Sei sulla pagina 1di 83

INDICE

INTRODUZIONE p. 2

1. IMPORTANZA DELLA VERITÀ PER I PERSIANI p. 5

1.1 EDUCAZIONE PERSIANA p. 5


1.2 CAMBISE: VERITÀ, VIOLENZA, EMPIETÀ p. 10
1.3 VERITÀ E INGANNO ALLA MORTE DI CAMBISE p. 16
1.4 DARIO, VERITÀ E MENZOGNA NELL' ISCRIZIONE DI BEHISTUN p. 20
1.5 L'OFFESA DI INTAFERNE p. 23
2. PERSIANI, INGANNO E CONQUISTA DEL POTERE p. 25
2.1 IL “SUDDITO” E IL RE: ARPAGO E ASTIAGE p. 25
2.2 ASTUZIA E PERSUASIONE DI CIRO p. 30
2.3 LA MENZOGNA DI DARIO p. 33
2.4 INGANNO E OPPORTUNISMO: L'IMPORTANZA DELLA
MENZOGNA IN DARIO p. 35
2.5 L'INGANNO DI EBARE p. 39
3. INGANNO E CONQUISTE TERRITORIALI p. 41
3.1 LA CONQUISTA DI BABILONIA: GLI INGANNI DI CIRO E DARIO p. 41
3.2 CIRO, CRESO E I MASSAGETI p. 47
3.3 CAMBISE E GLI ETIOPI p. 50
4. INGANNI SUBITI DAI GRAN RE PERSIANI p. 54
4.1 INGANNI SUBITI DAI SOVRANI LEGITTIMI p. 54
4.1.1 CAMBISE INGANNATO DAL FARAONE AMASI p. 54
4.1.2 SERSE E L'INGANNO p. 57
4.1.3 SERSE E TEMISTOCLE p. 58
4.1.4 SERSE E IL LUOGOTENENTE ARTAUCTE p. 62
4.2 DARIO: L'INGANNATORE INGANNATO p. 64
4.2.1 DARIO E ISTIEO DI MILETO p. 66
4.2.2 DARIO E LA REGINA NITOCRIS p. 74
4.2.3 DARIO E I PEONI p. 76

CONCLUSIONI p. 78
BIBLIOGRAFIA p. 81

1
INTRODUZIONE

In questo lavoro intendo analizzare il comportamento etico dei Persiani in relazione


alla verità, alla menzogna e alle astuzie, attraverso le narrazioni di Erodoto nella sua
opera Storie.
Erodoto nacque attorno al 484 a. C. ad Alicarnasso, città della Caria, regione
dell'Asia Minore che aveva conosciuto la colonizzazione greca e il dominio persiano.
Le guerre persiane portarono a un completo sconvolgimento dei rapporti di potere in
quell'angolo del mondo. In quel periodo la famiglia di Erodoto fu costretta all'esilio
ed egli ebbe occasione di viaggiare, recandosi in Egitto, Fenicia, Mesopotamia e
Scizia, venendo a conoscenza di popoli e tradizioni completamente differenti da
quelle della sua cultura d'origine. Intorno alla metà del V secolo ebbe stretti rapporti
con Atene: vi si recò spesso, trascorse anche parte della sua vita e conobbe
personaggi importanti come Sofocle e Pericle, per il quale avrebbe composto le
Storie. A quel tempo la città aveva sconfitto due volte la Persia imponendo la propria
egemonia culturale anche in quella stessa Asia Minore, patria di Erodoto, dove era
nata e fiorita la prosa greca di cui le Storie costituiscono un'eccellente testimonianza.
Questo straordinario sviluppo culturale e letterario ebbe origine proprio dalla
proficua commistione tra i due mondi: quello greco e quello orientale. Erodoto, in
occasione dei suoi numerosi viaggi, ebbe l'opportunità di conoscere direttamente quel
mondo βάρβαρος e la sua opera di “ricerca” (ἱστορία) aveva l'obiettivo di far
conoscere ai Greci (e agli Ateniesi in particolare) quel mondo così lontano
culturalmente, ma altrettanto vicino geograficamente e storicamente. Decise così di
mettere a confronto ἔργα μεγάλα τε καὶ θωμαστά, τὰ μὲν Ἕλλησι τὰ δὲ βαρβάροισι
ἀποδεχθέντα.
Nella descrizione dei popoli barbari privilegia gli aspetti più fantasiosi e spesso
delinea la loro cultura come il rovescio di quella greca. Tuttavia, nelle sequenze
narrative della sua opera, spesso rappresenta i Persiani con caratteristiche affini a
quelle del vicino popolo greco, soprattutto in relazione ai comportamenti e alle
concezioni etiche.

2
Sono proprio questi gli aspetti che maggiormente hanno stimolato il mio interesse ad
approfondire questa tematica, orientando la mia ricerca all'indagine del particolare
rapporto, spesso contraddittorio, tra i Persiani erodotei, la verità e l'inganno.
Questo lavoro inoltre mi ha offerto l'opportunità di approfondire la conoscenza di
questo autore di indubbio valore storico-letterario, non avendone mai avuta
l'occasione durante il mio percorso di studio universitario.
La lettura della più nota e recente pubblicazione di M. Dorati Le Storie di Erodoto:
etnografia e racconto e in particolare il paragrafo 2.2 del capitolo IV (L'etnografia
nelle sezioni narrative) dedicato ai Persiani, mi ha fornito lo spunto per questa
trattazione. Lo studioso mette qui in evidenza la contraddizione tra l'insegnamento
persiano della sincerità, che incontriamo nelle sequenze descrittive, e l'effettivo
comportamento dei Persiani, in particolare dei Gran Re, riscontrato nelle sequenze
narrative. Secondo Erodoto, i Persiani non sarebbero poi cosi diversi dai Greci nel
ricorrere all'inganno e alla menzogna come strumenti per perseguire i propri
interessi.
Il secondo nucleo tematico, che ho sviluppato in questo lavoro, deriva dalla lettura
dello studio di M. Detienne e J.P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica
Grecia, e propone l'analisi del concetto di μῆτις e del suo rapporto dialettico con la
forza per la conquista del potere. In questa vera e propria lotta l'astuzia permette al
più debole di prendere il sopravvento sul più forte.
Per questa mia ricerca ho passato in rassegna i vari passi dell'opera che vedono come
protagonisti Gran Re e membri della classe aristocratica persiana.
Poiché la letteratura relativa a questo specifico argomento risulta piuttosto esigua,
vorrei precisare che la parte più consistente del lavoro è costituita da considerazioni
personali, ricavate dall'analisi diretta (quanto più possibile rigorosa) dei passi
esaminati nel testo originale. Ma sottolineo altresì che si tratta di opinioni personali
supportate da un'attenta lettura dei seguenti autori: Belloni, Briant, Corti,
Dandamaev, Detienne, Dorati, Flory e Vernant1, a cui ho fatto ampio riferimento in
questa mia elaborazione.
Il lavoro è strutturato in quattro parti.

1
Cfr. Bibliografia.

3
La prima è dedicata all'approfondimento del concetto di verità, presso i Persiani, che
Erodoto presenta come un valore fondamentale codificato nell'educazione di questo
popolo.
La seconda parte sviluppa l'analisi del rapporto tra i sovrani persiani e l'inganno nella
lotta per la conquista del potere.
Nella terza parte ho esaminato quei passi erodotei relativi agli inganni utilizzati dai
Gran Re nelle operazioni di politica espansionistica.
Nella quarta parte ho indagato il tema degli inganni subiti dai sovrani persiani che,
privi di μῆτις, si rivelano particolarmente vulnerabili agli imbrogli di personaggi
appartenenti o meno al mondo persiano.
Ho utilizzato principalmente il testo originale greco e le traduzioni dell'edizione
Fondazione Lorenzo Valla2 con i commenti e le note di D. Asheri. Ma in talune
occasioni, per meglio rispondere alle mie esigenze interpretative, ho fatto ricorso
anche alla traduzione di A. Izzo D'Accinni delle edizioni Biblioteca Universale
Rizzoli.

2
Ogni volume ha un diverso curatore. Cfr. Bibliografia.

4
1. IMPORTANZA DELLA VERITÀ PER I PERSIANI

1.1 EDUCAZIONE PERSIANA

I Persiani nelle Storie di Erodoto dimostrano un'alta considerazione per la verità al


punto da ritenerla uno dei tre elementi fondamentali dell'educazione dei fanciulli.
Questo aspetto è chiaramente enunciato all'inizio del λόγος dedicato ai costumi del
popolo persiano (I, 136, 2): “A partire dai cinque e fino ai vent'anni, educano i figli
in tre sole cose: a cavalcare, a tirare d'arco e a dire la verità (ἀληθίζεσθαι)”3. È
abbastanza plausibile ritenere che questi tre insegnamenti venissero impartiti, se non
proprio a tutti i Persiani, per lo meno ai guerrieri, che, ai più alti livelli,
corrispondono alla classe aristocratica. I re Persiani, che provenivano da quella stessa
aristocrazia, tenevano particolarmente a ribadire questi tre insegnamenti. L'ordine
gerarchico di questi elementi non si ripropone costantemente identico e anche la
sfumatura di significato può mutare. La sincerità in senso assoluto si trasforma in
lealtà in senso relativo: i Persiani non sono cioè tenuti a dire a tutti la verità ma solo a
essere leali nei confronti dei propri amici. Così emerge nell'iscrizione funebre del
Gran Re Dario, menzionata da Onesicrito4 e riportata nella Geografia di Strabone5
(XV, 3, 8): “ero amico fedele (φίλος)6 nei confronti dei miei amici, ero il migliore
cavaliere e il migliore arciere, eccellevo nella caccia, ero in grado di fare qualsiasi
cosa”7.
3
[2] παιδεύουσι δὲ τοὺς παῖδας ἀπὸ πενταέτεος ἀρξάμενοι μέχρι εἰκοσαέτεος τρία μοῦνα, ἰχνεύειν
καὶ τοξεύειν καὶ ἀληθίζεσθαι. Testo greco e traduzione di Antelami.
4
Onesicrito partecipò alla spedizione in Asia di Alessandro Magno in qualità di timoniere della nave
ammiraglia. Divenne seguace di Diogene di Sinope e della sua filosofia cinica. Diogene Laerzio
attesta che Onesicrito, imitando lo stile della Ciropedia di Senofonte, aveva scritto un'opera su
Alessandro, per noi perduta, in almeno 4 libri, intitolata Come Alessandro fu educato (Πῶς
Ἀλέξανδρος Ἤχθη).
5
Strabone, nel XV libro della sua Geografia dedicato all'Asia Minore, manifesta un forte interesse
antiquario, riportando testi di iscrizioni come quella incisa sulla tomba di Dario. In assenza di
un'esperienza autoptica egli ricorre alla citazione di opere minori, come quella di Onesicrito, la cui
conoscenza sarebbe diversamente andata perduta.
6
Con questa mia traduzione, che si discosta dalle altre prese in considerazione, intendo enfatizzare
quel senso di “lealtà” che il testo sembra far emergere.

7
φίλος ἦν τοῖς φίλοις: ἱππεὺς καὶ τοξότης ἄριστος ἐγενόμην: κυνηγῶν ἐκράτουν: πάντα ποιεῖν

5
Si potrebbe dunque supporre che questi tre valori siano indipendenti, flessibili e
gerarchicamente identici. Ma non è questo che Erodoto vuole trasmetterci. Egli vuole
proprio porre l'accento sulla sincerità di questo popolo e vuole far apparire questo
valore come preminente e scolpito nel νόμος. Poco dopo l'autore afferma (I, 138, 1):
“Quello che a loro non è permesso fare, non è permesso neppure dirlo. Dire
menzogne (ψεύδεσθαι) ritengono che sia la cosa più vergognosa (αἴσχιστον)”.8
Lo storico di Alicarnasso segnala qui un elemento importantissimo. All'amore per la
verità corrisponde un odio viscerale nei confronti della menzogna. Il verbo ψεύδομαι
non significa solo “mentire” ma anche “ingannare” ovvero “mentire danneggiando il
prossimo per trarre un vantaggio personale”. A causa di questo rovinoso potere
l'inganno “vile”, “infame”, “disonorevole”, “infamante”, “sfavorevole” (questi i
maggiori significati di αἰσχρός) deve essere evitato come la peste. È una colpa che
rende spregevole e vile chi se ne macchia e rovina la vita di chi la subisce. Ma tutte
queste considerazioni, almeno a parere di M. Dorati 9, non appartengono alla reale
visione che Erodoto ha dei Persiani. Infatti lo studioso dimostra che i passi analizzati
fino a questo punto appartengono alle sezioni descrittive, cioè alle parti in cui prevale
non l'autentico punto di vista dello storico, ma il τόπος, la visione idealizzata che i
greci avevano dei barbari. Essi sono tendenzialmente rappresentati come
estremamente lontani dagli usi e costumi dei Greci. La lontananza culturale dei
barbari dal modello greco è direttamente proporzionale alla distanza geografica. I
persiani vengono descritti con toni meno idealizzati rispetto agli altri barbari proprio
perché si trovano molto più vicini ai Greci: “i Persiani, più vicini al centro che alla
periferia dell'οἰκουμένη, mostrano nella descrizione una struttura meno oppositiva
rispetto al modello greco e meno basata su schemi idealizzati”10.
Dorati confronta queste ingenue sezioni descrittive con le più realistiche sezioni
narrative e sottolinea che in esse i Persiani sono rappresentati ugualmente pronti a
mentire, come tutti gli altri popoli11.

ἠδυνάμην.
8
[1] ἅσσα δέ σφι ποιέειν οὐκ ἔξεστι, ταῦτα οὐδὲ λέγειν ἔξεστι. αἴσχιστον δὲ αὐτοῖσι τὸ ψεύδεσθαι
νενόμισται. Testo greco e traduzione di Antelami.
9
Cfr. Dorati 2000, p.162.
10
Dorati 2000, p. 162.
11
Cfr. Dorati 2000, p. 162.

6
Eppure, considerando altre fonti, possiamo notare come la cultura persiana tende a
provare un rispetto quasi sacrale per la verità al punto che un sovrano come Dario,
nell'iscrizione di Behistun12, avverte la necessità di chiamare a testimonianza delle
sue parole e dei suoi atti niente meno che la divinità suprema Ahura-Mazda. Il
sovrano sente che il suo potere potrà durare soltanto se i sudditi gli crederanno.
Si può di nuovo obiettare che quell'iscrizione aveva un puro scopo propagandistico e
che i contemporanei, come sostiene Dandamaev13, non credevano affatto a quanto vi
era scritto. Tuttavia qui interessa soltanto sapere che era intenzione di Dario cercare
di apparire sincero ai sudditi e ai posteri.
Diversamente da quanto sembra di capire leggendo questi passi erodotei, la sincerità
non viene vista dai persiani in senso assoluto, ma deve essere mantenuta nei
confronti degli amici (e in senso “nazionalistico” nei confronti dei membri dello
stesso popolo), mentre è ammesso l'uso dell'inganno nei confronti dei nemici. È
possibile rilevare questo aspetto non solo in varie sequenze narrative erodotee, ma
perfino in un autore di fine V secolo come Senofonte, che nella Ciropedia compone
un'opera con intendimenti pedagogici. I dati storici vengano qui volutamente
deformati per far emergere l'essenza del suo messaggio. Egli, precorrendo
l'atteggiamento cosmopolita, tipico poi dell'età ellenistica, si pone alla ricerca di un
tipo spirituale nuovo, che sostituisca quello ormai inadeguato dell'abitante della πόλις
per meglio rispondere alle esigenze storiche del suo tempo. Il nostro autore trova
questo modello ideale nel Gran Re di Persia Ciro, che a sua volta è debitore
dell'educazione persiana ricevuta dal padre. Quest'ultimo, nell'ultima parte del primo
libro (I, 6, 27-46), narra un aneddoto che potremmo considerare fondamentale nella
storia evolutiva dell'educazione persiana. In questo ambito comprendiamo finalmente
come, pure in questo mondo “perfetto”, l'inganno viene visto come un'arma
necessaria “per rendersi superiori ai nemici”. Chi vuole sconfiggere i nemici “deve
essere ardito e astuto, capace di raggirare e ingannare, di rubare e rapire, in tutto più
abile e violento degli avversari”14.

12
Cfr. infra paragrafo 1.4.
13
Dandamaev 1976, p. 121.
14
ὅτι δεῖ τὸν μέλλοντα τοῦτο ποιήσειν καὶ ἐπίβουλον εἶναι καὶ κρυψίνουν καὶ δολερὸν καὶ
ἀπατεῶνα καὶ κλέπτην καὶ ἅρπαγα καὶ ἐν παντὶ πλεονέκτην τῶν πολεμίων. Traduzione di Carena.

7
Senofonte si spinge oltre sostenendo che l'insegnamento delle pratiche ingannevoli
precede storicamente quello della verità e del rispetto.
Nei paragrafi 31 e 32 della stessa sezione viene narrato l'aneddoto di un maestro che,
pur di trasmettere la conoscenza e la pratica delle tecniche ingannevoli, arrivava a
insegnare “perfino che è giusto ingannare, per il loro bene, gli stessi amici, e
derubarli, per il loro bene.15”
E oltretutto “Queste nozioni i fanciulli dovevano poi impararle praticandole fra loro”
cosicché alla fine “Divenuti dunque abili nell'ingannare il prossimo e nel procurarsi
elegantemente dei vantaggi illeciti sugli altri, già inclini forse per natura ad amare il
guadagno, gli alunni di questo tal maestro non si trattenevano dal cercare di
sopraffare gli stessi amici.”16
E solo dopo aver compreso i terribili effetti di questa pratica, i Persiani decisero di
insegnare ai fanciulli “ad essere sinceri (ἀληθεύειν) e a non imporsi su di noi con
inganni e astuzie (καὶ μὴ ἐξαπατᾶν καὶ μὴ πλεονεκτεῖν), punendo, se occorre, chi
agisce diversamente”17.
Restava il problema originario: come rendere i Persiani superiori ai nemici?
Senofonte sembra individuare la soluzione (I, 6, 34): insegnare loro le astuzie e gli
inganni solo in età adulta. Infatti, dopo che avranno imparato i valori della sincerità e
del rispetto reciproco, non degenereranno e si limiteranno a usare l'inganno solo nelle
situazioni di necessità.
In ultima analisi si può ritenere che i Persiani siano stati educati a essere sinceri nei
confronti dei propri amici e leali nei confronti del proprio popolo. La sincerità non
viene dunque intesa come un precetto in senso assoluto, ma soltanto come il
fondamento della convivenza civile dei membri di uno stesso popolo. I Persiani non
devono quindi essere sinceri con tutti, ma solo verso i propri “connazionali”, devono
essere leali proprio come i soldati di un esercito. Tale insegnamento potrebbe essere
interpretato come retaggio di un'ancestrale cultura guerriera, al pari anche degli altri

15
καὶ ἔτι γε ταῦτα ἐδίδασκεν ὡς καὶ τοὺς φίλους δίκαιον εἴη ἐξαπατᾶν ἐπί γε ἀγαθῷ, καὶ κλέπτειν τὰ
τῶν φίλων ἐπὶ ἀγαθῷ. Traduzione di Carena.
16
γενόμενοι οὖν τινες οὕτως εὐφυεῖς καὶ πρὸς τὸ εὖ ἐξαπατᾶν καὶ πρὸς τὸ εὖ πλεονεκτεῖν, ἴσως δὲ
καὶ πρὸς τὸ φιλοκερδεῖν οὐκ ἀφυεῖς ὄντες, οὐκ ἀπείχοντο οὐδ᾽ ἀπὸ τῶν φίλων τὸ μὴ οὐ
πλεονεκτεῖν αὐτῶν πειρᾶσθαι. Traduzione di Carena.
17
Traduzione di Carena..

8
due precetti: “cavalcare” e “tirare con l'arco”. Quella stessa cultura che non si fa
alcuno scrupolo nell'adottare ogni mezzo per sopraffare il nemico, compreso
l'inganno. La menzogna è temuta come il male supremo solo quando provoca
discordia all'interno dello stesso popolo causando le ribellioni. Lo storico di
Alicarnasso ci vuole però ricordare che, al di là dei precetti, i Persiani restano pur
sempre degli esseri umani e ripetutamente – come nel caso di Dario – cedono alla
tentazione di praticare l'inganno anche tra di loro per ottenere vantaggi personali.
Tuttavia Erodoto, accanto a questi esempi negativi, non manca di presentare
personaggi che interpretano rigorosamente i tre precetti fondamentali dell'etica
persiana. Questi saranno oggetto del paragrafo successivo: si tratta di Cambise e
Prexaspe. Entrambi mentiranno una sola volta per poi riscattarsi prima di morire,
riaffermando così l'importanza degli insegnamenti ricevuti.

9
1.2 CAMBISE: VERITÀ, VIOLENZA, EMPIETÀ

Cambise regna legittimamente in quanto figlio del Gran Re di Persia Ciro. Il suo
regno va dal 529 al 522 a.C. Come tutti gli eredi legittimi al trono persiano
rappresentati da Erodoto, egli non possiede minimamente quell'astuzia, di cui
peraltro non ha avuto bisogno per ottenere il potere. Non solo: Erodoto (III, 33) lo
definisce esplicitamente un malato di epilessia, il “morbo sacro” 18, in preda alla
follia, anche quando tenta di mettere in pratica gli insegnamenti cardine
dell'educazione persiana. In particolare prende molto sul serio il concetto di
avversione all'inganno, ne fa una vera e propria ossessione che lo spingerà a
compiere le azioni più violente ed empie. Muoverà guerra al faraone Amasi per
essere stato da lui ingannato (peraltro prestando pienamente fede alle parole
“veritiere” della falsa figlia di Amasi19). Reagirà in modo estremamente violento nei
confronti del suo fidato Prexaspe e, per difendere la sua reputazione presso i Persiani
(o meglio, la sua “verità” contro la verità effettiva delle voci diffuse presso la
popolazione), finirà per uccidergli il figlio. Erodoto (III, 34) narra infatti che
Cambise si sarebbe rivolto al suo collaboratore più fidato, Prexaspe, chiedendogli
quale opinione avessero di lui i Persiani. Egli si fida ciecamente di lui, a tal punto da
affidargli la delicatissima missione di assassinare il fratello Smerdi (incarico che
Prexaspe svolgerà fedelmente e su cui manterrà il silenzio anche dopo la morte del
re). Perciò egli dà altissimo credito alle sue parole, come fossero gli stessi Persiani a
parlare. Prexaspe, imbarazzato poiché conosce bene il carattere impulsivo e violento
del suo sovrano, inizialmente gli risponde con una captatio benevolentiae: “Signore,
per tutto il resto ricevi grandi lodi”20. Però si trova probabilmente costretto a dire la
verità per due ragioni: da un lato la sua educazione gli imporrebbe di dire la verità, a
maggior ragione quando è il re a richiederlo; dall'altro, qualora Cambise avesse
scoperto la sua menzogna adulatrice, Prexaspe avrebbe perso la sua credibilità e
quindi la sua posizione altamente privilegiata di uomo di fiducia o addirittura

18
E all’idea di morbo sacro Erodoto si era già precedentemente (III, 30) richiamato, sostenendo che
Cambise sarebbe diventato completamente pazzo dopo l’uccisione empia del dio Api.
19
In realtà la donna era figlia del deposto faraone Apries. Per questo episodio si veda il paragrafo
relativo agli inganni subiti da Cambise per opera di Amasi: Infra, 4.1.
20
ὦ δέσποτα, τὰ μὲν ἄλλα πάντα μεγάλως ἐπαινέαι. Testo greco e traduzione di Fraschetti.

1
0
avrebbe rischiato la vita. Perciò si fa coraggio e afferma: “dicono tuttavia che sei
troppo dedito all’amore per il vino21”. Erodoto qui si contraddice poiché nella
descrizione etnografica sostiene che i Persiani considerassero valide solo le decisioni
prese sotto l’effetto dell’alcol (I, 133). Quindi un sovrano dedito al vino avrebbe
dovuto godere di una buona reputazioni presso il suo popolo. Questa è una delle tante
contraddizioni tra sequenze descrittive e sequenze narrative di cui parla Dorati22.
Cambise è adirato non tanto per l'offesa in sé, quanto per il fatto che, se questa era la
loro attuale opinione, allora “i loro discorsi precedenti non erano veritieri” 23. Infatti
avendo sollecitato alcuni dignitari, che sedevano a consiglio con lui, ad esprimere un
giudizio su un eventuale confronto tra lui e il padre Ciro, quelli, da veri adulatori,
“risposero che era migliore del padre, poiché non solo aveva conservato tutti i
possedimenti di Ciro, ma aveva anche aggiunto l'Egitto e il mare”24. Siamo di fronte
ad un vero e proprio elogio, che con le astuzie della retorica evidenzia l'unica grande
impresa compiuta da Cambise (la conquista dell'Egitto), omettendo le sue malefatte e
il suo temperamento violento (di gran lunga peggiore del più equilibrato Ciro). Più
che una menzogna questa sembrerebbe una mezza verità tipica della “diplomazia”
cortigiana. Creso, ancor più prudentemente, riduce al minimo gli elogi e sottolinea
una differenza oggettiva rispetto al padre: “non hai ancora un figlio come quello che
egli ha lasciato in te”25. A un primo livello l'espressione può apparire neutrale e
incontrovertibile: Ciro ha avuto figli, Cambise no. Ma, ad un'analisi più profonda,
risulta ambigua. Cambise si rallegra perché probabilmente interpreta la frase con
un'accezione positiva: “un figlio così bravo come te”, mentre Creso forse intendeva
darle una connotazione negativa: “un figlio così scellerato come te”. Anche Creso
quindi si muove con equilibrio in una rete di sottigliezze retoriche, sfruttando in parte
l'ingenuità (o la superficialità) di Cambise. In ogni caso né i cortigiani persiani né
Creso si rivelano totalmente sinceri. E quindi è ragionevole pensare che Cambise
giudicasse quei discorsi οὐδ … ἀληθέες, “non ... [del tutto] veritieri”, senza per

21
τῇ δὲ φιλοινίῃ σε φασὶ πλεόνως προσκεῖσθαι. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
22
Dorati 2000, p. 161 e ss.
23
οὐδ᾽ ἄρα σφέων οἱ πρότεροι λόγοι ἦσαν ἀληθέες. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
24
οἳ δὲ ἀμείβοντο ὡς εἴη ἀμείνων τοῦ πατρός: τά τε γὰρ ἐκείνου πάντα ἔχειν αὐτὸν καὶ
προσεκτῆσθαι Αἴγυπτόν τε καὶ τὴν θάλασσαν. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
25
οὐ γάρ κώ τοι ἐστὶ υἱὸς οἷον σε ἐκεῖνος κατελίπετο. Testo greco e traduzione di Fraschetti.

1
1
questo considerarli delle esplicite menzogne. Ma l'errore strutturale di Cambise sta
nell'aver confuso le opinioni di “alcuni Persiani” che “sedevano a consiglio con lui” 26
in quella circostanza, con l'opinione generale di tutta la popolazione persiana (un
vero e proprio errore di induzione). Ma come aveva precedentemente accolto gli
elogi senza riflettere sulla loro fondatezza, così ora reagisce in modo altrettanto
impulsivo. Ci si aspetterebbe a questo punto che Cambise facesse tesoro delle
autentiche informazioni ricevute da Prexaspe, affidandosi ai suoi consigli
esattamente come faceva Ciro nei confronti di Creso. Al limite ci si attende che resti
incurante a tali critiche dal momento che, per norma di legge, al re è lecito fare ciò
che vuole27. Ma lui ora considera i sudditi come bugiardi e calunniatori e vuole dare
loro una dimostrazione eclatante delle sue capacità. Perciò si accanisce, più o meno
consapevolmente (tale è la sua follia), proprio contro il suo uomo di fiducia, quasi
fosse lui l'autore delle calunnie, dicendogli (III, 35, 1-2): “Renditi conto ora se i
Persiani dicono il vero o se, quando parlano così, sono essi a vaneggiare. [2] Se
mirando tuo figlio che sta in piedi nel vestibolo lo colpirò al centro del cuore, sarà
evidente che i Persiani dicono sciocchezze; se invece sbaglio, di’ pure che i persiani
dicono il vero e che io ho perso la testa”28.
Cambise nella sua follia mette in correlazione i due pilastri dell'educazione persiana
riportati da Erodoto: “tirare con l'arco” e “dire la verità”.
In una prima ipotesi, che chiamerei “razionalista”, considerando il secondo concetto
(dire la verità) nella sua forma positiva, egli lo interpreta come una conseguenza del
primo, come se dicesse: “poiché so tirare bene con l’arco, allora dico la verità”. Egli
fa un uso perverso della proprietà transitiva: se “Cambise sa tirare bene con l’arco =
Cambise è un buon Persiano” e “ Cambise è un buon Persiano = Cambise dice
sempre la verità”, allora “Cambise sa tirare bene con l’arco = Cambise dice sempre la
verità”. L'errore logico è evidente: i tre precetti sono completamente indipendenti

26
Περσέων οἱ συνέδρων ἐόντων. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
27
È proprio ciò che i giudici reali dicono a Cambise per legittimare il suo incestuoso matrimonio con
la sorella (III, 31, 4).
28
‘σύ νυν μάθε εἰ λέγουσι Πέρσαι ἀληθέα εἴτε αὐτοὶ λέγοντες ταῦτα παραφρονέουσι· [2] εἰ μὲν γὰρ
τοῦ παιδὸς τοῦ σοῦ τοῦδε ἑστεῶτος ἐν τοῖσι προθύροισι βαλὼν τύχοιμι μέσης τῆς καρδίης,
Πέρσαι φανέονται λέγοντες οὐδέν· ἢν δὲ ἁμάρτω, φάναι Πέρσας τε λέγειν ἀληθέα καί με μὴ
σωφρονέειν.’ Testo greco e traduzione di Fraschetti.

1
2
l'uno dall'altro e il buon Persiano deve essere in grado di adempierli tutti e tre nel
corso della sua vita.
La conclusione di questa prima ipotesi potrebbe essere: la follia di Cambise lo
avrebbe spinto a scatenare un'azione empia giustificabile solo in conseguenza di una
logica ferrea inquinata da presupposti completamente errati.
Ma se invece interpretiamo l'assunto “dire la verità” nella sua accezione negativa
(cioè: “combattere con avversione la menzogna”), potremmo formulare una seconda
ipotesi, che definirei “emotiva”. Se Cambise esprimesse l'avversione alla menzogna
con una vera lotta violenta (esattamente come farà emergere Dario nell'iscrizione di
Behistun, che probabilmente era nota a Erodoto29), allora il suo gesto assumerebbe un
significato metaforico: egli colpendo al cuore (grazie alla sua abilità di arciere) il
figlio di Prexaspe (ovvero il figlio di colui che in questo momento e suo malgrado si
è fatto portavoce del popolo “calunniatore”), vuole “colpire al cuore la menzogna”. Il
cadavere del figlio di Prexaspe rappresenterebbe al tempo stesso la prova
dell'estrema “lucidità mentale” di Cambise e il messaggio da trasmettere ai Persiani
proprio come Prexaspe è stato “portavoce” dei sentimenti popolari. Questo concetto
emerge chiaramente dalle parole che il Gran Re rivolge al suo uomo di fiducia una
volta compiuto l'omicidio (III, 35, 4): «Pressaspe, ormai ti è chiaro che il pazzo non
sono io, ma che sono i Persiani a vaneggiare 30. Dimmi, dunque, chi hai mai visto al
mondo cogliere così bene un bersaglio con la freccia?»31.
Cambise non si rende conto che, nel voler manifestare la sua “lucidità” attraverso la
tragica esibizione della sua buona mira, non fa altro che dare ulteriore prova della sua
vera insania. Pressaspe, alle parole del sovrano, capisce di aver valutato
erroneamente la scelta di dire la verità. Perciò ora trattiene nell'animo il dolore per la
crudele perdita del figlio, fa buon viso a cattivo gioco e adotta la stessa ipocrita e
diplomatica tattica degli adulatori: “Signore, credo da parte mia che neppure il dio
stesso avrebbe potuto colpire così bene”32.
29
Cfr. infra cap. 1.4.
30
Nella sua follia, ha inconsapevolmente detto la menzogna più grande, capovolgendo
completamente la realtà effettiva.
31
‘Πρήξασπες, ὡς μὲν ἐγωγε οὐ μαίνομαι Πέρσαι τε παραφρονέουσι, δῆλά τοι γέγονε. νῦν δέ μοι
εἰπέ, τίνα εἶδες ἤδη πάντων ἀνθρώπων οὕτω ἐπίσκοπα τοξεύοντα; Testo greco e traduzione di
Fraschetti.
32
‘δέσποτα, οὐδ᾽ ἂν αὐτὸν ἔγωγε δοκέω τὸν θεὸν οὕτω ἂν καλῶς βαλεῖν. Testo greco e traduzione

1
3
In ultima analisi Cambise, nella sua folle ricerca di verità, si circonda ulteriormente
di menzogna.
A cosa è dovuta tanta follia? Secondo Erodoto, come abbiamo già visto, la pazzia di
Cambise (già mentalmente instabile fin dalla nascita a causa dell'epilessia) diventa
conclamata in seguito ad un atto empio compiuto proprio durante quella campagna
egiziana tanto elogiata dai cortigiani. Alla conquista dell'Egitto è legato il tentativo di
sottomettere anche l'Etiopia (III, 21 e sgg.). La campagna si rivela disastrosa e
Cambise perde buona parte dell'esercito. Ritornato in Egitto molto amareggiato e
giunto a Menfi (III, 27), esce quasi di senno appena vede gli Egiziani festeggiare
felici come mai prima d'ora: egli sospetta “fortemente che si abbandonassero a queste
manifestazioni di giubilo per la sua sconfitta”33. Convocati i prefetti, questi gli
spiegano che gli Egiziani erano in festa per l'apparizione del dio Api. Ma (III, 27, 3)
“Cambise disse che mentivano (ψεύδεσθαι) e, come bugiardi (ψευδομένους), li
condannò a morte.34”. L'idea di menzogna rimbomba ossessivamente nella mente di
Cambise. Egli non ammette la possibilità che gli abitanti della città fossero ignari
della sua sconfitta. La sua delusione, unita all'ignoranza circa gli dei di altre religioni,
lo induce a interpretare la vicenda nell'ottica di quel dualismo tipico della sua
religione: o dicono qualcosa di plausibile per la sua mentalità, o mentono
spudoratamente.
Successivamente (III, 28-29) anche i sacerdoti gli confermano la versione dei prefetti
e, su sua richiesta, gli portano la divinità. Accortosi che si trattava di un semplice
vitello, “Cambise, infuriato (ὑπομαργότερος) com’era, estratto il pugnale con
l’intenzione di colpire Api al ventre, lo ferì sulla coscia35”.
Questo gesto gli scatenerà contro una doppia maledizione: da un lato Api lo renderà
ancora più folle di prima; dall'altro morirà ferito accidentalmente in quello stesso
punto della coscia in cui egli aveva ferito a morte Api.

di Fraschetti.
33
πάγχυ σφέας καταδόξας ἑωυτοῦ κακῶς πρήξαντος χαρμόσυνα ταῦτα ποιέειν. Testo greco e
traduzione di Fraschetti.
34
ὁ Καμβύσης ἔφη ψεύδεσθαι σφέας καὶ ὡς ψευδομένους θανάτῳ ἐζημίου. Testo greco e traduzione
di Fraschetti.
35
ὁ Καμβύσης, οἷα ἐὼν ὑπομαργότερος, σπασάμενος τὸ ἐγχειρίδιον, θέλων τύψαι τὴν γαστέρα τοῦ
Ἄπιος παίει τὸν μηρόν. Testo greco e traduzione di Fraschetti.

1
4
Egli schernisce i sacerdoti poiché ritiene ridicolo che un dio possa essere ferito a
morte (III, 29, 2): «Teste malsane, sono questi dunque gli dei, fatti di sangue e di
carne e che sentono il ferro? Questo dio è senz’altro degno degli Egiziani» 36. Infatti
non concepisce che si possano venerare divinità che non siano puro spirito come
quelle persiane. Ma è irritato, anzi “infuriato”, soprattutto perché si sente
costantemente dileggiato dagli Egiziani: «voi non vi rallegrerete di avermi deriso
(χαίροντες γέλωτα)»37.
La paranoia nei confronti della menzogna lo porta a compiere atti folli ed empi:
frustando i sacerdoti e facendo una vera e propria strage di coloro che avevano
partecipato ai festeggiamenti.
Il sovrano si dimostra incapace di uscire dagli schemi culturali a cui è stato educato,
e fa leva sull'assoluto libero arbitrio per mettere in pratica i precetti ricevuti (e
rielaborati da una mente deviata) nel modo più violento e “integralista” possibile.
Solo nel momento della sua morte riscoprirà il vero significato di quei tre
insegnamenti, giusto in tempo per rivestirsi dell'autorevolezza necessaria per
trasmetterli ai suoi successori38.

36
ὦ κακαὶ κεφαλαί, τοιοῦτοι θεοὶ γίνονται, ἔναιμοί τε καὶ σαρκώδεες καὶ ἐπαΐοντες σιδηρίων; ἄξιος
μέν γε Αἰγυπτίων οὗτός γε ὁ θεός. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
37
ἀτάρ τοι ὑμεῖς γε οὐ χαίροντες γέλωτα ἐμὲ θήσεσθε. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
38
Per questo episodio si veda il paragrafo successivo (1.3).

1
5
1.3 VERITÀ E INGANNO ALLA MORTE DI CAMBISE

Secondo il racconto di Erodoto, in tutta la sua vita Cambise ha commesso moltissimi


delitti e si è macchiato di innumerevoli colpe, tuttavia solo una volta ha
consapevolmente trasgredito al precetto della sincerità, per occultare alla corte e al
popolo persiano l'omicidio perpetrato nei confronti di suo fratello Smerdi.
Secondo il νόμος persiano al Gran Re è permesso tutto, dall'incesto ai delitti più
crudeli. Ma “Il gran Re non può, non deve «nascondere» la Verità, pena il venir meno
della più alta, significativa funzione”39. L'agire del Re infatti coincide e deve
coincidere con la verità stessa.
Nel momento in cui viene a sapere che Susa gli si è ribellata sotto la presunta guida
di Smerdi, Cambise inizia a sospettare di essere stato ingannato da Prexaspe.
Naturalmente accusa la persona a lui più vicina, trattandola al pari di un nemico (III,
62, 2). Questa volta però Prexaspe non si lascia intimorire e assicura a Cambise di
avere effettivamente ucciso Smerdi, figlio di Ciro (III, 62, 3-4). È lo stesso
messaggero a convincere involontariamente Cambise circa la sincerità di Prexaspe
(III, 63). Allora il re comprende (III, 63-64) che i responsabili della rivolta sono i
Magi Patizeite e Smerdi (quest'ultimo, omonimo del defunto figlio di Ciro, gioca
proprio sul suo nome per prendere il potere con l'inganno). Egli teme non solo per il
suo potere personale ma anche per il suo popolo che rischia di essere di nuovo
sottomesso ai Medi. Senza perdere tempo Cambise salta in groppa al suo cavallo
pronto a intervenire per reprimere personalmente la rivolta (III, 64, 2). Ma proprio in
quel momento la spada gli cade sulla coscia (nello stesso punto in cui aveva ferito a
morte il dio Egiziano Api) e la ferita lo porta alla morte nel giro di poche settimane a
Ecbatana, la città ove gli era stata profetizzata la sua fine (III, 64, 3-5).
Prima di morire convoca i dignitari Persiani e decide di rivelare l'unico fatto che
aveva sempre tenuto nascosto (III, 65): “O Persiani, necessità mi costringe a rivelarvi
un fatto che ho tenuto nascosto più di ogni altro” 40. Solo una situazione di estrema
necessità, poteva indurlo a mutare così repentinamente il suo comportamento.

39
Belloni 2006, p. 283.
40
ὦ Πέρσαι, καταλελάβηκέ με, τὸ πάντων μάλιστα ἔκρυπτον πρηγμάτων, τοῦτο ἐς ὑμέας ἐκφῆναι.
Testo greco e traduzione di Fraschetti.

1
6
Negli ultimi istanti della sua vita infatti Cambise sembra riacquistare tutta la dignità
che aveva perduto durante gli anni del suo regno e solo allora sembra rivelare a pieno
la sua personalità. Egli confessa di aver ordinato a Prexaspe (che ancora continua a
negare per la sua incolumità) di uccidere suo fratello Smerdi e racconta il sogno che
lo aveva spinto a farlo (III, 65, 2): gli era sembrato che un ἅγγελος giunto dalla
Persia gli avesse riferito come Smerdi, a significare il suo desiderio di sottrargli il
potere, si fosse seduto sul trono regale e avesse toccato il cielo con il capo.41
Sollecitato dal sogno, si era ritrovato ad agire (III, 65, 3) “in maniera avventata più
che saggia” dal momento che “non era possibile alla natura umana stornare quanto
era destino accadesse42”, consapevole cioè che non è possibile all'uomo ingannare la
propria sorte. Non solo dunque ammette di essersi inutilmente macchiato di un
delitto di sangue nei confronti del fratello, ma di avere anche perso il trono per
questo. In verità la congiura è dovuta non tanto al delitto in sé, quanto al fatto che
egli avesse lasciato insinuare che suo fratello Smerdi fosse ancora vivo. Tale inganno
gli si ritorce contro quando Smerdi il Mago, spacciandosi per il defunto (ma ritenuto
vivo dai più) figlio di Ciro, prende il potere in modo apparentemente legittimo.
Il racconto della sua triste sorte diventa un monito per i suoi “compatrioti”.
L’inganno ha rappresentato la causa dei mali di Cambise e di tutto il regno dei
Persiani e come tale inganno va combattuto, se necessario, anche con le sue stesse
armi (III, 65, 6): “non consentite che il potere passi di nuovo ai Medi; ma se essi lo
possiedono per averlo acquisito con l’inganno (δόλῳ), strappatelo loro con l’inganno
(δόλῳ ἀπαιρεθῆναι ὑπὸ ὑμέων)43".
Egli comunque subito dopo ammette anche l'uso della forza (σθένεϊ) e dei mezzi
violenti (κατὰ τὸ καρτερὸν). Tutto è lecito purché i Persiani possano conseguire il
proprio obiettivo: riconquistare il potere perduto. Chi lo farà agirà sotto la tutela
degli dei regali, invocati da Cambise stesso alla fine del suo discorso.
Come sostiene Belloni “la sua tragica fine sarà al contempo un recupero del νόμος e
vedrà un Cambise determinato a sostenere la Verità (65, 5-7), a ripristinare il diritto
41
Cfr. Belloni 2006, pp. 283-284.
42
ἐν τῇ γὰρ ἀνθρωπηίῃ φύσι οὐκ ἐνῆν ἄρα τὸ μέλλον γίνεσθαι ἀποτρέπειν. Testo greco e traduzione
di Fraschetti.
43
εἴτε δόλῳ ἔχουσι αὐτὴν κτησάμενοι, δόλῳ ἀπαιρεθῆναι ὑπὸ ὑμέων. Testo greco e traduzione di
Fraschetti.

1
7
dinastico combattendo la Menzogna diffusa dall’usurpatore e da quanti lo
sostengono.”44
Tale appello tuttavia non trova risonanza immediata dal momento che, proprio
quando lui dice la verità, i Persiani non gli credono e pensano che lui voglia
calunniare suo fratello.
Prexaspe alla fine confermerà la veridicità del discorso di Cambise rivelando tutto
per amore della verità: “in maniera spettacolare sacrificherà la sua vita, pur di non
mentire”45.
I Magi cercano l'alleanza Prexaspe, facendo leva sul suo risentimento per l'uccisione
del figlio da parte di Cambise, per sfruttare la sua autorevolezza presso i Persiani e
legittimare così il loro potere (III, 74). Dapprima egli cerca di assecondarli (in parte
temendo per la sua incolumità, in parte attratto dai vantaggi e dai doni che essi gli
offrivano), ma poi preso dal rimorso sceglie di dire pubblicamente tutta la verità dalla
cima di una torre. Dopo aver elencato la genealogia Achemenide, dichiara (III, 75, 2)
“di aver ucciso Smerdi figlio di Ciro per ordine di Cambise e che i Magi avevano il
regno”46. Ora che si è finalmente purificato dalla menzogna è rientrato nell'alveo dei
buoni Persiani e con questa rigenerata autorevolezza può anche lui, come Cambise,
fare esortare il suo popolo a ribellarsi contro i Magi, invocando gli dei e maledicendo
chi non si opporrà alla dominazione dei Medi (III, 75, 3). Finito il discorso egli
decide di suggellare il proprio messaggio con il sacrificio della vita e in maniera
spettacolare si getta dalla torre.
Belloni osserva che sia Cambise sia Prexaspe “concludono la propria esistenza
fornendo un παράδειγμα di «virtù» persiana, dopo che entrambi, per interesse
personale, hanno vissuto la doppiezza di una situazione, cedendo in un primo
momento alla menzogna, alla scelta che più facilmente avrebbe dovuto
avvantaggiarli”. Ma a differenza di Cambise, che non aveva molta scelta, dal
momento che era comunque prossimo alla morte, “Il sacrificio di Prexaspe è il sigillo

44
Belloni 2006, p. 280.
45
Belloni 2006, pp. 286-287.
46
τὸν μὲν Κύρου Σμέρδιν ὡς αὐτὸς ὑπὸ Καμβύσεω ἀναγκαζόμενος ἀποκτείνειε, τοὺς Μάγους δὲ
βασιλεύειν. Testo greco e traduzione di Fraschetti.

1
8
di un Persiano che non abdica ai suoi principi, che preferisce la morte al tradimento
del νόμος dinastico, optando per la Verità.”47

47
Belloni 2006; pp. 286-287.

1
9
1.4 DARIO, VERITÀ E MENZOGNA NELL’ISCRIZIONE DI BEHISTUN

Dopo avere esaminato fin qui il comportamento e l'ideologia persiana sotto il filtro
della cultura greca, può essere ora interessante vedere come un personaggio storico
quale il gran Re Dario, protagonista di molte vicende narrate da Erodoto, si sia
direttamente e storicamente pronunciato sui temi della verità e della menzogna.
Il documento che può aiutare in questa ricerca è senza dubbio l'iscrizione di
Behistun, che Dario fece incidere sulla roccia dopo le vittorie del 522-521 con lo
scopo propagandistico di raccontare e celebrare la sua ascesa al trono e le sue
imprese militari. Egli scelse per fare questo la rupe di Behistun dal momento che essa
era da molto tempo un luogo di culto 48. È quindi chiaro l'intento di Dario: dare un
valore sacrale alle proprie gesta, chiarire di avere uno stretto legame con la divinità,
senza per questo dover essere considerato un dio egli stesso. Il sovrano è il servo di
Ahura-Mazda, il quale gli consegna (così si vede raffigurato nel rilievo) il potere e
gli garantisce le vittorie. La scelta del luogo è significativa anche per un'altra
ragione: gli dei, ben presenti nel luogo sacro, garantiscono la veridicità di quanto
viene ivi raffigurato e scritto. L'iscrizione descrive la vicenda di Dario come una
lunga lotta contro la menzogna, che inizia ad affermarsi durante la campagna
egiziana di Cambise: “Quando Cambise fu andato in Egitto, poi il popolo divenne
sleale. Quindi la menzogna divenne grande sulle terre, sia in Persia, sia in Media, e in
altre terre”49. La menzogna viene subito individuata come l'origine di tutti i mali, anzi
il male stesso. Questo motivo potrebbe essere collegato alla dualistica visione
delineata dal profeta Zarathustra, per cui al Sommo Bene, rappresentato da Ahura-
Mazda, signore del cielo e garante assoluto della Verità, si contrappone, lo Spirito
Malefico, lo Spirito della Menzogna (Angra Mainyu), che domina appunto il nostro
mondo. Non è dunque un caso che tutte le persone ribellatesi a Dario vengano
qualificate come “bugiarde”. Le parole “bugiardo”, “menzogna”, “mentire” sono
utilizzate, in questa iscrizione, 34 volte in riferimento ai nemici di Dario 50. Secondo
quanto riportato a Behistun, i nemici di Dario hanno cercato tutti di conquistare il

48
Briant 1996, p.136 e sg.
49
Iscrizione di Behistun, 10, in Asheri 1990, Appendice, p. 370.
50
Cfr. Dandamaev 1976, p. 120.

2
0
potere con l'inganno e si sono dichiarati falsamente sovrani legittimi. Si osserva
inoltre che nell'elenco degli usurpatori sconfitti da Dario, che inizia con il Mago, si
ripropone verso la fine un altro falso Bardya (lo Smerdi di Erodoto) figlio di Ciro
(questa volta si tratta di un armeno). Tale duplicazione vale anche per i falsi
“Nabuccodonosor, figlio di Nabonomidor” che resero “ribelle la Babilonia”51. Ancora
più oltre Dario continua a indicare la menzogna come fonte delle rivolte: “queste
terre che divennero ribelli, le fece ribelli la menzogna, poiché costoro ingannarono il
popolo. Dopodiché Ahura-Mazda le mise in mano mia”52. Dario sottomette i nemici
con l'aiuto dello Spirito della Verità in persona. Tuttavia egli sa che la menzogna è
destinata a fare ritorno nelle sue terre e perciò raccomanda ai posteri, e ai suoi
successori in particolare, di stare in guardia contrastando questo male fin dai primi
germi visibili: “tu che più tardi sarai re, guardati rigorosamente dalla menzogna.
L'uomo che sarà menzognero, puniscilo a dovere, se pensi così: «Che la mia terra sia
sicura»53 […] tu che più tardi sarai re, dell'uomo che sarà menzognero o che sarà un
malfattore, non essere amico; punisci(lo) come si deve”54.
Nel seguito dell'iscrizione pare abbastanza chiaro l'intento del re di dissipare nei
lettori ogni dubbio riguardo alla propria veridicità. Tale dubbio infatti potrebbe
costituire un serio pericolo per la stabilità del regno, al pari della menzogna.
La sua dinastia non potrà regnare a lungo se il popolo dubiterà della storia delle sue
gesta. Infatti se le sue azioni venissero messe in dubbio egli avrebbe la stessa dignità
dei ribelli bugiardi. Per questo motivo afferma con pedante insistenza: “Tu che più
tardi leggerai questa iscrizione che fu fatta da me, convinciti, non pensare che sia
menzogna55. […] questo è vero, non menzognero”56. E si spinge a dire di aver
volutamente ristretto e ridotto il computo delle sue azioni per rendersi più credibile:
“altro fu fatto da me grandemente; (ma) [...] non fu iscritto per tale motivo: affinché,
a chi più tardi leggerà questa iscrizione, non sembri troppo quello che fu fatto da me,
non ne sia convinto, pensi (che sia) menzogna”57. La paura di non essere creduto è

51
Iscrizione di Behistun, 52, in Asheri 1990, Appendice, p. 378.
52
Iscrizione di Behistun, 54, in Asheri 1990, Appendice, p. 378.
53
Iscrizione di Behistun, 55, in Asheri 1990, Appendice, p. 378.
54
Iscrizione di Behistun, 64, in Asheri 1990, Appendice, p. 379.
55
Iscrizione di Behistun, 56, in Asheri 1990, Appendice, p. 378.
56
Iscrizione di Behistun, 57, in Asheri 1990, Appendice, p. 379.
57
Iscrizione di Behistun, 58, in Asheri 1990, Appendice, p. 379.

2
1
tale che il Gran Re passa gli imperativi categorici: “convinciti ora che questo è stato
fatto da me”58. E chiama a testimonianza il Signore del Cielo: “Ahura-Mazda (mi)
dette soccorso […] perché non ero sleale, non ero menzognero, non ero malfattore”59.
Secondo un'ipotesi più storica e laica, si potrebbe ritenere che Dario avesse
dichiarato più volte di non aver mentito proprio perché nel racconto avrebbe
inventato o per lo meno distorto molti eventi. E per tale ragione i contemporanei di
Dario rifiutavano in quanto inattendibile la versione ufficiale degli eventi di quel
periodo60.
Il presente lavoro non consiste però in una ricostruzione storica degli eventi, ma si
propone di capire come Erodoto abbia recepito il valore assunto dalla verità
nell'ideologia Achemenide, se non in quella dell'intera aristocrazia persiana, e come
lo abbia trasmesso ai Greci suoi contemporanei. E osserviamo bene con Dandamaev
che “Erodoto in tutta una serie di punti si allontana completamente dall'iscrizione di
Behistun. Questa infatti ha influenzato indirettamente la versione di Erodoto”61.
Erodoto deve aver quindi letto questa iscrizione, qualcuno deve avergliela tradotta.
Egli forse non ha compreso pienamente i valori della religione persiana. In ogni caso
si rivolgeva ad un pubblico per lo più ateniese, affezionato alla propria
Weltanschauung e che si aspettava di ritrovare nei testi le proprie idee e i propri
schemi. Ma Erodoto aveva probabilmente esigenze personali di verosimiglianza e
possedeva una sorta di “laicità” che non poteva nascondere.

58
Iscrizione di Behistun, 60, in Asheri 1990, Appendice, p. 379.
59
Iscrizione di Behistun, 63, in Asheri 1990, Appendice, p. 379.
60
Cfr. Dandamaev 1976, p. 121.
61
“weicht Herodot in einer ganzen Reihe von Punkten gänzlich von der Behist?n-Inschrift ab.
Allerdings beeinflusste diese indirekt die Version Herodots” [Dandamaev 1976, p. 121].

2
2
1.5 L’OFFESA DI INTAFERNE

Intaferne è uno dei sette congiurati che deposero e uccisero i Magi restituendo così il
regno ai Persiani. In base agli accordi presi prima della scelta del re (III, 84, 2) egli,
come gli altri congiurati, aveva diritto a incontrare il Gran Re senza farsi annunciare
“a meno che il re non stesse congiungendosi con una delle sue donne” (III, 118, 1)62.
Intaferne, subito dopo la rivolta, cerca di sfruttare questo privilegio, ma sopraggiunge
proprio nell'unica circostanza che gli era vietata e viene pertanto fermato dai
guardiani del re. Subito, da orgoglioso aristocratico persiano, pensa di essere vittima
di una menzogna. Quindi (III, 118, 2) “ritenendo che dicessero menzogne (δοκέων
σφέας ψεύδεα λέγειν)” li punisce in questo modo: “tagliò loro gli orecchi e il naso (
ἀποτάμνει αὐτῶν τά τε ὦτα καὶ τὰς ῥῖνας)”. Li punisce esattamente come era in uso
fare per i bugiardi e i ribelli63: dal momento che, come ben ricorda la stele di
Behistun, i ribelli sono tutti bugiardi, deve essere inflitta loro la stessa punizione. Ma
Intaferne non si accontenta di questo e vuole oltraggiarli ancora di più: “li attaccò
alle briglie del cavallo, legò le briglie intorno al loro collo, e li lasciò andare” 64. Ma
questo gesto atroce induce Dario a sospettare una nuova rivolta da parte dei suoi ex
compagni di congiura (III, 119). Appurato poi che Intaferne aveva agito di sua
iniziativa, decide di condannarlo a morte per tradimento insieme alla sua famiglia.
Il suo è quello che noi potremmo definire un atto di ὕβρις, ma in realtà, secondo
Erodoto, Intaferne, come prima Cambise, reagisce violentemente perché ha la
sensazione di essere stato ingannato. Egli è un tipico aristocratico persiano educato a
dire solo la verità e a combattere, anche violentemente, la menzogna. I congiurati
decidono di uccidere i Magi solo dopo aver constatato di essere stati collettivamente
ingannati da loro. Intaferne in particolare, avendo partecipato attivamente
all’uccisione dei Magi (rimettendoci perfino un occhio), aveva diritto a diventare re
al pari di Dario (che, sappiamo bene, divenne re grazie all’inganno di Ebare) e il
privilegio di vederlo ogni qualvolta volesse. Come Cambise, egli ascolta senza
verificare razionalmente l’attendibilità di quanto gli viene detto. Come Cambise, è

62
ἢν μὴ γυναικὶ τυγχάνῃ μισγόμενος βασιλεύς. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
63
Cfr. Briant 1996, p. 135 e sg.
64
καὶ ἀνείρας περὶ τὸν χαλινὸν τοῦ ἵππου περὶ τοὺς αὐχένας σφέων ἔδησε, καὶ ἀπῆκε. Testo greco
traduzione di Fraschetti.

2
3
impulsivo e violento. La sua presunzione di parità con Dario e i suoi privilegi gli
fanno dimenticare i protocolli e i cerimoniali creati apposta da Deioce (primo re dei
Medi) per esaltare la superiorità divina del re sugli altri sudditi e garantire la
massima imparzialità dei suoi giudizi (I, 99-100). Non sentendosi affatto inferiore a
Dario, egli prova ripugnanza per suoi guardiani del re, che lui considera inferiori e
indegni di fermarlo. Secondo il modello culturale greco del καλός καί ἁγαθός tutto
ciò che è inferiore è inevitabilmente anche malvagio, e poiché Erodoto rappresenta i
Persiani (i nobili in particolare) dal punto di vista caratteriale come una proiezione
emotivamente più instabile dei Greci, si può pensare che Intaferne considerasse quei
servi degli infimi bugiardi e, offeso, li disprezzasse e li trattasse come ribelli. Perciò
infligge come tali li punisce, pur con l'aggiunta di sadica crudeltà dovuta al
disprezzo, forse alla ὕβρις e al suo carattere orgoglioso e impulsivo.
Tuttavia agisce irrazionalmente senza prevedere che il suo atto sarebbe stato visto
come un segno di insubordinazione. Ma per ironia della sorte, per aver punito di sua
iniziativa i guardiani come presunti ribelli, con la stessa accusa egli viene
ufficialmente condannato a morte da Dario.

2
4
2. PERSIANI, INGANNO E CONQUISTA DEL POTERE

2.1 IL “SUDDITO” E IL RE: ARPAGO E ASTIAGE

Ciro, il fondatore dell'impero persiano, è un personaggio costantemente


accompagnato dalla μῆτις. L' inizio della sua stessa vita è all'insegna dell'inganno.
Astiage, quarto e ultimo re dei Medi (discendente diretto del mitico re Deioce), ha
una visione infausta (I, 108, 1): “gli pareva che dai genitali di questa figlia 65 nascesse
una vite, e che la vite coprisse tutta l'Asia” 66. Tale visione viene interpretata dai Magi
così (I, 108, 2): “il figlio di sua figlia avrebbe regnato al suo posto” 67. Da quel
momento Astiage, commettendo lo stesso errore del futuro re Cambise, cerca di
trarre in inganno la propria sorte con un espediente: far uccidere il bambino. Si
rivolge allora ad Arpago, che viene presentato come (I, 108, 3) “suo familiare
(οἰκήϊος), il più fido (πιστότατος) dei Medi, amministratore di tutti i suoi beni” 68,
quasi un Prexaspe ante litteram, affidandogli il crudele e delicato incarico. Ma
Astiage è talmente preoccupato per il proprio destino da non fidarsi completamente
neppure del più fidato dei suoi uomini. Perciò allega all'incarico un monito che suona
quasi come una minaccia (I, 108, 4): “non ingannarmi (μηδὲ ἐμέ τε παραβάλῃ)69 e
non volere in seguito esser causa della tua rovina per aver preferito altri a me”70.
Arpago si dichiara disposto a eseguire l'ordine e assicura (I, 108, 5): “Mai tu potresti
scorgere in quest'uomo alcuna cosa che ti spiacesse, ed io mi do cura di non
commettere alcun fallo verso di te neppure per il futuro” 71. Ma a queste parole segue
65
Si riferisce alla sua unica figlia, Mandarne, che da un anno era sposata con un Persiano di nome
Cambise.
66
ἐδόκεε δέ οἱ ἐκ τῶν αἰδοίων τῆς θυγατρὸς ταύτης φῦναι ἄμπελον, τὴν δὲ ἄμπελον ἐπισχεῖν τὴν
Ἀσίην πᾶσαν. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
67
μέλλοι ὁ τῆς θυγατρὸς αὐτοῦ γόνος βασιλεύσειν ἀντὶ ἐκείνου. Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni.
68
ἄνδρα οἰκήιον καὶ πιστότατόν τε Μήδων καὶ πάντων ἐπίτροπον τῶν ἑωυτοῦ. Testo greco e
traduzione di Izzo D'Accinni.
69
Sebbene il verbo παραβάλλω significhi letteralmente “tradire”, in questo contesto indica il
tradimento per mezzo dell'inganno. Ritengo dunque appropriata la traduzione di Izzo D'Accinni.
70
μηδὲ ἐμέ τε παραβάλῃ καὶ ἄλλους ἑλόμενος ἐξ ὑστέρης σοὶ αὐτῷ περιπέσῃς.
Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
71
οὔτε ἄλλοτε κω παρεῖδες ἀνδρὶ τῷδε ἄχαρι οὐδέν, φυλασσόμεθα δὲ ἐς σὲ καὶ ἐς τὸν μετέπειτα
χρόνον μηδὲν ἐξαμαρτεῖν. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.

2
5
subito una menzogna poiché, tornato a casa sua, dichiara alla moglie (I, 109, 2-4) di
non volersi macchiare di un omicidio verso un proprio parente (συγγενής), che
potrebbe in futuro compromettere la stabilità del regno; inoltre un ripensamento da
parte di Astiage potrebbe in seguito mettere a repentaglio la vita stessa di Arpago.
D'altro canto rifiutarsi di eseguire l'ordine, dopo aver praticamente giurato fedeltà,
comporterebbe l'immediata fine della sua vita. Decide dunque di affidare questo
perfido compito a un servo di Astiage, preoccupandosi poi di mandare delle proprie
guardie a controllare che il bambino risulti effettivamente morto. Il pastore incaricato
di uccidere il neonato evita con un'astuzia – la sostituzione della vittima predestinata
con il cadavere di un bambino già morto – di eseguire l'ordine 72. È il primo esempio
in Erodoto di situazione in cui la sorveglianza armata di un potente (in questo caso
Arpago e le sue guardie) viene elusa grazie allo stratagemma di un suddito astuto73.
Quando Astiage, parecchi anni dopo, verrà a scoprire che Ciro è ancora vivo e che
Arpago non aveva compiuto fino in fondo il proprio dovere, decide di nascondere il
proprio risentimento nei confronti del suo uomo di fiducia (che invece l'ha tradito e
in qualche modo è divenuto spergiuro) e cerca di vendicarsi con l'inganno (I, 117-
119). Invita dunque Arpago a mandargli suo figlio affinché insieme a Ciro possano
offrire agli dei un sacrificio di ringraziamento per la salvezza di suo nipote. Arpago
abbocca al tranello: Astiage fa sgozzare il ragazzo e, fatte cuocere le sue carni, le
offre in banchetto ad Arpago74. Egli le divora con gusto e dopo aver scoperto
l'inganno si comporta con perfetto autocontrollo (I, 119, 7): dichiara di accettare di
buon grado la volontà del suo re e seppellisce i resti di suo figlio75.
Incassa così il primo colpo, riconoscendo che Astiage ha vinto il primo round di un
vero e proprio duello d'astuzie, che vede da un lato un re dotato della forza
dell'esercito e dei vari apparati di potere; dall'altro un suddito che, ancorché di

72
Cfr. Dorati 1998, p. 204.
73
Si tratta di un τόπος ben presente nel mito. Si pensi ad esempio al mito di Edipo: secondo la
versione riportata dal celebre tragediografo Sofocle, il servo del re Laio, incaricato (in una
situazione analoga a quella del pastore di Astiage) di uccidere Edipo, avrebbe salvato il bambino
consegnandolo a dei pastori corinzi.
74
Questo motivo richiama in modo molto esplicito l'inganno di Atreo che, in un “banchetto di
riconciliazione” fa divorare inconsapevolmente a Tieste le carni dei suoi stessi figli.
75
È esattamente lo stesso atteggiamento tenuto poi da Prexaspe nei confronti di Cambise (III, 35, 4).
Altrettanto consapevole di aver sbagliato i calcoli circa l'atteggiamento da tenere col re, tiene
dentro il rancore e il dolore e finge di accettare di buon grado la decisione del sovrano.

2
6
condizione elevata, è pur sempre un privato cittadino e quindi è di gran lunga più
debole. Ma secondo una concezione greca (ricordata nel libro di Detienne e Vernant 76
e in uno studio di Dorati 77), la vittoria vera non va mai al più forte, ma solo al più
astuto, ovvero a quello dotato di migliore μῆτις. Generalmente chi ha già il potere è
quasi completamente privo di μῆτις. “Tutt'al più il re è in grado di esercitare una
sorta di μῆτις […] difensiva, a sorveglianza del proprio potere. […] Tuttavia, tale
μῆτις risulta generalmente inferiore e perdente di fronte a quella più aggressiva del
suddito che si adopera per minare il potere del proprio signore” 78. Erodoto pare
risentire di tale idea e il duello di Astiage e Arpago può essere letto in questa chiave.
L'obiettivo di Arpago non è tuttavia quello di conquistare il potere e diventare re dei
Medi, bensì soltanto quello di vendicarsi della crudele offesa subita dal suo parente
Astiage79. Per fare questo egli è disposto perfino a consegnare il regno dei Medi ai
Persiani; perciò decide di ricercare l'alleanza di Ciro (I, 123, 1): “Quando Ciro si fece
uomo […] Arpago gli stava dietro, mandandogli doni, desiderando vendicarsi di
Astiage. Infatti da solo, semplice privato, non sapeva come potesse prendere vendetta
su Astiage; perciò, mentre lo vedeva crescere, cercava di farsi alleato Ciro,
sembrandogli che le sue disavventure fossero simili alle proprie”80.
Arpago procede gradualmente: sfruttando una situazione di attrito tra Astiage e i
nobili Medi, convince questi ultimi a favorire una rivolta che deponga Astiage a
favore di Ciro (I, 123, 2) “[...] poiché Astiage era duro con i Medi, Arpago, che aveva
contatti con ciascuno dei Medi più eminenti, li persuadeva (ἀνέπειθε) come
bisognasse spodestare (παῦσαι) Astiage e prendere Ciro quale re”81.
76
Cfr. Detienne/Vernant, 1984, p. 5.
77
Cfr. Dorati 1993, pp. 73-74.
78
Dorati 1998, p. 204-205.
79
In merito alla parentela tra Arpago e Astiage, se tra i due sussiste il termine "οἰκήιον" (I, 108, 3),
nel paragrafo immediatamente successivo (I, 109, 3) Arpago dichiara a sua moglie di essere
parente del bambino Ciro usando il termine "συγγενής", traducibile come "membro della
stessa stirpe", "cugino", "consanguineo". Poiché non esistono altri passi relativi ai gradi di
parentela di Arpago, poiché, in quanto Medo, non può essere parente di Ciro per linea paterna
(visto che il padre di Ciro è un Persiano), si deduce che lo sia per linea materna. Essendo la madre
di Ciro figlia di Astiage, Arpago risulta parente di Astiage.
80
Κύρῳ δὲ ἀνδρευμένῳ […] προσέκειτο ὁ Ἅρπαγος δῶρα πέμπων, τίσασθαι Ἀστυάγεα ἐπιθυμέων:
ἀπ᾽ ἑωυτοῦ γὰρ ἐόντος ἰδιώτεω οὐκ ἐνώρα τιμωρίην ἐσομένην ἐς Ἀστυάγεα, Κῦρον δὲ ὁρέων
ἐπιτρεφόμενον ἐποιέετο σύμμαχον, τὰς πάθας τὰς Κύρου τῇσι ἑωυτοῦ ὁμοιούμενος. Testo greco e
traduzione di Antelami.
81
[…] ἐόντος τοῦ Ἀστυάγεος πικροῦ ἐς τοὺς Μήδους, συμμίσγων ἑνὶ ἑκάστῳ ὁ Ἅρπαγος τῶν
πρώτων Μήδων ἀνέπειθε ὡς χρὴ Κῦρον προστησαμένους Ἀστυάγεα παῦσαι τῆς βασιληίης. Testo

2
7
Avendo svolto con successo la sua opera di persuasione presso i Medi, non gli
restava che contattare Ciro. A questo punto lo scontro tra forza e inganno raggiunge il
culmine. Alla forza di Astiage, che ha fatto sorvegliare le strade dalle sue guardie, si
oppone l'astuzia di Arpago, che riesce a mandare il suo messaggio fino in Persia,
dove Ciro dimorava, attraverso questo stratagemma: catturata una lepre ne squarcia il
ventre e vi racchiude il messaggio; il taglio viene ricucito e l'animale viene affidato a
un servo travestito da cacciatore, che lo consegna personalmente a Ciro82.
In questa lettera Arpago comunica a Ciro la modalità con cui si svolgerà la rivolta:
Ciro convincerà i Persiani a sollevarsi contro i Medi; Astiage nominerà Arpago (o
qualcun altro dei nobili Medi corrotti, o, meglio, “persuasi” da Arpago) comandante
dell'esercito che sarà inviato a reprimere la rivolta, così i soldati potranno passare
dalla parte di Ciro83.
Con questo piano Arpago ha potuto compiere la propria vendetta. Ha vinto il duello
d'astuzia con Astiage, il quale, agitato e spaventato dalla rivolta, gli affiderà
effettivamente il comando della spedizione, dimenticandosi completamente della
grave offesa inflittagli.
Dal confronto del comportamento dei due personaggi, si nota che Arpago si dimostra
bugiardo e infedele fin dall'inizio, in quanto disobbedisce all'ordine ricevuto subito
dopo aver solennemente promesso al suo sovrano la piena e incondizionata lealtà (I,
109). Egli antepone alla lealtà famigliare e istituzionale degli altri valori etici sotto il
profilo famigliare (non uccidere i propri parenti) e istituzionale (garantire continuità
dinastica al regno: Ciro era l'unico discendente maschio di Astiage). Si comporta cioé
in modo ragionevole in opposizione alla presunta irragionevolezza dell'ordine di

greco e traduzione di Antelami.


82
Cfr. il testo greco (I, 123, 3-4): [3] κατεργασμένου δέ οἱ τούτου καὶ ἐόντος ἑτοίμου, οὕτω δὴ τῷ
Κύρῳ διαιτωμένῳ ἐν Πέρσῃσι βουλόμενος Ἅρπαγος δηλῶσαι τὴν ἑωυτοῦ γνώμην ἄλλως μὲν
οὐδαμῶς εἶχε ἅτε τῶν ὁδῶν φυλασσομενέων, ὁ δὲ ἐπιτεχνᾶται τοιόνδε [4] λαγὸν μηχανησάμενος,
καὶ ἀνασχίσας τούτου τὴν γαστέρα καὶ οὐδὲν ἀποτίλας, ὡς δὲ εἶχε οὕτω ἐσέθηκε βυβλίον, γράψας
τά οἱ ἐδόκεε: ἀπορράψας δὲ τοῦ λαγοῦ τὴν γαστέρα, καὶ δίκτυα δοὺς ἅτε θηρευτῇ τῶν οἰκετέων
τῷ πιστοτάτῳ, ἀπέστελλε ἐς τοὺς Πέρσας, ἐντειλάμενὸς οἱ ἀπὸ γλώσσης διδόντα τὸν λαγὸν
Κύρῳ ἐπειπεῖν αὐτοχειρίῃ μιν διελεῖν καὶ μηδένα οἱ ταῦτα ποιεῦντι παρεῖναι. Cfr. Dorati 1958, pp.
204-205. Il tema del messaggio nascosto è molto ricorrente nelle Storie di Erodoto e rappresenta
un τόπος particolarmente gradito al pubblico greco.
83
Cfr. il testo greco (I, 124, 2-3): Πέρσας γὰρ ἀναπείσας ἀπίστασθαι στρατηλάτεε ἐπὶ Μήδους: [3]
καὶ ἤν τε ἐγὼ ὑπὸ Ἀστυάγεος ἀποδεχθέω στρατηγὸς ἀντία σεῦ, ἔστι τοι τὰ σὺ βούλεαι, ἤν τε τῶν
τις δοκίμων ἄλλος Μήδων: πρῶτοι γὰρ οὗτοι ἀποστάντες ἀπ᾽ ἐκείνου καὶ γενόμενοι πρὸς σέο
Ἀστυάγεα καταιρέειν πειρήσονται.

2
8
Astiage. Ma questo lo induce a tradire di fatto la fiducia estrema che il re riponeva in
lui e il marchio di traditore lo contraddistinguerà per il resto della sua storia. Egli è
effettivamente colpevole per aver preferito altri (Ciro) al re, che d'altro canto, nella
sua follia dettata dalla paura, resta coerente fino alla fine con le sue premesse: aveva
chiaramente avvertito Arpago che lo avrebbe punito in caso di tradimento. E così fa,
uccidendogli il figlio. Ma una volta consumata la crudele punizione, e illuso di aver
recuperato la piena leale obbedienza di Arpago (che lui stesso ribadisce subito dopo
la scoperta dell'orrendo delitto). Lo riammette come uomo fidatissimo, affidandogli
ingenuamente il delicato incarico di reprimere la rivolta da lui stesso scatenata. La
sua scelta di risparmiare la vita a Ciro può sembrare incongruente, ma in realtà è
ancora coerente con la cieca fiducia riposta negli indovini Magi: come questi gli
avevano preannunciato il pericolo rappresentato dalla nascita di Ciro, così essi, in un
secondo momento, giudicano Ciro innocuo (I, 120).
Erodoto, per lo meno nell'ambito del mondo persiano, tende ad associare la coerenza
all'irrazionalità (soprattutto con Astiage e Cambise) e la razionalità controllata alla
altrettanto controllata doppiezza (es. Arpago, Prexaspe e Dario), come se, in una
concezione “utilitaristica”, il barbaro considerasse razionale solo ciò che gli permette
di raggiungere il proprio obiettivo. Poi, ottenuto ciò che desidera, può abbandonarsi
ai più irragionevoli eccessi. I barbari sono così assimilati agli animali selvaggi, che
mettono in atto strategie alquanto razionali solo per procurarsi il cibo e per difendersi
da chi è più forte di loro. Ma tutte le altre loro azioni sono tutt'altro che razionali.
Erodoto, per quanto cerchi di dare una rappresentazione il più possibile obiettiva dei
due popoli, non si sottrae alle esigenze del proprio pubblico, al quale un giudizio
come il precedente non poteva che piacere.

2
9
2.2 ASTUZIA E PERSUASIONE DI CIRO

Arpago ha creato le condizioni per l'ascesa di Ciro. A questo punto Ciro deve
soltanto, come ultimo passo, scatenare una rivolta. Anche Ciro procede per gradi.
Decide anche lui di adottare uno stratagemma legato a una lettera. Inventa una
missiva scritta da Astiage che lo nominerebbe capo dei Persiani. Si può pensare che il
popolo persiano non dubitasse minimamente della veridicità della lettera: era pur
sempre il nipote di Astiage e godeva di una certa autorevolezza e simpatia presso il
suo stesso popolo, dato che, secondo Erodoto (I, 123, 1), era “il più valoroso”
(“ἀνδρειότατος”) e “il più amabile” (“προσφιλέστατος”) dei coetanei”84.
Investito dunque di questo potere fittizio, Ciro ordina ai membri delle varie stirpi
persiane di presentarsi ciascuno con una falce. Quindi (I, 126) impone a loro di
dissodare un terreno in una giornata. Il giorno successivo li invita a un sontuoso
banchetto. Con questa iniziativa all'inganno subentra la persuasione. (I, 126, 3) “Alla
fine del banchetto, Ciro chiese loro se preferissero la condizione del giorno prima o
quella presente”85. È la classica domanda retorica a cui i Persiani non potevano che
rispondere (I, 126, 4) “che il divario era grande; che il giorno prima tutto per loro era
andato male, che oggi tutto andava bene”86. Allora Ciro per assicurarsi la piena leale
benevolenza dei suoi futuri soldati, e instaurare un rapporto di fiducia reciproca,
deve far cessare la menzogna e dire la tutta la verità. Perciò “svelò (παρεγύμνου 87)
l'intera storia (τὸν πάντα λόγον)”. L'inganno gli è dunque funzionale alla conquista
del potere, ma solo per una fase molto breve. Per conquistare la fiducia dei Persiani,
che dovranno sostenere la sua ribellione, anche a prezzo della vita, egli deve
innanzitutto mettere in pratica il precetto fondamentale dell'educazione persiana: dire
la verità.

84
ἐόντι τῶν ἡλίκων ