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332 - la Contraddizione, 145, Roma 2013

GLI SCRICCHIOLII DEGLI USA


“la caduta dell’impero usamerikano d’occidente”
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Non sono le notizie a sconvolgere il mondo,


sono i fatti: e quelli non possiamo cambiarli,
perché sono già accaduti quando le notizie arrivano.
[Friedrich Dürrenmatt, Romulus der Große, 1950]

Friedrich Dürrenmatt – il grande artista svizzero seguace di Brecht e di Kafka – nell’immediato


secondo dopoguerra, precorrendo i tempi quasi di vent’anni e rispetto ai successivi avvenimenti per
una quasi cabalistica coincidenza di date, con cent’anni precisi di differenza – il 1900 per il 1800 – da
ricordare qui per pura curiosità: dall’incubazione iniziale a partire dal 1867 fino all’irruzione violenta
dell’imperialismo nel 1873, una ricaduta intorno al 1878-79, poi una breve ripresa culminata intorno al
1883, una nuova recrudescenza della crisi dal 1889-92, fino al passaggio di fase intorno al 1896, ai
quali vanno aggiunti gli eventi del 2001, del 2008 di altri decenni fino a oggi. Ciò che qui interessa è
che tutte quelle fasi furono accompagnate da fenomeni industriali, commerciali e monetari, la cui
somiglianza con l’oggi può sembrare straordinaria. Senonché la crisi del 1929 è evocata dagli
economisti dominanti piuttosto che non quella del 1873 perché quella del ‘29 riguardava gli Usa
mentre l’altra soltanto ... il mondo intero alle soglie dell’era imperialistica del capitale: ecco spiegato
l’arcano del riferimento maniacale al confronto tra quella e la crisi attuale (a parte volere insistere a
chiamarla finanziaria, anziché forma monetaria di una crisi reale cominciata proprio negli Usa nella
seconda metà degli anni 1960, ribaltando quest’ultima da causa causante a conseguenza fattuale dopo
i puri fenomeni monetari e speculativi del 2008); simile recente diavoleria ha tra l’altro facilitato il
richiamo al cosiddetto “martedì nero”, il 29 ottobre 1929, con il grande crollo della “borsa” di Wall
street, dunque monetario e speculativo, e al conseguente intervento di allora, senza prendere in
considerazione ciò che era già avvenuto in termini reali nel mercato mondiale dei capitali.
Ma si torni a Dürrenmatt il quale scrisse la commedia satirica che lui stesso definì una “commedia
storica che non si attiene alla storia”, Romolo il Grande [nell’originale tedesco: Romulus der Große]:
in realtà quel Romolo era un quattordicenne, quindi solo “imperatore reggente”, e perciò era detto
Augustolo, “il piccolo Augusto”, ma se fosse stato solo per la giovanissima età anagrafica sarebbe
stato meglio dirlo Romulus der Kleine – “il piccolo grande imperatore”; senonché la denuncia di
Dürrenmatt contro tutte le tirannie e contro tutte le violenze è così sferzante e amaramente grottesca
sui paradossi del mondo che la sua attualità è angosciosa. Si sono riferite le sue parole circa il fatto che
questo racconto “non attiene alla storia” dei fatti reali, ma per lui stesso ciò sottolineava il surrealismo-
della-realtà (si passi il gioco di parole) e spiegava che “non sono le notizie a sconvolgere il mondo,
sono i fatti: e quelli non possiamo cambiarli perché sono già accaduti quando le notizie arrivano”.
Appunto lui ha fatto diventare “grande il piccolo” imperatore – grande sia per l’età ma soprattutto
perché mentre Romolo Augustolo era considerato da tutti un buffone smidollato; invece solo lui aveva
un disegno strategico che prevedeva un’eutanasia di proporzioni “imperiali” per propiziare la nascita
di una società nuova. Le <notizie> dicevano che le istituzioni proseguirono con il loro vuoto e ridicolo
cerimoniale bizantineggiante mentre il <fatto> era che la fine ufficiale dell’impero non modificava i
modi di vita della popolazione romana d’Italia; e anche questo era un altro “fatto già accaduto” che
non poteva essere cambiato da nessuna notizia addomesticata in senso contrario.
La disfatta delle legioni romane sconfitte dai germani avevano fatto precipitare l’impero
d’occidente nel baratro della bancarotta [ogni riferimento attuale al pericolo di blocco delle attività
federali Usa (il cosiddetto shutdown – si noti che anche questo fenomeno è ufficialmente e
mediaticamente detto in inglese – per non far capire alle masse il senso preciso del fallimento di uno
stato), non è affatto casuale]. Nella simbolica traslazione svizzera che “non attiene alla storia” reale si
immagina un ricchissimo fabbricante germanico [... probabilmente già amico più di un millennio fa
degli arciarcavoli di Angela Merkel] era disposto a cavar di tasca milioni di sesterzi per cacciare i
barbari e “fondersi” [rammentare oggi il progettato accordo transatlantico Usa-Ue, ossia tra i due

