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gfp.

302 - relazione per la Città del Sole, Napoli 2008


[stesura provvisoria di un libro]

DERIVA DEI “DERIVATI”


apparenza monetaria della crisi reale
____________________________________________

L’impresa appare sempre quasi eccessivamente sana


proprio immediatamente prima del crollo.
La prova migliore viene fornita dai rapporti nei quali
tutti i direttori di banca, commercianti. in breve
tutti i competenti invitati a testimoniare, si congratulavano
vicendevolmente per la prosperità e solidità degli affari
– proprio un mese prima che scoppiasse la crisi.
E, fatto curioso, lo storico della crisi
fa rivivere ancora una volta questa illusione.
Gli affari sono sempre sanissimi
e il loro svolgimento progredisce a un ritmo favorevole
fino a che il crollo avviene tutto in una volta.
[Karl Marx, Il capitale, III.30]

Come i ciechi di Brügel l’umanità intera marcia – senza vedere – incoscientemente verso il precipizio,
e non sono tanto e solo le banche centrali e le borse americane europee e asiatiche (ché è il loro sporco
mestiere). Questa voragine non riguarda esclusivamente l’economia, per la crisi duratura e inarrestabile che,
come tale, ha però anche enormi implicazioni sociali e politiche in senso proprio, ma perfino la natura a
causa del collasso planetario immanente. È ormai ogni giorno più evidente come i cosiddetti “esperti”
neppure concepiscano l’immensa portata del crollo annunciato dell’economia Usa e, appresso a essa, in
genere di tutta l’economia mondiale del capitale, ormai orientata sulla deriva della sua figura fittizia e
pertanto della pura speculazione. La drammatica crisi della situazione economica e sociale è pari solo
all’irreversibilità del baratro che la natura ha aperto davanti al cammino dell’umanità. E si sa che non sono
solo gli esperti padronali a non accorgersene o a fingere “per dovere” di non vederlo. La cecità è pressoché
totale e l’incoscienza non è da meno. Sicché anche tutta l’asinistra, e troppo spesso anche la sinistra di
classe e il comunismo, sono lontane in maniera quasi irrecuperabile dal marxismo, in tale maniera da
trascurare irresponsabilmente la questione. Semmai sono i liberal-radicali-disinistra che si buttano
drammaticamente nel catastrofismo, il quale però è puramente ideologico e privo di una cinica e scettica
analisi scientifica della realtà. Ma per ora è sufficiente limitare lo sguardo alle più grandi disperate
trasformazioni economiche del capitalismo mondiale: allo sfacelo della natura ci si penserà poi, con
maggiore spaventosa quanto inutile calma.
“La crisi non è ancora finita”!, scoprono adesso gli addetti ai lavori. Ma va’!? Questa ardua sentenza è
stata emessa ad aprile 2008 nel corso della riunione del forum per la stabilità finanziaria [ fsf] mondiale
nell’àmbito della riunione dei ... responsabili finanziari e bancari del G.7, per bocca dell’ineffabile Draghi
Mario; il quale ha anche sottolineato l’urgenza degli interventi previsti su un sistema con tempi di reazione
lenti, interventi che tuttavia “non sono in grado di evitare nell’immediato i nuovi scossoni” inferti da una
crisi violenta. Draghi ha perciò solo ora riconosciuto – a nome degli esperti-finanziari-riuniti-per-la-stabilità,
la cui sconsideratezza ha ormai seminato horror presso capitalisti e loro sicofanti, forse ritenuti tardivamente
muniti di magiche “palle di cristallo” – che “il sistema ha accumulato un debito eccessivo i cui rischi e le cui
dimensioni non sono stati correttamente valutati”. Le superficialità perpetrate con vacua incoscienza nella
storia – come è ricordato nelle sopra citate parole di Marx: gli affari “appaiono sempre sani, fino a che il
crollo avviene tutto in una volta” – non hanno insegnato niente a padroni ed eruditi, della conservazione e
dell’asinistra, del capitale.
La maggior parte di questi ultimi, quasi tutti a dire il vero, ha chiuso gli occhi davanti alla voragine per
non volerla vedere, come se essa non ci fosse, sì che gli agenti pratici a volte ne escono terrorizzati.
Paradossalmente, la pratica economica del capitale speculativo, la cui ignoranza è così diffusa in Italia a-
destra-come-a-sinistra, è invece conosciuta e studiata nella “patria” attuale di questa forma, supposta
“nuova”, estrema e perversa dell’imperialismo transnazionale: gli Stati uniti d’America. Gli scritti sul tema
sono tanti, ancorché pressoché trascurati sia lì sia soprattutto in altri paesi. Leggerli accuratamente tutti è
praticamente impossibile, ma in questa sede si prova sommariamente a cominciare a dare conto dei contenuti
di alcuni di essi parsi più rilevanti [qui in prevalenza ci si è avvalsi indirettamente del prezioso lavoro che
Antonio Pagliarone (<antepaglia@tiscali.it> – cfr. anche http://www.countdownnet.info) ha svolto
selezionando e segnalando – ... anche troppo dettagliatamente per le forze collettive che un lavoro accurato
richiederebbe – molti di quegli articoli qui limitatamente sbirciati].
Pur con il forte e colpevole ritardo accumulato, tuttavia, si stanno spaventando tutti, agenti teorici e
pratici del capitale, ma se non sono travolti dal loro stesso panico fanno finta di niente, e cercano mezzucci
per scaricare gli enormi oneri reali sulle popolazioni sparse per il pianeta – finché esse non se ne accorgano
senza limitarsi soltanto a un “assalto ai forni” per la fame. Dunque, gli esperti – dopo aver fomentato tutta la
criminalità finanziaria possibile – si rifugiano nel dire che c’è stata un’eccessiva disinvoltura nella
valutazione del rischio, rispetto a cui occorrono nuove prescrizioni restrittive per ... attuare e migliorare le
norme stabilite con “Basilea 2” [cfr. a es. la Contraddizione, nn.99, 102 e ss.]; essa, dicono costoro, avrebbe
mostrato i suoi “vantaggi” per chi ha già applicato per tempo le restrizioni previste. Ma siccome i sicofanti
per evitare guai non intendono penalizzare i padroni, poiché – bontà loro – l’“economia ha già abbastanza
problemi”, si rifugiano in altre scappatoie.
Sicché tutti insieme, fsf e G.7, proni ai padroni, hanno pensato bene di invitarli a cena: giacché, col ...
dovuto rispetto, si dovevano “invitare” le aziende a rivelare i loro rischi, per gestire i quali è importante
sapere quali e quante svalutazioni essi devono affrontare e con quali strumenti di “credito strutturato” [ossia
operazioni speculative, mascherate come “protezione” dei depositanti in condizioni di sicurezza, in realtà per
dare mano libera alle stesse istituzioni finanziarie in borsa e alle banche – cfr. no.122; si tornerà sul tema in
maggior dettaglio]. In particolare, tale deriva creditizia si riferisce ai titoli “derivati” e alla natura delle
garanzie per le attività “fuori bilancio”, per le quali dagli “stabilizzatori finanziari” è richiesto un
rafforzamento delle riserve patrimoniali data l’esposizione creditizia che tutto ciò comporta. Il vecchio sogno
di una parte padronale di “regolare” il capitale, programmarlo, si riaffaccia al cospetto di ogni difficoltà
insuperabile.

Ciò nondimeno il Fmi, nel panorama sulla stabilità finanziaria, stima la perdita complessiva di quella
che in modo inesatto è chiamata “crisi finanziaria” in 1 mmrd $ [millemiliardi di dollari = 1.000.000.000.000
$! cifra a dodici zeri, per i più incomprensibile; si confronti questo dato con quello secondo cui il patrimonio
totale bancario dichiarato si aggira intorno ai 70 mmrd $ e, complessivamente, con azioni e obbligazioni esso
sfiora i 200 mmrd $, di cui ⅔ in Usa e Ue, mentre i titoli del debito privato raggiungono i 40 mmrd $]. Per la
precisione è più corretto dire “crisi monetaria” e non usare impropriamente il termine di crisi finanziaria, se
non si spiega di quale aspetto “finanziario” si voglia trattare, se di quello “diretto”, in simbiosi con la
produzione tipica dell’imperialismo operante, oppure di quello sostanzialmente speculativo cosiddetto “di
portafoglio”, dato che lo stesso Fmi non nomina neppure le cause reali retrostanti.
I “teorici” dell’imperialismo asseriscono che ... “l’impatto della crisi della finanza si trasmette all’econo-
mia reale”: non il contrario – senza parole. E commentano ammettendo che l’attuale crisi finanziaria dipende
da assenza di informazione e deresponsabilizzazione: il che è senz’altro vero, ma certo una constatazione
simile non basta, sia perché resta soltanto alla superficie, sia perché quella “assenza” è proprio dovuta a loro.
La conclusione della faccenda conduce comunque alla constatazione, per noi ovvia, che “delle transazioni
anche gli agenti operatori sanno sempre di meno”. Ma ancora con tutto ciò ... continuano a chiamarlo
liberomercato!
Il noto ex banchiere del consesso padronale, la Bm, Stiglitz si è anche lui solo adesso accorto che forse si
dovrà affrontare un serio disastro economico che porterebbe a “miseria diffusa, fame e serio malcontento. E
– come lui stesso denuncia – gli Stati uniti ne sarebbero i responsabili” (supporre perciò, come è timidamente
prospettato anche da alcuni a sinistra, che la crisi mondiale attuale dipenda dall’euro e dall’aggressività
tedesca-europea, può rappresentare appena un simbolico, ma futile, avvertimento sulla rinfocolata
importanza della lotta interimperialistica, niente più che un esercizio economico e politico). In realtà è tutto
il capitale mondiale, ma soprattutto a cominciare da quello a base Usa, che si è rifugiato – dal periodo del
monetarismo, fino agli inizi degli anni 2000 e della fandonia della “nuova economia” – nella pura
speculazione. Con la grande crescita di ogni sorta di “derivati”, esso ha cercato di occultare la crisi reale di
sovraproduzione che risale a fine anni 1960. Quello che è falsamente detto “nuovo capitalismo”, cioè, mira
solo a raccogliere profitti senza badare alla produzione; l’aumento formale contabile del pil in Usa fu dovuto
ai consumi privati a debito, ma non alla ripresa della produzione reale.
Il capitale fittizio è riuscito unicamente nell’intento di imbellettare la propria ricchezza – nota ancora
Stiglitz – con “massicci trasferimenti dalle popolazioni, sempre più indigenti, all’1% dei più ricchi del
mondo”: questa è stata l’operazione dei derivati; senonché tutti gli indici reali interni (produzione,
investimenti, occupazione, salari, ecc.) hanno continuato a scendere a livelli di quarant’anni fa, ma stavolta

