, i rapporti commerciali ita-
lo-jugoslavi rimanevano intensi, grazie alla complementarietà delle
economie e alla vicinanza geografica. Nel 1929 l’Italia costituiva il
principale mercato per la Jugoslavia, ricevendo il 24,9 per cento del-
le esportazioni jugoslave, di più dell’Austria e della Germania consi-
derate congiuntamente; il sistema economico jugoslavo, invece, im-
portava soprattutto dai Paesi germanici (33% del totale), ma l’Italia
era la seconda esportatrice in Jugoslavia con il 10,8%46. Dino Grandi,
ministro degli Esteri italiano dal 1929 al 1932, si sforzò di migliora-
re i rapporti con Belgrado. Ma all’interno del partito e del regime fa-
scista forti erano le simpatie verso il separatismo croato. A favore del-
la disgregazione della Jugoslavia spingeva, ad esempio, il console a
Zagabria, Umiltà, convinto della possibilità di trovare un vantaggio-
so compromesso territoriale fra l’Italia e la futura Croazia indipen-
dente47. Lo stesso Mussolini sembrava essersi convinto della fragilità
dello Stato jugoslavo unitario e della necessità di fomentare le spinte
secessioniste croate, magiare e albanesi. Fra la fine degli anni Venti e
i primi anni Trenta assistiamo pure ad un crescente disinteresse poli-
tico italiano verso la Polonia e la Cecoslovacchia. A tale riguardo si-
curamente pesò il deterioramento dei rapporti fra Italia e Francia.
Ritenuti Stati fortemente legati a Parigi, la diplomazia italiana percepì
Praga e Varsavia come entità prive di autonomia politica internazio-
nale e pedine del gioco delle grandi Potenze. Ogni mutamento della

44 BUCARELLI, “Manicomio jugoslavo”. L’ambasciatore Carlo Galli e le relazioni italo-


jugoslave tra le due guerre mondiali, cit., p. 499.
45 DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia, cit., II, p. 43 e ss.
46 LAMPE, op. cit., pp. 181-183. Si veda anche: NICOLA LA MARCA, Italia e Balcani fra
le due guerre. Saggio di una ricerca sui tentativi italiani di espansione economica nel Sud
Est europeo fra le due guerre, Roma, 1979, p. 41 e ss.; FRED SINGLETON, BERNARD CARTER,
The Economy of Yugoslavia, London - New York, 1982, p. 60 e ss.
47 ASMAE, GAB 1923-43, GAB, b. 773, Umiltà a Ministero degli Esteri, 4 gennaio 1933.
50 LUCIANO MONZALI

loro politica estera era considerato dipendente dall’evoluzione delle


direttive internazionali di Parigi. Verso la Cecoslovacchia pesavano an-
che le differenze ideologiche. Beneš e Masaryk erano giudicati ita-
lofobi e antifascisti48. Da parte cecoslovacca, peraltro, vi fu scarsa at-
tenzione all’Italia e al suo ruolo politico in Europa centrale. Beneš ri-
teneva di non avere bisogno di buoni e stretti rapporti con il governo
di Roma49. Nei confronti della Polonia, regime autoritario nazionali-
sta, l’Italia fascista non aveva pregiudizi e ostilità ideologiche. Ma si
percepiva la Polonia come uno Stato fragile, indebolito dall’esisten-
za di numerose popolazioni allogene al proprio interno e di gravi con-
troversie territoriali con la maggior parte degli Stati confinanti. La
Polonia era un soggetto della politica internazionale poco considera-
to dalla diplomazia italiana; le si dava scarsa importanza privilegian-
do piuttosto i rapporti politici ed economici con la Germania e con la
stessa Unione Sovietica, percepite come le grandi Potenze dell’Europa
orientale50.
L’evoluzione della politica europea e mondiale – con l’aggravarsi
delle tensioni internazionali a causa della conquista giapponese della
Manciuria e del rafforzamento politico del partito nazionalsocialista
in Germania – convinse Mussolini a dimissionare Grandi e ad assu-
mere in prima persona la carica di ministro degli Esteri nel luglio 1932.
Fu il segnale dell’inizio di una nuova fase della politica estera italia-
na, più dinamica e attiva, pronta a sfruttare l’evoluzione degli equili-
bri europei a proprio vantaggio. Mussolini scelse come suoi principali
collaboratori a Palazzo Chigi Fulvio Suvich e Pompeo Aloisi, due per-
sonalità particolarmente esperte e preparate per incarichi internazio-
nali. Il triestino Suvich, ex irredentista di formazione nazionale-libe-
rale, già deputato fascista, avvocato legato al mondo delle
Assicurazioni di Trieste, esperto di problemi economici e finanziari e
buon conoscitore dell’Europa centrale, fu nominato sottosegretario agli
Esteri51, mentre Pompeo Aloisi, ex ufficiale di marina, che aveva vis-

48 Sulla visione di Beneš riguardo a Mussolini e all’Italia fascista: DDF, I, 2, d. 129.


49 Sulle relazioni italo-cecoslovacche alcune interessanti informazioni in DDI, VII, 9, dd.
31, 305; ivi, 10, d. 220; ivi, 12, dd., 45, 46, 49; ivi, 14, dd. 234, 320.
50 DDI, VII, 10, dd., 151, 211, 380; ivi, 12, d. 188. Sulle relazioni italo-sovietiche:
PETRACCHI, Da San Pietroburgo a Mosca. La diplomazia italiana in Russia 1861-1941, cit.
51 FULVIO SUVICH, Memorie 1932-1936, Milano, 1984; TOMASO DE VERGOTTINI, Fulvio
Suvich e la difesa dell’indipendenza austriaca, in AA.VV., Le fonti diplomatiche in età mo-
derna e contemporanea, Roma, 1995. Su Suvich e il suo ambiente politico-culturale di pro-
venienza si legga anche: ANNA MILLO, Le elite del potere a Trieste. Una biografia collettiva
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 51

suto avventurosamente fra servizi segreti e diplomazia, divenendo


rappresentante italiano in Albania, Giappone e Turchia, fu scelto co-
me capo di gabinetto del ministro52. Nella nuova equipe ministeriale
fu soprattutto Suvich a guidare con particolare attenzione e sagacia
l’azione italiana in Europa centrale, sempre nel ruolo di esecutore del-
le decisioni del Duce, ma anche dando un contributo personale al-
l’elaborazione della politica italiana. A differenza di molti politici e
diplomatici italiani, nella visione internazionale di Suvich la questione
austriaca e il tema dell’assetto dell’Europa centrale erano problemi
decisivi e vitali. Per l’ex suddito asburgico, il nazionalsocialismo te-
desco con i suoi progetti espansionistici in Europa centrale costitui-
va una minaccia mortale per l’Italia e andava contrastato in tutti i mo-
di. Per Suvich, a differenza di Mussolini, la difesa dell’indipenden-
za austriaca era una battaglia cruciale, riguardo alla quale non erano
possibili compromessi: egli s’impegnò a tale riguardo con determi-
nazione e convinzione, sacrificando alla fine la propria carriera po-
litica pur di difendere i suoi convincimenti personali. L’origine trie-
stina di Suvich, invece, spiega il suo interesse a favorire la ripresa
economica e commerciale nei Paesi centro-europei e l’atteggiamen-
to pragmatico verso la Jugoslavia. Egli era consapevole dell’impor-
tanza degli interessi finanziari triestini nella regione e desiderava l’in-
tensificazione delle relazioni economiche dell’Italia con gli Stati
dell’Europa centrale proprio perché la Venezia Giulia ne sarebbe sta-
ta la prima beneficiaria.
Il tentativo di creare un’unione doganale austro-tedesca nel 1931
fu il segnale che la politica estera italiana doveva perseguire una po-
litica più determinata e attiva se voleva preservare la propria influen-
za in Europa centrale di fronte al riemergere della presenza germani-
ca e ai rischi di destabilizzazione che la recessione economica provo-
cava. Non a caso in quegli anni, segnati dalla conquista nazionalso-
cialista del potere a Berlino con la nomina di Adolf Hitler a cancel-
liere germanico nel gennaio 1933, l’assetto dell’Europa centrale di-
venne il tema centrale delle relazioni fra Italia e Germania. Come la
storiografia ha mostrato53, Mussolini assistette con simpatia alla con-

1891-1938, Milano, 1990; ID., Trieste, le assicurazioni, l’Europa. Arnoldo Frigessi di Rattalma
e la Ras, Milano, 2004.
52 Su Pompeo Aloisi: POMPEO ALOISI, Journal (25 juillet 1932-14 juin 1936), Parigi, 1957.
53 DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, cit.; SCARANO, op. cit.; JENS
PETERSEN, Hitler e Mussolini. La difficile alleanza, Roma-Bari, 1975; HANS WOLLER, I rap-
52 LUCIANO MONZALI

quista del potere da parte del movimento nazionalsocialista. L’emer-


gere della Germania nazionalsocialista metteva in crisi le relazioni
franco-tedesche e aumentava il peso internazionale dell’Italia. Il ca-
po del fascismo, inizialmente, coltivò il progetto di presentarsi come
mediatore fra Potenze occidentali e Germania. Per il Duce la pace in
Europa poteva essere mantenuta solo restituendo alla Germania il ran-
go e il ruolo di grande Potenza europea54 e risolvendo per via diplo-
matica alcune controversie territoriali particolarmente gravi. A tal fi-
ne, nel marzo 1933 Mussolini propose la conclusione di un patto di
collaborazione politica fra Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia
(il cosiddetto Patto a Quattro), le cui finalità principali erano la crea-
zione di un direttorio delle grandi Potenze che risolvesse alcuni con-
tenziosi territoriali e facilitasse l’inserimento della Germania hitleria-
na nell’ordine politico europeo55. La lettura della documentazione di-
plomatica mostra che il disegno italiano era disinnescare le tensioni
in Europa procedendo alla concessione di Danzica alla Germania e al-
la restituzione all’Ungheria di alcuni territori persi nel 1918. Il Patto
a Quattro venne parafato nel giugno 1933, ma non entrò mai in vigo-
re, a causa dell’ostilità di molti Stati dell’Europa centrale (Polonia,
Cecoslovacchia, Romania) all’idea di un direttorio delle grandi
Potenze favorevole ad iniziative revisioniste56 e a causa della decisione
tedesca di abbandonare la Conferenza del disarmo e la Società delle
Nazioni. Il fallimento del Patto a Quattro fu seguito dal progressivo
esplodere della rivalità italo-tedesca riguardo all’Austria. Il travolgente

porti tra Mussolini e Hitler prima del 1933. Politica del potere o affinità ideologica, «Italia
contemporanea», 1994, n. 196, p. 491 e ss.
54 Significativo per la comprensione dell’esistenza nel Partito fascista di umori favore-
voli ad un’intesa politica con la Germania l’articolo di uno dei più brillanti intellettuali fa-
scisti della nuova generazione, Carlo Giglio, nel quale era sostenuta l’opportunità di una di-
visione dell’Europa in due sfere d’influenza economica, dominate da Italia e Germania: CARLO
GIGLIO, Può la Germania hitleriana spingersi verso Est?, «La Rassegna Italiana», 1934, pp.
716-722.
55 Molto materiale documentario sul Patto a Quattro in DDI, VII, 13 e 14. Si vedano an-
che: DDF, I, volumi 2, 3, 4. Rimangono importanti: DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni
del consenso, cit.; JEAN- BAPTISTE DUROSELLE, Politique étrangère de la France. La déca-
dence 1932-1939, Paris, 1979; FRANCESCO SALATA, Il Patto Mussolini. Storia di un piano po-
litico e di un negoziato diplomatico, Milano, 1933. A proposito della reazione tedesca al Patto
a Quattro: GERHARD L. WEINBERG, The Foreign Policy of Hitler’s Germany. Diplomatic
Revolution in Europe 1933-1936, Chicago, 1970, p. 49 e ss. Sull’atteggiamento sovietico ver-
so le iniziative italiane: JAY CALVITT CLARKE III, Russia and Italy against Hitler. The Bolshevik-
Fascist Rapprochement of the 1930s, Westport, 1991.
56 DDI, VII, 14, d. 235.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 53

successo politico del nazionalsocialismo tedesco, sostenitore di un pro-


gramma pangermanista, ebbe gravi conseguenze in Austria. I cristia-
no-sociali austriaci, ostili al nazionalsocialismo, cominciarono a com-
battere con più vigore ogni aspirazione all’Anschluss e a vedere
nell’Italia fascista un importante alleato nella difesa dell’indipendenza
contro il movimento pangermanista hitleriano. Il governo cristiano-so-
ciale, guidato da Engebert Dollfuss a partire dal maggio 1932, si orientò
con determinazione a favore di un forte riavvicinamento fra Italia fa-
scista e Austria57. Mussolini si dimostrò favorevole ad assurgere al ruo-
lo di protettore dell’Austria indipendente, ma pose una serie di condi-
zioni. Prima fra tutte la costituzione di un governo di coalizione che des-
se largo spazio ai vecchi amici austriaci dell’Italia, le Heimwehren gui-
date dal principe di Starhemberg. Il governo di Roma, poi, insistette a
favore della creazione di una dittatura autoritaria anti-socialista e anti-
nazionalsocialista58. A parere dei vertici della diplomazia fascista, la dit-
tatura avrebbe facilitato le relazioni con l’Italia, eliminando l’ostacolo
costituito dall’ostilità dell’opinione pubblica austriaca, prevalentemen-
te italofoba e in maggioranza favorevole all’Anschluss, alla collabora-
zione fra Vienna e Roma. Nel favore verso un’evoluzione autoritaria in
Austria giocava ovviamente l’ostilità ideologica del fascismo italiano
contro i socialisti austriaci, accusati di essere filocomunisti e anti-ita-
liani. Ma va sottolineato che nell’ottica italiana la creazione della dit-
tatura era ritenuta soprattutto uno strumento nella lotta contro il nazio-
nalsocialismo austro-tedesco: l’evoluzione del governo Dollfuss verso
posizioni autoritarie di destra avrebbe tolto spazio e argomenti ai nazi-
sti austriaci e la creazione di un regime dittatoriale avrebbe consentito
la messa al bando e l’estromissione del nazionalsocialismo dalla vita
politica59. Dopo non poche resistenze, Dollfuss si convinse a seguire le
indicazioni italiane e nel febbraio 1934 procedette alla definitiva eli-
minazione del movimento socialista, alla messa al bando del nazional-
socialismo austriaco e all’instaurazione di un regime dittatoriale60.
Sempre in un’ottica di contenimento anti-germanico, la diplomazia ita-

57 Sulla politica estera dei governi Dollfuss: SUPPAN, Jugoslawien und Österreich, cit.;
GOTTFRIED-KARL KINDERMANN, Hitler’s Defeat in Austria 1933-1934. Europe’s First
Containment of Nazi Expansionism, Boulder, 1988.
58 DDI, VII, 12, dd. 351; DDI, VII, 14, d. 111; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 342 e ss.
59 Ad esempio DDI, VII, 14, d. 585.
60 Si veda l’analisi compiuta dal ministro francese a Vienna, Puaux, sull’evoluzione au-
toritaria del governo di Dollfuss: DDF, I, 5, dd. 223, 246, 255, 410. Sull’ostilità britannica
verso l’avvento di un regime autoritario in Austria: DBFP, II, 6, dd. 270, 273, 275, 332.
54 LUCIANO MONZALI

liana cercò di intensificare le relazioni economiche con Vienna e


Budapest61. Fallito il progetto di un’unione doganale italo-austro-un-
gherese, ci si accontentò di un approfondimento dei rapporti commer-
ciali fra Roma, Vienna e Budapest62. Espressione di questa politica fu
la conclusione dei cosiddetti Protocolli di Roma nel marzo 1934, inte-
se che istituzionalizzavano la periodica consultazione fra i tre governi
nelle questioni di comune interesse e impegnavano i tre Stati ad un’in-
tensificazione delle relazioni economiche sulla base dei preesistenti ac-
cordi commerciali63. Fra il 1933 e il 1934, sempre in funzione anti-ger-
manica, il governo italiano si dimostrò pronto a considerare favore-
volmente il raggiungimento di un accordo economico danubiano, che
includesse Ungheria, Austria, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania,
da concludersi sotto il patrocinio di Roma e Parigi e con adeguate ga-
ranzie per i porti adriatici dell’Italia64.
In questi anni l’Italia conquistò un ruolo di protagonista nelle vicende
centro-europee65. Ma le iniziative italiane si scontrarono con inevitabi-
li difficoltà, dalla scarsità di risorse economiche e finanziarie in possesso
del governo di Roma alla reticenza di alcuni alleati, ad esempio
l’Ungheria, a sposare pienamente le direttive politiche dell’Italia:
Budapest era ostile a fare una scelta netta fra Roma e Berlino e spin-
geva per la creazione di una stretta collaborazione politica fra Italia,
Germania e Ungheria66. Va comunque rilevato che da parte italiana vi
era la piena consapevolezza della precarietà della situazione austriaca
e degli equilibri nella regione danubiana. Pur di salvare l’indipendenza
austriaca, molti diplomatici italiani, in primis lo stesso Suvich, si mo-
strarono disponibili a considerare la possibilità della ricostituzione di uno
Stato austro-ungarico e perfino l’eventualità della restaurazione di un
ramo degli Asburgo a Vienna67. Tuttavia, a differenza di Suvich e di al-
cuni esponenti politici austriaci, Mussolini fu freddo verso l’ipotesi di
un ritorno degli Asburgo, accusati di essere anti-italiani e antifascisti68.

61DDF, I, 4, d. 77.
62DDI, VII, 12, dd. 389, 408, 414.
63 LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 377 e ss.; PETERSEN, op. cit..
64 DDI, VII, 14, d. 231, Appunto del sottosegretario agli Esteri, Suvich, settembre 1933;
ibidem, Memorandum italiano per l’Europa danubiana, 29 settembre 1933, d. 232.
65 DDF, I, 2, d. 110.
66 GYÖRGY RÉTI, Hungarian-Italian Relations in the Shadow of Hitler’s Germany 1933-
1940, Boulder, 2003; GYULA JUHASZ, Hungarian foreign policy, 1919-1945, Budapest, 1979.
67 DDI, VII, 16, dd. 794, 852.
68 Ad esempio DDI, VII, 14, d. 802. Il governo italiano accusava gli Asburgo di alimentare
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 55

L’intensificazione delle relazioni italo-austriache nel corso del 1933


e dei primi mesi del 1934 irritò il governo di Berlino e portò ad un
progressivo deterioramento dei rapporti fra Germania e Italia. Il go-
verno germanico, inizialmente, cercò con Göring e von Papen di con-
vincere Mussolini a trovare un accomodamento italo-tedesco sul-
l’Austria, ma non si riuscì a raggiungere un’intesa a causa della pre-
tesa di Hitler di estromettere Dollfuss dalla vita politica austriaca e di
assicurare ai nazisti austriaci un netto predominio. Allora Hitler ispirò
ed organizzò un’azione di forza contro l’esecutivo di Vienna. Il col-
po di Stato nazista del luglio 1934 fallì clamorosamente, ma i segua-
ci hitleriani riuscirono ad uccidere la guida della resistenza anti-unio-
nista, Dollfuss. Il nuovo cancelliere, Kurt von Schuschnigg, fu capa-
ce di riorganizzare il governo austriaco, proseguendo la stretta colla-
borazione con Roma. La reazione italiana fu netta e chiara a sostegno
dell’indipendenza dell’Austria. Gli eventi del luglio 1934 convinsero
Mussolini che con la Germania, per il momento, non erano possibili
trattative e accordi. La politica estera italiana, quindi, s’orientò con de-
cisione a favore di un riavvicinamento alla Francia. L’ascesa del mo-
vimento nazionalsocialista in Germania aveva spaventato il governo
di Parigi che cominciò ad apprezzare maggiormente l’utilità dell’a-
micizia italiana in funzione anti-tedesca.
Il miglioramento dei rapporti con la Francia ebbe ricadute positi-
ve anche sulle relazioni italo-jugoslave. Come abbiamo visto, le rela-
zioni bilaterali fra Roma e Belgrado erano complicate dal coesistere
di tendenze contraddittorie nella politica italiana verso la Jugoslavia.
Da una parte, alcuni esponenti della diplomazia italiana, in primis
Carlo Galli ministro a Belgrado, ritenevano che l’avvento di un regi-
me dittatoriale monarchico in Jugoslavia facilitasse un possibile av-
vicinamento politico italo-jugoslavo sulla base del rispetto dei confi-
ni esistenti ed avendo come interlocutore privilegiato Re Alessandro
e i militari serbi69. Dall’altra, però, Mussolini e vari dirigenti fascisti
sembravano convinti della debolezza dello Stato jugoslavo unitario,
della prossima sua disgregazione e dell’interesse italiano di alimen-
tare le spinte secessioniste croate, magiare, macedoni e albanesi al fi-
ne di poterle manipolare e sfruttare a proprio vantaggio. Constatando
la crescente debolezza politica della dittatura jugoslava, che si era mac-

i sentimenti anti-italiani dell’aristocrazia tirolese: DDI, VII, 12, d. 192.


69 Ad esempio: DDI, VII, 11, d. 112; DDI, VII, 12, dd. 4, 15, 34; BUCARELLI, Mussolini
e la Jugoslavia, cit.
56 LUCIANO MONZALI

chiata di innumerevoli atti di violenza contro le opposizioni, i nazio-


nalisti croati più radicali ed estremisti (ustaša e pravaši), guidati da
Ante Pavelić, progettarono una rivolta in Croazia con il sostegno fi-
nanziario dell’Italia, che consentì loro di usare come base logistica la
città di Zara. Nel settembre 1932 i preparativi dei rivoltosi furono sco-
perti dalla polizia jugoslava. I nazionalisti croati, allora, decisero di
fare iniziare immediatamente la rivolta nella Lika, dove, grazie alla
simpatia e al sostegno della popolazione croata locale, la ribellione
durò alcune settimane, per poi essere repressa nel sangue70. La rivol-
ta, compiuta con la simpatia e la benevolenza italiane, irritò fortemente
il governo jugoslavo, che la considerò un tentativo di distruggere lo
Stato monarchico71. In quei mesi la tensione fra Italia e Jugoslavia rag-
giunse livelli altissimi, con i governanti jugoslavi, in primis Re
Alessandro, ormai pronti alla guerra contro lo Stato vicino. Ma i ca-
nali di comunicazione diretta e riservata fra Roma e Belgrado rima-
sero sempre attivi e ciò probabilmente fu la ragione perché la tensio-
ne nei rapporti fra i due Paesi non conobbe un’escalation di natura bel-
lica. Infatti, sempre in quegli anni, si svilupparono in modo disconti-
nuo negoziati segreti per giungere a un chiarimento nei rapporti ita-
lo-jugoslavi. Ma la volontà di Mussolini di vedere riconosciuta un’in-
discussa supremazia politica dell’Italia in Albania, i sospetti del go-
verno di Belgrado verso il sostegno fascista ai separatisti croati e la
difesa italiana dell’indipendenza austriaca72 ostacolarono il successo
delle trattative bilaterali73. Con il miglioramento delle relazioni fra
Roma e Parigi nel corso del 1934 la diplomazia francese spinse gli ju-
goslavi ad accettare l’avvicinamento verso l’Italia, ormai parte della
coalizione anti-hitleriana. Il movimento separatista croato all’estero
percepì la minaccia che un avvicinamento italo-franco-jugoslavo co-
stituiva per le sorti della lotta contro Belgrado. Da qui la decisione di
sabotare il tutto organizzando il clamoroso attentato di Marsiglia nel-
l’ottobre 1934, quando alcuni terroristi legati agli ustascia, uno dei
quali in esilio in Italia, uccisero il Re jugoslavo Alessandro e il mini-

70 BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.


71 DDI, VII, 12, d. 357.
72 Sulla simpatia iniziale del governo jugoslavo verso la Germania hitleriana: MASSIMO
BUCARELLI, Gli accordi Ciano-Stojadinovic del 25 marzo 1937, «Clio», 2000, n. 2, p. 327 e
ss.
73 BUCARELLI, Gli accordi Ciano-Stojadinovic del 25 marzo 1937, cit.; ID., Mussolini e
la Jugoslavia, cit.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 57

stro degli Esteri francese Barthou74. Il tentativo dei nazionalisti croa-


ti di sabotare i rapporti fra Roma e Belgrado non ebbe successo. Il
miglioramento dei rapporti italo-jugoslavi continuò, seppur lenta-
mente. Il governo fascista reagì duramente all’attentato di Marsiglia
inviando al confino molti esuli croati e sopprimendo le loro struttu-
re politiche e militari in Italia75. Nonostante l’omicidio di Re
Alessandro e del ministro degli Esteri francese Barthou, il riavvici-
namento italo-francese in funzione anti-hitleriana proseguì culmi-
nando nella conclusione degli accordi Laval-Mussolini del gennaio
1935, che gettarono le basi per una collaborazione politica fra Roma
e Parigi al fine di difendere l’indipendenza dell’Austria e lo status quo
in Europa centrale76. Una volta migliorati i rapporti con Parigi, l’os-
sessione italiana circa il possibile accerchiamento franco-jugoslavo
cominciò a svanire e Mussolini iniziò a preparare una graduale di-
stensione nelle relazioni con Belgrado. A partire dalla fine del 1934,
per il Duce la politica estera italiana doveva ormai orientarsi verso
l’espansione africana; diveniva, quindi, utile un miglioramento dei
rapporti con Belgrado al fine della stabilizzazione politica dell’Europa
centro-orientale mentre l’Italia si preparava a una campagna di con-
quista coloniale in Africa orientale. Non a caso, i rapporti fra Italia e
Jugoslavia, nonostante che lo scoppio della guerra d’Etiopia e il ri-
sorgere di tensioni fra Roma e Parigi potessero spingere i due Paesi
su posizioni opposte, assunsero un carattere cordiale ed amichevole
nel corso del 1935 e del 1936. A ciò contribuì anche la nuova diret-
tiva che il governo presieduto dall’economista serbo, Milan
Stojadinović77, diede alla politica internazionale della Jugoslavia: con-
statando il declino della forza della Francia e il disimpegno britan-
nico verso i problemi centro-europei, egli cercò di migliorare i rap-
porti con la Germania e l’Italia78.

74 BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit., p. 298 e ss.; YPD, 2, Annual Report on


Yugoslavia for 1934, allegato a Henderson a Simon, 7 gennaio 1935, p. 483 e ss.; JUSO, op.
cit., p. 67; DUROSELLE, Politique étrangère de la France. La décadence, cit., p. 112.
75 JUSO, op. cit., p. 81 e ss.
76 Sul riavvicinamento italo-francese: DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del consenso,
cit.; DUROSELLE, Politique étrangère de la France. La décadence 1932-1939, cit., p. 87 e ss.;
SHORROCK, op. cit.; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit.; GIOVANNI BUCCIANTI, Verso gli accordi
Mussolini-Laval. Il riavvicinamento italo-francese fra il 1931 e il 1934, Milano, 1984;
SALVATORE MINARDI, L’accordo militare segreto Badoglio-Gamelin del 1935, «Clio», n. 2, pp.
271-300.
77 BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.; DDI, VIII, dd. 411, 454.
78 DDF, II, 5, dd. 43, 89, 100, 235, 240; Documents on German Foreign Policy 1918-
58 LUCIANO MONZALI

Contrariamente alle aspettative della classe dirigente fascista e del-


lo stesso Mussolini, la guerra d’Etiopia sconvolse le direttive della po-
litica internazionale italiana, mettendo a repentaglio la stessa soprav-
vivenza del regime mussoliniano. Le speranze italiane di un rapido ed
indolore assorbimento di gran parte dell’Etiopia grazie alla compli-
cità e all’aiuto di Francia e Gran Bretagna si rivelarono fallaci. A cau-
sa di una manchevole preparazione diplomatica e di un’impostazione
imperialista datata e retrograda, le mire espansioniste italiane susci-
tarono una forte opposizione nell’opinione pubblica internazionale e
le resistenze della Gran Bretagna. L’impresa etiopica si rivelò più dif-
ficile e pericolosa del previsto79. Per alcuni mesi l’Italia, impegnata in
un conflitto bellico in Africa orientale, si trovò sostanzialmente alla
potenziale mercé delle decisioni di Londra, in grado di bloccare il ca-
nale di Suez e di mettere in crisi l’azione militare italiana. Lo scontro
diplomatico con Londra spinse l’Italia in un pericoloso isolamento. La
documentazione italiana fra la fine del 1935 e i primi mesi del 1936
mostra con chiarezza l’irritazione e la rabbia di Mussolini, il cui po-
tere sembrava improvvisamente essere sempre più fragile e precario,
contro i francesi e i britannici: i primi erano accusati di non avere man-
tenuto i patti, i secondi di essere ingiustamente e irrazionalmente osti-
li alle rivendicazioni dell’Italia. In quei mesi nella psiche di Mussolini
si radicò una viscerale irritazione e ostilità verso le classi dirigenti fran-
cese e britannica, giudicate irriducibilmente anti-italiane e antifasci-
ste, nonché politicamente inaffidabili. Pericolosamente isolato sul pia-
no internazionale, sotto la minaccia di uno scontro militare contro
Londra e il rischio di una crisi interna del regime fascista, nel gennaio

1945, (d’ora in poi DGFP), London, 1949-, C, 4, dd. 191, 447, 533; DGFP, D, 5, dd. 158,
162, 163, 184, 229.
79 Per una ricostruzione degli eventi relativi alla guerra italo-etiopica del 1935-1936 ri-
mandiamo a: DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, cit.; GEORGE W. BAER, La
guerra italo-etiopica e la crisi dell’equilibrio europeo, Bari, 1970; RENATO MORI, Mussolini
e la conquista dell’Etiopia, Firenze, 1978; ID., Delle cause dell’impresa etiopica mussoliniana,
«Storia e politica», 1978, p. 664 e ss.; GIORGIO ROCHAT, Militari e politici nella preparazio-
ne della campagna d’Etiopia. Studio e documenti 1932-1936, Milano, 1971; FRANKLIN D.
LAURENS, France and the Italo-Ethiopian Crisis 1935-1936, L’Aja-Paris, 1967; FRANCESCO
LEFEBVRE D’OVIDIO, La questione etiopica nei negoziati italo-franco-britannici del 1935,
Roma, 2000; NORTON MEDLICOTT, The Hoare-Laval Pact reconsidered, in DAVID DILKS, a cu-
ra di, Retreat from Power. Studies in Britain’s Foreign Policy of the Twentieth Century,
London, 1981, vol. I, pp. 118-138; VISCONT TEMPLEWOOD (SAMUEL HOARE), Nine Troubled
Years, London, 1954, p. 149 e ss.; LORD VANSITTART, The Mist Procession, London, 1958, p.
516 e ss.; ALESSANDRO LESSONA, Memorie, Roma, 1963, p. 149 e ss.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 59

1936 Mussolini decise di riprendere i contatti politici con la Germania,


sostanzialmente interrotti dall’omicidio di Dollfuss80. Il 7 gennaio in-
vitò a colloquio l’ambasciatore tedesco a Roma, Hassell, al quale co-
municò la possibilità di procedere ad un deciso miglioramento dei rap-
porti italo-germanici e alla soluzione di alcune gravi controversie,
quella austriaca in particolare, esistenti nelle relazioni bilaterali. Il
Duce auspicava un miglioramento delle relazioni fra Vienna e Berlino
e non aveva nessuna difficoltà ad accettare un avvicinamento politi-
co austro-tedesco: la stessa trasformazione dell’Austria in un «Satellit
Deutschlands» era accettabile per l’Italia purché lo Stato austriaco
mantenesse una formale indipendenza internazionale81. Nei mesi suc-
cessivi prese sviluppo la collaborazione italo-tedesca82, mentre con-
temporaneamente Mussolini incitava i dirigenti austriaci ad accettare
la pacificazione con Berlino. L’avvicinamento alla Germania era la di-
rettiva politica chiesta da alcuni esponenti del partito fascista
(Farinacci, Balbo)83, dal genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, che
aspirava a scalzare Suvich dal Ministero degli Esteri, e dall’amba-
sciatore italiano a Berlino, Attolico, fortemente favorevole all’amici-
zia con lo Stato nazionalsocialista84. Questa svolta politica filotede-
sca, però, venne decisa da Mussolini contro la volontà del suo sotto-
segretario, Suvich, ostile all’avvicinamento alla Germania nazional-
socialista e favorevole piuttosto alla riconciliazione con francesi e bri-

80 Sul cattivo stato delle relazioni italo-tedesche nel corso del 1935: MANFRED FUNKE,
Sanzioni e cannoni 1934-1936. Hitler, Mussolini e il conflitto etiopico, Milano, 1972;
WEINBERG, The Foreign Policy of Hitler’s Germany. Diplomatic Revolution in Europe 1933-
1936, cit., p. 232 e ss.
81 ADAP, C, IV, 2, d. 485. Al riguardo: JÜRGEN GEHL, Austria, Germany and the
Anschluss, London, 1963; ANGELO ARA, Il problema austriaco nella politica italiana 1936-
1938, in ID., Fra Nazione e Impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa, Milano, 2009, p. 57
e ss.
82 DDI, VIII, 3, dd. 275, 282, 384, 614; DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del con-
senso, cit.; MORI, Mussolini e la conquista dell’Etiopia, cit.; PETERSEN, op. cit. Si veda la per-
cezione francese dell’avvicinamento italo-tedesco: DDF, II, 1, dd. 121, 135, 209, 211, 360.
83 GIUSEPPE PARDINI, Roberto Farinacci: ovvero della rivoluzione fascista, Firenze, 2007;
MATTEO DI FIGLIA, Farinacci. Il radicalismo fascista al potere, Roma, 2007; CLAUDIO G.
SEGRE, Italo Balbo, Bologna, 1988; GIORDANO BRUNO GUERRI, Italo Balbo, Milano, 1998.
84 ADAP, C, IV, 2, d. 486; DDI, VIII, 3, dd. 66, 67, 138, 568; MEIR MICHAELIS, Il conte
Ciano di Cortellazzo quale antesignano dell’Asse Roma-Berlino. La linea “germanofila” di
Ciano dal 1934 al 1936, «Nuova Rivista Storica», 1977, nn.1-2, p. 132 e ss.; FRANCESCO
LEFEBVRE D’OVIDIO, Il problema austro-tedesco e la crisi della politica estera italiana (lu-
glio 1934-luglio 1936), «Storia delle Relazioni Internazionali», 1999, n. 2, pp. 3-64, in par-
ticolare p. 54 e ss.; ULRICH VON HASSELL, Römische Tagebücher und Briefe 1932-1938,
München, 2004, p. 144 e ss.
60 LUCIANO MONZALI

tannici85. Il politico triestino previde le conseguenze nefaste delle ini-


ziative del Duce. A parere di Suvich, sacrificare l’Austria sarebbe sta-
to un colossale errore. Innanzitutto, avrebbe significato abbandonare
un Paese e un gruppo dirigente che coraggiosamente si erano schie-
rati contro Hitler e avevano dimostrato lealtà verso l’Italia. Rinunciare
a difendere l’indipendenza austriaca, poi, avrebbe indebolito la posi-
zione strategica dell’Italia di fronte alla Germania, anche nella pro-
spettiva della ricerca di un’intesa con Berlino:

Sarebbe una illusione pericolosa quella di credere che la Germania arri-


vata al Brennero e a Tarvisio, si arresterà su queste posizioni senza tenderle
a oltrepassarle. Dico subito che fra le due posizioni quella più pericolosa è
la seconda. Bisogna non tener conto della storia tedesca ed ignorare la men-
talità del popolo tedesco per pensare che la Germania non farà tutti gli sfor-
zi per superare i cento chilometri che la divideranno allora dall’Adriatico. Un
popolo di ottanta milioni di abitanti con l’energia e lo spirito di organizza-
zione dei tedeschi, col mito della superiorità della razza, con il bisogno di
espansione prepotente e con la spinta tradizionale verso le vie del sud e del-
l’oriente – non potrà essere fermato che con una vigile e permanente difesa.
Il popolo italiano dovrà essere costantemente in armi contro questa minac-
cia. Non ci sarà nessuna provincia baltica e nessuna provincia ucraina che
potrà esercitare il fascino sullo spirito di conquista dei tedeschi come le pro-
vincie che gli aprono la strada del mare del Sud e dell’Oriente86.

Il sottosegretario giustamente sottolineò che l’asse fondamentale


su cui si fondava l’influenza italiana in Europa centrale era la stretta
alleanza con l’Austria indipendente. Perse le posizioni in Austria a fa-
vore della Germania hitleriana, tutto il sistema d’influenza italiano sa-
rebbe crollato progressivamente a vantaggio di Berlino:

La Germania a Vienna vuol dire la Germania a Budapest. La


Cecoslovacchia sarà allora liquidata. La Rumenia sarà posta nel dilemma di
diventare vassalla della Russia o della Germania ed è probabile che scelga
quest’ultima. La Jugoslavia non domanda che di allearsi con la Germania. Gli
altri Paesi balcanici per tradizione e per interesse subiranno il fascino e la pre-

85 DDI, VIII, 3, d. 131, Suvich a Mussolini, 29 gennaio 1936. Circa l’ossessione di Suvich
che la Germania «ingoiasse» l’Austria: FILIPPO ANFUSO, Da Palazzo Venezia al lago di Garda
(1936-1945), Bologna, 1957. Ciano dichiarò ad Hassell che Suvich era antitedesco in quan-
to «Halbjude»: VON HASSELL, Römische Tagebücher, cit., p. 167.
86 DDI, VIII, 3, d. 194, Suvich a Mussolini, 7 febbraio 1936.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 61

potenza di questa Germania risorta ed invadente. All’Italia saranno irrime-


diabilmente recisi tutti i nervi di una sua politica di espansione verso i Balcani.
Questa è la vera essenza dell’Anschluss […]87.

Nonostante i moniti di Suvich, che erano condivisi da alcuni di-


plomatici italiani della vecchia guardia (Cerruti, Aloisi, Galli, Rosso),
Mussolini decise di procedere sulla strada dell’avvicinamento alla
Germania e quindi della definizione di una nuova politica austriaca
dell’Italia non più antagonistica al nazionalsocialismo hitleriano. Sulla
base di questa nuova strategia, nel corso dei primi mesi del 1936 l’Italia
abbandonò definitivamente ogni progetto di accordo internazionale per
la difesa dell’indipendenza austriaca88, accettò passivamente l’occu-
pazione militare tedesca della Renania e si dimostrò ostile ai tentativi
di Schuschnigg di migliorare i rapporti dell’Austria con gli Stati della
Piccola Intesa e con le Potenze occidentali89. Mussolini fece pressioni
perché il governo di Vienna accettasse il chiarimento con la Germania
e la progressiva subordinazione alla politica estera hitleriana. La do-
cumentazione diplomatica ci mostra con chiarezza le pressioni italia-
ne su Schuschnigg per favorire e affrettare la conclusione di un accor-
do di riconciliazione austro-tedesca, che aprisse le porte del potere ai
nazionalsocialisti preservando formalmente la sovranità dell’Austria,
trattato che fu poi firmato nel luglio 193690. Non a caso furono defini-
tivamente accantonate le ipotesi di restaurazione asburgica, coltivate
da Suvich, Starhemberg e Schuschnigg91. Con il rimpasto del governo
del maggio 1936 Starhemberg, ormai politicamente inutile per gli ita-
liani, fu estromesso dall’esecutivo e la componente anti-hitleriana del
gruppo dirigente austriaco venne fortemente indebolita92.
Nel corso del 1936 assistiamo anche alla fine del tenue migliora-
mento dei rapporti italo-cecoslovacchi avvenuto a partire dal 193393.

87 Ibidem.
88 Per informazioni su questo progetto, sviluppo degli accordi Mussolini-Laval: DDI, VII,
16, dd. 214, 330, 338.
89 DDI, VIII, 3, dd. 28, 75, 79; DDF, II, 1, dd. 72, 74, 88, 100.
90 DDI, VIII, 3, d. 523; DDI, VIII, 4, dd. 192, 439, 455, 460, 503, 514; RICCARDI,
Francesco Salata tra storia, politica e diplomazia, cit.; PASTORELLI, Dalla prima alla secon-
da guerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera italiana 1914-1943, cit.;
LEFEBVRE D’OVIDIO, Il problema austro-tedesco e la crisi della politica estera italiana (lu-
glio 1934-luglio 1936), cit.
91 DDI, VIII, 3, dd. 91, 105, 119; DDF, II, 2, d. 397.
92 DDI, VIII, 4, dd. 43, 44, 54, 55, 64, 105.
93 DDF, I, 4, dd. 4, 373; DDF, I, 5, dd. 210, 412, 462.
62 LUCIANO MONZALI

Mussolini accusò il governo di Praga di avere condotto una politica


anti-italiana in seno alla Società delle Nazioni durante la crisi etiopi-
ca e promise di ripagare la presunta ostilità dei cecoslovacchi verso
l’Italia abbandonando completamente la Cecoslovacchia alle mire
espansionistiche della Germania94. Non a caso Mussolini non raccol-
se le aperture che parte della classe dirigente cecoslovacca, ad esem-
pio il presidente del Consiglio Milan Hodža, fece verso l’Italia cer-
cando d’intensificare la cooperazione fra i Paesi della Piccola Intesa
e quelli dei Protocolli di Roma95. La classe dirigente cecoslovacca ri-
teneva che vi fossero innegabili coincidenze d’interessi fra Roma e
Praga nel difendere lo status quo in Europa centrale e nel frenare il
sorgere della potenza della Germania hitleriana96. Nel 1936 la speranza
dei cechi fu che la crisi etiopica si risolvesse rapidamente e che l’Italia
ritornasse ad essere parte del blocco anti-hitleriano97. Ma questa non
era più la politica di Mussolini, ormai desideroso di costruire una stret-
ta collaborazione con la Germania con l’obiettivo di una futura spar-
tizione italo-tedesca dell’Europa.
Le vittorie militari italiane in Etiopia, favorite dalla passività e dal-
la connivenza delle grandi Potenze europee, desiderose di chiudere pri-
ma possibile la crisi abissina per cercare di reintegrare l’Italia nella
coalizione anti-hitleriana, fecero svanire l’eventualità di un tracollo del
regime fascista. Al contrario, il regime mussoliniano sembrò uscire
dalla guerra rafforzato sia sul piano interno che su quello internazio-
nale. Grazie alla guerra d’Etiopia Mussolini si costruì sul piano pro-
pagandistico l’immagine di abile e astuto statista, capace di creare un
grande Impero coloniale. In realtà, ad alcuni osservatori realisti e lun-
gimiranti98 non sfuggì che la conquista dell’Etiopia avrebbe provoca-
to un indebolimento della posizione dell’Italia nel continente europeo,
poiché l’avrebbe costretta a dividere ancora di più le sue limitate for-
ze e risorse fra Europa e Africa. L’establishment fascista, invece, va-
lutò la conquista militare di tutta l’Etiopia e l’avvicinamento verso la
Germania in maniera molto positiva. Per consolidare il rapporto con

94DDI, VIII, 3, d. 540.


95DDI, VIII, 3, dd. 309, 613.
96 DDI, VIII, 4, d. 668, 732.
97 DDI, VIII, 4, d. 24.
98 Si vedano le riflessioni di un diplomatico sovietico che constatò come la guerra
d’Etiopia avesse provocato il rafforzamento della Germania e l’indebolimento dell’Italia: DDI,
VIII, 4, d. 10.
DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 63

Berlino, nel giugno 1936 il Duce decise di sostituire i suoi due più
stretti collaboratori agli Esteri, Suvich e Aloisi99: il politico triestino
era odiato dai nazionalsocialisti tedeschi, che lo accusavano a ragio-
ne di essere stato il più determinato difensore italiano dell’indipen-
denza austriaca, mentre di Aloisi era conosciuta la simpatia per la
Francia. Dall’estate del 1936 la conduzione della politica estera ita-
liana, avente l’ambizione di trasformare l’Italia in una grande Potenza
mondiale e orientata verso l’amicizia con la Germania nazionalsocia-
lista, sarebbe stata affidata al giovane delfino del Duce, Galeazzo
Ciano, nuovo ministro degli Esteri100.

99 Al riguardo si vedano le riflessioni di Hassell: ADAP, C, V, 2, d. 381.


100 A tale proposito le considerazioni di François-Poncet, ambasciatore francese a Berlino:
DDF, II, 2, d. 338.
III

MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA


ITALIANA NELL’EUROPA DANUBIANA E BALCANICA
1936-1940.

La conquista dell’Etiopia, il massimo successo politico del fascismo,


mutò definitivamente la percezione che Mussolini aveva di sé e del
ruolo dell’Italia sul piano internazionale. Come ha notato Renzo De
Felice, Mussolini cominciò a sopravvalutare le proprie capacità poli-
tiche e a pensare di essere uno statista di statura mondiale. Ormai ri-
teneva che il suo destino personale fosse la costruzione di una nuova
civiltà fascista che si doveva diffondere in tutto il pianeta. L’Italia, na-
zione giovane e vigorosa, sarebbe divenuta una grande Potenza mon-
diale, fondatrice, insieme alla Germania, di un nuovo ordine interna-
zionale. Il Duce era convinto dell’inevitabile decadenza delle demo-
crazie liberali occidentali: a suo avviso, francesi, britannici e statuni-
tensi erano popoli imbelli, corrotti dal benessere e dal liberalismo edo-
nista, non più in grado di combattere e di confrontarsi con nazioni
guerriere come italiani, tedeschi e giapponesi. Da questa visione del
mondo derivò per Mussolini la scelta di una strategia internazionale
fondata su una collaborazione preferenziale con la Germania hitleria-
na, Potenza simile ideologicamente all’Italia mussoliniana e le cui mi-
re espansionistiche rivolte verso l’Europa orientale erano ritenute com-
patibili con le ambizioni imperiali italiane nel Mediterraneo e nel
Vicino Oriente1. A partire dal 1936 la diplomazia fascista puntò a co-

1 Sulla svolta impressa dalla crisi etiopica alla politica estera italiana: DE FELICE,
Mussolini il duce. Gli anni del consenso, cit.; ID., Mussolini il duce. Lo Stato totalitario 1936-
1940, cit.; ENNIO DI NOLFO, Le oscillazioni di Mussolini: la politica estera fascista dinanzi
ai temi del revisionismo, «Nuova Antologia», 1990, n. 2176, pp. 172-195; PASTORELLI, Dalla
prima alla seconda guerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera italiana 1914-
1943, cit., p. 119 e ss.; FULVIO D’AMOJA, La politica estera dell’Impero. Storia della politi-
ca estera fascista dalla conquista dell’Etiopia all’Anschluss, Padova, 1967; ROSARIA
QUARTARARO, Roma fra Londra e Berlino. La politica estera fascista dal 1930 al 1940, Roma,
1980; LILIANA SENESI, Italia e Stati Uniti: tra collaborazione e diffidenza 1936-1940, Siena,
66 LUCIANO MONZALI

struire un asse politico con Berlino, considerato la base diplomatica


su cui sviluppare la progressiva espansione economica e politica ita-
liana nel Mediterraneo a spese della Francia. Verso la Gran Bretagna,
invece, la politica estera fascista oscillò, per alcuni anni, fra la spe-
ranza di conquistarne la neutralità di fronte al contenzioso italo-fran-
cese e la preparazione ad un scontro finale nel Mediterraneo2.
Mussolini giudicava inevitabile una futura guerra contro la Francia,
ma non aveva fretta: riteneva che il guadagnare tempo servisse al
rafforzamento delle Potenze fasciste e all’ulteriore indebolimento del-
le liberaldemocrazie europee; sul breve termine, perciò, evitò di cer-
care l’aperto conflitto militare con gli anglo-francesi, preferendo il
semplice scontro politico e diplomatico, che garantisse il progressivo
rafforzamento delle posizioni italiane e tedesche a spese degli occi-
dentali3. In questo quadro generale, nel quale le ambizioni e le pro-
spettive della politica estera italiana si ampliarono a dismisura, con un
sempre maggiore interventismo politico a livello mondiale, l’Europa
centrale perse nell’azione diplomatica del governo di Roma l’impor-
tanza che aveva avuto prima del 1935. Dopo la conquista dell’Etiopia
per Mussolini il fulcro dell’attenzione dell’azione internazionale ita-
liana doveva rivolgersi verso i problemi del Vicino Oriente e dell’a-
rea mediterranea. L’obiettivo che la diplomazia fascista avrebbe per-
seguito nell’Europa danubiana era ormai il semplice mantenimento di
un’influenza italiana nella regione, con la rinuncia ad ogni ambizio-
ne di egemonia esclusiva a favore di un condominio italo-tedesco4. Al

1991; ALESSANDRA GIGLIOLI, Italia e Francia 1936-1939, Roma, 2001; MAC GREGOR KNOX,
Common Destiny: Dictatorship, Foreign Policy and War in Fascist Italy and Nazi Germany,
Cambridge, 2000; PAOLA BRUNDU OLLA, L’equilibrio difficile. Gran Bretagna, Italia e Francia
nel Mediterraneo (1930-1937), Milano, 1980; FORTUNATO MINNITI, Fino alla guerra: strate-
gie e conflitto nella politica di potenza di Mussolini 1923-1940, Napoli, 2000; GIANLUCA
FALANGA, Mussolinis Vorposten in Hitlers Reich: Italiens Politik in Berlin 1933-1945, Berlin,
2008.
2 DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 320 e ss., p. 467 e ss.;
DUROSELLE, La politique étrangère de la France. La décadence, cit., p. 389 e ss.; GIGLIOLI,
op. cit., p. 534 e ss.; DONATELLA BOLECH CECCHI, Non spezzare i ponti con Roma. Le rela-
zioni fra l’Italia e la Gran Bretagna dall’accordo di Monaco alla seconda guerra mondiale,
Milano, 1986.
3 L’azione italiana in Spagna, che contribuì enormemente al consolidamento della colla-
borazione con la Germania, fu un perfetto esempio del modus operandi della diplomazia fa-
scista. Al riguardo: DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario 1936-1940, cit.; JOHN
COVERDALE, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Roma- Bari, 1977.
4 Sulla politica estera italiana verso l’Europa centrale dopo il 1936 rimandiamo a:
BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.; JERZY W. BOREJSZA, Il fascismo e l’Europa orien-
tale. Dalla propaganda all’aggressione, Roma-Bari, 1981.
MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 67

governo di Berlino, in ogni caso, a partire dalla primavera del 1936,


fu riconosciuta la preponderante egemonia in Austria e fu promesso
il disinteressamento circa le sorti della Cecoslovacchia. Il consenso ita-
liano all’accordo di amicizia austro-germanico del luglio 1936 con-
fermò la serietà delle promesse nei confronti di Berlino. L’accordo fe-
ce entrare il nazionalsocialismo nelle stanze del potere a Vienna5. Per
Mussolini l’accordo austro-germanico era importante perché eliminava
l’unica grave controversia esistente nelle relazioni fra Roma e Berlino.
Il significato del trattato era chiaro a Roma: nel breve e medio perio-
do si auspicava la sopravvivenza di uno Stato austriaco parzialmente
indipendente, seppur allineato alla Germania e ispirato dal nazional-
socialismo tedesco; si riteneva, però, inevitabile un progressivo as-
sorbimento germanico e nazionalsocialista dell’Austria, sperando che
ciò avvenisse dopo molti anni. Verso la Cecoslovacchia, la cui sorte
era chiaramente legata al futuro dell’Austria, Ciano e Mussolini
espressero un crescente disprezzo e disinteresse. Più volte compare nel
diario di Ciano e nelle dichiarazioni dei dirigenti italiani dell’epoca la
visione, caratteristica del cinismo superficiale di molti diplomatici fa-
scisti di quegli anni, dei cechi come vittima predestinata di Hitler, po-
polo imbelle e debole, nazione nemica dell’Italia, verso i quali non si
aveva nessun vincolo e interesse6.
Oltre a sposare con entusiasmo la politica di amicizia con la
Germania nazionalsocialista, Ciano cercò di dare un’impronta perso-
nale alla sua azione internazionale7 puntando a migliorare i rapporti
con la Jugoslavia. Mussolini era ormai da tempo favorevole alla ri-
conciliazione con Belgrado e lo fece capire pubblicamente in un di-
scorso a Milano nel novembre 1936. I dirigenti di Belgrado erano di-
sponibili a rafforzare le relazioni con Mussolini. La vittoria italiana
in Africa orientale e l’occupazione tedesca della Renania mostrarono
alla classe dirigente serba che gli equilibri di potere in Europa stava-
no mutando e che fondare la propria politica estera esclusivamente sul-
la Piccola Intesa e sull’alleanza con la Francia non era più sufficien-

5 Per una realistica interpretazione del significato dell’accordo austro-germanico del lu-
glio 1936: DDF, II, 2, dd. 432, 444. Si veda anche: KURT SCHUSCHNIGG, Im Kampf gegen Hitler.
Die Überwindung der Anschlussidee, Wien, 1969; LUDWIG JEDLICKA, RUDOLF NECK, a cura
di, Das Juliabkommen von 1936. Vorgeschichte, Hintergründe und Folgen, Wien, 1977.
6 Ad esempio le dichiarazioni di Ciano all’ambasciatore statunitense Phillips: FRUS, 1938,
1, Phillips al Segretario di Stato, 13 maggio 1938, pp. 53-54.
7 Per un giudizio francese sulla personalità di Galeazzo Ciano: DDF, II, 3, d. 380. Un
profilo biografico di Ciano in GIORDANO BRUNO GUERRI, Galeazzo Ciano, Milano, 1985.
68 LUCIANO MONZALI

te a garantire la sicurezza dello Stato. Il presidente del consiglio


Stojadinović riteneva utile un accordo politico con l’Italia per inde-
bolire i movimenti secessionistici croati e bulgaro-macedoni e raffor-
zare così la stabilità della Jugoslavia8. Risultato del riavvicinamento
fra Italia e Jugoslavia furono gli accordi del 25 marzo 1937, consistenti
in un trattato di amicizia, in un accordo commerciale e in alcuni scam-
bi di note9. Con il trattato di amicizia l’Italia fascista cessò ogni so-
stegno agli ustascia croati e rinunciò ai progetti di disgregazione del-
la Jugoslavia: infatti Roma e Belgrado s’impegnarono a rispettare le
rispettive frontiere marittime e terrestri e a non ricorrere alla guerra
come strumento di politica nazionale e per risolvere conflitti o dissi-
di fra i due Paesi. In una nota verbale segreta il governo italiano pro-
mise l’internamento dei capi croati in esilio, il possibile invio di al-
tri esuli croati nelle colonie africane e la comunicazione di liste alla
polizia di Belgrado con i nominativi dei separatisti presenti sul terri-
torio italiano e il loro luogo d’internamento e confino10. In un altro
scambio di note i due governi promisero di rispettare la sovranità, l’in-
dipendenza politica e l’integrità territoriale dell’Albania: l’Italia, in
particolar modo, s’impegnò a non ricercare alcun esclusivo vantag-
gio politico od economico che potesse compromettere l’indipenden-
za albanese e a non fornire aiuto tecnico o finanziario al governo di
Tirana per lo sviluppo di fortificazioni esistenti o per la costruzione
di nuove. Negli accordi la diplomazia fascista si disinteressò com-
pletamente dei problemi della minoranza italiana in Dalmazia, men-
tre si dichiarò pronta a considerare con benevolenza la possibilità del
ripristino dell’insegnamento privato delle lingue croata e slovena e
del loro uso per il culto religioso in Venezia Giulia e a Zara, nonché
l’eventualità della pubblicazione di giornali e libri in tali lingue.
Nell’accordo commerciale i due Paesi s’impegnarono a riconoscersi
un’eguaglianza di trattamento nelle relazioni economiche; l’Italia,
poi, concesse alla Jugoslavia ampie facilitazioni finanziarie e a livello
di dazi, simili a quelle riservate a Stati amici come Austria e Unghe-

8 Sulla politica di Stojadinović: MILAN STOJADINOVIC, Jugoslavia fra le due guerre,


Bologna, 1970; LAMPE, op. cit., p. 163 e ss.; BUCARELLI, Gli accordi Ciano-Stojadinovic, cit.;
ID., Mussolini e la Jugoslavia, cit.; JACOB B. HOPTNER, Yugoslavia in Crisis 1934-1941, New
York, 1962; ANTONIO TASSO, Italia e Croazia, Macerata, 1967, vol. 1. Si vedano anche: DDF,
II, 3, dd. 299, 464; DDF, II, 5, dd. 59, 89, 100, 152, 153, 154, 160, 164, 212, 235.
9 I testi degli accordi del 25 marzo 1937 sono editi in DDI, VIII, 6, d. 340 e allegati.
10 La Legazione italiana a Belgrado al Ministero degli Esteri jugoslavo, 25 marzo 1937,
DDI, VIII, 6, d. 340, allegato H.
MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 69

ria11: l’obiettivo era riconquistare quell’importante fetta del commer-


cio jugoslavo che era stata italiana fino al 1935, ma che era andata per-
sa a vantaggio della Germania dopo le sanzioni economiche che la
Società delle Nazioni aveva imposto all’Italia a causa dell’aggressio-
ne all’Etiopia12. Come ha constatato Massimo Bucarelli, gli accordi
del marzo 1937 erano un successo della diplomazia jugoslava «che mi-
gliorò in generale i difficili rapporti con l’Italia, riuscì a reinserirsi in
qualche modo nella politica albanese, ed eliminò uno dei principali so-
stegni esterni al separatismo croato, proprio quando il Reggente Paolo
e Stojadinović erano alla ricerca di un chiarimento con Maček per far
partecipare il Partito contadino croato alle responsabilità di governo
e coinvolgere così la componente croata nella vita politica del Paese»13.
L’Italia fascista aveva fatto queste concessioni perché nel nuovo sce-
nario della politica estera italiana aperto dalla guerra d’Etiopia, ovvero
la progressiva crisi della collaborazione con la Gran Bretagna e la
Francia e l’avvicinamento alla Germania hitleriana, l’intesa con
Belgrado rafforzava non poco la posizione strategica del regime fa-
scista14. Ciano giudicò gli accordi del 1937 un suo grande successo per-
sonale, il primo passo verso la creazione di una vera e propria allean-
za fra Italia e Jugoslavia, che lui considerava complementare a quella
italo-tedesca, in quanto serviva a controllare la penetrazione economica
e politica della Germania hitleriana nella regione, preservando una for-
te influenza italiana nei Balcani occidentali e nella regione adriatica.
Era un’alleanza che avrebbe avuto, a suo avviso, un carattere anche
ideologico, perché Ciano riteneva Stojadinović non solo un sincero
amico dell’Italia, ma anche un vero leader fascista15, desideroso di crea-
re in Jugoslavia un regime simile a quello mussoliniano.
Le speranze fasciste di un duopolio italo-tedesco in Europa cen-

11 Accordo supplementare al trattato di commercio e navigazione del 14 luglio 1924 e


agli accordi addizionali del 25 aprile 1932, del 4 gennaio 1934 e del 26 settembre 1936, re-
lativo all’ampliamento degli scambi commerciali, attualmente esistenti fra i due paesi, non-
ché allo sviluppo dei rapporti economici generali, fra l’Italia e la Jugoslavia, in DDI, VIII, 6,
d. 340, allegato L.
12 LAMPE, op. cit., pp. 181-183. Sulla penetrazione commerciale germanica in Jugoslavia
negli anni Trenta: JOHANN WUESCHT, Jugoslawien und das Dritte Reich. Eine dokumentier-
te Geschichte der deutsch-jugoslawischen Beziehungen von 1933 bis 1945, Stuttgart, 1969,
p. 79 e ss.
13 BUCARELLI, Gli accordi Ciano-Stojadinović, cit., p. 390.
14 DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 401 e ss.; BUCARELLI, Gli
accordi Ciano-Stojadinović, cit., pp. 392-4.
15 DDI, VIII, 6, d. 345.
70 LUCIANO MONZALI

trale svanirono rapidamente nel corso del 1938. Hitler non si accon-
tentò di un’Austria alleata e amica della Germania, ma volle proce-
dere rapidamente all’annessione. Nel febbraio 1938, senza consulta-
re l’amico italiano, impose al governo di Vienna dei nuovi accordi che
dovevano intensificare la nazificazione dell’Austria16. A Roma si capì
che la Germania stava accelerando la sua azione distruttiva dell’indi-
pendenza austriaca, ma si decise di non fare nulla per ostacolarla e fre-
narla. In un appunto autografo del 27 febbraio, pochi giorni dopo un
bellicoso discorso di Hitler al Reichstag, Mussolini affermò che spet-
tava in primo luogo all’Austria, piuttosto che all’Italia, «mostrare con
i fatti che vuole essere e restare indipendente»17. L’Italia fascista non
era disposta a danneggiare i rapporti con la Germania per frenare
l’Anschluss:

È nell’interesse dell’Italia – scrisse Mussolini – che l’Austria resti uno


stato indipendente: tale interesse però non è tale che meriti di essere difeso
con una guerra e nemmeno col capovolgimento delle nostre posizioni politi-
che nei confronti della Germania. […] Poiché l’Italia scarta l’eventualità di
opporsi colla forza all’Anschluss, è chiaro che se tale evento deve verificar-
si, è meglio che non si faccia contro l’Italia18.

Di fronte ai tentativi di Schuschnigg di reagire all’assorbimento for-


zato con la proclamazione di un plebiscito19, Hitler fece invadere
l’Austria dalle sue forze armate (il 12 marzo 1938) e impose l’annes-
sione al Reich germanico20. Dopo aver messo Roma di fronte ad un
fatto compiuto, l’unica concessione fatta da Hitler fu l’invio di una let-
tera a Mussolini contenente la promessa di considerare chiusa per sem-
pre la questione dell’Alto Adige riconoscendone l’appartenenza
all’Italia21. La lettera, però, nonostante le richieste italiane, non fu pub-
blicata in Germania. L’Anschluss costituì una dura sconfitta politica
per l’Italia fascista. L’unione dell’Austria alla Germania, pur da tem-
po prevista da Mussolini, era un grave scacco per il fascismo presso

16 DDI, VIII, 8, dd. 147, 148, 153, 157, 165, 166, 167.
17 DDI, VIII, 8, d. 235.
18 Ibidem.
19 DDI, VIII, 8, dd. 275, 276.
20 DDI, VIII, 8, dd. 284, 285, 286, 292, 293, 298. Per un’analisi complessiva
dell’Anschluss rimandiamo a: RUDOLF NECK, ADAM WANDRUSZKA, a cura di, Anschluß 1938,
München, 1981.
21 DDI, VIII, 8, d. 296.
MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 71

l’opinione pubblica italiana, che vedeva risorgere ai propri confini set-


tentrionali un grande Stato tedesco22, e diffuse preoccupazione in mol-
ti diplomatici ed esponenti fascisti23. Gli eventi austriaci mostrarono
che la guerra d’Etiopia aveva fortemente indebolito la posizione
dell’Italia in Europa: il gioco di sponda fra Berlino, Londra e Parigi
era ormai sempre più difficile per la diplomazia fascista a causa del
deterioramento dei rapporti bilaterali con francesi e britannici provo-
cato dal conflitto in Africa orientale, e l’Italia si trovava ormai costretta
a subire le iniziative di Hitler, perdendo peso e forza internazionale24.
La reazione della diplomazia fascista alla scomparsa dell’Austria in-
dipendente fu consolarsi con la speranza che, dopo l’Anschluss, l’Italia
fosse divenuta il primo «grande creditore della Germania nazionalso-
cialista»25, e che, quindi, in futuro i tedeschi avrebbero tenuto conto
dei desiderata italiani. In realtà, osservatori più acuti, come, ad esem-
pio, l’addetto militare italiano in Germania, Marras, si facevano po-
che illusioni sulle intenzioni dei circoli di Berlino. Il 14 marzo 1938
Marras constatò come il successo austriaco avesse galvanizzato il re-
gime nazionalsocialista e rafforzato le sue componenti più estremiste.
Crescevano la forza e l’influenza della Germania nel bacino danubia-
no. Il successo austriaco aveva potenziato l’aggressività della politi-
ca estera nazionalsocialista:

I risultati raggiunti confermeranno la Germania hitleriana nella sua linea


politico-militare. Sviluppare al massimo gli armamenti per profittare con la
minaccia della violenza, di ogni possibile occasione. Nuovi obiettivi che si
presentano a scadenza più o meno breve: Cecoslovacchia, corridoio polacco,
Memel. Nei nostri riguardi, la lettera del Führer – che i giornali tedeschi non
hanno pubblicato – contiene un’assicurazione esplicita per l’Alto Adige. Sul
valore effettivo di tale dichiarazione non conviene fare molto assegnamento.
È caratteristico della mentalità dei tedeschi di torcere con cavilli e sofismi le

22 DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 474 e ss.; GALEAZZO CIANO,
Diario 1936-1943, Milano, 1990, p. 110 e ss. Al riguardo anche DDF, II, 8, dd. 388, 414, 423,
454, 486.
23 Si vedano le dichiarazioni di Magistrati all’ambasciatore statunitense Wilson: FRUS,
1938, 1, Wilson al Segretario di Stato, 13 marzo 1938, pp. 434-437. Sulle reazioni italiane
all’Anschluss: DDS, 12, dd. 230, 232. Sulla figura di Massimo Magistrati si vedano le me-
morie: MASSIMO MAGISTRATI, L’Italia a Berlino, Milano, 1956.
24 Al riguardo le riflessioni del diplomatico statunitense Messersmith: FRUS, 1938, 1,
Memorandum by the Assistant Secretary of State (Messersmith) to the Secretary of State, 18
febbraio 1938, pp. 17-24.
25 DDI, VIII, 8, Magistrati a Ciano, 12 marzo 1938, d. 305.
72 LUCIANO MONZALI

situazioni e di creare in se stessi una particolare psicosi che li porta ad attri-


buire agli avversari l’inosservanza degli accordi. Non si dimentichi che nel-
la Feldherrnhalle, la grande loggia degli eroi, di Monaco figura tra gli scudi
dedicati alle terre irredente anche quello del Süd-Tirol26.

Nelle settimane successive all’Anschluss, la ripresa dell’agitazio-


ne politica tedesca in Alto Adige, fomentata dai circoli nazionalso-
cialisti tirolesi e austriaci, nonostante la promessa di Hitler di consi-
derare il Brennero il confine immutabile fra Italia e Germania, creò
ulteriore preoccupazione nell’elite fascista27. Mussolini cominciò a
pensare alla preparazione di grandi fortificazioni militari sulle Alpi (il
cosiddetto «Vallo Littorio») al confine con la Germania28, delle quali
ordinò la costruzione nei mesi successivi. La classe dirigente fascista,
inoltre, iniziò a riflettere con favore sulle vaghe proposte di trasferi-
mento in Germania di gran parte delle popolazioni altoatesine di lin-
gua tedesca in passato avanzate da dirigenti nazisti come Göring29.
Contemporaneamente, nel Duce maturò il convincimento della ne-
cessità della futura conclusione di un formale trattato di alleanza con
la Germania, finalizzato a proteggere le spalle dell’Italia in caso di
scontro militare con la Francia, ma necessario anche per assicurare al-
la diplomazia fascista il possesso di uno strumento per controllare e
vincolare la libertà d’azione di Hitler. I tempi, però, non furono rite-
nuti ancora maturi per tale accordo, anche a causa della diversità d’i-
dee con i tedeschi circa il contenuto della futura alleanza.
La fine dell’indipendenza austriaca fece crollare rapidamente l’in-
fluenza italiana in Europa centrale e aprì la strada all’egemonia ger-
manica. Nel corso del 1938 contemporaneamente alla perdita di peso
di Francia e Italia, a lungo Potenze predominanti nell’Europa balcani-
ca e danubiana, si assistette all’emergere di un inedito duello politico
fra Londra e Berlino, con le due diplomazie in lotta per affermare la
rispettiva influenza nella regione. La Germania sviluppò una penetra-

26 DDI, VIII, 8, nota 1 a d. 325, Marras al Ministero della Guerra, 14 marzo 1938.
Sull’attività di Marras a Berlino: SERGIO PELAGALLI, Il generale Efisio Marras addetto mili-
tare a Berlino 1936-1943, Roma, 1994.
27 DDI, VIII, 8, dd. 308, 310, 323, 353, 406, 407, 509, 523; DDI, VIII, 9, dd. 11, 153,
364.
28 DDI, VIII, 9, d. 87. Sul Vallo del Littorio: MALTE KÖNIG, Kooperation als Machtkampf.
Das Faschistiche Achsenbündnis Berlin-Rom im Krieg 1940/41, Köln, 2007, p. 238 e ss.
29 MARIO TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, Roma-Bari, 1967;
LEOPOLD STEURER, Südtirol zwischen Rom und Berlin 1919-1939, Wien-München, 1980;
STEININGER, Südtirol 1918-1999, cit.
MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 73

zione economica e commerciale in Ungheria, Jugoslavia, Romania e


Bulgaria che emarginò sempre più l’Italia30. Il governo di Londra, da
parte sua, cercò di rafforzare le sue posizioni nei Balcani e nel
Mediterraneo orientale, intensificando la propria azione in Jugoslavia
e Romania, favorendo il miglioramento dei rapporti fra Grecia e
Turchia e stimolando la riconciliazione fra Bulgaria, Grecia, Turchia31.
Dopo l’Anschluss il governo di Roma si pose l’obbiettivo di compete-
re con la crescente influenza della Germania mediante il rafforzamen-
to dei rapporti con Ungheria, Romania, Polonia e Jugoslavia. Le spe-
ranze di intensificare le relazioni con l’Ungheria si scontrarono con il
crescente interesse magiaro a collaborare con Berlino per potere par-
tecipare all’eventuale smembramento della Cecoslovacchia32. I tenta-
tivi di migliorare i rapporti con la Polonia e la Romania pure non die-
dero molti risultati: nonostante la propensione del ministro degli Esteri
polacco, Beck, e dei leader romeni a mantenere buoni rapporti con
Roma, il deterioramento delle relazioni dell’Italia con Francia e Gran
Bretagna rendeva difficile la concretizzazione di un’intima collabora-
zione politica ed economica con il governo di Mussolini33. In questo
contesto piuttosto inquietante, i buoni rapporti con la Jugoslavia di-
vennero ancora più necessari e vitali per l’Italia34. Per Ciano l’avanza-
ta della Germania verso il Brennero rendeva urgente l’alleanza italo-
jugoslava. Annotò a tale riguardo nel suo diario il 17 febbraio 1938:

Ho parlato con Christich [ministro plenipotenziario jugoslavo a Roma]


della situazione austriaca. A cuore aperto: Italia e Jugoslavia sono in un’i-
dentica posizione di fronte al pangermanesimo. Loro peggio di noi: perché
sono meno forti e perché non hanno una così salda barriera naturale di fron-
tiere. […] È indispensabile che i legami tra Roma e Belgrado vengano an-
cora rafforzati e conviene tenere sempre presente che anche l’Ungheria e la
Polonia si trovano in situazione analoga. Christich era d’accordo. Penso che

30 DGFP, D, 5, dd. 154, 155, 159, 166, 181, 201, 250; DDF, II, 11, d. 381. Sulla politi-
ca estera tedesca alla fine degli anni Trenta: ANDREAS HILLGRUBER, La distruzione dell’Europa,
Bologna, 1991, pp. 133-152, 167-193.
31 DDF, II, 10, dd. 124, 146.
32 A proposito della politica estera ungherese nel 1938: RÉTI, Hungarian-Italian Relations
in the Shadow of Hitler’s Germany 1933-1940, cit., p. 115 e ss.; DGFP, D, 5, dd. 149, 173,
177, 182, 183, 214, 215, 252.
33 Sui rapporti fra Italia e Polonia: VALERIO PERNA, Galeazzo Ciano. Operazione Polonia.
Le relazioni diplomatiche italo-polacche degli anni Trenta 1936-1939, Milano, 1999.
34 DUROSELLE, La politique étrangère de la France. La décadence, cit., p. 325 e ss. ; DE
FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 454 e ss.
74 LUCIANO MONZALI

bisogna ormai studiare un’alleanza con la Jugoslavia. L’Asse orizzontale po-


trà permettere l’esistenza dell’Asse verticale35.

Secondo Ciano, la creazione di stretti rapporti politici con la


Jugoslavia era ormai così importante da spingerlo, fra il 1938 e l’ini-
zio del 1939, a considerare, in caso di occupazione italiana dell’Al-
bania, l’eventualità di concedere compensi territoriali agli jugoslavi,
o di procedere con loro ad una spartizione del Regno albanese36. In
realtà il progetto di un’Asse orizzontale, di un’alleanza italo-jugosla-
va, non riuscì a concretizzarsi. L’ascesa politica della Germania hi-
tleriana e la sua penetrazione economica nell’Europa centro-orienta-
le ridimensionarono fortemente l’influenza italiana anche in Jugoslavia
e resero la classe dirigente jugoslava restia a legarsi in modo esclusi-
vo con l’Italia. Lo stesso Stojadinović, l’uomo su cui si appuntavano
tutte le speranze di Ciano, preferiva mantenere un certo equilibrio fra
Roma e Berlino. Le vicende cecoslovacche, poi, mostrarono con chia-
rezza le crescenti difficoltà dell’Italia in Europa centrale.
Era per molti evidente che l’indipendenza dell’Austria e la so-
pravvivenza della Cecoslovacchia erano fortemente collegate e diffi-
cilmente potevano disgiungersi37, e che, quindi, dopo l’Anschluss la
dislocazione dello Stato cecoslovacco ad opera di Hitler sarebbe av-
venuta in tempi rapidi. Ciano e la diplomazia fascista dimostrarono
disinteresse verso la questione cecoslovacca38. Sia il Ministero degli
Esteri che l’Ambasciata italiana a Berlino pensavano che la Germania
intendesse agire contro la Cecoslovacchia gradualmente e nel medio
periodo. Solo il 18 agosto 1938, grazie ad una comunicazione del-
l’addetto militare a Berlino, Marras, si capì anche a Roma che la spar-
tizione della Cecoslovacchia era un obiettivo immediato della
Germania. L’Italia, comunque, si rivelò impreparata alla crisi ceco-
slovacca del settembre 193839, con il governo di Berlino ben attento
a non trasmettere a Roma chiare informazioni sulle proprie intenzio-
ni. Mussolini ebbe un atteggiamento incerto ed oscillante40. Da una

35 CIANO, Diario, cit., p. 100. Per un’interpretazione delle relazioni italo-jugoslave in que-
gli anni: DDS, 12, d. 67 e allegato.
36 Ciano a Mussolini, 2 maggio 1938, DDI, VIII, 9, d. 42.
37 DDI, VIII, 8, d. 242.
38 CIANO, Diario, cit., p. 137 e ss.
39 A proposito dell’atteggiamento italiano di fronte alla crisi dei Sudeti: DDS, 12, dd. 391,
403, 406.
40 Al riguardo: DDI, VIII, 10, dd. 4, 12, 24, 30, 56, 101; CIANO, Diario, cit., p. 172 e ss.
MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 75

parte, dichiarò ai suoi più stretti collaboratori di auspicare lo scoppio


di una guerra europea e di essere pronto a lanciare l’esercito italiano
a fianco della Germania nel conflitto contro la Francia. Dall’altra,
cercò di ritagliarsi un ruolo nella crisi, presentandosi come colui che
difendeva le richieste di ungheresi e polacchi di partecipare alla spar-
tizione dei territori cecoslovacchi e come lo statista pacificatore, ca-
pace di mediare fra Berlino, Londra e Parigi41. Ma quella di Mussolini
fu un’azione diplomatica incerta e debole42, tutta orientata all’esecu-
zione dei desiderata tedeschi, come si vide chiaramente nel corso del-
la Conferenza di Monaco. Dopo l’accordo concluso da Francia,
Germania, Italia e Gran Bretagna a Monaco, che sancì l’annessione
tedesca dei territori cecoslovacchi dei Sudeti, il governo italiano si
sforzò di perseguire un’azione diplomatica finalizzata a fare appari-
re l’Italia quale grande Potenza che preservava un’influenza decisi-
va in Europa centrale. Ciano s’impegnò per favorire la realizzazione
delle rivendicazioni territoriali ungheresi a spese dei cecoslovacchi
e per attribuire all’Italia il merito di tali mutamenti di confine. Non
a caso, l’Arbitrato di Vienna, con il quale Germania e Italia decise-
ro i confini fra Cecoslovacchia e Ungheria all’inizio di novembre, fu
considerato da Ciano un grande successo: l’Arbitrato era, a suo av-
viso, «il sigillo sul fatto che ogni influenza franco-britannica è crol-
lata per sempre nell’Europa danubiana e balcanica. Un evento gi-
gantesco»43. Il favore di Ciano verso il rafforzamento dell’Ungheria
era da lui giustificato con la volontà di costruire un nuovo blocco do-
minato da Roma in Europa centrale, composto da Italia, Ungheria e
Jugoslavia44. Nei mesi successivi, la distruzione dello Stato cecoslo-
vacco45 e la violazione degli accordi di Monaco ad opera della
Germania, iniziative condotte senza consultare preventivamente il go-

41 Si veda l’analisi di RÉTI, Hungarian-Italian Relations in the Shadow of Hitler’s


Germany 1933-1940, cit., p. 128 e ss.
42 Istruttiva, a tale riguardo, è la vicenda dei tentativi di Ungheria e Polonia di creare un
diretto contatto territoriale fra i due Paesi (il cosiddetto corridoio ungherese-polacco) attra-
verso la conquista magiara della Rutenia subcarpatica. Inizialmente la diplomazia fascista si
dimostrò assai favorevole a questo progetto magiaro-polacco; ma appena percepì l’ostilità te-
desca alla creazione di un corridoio diretto fra ungheresi e polacchi, Mussolini divenne un
avversario del piano magiaro. Al riguardo: DDI, VIII, 10, dd. 59, 60; DDI, VIII, 11, dd. 15,
58; DDF, II, 11, dd. 219, 284; DDF, II, 12, dd. 3, 67, 92, 191, 222; CIANO, Diario, cit., p. 196.
43 CIANO, Diario, cit., p. 203.
44 CIANO, Diario, cit., p. 226.
45 DGFP, D, 4, dd. 202, 222, 225, 227, 228, 229; DBFP, III, 4, dd. 203, 220, 254, 256,
258, 272; DDF, II, 15, dd. 36, 43, 54, 75.
76 LUCIANO MONZALI

verno di Roma46, indicarono l’erroneità delle valutazioni di Ciano.


Nel marzo 1939 l’occupazione germanica della Boemia e Moravia
e l’indipendenza della Slovacchia, posta sotto la protezione della
Germania, provocarono una grave crisi interna all’establishment fa-
scista47. Pure i politici e i diplomatici più filotedeschi, ad esempio
Attolico, constatarono l’imprevedibilità e l’inaffidabilità del gover-
no nazionalsocialista, e la difficoltà nel gestire in modo proficuo il
rapporto con Berlino48. Fra i politici fascisti si sparse il timore di un
possibile futuro colpo di forza tedesco in Jugoslavia in nome della
difesa dei croati contro il dispotismo serbo. A questo proposito il se-
natore dalmata Alessandro Dudan scrisse a Mussolini il 22 marzo
1939:

La Germania – se non vi sono contrastanti accordi precisi con l’Italia (e


poi: fino a qual punto sarebbero impegnativi?) – può adoperare oggi i croa-
ti, come ha adoperato ieri gli slovacchi, per arrivare attraverso le varie gra-
dazioni di protettorato, protezione, unione doganale ecc. al dominio sulla
Slovenia, sulla Croazia e sulla Dalmazia, cioè sulla costa adriatica militar-
mente più importante, da Sussak a Cattaro. La Germania potrebbe agire da
sola mettendosi in contatto diretto con Lubiana e con Zagabria […]; oppure
potrebbe agire – il che sarebbe più prudente e storicamente più giustificabi-
le – aiutando l’Ungheria a riconquistare la Croazia-Slavonia d’accordo con
gli stessi Croati49.

Nel dalmata Dudan l’espansionismo germanico risvegliava la pau-


ra di una nuova egemonia del mondo tedesco nell’Adriatico, simile a
quella avuta dall’Impero asburgico. Per scongiurare questo pericolo
l’Italia fascista, a suo avviso, doveva conquistare nuovi territori adria-
tici: l’ostilità ideologica contro lo Stato unitario jugoslavo e il desi-
derio dell’annessione italiana della Dalmazia lo spingevano a consi-
gliare a Mussolini di agire per fare sì che fosse l’Italia a provocare la
disgregazione della Jugoslavia e a sostenere l’indipendentismo croa-
to. Pure in Mussolini vi era una forte preoccupazione riguardo ad una

46 Alriguardo: DGFP, D, 4, dd. 187, 224, 239, 460.


47CIANO, Diario, cit., p. 264 e ss.; DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit.
Si veda anche: DDF, II, 15, dd. 10, 30, 44, 86, 190, 211.
48 DDI, VIII, 11, d. 340.
49 ASMAE, Carte di Francesco Salata (d’ora innanzi Carte Salata), b. 142, Dudan a
Mussolini, 22 marzo 1939, allegato a Dudan a Mussolini, 2 agosto 1940. Sulla figura di
Alessandro Dudan: MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, cit.
MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 77

possibile azione tedesca in Jugoslavia. Il 17 marzo Ciano scrisse nel


suo diario:

Il Duce è soprapensiero e depresso. È la prima volta che lo vedo così.


Anche nei momenti dell’Anschluss conservava una maggiore spregiudica-
tezza. Lo preoccupa il problema croato: teme che Macek proclami l’indi-
pendenza e si metta sotto la protezione tedesca: «In tal caso non ci sono al-
ternative – egli dice – tranne queste: o sparare il primo colpo di fucile con-
tro la Germania o essere spazzati da una rivoluzione che faranno gli stessi
fascisti: nessuno tollererebbe di vedere la croce uncinata in Adriatico»50.