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“imperi” d’occidente, quello già dominante ma in crisi usamericano e il sottoimpero germanico
europeo che attraversa acque molto turbolente] con l’impero romano, ricavando da un lato, come
scriveva Dürrenmatt “qualche talento d’oro dalla vendita di antichità” del patrimonio residuo del
vecchio impero e un gruzzoletto di sesterzi dall’eccesso di produzione manifatturiera. Ma allora la
storia vera dice che al rifiuto dell’accordo <i germani espugnarono Roma>; essi erano guidati dal
console militare Odoacre, che si occupava quasi soltanto delle questioni amministrative e fiscali delle
guerre; ma, da lui destituito Augustolo, Odoacre fu dal giovane reggente nominato primo re d’Italia; fu
poi sconfitto, destituito a sua volta e assassinato a tradimento insieme a tutta la sua corte durante un
pranzo di ... “pacificazione” [sic!] da Teodorico che ne occupò il trono.
Nella grottesca allegoria gallinacea dürrenmattiana, invece, tutto ciò provocò grande sollazzo
mentale e fisico del giovane Augustolo, il quale fu disgustato dai fasti tardo-romani del passato,
compiacendosi della calata dei germani. Le casse imperiali erano vuote, non c’era più un centesimo,
l’impero d’occidente era allo sfascio, ma – racconto a\storico di Dürrenmatt – il vero obiettivo del
giovane Augustolo, infatti, non era quello di salvare l’impero ma anzi di dismettere il residuo
patrimonio e pertanto si ritirò a vita, nella sua campagna. Nulla di preciso si sa della sua morte
materiale, sì che per un millennio fino alla cosiddetta scoperta dell’America proprio a partire dalla
caduta dell’impero romano d’occidente, fantastiche e immaginarie leggende medievali (bretoni,
normanne, celtiche – con tanto di sacro graal, templari, massoni, ecc.) hanno imperversato per quei
mille anni sulla retorica della multiversa esistenza di Artù e della sua morte\non-morte. Accedendo a
simile tematica misteriosa, con il suo paradosso a\storico Dürrenmatt fa sopravvivere, non si sa fino a
quando, anche Augustolo: giacché gli aveva attribuito quel lungimirante piano strategico di
un’eutanasia “imperiale” per pervenire a una società nuova. Infatti nel suo racconto che “non attiene
alla storia” gli fa annegare tutta la corte. In una maniera dissacrante al punto che lui, anche diventando
<grande> potesse dedicarsi all’allevamento dei polli, sua vera passione, ai quali mise i nomi dei grandi
del passato, e alla cura delle uova delle sue galline – alla più importante delle quali impose il nome
Odoacre; il quale nella finzione vien fatto figurare come altro pollicoltore stufo delle guerre, al pari di
Augustolo.

La rappresentazione sarcastica, si è visto, verte sulla caduta dell’allora “Impero romano d’Oc-
cidente”. Ma oggi chi potrebbe impersonare i ruoli di quel racconto a\storico dürrenmattiano? Si è
partiti – forse fin troppo dettagliatamente – da quella finzione fantastica poiché essa fa emergere una
congerie di circostanze che, da un lato, capovolgono il vecchio detto marxiano, su Napoleone III il
Piccolo, e il suo 18 brumaio: “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi
personaggi della storia universale si presentano per, così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere
la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”. Perciò la pochade storica politica che “non
attiene alla storia”, con i suoi ribaltamenti, una giullarata dove tutti sembrano solidali mentre tutti sono
pronti a farsi reciprocamente lo sgambetto, è un testo satirico e profondo, divertente spietato e cinico
sul rapporto tra politica ed economia, d’altronde com’era nelle corde di Dürrenmatt. Ma nel caso del-
l’attuale realtà mondiale paradossale comparata con il surrealismo\reale dürrenmattiano si può
addirittura ricapovolgere quel detto: poiché la sua farsa viene prima – fino a decenni prima – della
tragedia. Dunque occorre mettersi alla ricerca dei personaggi della tragicommedia odierna. A
cominciare da quello che è molto più che uno scricchiolio dell’imperialismo a base Usa, che data
ormai da quasi mezzo secolo – come dovremo ripetere per l’ennesima volta – percorrendo i decenni di
tutti questi dieci lustri. E codesti personaggi dipingono un quadro conflittuale che spesso assume i toni
del ridicolo.
Scendendo alle bassezze italiane dei ricatti, tutti ormai sono abituati al ghigno raccapricciante di
Renato Brunetta quando con finta seriosità e vera protervia balbetta i suoi frizzi e lazzi idioti e
sconvenienti, e non c’è – tranne i palafrenieri del Kapone – chi non sghignazzi all’ascoltare simili
boiate. <Se il Pd fa una puzzetta, eh ... cade il governo, eh ... cade il governo eh ... cade il governo
[ripetuto infinite volte alla nausea]. Se non viene abolita l’Imu, eh ... cade il governo ... Se non si
fanno tornare i ″marò″ dall’India, eh ... cade il governo ...Se il Pd ″condanna″ Berlusconi, carnefici!
[sic!], eh ... cade il governo ... eh ... cade il governo ...” [come sopra, nauseabondo]. In molti hanno
provato a dire a lui e ai tanto altri lacchè par suo, rei di apologia di reato e di vilipendio reiterato delle
istituzioni che <però c’è una sentenza della cassazione, di terzo grado passata in giudicato, che non
esiste un quarto grado di giudizio>, ma loro no, insistono con stomachevole pervicacia <eh ... cade il
governo ... eh ... cade il governo ... eh ... cade il governo ... eh ... e e e [ pausa tecnica] eh ... cade il
governo ... cade il governo ... > [→ ∞]. Ma se questo è un logoro ritornello s\forzitaliota berluscoide
sceso così giù da essere affidato a Brunetta, nel mondo esistono fatti molto più alti – se ci capite! – per
i quali si ripete un simile modello di minacce. A es., per quanto riguarda l’Ue e la sua compattezza nel
contenzioso internazionale che si fa ogni giorno più acceso, l’Ue ha imposto a Viktor Yanukovyč, per

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essere ammesso al banchetto europeo, questa condizione: <se non scarcera Julija Timoshenko, eh ...
niente Ue>.
E ci sono però altri falsi nodi da sciogliere o tagliare che coinvolgono la lotta-sull’accordo-
economico (bell’ossimoro!) transatlantico Usa-Ue di stretta attualità, giacché riguarda tra mille
difficoltà e contenziosi la disperata rincorsa di entrambe le parti per uno pseudo accordo con quel
progetto di trattato di ... libero commercio e investimenti per la cooperazione di Lough Erne tra Usa e
Ue [che abbiamo esaminato nel numero scorso: cfr. no.144]. Cooperazione che gli Usa osano definire
esempio di “bilateralità”, quando di fatto gli Usa, politicamente federati come se lo fossero anche gli
europei, sono soli dinnanzi ai ben 29 stati (... per ora soltanto, in attesa dei nuovi ingressi): è in effetti
uni-multi-lateralità di 1÷29, perché la “bilateralità” reale, benché forzata, c’è solo tra gli Usa arbitri
dominanti e la Germania, come ai tempi dei germani e di Augustolo per la caduta dell’impero romano
d’occidente – soltanto che oggi, di fronte all’esagitato attacco mascherato, con un sordido trucco da
illusionisti degno del “gioco delle tre carte”, da parte Usa all’Ue figurata però come Germania, chi
mostra più crepe sono proprio gli Usa. Questi cercano in tale maniera di scaricare tutto il peso sulle
spalle dell’Ue: che certamente tanto bene non sta. Ma se il dollaro, per reggere la sua invadenza sul
mercato mondiale è costretto dalla sua concorrenza\dumping, con la discriminazione del prezzo sui
mercati esteri tramite manovre sul corso dei cambi, a sottovalutarsi rispetto all’euro – fino a quotarsi
1,39 – (che pure include, a es. anche Grecia e Italia) per esportare più della Germania, vuol dire che
<sta alla frutta>, ... pur senza osservare una dieta mediterranea che vuole finire i pranzi con la frutta,
ossia è in vista della propria fine: “sente li passi”, come si dice in dialetto romanesco ascoltando
l’approssimarsi di Madama Morte.
Dunque, che lo spionaggio sia sempre un doppio gioco è ovvio: non si fanno grandi distinzioni tra
nemici, amici, competitori, concorrenti, alleati. Si è già detto la volta scorsa che tutti i rappresentanti
partecipanti alla trattativa sono stati d’accordo di non ritardare l’avvio del negoziato Usa-Ue per il
presunto spionaggio usamericano “Prism”, in attesa di chiarirne la portata. È stato spiritosamente detto
da Emma Bonino che “spiarsi tra alleati non è carino”. Tuttavia il falso sessantottino Daniel Cohn-
Bendit, franco-tedesco imboscato in Germania come apolide per non fare il servizio militare in
Francia, detto il “Dany il rosso” soltanto per il colore di allora dei capelli, ma di tendenze anarcoide
(cioè detto altrimenti per meglio fare gli affari suoi); tuttavia il rosso dei capelli si è con gli anni
sbiadito, come il rosso del maggio francese 1968, e lui è diventato deputato europeo “verde”. Molti di
noi non avevano dubbi in proposito su simile involuzione; ma, prescindendo dalle sue ... scelte private
(lavorò come aiuto-educatore in una scuola materna autogestita, e ricordò nella sua autobiografia
Gran Bazar, che era molto innamorato – se ci capite! – del suo lavoro di ... pedagogo), sul piano
pubblico da autonomo liberista mascherato da “libertario” si è provato a dire che “i partner non si
spiano a vicenda”, perfettamente in linea, a es., perfino con quanto, a loro tempo, <promisero> i
cinque membri anglofoni di Echelon: <di non spiarsi reciprocamente>, senonché si è visto come
possano evolvere le cose.
Ci siamo chiesti: e chi vuoi spiare i nemici pezzenti? Lui molto probabilmente non sa che lo
scontro intestino c’è da tempi antichissimi – dai miti di Caino e Abele, Romolo e Remo, ecc.: dice il
proverbio <dagli amici mi guardi dio che dai nemici mi guardo io>. E siccome è secondo noi molto
improbabile – ossia del tutto escluso, per mancanza del soggetto e della cosa – che dio-ti-aiuti, se non
spii gli amici, saranno proprio loro a spiare te. È una guerra di tutti contro tutti, ma non hobbesiana
avendola ancora una volta buttata in pochade in cui gli attori devono apparire solidali tra loro, come
fratelli e sorelle, mentre si stanno facendo le scarpe. Sembra perciò essere proprio codesto l’unico vero
accordo raggiunto dai partecipanti: d’accordo che ognuno – nel soprassedere sullo spionaggio <in
attesa di chiarimenti>! – possa e debba giocarsi le sue carte impiegando tutte le armi a propria
disposizione: che vinca il migliore! ossia il più forte! Poiché come detto tra Usa, scricchiolante come
un armadio vecchio, e Germania, disegnata come avatar Ue, il migliore e più forte sembra essere per
ora ... la Cina.

