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Percorso di dante

• Canto 5 - Secondo cerchio: Minosse ed i Lussuriosi come storni e gru


(tempesta marina), rassegna di anime illustri (semiramide, didone,
cleopatra, elena, paride, achille, tristano), Paolo e Francesca (colombe/po),
i tre amor, domanda dante e dolore nel rispondere, colpevoli gianciotto e il
libro (galeotto)
• Canto 6 – Terzo cechio: Cerbero (elementi umani/somiglianze con i dannati:
urla e movimenti convulsi, gran vermo/similitudine cane alla
catena/simbolo cieca cupidigia) e i golosi (pioggia fredda e poltiglia
putrida= vermi/no volto), Ciacco (domande dante: esito lotte/se
rimangono uomini giusti/motivo lotte, risposta: esilio dante/giungono al
sangue ed espulsione dei bianchi 1308/pochissimi/superbia invidia
avarizia), virgilio giorno del giudizio
• Canto 10 – Sesto cerchio: eretici in particolare epicurei, tombe
scoperchiate nella città di dite, Farinata (ossa
resumate/ghibellino/superbia/1248 federico 2 e 1260 battaglia montaperti
• 1304 nasce ad Arezzo (famiglia di fiorentini guelfi bianchi, notai) esilio da
Firenze
• 1311 si trasferisce ad Avignone, studi giuridici per volere del padre
all'università di Montpallier, ma a lui interessano gli studi letterari (Bologna)
• 1326 muore padre torna ad Avignone, 6 aprile 1327 vede Laura nella chiesa
di s. Chiara ad Avignone (venerdì santo: in un momento importante della
cristianità lui si abbandona al peccato)
• 1330 carriera ecclesiastica ottenendo gli ordini minori (vantaggi economici
per finanziare gli studi, 1333 Pro Archia e Confessioni diviene bibliofilo
(periodo cattività avignonese/crisi poteri istituzionali)
• Due figli naturali ma non riconosciuti poiché chierico (no figli illegittimi),
1337-43 Valchiusa dove inizia a scrivere molte opere
• 1341 incoronato grande poeta a Roma da Roberto d'Angiò signore Napoli
(offerta anche da Parigi), si reca a Parma ospitato da Azzo da Creggio dove si
dedica all'Africa, 1342 muore amico Giacomo Colonna
ad Avignone, inquietitudine religiosa per il fratello Gherardo dinventato
monaco (più coerente)
• Napoli, Parma castello di Guardastone (signori da Careggio)
corrisondente Valchiusa, Bologna, Verona (indignazione lotte "italia mia",
lettere cicerone ad Attico, a Quinto, a Bruto, idea proprio epistolario),
Valchiusa
• 1347 Cola di Rienzo fonda il governo popolare della Repubblica romana e
Petrarca lo sostiene con un manifesto del suo pensiero politico, ma
cola fallisce ostacolato dalle famiglie nobili, rottura con Giovanni colonna
acerrimo nemico, Verona e poi Parma, pestilenza uccide sia Giovanni che
Laura (nuova visione mondo contrassegnato da precarietà) 6 aprile
• Roma per il giubileo, 1350 Firenze ospitato da Boccaccio amicizia (ricerca
e scambio libri, confronto antichi e nuovo, tentativo greco), Valchiusa
per l'ultima volta, 1353 rottura drastica Milano ospitato dai Visconti
(letterario che vuole un mecenate) importanti missioni diplomatiche,
ospita Boccaccio, 1361 Padova, 62-68 Venezia Senili (lettere vecchiaia)
stesura definitiva Canzoniere (Giovanni Malpaghini) e"sull'ignoranza"
• 1368-74 Arqua muore vicino Padova sugli euganei (francesco da carrara)
• Ricercatore di libri (pro archia/ più grande biblioteca privata europea xiv
sec)con amore per i classici, emulazione (figlio- padre non ne limita la
libertà/api) amico Boccaccio, radici civiltà europea e umanistica (modelli
virtù civili uomini come cesare virgilio), dagli episodi apprendeva
insegnamenti per il presente (roma incoonazione perché vuole unificare
l'italia attraverso la capitale: fine gerre e unità culturale), l'uomo cresce e si
afferma solo con i confronto con i maestri (platone e aristotele),
sprezzante per la propria epoca
• Irrequieto uomo (porto, passione umanistica e beni terreni vs cristianità:
"confessioni"/università /problema destino/ senso del peccato, incoerenza
riflessa in Laura simbolo condizione umana e bellezza terrena, dopo la sua
morte guidato) scrittore (incapacità di dedicarsi a una sola
vocazione, frammenti di cose in volgare, rielabora più volte i testi,
incompiuti l'africa e i trionfi)
• Scrive prevalentemente in latino prosa e poesia(africa) titoli latini, volgare
in versi allo stesso livello del ltino ma lingua dell'arte per poesia nuova e
romantica, lirica e allegorica (canzoniere e trionfi), cronologia incerta (mai
soddisfatto) tra il 1340 e 50
Analogie: origine fiorentina, tradizione letteraria (politica sguardo e saluto), opera di donna
in vita e in morte (VIta Nova e Canzoniere), Petrarca riconosce in Dante un maestro.
