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Analisi e commento della canzone del Giustiniani

«Perché d’amor in me forza novella»

di ANTONELLO FABIO CATERINO1

La canzone Perché d’amor in me forza novella, magnifico esempio di


petrarchismo spirituale, è dedicata alla figura di Maria madre di Cri-
sto, con tutta probabilità in relazione ai suoi natali (v. 20). Celebre –
su questo tema – san Pier Damiani, Sermones, 45, 1 (CCM 57, 265):
«Come sarebbe stato impossibile che avvenisse la redenzione del ge-
nere umano se il Figlio di Dio non fosse nato dalla Vergine, così an-
che fu necessario che nascesse la Vergine da cui il Verbo si sarebbe
fatto carne».
La Vergine Maria è dipinta per l’intera durata del testo come una lu-
ce che rischiara le tenebre. Il campo semantico della luce, infatti, in-
trodotto al v. 6 dall’avverbio lucente, torna ai vv. 9 (luce, sostantivo),
12 (luci), 15 (luce, sostantivo), 16 (luce, verbo), 25 (luce, di nuovo so-
stantivo). Rafforzano poi la “luminescenza” del componimento anche
l’anafora di tanto lume (vv. 14-22), dell’aggettivo chiara (vv. 15,
18,25) e di aurora (vv. 3, 7, 18), nonché la coppia sereno/rasserena
(parole-rima rispettivamente dei vv. 4 e 11). Trattasi dunque di luce
così intensa da sconfiggere le tenebre anche dal punto di vista lessica-
le: il campo semantico delle tenebre è infatti limitato ai vv. 4 e 10, raf-
forzato dalla menzione della notte profonda ed eterna al v. 16.
L’anima del poeta, infine, rivolge una preghiera diretta alla Vergine,
dichiarandole che solo attraverso Lei è possibile trovare la vita (e la
morte) in Cristo.
Non può non tornare alla mente l’archetipo petrarchesco di RVF
366: il Giustiniani amplifica i primi tre versi della Canzone alla Ver-
gine costruendo l’intero componimento intorno alla luce di Maria.

1
Università degli Studi del Molise.
261
262 Giustinani, «Perché d’amor in me forza novella»

Passando in rassegna più da vicino le possibili fonti teologiche, cfr.


san Bernardo, Sermones per annum, In nativitate beatae Mariae (De
aquaeductu), 9 (SBO 5, 281): «Giustamente il grande cantore divino,
cantando mentre la [= Maria] guardava con stupore, diceva: “Chi è
costei che” sale “come l’aurora che sorge […]?”. Sale, effettivamente,
al di sopra di tutto il genere umano»; ibid., 11 (SBO 5, 283): «Non è
forse […] la Vergine un giorno? Sì, e magnifico. È proprio un giorno
risplendente, “che avanza come l’aurora che sorge”»; ibid., In Assu-
mptione beatae Mariae, 2 (De domo mutanda, ornanda, implenda), 9
(SBO 5, 238): «Avanzò la Vergine gloriosa, la cui lampada ardentis-
sima fece meravigliare addirittura gli angeli della luce, tanto da far di-
re loro: “Chi è costei che avanza come l’aurora che sorge?”»; Id.,
Sermones super Cantica canticorum, 33, 3, 5 (SBO 1, 236): «Questo
giorno è stato preparato da un’aurora che ha cominciato a risplendere
quando il Sole di giustizia è stato annunziato sulla terra per mezzo
dell’arcangelo Gabriele, e la Vergine, avendo concepito Dio nel pro-
prio grembo per opera dello Spirito Santo, lo ha partorito rimanendo
vergine; quest’aurora ha brillato fino al giorno in cui egli è apparso
sulla terra e ha vissuto fra gli uomini» (trad. di C. Stercal).
Metricamente, il testo è una canzone di quattro stanze da otto versi,
alla conclusione della quale è posto un congedo di tre endecasillabi.
Lo schema è il seguente: ABcBcADD (4) XYY. È però presente
un’anomalia: al v. 21 v’è un endecasillabo al posto del settenario. Dif-
ficilmente un autore raffinato come il Giustiniani avrebbe potuto
commettere un errore tanto grossolano, dunque le possibilità sono
due: o si tratta di un errore di tradizione o di un escamotage teologico,
per dare risalto e centralità al ruolo di Maria, che al mondo non ha mai
avuto pari. La struttura della singola stanza somiglia particolarmente a
quella di un madrigale: due terzetti composti da due endecasillabi e un
settenario in rima invertita e due endecasillabi in rima baciata per
concludere la stanza. Stando al REMCI (Guglielmo Gorni, Repertorio
metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Franco
Cesati, Firenze 2008), benché siano tradizionalmente attestate canzoni
con stanze di otto versi con congedo di tre, non esistono attestazioni di
stanze costruite sul medesimo schema metrico della canzone di Giu-
stiniani.

