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322 - la Contraddizione, 137, Roma 2011

DOLLARO CON\TRO EURO


finché morte non li separi
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Nessuno sa dire che cosa possa succedere, neppure i protagonisti dell’imperialismo transnazionale del
capitale, i loro agenti operativi e i loro rappresentanti statuali. “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”,
riscriverebbe forse ancor’oggi Ungaretti. L’abbraccio tra euro e dollaro è mortale: come disse più volte
Marx, i capitalisti che si presentano quali “fratelli” legati da amorosi sensi se si tratta di colpire duramente il
proletariato, che è la classe nemica per antonomasia, diventano “nemici” anche tra loro stessi: arrivando ad
ammazzarsi come in ogni buona-famiglia, fin dai miti dell’antichità (così li rappresentò Jean Racine nella
tragedia del 1644 La tebaide o appunto I fratelli nemici).
Per smascherare l’ipocrita e opportunistica fratellanza capitalistica basterebbero infatti le pochissime
scarne parole che usò lo stesso Marx [cfr. C, III.15; 10; anticipando il concetto in I.8]; non pare che
conoscesse la tragedia di Racine, e pur conoscendo benissimo Friedrich von Schiller, che scrisse a sua volta
una tragedia nel 1803, La sposa di Messina, con un uguale sottotitolo ovvero I fratelli nemici, probabilmente
non sapeva di quell’opera. In tempi contemporanei, invece, si è fatto un abuso di quella locuzione per
indicare l’opposizione politica di due fronti in lotta – anche se “fratelli” non lo sono mai stati in alcun senso.
I capitalisti citati da Marx già nel 1833 “esibivano “memoriali sulla "concorrenza" immorale dei loro "falsi
fratelli" [latifondisti], ai quali maggiore impudenza o più felici circostanze locali permettevano di infrangere
la legge”; ma se tutti “si comportano come dei falsi fratelli allorché si fanno concorrenza, rappresentano
ugualmente una vera e propria massoneria nei confronti della classe operaia nella sua totalità”. Con il
risultato che “la perdita per la classe nell’insieme è inevitabile, ma quanto di essa ciascuno debba sopportare,
in quale misura debba assumersene una parte, diventa allora questione di forza e di astuzia e la concorrenza
si trasforma in una lotta fra fratelli nemici”. È quello che cercano di fare gli Usa contro il “falso fratello” Ue.
Senonché entro quest’ultima nella cabina di comando ci sono ulteriori inimicizie e sorde lotte tra i due
fratelli – principali ambigui contendenti – Germania e Francia, che già è direttamente sotto attacco esterno,
per isolare la Germania, essa stessa sempre più a rischio: dunque una doppia inimicizia, l’una nell’altra,
mascherate da fratellanza. C’è un vacillante predominio nei confronti degli spasmi di Nicolas Sarközy da
parte di Angela Merkel; predominio improbabile giacché cominciarono alcune banche tedesche, pressate dai
prestiti cinesi alla Grecia, a far falsificare i conti della Grecia di Karamanlis, vecchio amico di Merkel. Si
dice che le banche francesi (circa 10 mrd € di debito pubblico greco) siano meno esposte nei confronti della
Grecia delle banche tedesche (circa 15 mrd €). La Grecia è stata cacciata nel macello che tutti sanno: ma
scrivemmo, almeno un paio di anni fa [cfr. anche l’articolo precedente sullo scandalo italiano] che “l’euro
era il vero oggetto delle manovre da parte del dollaro”.
Per gli Usa, oltre alla necessità di esportare, gli è che il dollaro si trova in tutte le principali riserve
valutarie del mondo, a cominciare dalla Cina; non per nulla il tentativo di rivalutazione della moneta
straniera, in questo caso il renminbi cinese, si è arenato e quindi le manovre del dollaro si sono concentrate
intanto sul duplice attacco all’euro per indebolirne la produzione e l’esportazione sul mercato mondiale e al
contempo non svalutarlo troppo perché la stessa Cina ne desidera una caduta pilotata, avendo ormai troppo
denaro europeo, quasi la metà, nelle proprie riserve (complessivamente ormai sopra a una somma
equivalente ai 3 mmrd $. Condividemmo che le valute importanti nella contesa mondiale devono essere
almeno, e sostanzialmente, due affinché possa aversi lotta e speculazione sui cambi con compravendite
differite in tempi di crisi. Quest’ultima strategia mira a definire il predominio di questa o quella area
valutaria, oggi crescita dell’euro o “dollarizzazione”, domani possibilità di una terza valuta asiatica, ruotante
attorno alla Cina, giacché nel modo di produzione del capitale non può esserci egemonia monopolistica di
una sola valuta – il dollaro: è legge dell’“anarchia capitalistica” e della lotta tra i “molti capitali”.
Non sarà che, di fronte all’avanzata incombente del renminbi, nel giro di qualche anno, se non riuscisse la
attacco del dollaro all’euro, Usa e Ue debbano unirsi contro la minaccia della Cina e in prospettiva unificare
perfino le loro valute, andando oltre sia l’uno che l’altro? [Si pensi alla necessità storica della “nascita” di
una comune valuta forte – a mo’ di fantaeconomico esercizio esemplificativo a una nuova moneta, diciamo
per scherzo il “colón” dal nome di colui che unificò il vecchio continente con il nuovo mondo – stavolta per
far muro contro il mezzo pianeta asiatico – che con l’organizzazione per la cooperazione di Shangai (cfr.
no.115) coordina Cina, Giappone, Russia, India, Corea, ecc.].

la Contraddizione,
1 no.137
La separazione in tutto il mondo tra banche commerciali (per i prestiti a breve) e banche d’affari (per
l’investimento a medio o lungo termine) avvenne negli anni 1930, a es. in Italia a séguito della crisi-scandalo
delle banche salvate dallo stato e in Usa per le conseguenze della crisi del 1929. Le più classiche teorie del -
l’imperialismo spiegano da oltre un secolo, infatti, che “salvataggi” – viva lo stato, quando serve! – di
imprese e banche favoriscono occultamente tali attività private con il denaro pubblico. Quindi il motivo della
contemporanea abolizione di questa barriera prima negli Usa, con Clinton-Rubin nel 1999, e poi in Europa –
che ha resuscitato ovunque la “banca universale” – è facile a dirsi: esso risiede nella possibilità, che così si è
creata, di mobilitare più ingenti capitali per le imprese (ancora più ingenti in prospettiva, ove si realizzi la
fusione tra imprese bancarie e colossi assicurativi) e attivare pertanto la speculazione (su cambi, mutui,
derivati, scommesse sul futuro, ecc.) laddove, con la crisi incombente, l’investimento nella produzione non
era più possibile. Pure lo pseudo marxismo dell’asinistra “si indigna” per la corruzione, talmente palese che
balza agli occhi di chiunque – epperò vista soltanto come eccezione da colpire e non invece come regola
fondante del modo di produzione capitalistico.
Senonché il “controllo della società sui mezzi oggettivi della sua propria riproduzione, entro la società
capitalistica, è un elemento di anarchia” [C, II.20], per l’appunto. A controprova di ciò Marx cita un certo
“Charles Pecqueur, essenzialmente sansimoniano più radicale” che aveva notato come “le banche private,
l’anarchia, la sproporzione tra la produzione e il consumo” legando “forzatamente i sovvenzionati con una
stretta solidarietà nella produzione e nel consumo” – e quindi “al contrario senza che essi stessi determinino i
loro scambi e le loro produzioni” – si avrebbe soltanto ciò che esse banche private “hanno ottenuto finora, la
rovina subitanea degli uni e l’arricchimento subitaneo degli altri” [C, III.36]. ... E i sicofanti padronali
continuano invece imperterriti a parlare di “denaro bruciato” in borsa – centinaia di miliardi in euro o in
dollari – laddove invece si tratta di ben altro. Se la continua oscillazione delle quotazioni va verso il basso,
vuol dire che coloro che hanno in portafoglio titoli considerati di un dato valore, a séguito della sua
diminuzione pèrdono nominalmente l’importo a ciò corrispondente; ma, finché non vendono quei titoli, la
perdita resta appunto nominale. Essa si concretizza appena i titoli sono venduti, e corrispondentemente
acquistati da coloro che – di fronte al panico dei vecchi possessori che temono un ulteriore ribasso – invece
non aspettano altro che un momento simile giacché speculano scommettendo sul rialzo delle quotazioni.
Perciò, in un tale clima, nessuno osa dire chi abbia rubato a chi: ossia chi siano – nomi e cognomi o
denominazioni societarie – coloro che da tutto ciò abbiano guadagnato tantissimo ai danni dell’enorme
“parco buoi di borsa” che ci hanno lasciato il proprio portafoglio, le penne e a volte anche la vita. In effetti
ogni siffatto istituto finanziario speculativo di professione “non riuscirà mai a far nulla di meglio che
produrre una somma di prosperità per gli uni identica alla somma di rovina sopportata dagli altri”. Ai
salariati così sovvenzionati – aggiunge Pecqueur – vengono soltanto forniti “i mezzi per farsi tra di loro la
stessa concorrenza che si fanno attualmente i loro padroni capitalistici” [ivi]. Proprio alla fine del suo libro
Marx [C, III.51] concluse osservando che “tra i capitalisti stessi, che si contrappongono l’uno all’altro
soltanto come possessori di merci, regna una anarchia completa, nel quadro della quale la struttura sociale
della produzione si afferma solo come una soverchiante legge naturale nei confronti dell’arbitrio
individuale”.

La cloaca del capitalismo mondiale è Goldman Sachs [cfr.133], si sa, matrice Usa da cui sono
provenute le varie bolle speculative per attaccare alcuni stati della Ue, e per tentare collateralmente di far
riprendere l’egemonia del dollaro quale moneta di scambio mondiale: non si dimentichi che il debito
usamericano [sull’irresistibile declino e il crollo per il debito degli Usa, cfr. da ultimi i nn. 135 e 136] è
notevolmente più grave di quello dei “pigs” o “piigs”. E adesso tocca alla Francia dopo la Spagna – o come
recita il detto popolare “o Franza o Spagna, basta che se magna” [si veda Guicciardini]. Bensì a quel tempo –
come al solito, e proprio come oggi – il detto era riferito alla fame più nera cui fu costretta la popolazione
contadina (in quel contesto, della Lombardia), e non agli sporchi lucratóri internazionali della finanza che
specula. Ne andava di mezzo, allora, il dominio dei “nobili” – e oggi i “similnobili” sono direttamente gli
speculatori finanziari razziatori di ricchezze altrui – che nella loro lotta sulle spalle degli sfruttati, per
l’appunto tra il regno di Francia e l’impero di Spagna, si cimentarono a cominciare dall’inizio del XVI
secolo, poi per decenni e secoli.
Dunque l’attuale famigerata regìa di Goldman Sachs si ripete in un cinico doppio gioco: da un lato essa fa
da consulente di alcuni governi europei, dall’altro insegna come guadagnare dal fallimento di quei medesimi
stati e dal disastro globale sempre più incombente [cfr. il Wsj che riporta le diagnosi di Alan Brazil, lo
stratega di G&S (e non l’omonimo calciatore scozzese)]. Come accennato si compra prima che un fuoco di
paglia provochi un rialzo fittizio, sì poi vendendo; per speculare di nuovo in séguito, favorendo il ribasso o il
crollo dei titoli di stato di un “debito sovrano”, sulle assicurazioni dei quali agli affaristi è stato fatto
scommettere investendo in un indice di cds (credit default swaps), se e quando quegli stati falliscano. In
questa maniera se la parità del cambio scende, poniamo del 5%, con una “leva” doppiogiochista, poniamo di

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20 volte, si moltiplica il profitto per entrambe le speculazioni su cui è articolata la scommessa, per cui l´in -
vestimento viene raddoppiato, ossia rende anziché il 5% il 100%.
Gli investitori “contro” l’euro, così conducono attacchi coordinati dalle grandi banche di Wall street, con
la partecipazione di figuri come George Soros (che ai suoi fondi chiusi da 27 mrd $ fece “scommettere” sul
tracollo, guidato, di Lehman bros) o del gruppo Paulson (che ha fatto investire fino a 32 mrd $ nei cds sulla
“sperimentale” bancarotta della Grecia), appunto con la differenza che adesso rispetto ad anni fa quei fondi
chiusi sono passati a speculare contro un bersaglio più grosso, l´euro unificato e non più le singole monete:
gli stati invece delle imprese. Il solito Brazil ha sottolineato che per allontanarsi dal crollo le banche europee
potrebbero avere bisogno di qualcosa come 1.000 mrd $ per ricapitalizzarsi! Basti pensare che i “pi igs”
hanno in circolazione titoli di stato – detenuti come “spazzatura” da tutte le banche più importanti – per un
valore di quasi 3 mmrd €, di cui l’Italia ne ha emessi più della metà.
Si è ripetuto insistentemente che nel “gioco delle carte-moneta” la contesa finale dei falsi fratelli è tra
l’“asso” dollaro e il “re” euro – questo ancora con il ricordo (o l’incubo) delle “carte figurate” ormai
inservibili delle sue vecchie monete nazionali. Allora sembrerebbe tornare nel quadro il vecchio progetto –
pare del lontano aprile 1968 (allorché era di là da venire l’euro e il renminbi era ancora privo di significato),
attribuito all’oscuro gruppo Bilderberg [cfr. i no. 87, 94, 89, 114 e in rete] – del tentativo di far crollare
l’attuale sistema finanziario mondiale scaricando il dollaro. L’iniziativa è ardua perché una svalutazione
secca del dollaro condurrebbe al collasso a catena del sistema finanziario globale, e ancor prima causalmente
dell’economia mondiale imperialistica già in carenza di ossigeno. Tale remoto proposito non avrebbe preso
in esame il ruolo crescente della Cina, giacché in gran parte quel progetto sarebbe ormai contro di essa, che
è piena di dollari sempre più cartacei e fasulli e di cds inesigibili: ma allora la Cina rivestirebbe il ruolo del
simbolico “oste” con cui fare i conti. Secondo il gruppo Bilderberg, il progetto di crollo del dollaro avrebbe
dovuto essere utilizzato come pretesto per varare un “nuovo sistema monetario mondiale”. Ma ora, senza
Cina, forse come “piano B” c’è il recupero della valuta dollaro-Usa con il suo colpo di coda per la
speculazione contro euro-Ue: riuscirà?
Secondo uno studioso [un certo Daniel Estulin, cfr. prweb.com] che prova a squarciare i veli su
Bilderberg nella creazione di una nuova valuta mondiale unica di riferimento – ma al posto del solo dollaro –
starebbe il senso originario della globalizzazione; un simile disegno implicherebbe anche una maggiore
integrazione in Europa, e poi nel resto del mondo. Ma siccome nel sistema del capitale servono almeno due
valute non una soltanto – come si è spiegato, perché altrimenti non ci sarebbe più nemmeno “capitale” al
quale è proprio immanente la sua pluralità e quindi la lotta tra i molti capitali, e ora non pare proprio che ci
siano forze alternative al modo di produzione capitalistico (né in senso dispotico “neo-medievale” né
tantomeno “socialista”, o men che meno “comunista” che implicherebbe una previa non breve transizione) –
l’iniziativa nazi-bilderbergiana ha molto di più l’aspetto di fantaeconomia di quella esemplificata per uno
scherzoso azzardo qui sopra, invece con due monete principali la cui novità sarebbe semmai quella asiatica
a dominanza cinese, dopo la pacificazione forzosa tra i falsi fratelli dollaro ed euro. Tuttavia il necessario uso
continuo del condizionale la dice lunga sul carattere eccentrico del progetto di Bilderberg e di fantasia anche
dell’ipotesi dollaro+euro.

la Contraddizione,
3 no.137

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