dante petrarca
• Neologismi e sperimentalismo • Lessico preciso sviluppato dall'inizio alla fine
• Ricerca della realtà in qualcosa di più grande, dio e • Ricerca della realtà interiore, intimità e solitudine
umanità
• Soprattutto latino, crede di diventare famoso con
• Volgare difeso nel de vulgari eloquentia (latino solo l'Africa, al pari del volgare
per opere dottrinali come il de monarchia), riconosce
il vantaggio comunicativo nel convivio • Peccato non come simbolo di cambiamento
• Peccato visto come stimolo per il cammino verso la • Donna percepita come passione terrena, amore per
salvezza lei è un peccato da evitare ma incontenibile (dubbi sul
suo percorso ecclesiastico)
• Donna creatura angelica che porta a dio, l'amore per
lei lo eleva (teologico) • Riconosciuto con l'incoronazione
• Mai incoronato • Non lavorò mai e disdegnò la politica (sostiene), al di
sopra della parti
• Fu priore, partecipò attivamente tanto che fu esiliato,
presa forte di posizione • Può tornare a firenze ma vuole viaggiare
• Vorrebbe tornare a Firenze ma non può • Platone e Aristotele (emulazione)
• Virgilio (testi selezionati e filtrati in chiave cristiana) • Bibliografo
• Libri come strumento (conta l'esperienza) • Numerologia 6 (non è così perfetto poiché 2x3, ce dio
ma impedito, numero della tentazione)
• Numerologia 9 (triade ripetuta per se stessa)
• Non concepisce la vita come compimento volontà
• Dio governa tutto (giorno del giudizio) divina
"Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono"
• Solo e pensieroso mi aggiro e misuro a passi
• le più deserte pianure a passi affaticati e lenti,
• e tengo lo sguardo vigile per fuggire qualsiasi luogo
• dove ci siano tracce di umanità.
• Non trovo altra difesa in grado di proteggermi
• dalla folla delle genti, alla quale risulta manifesta
• la mia condizione, perché, venuto meno ogni impeto di allegria,
• fuori si palesa il mio fuoco interiore:
• al punto che io ormai credo che monti, pianure,
• fiumi e boschi sappiano che genere di vita
• io conduca, e che resta sconosciuta agli altri uomini.
• Pur tuttavia non sono capace di trovare percorsi
• così impervi e inaccessibili, che Amore non venga sempre
• a discorrere con me, e io con lui.
“Era il giorno ch'al sol si scoloraro”
• Era il giorno in cui al sole si oscurarono
• i raggi per la pietà nei confronti del suo Creatore,
• quando io fui preso dall’amore, e non mi difesi,
• perché i vostri begli occhi, Donna, mi avvinsero.
• Non mi sembrava un giorno in cui stare
• in guardia dai colpi di Amore; per questo
• andai sicuro, senza sospetto: così i miei gemiti
• d’amore iniziarono nel dolore comune.
• Amore mi trovò completamente disarmato, e trovò
• spalancata la via che dagli occhi va al cuore, che
• ora sono diventati porta e passaggio per le lacrime.