Perché d’amor in me forza novella


Il stil lassato a ripilgiar mi mena,
Giustinani, «Perché d’amor in me forza novella» 263

Io canterò l’aurora
Che ’l tenebroso mondo raserena
E il ciel di sé inamora. 5
Sopra quante fur mai lucente e bella,
L’aurora, che oggi cusì lieta nasce,
Ogni intellecto di dolceza pasce.
Che inusitata e nova luce è questa
Che, le tenebre antique al mondo tolte, 10
Lieto il rende et sereno?
Il ciel, ben tutte le sue luci acolte
Havendo in picol seno,
Tanto lume oggi al mondo manifesta,
Che i<n> vivo raggio di sì chiara luce 15
Ne la profunda, eterna nocte luce.
Et ben certo dinanzi al divin sole
Men chiara aurora andar non convenìa,
Ché ad incarnar Iesù
Bisogno prima fu nascer Maria; 20
Maria, che senza exempio al mondo fu,
Ché in terra tanto lume esser non suole.
Ma chi da poi dal cielo in lei discesse
D’ogni gratia li fu largo e cortese.
Ah, questa cusì chiara luce viva 25
Più che non suol divora l’alma mia!
Humidi gli occhi volgie
E in un suspir tutto quel che disia
Timidetta raccolgie,
Et dice in voce che al ciel forse ariva: 30
«Per te, donna che ’l cielo et terra honora,
A Iesù solo io viva, a Iesù mora!».
Già le tue basse mal ordite rime,
Canzon mia, non rispondeno al subiecto;
Ma più alto non va nostro intellecto. 35
264 Giustinani, «Perché d’amor in me forza novella»

Note

1. L’espressione «forza novella» ricompare di seguito anche nelle Rime


cristiane di Luca Contile (XCIII [99]).
1-2. ‘Poiché una nuova forza d’amore mi spinge a riprendere lo stile ab-
bandonato’.
3-4. Il testo ricorda molto il Canzoniere di De Gennaro («un’altra aurora /
che d’ogne tempo rasserena il giorno», 112, 10-11).
4. La tessera «tenebroso mondo» richiama Iacopone da Todi (Laude, 1,
48), oltre che il sonetto pseudopetrarchesco O somma podestà di vita eterna,
v. 7.
5. Ciel (o cielo) sarà ripetuto ben cinque volte (vv. 5, 12, 23, 30, 31)
all’interno del testo, costituendo un’anafora particolarmente incisiva e raf-
forzativi della divinità mariana.
6. Lucente e bella è una coppia petrarchesca. Cfr. RVF 119, 1-2 e RVF
33,4.
7. L’aurora è qui posta in apertura del verso, mentre chiude il v.3, costi-
tuendo parola-rima. L’autore vuole così enfatizzare l’oggetto del suo canto,
referente di Maria, ponendolo nelle due più forti posizioni del verso, co-
struendo poi una vivace anafora. Queste ripetizioni – come nel caso di ciel
alla nota 5 – sottolineano l’andamento cantabile e quasi liturgico del compo-
nimento.
8-10. Il modello di entrambi i versi è certamente RVF 71, 78 («una dolcez-
za inusitata et nova»).
11. «Lieto e sereno» compare già in Sannazzaro (Sonetti e canzoni, 19,9)
12. «Le sue luci» è espressione petrarchesca (RVF 350, 14).
14. Cfr. il sonetto pseudopetrarchesco Quando comincia a rischiarir le
strade, al v. 6 («A noi più del suo lume manifesta»).
15. Il «vivo raggio» è visibilmente petrarchesco (RVF 227, 12), così come
la «chiara luce» (RVF 204, 9).
16. La stampa riporta in nota questa variante interlineare: «Su de la note
nostra eterna luce».
21. Forte è il riferimento a RVF 366, 53: «Vergine sola al mondo senza
exempio», ispirato, a sua volta, da Sedulio, Carmen paschale, II, 69 (CSEL
10, 49): «Sola sine exemplo placuisti femina Christo». Maria inoltre è posta
in apertura del verso, proprio dopo essere stata l’ultima parola del preceden-
te. Questo espediente retorico – che se posto tra due stanze avrebbe dato
l’effetto di coblas capfinidas – è un irrigidimento di quanto già successo ai
vv. 3 e 7 con l’aurora, poiché tra i due versi sono direttamente contigui.
23. Ricorda molto «scese dal cielo in su la fresca riva» (RVF 106, 2).
24. La coppia «largo e cortese» sembra – alla luce di «tenebroso mondo»
al v. 2 – proprio una ripresa guittoniana, dalla trentanovesima laude («amor,
Giustinani, «Perché d’amor in me forza novella» 265

largo e cortese / amor, con large spese»). Il concetto, però, è anche interno al
Fiore (cfr. son. 137).
25. L’ispirazione è certo petrarchesca: «or con sì chiara luce» (RVF 204,
9).
27-32. L’anima del poeta, commossa dal chiarore della luce, si rivolge di-
rettamente alla Vergine esclamando che grazie a Lei può trovare vita e morte
in Gesù Cristo.
29. Per Dante (Purg. III, 21) e Boccaccio (Comm. ninf. fior. XIV, 7) timi-
dette sono le pecorelle. Con questo raffinatissimo riferimento, l’autore sem-
bra voler attribuire alla propria anima connotati di obbedienza, in relazione
al campo semantico – celebre nella cristianità – del pastore che guida le pe-
core.
31. «Per te, donna» è tessera boccacciana (Filostrato I, 55), mentre il se-
condo emistichio del verso certamente risente di «ch’oggi il cielo honora»
(RVF 343, 1).
32. L’anafora di «a Iesù» all’interno di un unico verso rafforza
l’andamento liturgico e ripetitivo del testo di cui già si accennava, e che qua-
si prelude a una qualche gestualità fisica del lettore, accompagnata ad una
lettura ad alta voce della canzone.
33. Le rime sono basse, specie in relazione alla preghiera che l’anima del
poeta è riuscita come a urlare in modo che potesse arrivare forse fino allo
stesso cielo. Il poeta sottolinea magistralmente il contrasto tra quanto in alto
vorrebbe andare l’intelletto, spinto dall’esempio divino, e quanto poco pos-
sano le umane parole, in questo caso poste in versi.
34. «Canzon mia» è formula di congedo petrarchesca (cfr. RVF 207, 268 e
325).
35. «Nostro intelletto» è espressione evidentemente petrarchesca (RVF
264, 8).

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