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con enormi e inarrestabili buchi debitori (interni e internazionali – noti come disavanzi gemelli o doppio
disavanzo). In dieci anni le acquisizioni di titoli (primari ma soprattutto derivati) sono passate da meno di
mille miliardi a quasi 4 mmrd $. La sovraproduzione, gli investimenti netti, i profitti crescono e quindi la
formazione di capitale è in declino dalla fine degli anni 1960. I salari orari in Usa sono al livello del 1979,
abbassati per cercare di recuperare i profitti in calo e spostare la razzìa delle entrate sul capitale fittizio, sulla
speculazione, e non per mezzo della produzione divenuta impossibile. Dagli inizi dei 2000 (seconda elezione
di Bush jr) il pil Usa è perciò dipeso largamente dalle transazioni su titoli massicciamente gonfiati, mentre la
produzione – nell’economia reale – ha languito [cfr. Mike Whitney, a es. The era of global financial
instability]. Il sedicente nuovo capitalismo “premia” gli speculatori posti al di sopra dei dirigenti operanti, e i
“finanzieri” sopra il capitale produttivo; codesto “nuovo capitalismo” è sì transnazionale ma è ancora
prevalentemente a base Usa.
Nella storia quando uno stato fa sì che la propria base industriale sia decimata (attraverso “giochi” sulla
produzione come chiusura di fabbriche, esternalizzazione e subfornitura, e finanziari come i “paradisi fiscali”
o pure attività offshore) rimane solo l’appoggio alla bramosia delle proprie élite criminali. I prestiti ipotecari
e i mutui, che hanno avuto inizio in tangibili operazioni di compravendita di case, si sono propagati
rapidamente in una spirale di bolle speculative e frenesie di mercato basate su aspettative irreali: scelte
avventate, irresponsabilità fiscale, comportamenti criminosi, ecc. al grido: “bramosia è bello!”.
Dalla crisi del debito (anni 1980), alle crisi monetarie (1990) fino alla crisi del sudest asiatico (1997), il
deliberato crollo dei prestiti pubblici ha lasciato spazio alla sua sostituzione con interventi dei fondi privati
(ossia, non più controllabili “direttamente” dallo stato o dagli organismi internazionali – comportando rischi
incomparabili rispetto a quelli ufficialmente riconosciuti dalla Bm). Simili fondi hanno “creativamente”
articolato la loro esistenza, sull’irregolarità e sull’alto rendimento speculativo (spesso mascherandosi
surrettiziamente nella veste di ide, acronimo che è usato per gli investimenti diretti esteri), e certo a rischio
sempre più alto. Ciò ha dato l’avvio alla crescita enorme dei derivati e anche all’acquisto coatto di patrimoni
nei pvs debitori (paesi piuttosto che in “via di sviluppo”, in “vigenza di sfruttamento”). Ogni investimento è
stato follemente gonfiato dalla politica monetaria (vedi anche i casi dell’energia, greggio anzitutto, degli
alimentari, dell’acqua, ecc.), provocando sciagurate politiche che hanno gonfiato la bolla e distrutto il
dollaro, come si dirà meglio tornando sull’argomento.

Una previsione dei tempi di conclusione della fase di turbolenze finanziarie è improbabile; alla Fed
hanno avuto la brillante intuizione che “molto dipende dall’evoluzione del mercato immobiliare Usa”!!
Pertanto, dopo la moda della “deregulation”, l’esigenza di riprendere una “regolamentazione” è stata
avvertita anche dalla Fed stessa, alla ricerca di un maggiore “equilibrio” tra ... autodisciplina del mercato e
normativa, tra innovazione finanziaria e sua robustezza, dato che, per “gli eccessi dell’ultimo decennio”, in
questo momento (sic) – dicono – non c’è un giusto equilibrio! Tuttavia Draghi, da Fmi a Goldman Sachs a
Banca d’Italia, vuole mantenere i contatti con gli “innovatori”, l’industria finanziaria privata (ossia le
imprese di speculazione). I santoni della finanza mondiale hanno percepito che in questione ci sono
importanti e spericolate banche e non solo operatori finanziari d’assalto o piccoli agenti di borsa che
speculano sui derivati.
I derivati, per chi non la sapesse, si può dire che siano nati da obbligazioni, azioni e scambi tradizionali.
Senonché essi hanno raggiunto e superato i 300 mmrd $, stimati cioè in almeno sei volte le transazioni
effettive (pil). Molto grosso modo funzionano così: le finanziarie di vario genere prendono a prestito da un
intermediario i titoli delle imprese da conquistare le quali, per provare ad allargare i loro affari, si indebitano
a lungo termine, rischiando fallimenti. Quelle finanziarie applicano il fondamentale criterio del capitale –
vendere al rialzo per comprare poi al ribasso, o pure viceversa – che Marx descrisse nella “formula generale
del capitale, come esso si presenta immediatamente nella sfera della circolazione: trasformazione di denaro
in merce e ritrasformazione di merce in denaro, comprare per vendere, ossia, in modo più completo,
comprare per vendere più caro. Il denaro che nel suo movimento descrive quest’ultimo ciclo, si trasforma in
capitale, diventa capitale, ed è già capitale per sua destinazione. Nella compera a scopo di vendita, principio
e fine sono la medesima cosa: denaro, valore di scambio, e già per ciò il movimento è senza fine”; e
aggiunse – precisando concettualmente la faccenda – che ciò accade anche laddove come “nel capitale
produttivo d’interesse la circolazione si presenta abbreviata, si presenta nel suo risultato, senza la
mediazione, in stile, per cosi dire, lapidario, come denaro che equivale a più denaro, valore più grande di se
stesso” [C, I.4].
Per questo fine gli agenti del capitale finanziario fittizio “assicurano” un investimento con cui puntano,
scommettendo, a farlo aumentare, prima che esso scenda di nuovo. Nel piccolo esempio italiano,
rimpicciolito ancora di più dalla deriva lombarda, può rientrare in simile quadro anche il caso Alitalia, in cui
è chiara l’azione della speculazione per far scendere il titolo onde poterlo comprare “in svendita” al ribasso
per poi guadagnare “più denaro, valore più grande di se stesso”. È – quella descritta, in generale – una

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maniera sia per speculare sugli insuccessi del mercato, sia per forzarli artatamente in codesta direzione.
Finché il fondo chiuso è solvibile, va bene; ma se la speculazione va male viene preventivamente costituita
una sorta di srl, in cui cioè la “limitata” sta per l’irresponsabilità di fatto dell’eventuale fallimento del fondo;
in tale guisa, per gli investitori è più facile nascondersi. A quegli operatori non interessa se e che cosa
eventualmente producano le imprese su cui agiscono, ma le vedono solo come “contenitori di patrimoni” da
utilizzare tramite varie tecniche finanziarie per fare soldi. Barano, come giocatori d’azzardo, e già
Greenspan, quando era alla Fed, diceva che doveva essere il liberomercato ad autoregolarsi. Vien detto che
essi “distruggono ogni cosa sulla loro strada, come le tèrmiti”, portando alla rovina coloro (pensionati,
lavoratori, piccoli cosiddetti “risparmiatori, ecc.) che si affidano ai loro “consigli”.
I derivati sul debito ingrandiscono così a dismisura la “leva” delle acquisizioni per carpirne quote future
(detta in linguaggio anglofono leveredged buy out) sul titolo sottostante, che man mano diventa sempre più
un fittizio prestito secondario; si pensi, a es., che una stima vàluta che per ogni barile effettivo di greggio
trattato ce ne siano duecento “scommessi” sulle contrattazioni future: è la speculazione tramite derivati. Tali
“leve” speculative fruttano centinaia di milioni di dollari non solo agli azionisti di simili “imprese”
finanziarie di predazione (bande di speculatori detti, appunto, “predatori”) ma anche ai dirigenti. Per questi
eufemisticamente si parla di premi di ... produttività: ai meglio pagati venti dirigenti Usa, presi tutti insieme,
vanno ogni anno circa 660 mln $, di contro a uno stipendio medio annuo di un impiegato stabile di 30 mila $
– più di mille volte, ossia mille anni di lavoro per uno o pure mille lavoratori come un solo dirigente! Per
mera curiosità si pensi al piccolo ignorante funzionaricchio italiano di Telecom che ha definito un ...
“capolavoro” la “vittoria-di-Napoleone-a-Waterloo” (pronunciando non in fiammingo ma ovviamente
all’inglese “uoterlù”); il cialtrone guadagna – pardon, intasca! – ben 700 mila € l’anno (... misera cosa, in
media cinquanta volte di meno di un suo ... “collega” Usa), extra a parte, essendosi laureato con lode
all’università privata confindustriale Luiss di Roma, mentre come altri più elevati dirigenti manda in rovina
l’impresa di appartenenza.
L’azione dei fondi di investimento (fondi pensione, assicurazioni, fondazioni o singoli danarosi) è tesa a
comprare, con il pretesto di fornire finanziamenti, imprese in crisi di liquidità – sottovalutandole e
togliendole dalle quotazioni in borsa per sottrarle alla conoscenza di potenziali acquirenti – prosciugandone
le casse e appropriandosene (la suddetta forma di centralizzazione per acquisizione). Questo tipo di “fondi” è
fuori controllo, senza osservatori e sorveglianza, anzi spesso ricevono sussidi e facilitazioni fiscali (a es.
sulle entrate finanziarie si paga il 15% anziché l’usuale 35%, invocando pagamenti di dirigenti, medesime
opportunità e diritti civili, o scadenze pluriennali), e disdegnano anche piccole richieste interne di maggior
trasparenza. È per questo motivo che le banche stipulano “assicurazioni” sui derivati a breve termine, sì da
ottenere liquidi ma, se i debitori non pagano, le banche stesse sono a corto di denaro contante: è per questo
che rientra in questo caso quello dei mutui immobiliari edilizi, secondari; quindi le banche presentano il
conto a codesti loro mutuatari “scrausi” per trovare il contante loro mancante. Molte banche e altre istituzioni
finanziarie hanno obblighi di pagamento largamente superiori alle loro riserve alle quali hanno immediato
accesso, ha affermato Lucas. Si consideri che in Usa le grandi banche sono arrivate a prestare fino a 30 volte
il valore delle proprie riserve, sostanzialmente così “falsificando”, come si spiegherà tra breve, il denaro
prestato.
La crisi dei derivati “scrausi” immobiliari è dunque soltanto il catalizzatore di una crisi più vasta che
influisce ormai su tutti gli attivi finanziari usamericani, per lo spostamento delle banche dal prestito
all’attività speculativa nei fondi “chiusi” di investimento, che si dibattono per non fallire. Tutti i fondi di
investimento cercano di nascondere le perdite per non finire nel “buco nero finanziario”: tale metafora è
dovuta a Tony James, presidente della Blackstone, impresa di investimento speculativo che ha perso oltre
100 mrd $, dopo essere stata quotata in borsa verosimilmente per “socializzare” le perdite future piuttosto
che dividere gli utili in corso. Nell’àmbito della crisi più vasta, originariamente reale, sono compresi pertanto
analoghi generi di speculazione: vi rientra quella sui prezzi del petrolio, come si è accennato, ben al di là dei
limiti naturali dei giacimenti (gas compreso); la medesima cosa si sta verificando per i cereali alimentari –
travolti anche dal mercanteggiamento bio-energetico – laddove la scommessa speculativa sul futuro è la
determinante principale dell’impennata dei prezzi e dell’affamamento delle popolazioni bisognose. E ora si
prospetta la minaccia, sempre a partire dagli Usa, di un’altra megabolla sugli immobili nella figura delle
infrastrutture, anzitutto delle strade. Attraverso la gestione di una cordata guidata da Soros, con i reazionari
Rohatyn, Rudman, Goolsbee (della scuola di Chicago di Friedman) e altri milionari dei fondi speculativi di
Wall street – assicurandosi, oltre ai tradizionali operatori finanziari legati ai repubblicani di McCain, anche il
controllo delle manovre di Barak Obama [cfr. lo scorso no.122] – si scommette per gonfiare dal nulla e solo
sulla retorica e sui milioni, un investimento “strutturato” tramite la cosiddetta National infrastructure
reinvestment bank.
Nel frattempo, la conclamata ricontrattazione dei mutui ex facili è diventata quasi impossibile, in
quanto gli inadempienti rimangono ancora fuori dagli standards più rigidi richiesti dalle banche: per

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coprire le loro perdite, le banche stesse, come visto, stanno recuperando capitali su mutui facili “fuori
bilancio” e a fronte dei debiti procurati medianti leve speculative, rallentando così enormemente la
concessione di nuovi mutui anche per coloro che sarebbero idonei. Fu proprio per compensare gli squilibri
determinati in precedenza, che la riduzione drastica dei tassi di interesse aveva innescato la deriva dei
mutui “scrausi” a partire dal 2000.

La ricerca di liquidità monetaria, per sopperire al mancato pagamento degli interessi passivi e al
rimborso delle obbligazioni connesse ai mutui facili, non è una novità dell’oggi. Ne scrivemmo una dozzina
di anni fa, in articoli e libri in margine alle crisi messicana e sudest-asiatica; e senza fare previsioni con sfere
di cristallo, constatammo che la parola d’ordine imposta era già che “un dollaro debole va bene per le
obbligazioni”. Recentemente un gestore di fondi che ha lucrato il 30% annuo ha dichiarato che “ciò che va
bene per me, non è buono per il paese”. Più di un secolo fa, nel suo studio pionieristico sull’ Imperialismo
[prima parte]. John A. Hobson scrisse che “sebbene il nuovo imperialismo sia stato un cattivo affare per il
nostro paese, esso è stato un buon affare per certe classi e certi commerci all’interno della nazione, che gli
interessi economici del paese nel suo insieme sono subordinati a quelli di certi interessi particolari che
usurpano il controllo delle risorse nazionali e le usano per il loro profitto privato”. Dunque, nulla di nuovo.
Si sapeva fin da allora ciò che oggi con il nuovo imperialismo del capitale fittizio si avvera con maggior
sicurezza, ossia che le conseguenze possono essere drammatiche (trainate dalla proliferazione di derivati,
svendita di titoli, soprattutto all’estero, a prezzi sempre più alti e rivenduti poi finché possibile a prezzi
maggiorati, spirale speculativa, aumento dei rischi ed esportazione dell’inflazione, ecc.).
Si va gonfiando così una bolla economica mondiale di moneta e credito, solo nel disperato tentativo di
difendere i privilegi acquisiti, con quello che Marx chiamava “muro di carta”, ormai sempre più fatiscente: si
cercava già nella seconda metà del XIX sec. di rimandare all’infinito una crisi inevitabile e devastante.
Invero, Marx diversi decenni prima diceva che “nel sistema capitalistico ciò si presenta nella forma più
clamorosa e grottesca di assurda contraddizione e controsenso, perché con lo sviluppo del sistema creditizio,
la produzione capitalistica tende continuamente a sopprimere questa barriera metallica, al tempo stesso
concreta e fantastica, della ricchezza e del suo movimento, ma continuamente sbatte la testa contro di essa”
[C, III.35,I], poiché il “muro di carta” artificiosamente costruito a difesa della moneta non tiene. La
recessione non è stata evitata, anzi è stata ampliata da livelli anormali di liquidità, mentre le spese per i
consumi si riducono e la disoccupazione continua a salire; potrebbe rientrare in tale strategia anche il
garantire interessi sulle riserve alle banche commerciali per incentivare la loro individuale liquidità.
Senonché fraintendendo la realtà ora si dice, in generale, che da parte pubblica occorrono “iniezioni di
liquidità” per riconquistare la fiducia degli agenti del capitale monetario (grandi banche e investitori
istituzionali). In effetti, la gestione “formale” della liquidità da parte delle banche centrali è senza precedenti,
ma tutto ciò, appunto, ha costituito solo il palliativo esteriore di uno stato di crisi che è endemico e reale.
Epperò la “liquidità” fornita al sistema bancario invero è formale, ossia non opera realmente ma solo
contabilizzando le operazioni su titoli, con la cessione temporanea alla stessa banca centrale di titoli pubblici
tenuti in riserva dalle banche commerciali; questo è il peso del denaro virtuale e dell’enorme “falsificazione”
(nel senso che si dirà) della moneta; e cioè di quella componente della politica monetaria chiamata M3, sì che si
capirà per quale motivo il governo Usa non rilevi e non diffonda più ufficialmente questo dato. Tutto quanto
qui illustrato va avanti in codesta surreale maniera perché il denaro necessario per sopperire all’esigenza di
liquidità del sistema bancario, tale da poter accrescere la disponibilità di moneta accelerandone la circolazione,
è gestito dalla banca centrale tramite le cosiddette “operazioni di mercato aperto”; queste ultime sono
operazioni a brevissimo termine (dalla notte al giorno, overnight dicono), perciò di norma non alterano la
quantità di moneta in circolazione.

Le grandi banche per molti anni hanno approfittato di questo tipo di intermediazione speculativa
agendo come le “assicurazioni” e lucrando sulla differenza di durata tra acquisti “chiusi” o coperti e vendite
a clienti sollecitati dall’illusione di buoni investimenti, trasferendo i titoli derivati (e i rischi) a terzi
acquirenti. Così agendo esse non hanno impegnato i propri capitali, facendo in maniera che l’inadempienza
dei debitori possa ricadere sugli acquirenti o inavvertiti destinatari (a es. pensionati truffati dai gestori
finanziari istituzionali, quelli per ironia detti “strutturati”); quella medesima inadempienza adesso minaccia
di distruggere le banche stesse e di portare il mercato azionario alla rovina.
Si ha a che fare, essenzialmente, con uno schema di “riciclaggio” sui mutui tramato da istituzioni e
banche di investimento, “sfuggito” ai cosiddetti organismi di controllo (vedi il terrore malcelato del fsf e
l’urgenza onirica che i fantastici strumenti creditizi (“strutturati”, come si dovrà vedere) siano più
rigidamente controllati e coperti da garanzie). Il riciclaggio è stato facilitato dalle agenzie di valutazione
(rating), e sfruttato dai fondi chiusi di investimento. Le “vittime” finali consenzienti di questa truffa, che
procede fino al collasso, sono proprio le compagnie di assicurazione delle banche stesse e gli investitori

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speculatori stranieri; ma in ultima analisi attraverso i fondi pensione l’onere ricade sui pensionati (mancati),
sui proprietari a debito delle casa e perfino sui redditi per l’attività bancaria di consulenza speculativa sugli
investimenti strutturati. Le perdite bancarie complessive si aggirano sull’ordine delle migliaia di miliardi di
dollari
Già alla vigilia della prima guerra mondiale la liberalizzazione finanziaria stava ai livelli attuali. Oggi è
stata “perfezionata” la faccenda per il tramite di marchingegni vieppiù sofisticati, come appunto la ricordata
“finanza strutturata”. Gabriel Kolko l’ha definita quale “inizio dell’instabilità finanziaria globale” attribuibile
a “incertezza e mancanza di fiducia: questa ignoranza e questa paura sono esse stesse un fattore cruciale. La
resa dei conti per i banchieri e per i capi è arrivato”. Le banche di investimento sono appunto al centro del
sistema chiamato “finanza strutturata”, basandosi esse su obbligazioni di debito coperte da discutibili
garanzie o su mutui ipotecari, che accatasta debiti su debiti fino a quando il sistema viene spinto al punto di
rottura.
Le banche trasformano, metaforicamente, i loro debiti in crediti (o meglio debiti in titoli)
“impacchettando” i derivati su cui negoziare; speculano sull’affidabilità riposta in esse, attraverso il
gonfiamento di titoli di imprese “create” da loro stesse (o da assicurazioni o fondi di investimento reputati
“sicuri”) e “strutturate” appositamente per vendere carta [con la escogitata “cartolarizzazione”, o
securitisation (cfr. nn.92 e 122) – o pure usando la “leva” delle cosiddette “scatole cinesi”]. Si punta sulla
circostanza, non tecnica, che per il “parco buoi” degli investitori, al contrario che per le istituzioni
finanziarie, non fa differenza acquistare obbligazioni o azioni purché con qualcosa ci si illuda di guadagnare;
ma le obbligazioni create per “impacchettare” carte di credito e prestiti derivati (secondari, su capitale
fittizio) hanno registrato in un anno una caduta nella loro valutazione di ¾, per 30 mrd $ in un solo mese
(secondo Deutsche bank). Dunque, esibendo apparentemente un rapporto di parità formale, il margine di
oscillazione effettivo è del 40% sul debito, sufficiente per affondare ogni banca coinvolta in questa
situazione. Il “valore” dei titoli derivati su crediti inesigibili delle banche Usa è stimato tra i 1500 e i 2000
mrd $; si tratta di una perdita importante dei redditi delle banche: e quando una considerevole quantità di
titoli crolla, il debito delle banche o delle assicurazioni può diventare insostenibile.
Alla base di siffatta instabilità e della cosiddetta “liquidità” c’è la politica dei tassi di interesse. Il taglio ai
tassi, per dare spazio alla speculazione sul capitale fittizio della “nuova economia” Usa, è cominciato
sintomaticamente il 18 aprile 2001 – cioè prima del non premonitore 11 settembre – quando la Fed di
Greenspan ne stabilì l’abbassamento al di sotto del tasso europeo Bce. Scrivemmo infatti immediatamente
sùbito dopo la tragica orchestrazione del crollo delle torri gemelle [cfr. no.87]: “Il problema reale, dunque, è
lo sfacelo di quasi tutto il capitale americano. Il 18 aprile 2001 diventa data fatidica anche per gli Usa: il
tasso ufficiale di sconto Usa, per la prima volta dopo innumerevoli anni, è sceso sotto quello dell’Ue,
raggiungendo un divario fino a -1,25 dopo essere stato anche a +2,75. Una caduta complessiva del 4%, e col
tasso Usa che continua ad avvicinarsi allo zero. Dunque, ben prima dell’11 settembre sintomi palesi della
crisi erano già evidenti. Per cercare di salvare il salvabile, in attesa dell’agognata guerra, le acrobazie della
Fed di Greenspan – su tassi di interesse e quotazione del dollaro, conseguente altalena volatile e precaria
sulla tenuta dell’importazione di capitale estero per pagare il buco corrente di oltre 500 mrd $ delle
importazioni, e connesso gioco speculativo dei “fondi” (di pensione e di investimento), mostrano sempre più
il fiato corto. In poche parole, tali manovre si caratterizzano infine per essere solo un imbellettamento
finanziario, e perciò servono assai a poco. O meglio: servono, eccome, a quegli speculatori al ribasso,
maestri di aggiotaggio (… se non di molto peggio!), che in gergo chiamano "insider trading" – insomma,
quelli che conoscono bene gli "affari da dentro", ci giocano o li determinano – i quali hanno accumulato, in
nome proprio e per conto dei loro committenti, ma ovviamente a danno del "parco buoi" di borsa, centinaia
di milioni di dollari dopo il crollo delle "torri" [il famigerato Nasdaq ha sfondato, in giù, la soglia
impensabile dei 1500 punti: si diceva che 2000 era critica e 1800 una tragedia!]”.
Però tale chirurgia estetica non ha funzionato. E, da parte di molte banche o stati (Giappone e “canaglie”),
la domanda complessiva mondiale, non solo delle merci in eccesso ma pure di denaro reale e anzitutto di
investimenti, si è ridotta, imponendo una diminuzione dei tassi di interesse stessi che hanno richiamato
altrove e in altre borse (all’estero o in euri) gli investimenti. In tali condizioni, il pericolo di iperinflazione
diffusa è effettivo: ora è soprattutto la Cina che, come si avrà modo di precisare, sostiene la domanda di
dollari. Tutto ciò è collegato alla forte riduzione dei tassi di interesse che ha fatto indebitare persone e
imprese senza apparenti problemi; si calcola che su tali operazioni ci sia una “leva” speculativa che “crea”
capitale fittizio valutabile fino a trenta volte!: tranne che poi gli speculatori sono chiamati a dover far fronte
agli impegni sottoscritti. È questa spirale di prestiti, su una base sempre più sottile di beni reali, che ha creato
un mondo (appunto, il capitale fittizio di marxiana memoria) in cui la circolazione mondiale dei derivati
ammonta a quasi 700 mmrd $ stimati dalla Bri, pari a dieci volte l’intero pil reale di tutti i paesi del mondo
messi insieme, che sarebbe di circa di 67 mmrd $ (secondo McKinsey solo in Usa le attività finanziarie sono
almeno il doppio, 150 mmrd $, del pil mondiale).

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Per evitare ampi fallimenti, il “nuovo” capitalismo mondiale predatore cerca di creare una “rete
protettiva” per il rimborso dei depositi a rischio, in Usa e nelle realtà più collegate ai mutui Usa (dalla Gb
con la Northern Rock all’Asia, ma la Francia con la Société Générale, per 7 mrd $ nel mercato dei derivati, la
Svizzera con l’Ubs e anche l’Italia con Unicredit per Banca di Roma, sono nella bufera). La sfiducia in simili
attività cresce vedendo le difficoltà e anche la mancanza di solvibilità delle grandi istituzioni monetarie come
Merrill Lynch, Citicorp, ecc. [cfr. no.121] – che ha anche comportato il crollo dei due più grandi assicuratori
Usa (Ambac e Mbia) – la qual cosa che fa ritenere che i debiti siano molto maggiori dei miliardi annunciati.
Bear Stearns, Lehman Brothers, Morgan Stanley e Goldman Sachs: le quattro maggiori banche di
investimento hanno registrato più del 20% di perdite in un trimestre. Il caso Bear Stearns è stato per qualche
tempo l’apice di questo imbroglio; quella banca d’affari ha avuto una crescita esplosiva dell’intermediazione
di derivati (per un giro d’affari di 13 mmrd $) con ogni tipo di speculatori finanziari; l’utilizzazione delle
riserve del sistema creditizio negli Usa ha raggiunto i 45 mrd $ per 600 di prestiti fuori bilancio
“scommettendo” sulle capacità di restituzione dei prestiti da parte di imprese e stati. In tali frangenti Bear
Stearns è stata acquistata da JpMorgan a un prezzo stracciato delle azioni (scese da oltre 150 a 2 $), con
vantaggio per essa stessa e per le remunerazioni dei dirigenti; con rovina per azionisti, dipendenti e fondi
pensione di insegnanti e altri funzionari pubblici acquirenti dei “pacchetti” di derivati.
Poco dopo ha fatto il vero grande botto Lehman bros, emblematico per l’intero sistema speculativo,
portandosi appresso guai in tutto il mondo per la mostruosa quantità di derivati detenuta, indebitandosi fino a
600 mrd $. Nel frattempo la prima impresa di assicurazioni in Usa, la Aig, è stata salvata dal governo Usa –.
Siccome anche le citate Morgan Stanley e Goldman Sachs avevano ormai raggiunto l’orlo del fallimento,
senza nazionalizzarle perché ciò è ancora vietato per legge per le banche di investimento, lo stato federale le
ha di nuovo trasformate in banche di credito ordinario ed è intervenuto con i dollari. Ma per Lehaman bros
ormai non restava che il “mercato” e l’intervento statale per l’intero scompiglio determinatosi. Lo spazio è
stato perciò occupato dalla banca inglese Barclay’s, così come viene fatto da altre banche per altri eccellenti
fallimenti di istituzioni finanziarie mondiali (in Italia Unicredit non scherza affatto, dopo i “capolavori” di
Geronzi, da Ior a Federconsorzi o da Berlusconi a Parmalat, ma forse conta su qualche altra protezione).
Un pretestuoso piano-di-salvataggio di 700 mmrd $ – in aggiunta alle precedenti centinaia di miliardi
rapinate (altro che ... “bruciate”) appena l’anno precedente ai contribuenti Usa per mettere una “pezza” fuori
colore sull’enorme buco dei derivati “scrausi” – è stato tardivamente e ambiguamente tirato fuori dal
cappello di Bush dal ministro del tesoro Paulson. Quei buontemponi degli yankees hanno pensato di gridare
allo scandalo “socialista”, tipo Urss di un tempo, per la ... perversa politica statale di nazionalizzazioni. Ma la
faccenda non è piaciuta, non solo ai “nazionalisti” repubblicani di McCain-Bush(jr&sr)-Reagan, ma neppure
ai finanzieri “democratici” di Wall steet che controllano Obama. La mediazione, alle porte, è architettata solo
affinché i candidati non rischino alle elezioni parlamentari, oltre a pensare a quelle presidenziali.
Le “operazioni” sui derivati sono aumentate fino a quasi 500 mrd $ lo scorso anno in Usa (vedi i casi
Blackstone, e anche le implicazioni del gruppo Carlyle e del governo di Abu Dhabi). Sicché quando, come
adesso, banche importanti falliscono e grandi banche boccheggiano, la “norma” diventa un criterio
abbastanza strano e arbitrario; il divario tra tassi attivi e passivi delle banche diventa incerto, e anzitutto la
permanenza di tassi onerosi a lunghissima scadenza può creare serie difficoltà: ma non per i ricchissimi
dirigenti e i potenti che continuano a ballare mentre il Titanic affonda rapidamente per gli imbrogli dei
costruttori (può essere un significativo simbolismo, ma si è pure scoperto che proprio ciò è perfino realmente
accaduto). Ma la storia non finisce qui ...

“Il sistema creditizio di questi rispettabili banditi , ai quali si uniscono i finanzieri e gli speculatori
di borsa, i potenti prestatori di denaro, e gli usurai che pullulano attorno ad essi, rappresenta un
accentramento enorme e assicura a questa classe di parassiti una forza favolosa, tale non solo da decimare
periodicamente i capitalisti industriali, ma anche da intervenire nel modo più pericoloso nella produzione
effettiva – e questa banda non sa nulla della produzione e non ha nulla a che fare con essa” [ C, III.33]. Tutto
ciò non precorre altro che l’impossibilità per i mercati creditizi di funzionare “correttamente”, secondo i
dettami del “nuovo” imperialismo transnazionale fittizio. Le operazioni meramente “finanziarie” di leva
speculativa sul futuro sono diminuite di sei volte, segno che gli utili attesi sono praticamente spariti,
precipitando verso zero. Anche le acquisizioni e fusioni, come le operazioni di “leva” sul futuro nel mercato
finanziario tecnologico (nasdaq) di sono dimezzate in un anno nel 2007, concorrendo all’ulteriore collasso
del dollaro. In effetti, oltre il 97% del “denaro” in circolazione in Usa (il cosiddetto M3 – cfr. no.123) è in tal
senso falso, ma gli interessi da pagare sono veri.
Il crollo dei depositi bancari (clienti stabili) a favore di investimenti in borsa a breve da tutto il mondo
attraverso fondi “chiusi” e fondi obbligazionari speculativi in genere hanno attivamente favorito la presa di
controllo di imprese da parte degli “scalatori-predatori” per guadagni immediati, e non come fonte di
rendimento: tutte attività che sono state definite “le mattonelle sulla strada alla perdizione attentamente

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posizionate dalla Fed” di Greenspan. L’indebitamento è tale che sembra essere sempre più drammatica la
tendenza – ormai, di fronte al precipizio – a indebitarsi ancora di più! Anche con il procurato collasso
fallimentare delle carte di credito si vola sempre più velocemente verso un “bagno di sangue”.
Codesto è lo stesso meccanismo del cumularsi a spirale del debito praticato dall’usura. Cosicché, chi
accede al prestito è costretto a chiedere ancora nuovi prestiti per creare “denaro” a debito per pagare almeno
gli interessi, mentre gli “investitori strutturati” cercano di guadagnare tempo per poter addossare così le
perdite ad altri, a es. sui contribuenti: “un fesso sempre si trova”, dice un aneddoto italiano. Sempre più quei
cosiddetti “investitori strutturati”, come banche, fondi e istituzioni finanziarie varie (si veda quanto riferito
dalla cronaca) si susseguono velocemente verso i fallimenti, come mostrano i recenti casi, soprattutto in Usa,
di grandi banche salvate dal fallimento e di istituzioni parastatali insolventi quali Freddie Mac e Fannie Mae
[cfr. qui dopo e prima il no].
La lotta per trovare nuovi debitori (che risale alla Banca d’Inghilterra alla fine del XVII sec., rimasta
istituzione privata per un paio di secoli ancora) coinvolge ormai il mondo intero, affondato nei debiti
contratti con il monopolio monetario dei banchieri: per costoro occorre che siano “tutti indebitati”. Bisogna
sempre trovare qualcuno a cui prestare i soldi a tassi sempre più convenienti, meglio ancora se se si riesce a
rinegoziare le condizioni contrattuali favorevoli alle banche: guai a quel banchiere – ha detto un dirigente di
una grande banca Usa – che si faccia restituire da un debitore il denaro a lui prestato, perché dovrebbe
mettersi sùbito alla ricerca di un nuovo debitore cui prestar soldi per farsi pagare gli interessi su di esso. Il
“mestiere” del banchiere, infatti, è il commercio di denaro per incassare maggior denaro, quindi tanto vale
“rinegoziare” a condizioni più vantaggiose per la banca col primo debitore già impegnatosi per i pagamenti
futuri. Qui sta il trucco anche del debito estero dei presunti pvs, che è sempre credito privato delle grandi
banche. E in quei marchingegni interni e internazionali va rintracciata anche la “furbizia” dell’emissione a
cascata dei titoli derivati, del loro impacchettamento attraverso i fondi strutturati o la creazione a incastro di
imprese fantasma con le cosiddette “scatole cinesi” .
Il tracollo creditizio ha circostanze la cui causa determinante, che è reale, è stata sempre ignorata; ciò ha
fatto sì che anche la rinegoziazione assicurativa dei crediti a rischio sia esplosa di dieci volte in cinque anni,
fino a raggiungere i quasi 50 mmrd $ attuali (quattro volte, a es., il capitale di Citigroup). Le cosiddette
“piramidi finanziarie” vivono unicamente su vertici sostenuti dalla propria base vessata e imbrogliata.
Cosicché chi pagherà sarà il più debole tra banche, assicurazioni e acquirenti finali dei derivati; o consisterà
semplicemente in uno scaricabarile degli obblighi legali di pagamento rimasti ignorati, fino a un’ulteriore
svalutazione monetaria (del dollaro, nel caso in esame). E così la stretta creditizia si è diffusa su tutti gli
acquisti e i pagamenti a debito, comprese le carte di credito; il crollo dei prezzi delle case ha ulteriormente
ridotto il potere d’acquisto dei potenziali consumatori; il disavanzo commerciale si restringe perché crollano
consumi (a debito) e importazioni che finora hanno sostenuto lo “stile di vita americano”; gli investimenti
stranieri diventano più scarsi: il dollaro collassa – e dunque i tassi di interesse dovranno salire di nuovo; lo
ha ammesso perfino Bernanke (e qui sull’oscillazione del corso dei cambi, come si accennerà, si annida un
motivo per una nuova reiterata speculazione).
Dopo l’inizio della crisi di Bretton Woods dai primi 1970, si era assistito dapprima a un indebitamento
pubblico crescente, in gran parte attraverso la crescita dell’emissione di buoni del tesoro a rendimento sicuro
(Usa), per finanziare gli acquisti, privati e pubblici; ma poi, negli anni 1990, è dilagata la privatizzazione dei
debiti pubblici, favorendo le rammentate “leve” speculative (e con esse le “bolle” di vario tipo). L’ondata dei
cosiddetti fondi “strutturati” di investimento, come è stato detto altrove, ha determinato ulteriori
indebitamenti e passaggi a incauti acquirenti o mutuatari insolventi: sono queste le conseguenze sintetizzate
in quella che è stata scioccamente chiamata “nuova economia”. Tra i pvs quelli emergenti sono diventati la
“nuova frontiera delle istituzioni finanziarie mondiali” per predare a proprio profitto in quanto rinnovati
sbocchi per banche, fondi-pensione, ecc. attraverso investimenti lucrativi col denaro eccedente; si sono così
pure ampliati i prestiti secondari dai pvs “avanzati” ai pvs più “arretrati”. Un deflusso dei finanziamenti,
nell’incertezza dell’affidabilità di istituzioni, stati e investitori istituzionali, è in realtà più che un timore e,
nonostante oscillazioni incontrollate, diviene sempre più pressante e imminente.
Il tentativo Usa di tenere alto il tasso ufficiale di sconto, per far finta di proteggere il dollaro in caduta
precipitosa (la cui quotazione, come detto, è quasi dimezzata in otto anni dal 2000 a oggi), fino alla seconda
metà del 2007, non ha retto. La moneta Usa sta perdendo su tutte le valute più importanti un centesimo
ogni tre settimane, e continuando così la moneta di riserva diventerebbe presto la “riserva mondiale della
carta da cesso”, come ha detto un certo James Howard Kunstler. Non a caso la speculazione si è trasferita
sulle “scommesse” relative alle variazioni del corso dei cambi valutari, in particolare ma non solo sulle
prossime oscillazioni tra euro e dollaro, anche se tendenzialmente quest’ultima al ribasso.
La stampa del “muro” di dollari-di-carta moneta, infatti, non sopperisce ai problemi del debito, ma fa
solo galoppare l’inflazione: il problema è vedere dove; è quanto si può riscontrare, in generale, dopo le
grandi guerre (1865-73; 1919-24; 1943-46) o i dopo i recenti periodi di crisi devastanti (America latina,

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Jugoslavia, ecc.) di fronte al collasso; abbiamo già argomentato sul fraintendimento del cosiddetto
“signoraggio” [cfr. soprattutto no.85].

L’abbandono o la vendita di dollari nel mondo ha raggiunto quasi i 120 mrd $; di contro, gli acquisti
si sono ridotti per adesso a 220 mrd $, ma più di 100 provengono solo dalla Cina; questo è un motivo per cui
la Cina è essenziale per la sopravvivenza degli Usa, consentendo così alla Fed di tenere ancora tassi di
interesse ridotti molto al di sotto del pensabile. Intimidire la Cina, chiedendo l’aumento del cambio dello
yuan col dollaro, significa pertanto due cose: provocarne la riduzione delle vendite all’estero e innanzitutto la
diminuzione della domanda di titoli denominati in dollari. In effetti, poi, la svalutazione delle monete è
un’avvisaglia della politica generale di inflazione. In questa situazione economica sociale gli usamericani
tenderanno probabilmente a tesoreggiare, e anche le proteste montanti nel mondo possono costituire un
segnale.
Le iniziative della Fed, anche le più recenti in direzione esattamente contraria rispetto alla precedente,
sono state tutte prese su indicazioni del governo Usa per “puntellare Wall street”, compresi i salvataggi delle
istituzioni finanziarie. Inizialmente,. Ormai, da parte della Fed, in linea col nuovo-capitalismo.speculativo,
ha prevalso la politica del denaro facile (bassi tassi di interesse) ai danni della difesa del dollaro; ciò
rappresenta pure un avvertimento per gli investitori esteri di tenersi alla larga dalle speculazioni denominate
in dollari. La Fed Usa garantisce l’appoggio monetario all’attività finanziaria privata, come e più di quanto
fanno in genere tutte le banche centrali (con la creazione statale di moneta – detta fiat), ma in proporzione
all’esposizione creditizia e speculativa delle banche commerciali come appoggio monetario all’attività
finanziaria privata. Si è stimato che 4 mmrd $ di “ricchezza nazionale” siano stati così trasferiti a banche e
investitori stranieri attraverso il disavanzo delle partite correnti.
L’ultimo tentativo disperato vorrebbe congelare i tassi sulle ipoteche. In tal guisa, i ribassi di Bernanke
hanno distolto l’attenzione dai segni della recessione, epperò sono ben poca cosa per i conti delle banche; e
lui, danneggiando considerevolmente il dollaro durante questo processo, sta infatti solo prendendo tempo per
i suoi amici banchieri, avendo ulteriormente ridotto il tasso – per l’ultima volta, dice – nientemeno che al
2%, con la media di un ribasso al mese in mezz’anno [cfr. quanto dicemmo e poi ricordammo nei no.121-
122]. Il taglio degli interessi in questi ultimi anni non ha risolto la bolla edilizia ormai troppo gonfiata; il
crollo dei tassi di interesse ha così per il momento ancora favorito la leva sul futuro. Invece di chiedere un
prestito alcune forze di sostegno alle banche in fallimento proporrebbero come modello le
“nazionalizzazioni” sulla base attuale delle esperienze scandinave. Tuttavia i banchieri sanno bene che
l’ultima spiaggia per loro è quella del governo Usa[si veda altrove quanto detto a proposito dell’intervento
pubblico di sostegno alle imprese parastatali per la gestione delle ipoteche dopo la loro disfatta], ma esso
stesso potrebbe finire nel vortice dei debiti e imbrogli ipotecari: il che è talmente eccezionale che
preluderebbe a una frana di portata mondiale.
È almeno dal 2000 – cioè ben prima della messa in onda del crollo delle torri gemelle – che chi abbia
voluto (e noi tra questi) ha parlato del gonfiamento della bolla immobiliare edilizia sempre pronta a
scoppiare (come accadeva inevitabilmente all’uomo dei palloncini in Break up di Ferreri); ora si tratta pure
di aspettarsi un’altra “bolla”, progettata dai finanzieri d’assalto di Wall street, sul “modello Rohaytin” per
New York, riproposto a Barack Obama [cfr. no.122]. E non è che coloro che videro tempestivamente la
gravità della speculazione sulle case avessero la sfera di cristallo, e tanto meno noi che segnalammo e
seguimmo sùbito la questione: era sufficiente osservare la realtà di quegli anni.
Appunto per questo è servito anche risalire molto tempo più indietro, pur senza scomodare quanto ha
scritto Marx un secolo e mezzo fa riferendo delle opinioni di capitalisti e banchieri [cfr. l’“occhiello” storico
nel numero precedente]: tutto sembra sempre essere sanissimo fino alla vigilia del disastroso crollo, quando
subentra il panico di operatori e speculatori che non fanno in tempo a scansarsi (o ... scannarsi). Le radici
dell’ultima crisi da sovraproduzione si spingono dentro fino alla seconda metà degli anni 1960. È là che si
deve rintracciare l’origine della crisi reale – giacché di ciò si tratta – che adesso terrorizza tutti, e non
svolazzare sulla superficie viscida di una fenomenica “crisi monetaria”.
Dopo i sanguinosi esperimenti sudamericani – non per caso messi in atto immediatamente a ridosso della
caduta rovinosa delle regole di Bretton Woods, e che nel giro di due o tre anni portarono al collasso
economico e politico militare di Cile e Argentina – la lunga crisi si affidò agli arditi palliativi monetari
friedmaniani fatti gestire da Reagan e Thatcher. Tali manovre, essendo costituite da rimedi apparenti, hanno
solo contribuito a protrarre e appesantire l’attuale stato comatoso preoccupante per il mondo intero. Ma il
dramma si ripete ai limiti della tragedia. Nel 1985 si vide che era impossibile sostenere ulteriormente la
sopravalutazione del dollaro; così all’hotel Plaza di New York i G.3 (Usa, Germania e Giappone) ne
guidarono una discesa “morbida” proprio per non cadere nel baratro, appresso al dollaro.
Oggi, con tutta evidenza, il Draghi-per-tutte-le-stagioni, e i suoi esimi costituenti, si sono accorti soltanto
adesso della gravità e dell’estensione mondiale della crisi? Hanno così deciso di voler “togliere dall’ombra

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gli aspetti nascosti della crisi creditizia”: ma chi l’ha gettata quell’ombra, se non i loro stessi amici? Oggi la
tardiva paura espressa dal fsf (ma è dal 1999 che questo organismo internazionale dichiara necessario
intensificare la sorveglianza e i controlli, estendere la vigilanza sui rischi, punire frodi e aggiotaggio, ecc.) fa
séguito alla continua e insistente svalutazione della moneta Usa, in meno di otto anni quasi dimezzato
sull’euro e analogamente poi anche sullo yen; pertanto i ministri economici del G.7 e il Fmi hanno deciso di
dover intervenire “sulla necessità di introdurre stabilità nei mercati dei cambi e frenare l’erosione del
dollaro”, per “il timore che possa andare in caduta libera” ... : perché finora che è? Oltre alle ovvie spinte
speculative, costoro temono per la “crescente debolezza” dell’economia Usa; asseriscono perentoriamente
che per le autorità usamericane “un dollaro forte è nell’interesse della loro economia”, per il sovrapporsi dei
forti disavanzi commerciali Usa con le eccedenze dei mercati asiatici. Si è già detto che imponendo anche
una conseguente rivalutazione dello yuan cinese ciò aggraverebbe la tendenza in atto,.
Un “esperto” finanziere yankee disse poco tempo fa che la caduta del dollaro è un problema che non
riguarda loro ma il resto del mondo – Europa e Asia in testa – in quanto creditori degli Usa e ancora
detentori di grandi riserve in dollari, presso le rispettive banche centrali (soprattutto a Tokyo e Pechino): il
che è limitatamente vero, come si può vedere dallo sconquasso delle borse orientali ed europee, e dalla
diminuzione secca dell’accumulazione produttiva. Ma solo i crediti in dollari delle potenze straniere, che la
svalutazione drastica di quella valuta vedrebbe ridotti a un gruzzolo di carta straccia, spiegano assai poco,
poiché le merci prodotte ed esportate da quei paesi, Cina per prima, hanno come principale destinazione gli
Usa; e in siffatte condizioni la capacità d’acquisto della popolazione usamericana si è ridotta bruscamente,
lasciando invendute molte di quelle merci e aumentando la circolazione della pletora di dollari di carta.

Tale quadro preoccupato è in netto contrasto con il demenziale ottimismo di facciata degli
ir/responsabili dirigenti Usa. Si sa che “Georgino W” Bush jr non attinge ad alcun pensiero e ripete
malamente quello che gli dicono o scrivono; ma non è il solo – ci si è messo anche Bernanke della Fed e altri
rappresentanti, pubblici e privati, del grande capitale che continuano a fingere che sia tutto sotto controllo – a
riproporre il ritornello secondo cui non si può parlare di recessione e che i ... “fondamentali” sono buoni; e,
di conserva, pure Almunia ha affermato che “il tasso di cambio effettivo reale euro-dollaro non sarebbe più
in linea con i fondamentali economici”. Viene da chiedere che cosa siano per essi codesti fondamentali:
misteri dell’economia. È stata proprio la Fed – in continuità da Greenspan e Bernanke – a progettare questo
inevitabile crollo, incurante che le insolvenze nel settore immobiliare continuino ad aumentare. Non è perciò
una mera coincidenza che il governo Usa stia consolidando una forma specifica di “stato di polizia” per
cogliere d’anticipo problemi derivanti dal collasso economico meticolosamente da esso stesso progettato.
In Usa, sopra tutti gli altri stati imperialisti di vecchia data, gli investimenti nella nazione languono (ma
sempre meno quelli del capitale colà basato che volano per il pianeta), gli impianti sono sottoutilizzati
impedendo una loro ulteriore espansione, la produttività “ufficiale” è bassa, nonostante l’inclusione in essa di
attività svolte da dipendenti improduttivi, la contabilizzazione di diverse componenti fatte all’estero per
conto della “casa-madre” e il calcolo nel pil di mere partite di conto come pubblicità droghe ricatti ecc.,
l’occupazione diminuisce pur con tutti i marchingegni statistici relativi alle ore lavorate a tempo pieno e
indeterminato, conseguentemente il potere d’acquisto dei salariati si riduce e i consumi in genere crollano,
sempre più spesso per l’insolvenza degli acquirenti, indebitati con banche e negozi anche per de/merito delle
carte di credito, ecc. Ma per gli “economisti” gli indicibili fondamentali sono solidi: misteri del potere.
“Finalmente viene alla luce il fatto – scriveva Marx [C, II.2] – che il flusso precedente solo in apparenza è
stato inghiottito dal consumo. I capitali-merce si contendono reciprocamente il loro posto sul mercato. Per
vendere, gli ultimi arrivati vendono al di sotto del prezzo. I flussi precedenti non sono ancora stati resi
liquidi, mentre scadono i termini di pagamento. I loro possessori devono dichiararsi insolventi, ovvero
vendere a qualunque prezzo, per pagare. Questa vendita non ha assolutamente nulla a che fare con lo stato
reale della domanda. Essa ha a che fare solo con la domanda di pagamento, con l’assoluta necessità di
trasformare merce in denaro. Allora scoppia la crisi. Essa diventa visibile non nella immediata diminuzione
della domanda di consumo, della domanda per il consumo individuale, ma nella diminuzione dello scambio
di capitale con capitale, dei processo di riproduzione del capitale”.
La mancanza di denaro liquido rischia sempre di interrompere tutta la catena dei pagamenti; ed è quello
che è successo recentemente alle spensierate e amene banche Usa che aspettavano i soldi degli interessi
dovuti dai mutuatari “scrausi” cui avevano allegramente concesso prestiti inaffidabili. C’è una causa reale
che sta a monte ma non è certamente la richiesta pratica della case, bensì quella del denaro, per interessi
passivi sui mutui facili, che i debitori non hanno proprio. Marx ricordava [ivi] che l’intero processo viene
complicato sia dalla semplice speculazione sui titoli, sia soprattutto da quelle transazioni mercantili che
hanno per scopo la pura e semplice creazione di tali titoli, prima effettivi e ora in seguito via via derivati.
Sicché l’apparenza di un’istituzione finanziaria molto solida e con rientri sicuri, può pure tranquillamente
continuare a sussistere con altra faccia a spese sia dei prestatori incauti, sia dei mutuatari insolventi, e in

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parte di produttori piccoli o più deboli, truffati gli uni e gli altri. Dunque la crisi dipende dalla
sovraproduzione che rigonfia anche l’inflazionato mercato immobiliare, di case come merci, sempre più
invendibili come tali, e non come luoghi di abitazione, valori d’uso fruibili, che invece sono affatto
insufficienti, anche in Usa (chiedere a senzatetto, sfollati e barboni).
Quando non ci fosse denaro liquido a disposizione per dar corso alle compensazioni, anche secondo un
banchiere del 1800, non ci sarebbe altra soluzione che unirsi per poter fare i pagamenti sul sistema
finanziario (erario, banche, istituzioni, ecc.) in cambiali o obbligazioni di pagamento in genere – ma di
prim’ordine. Perciò, nel caso in cui il governo mancasse di fornire mezzi di circolazione necessari a evitare
fallimenti a catena, le banche in affanno prima di cadere sotto i colpi della loro crisi di liquidità creano nuovi
titoli derivati di second’ordine, trascinando nel vortice istituzioni finanziarie sparse in tutto il mondo e
obbligando le banche centrali a intervenire in ultima istanza per fornire cassa contante (a brevissimo
termine). I mezzi della comunicazione ufficiale, per celare i furti perpetrati a séguito dell’immissione di
liquidità da parte del sistema centrale, usano l’eufemismo secondo cui “sono stati bruciati” migliaia di
miliardi! “Quando la crisi ha inizio, si tratta soltanto di una questione di mezzi di pagamento. Ma poiché
ognuno dipende dall’altro per il rientro di questi mezzi di pagamento, e nessuno sa se l’altro sarà in
condizione di pagare alla scadenza, subentra una vera caccia al tesoro per procacciarsi i mezzi di pagamento
che si trovano sul mercato” [C, III.33].
Perciò è evidente che, fino a quando il credito di una banca non viene messo in dubbio, essa cerchi di
attutire il panico accrescendo, attraverso varie forme di titoli derivati, la supposta “falsa” disponibilità di
moneta di credito. Ma, se per una serie di motivi collegati, codesta circolazione recede, il panico ne risulta
accentuato. “Tutta la storia dell’industria moderna dimostra che in realtà, se la produzione interna fosse
organizzata, il denaro sarebbe richiesto soltanto per il saldo del commercio internazionale” [C, III.28]; invece
ormai denaro liquido e valute servono prevalentemente, a causa della crisi reale che appare dietro la
maschera della crisi monetaria, a speculare su ciò che accadrà “là e in futuro”. Infatti l’inquietudine
provocata dalla diminuzione delle riserve non deriva dal timore per i depositi, ma dal fatto che coloro che
possono trovarsi nella necessità di pagare improvvisamente forti somme di denaro, sanno molto bene che in
caso di difficoltà sul mercato monetario possono essere costretti a rivolgersi alla banca come alla loro ultima
fonte di aiuto. La fretta per ritirare i propri soldi è cosa nota da tempo (a es., le recenti vicende della
Northern rock e della Bearstern. come pure poi quelle di Freddie Mac e Fannie Mae, stanno lì a confermare
la vulnerabiltà del capitale e di quello monetario e fittizio in particolare).
Esiste dunque una concatenazione effettiva tra questi fatti, in quanto il timore che una banca possa
esaurire la liquidità monetaria aggiunge un panico finanziario alla fase della crisi reale da sovraproduzione,
unica causa agente del fenomeno. Ma non è questo il punto in questione per il momento. Sostiene Marx: “Ci
si trova in presenza di una penuria di capitale monetario, provocata dall’eccessiva ampiezza delle operazioni
in proporzione ai mezzi a disposizione, e tramutata in crisi dal disturbo causato nel processo di riproduzione,
dagli affari truffaldini nel commercio, e così via” [C, III.26]. Ciò che viene a mancare, a coloro che hanno
comprato nel momento in cui i prezzi lievitavano ma che pensavano che continuassero così, è la differenza in
perdita quando quei prezzi sono crollati, i tassi di interesse aumentati, e le scadenze dei pagamenti pressanti:
essi hanno pagato troppo in anticipo ipotecario e il credito facilmente ottenuto corrisponde a ciò.

In ogni epoca del sistema finanziario, gli economisti hanno sempre esitato a ritenere che vi
potessero essere “alcuni grandi capitalisti così potenti da poter in un determinato momento scompaginare
tutto il mercato monetario e depredare così nel modo più vergognoso i piccoli commercianti di denaro. Vi sono
quindi alcuni grossi pescecani che possono aggravare sensibilmente una situazione di difficoltà monetaria,
sottraendo al mercato [con operazioni su titoli derivati – ndr] un corrispondente ammontare di capitale da
prestito disponibile. Per trasformare con una simile manovra una difficoltà monetaria in una situazione di pa-
nico, sarebbe sufficiente l’azione combinata di tre grosse banche” [C, III.33]. Ricorda ancora Marx “che, fin
dalla nascita, le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di
speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipare
loro denaro”. Sicché “il debito pubblico ha fatto nascere le società per azioni, il commercio di effetti
negoziabili di ogni specie, l’aggiotaggio: in una parola, ha fatto nascere il giuoco di borsa e la bancocrazia
moderna” [C, I.24].
Nel periodo di stagnazione che segue una crisi, la circolazione è ridotta al minimo; soltanto con
l’eventuale ripresa della produzione si verifica anche una maggiore domanda di mezzi di circolazione, che
diventa più intensa con l’accrescersi della prosperità. La quantità di mezzi di circolazione raggiunge il suo
massimo al momento di massima espansione e di massima speculazione; ma allora scoppia la crisi nella sua
forma monetaria e da un giorno all’altro la circolazione si rattrappisce e la liquidità tende a scomparire,
insieme ai convulsi movimenti sui titoli. Quello che in gergo è chiamato flying capital [capitale volante], a
causa del suo rapido trasferirsi da un mercato monetario all’altro, per sfuggire al susseguirsi delle crisi delle

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borse, in realtà si presenta piuttosto come capitale vagante [diciamo, a es., roaming & random capital] che
non si sofferma su niente. Come un palloncino troppo gonfiato che, anziché volare in una direzione precisa,
con appena un forellino, comincia a spostarsi di qua e di là nello spazio senza fermarsi, come impazzito,
finché precipita a terra afflosciato.
Fuor di metafora, è con questo tipo di capitale monetario fittizio che il sistema finanziario è chiamato a
misurarsi. La richiesta generale di denaro contante, e l’aumento dei tassi d’interesse, contrasta con la
necessità delle banche centrali di diminuire la circolazione (cartacea o equivalente) in chiave
antinflazionistica; e ciò accade proprio nel momento in cui tutti hanno esigenza di trasformare in denaro le
merci che non possono vendere e che tuttavia devono pagare a qualsiasi costo. Infatti, è opinione dei
banchieri di sempre che durante il periodo di panico il paese ha “bisogno di una circolazione doppia di quella
richiesta in periodi normali, per il fatto che il mezzo di circolazione viene immagazzinato dai banchieri e da
altre persone”.
Dunque, a proposito dell’apparenza delle crisi monetarie, occorre riportare anche le parole che
rammentano come la crisi sopravvenga non solo perché una merce è invendibile, ma perché non è vendibile
in un determinato spazio di tempo; ossia la crisi dipende non solo dall’invendibilità della merce, ma anche
dalla non realizzazione di un’intera serie di pagamenti che poggiano sulla vendita di questa determinata
merce in questo determinato tempo. È questa la forma vera e propria delle crisi monetarie; si è visto allora
come essa si sviluppi quale crisi monetaria non appena il denaro si è sviluppato come mezzo di pagamento.
Detto altrimenti il credito – poiché qui la stessa somma di denaro funziona per una serie di transazioni e di
obbligazioni reciproche – soccorre quando si manifesta un’incapacità di pagamento, non solo in uno ma in
molti punti: “di qui la crisi”, precisa Marx [Tp, II.17].
Nella speculazione, come nella tesaurizzazione, il denaro appare improvvisamente come unica forma
della ricchezza, la sola forma adeguata del valore di scambio. Ma come moneta non è tale da rappresentare la
svalutazione, che è soltanto immaginata, della ricchezza materiale; viceversa siffatta perdita di valore è del
tutto reale. Ed è questo quel particolare momento delle crisi del mercato mondiale che si “chiama” crisi
monetaria. Al cospetto del denaro come “sommo bene”, tutte le altre merci in quanto valori d’uso appaiono
inutili come cose vane, giocattoli, “meri agghindamenti e gran mangiate” – come dice Martin Lutero. Questo
subitaneo trapasso del sistema creditizio a sistema monetario aggiunge il terrore teorico al panico pratico: e
gli agenti della circolazione rabbrividiscono davanti all’impenetrabile mistero dei loro propri rapporti [cfr.
Karl Marx, Per la critica dell’economia politica, II. 3,b].
L’economia monetaria appare, dunque, soltanto come fondamento dell’economia creditizia; economia
monetaria ed economia creditizia corrispondono così soltanto a diversi gradi di sviluppo della produzione
capitalistica, soprattutto nella fase della mondializzazione imperialistica. “Nelle crisi – dopo il momento del
panico – in periodo di paralisi dell’industria, il denaro è fissato nelle mani dei banchieri, degli agenti di
cambio, ecc., e "come la cerva agogni i rivi dell’acqua", esso chiede un campo di impiego per poter essere
valorizzato come capitale” [Marx, Lf, q.VI, f.20]. Le bolle speculative che scoppiano accompagnano crisi
sempre più frequenti in varie parti del mondo e più vaste.
Il crollo dei titoli a Wall street è seguito dalle altre borse mondiali; in caso di forte recessione alcuni
hanno ipotizzato che il prezzo del greggio potrebbe scendere (mentre è ancora in crescita forsennata: è una
scommessa in cui c’è chi vince e chi perde), come sta avvenendo rapidamente, senza diminuzione della
cosiddetta domanda, con alcune conseguenze: I. il prezzo corrente dei derivati è cresciuto nella speculazione
a breve, senza seguire la caduta del prezzo del barile; II. coloro che hanno comunque perso la “scommessa”
sono gli acquirenti finali al dettaglio (mostrando l’ipocrisia delle demagogiche tasse alla robin hood, con
enormi aumenti dei guadagni odierni delle grandi transnazionali del settore); III. intanto, dato che per
“giocare” sui prezzi degli idrocarburi occorre troppa liquidità, gli speculatori si disfano attraverso derivati dei
“titoli spazzatura” più diffusi (tipo quelli sui mutui “scrausi” immobiliari), monetizzano in contante per
speculare a breve e comprare oro o materie prime; IV. oppure, come accennato, sembrerebbe che la
speculazione, vagando, possa spostarsi di nuovo sulle valute – soprattutto euro contro dollaro, in cui (oltre ad
altre importanti materie prime, minerali e alimentari) è ancora in primo luogo quotato il petrolio, e da cui
perciò tale quotazione inversamente dipende – facendo così aggio via via sulle differenze del corso dei
cambi.
Ma, come un palloncino vagante e impazzito, i derivati nel mercato secondario imploderanno sempre di
più, e migliaia di miliardi di dollari in capitalizzazioni fittizie di mercato svaniranno in un attimo. Un folle
gioco al massacro con i titoli derivati su “posizioni ipotetiche”, rinegoziazioni fallimentari, arbitraggi su
immaginari “differenziali” dei tassi o delle valute, promesse di protezioni, sognati trasferimenti “al nero” di
denaro alle isole Cayman, calcoli fatti meccanicamente con computer, equazioncelle furbastre, sotterfugi, ecc.:
tutta roba che non ha niente a che fare con l’attività produttiva. L’economia usamericana si è basata in codesta
maniera per anni sulla finanza “creativa”.

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Oggi a parziale differenza che in passato la sovraproduzione è tale non solo da aver portato alla
distruzione, in valore e anche in ricchezza, del capitale produttivo, ma da aver consegnato l’intero terreno
alla pura speculazione su quel che resta da grattare del capitale fittizio; la solidità reale dell’economia è
dileguata in mille rivoli dispersi in tutti gli angoli del mondo dove si produce senza poter vendere tutto, e con
essa anche quella della natura ridotta a un colabrodo avvelenato. La destabilizzazione sociale che potrà
seguire a un simile cataclisma è difficilmente immaginabile, soprattutto negli occhi spensierati degli illusi
speranzosi, ma non ci potrà essere neppure a tempi ravvicinati alcuna presa di coscienza, tantomeno di
coscienza di classe.
Sembra che si stia scherzando e che si possa continuare a percorrere questa che è una pericolosissima
china: in un mondo “decresciuto” [cfr. più avanti in questo numero e il no.118] nel mito latouchiano le
persone, disabituate a riflettere sui guai propri e del mondo intero, perderanno quel po’ di lume della ragione
che non hanno mai avuto e si getteranno nella cattiveria del proprio ego. Il crollo del mostro dei derivati si
palesa così in maniera più evidente e inevitabile. Come si espresse mordacemente Karl Kraus in uno dei suoi
mirabili aforismi, “qui si stanno proprio curando i calli a un malato di cancro”. E avendo in precedenza
parlato dell’invito a cena rivolto ai padroni predatori – l’ultima cena, quella delle beffe al popolo – le
situazioni del nonsenso ricordano la metafora di Herzog in Nosferatu, il principe della notte: “è la nostra
ultima cena; abbiamo tutti la peste, e ogni giorno che ci rimane deve essere una festa”; in attesa della morte;
ultima cena consumata in piazza – su tavole imbandite, invase da topi portatori della peste e circondate dalle
bare di quanti sono già morti – da tragici festanti ormai indifferenti all’ineluttabile svolgimento degli eventi.

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