• Perciò, a parer mio, non gli fece onore ferirmi
• con la sua saetta mentre ero in quello stato,
• e a voi, sulla difensiva, non mostrare neppure l’arco.
"Solo e pensoso i più deserti campi"
• Solo e pensieroso mi aggiro e misuro a passi
• le più deserte pianure a passi affaticati e lenti,
• e tengo lo sguardo vigile per fuggire qualsiasi luogo
• dove ci siano tracce di umanità.
• Non trovo altra difesa in grado di proteggermi
• dalla folla delle genti, alla quale risulta manifesta
• la mia condizione, perché, venuto meno ogni impeto di allegria,
• fuori si palesa il mio fuoco interiore:
• al punto che io ormai credo che monti, pianure,
• fiumi e boschi sappiano che genere di vita
• io conduca, e che resta sconosciuta agli altri uomini.
• Pur tuttavia non sono capace di trovare percorsi
• così impervi e inaccessibili, che Amore non venga sempre
• a discorrere con me, e io con lui.
“Padre del ciel, dopo i perduti giorni”
• Padre del cielo, dopo i giorni persi, dopo le notti
• spese in pensieri vani, con quella implacabile
• passione che mi infiammò il cuore, contemplando
• quelle azioni così leggiadre per mia sventura,
• ti piaccia ormai che io con l’ausilio della tua grazia
• torni a un’altra vita e a opere più degne,
• cosicché, avendo teso invano le sue reti,
• il mio nemico Amore rimanga scornato.
• Ora gira, mio Signore, l’undicesimo anno
• da quando fui sottomesso allo spietato peso
• che è più feroce con coloro che più vi sono soggetti.
• Abbi pietà di questo mio indegno travaglio;
• riconduci i pensieri erranti a un luogo migliore;
• ricorda loro che in questo giorno sei stato crocifisso.
"Erano i capei d'oro a l'aura sparsi"
• I capelli dorati erano sparsi al vento,
• che li avviluppava in mille boccoli soavi,
• e la bella luce di quei begli occhi, che ora ne sono così privi,
• risplendeva con immensa forza;
• e mi sembrava che il viso, non so se davvero
• o solo nella mia immaginazione, si colorasse di pietà;
• io, che avevo deposta in cuore l’esca amorosa,
• c’è da meravigliarsi se subito m’infiammai d’amore?
• Il suo incedere non era quello di una creatura mortale,
• ma di un angelo celeste,
• e dalle parole traspariva altro che una semplice voce umana;
• uno spirito celeste, un sole splendente,
• fu ciò che io vidi; e se non fosse più come allora,
• la ferita non si rimargina allentando l’arco.
L' ASCESA AL MONTE VENTOSO DI PETRARCA
È una lettera in latino raccolta nelle Familiares IV, 1 che Petrarca indirizza all’amico Dionigi di Borgo San Sepolcro, teologo e frate agostiniano
che gli aveva donato una copia delle Confessioni di Sant’Agostino, che tanto influenzò Petrarca. In questa lettera il poeta racconta la scalata del
mont Ventoux, in Provenza, realizzata insieme al fratello Gherardo nel 1336. In questa lettera sono chiari i riferimenti di Petrarca a Virgilio – il
poeta romano autore delle Bucoliche, Georgiche e dell’Eneide - anch’egli punto di riferimento letterario di Petrarca.
• I protagonisti della lettera sono il poeta Francesco Petrarca e suo fratello Gherardo, i quali compiono un viaggio presso il monte Ventoso che
si trova nei pressi della Valchiusa, in Provenza. Il loro scopo è quello di raggiungere la vetta dello stesso monte alto poco meno di duemila
metri: il monte racconta la vita dell’autore sotto forma di allegorie. I due giunsero a Malaucena la sera per iniziare la salita il giorno seguente;
entrambi erano accompagnati da un servo. Grazie alla loro giovane età Francesco e Gherardo riuscirono a salire il monte con facilità
nonostante la natura del luogo, finché non incontrarono un vecchio pastore che aveva fatto lo stesso percorso e che li avvertì dell’inutilità del
viaggio, dicendo loro che si trattava di una fatica inutile che si sarebbero potuti risparmiare. I due non gli diedero ascolto e proseguirono. Più
volte Francesco cercherà di trovare una via meno ripida ma più lunga che portasse alla cima ma con scarsi risultati: finirà solo col perdersi e
con lo stancarsi maggiormente. Il suo scopo era quello di riuscire a trovare una diversa soluzione più semplice per risolvere la stessa
questione, spinto dalla pigrizia che lo dominava. Il testo termina con i due protagonisti che raggiungono la meta e con alcune righe delle
‘Confessioni’ di Agostino che sembravano descrivere appieno il comportamento dello stesso autore, che proverà un forte senso di colpa e
sconforto per sé stesso.
• Una volta raggiunta la cima, il significato allegorico dell’ascesa, che prima voleva simboleggiare la conquista del “mondo esteriore”, si tramuta
in una ricerca intrinseca che mira ad una conoscenza di se stesso e della propria anima. Inizia così un travagliato esame di coscienza che porta
Petrarca a disprezzare la stoltezza degli uomini “i quali trascurano la loro parte più nobile, si disperdono in mille strade e si perdono in vani
spettacoli, cercando all’esterno quello che si potrebbe trovare all’interno…”. Il tema fondamentale di questa lettera è da ricercare proprio in
queste riflessioni dell’autore, dalle quali traspare la personalità di Petrarca: il poeta è un uomo che vive un costante conflitto interiore tra
l’attaccamento alle passioni umane e il tentativo di elevarsi verso Dio, sa che la beatitudine è “posta in alto”, e capisce quanto sia difficile
raggiungerla, vuole arrivarci ma sente che c’è sempre qualcosa a trattenerlo, e la monacazione del fratello rende ancora più fondata questa
consapevolezza (“io soprattutto, che mi arrampicavo per la montagna con passo più faticoso, mentre mio fratello saliva sempre più in alto…
io più fiacco, scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più diritto…” ). Il poeta decide di sedersi a valle per
meditare: questo fa capire quanto Petrarca amasse la solitudine poiché gli permetteva di riflettere su se stesso (questo compare anche nel
passo del “Da vita solitaria” in cui esalta la solitudine). Nel testo sono presenti anche citazioni di Ovidio, elemento che rimanda alla passione
del Petrarca per la classicità romana, e di personaggi religiosi come S.Agostino e S. Paolo Apostolo che mettono in luce la grande devozione
che Petrarca aveva per Dio.
L'accidia
Il Secretum, conosciuto anche come De secreto conflictu curarum mearum è un'opera di Francesco Petrarca, precursore dell'Umanesimo e fondamento di tutta
letteratura italiana. Una delle pagine più significative del Secretum è quella dell’Accidia, in cui Petrarca non analizza un male singolo ma uno stato più generale e
profondo dell’insoddisfazione, dell’abbattimento, della prostrazione e del timore che erano insiti nella natura del suo spirito e che riprendono il concetto
di contemptus mundi.
In questo però non c’era speranza di via d’uscita, la soluzione a tutti i problemi era introvabile perché non esisteva. Petrarca vorrebbe invece la redenzione e spera
in un miglioramento, prova ad uscire dalla morsa di un estenuante circolo vizioso, costituito da contraddizioni, soluzioni contrastanti e negazioni. Quel gusto acre
del soffrire, di rinvenire in se stesso una psicologia tormentata ed insoluta, fa del Petrarca una delle prime anime moderne.
• Petrarca descrive l’accidia come una condizione in cui l’individuo, pur rendendosi conto della propria negligenza e provandone senso di colpa, al tempo stesso
non si sforza concretamente di mutare il proprio atteggiamento. Nel Secretum l’accidia è il peccato che egli riconosce come suo proprio: è infatti intorno a
questa indolenza, descritta anche come mancanza di volontà, che si concentra il rimprovero di Agostino alla fine del dialogo.
“Dimmi, qual è per te la cosa peggiore?”, chiede Agostino. “Tutto quello che vedo attorno, e quello che ascolto e quello che tocco”, risponde Francesco.
“Perbacco! Non ti piace nulla di nulla?”, insiste stupito, Agostino. “Niente, o poche cose davvero”, afferma Francesco. “Tutto questo-conclude Agostino-è tipico
di quella cosa che ho chiamato accidia: le cose tue ti affliggono tutte”.