Dopo alcuni giorni di dubbi e di incertezza, Mussolini decise di


mantenere fermo l’orientamento favorevole all’alleanza con la
Germania51, ma impartì la nuova direttiva di puntare al controllo po-
litico di quei territori adriatici e balcanici (Dalmazia, Albania) rite-
nuti parte della sfera vitale italiana, prima che l’espansione germa-
nica nei Balcani fosse inarrestabile. Si decise poi di accelerare la so-
luzione del problema del trasferimento di parte dei tedeschi altoate-
sini in Germania52. Per cercare di bloccare possibili iniziative ger-
maniche in Jugoslavia, la diplomazia italiana chiese a Hitler l’impe-
gno di non intervenire a favore dei croati e il riconoscimento dei di-
ritti esclusivi dell’Italia fascista sull’Adriatico e sul Mediterraneo53.
Il 20 marzo l’ambasciatore germanico a Roma, Mackensen, trasmi-
se la risposta rassicurante della Germania alle paure italiane:
Mackensen assicurò che la Germania non aveva alcuna mira in nes-
suna zona del Mediterraneo, ritenuto «mare italiano», e che si disin-
teressava completamente della questione croata. Il governo tedesco,
poi, prese nota delle dichiarazioni dell’Italia «che non può disinte-
ressarsi di eventuali modificazioni dello status quo in Croazia» e pro-
clamò:

Come l’Italia si è disinteressata della questione cecoslovacca che dalla

50 CIANO, Diario, cit. p. 267.


51 Sulla crisi della politica estera italiana nel marzo 1939: MARIO TOSCANO, Le origini
diplomatiche del patto d’Acciaio, Firenze, 1956, p. 159 e ss.; DE FELICE, Mussolini il duce.
Lo Stato totalitario, cit., p. 585 e ss.; PASTORELLI, Dalla prima alla seconda guerra mondia-
le, cit., p. 132.
52 DGFP, D, 6, d. 143, 163; TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige,
cit.
53 Verbale del colloquio Ciano-Mackensen, 17 marzo 1939, edito in TOSCANO, Le origi-
ni diplomatiche del patto d’Acciaio, cit., pp. 162-163. Si veda anche DGFP, D, 6, d. 15.
78 LUCIANO MONZALI

Germania è stata risolta in rispondenza alle sue necessità ed ai suoi interes-


si, così, se sorgerà la questione croata, sarà il turno per la Germania di di-
sinteressarsi al cento per cento di tale problema, lasciandone la soluzione
all’Italia54.

Queste dichiarazioni di Mackensen furono confermate da una let-


tera di Ribbentrop, ministro degli Esteri tedesco, datata 20 marzo e
consegnata il pomeriggio del 21: i due documenti vennero considera-
ti dal governo fascista il riconoscimento formale del diritto italiano di
includere i territori croati nella propria sfera d’influenza esclusiva e
di disporne a proprio piacimento55.
La fine della Cecoslovacchia segnò definitivamente il declino del-
l’influenza italiana in Europa centrale di fronte all’emergere dello stra-
potere hitleriano56. A partire dal marzo 1939 l’Italia fascista si rasse-
gnò a divenire progressivamente marginale in quella parte dell’Europa,
consolandosi con il sogno dell’Adriatico e del Mediterraneo quali zo-
ne appartenenti alla sfera d’influenza esclusiva italiana nel futuro si-
stema internazionale dominato dalle Potenze fasciste57. La speranza
di Stati come l’Ungheria e la Polonia di trovare nell’Italia fascista un
potenziale partner per frenare la minacciosa e pervasiva influenza del-
la Germania hitleriana si rivelò illusoria58, in quanto Mussolini aveva
ormai di fatto dato carta bianca a Hitler in tutta l’Europa centro-orien-
tale pur di assicurarsi alcune future conquiste nei Balcani adriatici e
nelle regioni mediterranee. È quanto lo stesso Mussolini dichiarò al-
l’elite fascista il 21 marzo 1939: l’Italia, ormai, doveva cercare di chiu-
dere l’Adriatico alla Germania e concentrarsi sulla creazione di una

54 Verbale redatto da Ciano, 20 marzo 1939, edito in TOSCANO, Le origini diplomatiche


del patto d’Acciaio, cit., p. 169.
55 Ribbentrop a Ciano, 20 marzo 1939, edito in DGFP, D, 6, d. 55 e in TOSCANO, Le ori-
gini diplomatiche del patto d’Acciaio, cit., pp. 169-171.
56 Si vedano le dichiarazioni di Ribbentrop ai governanti ungheresi alla fine di aprile 1939:
DGFP, D, 6, d. 295.
57 Interessanti a questo riguardo le dichiarazioni di Mussolini ai dirigenti ungheresi nel-
l’aprile 1939: GYÖRGY RÉTI, I rapporti italo-ungheresi Aprile-Maggio 1939, «Rivista di Studi
Politici Internazionali», 1994, n. 242, pp. 233-248; ID., Hungarian-Italian Relations in the
Shadow of Hitler’s Germany 1933-1940, p. 163 e ss. Sui nuovi equilibri nei rapporti italo-te-
deschi si vedano i verbali dei colloqui Mussolini-Göring nell’aprile 1939: DGFP, D, 6, dd.
205, 211.
58 Al riguardo i colloqui di Mussolini e Ciano con ungheresi e polacchi nel corso del
1939: GYÖRGY RÉTI, Relazioni italo-ungheresi Giugno-Agosto 1939, «Rivista di Studi
Politici Internazionali», 1994, n. 244, pp. 531-546; PERNA, Galeazzo Ciano, operazione
Polonia. Le relazioni diplomatiche italo-polacche degli anni Trenta, 1936-1939, cit.
MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 79

propria sfera d’influenza esclusiva nel Mediterraneo59. L’evoluzione


politica interna jugoslava nei primi mesi del 1939 contribuì a favori-
re la decisione dell’Italia fascista di riprendere i vecchi disegni espan-
sionistici contro Belgrado. Nella classe dirigente serba la volontà di
Stojadinović di creare un forte legame politico con l’Italia trovò non
pochi critici, sostenitori piuttosto dell’allineamento della Jugoslavia a
una delle due sole grandi Potenze europee rimaste, la Germania o la
Gran Bretagna. Criticato per la sua politica estera, incapace di risol-
vere il contenzioso politico con l’opposizione croata, ormai resa più
forte dalle crescenti simpatie tedesche per la sua causa, Stojadinović
venne destituito dal reggente Paolo all’inizio del febbraio 1939; il nuo-
vo governo, più filo-occidentale, fu guidato dal serbo Cvetković60. La
caduta di Stojadinović fu accolta negativamente a Roma, dove venne
interpretata come una manovra franco-britannica in senso anti-italia-
no. I tentativi del principe Paolo di seguire una politica più equidistante
fra Roma e Londra crearono diffidenza e sospetti nell’Italia fascista e
in Mussolini in particolare, che tornò a considerare lo Stato jugosla-
vo un potenziale nemico in caso di conflitto italo-britannico61.
Progressivamente le relazioni italo-jugoslave iniziarono a deteriorar-
si. Il risorgere del disegno di favorire la disgregazione della Jugoslavia
fu confermato dalla ripresa del sostegno italiano al separatismo croa-
to62 e dalla fine dell’ostracismo verso i capi del movimento degli usta-
scia a partire dal marzo 193963. La speranza dell’Italia era di usare al
momento opportuno gli ustascia per provocare una rivolta in Croazia
e l’occasione di un intervento militare italiano che portasse al crollo
dello Stato jugoslavo. Tali speranze, però, risultarono vane perché gli
ustascia erano deboli e disorganizzati in Croazia, dove la forza poli-
tica egemone era il partito contadino guidato da Maček, sostenuto dal-

59 DDI, VIII, 11, d. 415.


60 DDI, VIII, 11, dd. 153, 156, 162, 182, 198, 199; PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, cit.;
LAMPE, op. cit., p. 194 e ss.; STOJADINOVIC, op. cit., p. 299 e ss.; DONALD C. WATT, 1939. Come
scoppiò la guerra, Milano, 1939, p. 266 e ss.
61 DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 320 e ss., p. 467 e ss.;
DUROSELLE, La politique étrangère de la France. La décadence, cit., p. 389 e ss.; GIGLIOLI,
op. cit., p. 534 e ss.; BOLECH CECCHI, Non spezzare i ponti con Roma. Le relazioni fra l’Italia
e la Gran Bretagna dall’accordo di Monaco alla seconda guerra mondiale, cit.; QUARTARARO,
Roma fra Londra e Berlino, cit.
62 Sui contatti italiani con il separatismo croato e con il Partito contadino croato: DDI,
VIII, 11, dd. 256, 280, 308, 316, 353, 380, 406.
63 CIANO, Diario, cit., pp. 262, 269, 274; JUSO, op. cit., p. 125 e ss.; ALFREDO BRECCIA,
Jugoslavia 1939-1941. Diplomazia della neutralità, Milano, 1978.
80 LUCIANO MONZALI

la Chiesa cattolica, partito che puntava a sfruttare le simpatie italiane


e tedesche per raggiungere un compromesso croato-serbo che rico-
noscesse una larga autonomia ai territori croati all’interno di una
Jugoslavia federale e decentralizzata. La conquista italiana dell’Alba-
nia nell’aprile 193964, avvenuta senza consultare gli jugoslavi, peg-
giorò ulteriormente i rapporti fra Roma e Belgrado. Le mire ostili
dell’Italia spinsero il governo fascista a sostenere l’irredentismo al-
banese in Kosovo, usato sia per guadagnarsi le simpatie degli alba-
nesi recentemente conquistati sia per tenere «un pugnale piantato nel
dorso alla Jugoslavia»65. La conclusione del Patto d’Acciaio nel mag-
gio 193966, alleanza sia difensiva che offensiva fra Italia fascista e
Germania hitleriana, indicò la crescente inclinazione italiana a prepa-
rarsi ad un ulteriore uso della forza per costruire il proprio spazio vi-
tale nell’Adriatico e nel Mediterraneo: Jugoslavia e Grecia erano fra
i possibili obiettivi di questa espansione. Un elemento di freno alle vel-
leità di Mussolini fu comunque la volontà della Germania di non crea-
re instabilità nei Balcani in vista del progettato attacco alla Polonia.
La Germania aveva ormai conquistato l’egemonia economica e fi-
nanziaria in Jugoslavia e preferiva attrarre lo Stato jugoslavo in una
coalizione egemonizzata da Berlino piuttosto che distruggerlo67. Il go-
verno jugoslavo cercò di reagire alla crescente minaccia italiana svol-
gendo una complessa trama diplomatica che, pur incentrata sulla di-
fesa di una posizione di neutralità di fronte al profilarsi dello scontro

64 BERND J. FISCHER, L’Anschluss italiano. La guerra in Albania (1939-1945), Lecce,


2004; FRANCESCO JACOMONI DI SAN SAVINO, La politica dell’Italia in Albania, Bologna, 1965,
p. 64 e ss.; ANTONELLA ERCOLANI, L’Italia in Albania: la conquista italiana nei documenti
albanesi (1939), Roma, 1999; BORGOGNI, Tra continuità e incertezza. Italia e Albania (1914-
1939), cit.
65 CIANO, Diario, cit., pp. 286-287; LUCA MICHELETTA, La resa dei conti. Il Kosovo,
l’Italia e la dissoluzione della Jugoslavia (1939-1941), Roma, 2008.
66 Sulla genesi del Patto d’Acciaio: TOSCANO, Le origini diplomatiche del patto d’Acciaio,
cit.; DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit.; PASTORELLI, Dalla prima alla se-
conda guerra mondiale, cit. Interessante la reazione della Svizzera all’accordo italo-tedesco:
DDS, 13, d. 90, Ruegger a Motta, 24 maggio 1939.
67 Al riguardo: BRECCIA, Jugoslavia, cit.; DDI, VII, 12, dd. 68, 98, 115. Sulla politica
estera della Germania hitleriana: KLAUS HILDEBRAND, The Foreign Policy of the Third Reich,
London, 1973; ID., Das vergangene Reich: deutsche Aussenpolitk von Bismarck bis Hitler
1871-1945, Stuttgart, 1995; ANDREAS HILLGRUBER, La strategia militare di Hitler, Milano,
1986; ID., Storia della seconda guerra mondiale. Obiettivi di guerra e strategia delle gran-
di potenze, Bari-Roma, 1994; ID., La distruzione dell’Europa, cit.; GERHARD L. WEINBERG,
The Foreign Policy of Hitler’s Germany. Starting World War II 1937-1939, New Jersey, 1994
(prima ediz. 1980); MARK MAZOWER, Hitler’s Empire. Nazi Rule in Occupied Europe, London,
2008.
MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 81

fra le Potenze occidentali e gli italo-tedeschi, assicurasse il sostegno


della Germania e della Gran Bretagna al mantenimento dell’integrità
territoriale e dell’indipendenza jugoslava68. Sul piano interno, invece,
il reggente Paolo e il governo Cvetković cercarono di raggiungere un
compromesso politico con l’opposizione croata, principale minaccia
all’unità del Paese. Nel corso del 1939 si svolsero lunghi negoziati fra
il governo di Belgrado e il partito contadino croato, che ebbero suc-
cesso alla fine di agosto. Allarmato dal diffondersi di notizie sulla pos-
sibile conclusione di un patto tedesco-sovietico e sui preparativi mi-
litari della Germania in vista di un attacco contro la Polonia, il governo
di Belgrado decise di fare grandi concessioni ai croati pur di rag-
giungere un accordo che evitasse il rischio dell’internazionalizzazio-
ne della questione croata e di un possibile intervento militare italiano
o tedesco. Nell’accordo fra il governo e il partito contadino croato, si-
glato il 23 agosto 1939, fu decisa la creazione di un nuovo esecutivo
Cvetković con la partecipazione del capo del partito contadino Maček,
nominato vicepresidente del Consiglio, e di vari ministri croati; in più
era concessa un’ampia autonomia amministrativa e politica ai territo-
ri definiti croati ed organizzati nella cosiddetta Banovina croata, co-
stituita da Croazia, Slavonia, Dalmazia ed Erzegovina69. Lo scoppio
della seconda guerra mondiale, quindi, avvenne poco dopo che la
Jugoslavia, grazie all’accordo con Maček, era riuscita a stabilizzare
la propria situazione interna. L’impreparazione militare italiana e l’in-
certezza dell’esito della guerra fra tedeschi e anglo-francesi consi-
gliarono al governo fascista di rimandare l’intervento nel conflitto bel-
lico e quindi resero impossibile al Duce, per il momento, di cercare
di realizzare le sue mire anti-jugoslave.
L’inizio della guerra mondiale nel settembre 1939 ebbe luogo al
termine di un processo di progressivo ridimensionamento dell’in-
fluenza italiana in Europa centrale a vantaggio di quella germanica.
Agli occhi dell’establishment fascista l’ascesa della Germania nazio-
nalsocialista e l’avvicinamento dell’Italia a Berlino erano state una
grande opportunità. La trasformazione dello Stato tedesco nella Po-

68 Sulla politica estera jugoslava fra il 1939 e il 1941 rimane fondamentale il volume di
BRECCIA, Jugoslavia, cit. Si veda anche: HOPTNER, op. cit.; WATT, op. cit., p. 373 e ss.;
DRAGOLJUB R. ŽIVOJINOVIC, Yugoslavia, in NEVILLE WYLIE (a cura di), European Neutrals and
Non-Belligerants during the Second World War, Cambridge, 2002, p. 217 e ss.
69 BRECCIA, Jugoslavia, cit., 182 e ss.; PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, cit., pp. 104-147;
LAMPE, op. cit., p. 195.
82 LUCIANO MONZALI

tenza egemone sul continente europeo poteva facilitare la realizzazione


dei progetti d’espansione imperialistica nell’area mediterranea e l’af-
fermazione dell’Italia quale Potenza mondiale. Di fatto, però, a parti-
re dal 1936 l’ascesa della Germania indebolì il peso dell’Italia in
Europa e ridimensionò il ruolo di Roma nell’area danubiana e balca-
nica. La risposta di Mussolini al sempre più frenetico attivismo tede-
sco fu, da una parte, l’acquiescenza alla crescente preponderanza hi-
tleriana in Ungheria, Romania e Bulgaria, dall’altra, la preparazione
e la realizzazione di propri disegni d’espansione nei Balcani occi-
dentali, poiché anche l’Italia doveva procurarsi la sua «parte di botti-
no»70 in Croazia, Dalmazia, Albania e Grecia e costruire la sua sfera
vitale esclusiva nell’Adriatico e nel Mediterraneo71. Va sottolineato,
però, che per l’Italia fascista la scelta dell’espansionismo balcanico do-
po il marzo 1939 non era un segnale di forza, ma di crescente debo-
lezza. Per Mussolini, vittima della sua strategia diplomatica, l’espan-
sione adriatica e balcanica nel 1939 era ormai motivata dall’esigenza
di difendere lo spazio vitale italiano non dagli occidentali ma dall’al-
leato tedesco. Nel giugno 1940, di fronte al crollo della Francia, rite-
nendo sicura la vittoria della Germania nel conflitto europeo,
Mussolini spinse l’Italia in guerra contro Francia e Gran Bretagna per
partecipare alla spartizione delle spoglie dei presunti sconfitti.
L’obiettivo dell’intervento in guerra era duplice: realizzare lo spazio
vitale italiano nel Mediterraneo e in Africa, ma anche rafforzare di-
plomaticamente l’Italia fascista di fronte all’inquietante espansionismo
germanico, ricostituendo la piena alleanza fra Roma e Berlino, la cui
solidità si era pericolosamente incrinata nel settembre 1939 con la scel-
ta italiana della non belligeranza72.

70 CIANO, Diario, cit., p. 332.


71 Sui progetti italiani di creare uno spazio vitale mediterraneo: DAVIDE RODOGNO, Il nuo-
vo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943),
Torino, 2003; H. JAMES BURGWYN, L’Impero sull’Adriatico. Mussolini e la conquista della
Jugoslavia 1941-1943, Gorizia, 2006.
72 Per una ricostruzione della genesi dell’intervento italiano nella seconda guerra mon-
diale: GIANLUCA ANDRÈ, La guerra in Europa (1°settembre 1939-22 giugno 1941), Milano,
1964, p. 267 e ss.; DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 794 e ss.; MAC
GREGOR KNOX, La guerra di Mussolini 1939-1941, Roma, 1984. Si veda anche LEOPOLDO
NUTI, I problemi storiografici connessi con l’intervento italiano nella seconda guerra mon-
diale, «Storia delle relazioni internazionali», 1985, n. 2, pp. 369-391.
IV

LO SPAZIO VITALE. L’ITALIA FASCISTA,


LA DISGREGAZIONE DELLA JUGOSLAVIA
E LA NASCITA DELLA CROAZIA INDIPENDENTE

Dopo il crollo militare della Francia, l’Italia fascista si lanciò nel con-
flitto bellico nella speranza di una guerra rapida e indolore, che con-
sentisse la conquista di un lauto bottino con scarso sforzo. Nell’estate
del 1940 gli armistizi della Francia con le Potenze dell’Asse1 e l’evi-
dente difficoltà militare della Gran Bretagna, espulsa dall’Europa con-
tinentale2, convinsero Mussolini che la guerra contro i nemici princi-
pali fosse ormai al termine e che era giunto il momento di saldare i
conti con la Jugoslavia e la Grecia. Dopo aver già dato dal maggio
1940 l’incarico a Pavelić di organizzare la rivoluzione in Croazia, in
luglio Mussolini ordinò all’esercito di prepararsi alla guerra contro la
Jugoslavia e la Grecia e a Ciano di parlare ad Hitler «della necessità
di dislocare la Jugoslavia, tipica creazione versagliesca con funzione
antitaliana»3. In quelle settimane, però, i progetti anti-jugoslavi di
Mussolini si scontrarono con la contrarietà della Germania ad azioni
italiane nei Balcani4. Il capo del governo fascista, dopo aver pensato

1 Sulle relazioni fra Francia e Potenze italo-tedesche dopo il giugno 1940: DUROSELLE,
Politique étrangère de la France. L’abîme, cit, p. 232 e ss.; MASSIMO BORGOGNI, Mussolini
e la Francia di Vichy: dalla dichiarazione di guerra al fallimento del riavvicinamento italo-
francese (giugno 1940-aprile 1942), Siena, 1991.
2 Riguardo alla situazione militare e politica nell’estate 1940: AA.VV., Germany and the
Second World War. III. The Mediterranean, South-east Europe and North Africa, 1939-1941:
from Italy’s declaration of non-belligerence to the entry of the United States into the war,
Oxford, 1995; HILLGRUBER, La strategia militare di Hitler, cit.; DE FELICE, Mussolini l’al-
leato 1940-1945. I. L’Italia in guerra 1940-1943, cit., tomo 1, p. 111 e ss.
3 CIANO, Diario, cit., p. 450 e ss.; ANDRÈ, op. cit., p. 657; BRECCIA, Jugoslavia, cit. I di-
segni anti-jugoslavi di Mussolini avevano il pieno sostegno di molti politici fascisti. Si veda,
ad esempio, l’appunto che Dudan inviò al Duce: ASMAE, Carte Salata, b. 142, ALESSANDRO
DUDAN, Appunto per il Duce: Il Bacino dell’Adriatico, con due allegati: I, il testo del me-
moriale di Dudan del 22 marzo 1939, II, il testo del discorso di Dudan alla Commissione
Finanza del Senato il 5 marzo 1940.
4 DDI, IX, 5, dd. 431, 451; CIANO, Diario, cit., pp. 458-59; ANDRÈ, op. cit., p. 659.
84 LUCIANO MONZALI

ad una guerra lampo contro Belgrado, decise di rinviare il progetto di


attacco contro la Jugoslavia5, per poi scegliere di agire solo contro la
Grecia in ottobre6. L’invasione della Grecia e la crisi militare italiana
sul fronte greco alla fine del 1940 convinsero molti generali e lo stes-
so Ciano che fosse urgente migliorare i rapporti con la Jugoslavia7. La
benevolenza jugoslava poteva arrecare importanti vantaggi politici e
militari per l’Italia impegnata in una difficile guerra contro l’esercito
ellenico: dalla possibilità di sguarnire i confini italo-jugoslavi e di con-
centrare tutte le truppe sul fronte greco e su quello africano, alle even-
tuali agevolazioni per il trasporto dei rifornimenti alle truppe in
Albania attraverso il territorio jugoslavo. Nel novembre del 1940 il go-
verno italiano propose a Belgrado di concludere un trattato di allean-
za bilaterale, un tentativo di ricostituire quella collaborazione fra i due
Paesi che era cessata con la caduta di Stojadinović nel 19398.
L’iniziativa non ebbe buon esito, ostacolata dall’ostilità tedesca ad ogni
azione autonoma dell’Italia nei Balcani e dal disinteresse di Mussoli-
ni9. Era ormai la Germania che dettava le direttive della politica este-
ra fascista. Nel corso dei primi mesi del 1941 la diplomazia tedesca
s’impegnò in un intenso sforzo per convincere la Jugoslavia ad entrare
nella sfera d’influenza germanica e ad aderire al Patto Tripartito, trat-
tato d’alleanza concluso fra Italia, Germania e Giappone nel settem-
bre 1940. Il 25 marzo il governo di Belgrado firmò a Vienna un ac-
cordo che sancì l’adesione jugoslava al Tripartito: lo Stato jugoslavo
s’impegnava a collaborare politicamente con l’Asse ma non avrebbe
partecipato ad operazioni belliche; al momento della disgregazione
della Grecia la Jugoslavia avrebbe ottenuto il controllo della regione
di Salonicco10.

5 DDI, IX, 5, d. 467.


6 ANDRÈ, op. cit., p. 664 e ss.; DE FELICE, Mussolini l’alleato 1940-1945. I L’Italia in
guerra, cit., 1, p. 296 e ss.; LUCA MICHELETTA, La questione della Ciamuria e l’attacco ita-
liano alla Grecia del 28 ottobre 1940, «Clio», 2004, n. 3, p. 473 e ss.; MARIO CERVI, Storia
della guerra di Grecia, Milano, 1972 (terza ediz.); EMANUELE GRAZZI, Il principio della fi-
ne. L’impresa di Grecia, Roma, 1946; KÖNIG, Kooperation als Machtkampf, cit., p. 177 e ss.
7 Sulle iniziative militari italiane fra 1940 e 1943: DE FELICE, Mussolini l’alleato 1940-
1945. I L’Italia in guerra, cit., 1 e 2; LUCIO CEVA, Guerra mondiale. Strategie e industria bel-
lica 1939-1945, Milano, 2000, in particolare p. 53 e ss.; EMILIO FALDELLA, L’Italia e la se-
conda guerra mondiale. Revisione di giudizi, Bologna, 1967; PIETRO BADOGLIO, L’Italia nel-
la seconda guerra mondiale. (Memorie e documenti), Verona, 1946.
8 BRECCIA, Jugoslavia, cit.
9 DGFP, D, 12, dd. 15, 85, 97, 175, 182.
10 ANDRÈ, op. cit.; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 352 e ss.; BRECCIA, Jugoslavia, cit.;
LO SPAZIO VITALE 85

Il risorgere di una tendenza aggressiva italiana contro la Jugoslavia


si ebbe, come noto, su impulso tedesco. Il colpo di Stato filo-inglese
ed antitedesco contro il governo del reggente Paolo, avvenuto a
Belgrado il 27 marzo 194111, provocò una durissima reazione germa-
nica. Nonostante i tentativi di alcuni membri del nuovo governo ju-
goslavo di convincere Berlino della volontà di Belgrado di mantene-
re fede alle intese prese a Vienna12, Hitler decise di punire i «tradito-
ri» jugoslavi con una spedizione militare. L’iniziativa fu decisa auto-
nomamente dal governo tedesco, senza alcuna consultazione dell’al-
leato italiano. Hitler si limitò a comunicare a Mussolini, il 27 marzo
1941, la decisione tedesca di attaccare la Jugoslavia, chiedendo
all’Italia di non compiere ulteriori operazioni militari in Albania nei
giorni successivi e di rafforzare le proprie truppe ai confini con i ter-
ritori jugoslavi13. La risposta di Mussolini fu di adesione all’iniziati-
va tedesca. In realtà, al di là della retorica del regime, la partecipa-
zione italiana all’invasione della Jugoslavia fu caratterizzata, oltre che
da velleità aggressive contro Belgrado, dalla necessità di collaborare
con la Germania per evitare che essa prendesse controllo di territori
importanti per gli interessi strategici italiani, portando pericolosamente
la presenza tedesca troppo a ridosso del mar Adriatico.
Il 6 aprile 1941 le truppe tedesche invasero la Jugoslavia. Era l’i-
nizio della guerra d’aggressione contro lo Stato jugoslavo alla quale
parteciparono pure l’Italia, la Bulgaria e l’Ungheria14. Nel giro di po-

MASSIMO BUCARELLI, Disgregazione iugoslava e questione serba nella politica italiana, in


FRANCESCO CACCAMO, LUCIANO MONZALI, L’occupazione italiana della Iugoslavia (1941-
1943), Firenze, 2008, p. 11 e ss.; ADAP, XII, 1, dd. 207, 208.
11 Sul colpo di Stato in Jugoslavia avvenuto il 27 marzo 1941: BRECCIA, Jugoslavia, cit.,
p. 571 e ss. A proposito del ruolo della Gran Bretagna: ELISABETH BARKER, British Policy in
South-East Europe in the Second World War, London, 1976, p. 78 e ss.
12 ADAP, D, XII, 1, dd. 221, 234, 235.
13 ADAP, D, XII, 1, d. 224.
14 Sulla disgregazione della Jugoslavia: STEVAN K. PAVLOWITCH, Hitler’s New Disorder.
The Second World War in Yugoslavia, New York, 2008. Per giustificare l’aggressione dell’Italia
contro la Jugoslavia, il Ministero degli Esteri italiano diramò una dichiarazione il 6 aprile.
La giustificazione per questa nuova «pugnalata nella schiena» del governo fascista verso uno
Stato vicino fu l’invocare le velleità aggressive ed anti-italiane dello Stato jugoslavo. A pa-
rere del governo italiano, gli accordi italo-jugoslavi del 1937 erano stati il tentativo di crea-
re una politica di leale collaborazione fra Roma e Belgrado. Ad essi l’Italia era rimasta fe-
dele anche dopo l’estromissione dal potere di Stojadinović, nonostante ricomparissero in
Jugoslavia tendenze a favore di una politica di ostilità verso il governo di Roma. Proprio per
assicurare l’avvenire della nazione jugoslava, l’Italia aveva ammesso il governo di Belgrado
al Patto Tripartito firmando con esso e la Germania l’accordo di Vienna del 25 marzo, forte-
mente vantaggioso per la Jugoslavia. Ma i moti militari di Belgrado, che avevano deposto
86 LUCIANO MONZALI

chi giorni l’esercito jugoslavo – minato dalle diserzioni dei soldati slo-
veni e croati, molti dei quali vedevano nell’aggressione germanica l’i-
nizio della loro definitiva emancipazione nazionale – crollò. Fra il 12
e il 17 aprile le forze armate italiane occuparono i principali centri del-
la Dalmazia. Il 15 aprile la divisione Torino occupò Spalato15. Il 18
dello stesso mese le ostilità erano già terminate, con la vittoria delle
forze dell’Asse.
Già nei giorni precedenti allo scoppio della guerra, la diplomazia
germanica si era messa in moto per intrecciare rapporti con la classe
dirigente croata, al fine di raccogliere il consenso di questa alla co-
stituzione di uno Stato croato indipendente. I tedeschi puntarono ini-
zialmente a creare un rapporto privilegiato con il principale partito po-
litico croato, il partito dei contadini, guidato da Maček. Il 31 marzo
Ribbentrop fece sapere a Maček che i piani tedeschi prevedevano la
disgregazione della Jugoslavia e la creazione di una «selbständiges
Kroatien»; egli, quindi, consigliò al capo croato di cessare ogni for-
ma di collaborazione con i serbi e il governo di Belgrado16. Come no-
to17, Maček deluse le aspettative germaniche. Il capo del partito dei
contadini croati era favorevole ad evitare ogni coinvolgimento dello
Stato jugoslavo nel conflitto bellico e cercò di convincere i governanti
di Belgrado a mantenere una politica filo-tedesca di adesione al Patto

con la violenza i ministri e la Reggenza firmatari dell’accordo di Vienna, avevano indicato


le velleità aggressive della Jugoslavia contro l’Asse. Secondo il Ministero degli Esteri, dal
27 marzo il governo jugoslavo era passato con i nemici dell’Asse, minacciando di guerra
l’Italia e stringendo intese con lo Stato maggiore britannico e quello greco. Di fronte a que-
sta situazione «il Governo italiano ha deciso di agire con le sue forze militari, navali ed ae-
ree, in istretta collaborazione con quelle della Germania»: Dichiarazione del ministro degli
Esteri italiano, 6 aprile 1941, riprodotta in «Relazioni Internazionali», 12 aprile 1941. Si ve-
da anche «Relazioni Internazionali», 12 aprile 1941, Liquidazione jugoslava.
15 Sulla occupazione italiana della Dalmazia e dei territori croati: ODDONE TALPO,
Dalmazia una cronaca per la storia (1941), Roma, 1985; MONZALI, Antonio Tacconi e la
Comunità italiana di Spalato, cit.; ERIC GOBETTI, L’occupazione allegra. Gli italiani in
Jugoslavia (1941-1943), Roma, 2007; RAOUL PUPO, Le annessioni italiane in Slovenia e
Dalmazia 1941-1943. Questioni interpretative e problemi di ricerca, «Italia contemporanea»,
2006, n. 243, pp. 181-211, riedito in ID., Il confine scomparso. Saggi sulla storia dell’Adriatico
orientale nel Novecento, Trieste, 2007, pp. 43-96; NEVA ŽURIC-SCOTTI, Talijanska okupacija
Dalmacije 1941-1943. Godine, Split, 1979, (dissertazione di dottorato); DRAGOVAN ŠEPIĆ,
Politique italienne d’occupation en Dalmatie 1941-1943, in Les systèmes d’occupation en
Yugoslavie 1941-1945, Beograd, 1963, pp. 377-424; DRAGAN S. NENEZIĆ, Jugoslovenske obla-
sti pod Italijom 1941-1943, Beograd, 1999; TEODORO SALA, Il fascismo e gli slavi del sud,
Trieste, 2008.
16 ADAP, D, XII, 1, dd. 238, 239.
17 VLADKO MAČEK, In the Struggle for Freedom, New York, 1957; ADAP, D, XII, 1, dd.
241, 246, 251, 262.
LO SPAZIO VITALE 87

Tripartito, provando ad imporre il ritiro dei militari dalla politica ed


un massiccio ingresso di personalità croate in un nuovo governo ju-
goslavo. Il rifiuto di Maček di accettare la disgregazione violenta del-
la Jugoslavia e di collaborare con la Germania aprì la strada del po-
tere al partito nazionalista radicale degli ustascia, formazione politi-
ca minoritaria in Croazia, ma pronta ad assecondare le direttive di
Hitler. Già a partire dal 4 aprile, i rappresentanti tedeschi a Zagabria
avevano intensificato i contatti con i gruppi ustascia, capitanati da
Slavko Kvaternik, ex ufficiale dell’Impero asburgico, cercando di as-
secondare i tentativi di questo di indebolire l’influenza di Maček, spac-
cando il partito contadino in nome del disegno della Grande Croazia
indipendente18. Se il governo hitleriano mostrò attenzione verso i croa-
ti, manifestò invece disinteresse e disprezzo verso gli sloveni, nono-
stante questi fossero desiderosi di allearsi con la Germania al fine di
conquistare l’indipendenza. Il 5 aprile, per il tramite della Legazione
slovacca a Belgrado, i politici sloveni Kulovec e Krek fecero sapere
al governo di Berlino di essere pronti a collaborare con la Germania
nazionalsocialista in cambio di una parziale indipendenza slovena o
della costituzione di uno Stato congiunto sloveno-croato19. Ma il go-
verno nazionalsocialista, sotto l’influenza dei circoli politici della
Carinzia e della Stiria, desiderava annettere al Reich gran parte della
Slovenia settentrionale e procedere ad una rapida e forzata germaniz-
zazione di quei territori: da qui il disinteresse verso ogni idea di col-
laborazione sloveno-tedesca20.
L’Italia fascista era favorevole all’avvento al potere degli ustascia
in Croazia, movimento sostenuto da Roma e il cui leader Pavelić vi-
veva in esilio a Siena. Dopo il colpo di Stato in Jugoslavia e dopo ave-
re conosciuto le intenzioni di Hitler di attaccare militarmente lo Stato
jugoslavo, Mussolini decise di giocare la carta ustascia. Invitò Pavelić
a Roma e lo ricevette a colloquio a Villa Torlonia il 29 marzo. Il Duce
comunicò al politico croato il sostegno del regime fascista a favore
della nascita della Croazia indipendente guidata dal partito ustascia21.
Il 10 aprile a Zagabria Slavko Kvaternik, a nome del movimento usta-

18 ADAP, D, XII, 1, dd. 262, 263, 270.


19 ADAP, D, XII, 1, d. 273.
20 Sulle vicende della Slovenia dopo la disgregazione della Jugoslavia nel 1941: MARCO
CUZZI, L’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943), Roma, 1998; TONE FERENC, La
provincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942, Udine, 1994.
21 KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., pp. 368-370; ANFUSO, Da Palazzo Venezia al Lago di
Garda 1936-1945, cit.
88 LUCIANO MONZALI

scia, proclamò la nascita dello Stato indipendente croato (Nezavisna


Država Hrvatska)22. Poche ore dopo l’esercito tedesco entrava nella
capitale croata salutato con gioia e simpatia dalla popolazione loca-
le23. Il giorno successivo, Kvaternik inviò un telegramma a Hitler rin-
graziando la Germania a nome del popolo croato per la protezione ga-
rantita e chiedendo il riconoscimento diplomatico del nuovo Stato24.
Nei giorni successivi Kvaternik e i dirigenti ustascia di Zagabria ri-
badirono alle autorità militari e consolari tedesche presenti in città la
loro volontà di collaborare con la Germania chiedendo a questa il so-
stegno per la costituzione di un esercito croato e l’appoggio contro le
rivendicazioni italiane e ungheresi25. Nel frattempo, dopo aver incon-
trato nuovamente Mussolini l’11 aprile, Pavelić e gli ustascia esuli in
Italia partirono per Zagabria, dove giunsero il 1526. Il governo tede-
sco era naturalmente pronto ad accogliere immediatamente la richie-
sta croata di riconoscimento diplomatico del nuovo Stato27. Ma, ini-
zialmente, il riconoscimento fu ostacolato dall’Italia. Prima del rico-
noscimento dello Stato indipendente di Croazia da parte delle
Potenze dell’Asse, Mussolini desiderava che fosse precisato il diritto
dell’Italia di decidere liberamente ed autonomamente i propri confi-
ni con il nuovo Stato croato28. Per superare tale possibile controver-
sia, Filippo Anfuso, capo di gabinetto del ministro degli Esteri, fu in-
viato in Croazia per negoziare con il capo degli ustascia a tale propo-
sito. Partito la mattina del 14 aprile in aereo, nel pomeriggio dello stes-
so giorno, a Karlovac, Anfuso incontrò Pavelić che gli diede sufficienti
e soddisfacenti rassicurazioni circa la libertà dell’Italia di ottenere i
confini desiderati nella costa adriatica. Dopo una frenetica consulta-
zione con la diplomazia germanica29 e ottenuta una modifica del te-
sto del telegramma di Kvaternik invocante il riconoscimento (con l’in-
serimento, voluto dall’Italia, della frase «I Governi delle Potenze
dell’Asse saranno lieti di accordarsi liberamente con il Governo Croato
per la determinazione dei confini dello Stato Croato»), la mattina del
15 aprile Germania e Italia riconobbero congiuntamente il nuovo Stato

22 KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 382 e ss.


23 ADAP, D, XII, 2, d. 313.
24 Il telegramma di Kvaternik a Hitler riprodotto in ADAP, D, XII, 2, d. 311.
25 ADAP, D, XII, 2, d. 324.
26 KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 419 e ss.
27 ADAP, D, XII, 2, d. 331.
28 ADAP, D, XII, 2, d. 336; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 404 e ss.
29 ADAP, D, XII, 2, dd. 337, 338, 345.
LO SPAZIO VITALE 89

croato indipendente30. Nel frattempo, alle ore 3 dello stesso giorno,


Pavelić era giunto a Zagabria ed aveva assunto i pieni poteri di capo
del governo croato. Il riconoscimento diplomatico delle Potenze
dell’Asse rafforzò il prestigio e il potere di Pavelić31, che si presentò
all’opinione pubblica nazionale come colui che era stato il più deter-
minato e intransigente combattente per l’indipendenza croata32. Il ca-
po ustascia fece giungere ad Hitler e a Mussolini i suoi più sentiti rin-
graziamenti e manifestò ad alcuni diplomatici tedeschi la volontà di
seguire ciecamente il Führer e di dimostrare che i croati non erano sla-
vi ma appartenevano al germanesimo33.
La crisi politica e poi l’improvviso crollo della Jugoslavia rinfo-
colarono le ambizioni italiane d’espansione territoriale nell’Adriatico
orientale. La disgregazione della Jugoslavia – evento che, nell’aprile
1941, era ritenuto, dai più, definitivo e immodificabile insieme alla
persistenza futura dell’egemonia tedesca sul continente europeo – da-
va finalmente l’opportunità di riaprire la questione adriatica sul pia-
no territoriale e di vendicare la presunta «sconfitta» subita dall’Italia
in sede di negoziati di pace alla fine della prima guerra mondiale. A
partire dalla fine del marzo 1941, Palazzo Chigi cominciò a ricevere
memorie e comunicazioni sulla questione jugoslava provenienti da
esponenti politici di origine dalmata e giuliana34. Scoppiata la guerra,
il senatore Antonio Tacconi35, leader politico della minoranza italiana
in Jugoslavia, aveva lasciato Spalato insieme agli spalatini in posses-
so della cittadinanza italiana. Giunto in Italia, Tacconi si attivò, in col-
laborazione con i suoi amici Dudan e Salata36, per convincere il go-

30 DDI, IX, 6, d. 912; ADAP, D, XII, 2, dd. 346, 348, 349, 356.
31 ADAP, D, XII, 2, d. 356.
32 Sulla storia dello Stato croato indipendente dominato dal movimento ustascia riman-
diamo a: BOGDAN KRIZMAN, Pavelić između Hitlera i Mussolinija, Zagreb, 1980; ID., Ustaše
i Treći Reich, Zagreb, 1986, due tomi; JURE KRISTO, Sukob simbola. Politika, vjere i ideolo-
gie u Nezavisnoj Državi Hrvatskoj, Zagreb, 2001; HRVOJE MATKOVIĆ, Povijest Nezavisne
Države Hrvatske, Zagreb, 1994; NEVENKO BARTULIN, The NDH as a ‘Central European
Bulwark against Italian Imperialism’: an assessment of Croatian-Italian relations within the
German “New Order” in Europe 1941-1945, «Review of Croatian History», 2007, n. 1, pp.
49-74.
33 ADAP, D, XII, 2, d. 341.
34 Al riguardo qualche notizia in ANFUSO, Da Palazzo Venezia al Lago di Garda 1936-
1945, cit., p. 161.
35 A proposito di Antonio Tacconi: MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di
Spalato, cit.
36 Sulla figura del senatore Francesco Salata, nato a Ossero nell’isola di Cherso: RICCARDI,
Francesco Salata tra storia, politica e diplomazia, cit.; ID., Per una biografia di Francesco
90 LUCIANO MONZALI

verno di Roma a rivendicare l’annessione della Dalmazia. Il 14 apri-


le i senatori dalmati allineati al fascismo (Tacconi, Dudan, Salata) e
alcuni esponenti delle comunità dalmate italiane inviarono un tele-
gramma a Mussolini in cui dichiararono di essere certi che sarebbe sta-
ta «ridata agli italiani tutta la Dalmazia da Veglia del Carnaro
all’Albania»37. Il 15 aprile, quando era ormai chiaro il trionfo degli
eserciti dell’Asse sulla debolissima resistenza jugoslava, Tacconi e
Dudan prepararono alcuni memoriali su determinati aspetti della que-
stione dalmatica, che Salata inviò ad Anfuso con la «preghiera di sot-
toporre i tre appunti al Duce e di prenderne gli ordini per i provvedi-
menti da adottarsi»38. Interessante era soprattutto il primo appunto in-
titolato Dell’estensione delle occupazioni in Dalmazia, che trattava la
questione di quanto territorio dalmata l’Italia avrebbe dovuto occupare
militarmente. Secondo Tacconi e Dudan, «la Dalmazia, nella sua en-
tità territoriale coincidente con la provincia del Regno di Dalmazia già
facente parte del nesso del cessato Impero austriaco, rappresenta un’u-
nità storica, che le varie suddivisioni amministrative, alle quali ven-
ne assoggettata durante i 23 anni di dominio jugoslavo, non sono riu-
scite ad obliterare». Il governo di Roma, quindi, doveva assumere il
controllo di tutta la Dalmazia fino al crinale delle Alpi dinariche.
Inaccettabile sarebbe stato occupare solo una parte della Dalmazia e
pensare a soluzioni quali quelle previste dal Patto di Londra dell’a-
prile 1915. L’assetto della Dalmazia concepito dal Patto di Londra –
annessione italiana di Zara e Sebenico e dei loro hinterland oltre che
di varie isole – incontrava, secondo Tacconi e Dudan, una forte resi-
stenza negli stessi dalmati slavi «perché prevedeva una innaturale spar-
tizione della regione. In genere, anche nella attuazione delle occupa-
zioni di Dalmazia, si deve prescindere da ogni facile ritorno col pen-
siero al Patto di Londra, tanto più che il territorio ivi contemplato rap-
presentava la parte minore e meno importante della Dalmazia»39. Non
si poteva rinunciare neppure all’occupazione d’importanti centri
della Dalmazia interna come Signo/Sinj, Imoschi/Imotski e Ver-
goraz/Vergorac, né a Ragusa/Dubrovnik e Metcovich/Metković.

Salata, «Clio», 1991, n. 4, p. 647-669. ID., Francesco Salata, il trattato di Rapallo e la po-
litica estera italiana verso la Jugoslavia all’inizio degli anni Venti, «Quaderni giuliani di
Storia», 1994, n. 2, p. 75-91.
37 TALPO, Dalmazia 1941, cit., p. 60.
38 Salata a Anfuso, 15 aprile 1941, DDI, IX, 6, d. 914.
39 ALESSANDRO DUDAN, ANTONIO TACCONI, Dell’estensione delle occupazioni in
Dalmazia, allegato I a, Salata a Anfuso, 15 aprile 1941, cit.
LO SPAZIO VITALE 91

In quei giorni al Ministero degli Affari Esteri vennero stilati vari


appunti sulla questione dalmatica e sul problema jugoslavo in previ-
sione dei futuri negoziati confinari con tedeschi e croati. In un appunto
sulla questione jugoslava, datato 12 aprile e preparato dall’Ufficio
Armistizio e Pace del Gabinetto40 (Ufficio presieduto da Luca
Pietromarchi41, incaricato di occuparsi della questione dalmatica e del-
la Croazia, quindi uno degli uomini che doveva elaborare le richieste
territoriali verso il nuovo Stato croato), si prevedeva la futura annes-
sione italiana della Dalmazia, la creazione di una Croazia indipen-
dente, la spartizione della Slovenia fra Italia e Germania, la soddisfa-
zione delle rivendicazioni nazionali magiare, bulgare, albanesi e ro-
mene e la ricostituzione di uno Stato serbo, comprendente quello che
restava della Serbia pre-1914 più alcuni territori bosniaci. Dal diario
di Pietromarchi sappiamo che in quei giorni il Ministero degli Esteri
era immerso in continue riunioni, essendo anche destinazione di visi-
te di esponenti politici e militari desiderosi di esprimere le loro idee
sulla questione dei confini jugoslavi. Pietromarchi si dichiarò favore-
vole ad un programma di grandi annessioni territoriali nell’Adriatico,
in consonanza con le tesi dei politici ex nazionalisti e giuliano-dalmati.
A suo avviso, pure Mussolini era convinto della necessità di evitare
ogni soluzione rinunciataria:

L’opinione pubblica – scrisse il diplomatico nel suo diario il 15 aprile –


è sempre più compatta per la Dalmazia. Si attribuisce limitata importanza al-
l’unione con lo Stato croato. Il Duce si è reso conto che occorre dare soddi-
sfazione al desiderio generale della Nazione. In un appunto che mi ha fatto
rimettere Anfuso il Duce ha impartito l’istruzione di considerare la possibi-
lità di una grande provincia di Zara che comprenda anche Sebenico42.

In aprile anche il governo di Berlino definì progressivamente le


proprie idee circa il futuro assetto dei territori dell’ex Jugoslavia. Forti
erano nell’establishment nazionalsocialista le tendenze filo-croate. In
particolare, negli ambienti politici nazionalsocialisti vi era il deside-

40 ASMAE, GAB 1923-43, AP b. 25, Appunto compilato dal GABAP il 12 aprile 1941.
41 Sulla personalità di Pietromarchi: RUTH NATTERMANN, a cura di, I diari e le agende di
Luca Pietromarchi (1938-1940). Politica estera del fascismo e vita quotidiana di un diplo-
matico romano del ’900, Roma, 2009; BRUNA BAGNATO, Introduzione, in I Diari di Luca
Pietromarchi ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), Firenze, 2002, p. VII e ss.
42 FONDAZIONE LUIGI EINAUDI, Carte Luca Pietromarchi, Luca Pietromarchi, Diario, 15
aprile 1941.
92 LUCIANO MONZALI

rio di creare un forte e vasto Stato croato quale possibile baluardo con-
tro la penetrazione italiana nei Balcani e nell’Adriatico orientale.
L’austriaco nazista Glaise Horstenau, nominato rappresentante del-
l’esercito germanico in Croazia, enunciò con chiarezza a Hitler e ai
capi nazionalsocialisti la sua contrarietà all’annessione italiana della
Dalmazia. A suo avviso, la Croazia avrebbe dovuto controllare gli stes-
si territori costieri della Jugoslavia rinunciando solamente alle
Bocche di Cattaro a favore dell’Italia43. Hitler, che non voleva umi-
liare Mussolini e suscitare sospetti negli italiani, scelse di lasciare il
Duce libero di stabilire autonomamente i confini italiani con la Croa-
zia, imponendo, però, all’Italia le decisioni più importanti riguardo al
futuro dell’ex Jugoslavia. Queste trasparivano dalle direttive che Hitler
impartì a Ribbentrop relativamente alla futura organizzazione dello
spazio politico jugoslavo il 6 aprile44. Hitler desiderava che i territori
sloveni confinanti con la Stiria e la Carinzia fossero annessi al Reich
tedesco, mentre la Croazia sarebbe divenuta uno Stato autonomo, da
porsi sotto l’influenza magiara. I territori costieri adriatici settentrio-
nali, la Dalmazia e il Montenegro dovevano passare sotto il control-
lo italiano, mentre la Bulgaria poteva annettere la Macedonia.
L’Ungheria avrebbe conquistato i territori confinanti a nord del Danu-
bio, mentre la Serbia, senza la Macedonia, sarebbe stata oggetto di am-
ministrazione militare germanica45.
Il 17 aprile Ribbentrop propose a Ciano un incontro bilaterale per
discutere sul futuro dei territori jugoslavi. Nella lettera di Ribbentrop
al ministro italiano vi era anche l’annuncio della decisione di Hitler di
procedere alla distruzione definitiva dello Stato jugoslavo unitario e
di spingere i confini della Germania a sud fino ad inglobare la Slovenia
settentrionale46. La comunicazione di Ribbentrop accelerò le discus-
sioni in seno al Ministero degli Esteri sul programma di rivendicazio-
ni territoriali italiane. Una Commissione improvvisata, composta da
Pietromarchi, dal generale De Castiglioni, dal direttore degli Affari
d’Europa e del Mediterraneo agli Esteri, Gino Buti, e da Zenone
Benini, sottosegretario per l’Albania, si era riunita per discutere di que-
sti problemi il 16 aprile 1941. L’orientamento della Commissione era

43 PETER BROUCEK, Ein General im Zwielicht. Die Erinnerungen Edmund Glaises von
Horstenau, Wien, 1988, II, p. 83; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 439 e ss.
44 ADAP, D, XII, 2, d. 291.
45 Ibidem.
46 ADAP, D, XII, 2, d. 363.
LO SPAZIO VITALE 93

a favore di un programma di massicce annessioni che assicurasse


all’Italia il controllo di tutta la costa adriatica orientale da Fiume
all’Albania e portasse i confini di quest’ultima al fiume Vardar.
Particolare importanza aveva la questione dei confini in Dalmazia.
Pietromarchi, incaricato di presentare alcune proposte al riguardo, an-
notò nel proprio diario il 16 aprile:

Nella mattinata Anfuso mi fa chiedere se per il pomeriggio possa far per-


venire al Duce un promemoria sulla Dalmazia. Glielo prometto. Mentre gli
ufficiali dello Stato Maggiore preparano una carta sulla quale saranno ripor-
tati i confini dei territori che saranno distribuiti ai numerosi Stati confinanti
con la Jugoslavia, io col Prof. Randi preparo il promemoria sulla questione
dalmata. Sostengo la tesi massima. Non ho alcuna indicazione su quelle che
possano essere le idee del Duce; mi è stato anzi a più riprese ribadito che oc-
corre pensare al domani e alle ripercussioni che una soluzione totalitaria di
tale problema potrà avere sui nostri rapporti con la Croazia, ma sempre più
mi convinco che ogni mezza misura non approderebbe a nulla. Comunque
non è possibile chiedere di meno di quello che chiese il Governo nel 1915
quando iniziò le trattative per il Patto di Londra. Il nocciolo della questione
è il seguente: se diamo dei porti alla Croazia noi riduciamo gli altri, quelli
cioè che resteranno in nostro possesso, alla situazione di Fiume, e cioè li pri-
veremo di ogni loro funzione, giacché la Croazia, anziché servirsi di essi, in-
canalerà i suoi traffici verso i suoi porti. Per evitare tale jattura non c’è che
obbligare la Croazia a servirsi dei porti dalmati e perciò o tutta la Dalmazia
viene a noi o tutta passa ai croati. Non c’è via di mezzo47.

Preparato velocemente il promemoria, Pietromarchi lo consegnò


ad Anfuso e insieme si recarono a Palazzo Venezia per conferire con
Mussolini al riguardo il 17 aprile. Il Duce lesse e commentò il pro-
memoria di fronte ai due funzionari. Mussolini si dichiarò d’accordo
con le proposte di Pietromarchi:

Per la Slovenia [il Duce] osserva – riportò Pietromarchi nel suo diario –
che si nominerà un prefetto pur lasciandole la più ampia autonomia. Essa avrà
comuni con l’Italia la dogana e la valuta. Sulla Dalmazia il Duce afferma che
per ragioni storiche, geografiche, militari ed economiche essa costituisce un
tutto inscindibile che deve essere annesso all’Italia. Gli Slavi, osserva il Duce,
sono venuti in Dalmazia in gran parte a seguito dell’invasione turca. Essi ri-
fluirono verso le terre cristiane che furono loro larghe di ospitalità. A questa

47 Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, citato anche in DE FELICE, Mussolini l’al-
leato, cit., I, 1, p. 383.
94 LUCIANO MONZALI

stessa causa si deve forse l’immigrazione nel Molise delle sue colonie slave
che tuttora vi esistono. Esse furono forse le estreme punte di questo movi-
mento di popolazione. Cause analoghe spinsero nuclei albanesi a venire in
Italia e in particolare in Sicilia. Daremo alla Dalmazia un regime autonomo.
Potremo chiamarla Reggenza della Dalmazia o Regno Illirico secondo il ri-
cordo napoleonico o in altro modo, ma sarà sotto la bandiera italiana. Se ad-
diverremo a un’unione personale con la Croazia potremo discutere con essa
il regime da dare alla Dalmazia. La soluzione, osservo io, sarà analoga a quel-
la che la Dalmazia aveva sotto l’Austria. Precisamente – afferma il Duce48.

Mussolini chiarì poi che la Croazia non avrebbe avuto alcun sboc-
co al mare49 e che i confini della Dalmazia avrebbero dovuto essere
tracciati attenendosi alla linea del crinale delle montagne:

Il Duce mi risponde che non intende andare oltre il crinale. «La nostra
politica – dice – è sempre stata quella dei crinali e ci ha ottimamente servi-
to, come nell’Alto Adige e come sarà nel caso del Canton Ticino»50.

Il 17 aprile 1941 Mussolini inviò a Ciano un appunto sulle modi-


fiche territoriali da ottenere in Jugoslavia a favore dell’Italia, da ne-
goziare nei prossimi incontri con i capi tedeschi ed i rappresentanti
croati. In tale appunto erano previste l’incorporazione della Slovenia
nel Regno d’Italia, rettifiche territoriali nei dintorni di Fiume, l’an-
nessione di tutta la costa adriatica orientale da Segna a Cattaro, la ri-
costituzione del Montenegro come Stato autonomo aggregato
all’Albania, il passaggio del Kosovo e dei territori jugoslavi abitati da
albanesi al Regno d’Albania51. Dopo aver tracciato le rivendicazioni
territoriali italiane su carte geografiche, il giorno successivo Pietro-
marchi e Anfuso tornarono da Mussolini. Pietromarchi riferì al Duce
le preoccupazioni del Ministero della Guerra circa l’eccessiva ristret-
tezza che avrebbe avuto il territorio italiano a sud di Fiume «ove si
fosse seguito il crinale del Velebit». Per i militari era più opportuno
un confine italo-croato che cedesse all’Italia i bacini interni e «che se-

48 Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, cit.


49 Mussolini dichiarò a Pietromarchi: «[…] I Croati non hanno bisogno di possedere un
tratto del litorale. Essi dovranno servirsi dei nostri porti. “ Non lasceremo loro neppure una
stazione balneare. Se vorranno fare dello sport dovranno venire ad Abbazia” mi dice il Duce»
(Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, cit.).
50 Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, cit.
51 Progetto nuove delimitazioni confinarie dell’Italia ad Est, in Mussolini a Ciano, 17
aprile 1941, DDI, IX, 6, d. 923.
LO SPAZIO VITALE 95

guisse il versante che guarda la Kraina croata». Mussolini osservò che


indubbiamente il confine era irrazionale, poiché riservava all’Italia un
litorale di appena sette chilometri di profondità:

Perciò – dichiarò il Duce – sono d’accordo che il confine almeno sulla


parte a sud di Segna fino al canale della Morlacca debba essere fissato nel-
l’interno. Questo ci obbliga ad incorporare una zona croata. Se i Croati ne
faranno una questione essenziale per addivenire ad una unione con noi po-
tremo anche concedere loro questo tratto del litorale52.

Il 19 aprile Ciano partì in treno per Vienna accompagnato da


Pietromarchi e Anfuso. Giunta a Vienna, la delegazione italiana fu ac-
colta alla stazione da Ribbentrop, per poi recarsi in visita da Hitler.
Lunedì 21 iniziarono i colloqui politici fra Ciano e Ribbentrop53. Il mi-
nistro degli Esteri italiano spiegò al collega germanico le idee di
Mussolini circa i futuri confini nella ex Jugoslavia. L’Italia avrebbe
preso il controllo della parte non germanica della Slovenia. La
Dalmazia e la costa adriatica «da Fiume a Cattaro» dovevano essere
annesse all’Italia, mentre il Montenegro sarebbe ritornato all’indi-
pendenza, in unione personale con la casa regnante italiana54. La
Croazia doveva essere strettamente alleata all’Italia per mezzo di un’u-
nione personale. L’Albania avrebbe annesso i territori jugoslavi vici-
ni e un pezzo della Grecia settentrionale, mentre l’Italia mirava alla
conquista definitiva delle isole Jonie. Ribbentrop, a sua volta, comu-
nicò alcune idee di Hitler, che vedeva con simpatia l’annessione un-
gherese della Bačka e del Banato e le rivendicazioni bulgare su tutta
la Macedonia fino a Ochrida, quest’ultime, però, contrastate dalla di-
plomazia italiana. Il ministro tedesco mostrò una certa freddezza ver-
so l’intenzione italiana di creare un’unione personale con la Croazia,
sottolineando l’importanza di evitare l’imposizione di ciò ai croati55.
Affermò poi che i confini dello Stato croato sarebbero stati segnati dal-
la Drina e dal Danubio, inglobando la Bosnia, l’Erzegovina e il Sirmio,
arrivando fin quasi a Belgrado56. Il primo colloquio fra Ciano e
Ribbentrop suscitò preoccupazione nei diplomatici italiani. Pietromar-

52 Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, cit.


53 Al riguardo una dettagliata ricostruzione in KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 445 e ss.
54 ADAP, D, XII, 2, d. 378.
55 Ibidem.
56 Luca Pietromarchi, Diario, 19-22 aprile 1941, cit.
96 LUCIANO MONZALI

chi scrisse nel suo diario che Ribbentrop non ricordava l’esistenza del-
lo scambio di note italo-germaniche sulla Croazia del 1939 e ciò era
un segnale che «evidentemente è contrario a lasciarci mano libera.
Devono già essere incominciati gl’intrighi croati ai nostri danni»57. Il
diplomatico italiano era preoccupato dall’atteggiamento germanico
verso l’Italia, minaccioso e accerchiante:

Se si addiverrà, come sembra deciso, allo smembramento della Svizzera


avremo in comune con la Germania un confine lunghissimo, dal Monte
Bianco ad Idria. Di tale linea il tratto più debole è quello a sud di Tarvisio
che occorrerà rafforzare in profondità con la massima attenzione a meno di
svalutare le posizioni del Brennero e della Dalmazia. […] È stato riaffaccia-
to nei nostri confronti e per limitare le nostre richieste il principio di nazio-
nalità. “Si torna” ho osservato al Ministro “al concetto della pace di Versailles,
mentre credevamo di essere sul piano dello spazio vitale, che è la negazione
del criterio nazionalitario”. “È evidente” mi ha risposto “che vogliono ap-
plicare a noi il principio di nazionalità e attenersi per sé al Lebensraum”. […]
È evidente l’atteggiamento tedesco di offrire protezione a tutti i piccoli Stati.
[…] È in fondo la solita tattica di tutti i vincitori di indebolire l’alleato a guer-
ra finita. Si apre così un’era di pericolosi intrighi58.

Per Pietromarchi, l’Italia si veniva a trovare di fronte alla


Germania in una posizione paragonabile a quella del Piemonte dinanzi
alla Francia di Luigi XIV, «ma senza poter contare sull’appoggio di
altri per equilibrare lo strapotere del suo vicino»59.
Nel pomeriggio del 21 la delegazione italiana si riunì con Ciano, e
Pietromarchi ricordò al ministro l’esistenza dello scambio di lettere con
Ribbentrop del marzo 1939, che aveva garantito all’Italia mano libera
in Croazia. Ciano si fece portare le lettere, le lesse attentamente e
mandò l’ambasciatore italiano a Berlino, Alfieri, da Ribbentrop per ri-
cordargli gli impegni che aveva preso. Nella serata del 21 Ribbentrop
fu ricevuto da Hitler per discutere delle problematiche jugoslave.
L’indomani, il ministro degli Esteri germanico si incontrò nuovamen-
te con Ciano e riferì le direttive del Führer60. Circa la Croazia, Hitler
aveva già stabilito i confini croato-germanici e prevedeva la tempora-
nea permanenza di truppe tedesche nella Croazia settentrionale. La

57 Luca Pietromarchi, Diario, 19-22 aprile 1941, cit.


58 Luca Pietromarchi, Diario, 19-22 aprile 1941, cit.
59 Luca Pietromarchi, Diario, 19-22 aprile 1941, cit.
60 ADAP, D, XII, 2, d. 385.
LO SPAZIO VITALE 97

Germania confermava il suo disinteressamento politico verso la


Croazia: il Duce avrebbe potuto decidere autonomamente, o in collo-
qui con i croati, i confini con la Croazia. Secondo Hitler, comunque,
lo Stato tedesco aveva grandi interessi economici in Croazia e nella
ex Jugoslavia, regione cruciale come fonte di materie prime. Tali in-
teressi dovevano essere assicurati attraverso la restituzione dei terri-
tori ex tedeschi al Reich e mediante il controllo delle miniere di cro-
mo e di piombo in Macedonia e a Mitrovica. Ribbentrop manifestò
un forte interesse affinché alla Germania fosse garantito un sicuro uti-
lizzo delle miniere di bauxite presenti in Dalmazia. Circa gli altri pro-
blemi confinari (Montenegro, Croazia, Dalmazia ecc.) il governo te-
desco promise un disinteressamento politico a favore dell’Italia61.
Ciano ribadì che, in nomi di ragioni storiche, politiche e militari, e per
garantire all’Italia il proprio Lebensraum, tutta la Dalmazia doveva es-
sere annessa allo Stato italiano. Di tali questioni, comunque, ne avreb-
be parlato con Pavelić62. I colloqui si conclusero con l’intesa che il go-
verno di Roma avrebbe fornito assicurazioni formali a Berlino circa
la protezione degli interessi economici germanici nei territori che sa-
rebbero stati annessi dall’Italia.
Pavelić cercò di guadagnare tempo e di protrarre il negoziato con
l’Italia sui confini per ritardare la cessione dei territori dalmati e del
Quarnero63. Il governo croato ebbe l’idea di offrire la corona del ri-
nato Stato di Croazia a un principe italiano al fine di evitare o ridur-
re le cessioni territoriali a favore di Roma. In seno alla classe dirigente
italiana vi erano due orientamenti circa l’assetto territoriale adriatico
e i futuri rapporti con la Croazia. La maggior parte dei politici, di-
plomatici e militari italiani desiderava il definitivo superamento dei
confini stabiliti dopo la prima guerra mondiale, conseguenza della pre-
sunta «vittoria mutilata». Spesso uomini che avevano combattuto nel-
la Grande Guerra, ritenevano che l’Italia dovesse assicurarsi un do-
minio incontrastato ed assoluto sull’Adriatico orientale: da qui la ri-
chiesta dell’annessione di tutta la costa adriatica orientale da Fiume
all’Albania, o, perlomeno, di gran parte della Dalmazia. Non tutti,
però, in seno alla classe dirigente e alla diplomazia italiana erano d’ac-
cordo sull’esigenza di grandi annessioni territoriali nell’Adriatico.
Alcuni diplomatici e funzionari statali, più realisti, si dichiararono fa-

61 Ibidem.
62 Ibidem.
63 ADAP, D, XII, 2, d. 389.
98 LUCIANO MONZALI

vorevoli ad una politica moderata e rinunciataria sul piano territoria-


le, che consentisse all’Italia di presentarsi come Potenza amica e pro-
tettrice dei croati e garantisse l’inclusione di tutta la Croazia nella zo-
na d’influenza economica italiana. Il console italiano a Susak, Americo
Gigli, scrisse un rapporto a Ciano invitando il governo ad una politi-
ca realistica e moderata verso la Croazia64. Attraverso l’escamotage
di riferire le obiezioni avanzate da alcuni croati, «con una certa obiet-
tività di ragionamento», alle aspirazioni territoriali italiane nel retro-
terra fiumano e in Dalmazia, Gigli consigliò una politica moderata e
lungimirante verso i croati:

L’interesse politico lontano dell’Italia dovrebbe portarla ad imporre un mi-


nimo di sacrifici territoriali al nuovo Stato, per rendersi definitivamente ma-
drina spirituale dello stesso, tanto più che i nuovi Capi di questo sono stati
messi in grado di divenire tali soltanto dalla compiacente ospitalità e dal lar-
go decennale appoggio dell’Italia. Non solo, ma la longanimità politica
dell’Italia […] dovrebbe e potrebbe da lei essere adoperata quale buona mo-
neta di scambio per assicurare a se stessa, in forma più sostanziale, anche se
meno apparente, quel più ampio respiro economico cui aspira; ne cadrebbe-
ro altrimenti i legittimi presupposti egoistici. Infatti: non è ottenendo un più
vasto allargamento dei confini che Fiume potrà vedere realizzata la sua lo-
gica aspirazione a ridiventare un grande porto e un grande emporio. Non è
annettendo qualche migliaio di chilometri quadrati di territorio in più che
l’Italia vedrà risolto il problema di certi suoi rifornimenti e ancor meno rea-
lizzato il suo piano di espansione economica in zone a economia sostanzial-
mente complementare alla sua65.

A parere di Gigli, l’Italia rinunciando a vaste conquiste territoria-


li in Croazia poteva divenire la Potenza protettrice dei croati riuscen-
do così ad imporre loro un’unione economica estremamente vantag-
giosa per lo Stato italiano. L’Italia poteva risolvere il problema del
rifornimento di certi prodotti solo includendo tutti i territori croati nel-
la propria sfera economica, «mediante accorgimenti tecnici che po-
trebbero giungere sino ad una completa unione doganale e forse an-
che monetaria»:

Risultato questo realmente concreto, che, per poggiare su basi certe, do-
vrebbe avere per presupposto una sicura continuità di influenza politica. E

64 ASMAE, GAB 1923-43, AP, b. 28, Gigli al Ministero degli Affari Esteri, 22 aprile 1941.
65 Ibidem.
LO SPAZIO VITALE 99

una tale influenza nascerebbe sotto i migliori auspici se, oltre e più che su-
gli stretti legami che uniscono all’Italia i Capi del nuovo Stato, poggiasse,
non diciamo sulla riconoscenza delle masse, ma sull’assenza di ragioni di at-
trito tanto gravide di conseguenza per l’avvenire quanto quella dell’insop-
primibile irredentismo di troppe centinaia di migliaia di nuovi cittadini ita-
liani. Quella tale complementarietà economica agirebbe allora, e soltanto al-
lora, rimossi gli ostacoli politici, da saldo cemento e da sicura garanzia per
l’avvenire66.

Idee simili a quelle di Gigli sosteneva Carlo Galli, ex ministro ita-


liano in Jugoslavia. Secondo Galli, piuttosto che annettere la Dalmazia
all’Italia sarebbe stato saggio creare uno Stato dalmata autonomo, che
avrebbe valorizzato la specificità culturale della popolazione locale
rafforzando l’influenza dell’Italia, la quale sarebbe stata tutelata con
speciali accordi economici e politici. Era, poi, importante non umiliare
la Croazia, evitando forme d’ingerenza offensive per l’orgoglio na-
zionale e puntando a rafforzare l’influenza italiana attraverso una len-
ta azione di collaborazione economica e culturale, facilitata da una fu-
tura unione doganale e monetaria67.
Ritornato a Roma da Vienna, Ciano cercò di accelerare la conclu-
sione di un accordo confinario con la Croazia. Si stabilì un futuro in-
contro a Lubiana fra il ministro italiano e Pavelić per il 25 aprile. Gino
Buti fu incaricato di preparare una bozza di accordo che prevedesse
una stretta collaborazione politica, economica e militare tra i due Paesi.
Si rinunciò all’idea dell’unione personale perché, dal momento che
Pavelić era diventato il capo supremo della Croazia, «non si doveva
chiedergli di rinunciare alla sua carica». Per il testo del progetto di ac-
cordo fu preso come modello il trattato di protezione che la Germania
aveva concluso con la Slovacchia nel 1939, sostituendo la parola «pro-
tezione» con «garanzia»68. Mussolini «attenuò» il progetto d’accordo
con la Croazia, riducendo, ad esempio, la durata dell’alleanza da cin-
quanta a venticinque anni. La mattina del 24 Ciano si consultò con al-
cuni generali e ammiragli per decidere le basi negoziali per le tratta-
tive con i croati. Vi era la speranza di superare le opposizioni dei croa-
ti promettendo loro uno sbocco al mare tra Fiume e il canale della

66 Ibidem.
67 BUCARELLI, “Manicomio jugoslavo”. L’ambasciatore Carlo Galli e le relazioni italo-
jugoslave tra le due guerre mondiali, cit., in particolare pp. 505-509.
68 Luca Pietromarchi, Diario, 24 aprile 1941 e giorni successivi, cit.
100 LUCIANO MONZALI

Morlacca. Vennero quindi preparate due soluzioni: «una territorial-


mente integrale da Fiume a Cattaro, una limitata alla Dalmazia stori-
ca»69. Nel frattempo Ciano chiese al governo di Berlino di comunica-
re con chiarezza ai croati che la Germania sosteneva le rivendicazioni
territoriali italiane e avrebbe accettato i risultati dei colloqui bilaterali
italo-croati. Le pressioni italiane si scontrarono con la ritrosia germa-
nica a intervenire direttamente nel contenzioso fra Roma e Zagabria.
Ribbentrop ribadì il disinteressamento politico della Germania verso
la questione croata, ma si limitò a inviare una blanda comunicazione
a Zagabria che confermava l’interesse di Berlino a una rapida conclu-
sione dei negoziati italo-croati70.
Il 25 aprile, a Lubiana occupata dall’esercito italiano – in una città
che ai diplomatici italiani non parve ostile alla nuova Potenza occu-
pante, talmente forte era il terrore sloveno per il possibile arrivo dei
tedeschi, che in quei giorni stavano infliggendo un trattamento spie-
tato alle popolazioni della Slovenia settentrionale, fatto di «spoliazioni,
rapine, uccisioni»71 – ebbe luogo l’incontro fra Ciano e Pavelić. Il mi-
nistro degli Esteri espose le richieste territoriali italiane, incentrate sul-
la richiesta dell’annessione di tutta la costa adriatica orientale da Fiume
a Cattaro72. Pavelić rispose a Ciano che l’applicazione di tali richie-
ste avrebbero avuto come conseguenza quella di «farlo cacciar via dal
Governo». Egli fece alcune controproposte, miranti a ridurre le an-
nessioni dell’Italia in cambio della firma del trattato d’alleanza: la
Dalmazia del Patto di Londra, con in più Traù/Trogir, all’Italia, men-
tre Spalato e Ragusa con varie isole sarebbero dovute rimanere alla
Croazia. Accettava il patto d’alleanza ed era pronto a considerare an-
che «l’eventualità di un’unione personale o di una monarchia con un
Principe Sabaudo»73. Le proposte di Pavelić suscitarono l’opposizio-
ne dei militari che accompagnavano Ciano74, piuttosto propenso, in-
vece, a trovare una soluzione moderata di compromesso. Il Poglavnik
chiese alcuni giorni di riflessione e si mise d’accordo con Ciano per
rivedersi successivamente per chiudere la questione dei confini.

69 CIANO,Diario, cit., p. 504.


70 ADAP, D, XII, 2, dd. 391, 394; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 457.
71 CIANO, Diario, cit., pp. 504-505; Luca Pietromarchi, Diario, 24 aprile e giorni suc-
cessivi 1941, cit.
72 KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., pp. 459-460.
73 CIANO, Diario, cit., p. 504.
74 Luca Pietromarchi, Diario, 24 aprile e giorni successivi 1941, cit.
LO SPAZIO VITALE 101

Ritornato a Roma, Ciano ebbe un colloquio con Mussolini il 26


aprile, al quale riferì le proposte di Pavelić. Di fronte alle pressioni e
alle resistenze croate75, Mussolini comunicò a Ciano di avere mutato
parere e di essere disposto a fare concessioni a Pavelić. Ciano annotò
nel suo Diario che «Mussolini – salvo Spalato – è d’accordo con
Pavelić, e giustamente ritiene più utile attrarre la Croazia nella nostra
orbita politica che prendere un po’ più di terra popolata da croati osti-
li»76. Influì su tale evoluzione delle posizioni del governo di Roma la
constatazione della freddezza tedesca nel sostenere le rivendicazioni
italiane77. Lo stesso Alfieri, pur non acuto osservatore della politica
tedesca, riferì a Roma che il fatto che la Germania non avesse voluto
che i confini della Croazia fossero fissati d’autorità dalle Potenze
dell’Asse, apriva la strada a un negoziato italo-croato vantaggioso po-
liticamente per Berlino:

Nasce così il dubbio fondato che la Germania, favorendo la creazione di


una grande Croazia e trincerandosi dietro la formula dei rapporti diretti fra
Italia e Croazia, lasci a noi la parte più odiosa incoraggiando la Croazia alla
resistenza. In seguito a ciò la Croazia dovrà essere grata alla Germania per
tutto quello che già ha ottenuto ed otterrà, mentre dovrà serbar rancore
all’Italia per le sue aspirazioni non soddisfatte. La Germania, che ha l’occu-
pazione militare del paese, svolge già – se non esteriormente, in profondità
– la sua politica, per cui la Croazia fatalmente finirà per cadere in un non lon-
tano avvenire nell’orbita tedesca78.

75 Ricostruzioni del negoziato italo-croato che portò agli accordi del 18 maggio 1941 so-
no contenute in: KRIZMAN Pavelić i Ustaše, cit.; PIETRO PASTORELLI, L’esaurimento dell’ini-
ziativa dell’Asse. Parte I. L’estensione del conflitto (giugno-dicembre 1941), Milano 1967,
p. 171 e ss.; TALPO, Dalmazia 1941, cit.; NADA KISIĆ-KOLANOVIĆ, NDH I Italija: političke
veze i diplomatski odnosi, Zagreb, 2001; LUCIANO MONZALI, La difficile alleanza con la
Croazia ustascia, in CACCAMO, MONZALI, a cura di, L’occupazione italiana della Iugoslavia,
cit., p. 61 e ss.; STEFANO BIANCHINI, FRANCESCO PRIVITERA, 6 aprile 1941. L’attacco italiano
alla Jugoslavia, Milano 1993, p. 53 e ss.
76 CIANO, Diario, cit., p. 505.
77 Sulla posizione della Germania riguardo al contenzioso italo-croato e sulle relazioni
tedesco-croate si veda: MONZALI, La difficile alleanza con la Croazia ustascia, cit., p. 108 e
ss.; HOLM SUNDHAUSSEN, Wirtschaftsgeschichte Kroatiens in nationalsozialistichen Grossraum
1941-1945. Das Scheitern einer Ausbeutungsstrategie, Stuttgart, 1983; PASTORELLI,
L’esaurimento dell’iniziativa dell’Asse, cit., p. 171 e ss.; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p.
465 e ss.; LADISLAUS HORY, MARTIN BROSZAT, Der Kroatische Ustascha-Staat 1941-1945,
Stuttgart 1964; DE FELICE, Mussolini l’alleato, cit., I, p. 382 e ss.; SRDJAN TRIFKOVIĆ, Rivalry
between Germany and Italy in Croatia 1942-1943, «The Historical Journal», 1993, n. 4, pp.
879-904.
78 DDI, IX, 7, d. 39. Una testimonianza sull’operato dell’ambasciata italiana a Berlino:
LEONARDO SIMONI [MICHELE LANZA], Berlino Ambasciata d’Italia: 1939-1943, Roma, 1946.
102 LUCIANO MONZALI

Lasciata Lubiana, Pavelić ritornò a Zagabria e riunì un Consiglio


dei ministri. Il rappresentante del Ministero degli Esteri italiano nel-
la capitale croata, Raffaele Casertano, riferì che esistevano forti resi-
stenze nel governo contro la rinuncia a parte della Dalmazia. Pavelić
dichiarò all’incaricato d’affari italiano di sperare con fiducia che il go-
verno di Roma avrebbe accettato il minimum di richieste da lui pre-
sentato al ministro Ciano. Per il resto il governo croato era pronto a
fare proprio lo schema del trattato concordato a Lubiana «salvo alcu-
ne modifiche che egli si riserva sottoporre al Governo italiano»79. Il
28 aprile Pavelić inviò due lettere al governo italiano. In quella diret-
ta personalmente a Mussolini, egli confermò la decisione del popolo
croato «di offrire la Corona di Zvonimiro del Regno di Croazia ad un
Principe della Casa di Savoia»80. Nella missiva a Ciano chiese un nuo-
vo incontro per concordare definitivamente la delimitazione dei con-
fini italo-croati; egli si dichiarò pronto a modificare in parte le richieste
da lui avanzate a Lubiana, concedendo qualche isola in più all’Italia81.
Mussolini e Ciano risposero alle lettere del capo degli ustascia con-
fermando il loro sostegno e la loro amicizia verso la nuova Croazia e
invitando Pavelić a proseguire i negoziati confinari e politici con
Casertano a Zagabria82. Le prevedibili resistenze dei croati a cedere
Spalato – cuore commerciale della Dalmazia e città in cui abitava una
netta maggioranza croata – e a rinunciare a tutta la costa dalmata, spin-
sero Mussolini e Ciano a ridimensionare il programma territoriale ita-
liano. Il Duce diede la direttiva a Casertano di accettare l’offerta del-
la corona e di insistere per Spalato «ma non al punto di farne una que-
stione di rottura»83. Casertano condusse serrati negoziati con il governo
ustascia per preparare i futuri accordi italo-croati. Il diplomatico ita-
liano si scontrò con l’indisponibilità croata di rinunciare a Spalato e
con il rifiuto di ogni idea di unione doganale ed economica italo-croa-
ta84. Per superare gli ostacoli nel negoziato, dapprima, Casertano mi-
nacciò i croati che, in caso di rifiuto delle richieste italiane circa
Spalato e l’unione doganale, l’Italia avrebbe proceduto all’annessio-
ne unilaterale dei territori adriatici occupati; poi, propose l’idea di un

Si veda anche FALANGA, Mussolinis Vorposten, cit.


79 DDI, IX, 7, d. 14.
80 DDI, IX, 7, d. 22.
81 DDI, IX, 7, d. 23.
82 DDI, IX, 7, dd. 33, 34.
83 CIANO, Diario, cit., p. 506. Si veda anche ADAP, D, XII, 2, d. 428.
84 DDI, IX, 7, d. 48.
LO SPAZIO VITALE 103

assetto particolare per Spalato: la città e i sobborghi sarebbero passa-


ti all’Italia, che, però, riconoscendo la prevalenza etnica croata, avreb-
be concesso allo Stato croato l’amministrazione del comune, della po-
lizia e delle finanze; le questioni giudiziarie per la minoranza italiana
sarebbero state amministrate da tribunali misti, mentre una specifica
convenzione avrebbe garantito lo studio della lingua italiana a Spalato
e in tutta la Dalmazia croata85. L’escamotage ideato da Casertano
(Spalato italiana con alcune riserve sull’amministrazione cittadina) in-
contrò il favore di Mussolini e di Ciano, ma alimentò una certa agita-
zione, già esistente da qualche giorno, fra i fautori della soluzione «to-
talitaria» della questione dalmatica. I sostenitori della necessità che non
si rinunciasse nemmeno ad un centimetro di costa in Dalmazia erano
forti e organizzati in Senato, dove agivano i senatori adriatici Dudan,
Tacconi e Salata. Quando Dudan seppe del mutamento di direttive in
senso filocroato deciso dal capo di governo, ebbe una reazione duris-
sima e rabbiosa, che lo spinse a inviare a Mussolini un appunto, data-
to 4 maggio 1941. Dudan si proclamò ostile ad ogni rinuncia territo-
riale in Dalmazia. Secondo il senatore dalmata, «il giorno che si pro-
clama l’annessione all’Italia di Lubiana “etnicamente compatta slove-
na” nessuno può pensare alla rinuncia non di Spalato o di Ragusa, ma
nemmeno di una borgata interna della Dalmazia la quale [...] ebbe inin-
terrottamente da secoli interamente italiane le amministrazioni provin-
ciali e comunali». Germania, Russia, Bulgaria e Ungheria stavano pren-
dendosi tutti i territori che volevano, mentre la stessa Croazia si annet-
teva l’intera Bosnia Erzegovina; Hitler aveva dato carta bianca all’Italia
nella delimitazione del confine adriatico: come si poteva giustificare la
più piccola rinuncia, «se demmo la croce addosso agli Orlando, Nitti e
Giolitti, che avevano contro di loro alleati e non alleati?»86. Le prote-
ste e invocazioni di Dudan, di alcuni politici e militari87 a favore del-

85 DDI, IX, 7, d. 54.


86 Dudan a Mussolini, 4 maggio 1941, DDI, IX, 7, d. 53.
87 Pure molti esponenti della Marina e dell’Esercito non erano favorevoli a rinunce in
Dalmazia e sulla costa adriatica, soprattutto per ragioni strategiche (assicurare la supremazia
assoluta italiana e tenere lontana la Germania dall’Adriatico). Ad esempio, il 30 aprile, l’am-
miraglio Riccardi, sottosegretario del Ministero della Marina, ricordò ai vertici politici l’indi-
spensabilità del possesso di Ragusa per rafforzare le posizioni italiane a Cattaro: ARTURO
RICCARDI, Appunto per l’Eccellenza il Ministro degli Affari Esteri, 30 aprile 1941, riprodotto
in TALPO, Dalmazia 1941, cit., p. 279, allegato n. 13; STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, UFFICIO
STORICO, Verbali delle riunioni tenute dal Capo di SM generale, Roma, 1983, vol. II, verbale
della riunione tenuta dall’eccellenza il sottocapo di Stato maggiore generale il 17 aprile 1941,
p. 33 e ss.
104 LUCIANO MONZALI

l’annessione italiana di tutta la Dalmazia ebbero alla fine scarso ef-


fetto. Mussolini fece cessare l’agitazione pro Dalmazia88 e decise di
proseguire sulla strada del compromesso territoriale con la Croazia
ustascia.
Le richieste italiane di creare un’unione doganale e di annettere
Spalato erano inaccettabili per il governo di Zagabria. Secondo il rap-
presentante croato a Berlino, Benzon, l’unione doganale avrebbe pro-
vocato il soffocamento dell’indipendenza della Croazia89. Il 5 maggio
Pavelić fece un nuovo appello a Mussolini, chiedendogli, tenuto con-
to della futura vicinanza politica fra Italia e Croazia sancita dalla scel-
ta di un Savoia quale sovrano, la rinuncia italiana a Spalato ed un fu-
turo colloquio personale90. Mussolini decise di accettare l’idea di un
incontro, ma fece sapere che la sovranità italiana su Spalato era un fat-
to su cui non era possibile discutere91. Il 7 maggio 1941, alla stazio-
ne ferroviaria di Monfalcone, avvenne l’incontro fra Mussolini, Ciano
e Pavelić92. Nel corso delle conversazioni la delegazione croata riuscì
a convincere Mussolini a rinunciare al progetto dell’unione doganale
tra Italia e Croazia, nonostante le insistenze di Ciano sull’importanza
della sua realizzazione, e a ottenere alcuni piccoli miglioramenti con-
finari93. La rinuncia all’unione doganale venne spiegata da Pietromar-
chi94 con l’interesse primario di Mussolini ad assicurare all’Italia fa-
scista un successo di propaganda con l’annessione della città di
Spalato. A Monfalcone, al termine dei colloqui, Pavelić e Mussolini
siglarono un documento che descriveva i futuri confini italo-croati95.

88 CIANO, Diario, cit., p. 509.


89 ADAP, D, XII, 2, d. 440.
90 DDI, IX, 7, d. 54.
91 Al riguardo: DDI, IX, 7, dd. 60, 61, 63.
92 Sull’incontro di Monfalcone: DDI, IX, 7, d. 72.
93 Luca Pietromarchi, Diario, 6 e 7 maggio 1941, cit.; CIANO, Diario, cit., pp. 509-510;
ADAP, D, XII, 2, d. 473.
94 Luca Pietromarchi, Diario, 6 e 7 maggio 1941, cit.
95 Il governo croato accettò la cessione di Spalato all’Italia ed in cambio Mussolini ri-
nunciò al controllo totale di tutta la costa dalmata. Il documento siglato prevedeva infatti che
riguardo alla Dalmazia l’Italia annettesse: le isole di Veglia/Krk e Arbe/Rab e tutti gli isolot-
ti vicini, nonché tutte le isole davanti a Zara; il retroterra di Zara, le città di Sebenico/Šibenik
e Traù e i loro hinterland; le isole di Tirona, Solta, Lissa/Vis, Biševo, S. Andrea, Pomo e al-
tre minori; la città di Spalato compresi i sobborghi; le isole intorno a Melàda; il distretto com-
prendente le Bocche di Cattaro. L’Italia, invece, rinunciava a Lesina/Hvar, a Brazza/Brac, a
Ragusa ed a tutta la Dalmazia centrale a sud di Spalato, territori lasciati alla Croazia indi-
pendente. Per addolcire la pillola agli amici ustascia, era prevista la futura conclusione di con-
venzioni che garantissero un regime di autonomia e di tutela dei diritti croati a Spalato.
LO SPAZIO VITALE 105

Vennero poi siglati un accordo di garanzia e di alleanza e una carta


con i nuovi confini. Si decise, infine, che la cerimonia per l’offerta del-
la corona di Croazia ai Savoia si sarebbe svolta a Roma il 18 maggio.
Un’atmosfera amichevole caratterizzò l’incontro di Monfalcone.
Pavelić era grato a Mussolini per il sostegno ricevuto grazie al quale
aveva conquistato il potere in Croazia. Durante la colazione al risto-
rante, il Poglavnik parlò del pericolo costituito dagli ebrei, racco-
gliendo l’approvazione del Duce; dichiarò poi agli amici italiani che
le rivendicazioni territoriali croate giungevano fino a Budapest, poi-
ché in quell’area, a suo avviso, in passato i croati erano stati l’elemento
maggioritario96. In treno, sulla via del ritorno a Roma, Mussolini si di-
chiarò soddisfatto dei risultati dei colloqui italo-croati, polemizzando
«con coloro che richiedevano una soluzione totalitaria della Dalmazia
trascurando il problema croato»97.
In realtà a Monfalcone non tutti i dubbi sui futuri confini vennero
sciolti e non furono superate tutte le ragioni di contrasto. Va, innan-
zitutto, sottolineata l’approssimazione che guidò l’azione del Ministero
degli Esteri italiano nel corso del negoziato con la Croazia nei mesi
di aprile e maggio98. Il negoziato fu iniziato e condotto da diplomati-
ci sostanzialmente ignoranti circa le questioni trattate, senza un ade-
guato studio preparatorio dei problemi, e lasciando un ruolo margi-
nale a tecnici ed esperti in possesso di un’approfondita conoscenza del-
la realtà economica, geografica e etnica della Croazia. L’imprepa-
razione italiana provocò una confusa gestione delle trattative: non
avendo un’adeguata conoscenza delle questioni, la diplomazia italia-
na delineò con lentezza un programma di richieste economiche e po-
litiche da presentare alla controparte croata; si palesò una certa con-
fusione anche riguardo alla precisa definizione del tracciato dei con-
fini. Solo con ritardo il governo di Roma comprese che i confini con-
cordati con Zagabria non avevano senso sul piano economico, strate-
gico e storico: lasciavano in mano croata il controllo delle maggiori
vie di comunicazione, d’importanti interessi economici italiani (le mi-
niere di Monte Promina) e delle principali risorse naturali della re-
gione. Nei giorni successivi all’incontro di Monfalcone, Casertano
avanzò richieste di nuove intese economiche e di piccole modifiche

96 Luca Pietromarchi, Diario, 6 e 7 maggio 1941, cit.


97 CIANO, Diario, cit., p. 510.
98 Al riguardo: EGIDIO ORTONA, Diplomazia di guerra. Diari 1937-1943, Bologna, 1993,
p. 141 e ss.
106 LUCIANO MONZALI

territoriali a vantaggio dell’Italia (spostamento del confine italo-croa-


to al fiume Kerka nella regione spalatina, annessione italiana di
Curzola/Korčula, ampliamento del territorio italiano delle Bocche di
Cattaro), provocando dure reazioni da parte del governo di Zagabria:

Non ti nascondo, a questo proposito – scrisse Casertano a Pietromarchi


il 10 maggio – che il solo accenno di nuove nostre richieste, come quella per
esempio relativa alla “linea dal fiume Kerka a Spalato” e quella della “linea
da Cavtat a Dobricevo” (Bocche di Cattaro) suscita qui stupore perché tutto
si ritiene ormai definito con l’incontro di Monfalcone, dove fu tra l’altro si-
glata una carta recante un tracciato che il dottor Pavelić si affrettò a segnare
e che temo non concordi pienamente col foglio, pure siglato, che è in pos-
sesso dell’Eccellenza il Ministro. Quella carta rimase nelle mani del dott.
Pavelić stesso, il quale evita in tutti i modi di mostrarmela99.

Pavelić, da parte sua, timoroso della reazione dell’opinione pub-


blica croata alla notizia dei confini decisi a Monfalcone, cercò di re-
sistere alle nuove richieste italiane e di avanzarne lui a sua volta. L’11
maggio chiese a Casertano che l’Italia concedesse alla Croazia la lo-
calità di Porto Re, necessaria all’economia croata per avere un porto
funzionante100. Di fronte alle domande italiane, Pavelić si difese con
dichiarazioni drammatiche. Il 13 maggio disse a Casertano che «Italia
può anche annettersi tutta la Dalmazia ma non pretendere che sia io
a cederla rimanendo al Governo contro volontà popolo. Il mio affet-
to per l’Italia costituisce già un atto di accusa miei avversari politici
e la propaganda che si va facendo nelle campagne mi definisce tradi-
tore come se volessi consegnare il mio paese all’Italia»101. Per non do-
vere rimandare la firma degli accordi Casertano consigliò al Ministero
di limitare le richieste italiane alla sola annessione di Curzola e a ret-
tifiche di dettaglio, risolvibili in sede di concreta delimitazione dei con-
fini. La firma dell’accordo confinario croato-tedesco il 13 maggio, che
stabilì la nuova delimitazione delle frontiere fra la Slovenia annessa
al Reich e lo Stato croato102, convinse la diplomazia italiana ad acce-
lerare i negoziati con Zagabria. Il 14 maggio Casertano ebbe nuovi col-
loqui con Pavelić che risultarono decisivi103. Il Poglavnik accettò di

99 DDI, IX, 7, d. 83.


100 DDI, IX, 7, d. 86.
101 DDI, IX, 7, d. 93.
102 DDI, IX, 7, d. 98; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 467.
103 DDI, IX, 7, d. 101.
LO SPAZIO VITALE 107

lasciare l’isola di Curzola alla sovranità italiana e di concludere inte-


se che avrebbero in parte soddisfatto la volontà dell’Italia di preser-
vare la «unità economica della Dalmazia», ma in cambio chiese l’an-
nessione di Porto Re e la concessione di uno statuto speciale per la
popolazione croata di Curzola. Dopo alcune tergiversazioni, la sera del
15 maggio Mussolini e Ciano accettarono le richieste croate circa Porto
Re e uno speciale regime amministrativo per Curzola. Un ultimo gra-
ve momento di tensione nei negoziati si ebbe a causa dei tentativi ita-
liani di imporre alla Croazia un’unione monetaria e doganale con
l’Italia. Per realizzare tale progetto Donato Menichella, all’epoca di-
rettore generale dell’IRI, si recò a Zagabria in quei giorni per dare man
forte a Casertano nei difficili negoziati economici104. Ma le richieste
italiane si scontrarono con le resistenze croate. Casertano riferì che
Pavelić aveva assunto un atteggiamento temporeggiatore. Il politico
croato – riteneva il diplomatico italiano – non voleva cedere alle ri-
chieste di unione doganale per timore di suscitare la suscettibilità ger-
manica e di danneggiare gli interessi di Berlino, «tanto più che vi so-
no segni manifesti premura tedesca per le risorse questo paese»105. La
volontà croata di privilegiare i rapporti economici con la Germania
portarono al fallimento del progetto dell’unione doganale con l’Italia.
Il 16 maggio fu portato a termine il negoziato confinario a Zagabria.
Casertano eseguì le istruzioni di Ciano e di Mussolini su Curzola e
Porto Re, ottenendo alcuni piccoli vantaggi territoriali nelle Bocche
di Cattaro e nel litorale di Ragusa. Il governo croato insistette per ot-
tenere un confine più vantaggioso nella Slovenia orientale, ma si scon-
trò con il rifiuto di Casertano106. L’opposizione croata alla creazione
di un’unione doganale con l’Italia mostrava lo stato di tensione e di
diffidenza esistente fra Roma e Zagabria107. Alla fine Mussolini ri-

104 DDI, IX, 7, d. 108. Per l’Italia la creazione di un’unione monetaria e doganale avreb-
be consentito l’assorbimento economico della Croazia, facilitando la sopravvivenza delle nuo-
ve province italiane sull’Adriatico orientale. Scrisse a tale proposito Casertano in quei gior-
ni: «Tentativo costituire unione doganale e pareggio monetario fra tutta la Dalmazia e terri-
torio limitrofo, qualora fosse accettato, potrebbe costituire base logica per riprendere al più
presto o quando da parte italiana si ritenesse opportuno, nostra originale tesi circa unione do-
ganale totalitaria e valutaria. Comunque esso darebbe unità economica alla Dalmazia legan-
dovi suo retroterra» (Ibidem).
105 DDI, IX, 7, d. 117.
106 DDI, IX, 7, d. 118.
107 Un’analisi realista delle difficoltà esistenti nelle relazioni italo-croate fu compiuta da
Donato Menichella in un memoriale datato 17 maggio. Menichella, tornato a Roma dopo la
conclusione dei negoziati a Zagabria, comunicò a Mussolini un quadro pessimistico delle pro-
108 LUCIANO MONZALI

nunciò all’unione doganale italo-croata preferendo garantire all’Italia


vaste annessioni territoriali a spese della Croazia.
Concluso il negoziato sui confini e fallito il progetto di trattato sul-
l’unione doganale e monetaria, la strada era aperta per la firma degli
accordi fra Italia e Croazia. Già il 14 maggio il Consiglio dei ministri
croato decise l’instaurazione della monarchia. Il 17 maggio la dele-
gazione croata, guidata da Pavelić, partì da Zagabria per Roma. La
mattina del 18 la delegazione croata si recò al palazzo del Quirinale,
dove, alla presenza di Vittorio Emanuele III, offrì la corona di Croazia
(corona di Zvonimiro, antico sovrano croato dell’età alto-medievale)
a un membro della famiglia regnante italiana. Pavelić, nell’indirizzo
rivolto a Vittorio Emanuele III, ricordò che la corona di Zvonimiro rap-
presentava la sovranità dello Stato indipendente di Croazia e che la
sua restaurazione consacrava «la volontà di vita del libero popolo croa-
to nella sua millenaria esistenza e ne definisce la struttura statale nel
nuovo ordine europeo promosso dalle potenze dell’Asse»108. Il Re
d’Italia rispose positivamente alla richiesta, ricordando la simpatia ita-
liana per le aspirazioni all’indipendenza della nazione croata, e desi-

spettive delle relazioni italo-croate. L’Italia non aveva forza economica né prodotti per com-
petere con la Germania in Croazia: «Pertanto o vi penetriamo per la via chiara ed aperta del-
l’unione doganale monetaria o non vi penetreremo mai e al nostro posto vi si instaurerà la
Germania che ha larghissimo seguito fra tutti gli uomini di affari di Zagabria vicini ai mini-
stri di Pavelić». Menichella si dimostrò critico verso i confini previsti dalle intese italo-croa-
te, che spezzavano l’unità economica della Dalmazia e rendevano le fabbriche e le popola-
zioni della costa dipendenti dai rifornimenti del retroterra attribuito alla Croazia. Piuttosto che
vaste annessioni territoriali in Croazia, per l’Italia era vantaggioso realizzare una forte unio-
ne doganale e monetaria italo-croata: «L’Italia non può avere uno spazio vitale che in Croazia
e in Dalmazia; o ha questo o dovrà andare a cercarselo soltanto nelle colonie. La Germania,
per non parlare del Nord e dell’Ovest europeo, ha l’Ungheria, la Rumenia, la Bulgaria e pren-
derà ora anche la Serbia. Se noi non abbiamo la Croazia e la Dalmazia, avremo perduto l’u-
nico polmone che ci permette di respirare. I cittadini di Spalato e Sebenico non potranno be-
nedire l’Italia se questa li mette nella condizione nella quale ha vissuto sin oggi Zara. […]
Duce, comprimete oggi le richieste dei militari, che non hanno giustificazione. Durante ven-
ti anni, la Jugoslavia amica e finanziata dalla Francia, non è riuscita a farsi una flotta; è pos-
sibile immaginare che in futuro possa farsene una che compete con quella italiana? Diamo
Curzola, facciamo ogni altra concessione territoriale se risponde ad esigenze etniche della
Croazia, ma aboliamo subito le barriere economiche fra l’Italia e la Croazia; ne guadagnerà
l’Italia, ma ne guadagnerà anche la Croazia (basta per convincersene girare l’Italia e la
Croazia). Sul terreno economico vi è una distanza di almeno cinquanta anni; l’unione eco-
nomica e monetaria la colmerà in un decennio. L’Italia cresce, l’Italia ha bisogno di mangia-
re; l’agricoltura, se industrializzata, sarà un notevole apporto per l’Italia»: (DDI, IX, 7, d. 131,
Menichella a Mussolini, 17 maggio 1941).
108 Il testo dell’indirizzo di Pavelić a Vittorio Emanuele III è riprodotto in «Relazioni
Internazionali», 24 maggio 1941.
LO SPAZIO VITALE 109

gnò suo nipote Aimone di Savoia-Aosta, duca di Spoleto, quale futu-


ro Re di Croazia109. Successivamente, nel corso di una cerimonia a
Palazzo Venezia, vennero firmati da Mussolini e Pavelić gli accordi
italo-croati110. Il primo accordo era il trattato per la delimitazione dei
confini fra il Regno d’Italia e il Regno di Croazia. L’Italia annetteva i
distretti di Castua, Susak, Čabar e parte di quello di Delnice, le isole
di Veglia e Arbe e tutti gli isolotti vicini, nonché tutte le isole davan-
ti a Zara; il retroterra di Zara, le città di Sebenico e Traù e i loro hin-
terland. Venivano unite al Regno d’Italia anche le isole di Tirona, Solta,
Lissa, Biševo, S. Andrea, Pomo e altre minori, la città di Spalato com-
presi i sobborghi, le isole di Curzola e Melàda, il distretto compren-
dente le Bocche di Cattaro. Venivano lasciate alla Croazia indipen-
dente le isole di Lesina e Brazza, Drniš, Knin, Sinj, Ragusa e tutta la
Dalmazia centrale a sud di Spalato. Una commissione, composta per
metà di delegati italiani per metà di delegati croati, avrebbe avuto l’in-
carico di procedere a determinare sul terreno i confini tra il Regno
d’Italia, compresa la provincia di Lubiana, e il Regno di Croazia. Un
protocollo stabiliva che, fino alla stipulazione di nuovi accordi, sa-
rebbero stati mantenuti in vigore fra Italia e Croazia, per quanto fos-
sero applicabili, i trattati conclusi fra il Regno d’Italia e l’ex Regno
di Jugoslavia. Importante per il governo di Zagabria era lo scambio
di lettere relativo al regime amministrativo di Spalato e al trattamen-
to delle minoranze. In esso l’Italia ribadiva il suo impegno di prepa-
rare in breve tempo il testo di una convenzione con il governo croato
riguardante l’ordinamento amministrativo per il comune di Spalato e
l’isola di Curzola. Per attenuare le critiche di parte dell’establishment
fascista, che vedeva negli accordi di Roma una nuova «vittoria muti-
lata», lo scambio di note prevedeva anche delle garanzie culturali, lin-
guistiche e scolastiche per le minoranze italiane nei territori e nelle
isole della Dalmazia croata. Fu firmato, poi, un accordo di carattere
militare riguardo alla zona litoranea adriatica. Il governo croato s’im-
pegnava a «non istituire e a non mantenere nelle isole e nella zona

109 Il testo della risposta di Vittorio Emanuele III a Pavelić in «Relazioni Internazionali»,
24 maggio 1941. Sulla figura di Aimone di Savoia: ANDREA UNGARI, Casa Savoia e la di-
plomazia fascista nei Balcani, in CACCAMO, MONZALI, L’occupazione italiana della
Iugoslavia, cit., in particolare p. 335 e ss.; GIAN NICOLA AMORETTI, La vicenda italo-croata
nei documenti di Aimone di Savoia (1941-1943), Rapallo, 1979.
110 I testi degli accordi italo-croati del 18 maggio 1941 sono conservati in ASMAE, GAB
1923-1943, UC, b. 52.
110 LUCIANO MONZALI

compresa tra il mare e la linea riportata sulla carta allegata, che fa par-
te integrante del presente accordo, alcuna opera o apprestamento mi-
litare terrestre, navale od aeronautico, alcuna base di operazione, al-
cuna installazione suscettibile di essere utilizzata a scopi di guerra né
alcuna fabbrica o deposito di munizioni e materiale di guerra».
L’articolo secondo sanciva l’impegno croato di non avere una marina
di guerra «salvo a disporre di unità specializzate necessarie ad assi-
curare i servizi di polizia e di finanza». Un ulteriore accordo avrebbe
precisato le modalità secondo le quali il governo italiano poteva ave-
re facoltà di fare transitare le sue Forze Armate sul territorio croato
lungo la rotabile litoranea Fiume-Cattaro, la linea ferroviaria Fiume-
Ogulin-Spalato e l’eventuale prolungamento fino a Cattaro.
Fondamento dell’alleanza fra l’Italia fascista e la Croazia ustascia
doveva essere il trattato di «garanzia e di collaborazione» fra i due
Paesi. Con l’articolo primo del trattato, che sanciva l’ingresso del
Regno di Croazia nel «nuovo ordine europeo», l’Italia assumeva «la
garanzia dell’indipendenza politica del Regno di Croazia e della sua
integrità territoriale nelle frontiere che saranno determinate d’accor-
do con gli Stati interessati». Il governo croato s’impegnava a non as-
sumere impegni internazionali «incompatibili con la garanzia stabili-
ta dall’articolo precedente e con lo spirito del presente Trattato», e a
valersi della collaborazione italiana per quanto riguardava l’organiz-
zazione e l’istruzione tecnica delle sue Forze Armate e la preparazio-
ne degli apprestamenti militari nel suo territorio. L’articolo quattro pre-
vedeva il futuro potenziamento, «non appena consolidata l’economia
dello Stato croato», delle relazioni di carattere doganale e valutario fra
i due Paesi. A tale scopo i due governi stabilivano la creazione di una
Commissione permanente. I due governi s’impegnavano anche a con-
cludere al più presto accordi speciali in materia di traffici ferroviari e
marittimi, di trattamento dei cittadini di uno dei due Stati nel territo-
rio dell’altro e di relazioni culturali e giuridiche. Concludeva il trat-
tato l’articolo sesto, che stabiliva l’entrata in vigore dell’accordo con
la sua firma e una sua durata di 25 anni. Il fatto che l’accordo di ga-
ranzia e collaborazione prevedesse un’unilaterale protezione italiana
dello Stato croato, senza reciprocità, sanciva chiaramente lo squilibrio
esistente nelle relazioni fra i due governi, con la chiara ambizione
dell’Italia fascista di trasformare la Croazia in un protettorato da es-
sa controllato. Ma l’incapacità italiana di assicurare la realizzazione
di un’unione monetaria e doganale fra i due Paesi rese sostanzialmente
vana la speranza di Mussolini di controllare in modo esclusivo lo Stato
LO SPAZIO VITALE 111

croato. Fin dal maggio 1941, attraverso un accordo economico segreto,


la Germania si assicurò il controllo privilegiato delle materie prime e
del commercio della Croazia, vanificando le ambizioni egemoniche
italiane nella regione111.
Il 10 giugno, in occasione di un discorso alla Camera dei Fasci e
delle Corporazioni dedicato ai problemi della guerra, Mussolini parlò
in termini positivi della posizione dell’Italia fascista in campo inter-
nazionale e presentò gli accordi italo-croati di Roma come uno dei pri-
mi successi concreti prodotti dall’intervento in guerra. Con la distru-
zione della Jugoslavia, «Stato mosaico creato artificiosamente a
Versaglia in funzione esclusivamente antiitaliana», e il risorgere del-
lo Stato croato l’Italia aveva potuto assicurare la propria egemonia nel-
la regione balcanica. Gli accordi di Roma garantivano piena soddi-
sfazione agli interessi italiani:

Fiume ha oggi un retroterra e con l’occupazione di tutte le isole del


Carnaro ha una consistenza che le mancava. Il porto di Fiume ha dinanzi a
sé sicure prospettive, poiché è destinato a servire il retroterra croato e ma-
giaro. Con l’annessione di quasi tutte le isole dell’arcipelago dalmata, con
la creazione delle nuove provincie di Spalato e Cattaro e l’allargamento del-
la vecchia di Zara, fedelissima, il problema può considerarsi risolto, specie
tenendo conto che esso deve essere inquadrato nella soluzione della sicu-
rezza adriatica, che considero definitiva, e in quello dei rapporti stabiliti fra
il Regno d’Italia e quello di Croazia, la cui corona è stata offerta a un Savoia
Aosta112.

Il politico romagnolo rispose anche a quei critici presenti nell’e-


stablishment fascista, che denunciavano gli accordi italo-croati come
una pace rinunciataria:

Noi avremmo potuto, volendo, spingere i nostri confini dai Velebiti alle
alpi albanesi, ma avremmo, a mio avviso, commesso un errore; senza conta-

111 Il 16 maggio il governo croato e quello tedesco firmarono a Zagabria, all’insaputa


dell’Italia, un’intesa segreta sulle relazioni economiche bilaterali. Il governo croato s’impe-
gnò a dare particolare considerazione agli interessi economici tedeschi esistenti in Croazia e
a riportare lo scambio di merci al livello esistente prima della guerra. La Germania avrebbe
potuto approvvigionarsi di materie prime senza impedimenti e nell’attribuzione di nuovi con-
cessioni particolare attenzione sarebbe stata data alle esigenze tedesche. I costi per il mante-
nimento delle truppe germaniche in Croazia sarebbero stati a carico dello Stato croato. Il te-
sto dell’intesa del 16 maggio 1941 è riprodotto in ADAP, D, XII, 2, d. 526.
112 Opera omnia di Benito Mussolini, Firenze, 1966, vol. XXX, p. 90 e ss., citazione p. 97.
112 LUCIANO MONZALI

re il resto, avremmo portato entro le nostre frontiere parecchie centinaia di


migliaia di elementi allogeni, naturalmente ostili. Ora, la storia antica, ma so-
prattutto la recente, dimostra che gli Stati devono tendere a realizzare il mas-
simo della loro unità etnica e spirituale, in modo da far coincidere a un cer-
to punto i tre elementi razza, nazione, Stato. Gli Stati che si caricano di trop-
pi elementi alloglotti hanno una vita travagliata. Può essere talvolta inevita-
bile di averli, per ragioni supreme di sicurezza strategica. Bisogna adottare
verso di essi un trattamento speciale, premesso, beninteso, la loro assoluta
lealtà di cittadini verso lo Stato. Comunque, quando la etnia non va d’accor-
do con la geografia, è l’etnia che deve muoversi. Gli scambi di popolazioni
e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali, perché portano a far coincide-
re i confini politici con quelli razziali113.

In realtà, nonostante i proclami di Mussolini, gli accordi di Roma


s’ispiravano a princìpi ben diversi da quelli di nazionalità e di ricer-
ca realistica di sicurezza militare, che erano stati alla base della poli-
tica estera dell’Italia prefascista. In un contesto internazionale domi-
nato dalla competizione imperialistica, l’Italia liberale aveva perse-
guito obiettivi espansionistici nei territori adriatici per garantirsi la si-
curezza strategica dei propri confini e l’annessione di terre dove era-
no presenti popolazioni di lingua e cultura italiane, limitando, però,
l’inclusione di popolazioni allogene: proprio per questa ragione si era
deciso di rinunciare all’annessione di gran parte della Dalmazia dopo
la prima guerra mondiale. L’Italia fascista abbandonava questo prag-
matismo in nome della creazione di uno spazio vitale italiano, privo
di precisi contorni e frutto più dei capricci di un dittatore che delle rea-
li esigenze della nazione italiana. Gli accordi di Roma e la politica di
conquista dell’Italia fascista favorirono l’unione allo Stato italiano di
numerose popolazioni allogene (sloveni della Slovenia centro-meri-
dionale, croati dell’hinterland fiumano e della Dalmazia, albanesi del
Kosovo). Eccetto che in Dalmazia, tutti gli altri territori annessi nel
1941 erano privi della presenza di una pur minima popolazione ita-
liana. Contrariamente alle aspettative della classe dirigente fascista, gli
accordi di Roma si dimostrarono un’illusoria vittoria politica per
l’Italia. Il governo di Roma annesse la Slovenia meridionale, il retro-
terra di Fiume, gran parte della Dalmazia, le Bocche di Cattaro e qua-
si tutto il Kosovo, ma fu incapace di dare vita a un assetto politico sta-
bile in questi territori. La disgregazione della Jugoslavia diede il via

113 Ibidem.
LO SPAZIO VITALE 113

all’esplodere di feroci lotte militari e nazionali fra le popolazioni au-


toctone e le forze occupanti e alimentò una guerra civile jugoslava che
avrebbe provocato centinaia di migliaia di vittime. Il sogno della co-
stituzione di un Impero adriatico dell’Italia sarebbe tramontato nel gi-
ro di pochi mesi e sulle sue macerie si sarebbe costituita la Jugoslavia
comunista guidata da Josip Broz, detto Tito.
APPENDICE
Cartine
INDICE DEI NOMI

Afflerbach Holger, 7n Benzon Branko, 104


Aimone Savoia Aosta, 109 e n Biagini Antonello, 16n, 28n
Alatri Paolo, 18n, 22n Bianchini Stefano, 46n, 101n
Albertini Luigi, 7n, 9n, 10n, 11 e n, 12, Bilandžić Dušan, 14n
32n Binder Dieter A., 47n
Albrecht-Carrié René, 18n, 19n Bissolati Leonida, 10 e n
Aldrovandi Marescotti Luigi, 18n Bolech Cecchi Donatella, 26n, 39n,
Alessandro Karadjordjević, Re SHS, 66n, 79n
38, 44, 55, 56, 57 Bonomi Ivanoe, 10n, 17, 30, 32
Alfieri Dino, 96, 101 Borejsza Jerzy W., 66n
Aloisi Pompeo, 50, 51n, 61, 63 Borgogni Massimo, 42n, 80n, 83n
Amoretti Gian Nicola, 109n Boris III di Sassonia Coburgo, Zar dei
Anchieri Ettore, 37n Bulgari, 46
André Gianluca, 82n, 83n, 84n Bosworth Richard J. B., 37n
Anfuso Filippo, 60n, 87n, 88, 89n, 90 e Botta Franco, 36n
n, 91, 93, 95 Breccia Alfredo, 46n, 79n, 80n, 81n,
Apih Elio, 10n, 27n, 48n 83n, 84n, 85n
Apollonio Almerigo, 27n Broucek Peter, 92n
Ara Angelo, 59n Broszat Martin, 101n
Attolico Bernardo, 59, 76 Broz Josip detto Tito, 113
Averescu Alexandru, 44 Brundu Olla Paola, 66n
Bucarelli Massimo, 22n, 36n, 38n, 42n,
Badoglio Pietro, 84n 44n, 48n, 49n, 55n, 56n, 57n, 66n,
Baer George W., 58n 68n, 69 e n, 85n, 99
Bagnato Bruna, 91n Buccianti Giovanni, 57n
Baker Ray Stannard, 19n Buchanan George William, 30n, 31n
Balbo Italo, 59 Burgwyn H. James, 18n, 37n, 44n, 46n,
Ballarini Amleto, 8n, 16n 82n
Banac Ivo, 14n, 16n Buti Gino, 92, 99
Barbagallo Francesco, 21n
Barié Ottavio, 10n, 11n Caccamo Francesco, 8n, 9n, 15n, 16n,
Bariety Jacques, 13n 17n, 18n, 20n, 22n, 23n, 25n,
Barker Elisabeth, 85n 39n, 40 e n, 41n, 46n, 85n, 101n,
Barrère Camille, 32n 109n
Barthou Louis, 32n, 57 Calder Kenneth J., 13n
Bartulin Nevenko, 89n Calvitt Clarke III Jay, 52n
Beck Jósef, 73 Cantalupo Roberto, 37n
Beneš Edvard, 40, 41, 50 e n Capuzzo Ester, 16n
Benini Zenone, 92 Carlucci Paola, 9n
124 INDICE DEI NOMI

Carocci Giampiero, 37n, 42n, 44n, 46n, Di Figlia Matteo, 59n


47n Dilks David, 58n
Caroli Giuliano, 20n, 44n Di Nolfo Ennio, 37n, 42n, 46n, 47n, 65
Carter Bernard, 49n en
Casella Francesco, 46n Dockrill Michael L., 18n
Casertano Raffaele, 102, 103, 105, 106, Dogo Marco, 42n, 44n
107 e n Dollfuss Engebert, 53 e n, 55, 59
Cassels Alan, 36n, 37n, 39n, 44n, 47n Donosti Mario vedi Luciolli Mario
Cattaruzza Marina, 8n Dragnich Alex N., 14n
Cerruti Vittorio, 61 Dudan Alessandro, 76 e n, 83n, 89, 90
Cervi Mario, 84n e n, 103 e n
Ceva Lucio, 84n Duroselle Jean-Baptiste, 14n, 18n, 19n,
Charles-Roux François, 31n 52n, 57n, 66n, 73n, 79n, 83n
Christich/Christić Bochko, 73
Ciano Galeazzo, 59, 60n, 63, 65, 67 e Ercolani Antonella, 22n, 80n
n, 69, 71n, 73, 74 e n, 75 e n, 76 e
n, 77 e n, 78n, 79n, 80n, 82n, 83 e Facta Luigi, 17, 32
n, 84, 92, 94 e n, 95, 96, 97, 99, 100 Falanga Gianluca, 66n, 102n
e n, 101 e n, 102 e n, 103, 104 e n, Faldella Emilio, 84n
107 Farinacci Roberto, 59
Colapietra Raffaele, 10n Federzoni Luigi, 25n
Contarini Salvatore, 29n, 36, 37 e n, Fejtö François, 13n
38n, 43 Fellner Fritz, 7n
Coppola Francesco, 36n Ferenc Tone, 87n
Corsini Umberto, 8n, 21n Ferraioli Gianpaolo, 7n
Coverdale John, 66n Fink Carole, 32n
Crainz Guido, 17n Fischer Bernd J., 42n, 80n
Crampton Richard J., 46n Fisichella Domenico, 35n
Crespi Silvio, 18n François-Poncet André, 63n
Curato Federico, 20n Frohn Axel, 32n
Curzon di Kedleston George Nathaniel, Funke Manfred, 59n
21n, 30n, 31n, 32n
Cuzzi Marco, 87n Galli Carlo, 48 e n, 49, 55, 61, 99
Cvetković Dragiša, 81 Garzia Italo, 18n, 19n, 36n
Gatta Bruno, 10n
D’Amoja Fulvio, 46n, 65n Gehl Jürgen, 59n
D’Annunzio Gabriele, 22, 25 Gentile Emilio, 30n, 35n
Dassovich Mario, 16n, 24n, 37n, 39n, Gerra Ferdinando, 22n
45n, 48n, 49n Giannini Amedeo, 23n, 33n, 39n
De Benvenuti Angelo, 8n Gigli Americo, 98 e n, 99
De Castiglioni Maurizio Lazzaro, 92 Giglio Carlo, 52
De Felice Renzo, 12n, 22n, 25n, 27n, Giglioli Alessandra, 66n, 79n
30n, 35n, 51n, 52n, 57n, 58n, 59n, Giolitti Giovanni, 17, 23, 24, 25, 28, 29
65 e n, 66n, 69n, 71n, 73n, 76n, e n, 30 e n, 32, 103
77n, 79n, 80n, 82n, 83n, 84n, 93n, Giordano Giancarlo, 23n
101n Giovanna di Savoia, 46
De Martino Giacomo, 13n Giuriati Giovanni, 22n
De Vergottini Tomaso, 50n Glaise von Horstenau Edmund, 92
INDICE DEI NOMI 125

Gobetti Eric, 44n, 86n Kristo Jure, 89n


Goldinger Walter, 47n Krizman Bogdan, 44n, 84n, 87n, 88n,
Goldstein Erik, 18n 89n, 92n, 95n, 100n, 101n, 106n
Goold J. Douglas, 18n Krüger Peter, 32n
Göring Hermann, 55, 72, 78n Kulovec Franc, 87
Graham Ronald, 32n Kvaternik Slavko, 87n, 88 e n
Grandi Dino, 41, 43 e n, 49, 50 Kybal Vlastimil, 37n, 39n
Grassi Orsini Fabio, 43n
Grazzi Emanuele, 84n La Marca Nicola, 49n
Grumel-Jacquignon François, 15n, 43n Lampe John R., 14n, 49n, 68n, 69n, 79n
Guariglia Raffaele, 37n, 48 e n Lanza Michele, 101n
Guerri Giordano Bruno, 59n, 67n Laurens Franklin D., 58n
Guida Francesco, 15n, 31n, 42n, 46n Laval Pierre, 57, 61
Ledeen Michael A., 22n
Haas Hans, 20n Lederer Ivo J., 14n, 15n, 18n, 19n, 23n,
Hassell Ulrich von, 59 e n, 63n 24n
Haywood Geoffrey A., 9n Lefebvre D’Ovidio Francesco, 36n,
Heideking Jurgen, 32n 37n, 38n, 42n, 44n, 46n, 47n, 53n,
Helmreich Paul C., 18n 54n, 58n, 59n, 61n
Henderson Nevile, 57n Legatus vedi Cantalupo Roberto
Hildebrand Klaus, 80n Le Moal Frédéric, 13n, 15n
Hillgruber Andreas, 73n, 80n, 83n Lessona Alessandro, 58n
Hitler Adolf, 51, 55, 60, 67, 70, 71, 72, Lill Rudolf, 21n
77, 78, 85, 88 e n, 89, 92, 95, 96, 97, Longo Luigi Elmo, 16n, 22n
103 Luciolli Mario, 43n
Hoare Samuel, 58n Luigi XIV di Borbone, Re di Francia,
Hory Ladislaus, 101n 96
Hodža Milan, 62 Luza Radomir, 40n
Hoptner Jacob B., 68n, 81n
Hubert Rainer, 47n Macchi di Cellere Vincenzo, 9n
Maček Vladko, 69, 77, 79, 81, 86 e n,
Imperato Federico, 12n 87
Mackensen, Hans Georg von, 77 e n, 78
Jacques Edwin E., 42n Macmillan Margaret, 18n
Jacomoni Francesco, 80n Magistrati Massimo, 71n
Janjatović Bosiljka, 14n Malfer Stefan, 20n
Jareb Mario, 44n Mamatey Victor S., 13n, 40n
Jedlicka Ludwig, 67n Mantoux Paul, 19n
Juhasz Gyula, 54n Manzoni Gaetano, 27, 28n
Juso Pasquale, 44n, 57n Maranelli Carlo, 10n
Margiotta Broglio Francesco, 13n
Kerekes Lajos, 21n, 47n Marras Efisio, 71, 72n, 74
Kindermann Gottfried-Karl, 53n Marsico Giorgio, 20n
Kisić-Kolanović Nada, 101n Masaryk Tomáš Garrigue, 40, 50
Knox Mac Gregor, 37n, 66n, 82n Massagrande Danilo, 28n, 29 e n, 30 e n
Kovač Miro, 15n Matković Hrvoje, 14n, 89n
König Malte, 72n, 84n Mayer Arno, 13n, 19n
Krek Miha, 87 Mazower Mark, 80n
126 INDICE DEI NOMI

Mazzini Giuseppe, 10 Orde Anne, 15n


Medlicott Norton, 58n Orlando Vittorio Emanuele, 12, 13, 16,
Melchionni Maria Grazia, 14n, 15n, 17, 18n, 103
23n, 24n, 25n Ortona Egidio, 105n
Menichella Donato, 107 e n, 108n
Meriano Francesco, 48n Paolo Karadjordjević, principe reggen-
Messersmith George, 71n te di Jugoslavia, 69, 79, 81, 85
Michaelis Meir, 59n Papen Franz von, 55
Micheletta Luca, 10n, 18n, 21n, 22n, Pardini Giuseppe, 59n
23n, 24n, 25n, 30n, 31n, 32n, 80n, Paresce Gabriele, 39n
84n Pašić Nikola, 38
Millo Anna, 50n Pastor Peter, 15n
Minardi Salvatore, 57n Pastorelli Pietro, 9n, 18n, 37n, 37n, 41n,
Minniti Fortunato, 66n 42n, 61n, 65n, 77n, 80n, 101n
Monticone Alberto, 13n, 21n Pavelić Ante, 44, 56, 83, 87, 88, 89, 97,
Monzali Luciano, 7n, 8n, 9n, 10n, 11n, 99, 100, 101, 102, 104, 105, 106,
16n, 17n, 18n, 22n, 23n, 24n, 25n, 107, 108 e n, 109 e n
26n, 28n, 29n, 30n, 33n, 36n, 38n, Pavlowitch Stevan K., 14n, 85n
48n, 76n, 85n, 86n, 89n, 101n, 109n Pelagalli Sergio, 43n, 72n
Mori Renato, 58n, 59n Perfetti Francesco, 22n
Morozzo Della Rocca Roberto, 42n, Perman Daniel, 20n
Mosca Rodolfo, 15n, 20n, 31n Perna Valerio, 73n, 78n
Moscati Ruggero, 37n Petersen Jens, 51n, 54n, 59n
Motta Giuseppe, 80n Petracchi Giorgio, 11n, 17n, 30n, 32n,
Mussolini Benito, 24, 33, 35 e n, 36, 37 50n
e n, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 45, 46, Petricioli Marta, 31n
47, 49, 50 e n, 51, 52, 53, 54, 55, 56, Petrinović Ivo, 44n
57, 58, 59, 60n, 61 e n, 62, 65, 66, Pezzoli Leonardo, 39n
67, 70, 72, 73, 74, 75 e n, 76 e n, 77, Philipps William, 67n
78 e n, 82, 83 e n, 84, 85, 87, 88, 89, Pietromarchi Luca, 91 e n, 92, 93 e n,
90, 91, 92, 93, 94 e n, 95, 99, 101, 94 e n, 95 e n, 96 e n, 99n, 100n,
102, 103, 104, 105, 107 e n, 108n, 104 e n, 105n, 106
109, 110, 111, 112 Pirjevec Jože, 14n, 79n, 81n
Pizzigallo Matteo, 32n, 37n
Nani Umberto, 39n Pribram Alfred Francis, 7n
Nattermann Ruth, 91n Privitera Francesco, 101n
Neck Rudolf, 67n, 70n Puaux Gabriel, 53n
Negrotto Cambiaso Lazzaro, 37n Pupo Raoul, 48n, 86n
Nello Paolo, 43n
Nenezić Dragan S., 86n Quaroni Pietro, 42n
Nicolson Harold, 18n Quartararo Rosaria, 65n, 79n
Nieri Rolando, 9n
Nigro jr. Louis John, 19n Randi Oscar, 93
Nitti Francesco Saverio, 13, 17, 21 e n, Réti György, 54n, 73n, 75n, 78n
22, 32, 103 Riccardi Arturo, 103n
Noli Fan, 42 Riccardi Luca, 8n, 9n, 11n, 18n, 19n,
Nuti Leopoldo, 82n 24n, 44n, 61n, 89n
Ribbentrop Joachim, 78 e n, 86, 92, 95,
INDICE DEI NOMI 127

96, 97, 100 Soutou Georges-Henri, 14n


Rocco Guido, 29n Spector Sherman D., 20n
Rochat Giorgio, 58n Starhemberg Ernest Rüdiger, 47, 53, 61
Rodd Rennell, 21n Steininger Rolf, 21n, 72n
Rodogno Davide, 82n Steurer Leopold, 72n
Romano Sergio, 37n Stojadinović Milan, 57, 68 e n, 69, 74,
Roselli Alessandro, 42n 79 e n, 84, 85n
Rossini Daniela, 19n Sundhaussen Holm, 101n
Rosso Augusto, 61 Suppan Arnold, 8n, 20n, 47n, 48n, 53n
Rothwell Victor H., 13n, 18n Suvich Fulvio, 50 e n, 51 , 54 e n, 59,
Ruegger Paul, 80n 60 e n, 61, 63
Swire Joseph, 42n
Sadković James J., 44n
Saiu Liliana, 18n Tacconi Antonio, 48n, 89 e n, 90 e n,
Saint-Aulaire Charles de, 32n 103
Sala Teodoro, 86n Talpo Oddone, 86n, 90n, 101n, 103n
Salandra Antonio, 8, 18n Tamaro Attilio, 14n, 24n, 25n, 26 e n,
Salata Francesco, 52n, 76n, 89 e n, 90 36n
e n, 103 Tamborra Angelo, 10n, 12n
Salvadori Massimo L., 10 Tasso Antonio, 68n
Salvatorelli Luigi, 7n Tellini Enrico, 42
Salvemini Gaetano, 10 e n, 11n, 12, 24n Templewood Viscount vedi Hoare
Salvi Beniamino, 8n Samuel, 58n
Schanzer Carlo, 32 e n, 33 Tillman Seth P., 18n
Scarano Federico, 47n, 51n Tittoni Tommaso, 21
Schmidt-Neke Michael, 42n Tolomeo Rita, 31n, 46n
Schober Richard, 8n, 21n Tomasi Della Torretta Pietro, 30 e n, 31
Schober Johann, 47, 48 Tommasini Francesco, 31 e n
Schödl Günther, 8n Torre Andrea, 12
Scottà Antonio, 13n Toscano Mario, 9n, 15n, 72n, 77n, 78n,
Schuschnigg Kurt von, 55, 61, 67n, 70 80n
Segre Claudio G., 59n Tosi Luciano, 12n
Seipel Ignaz, 47 Tosti di Valminuta Fulco, 32
Senesi Liliana, 65n Tranfaglia Nicola, 29n
Šepić Dragovan, 8n, 86n Trifkovic Srdja, 44n, 101n
Seton-Watson Christopher, 13n Troebst Stefan, 46n
Seton-Watson Hugh, 13n Trumbić Ante, 12, 24, 25, 30
Sforza Carlo, 23 e n, 24 e n, 25 e n, 26,
28, 29, 30, 31, 36, 37 Umiltà Carlo, 39n, 48n, 49 e n
Shorrock William I., 38n, 44n, 57n Ungari Andrea, 109n
Silva Pietro, 10 e n Urbanitsch Peter, 8n
Silvestri Claudio, 27n
Simon John, 57n Valiani Leo, 8n, 9n, 10n, 11n, 12n, 15n
Simoni Leonardo vedi Lanza Michele Vansittart Robert, 58n
Singleton Fred, 49n Veneruso Danilo, 11n, 30n, 32n
Smith Michael Llewellyn, 18n Vittorio Emanuele III, Savoia, Re
Sonnino Sidney, 8 e n, 9 e n, 10, 12, d’Italia, 46, 108 e n, 109n
13n, 20 Vivarelli Roberto, 10n, 12n, 17n
128 INDICE DEI NOMI

Vrandečić Josip, 8n Wuescht Johann, 69n


Wylie Neville, 81n
Wandycz Piotr, 15n, 39n, 44n
Wandruszka Adam, 8n, 70n Young Alban, 23n, 42n
Watt Donald Cameron, 79n, 81n
Weinberg Gerhard L., 52n, 59n, 80n Zeno Livio, 23n
White Stephen, 32n Živojinović Dragan, 19n, 81n
Wilson Woodrow, 19 e n, 23 Zogolli Ahmed/Zog, 42, 43
Wilson Hugh R., 71n Žuric-Scotti Neva, 86n
Woller Hans, 51n Zvonimiro, Re croato, 102, 108
Wörsdörfer Rolf, 48n
INDICE GENERALE

Elenco dei fondi archivistici, delle raccolte documentarie


e delle abbreviazioni ........................................................................ p. 5

I. L’ITALIA LIBERALE, LA DISSOLUZIONE DELL’IMPERO ASBURGICO


E LA COSTITUZIONE DEL REGNO DEI SERBI, CROATI E SLOVENI ........ » 7

II. DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ ALLA CREAZIONE DEL DISORDINE.


L’ITALIA FASCISTA, LA JUGOSLAVIA E LA REGIONE DANUBIANA
1922-1936 .................................................................................... » 35

III. MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA


NELL’EUROPA DANUBIANA E BALCANICA 1936-1940 ...................... » 65

IV. LO SPAZIO VITALE. L’ITALIA FASCISTA, LA DISGREGAZIONE


DELLA JUGOSLAVIA E LA NASCITA DELLA CROAZIA
INDIPENDENTE ................................................................................ » 83

Appendice:
Cartine ........................................................................................ » 115

Indice dei nomi ................................................................................. » 123


FINITO DI STAMPARE
NEL MESE DI GIUGNO 2010
PER CONTO DELLA
CASA EDITRICE LE LETTERE
DALLA TIPOGRAFIA ABC
SESTO FIORENTINO - FIRENZE
BIBLIOTECA
DI «NUOVA STORIA CONTEMPORANEA»

1. Paolo Simoncelli, Renzo De Felice. La formazione intellettuale.


2. Giovanni Ansaldo, Il ministro della buona vita. Giovanni Giolitti
e i suoi tempi. Prefazione di Francesco Perfetti.
3. Gioacchino Volpe, Italia moderna. 1815-1898. Introduzione di
Francesco Perfetti.
4. Gioacchino Volpe, Italia moderna. 1898-1910.
5. Gioacchino Volpe, Italia moderna. 1910-1915.
6. Giovanni Artieri, Umberto II - Il Re gentiluomo. Colloqui sulla fine
della monarchia. Introduzione di Francesco Perfetti. Prefazione di
Paolo Cacace.
7. Guzmán M. Carriquiry Lecour, Una scommessa per l’America la-
tina. Memoria e destino storico di un continente.
8. Ernst Nolte, Esistenza storica. Fra inizio e fine della storia? Tradu-
zione e cura di Francesco Coppellotti.
9. Furio Biagini, Il ballo proibito. Storie di ebrei e di tango. Prefazione
di Moni Ovadia.
10. Antonio Donno, In nome della libertà. Conservatorismo america-
no e guerra fredda.
11. Eugenio Di Rienzo, Un dopoguerra storiografico. Storici italiani
tra guerra civile e Repubblica.
12. Andrea Ungari, In nome del Re. I monarchici italiani dal 1943 al
1948. Prefazione di Francesco Perfetti.
13. Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla
Grande Guerra.
14. Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omi-
cidio politico.
15. Giuliana Iurlano, Sion in America. Idee, progetti, movimenti per
uno Stato ebraico (1654-1917). Prefazione di Francesco Perfetti.
16. Sicanus, La verità sull’Ovra. A cura di Giuseppe Pardini.
17. Il fascismo e i partiti politici italiani. Testimonianze del 1921-1923.
A cura di Renzo De Felice. Postfazione di Francesco Perfetti.
18. Fascisti in Sud America. A cura di Eugenia Scarzanella.
19. Federico Tondi, Chi ha ucciso la Balena bianca? Prefazione di
Marco Follini. Introduzione di Giovanni Pallanti.
20. Nicholas Farrell, Mussolini.
21. Francesco Perfetti, Parola di Re. Il diario segreto di Vittorio Emanuele.
22. Eugenio Di Rienzo, Storia d’Italia e identità nazionale. Dalla
Grande Guerra alla Repubblica.
23. Franco Valsecchi, L’Europa delle nazionalità. Prefazione di Fran-
cesco Perfetti.
24. Paolo Simoncelli, Tra scienza e lettere. Giovannino Gentile (e
Cantimori e Majorana). Ricostruzioni e polemiche.
25. Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. 1914-1924.
26. Andrea Ungari, Un conservatore scomodo. Leo Longanesi dal fasci-
smo alla Repubblica.
27. Giuseppe Pardini, Roberto Farinacci ovvero della rivoluzione fascista.
28. Antonio Donno, Barry Goldwater. Valori americani e lotta al co-
munismo.
29. Eugenio Di Rienzo, La storia e l’azione. Vita politica di Gioacchi-
no Volpe.
30. L’occupazione italiana della Iugoslavia (1941-1943). A cura di
Francesco Caccamo e Luciano Monzali.
31. Richard Drake, Apostoli e agitatori. La tradizione rivoluzionaria
marxista in Italia.
32. Giuseppe Bedeschi, Liberalismo vero e falso.
33. Paolo Simoncelli, Cantimori e il libro mai edito. Il Movimento na-
zionalsocialista dal 1919 al 1933.
34. Giuseppe Pardini, Fascisti in democrazia. Uomini, idee, giornali
(1946-1958).
35. Delio Cantimori e la cultura politica del Novecento. A cura di Eu-
genio Di Rienzo e Francesco Perfetti.
36. Simonetta Bartolini, Ardengo Soffici. Il romanzo di una vita.
37. André François-Poncet, A Palazzo Farnese. Memorie di un amba-
sciatore a Roma 1938-1940. A cura e con un saggio introduttivo
di Maurizio Serra.
38. Francesco Perfetti, La repubblica (anti) fascista. Falsi miti, mostri
sacri, cattivi maestri.
39. Enrico Serra, La diplomazia. Strumenti e metodi.
40. Didier Musiedlak, Il mito di Mussolini.
41. Paolo Simoncelli, L’epurazione antifascista all’accademia dei Lin-
cei. Cronache di una controversa «ricostituzione».
42. Mario Luciolli, Mussolini e l’Europa. La politica estera fascista.
43. Federico Niglia, Fattore Bonn. La diplomazia italiana e la Germa-
nia di Adenauer (1945-1963).
44. Giovanni Sedita, Gli intellettuali di Mussolini.
45. Mireno Berrettini, La Gran Bretagna e l’antifascismo italiano. Di-
plomazia Clandestina, Intelligence, Operazioni speciali (1940-
1943). Prefazione di Massimo de Leonardis.
46. Luciano Monzali, Il sogno dell’egemonia. L’Italia, la Questione Ju-
goslava e l’Europa Centrale (1918-1941).

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