La crisi economica internazionale, complessivamente durata oltre cinque decenni, può pure
essere considerata nel suo insieme, ma ciascuna fase è ben individuabile. È quindi opportuna una
preliminare precisazione parentetica per sgombrare il terreno da false e reiterate designazioni,
equivoche soprattutto se indicate dall’asinistra: quando si parla di mezzo secolo di crisi, quei teoristi le
chiamano <onde lunghe>, negando o ignorando la ricorrente periodicità ciclica della sovraproduzione
[insegna Marx] di capitale. In altri termini, raggruppare cicli più o meno brevi in una fase di lunga
durata (almeno 50 anni) significa non considerare la marxiana tesi della ricorrenza di ogni crisi e la
eventuale loro fuoriuscita capitalistica più o meno forte o debole, con ripresa dell’accumulazione o
con ulteriore ma ravvicinato e nuovo periodo di stagnazione; la possibilità di identificare
separatamente cause e circostanze di ciascuna fase di crisi, non significa indipendenza di una dall’altra

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– anzi – al contrario implica una loro stretta connessione nel succedersi del loro divenire causale: ma
avviene esattamente il contrario di ciò proprio allorché se ne appiattisca la differenza specifica di
ciascuna fase in un’unica anodina e indistinta <onda lunga>, approntata per tutto e per niente.
Marx spiega con abbondanza di analisi per quale motivo periodicamente in tempi di diversa durata
e frequenza il capitale, cosa che ormai avviene con crescente probabilità sull’intero mercato mondiale,
produce in eccesso una quantità di plusvalore che tale mercato non è in grado di assorbire e quindi di
ottenerne un profitto da accumulare: di qui l’inevitabile crisi periodica, che può più o meno
rapidamente risolversi contrastando la diminuzione del tasso di profitto medesimo oppure portare a un
ripresa lenta e contraddittoria o, infine, a un rivoluzionamento cosciente del modo di produzione. Ma
in ogni caso dall’analisi marxiana si vede che: non c’è un capitale-perennemente-in-crisi (come
sostengono coloro che ne vogliono vedere ideologicamente il costante aspetto dispotico continuamente
vulnerabile) o un capitale-perennemente-in-crescita (come sostengono altri, che con atteggiamento
parimenti ideologico vedono il nemico di classe sempre all’attacco da contrastare soltanto quando sia
possibile il cambiamento del modo di produzione): in entrambi i casi manca ogni dialettica storica
della contraddizione che comprenda insieme la periodicità ricorrente delle crisi e il loro alterno
succedersi nell’arco dinamico del tempo.
Pertanto le cosiddette <onde lunghe> entrambe ignorano le forme marxiane delle crisi,
raggruppando pittorescamente le varie fasi di esse in un indeterminato unico lungo periodo. Si noti,
infine, che in codesta fantasmagorica teoria – immaginata nel 1925 da Nikolaj Kondratiev di
formazione statistica, quando era già saltato sul carro dei vincitori bolscevichi, ma prima era stato
membro del liberale sedicente Partito socialista rivoluzionario, e ministro nel fugace e provvisorio
governo riformista, liberal-agrario, anticomunista e antimarxista, di Alexander Kerensky – alcuni
seguaci di Kondratiev si lanciarono nelle più astruse considerazioni sulle origini di tali <onde lunghe>
arrivando perfino ad attribuirle alle ... “macchie solari” (che certo esistono e causano tempeste
elettromagnetiche che influiscono anche sulle condizioni climatiche e atmosferiche dei pianeti della
galassia, ma non c’entrano nulla con le cause capitalistiche delle crisi sulla terra). Altri in sentore
liberale, e in particolare gli “economisti”, provarono a inserirci invece motivazioni diverse, dalle
guerre alle insurrezioni rivoluzionarie, così pure le innovazioni tecnologiche e organizzative, come
anche le invenzioni scientifiche: catturando in tale maniera il beneplacito degli “economisti illuminati”
progressisti-da-accademia, tipo Schumpeter e soprattutto schumpeteriani “disinistra”.
Ma perché tali economisti non si sono chiesti quali fossero le cause agenti dei rapporti sociali e
materiali di invenzioni e innovazioni? Forse che anche le guerre e le rivoluzioni non hanno nella
modernità alla loro base una spinta economica? Si gabella ancora la favola, molto parzialmente
accettabile appena nell’antichità e nel medioevo, delle guerre-di-religione, delle lotte-ideologiche-e-
morali o degli scontri-di-civiltà. Ma la ragione di fondo va ricercata nel vizio logico endemico di quasi
tutti gli economisti borghesi: di confondere e capovolgere il rapporto causa-effetto nel divenire
contraddittorio della dialettica storica (se non addirittura disinteressarsi della ricerca delle cause dei
fenomeni); sì che, a es., nel caso in esame, i fenomeni economici raffigurati come <onde lunghe> del
ciclo vengono ripescati in quanto manifestazioni effettuali di ben diverse azioni economiche causali.