• Leggendo questo passo del Secretum scopriamo che il vizio maggiore del Petrarca è l’accidia.
Il termine deriva dal latino “acedia” e significa “avversione all’operare associata a sentimenti di noia e indifferenza”. Nel medioevo, l’accidia indicava lo stato
di inerzia di chi conduce una vita eccessivamente solitaria e contemplativa.
Nella morale cattolica, l’accidia- intesa come pigrizia nel praticare il bene e scarso amore verso Dio- è uno dei sette peccati capitali. Usando categorie
dell’analisi psicologica, potremmo quasi parlare di “depressione”.
• Tuttavia, “Petrarca usava categorie filosofico, morali - come osserva Marco Santagata - e, pertanto, riteneva che quello stato malinconico della coscienza,
quell’incapacità di operare e di guardare alla vita con fiducia del credente, sì, un male, un morbo, ma un morbo moralmente p eccaminoso”.
Se non fosse per questo forte senso del peccato, si potrebbe dire che, oltre alla depressione, l’accidia petrarchesca somigli anche al tedio, cioè a una
sensazione di tormentosa stanchezza interiore e disinteresse nei confronti della vita.
Sia l’accidia che la depressione e il tedio rappresentano infatti una condizione di malessere psicologico che porta l’individuo alla malinconia e alla solitudine; se
sottovalutata, tale condizione può diventare una vera e propria patologia.
In una delle sue lettere, Petrarca dice di essere “incapace di star fermo”.
L’unico modo di porre rimedio al proprio disagio esistenziale, alla sua “accidia”, era infatti quello di spostarsi continuamente.
• Questa smania di vedere nuovi paesaggi, che poi non è altro che una profonda ansia di conoscere e, insieme, la conseguenza di una perenne insoddisfazione
personale, è senz'altro uno dei tratti più moderni e affascinanti di Petrarca. Egli, poi, come molti scrittori novecenteschi l'inquietudine nasce dalla curiosità
intellettuale, da un'infinita insoddisfazione, da un'inesauribile sete di sapere, dalla sensazione di non appartenere alla propria epoca e, di conseguenza, di non
essere compreso. Infine l'accidia petrarchesca, come il tedio di poeti moderni, è causata dal sentimento della vanità di tutte le cose.
LA FIGURA DI LAURA
Seguendo il modello dei poeti d'amore Petrarca raccoglie tutti i motivi della poesia intorno ad un'unica immagine femminile, assegnandole il nome di Laura, perché
richiamava il lauro, la pianta sacra ad Apollo, dio della poesia.L'incontro con Laura avviene il "dì sesto d'aprile" del 1327, un venerdì santo, in una chiesa d'Avignone.
Laura è descritta attraverso una serie di particolari fisici, le "belle membra", il "bel fianco", i "begli occhi", la "gonna leggiadra", le "trecce bionde" come l'oro; ma
sono tutti elementi convenzionali, che non definiscono una figura concreta e corposa. Il Canzoniere, una raccolta di liriche del poeta, alcune delle quali dedicate a
Laura, si basa su un'esperienza vissuta, ma, nella vita reale, l'amore per Laura doveva essere un episodio effimero intorno a cui il poeta concentrò tutti gli elementi
della sua travagliata vita interiore, le sue contraddittorie aspirazioni, le debolezze, le colpe, i ripiegamenti, le sconfitte. Nel libro viene descritta una passione umana
e terrena, che non esclude l'aspetto sensuale. È un amore inappagato e tormentato, attraverso cui il poeta esplora i suoi conflitti interiori. All'interno dell'opera,
infatti, ci sono delle visioni contraddittorie della figura di Laura: ora il poeta gioca con il nome di Laura nelle rime "dafnee", chiamate così poiché Dafne, amata da
Apollo, si era trasformata in alloro; ora contempla l'immagine della donna; ora lamenta la sua crudeltà e indifferenza, paragonandola ad una "fera bella e
mansueta" e chiede pietà per le proprie sofferenze; a volte prega Dio e confessa che gli unici frutti di tanto "vaneggiare" sono la vergogna e il pentimento, ma la
forza della passione lo prende e lo domina. L'atmosfera è impalpabile, la figura di Laura è più umana rispetto a quella di Beatrice in Dante, ed è più vicina
all'esperienza comune. L'immagine di Laura, però, immersa in una nube di fiori, presente nella poesia "Chiare, fresche e dolci acque", può ricordare l'apparizione
nel paradiso terrestre di Beatrice, anch'essa avvolta dalla nube di fiori gettati dagli angeli tripudianti. In Petrarca, però, scompaiono i sottili significati teologici della
poesia dantesca, la mediazione della donna tra l'uomo e dio è un motivo puramente mondano. Ne è un esempio l'episodio, tratto sempre dalla canzone "Chiare,
fresche e dolci acque", in cui Laura "fa forza al cielo" asciugandosi gli occhi con la sua grazia femminile resa più affascinante dalla mestizia e dalle lacrime. I tratti
fisici però non ne danno un'immagine ben definita, corrispondono piuttosto ad un formulario tradizionale. La figura di Laura ha, infatti, un carattere sovrannaturale
sottolineato dall'uso di formule tipiche come "l'angelica forma", "lo spirito celeste", le parole che suonano altro che voce umana. I tratti fisici della bellezza, i capelli
d'oro, i begli occhi luminosi, l'incedere armonioso, richiamano le convenzioni cortesi e stilnovistiche. Tanto che anche Petrarca narra che egli non ha trovato nessun
uomo maligno tanto mordace da affermare di aver visto, non solo negli atti, ma anche in un gesto o in una parola, qualcosa di riprensibile in Laura. Tutti la
guardavano ammirati e riverenti. Petrarca scrive, inoltre, che Laura, quando egli era ancora giovane, distolse il suo animo da "ogni lordura", tirandolo fuori con
l'uncino e lo spinse a guardare in alto e gli fu da guida nel cammino, spronando la sua mente e l'animo, che erano sopiti. Quella descritta e difesa dal poeta è una
concezione cortese e stilnovistica dell'amore che raffina, ingentilisce e innalza moralmente, della donna che fa da tramite fra l'amante e il cielo. Lo sfondo naturale
è descritto attraverso elementi stilizzati, è un "locus amoenus"; inoltre, le situazioni e gli episodi mancano di concretezza e riprendono molti aspetti della lirica
amorosa precedente. Laura è, però, una donna sottoposta al peso della carne mortale e delle sue miserie, immersa nel fluire del tempo, che ne patisce tutta la
forza distruttiva. Nonostante il fiore della sua giovinezza appassisce con il passare del tempo, cresce con gli anni la bontà dell'animo. Per il poeta, la sua donna è
immobile ad ogni preghiera e conserva sempre la propria onestà tanto da rimanere inespugnabile e salda. Nel Canzoniere Petrarca ipotizza che un giorno il "lume"
dello sguardo di Laura sarà "spento", gli occhi "più che `l sol chiari" saranno " terra oscura", i capelli "d'oro fin" diventeranno "d'argento", il viso scolorirà, il bel
corpo di Laura, oggetto dei suoi desideri, sarà "esausto dei mali e dei frequenti parti". Il decadere della bellezza fisica precipiterà poi nella morte, che ne segnerà il
disfacimento totale. La morte di Laura, infatti, avviene nel 1348 e divide il Canzoniere in due parti: le "rime in vita" e le "rime in morte". Alla morte della donna
amata, per Petrarca il mondo sembra improvvisamente scolorire, farsi vuoto e spoglio, ricorda il passato con rimpianto come un tempo che non può ritornare. Dopo
la morte di Laura, il poeta la sogna, in questa situazione appare più bella e meno altera, più mite e compassionevole verso di lui. Ma dopo il sogno Petrarca sente il
peso del peccato e il desiderio di una purificazione; guarda con angoscia il trascorrere del tempo, che trascina con se tutte le cose belle e fuggevoli. Per lui la morte
è un "dubbioso passo", pieno d'insidie e di pericoli. Petrarca, in tutto il Canzoniere, descrive ed esalta l'animo femminile di questa donna, che insegna ad ogni uomo

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