Le rivelazioni sul programma di spionaggio della Nsa, Prism – in questa retorica analessi del
racconto a partire dalla fine – rappresentano in un certo senso la chiave di lettura del legame tra le
molteplici vicende scricchiolanti dell’ultima crisi negli Usa, lunga e ricorrente attraverso fasi
successive. Intanto per cominciare, le pseudo rivelazioni su Prism sembrano un segreto-di-pulcinella
sulla scoperta-dell’acqua-calda o dell’ombrello: il tema avrebbe dovuto far parte del progetto di
accordo transatlantico Usa-Ue. Senonché potrebbe sembrare curioso – se non si trattasse di una
pulcinellata, qual è stata – che tutti i rappresentanti degli stati presenti a Lough Erne, in una lotta
articolata su moltissimi punti tra fratelli (e sorelle, dato il ruolo rilevante di Angela Merkel, e per
l’Italia la spiritosa partecipata presenza di Emma Bonino) e non tra nemici [ma ce ne sono ancora nella
mondializzazione imperialistica borghese?], si siano trovati tutti d’accordo – gli Usa incriminati e gli
stati Ue a far la parte degli offesi – nell’accantonare la questione dello spionaggio Prism: meglio
parlarne in un altro momento per non pestare i calli agli amici ... riservandosi cosi, gli uni e gli altri,
armi nascoste per future trattative.
Ma gli altri stati che hanno fatto gli offesi sono anzitutto Francia e Gran Bretagna che già sapevano
e spiavano esattamente alla stessa maniera del Prism Usa (erede di Echelon, gestito per gli Usa da
Nsa, e uscito allo scoperto (relativamente) negli anni 1980 ai tempi di Reagan, con la fine della
“guerra fredda”, in “accordo” con i principali cinque stati anglofoni firmatari – perciò detto aus-can-
nz-uk-us, dalle loro prime lettere). Sia la Francia che la Germania non sono anglofone; ma loro
posizione è diversa. La prima collabora da anni con i sistemi spionistici Usa e, nonostante la lingua,
aveva tentato e chiesto, ma le è stato negato, di entrare a far parte del gruppo fondatore di Echelon; e

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anche adesso è strettamente implicata nelle operazioni Prism (insieme a Israele e Svezia, mentre
l’Italia è stata scartata per inefficienza e scarsa affidabilità – si ricordi, a es., lo squallido caso
dell’espulsione della kazaka Alma Shalabayeva e della figlia Alua, all’...insaputa del ministro degli
interni Alfano), nonostante le goffe messinscene di Hollande in àmbito europeo per <solidarizzare>
con la stizza di Merkel. Infatti è precisamente la Germania l’oggetto specifico degli attacchi Usa, e
quindi è la Germania che prova a rispondere per le rime al “falso fratello” Usa: a dispetto del progetto
di pseudo cooperazione transatlantica ancora di là da venire, in una lotta interimperialistica senza
esclusione di colpi.
Si tornerà, con balzi a ritroso nel tempo, a mostrare dunque come tutte le mosse usamerikane negli
anni rivolte contro l’Ue abbiano la Germania come obiettivo principale, su cui scatenare l’aggressione
concorrenziale, attraverso la maschera di altri stati più o meno minori secondo il rispettivo ruolo del
momento (dall’Irlanda alla Grecia, dalla Spagna all’Italia, e via con i “porci”) o del l’intera unione
europea: Italia-Germania 4-3 può andare bene per le rimembranze calcistiche, ma qui lo scontro serio
è Usa-Germania, poiché Russia e Cina, con Giappone, India e vari stati asiatici con la loro pregressa
influenza, e l’organizzazione per la cooperazione di Shangai, stanno lì, sull’argine del fiume in piena
ad aspettare il passaggio del cadavere del nemico. Dunque il contenzioso dello spionaggio addossato
agli Usa è sì reale, ma sia il rinvio delle decisioni su di esso, nell’àmbito dell’accordo transatlantico
Usa-Ue, sia la sua utilizzazione come motivo conflittuale, sono un pretesto per entrambe le parti in
fraterna lotta: ma si rivedrà – non fosse bastato quanto ripetutamente da noi scritto in tempi che si sono
succeduti a partire dalla fine dell’incontrastata crescita ventennale usamerikana postbellica – chi ora,
quasi da mezzo secolo, sta peggio e scricchiola di più sono proprio gli Usa aggressori. Si potrebbe
essere contenti e dire: <gli sta bene, così imparano>; ma non sono soltanto affari loro, quanto pericoli
per tutti, noi compresi e anzi proprio a cominciare dalla classe lavoratrice avversa, e loro non
imparano niente. Come in Italia si deve estinguere Berlusconi, così nel pianeta – ed è impresa assai più
seria e difficile – è necessario portare alla fine il dominio violento degli Usa < poliziotto-del-mondo>.
Allora la Francia, attraverso la Direzione generale per la sicurezza esterna francese [Dgse] controlla
post.el, messaggi, telefonate, informazioni sugli interlocutori, date e orari, e social network), e così
gestisce decine di milioni di dati, anche se la legge non permette l’archiviazione di massa di dati
tecnici da parte di nessuno: ma Hollande fa l’innocentino e finge di sentirsi spiato.
Che il Regno Unito anglofono facesse fin dall’inizio parte dei cinque stati guidati dallo spionaggio
Usa tramite Echelon, e altre strutture, si sa bene e si legge anche nella sigla; ma si è ben attrezzata con
Socmint [social media intelligence] e con Ndeu [national domestic extremism unit] per spiare ogni
giorno twitter, facebook, youtube e qualsiasi altro contenuto nei cosiddetti social network, e
smartphone, tablet, computer ecc., e chi più ne ha di altri apparati elettronici e connessi alla rete li
metta pure, cosicché gli spioni possano completare il ... <profilo> dell’utilizzatore. Pertanto importa
anche sapere quali siano gli aggiornamenti evolutivi della matrice – epperò non la sola, da cui sono
discesi i vari altri spioni – di tutto l’attuale spionaggio imperialistico. L’ulteriore “sistema di
sorveglianza” della Nsa per controllare tutto quello che passa in rete, siti visitati, blog, tramite post.el.,
ecc., anche in tempo reale, si chiama Xkeyscore che entra nei dati di base dei motori di ricerca ed è
capace di recuperare dati su 500 server sparsi in tutto il mondo, inclusa la decina di quelli delle
maggiori imprese Usa di tecnologia dell’informazione.
Ed è di dominio pubblico che al tanto dibattuto Prism – attraverso il quale il governo Usa in forma
strettamente legale e autorizzata, con la supervisione del segretario di stato Usa – può entrare in
possesso di dati personali di ogni utente, il britannico Gchq [Government communications
headquarters] collabora da anni, da Echelon, raccogliendo informazioni per conto della Nsa. Pertanto
nessuno dei duellanti di questo gioco al massacro può tirarsi fuori. Sicché è ordinaria amministrazione
che i servizi spionistici Usa (Nsa e Cia) abbiano spiato la missione dell’Ue europea al palazzo
dell’Onu e la sua ambasciata a Washington, oltre a quelle di singoli stati: 38 del blocco ex sovietico e
di stati mediorientali, oltre a un”fuoco informatico amico” ... su strutture Ue (quali il Consiglio di
Bruxelles, sembrerebbe spiato da una base del Nsa nel quartier generale della Nato in Belgio) e di
singoli stati quali le ambasciate di Francia, Italia, Grecia e anche di Giappone, India, Messico, Turchia
e sud Corea. Gli stati “offesi”dell’Ue hanno “formalmente” chiesto agli Usa spiegazioni sul loro
comportamento troppo simile a quello che si ha tra nemici.
Certo così le relazioni tra Ue e Usa devono affrontare un acceso confronto. Come ad altro ma ben
più agguerrito livello si presenta, invece, lo scontro – per ora nel presente caso a prevalente carattere
informatico – con lo spionaggio imputato dagli Usa alla Cina e attribuiti ad hacker cinesi per i furti di
dati e di segreti tecnologici della maggior parte dei sistemi d’arma in uso alle forze armate
usamericane. Non a caso le risposte dalla sponda Usa hanno anticipato i tempi; a es. Edward Snowden,
come spiegato da lui stesso, alla Nsa aveva il cómpito non di amministrare il “sistema” ma di
analizzare i punti deboli degli altri sistemi informatici e di comunicazione collegati in rete in tutto il

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mondo, per annullarne l’efficacia nemica, creando una lista di bersagli nella rete informatica. Cosicché
in caso di un conflitto futuro il governo Usa possa cancellare i dati presenti sugli hard disk del nemico
e rendere nulli tutti i suoi sistemi di comunicazione. Ma la Nsa ha pure detto che non bisogna credere a
tutto ciò che viene riportato dai giornali in quanto molte cose non sono vere.
Ma vere o false che siano le notizie fatte circolare, il livello dello scontro per la supremazia
mondiale sullo scenario transpacifico tra cooperazione di Shangai e cooperazione di Lough Erne e la
fraterna-lotta-di-concorrenza per una resa dei conti entro quest’ultima tra gli stati più forti –
segnatamente Usa e Germania – ha una portata storica nettamente minore e una messinscena
artificiosa che serve solo ai contendenti per mostrarsi ed esibirsi, tranne incidenti imprevisti, in
maniera discretamente incruenta. L’obiettivo evidente, anche se non espressamente dichiarato mira a
ottenere informazioni più specifiche – soprattutto da parte Usa, ma pure, si è visto, anche da parte
tedesca per la guida incontrastata della difforme e litigiosa Ue – riguardo ai dissidi interni agli stati
membri dell’Ue, tra di loro, con la Germania e tra tutti i 28+1 con gli Usa oltre Atlantico, sulle
posizioni da assumere in materia di problemi economici (tra cui quelli monetari), ambientali e militari
globali. Ma, si è detto, il caso dello spionaggio Usa\Prism è stato esasperato perché una sua
sopravalutazione serve a entrambe le parti per poter riprendere la trattativa sul progetto di accordo da
posizioni di minor debolezza rispetto alla protervia Usa per ostentare intransigenza.

Il discorso della crisi attuale, in quanto originata negli Usa nella seconda metà degli anni 1960,
non può qui essere “ripreso” espositivamente ma soltanto per grandissime linee vertenti sui contenuti
dirimenti via via affrontati, giacché ormai basta solo rinviare mnemonicamente ai tanti luoghi in cui la
crisi degli Usa e del dollaro – e le loro cause – sono state analizzate e descritte nei rispettivi risvolti. Si
è ritenuto [cfr. quanto scritto prima] che fosse preferibile retrocedere nel tempo a muovere dalla fine,
nella fase attuale. Dunque riprendendo lo stile retorico della analessi prima seguita, i più recenti
episodi da cui cominciare sono quelli relativi alle accennate penalità addossate – svariati miliardi di
dollari – ad alcune grandi banche Usa per le loro spericolate operazioni speculative, che hanno
imposto la richiesta di risarcimenti a JP Morgan e Bank of America per lo scandalo dei mutui
secondari, “derivati”; anche esse avevano “impacchettato” nei mutui cartolarizzati, insieme ad altri
“normali”, codesti titoli finanziari, per rifilare tali <pacchi> a ignari sprovveduti; perciò ora gli
operatori obamiani hanno dovuto cominciare a colpire le banche e le istituzioni finanziarie private
suddette, dopo aver salvato Lehman bros e quelle pubbliche (Fannie Mae e Freddie Mac, e Aig).
Questi istituti finanziari stanno ancora pagando lo scandalo dei titoli derivati detti “tossici” collegati ai
mutui sulle abitazioni e di quelli cartolarizzati, “venduti” come se fossero “normali”.
Ben prima di affrontare il problematico trattato transatlantico di cooperazione di Lough Erne [cfr.
no.144], si era posto il tema d’attualità che evoca il contraddittorio confronto tra dollaro ed euro, per
la prevalenza dell’uno sull’altro o sul loro eventuale, ma non imminente “accordo”, di unificazione tra
le due valute [137, e i due numeri precedenti 136 sul ruolo del debito Usa e 135 sul suo irresistibile
declino; ma su tali temi già nel 119 si constatava il collasso degli Usa e nel 114 il crepuscolo del
dollaro; e prima ancora nel 96 sul ruolo dell’euro e nel 93 sulle aree dell’imperialismo per il conflitto
Usa-Ue; nel caso particolare della crisi Usa rimandiamo alla crisi del Messico [55] e ai lampi [20] che
già allora si abbattevano sugli Usa, sì che il sottotitolo di quell’articolo è uguale a quello di questo – la
caduta dell’impero d’occidente. Si rammenti in questo anche il ruolo del gruppo Bilderberg [no 87
ripreso in 89, 94,114 ecc. per far crollare l’attuale sistema finanziario mondiale scaricando il dollaro].
Si rimanda pertanto a quanto scritto cinque anni fa [cfr. no 124; nn.124 – I rispettabili banditi:
finanzieri speculatori, parassiti della produzione effettiva, e 125 – Il crollo del muro di carta: da
Bretton Woods al G.7 {che però era una relazione addirittura di quattordici anni prima, del 1994}; gli
aspetti meramente speculativi, che Marx chiamava di capitale fittizio, da noi trattati risalgono a questo
periodo molto indietro [70, arricchitevi e 47, al nomignolo short nick dato a un arrampicatore]. Quindi
– spalancatosi un baratro con i mutui facili sulle case, privi di ogni garanzia per i clienti concessionari
e per quanti si sono ritrovati in possesso a loro insaputa di titoli derivati di fatto non negoziabili [123 –
Dovere d’acquisto: salario, consumo ed eccesso di sovrapproduzione], ma non altrettanto va detto per
il capitale finanziario che “prestando” tale denaro guadagnava lautamente speculando sulla
insolvibilità corrente che sarebbe venuta a galla, come i cadaveri, a morte avvenuta.
E se una riflessione attuale verte sul diluvio di liquidità che serve alle politiche monetarie, per
compiere altri rally speculativi in borsa per creare nuove bolle [143] ciò rimanda a quanto anticipato
sulla “trinità” finanziaria delle cosiddette agenzie di rating [138] a netta dominanza Usa per
considerare seriamente i rapporti internazionali. Se ne è tratta l’osservazione, solo dopo averci dato
retta a lungo, come se si trattasse di verità incontrovertibili, che i presunti controllori appartengono ai
medesimi potentati finanziari di coloro che devono essere controllati, oppure all’opposto ai loro
principali avversari [come nello scontro tra finanza di riferimento Usa e i concorrenti dell’Ue].

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Pertanto le agenzie controllanti hanno finto di non vedere l’avvicinarsi della crisi americana dei
derivati, già chiara nel 2007; esse gratificavano della tripla A strutture di cui anzi fino al giorno del
loro crollo hanno evitato di prevederlo, come nel ricordato caso del fallimento della Lehman bros nel
2008.
Analogo contenzioso, ma a livello transatlantico, è sorto pure per la crisi del “debito sovrano” della
zona euro, come sottolineato pure dal Fmi. Come pure un altro tema “caldo” che affonda le sue radici
nel lungo trascorrere della crisi è relativo al rischio di fallimento dello stato federale Usa per lo
sfondamento del vincolo “legale” di bilancio; questo ha costituito il pretesto che ha innescato la lotta a
coltello tra i reazionari oltranzisti repubblicani (che non vogliono che lo stato spenda per garantire
l’assistenza sanitaria per tutti) del cosiddetto “Tea party” e lo scricchiolante governo di Obama portato
a combattere contro il pauroso disavanzo pubblico, in cattivo odore di quello da loro detto shutdown,
“chisura” dello stato per fallimento [qui in sarcastica analogia dürrenmattiana con quanto accadde per
la <caduta dell’impero romano d’occidente> nel 476 d.c.]. La prima conseguenza provvisoria del
braccio di ferro per la mancanza di fondi pubblici è stata l’impossibilità dei delegati Usa di partire per
riprendere il confronto con la multiforme rappresentanza Ue per il trattato transatlantico di
cooperazione di Lough Erne, per il quale confronto era stabilita la data autunnale.
Nello stesso recente lasso di tempo, rispetto all’affare scandaloso dei titoli derivati “tossici”
(variamente additati come scrausi, mondezza, spazzatura, ecc.) [133 – La madre di tutte le bolle:
Goldman & Sachs: la cloaca del capitalismo mondiale], di fatto origine ignorata nelle taroccate
valutazioni delle agenzie di rating {non è male rammentare che di Marx facemmo una scheda [3] sulle
bolle finanziarie di sapone rispetto alla crisi reale}. Di tutto ciò si dà qui appresso una sintetica
rimembranza, in maniera che, consultando gli articoli indicati, chi vorrà potrà risalire indietro di
mezzo secolo (1963-2013). Sullo stesso numero [133] si affronta la disputa tra monete di carta
straccia e quelle scintillanti, ossia sull’insorgere della conflittualità tra aree valutarie [89].
Ma quando si affacciò il facile disastro della Grecia [131, no – colpi di coda Usa; e 131 una sera a
Manhattan], usato da parte della grande finanza speculativa operante sul dollaro, come specchietto per
le allodole di area euro, dicemmo sùbito con scarsissimo ascolto: la Grecia era presa come pretestuoso
facile bersaglio, ma l’euro era il vero oggetto delle manovre da parte del dollaro, magari forse solo per
un rischiosissimo tentativo di salvare dalla frana proprio quest’ultima valuta, scatenando una “guerra
economica”. Secondo noi era chiaro, sulla base degli eventi successivi ai casi Lehman bros., Fannie &
Freddie, Aig, ecc., che comprando titoli emessi dal settore privato per salvarlo, la situazione sarebbe
precipitata, tendendo a deprezzare ulteriormente il dollaro e peggiorando la dipendenza degli Usa dalle
banche centrali estere. Nell’àmbito di simili cantonate prese in quella fase economica, i sicofanti del -
l’economia smarrivano ogni senso della realtà [130, con grande paura di Marx che aveva chiarito da
tempo l’ordine logico nel divenire della crisi, invertendo come è loro uso causa ed effetto], ponendo
con pervicacia la crisi reale come conseguenza della precedente, e di molti anni in questo caso di
quella monetaria, che per giunta essi chiamano “finanziaria”; temi impostati nel 128]{e più
“spettralmente” nel 34}.
Infine una tematica da noi costantemente affrontata – da sempre – è quella generale della crisi; un
riferimento spesso fatto risale a un libro [Gianfranco Pala, L’ultima crisi, Angeli, Milano 1982], di
molto precedente all’uscita della rivista la Contraddizione, che è del 1987; ma il libro stesso risale al
1973, in una prima bozza per una relazione sulla prima crisi del petrolio, appunto del 1973, poi
ampliato e aggiornato ma pubblicato dall’editore con un ulteriore ritardo di tre anni. Sulla rivista
perciò sono stati poi pubblicati tre ampi stralci meno fattualmente datati: disgregazione degli stati
nazionali [72]; moneta in circolazione [80]; lotte nel mercato mondiale [85].

la Contraddizione,
7 no.145

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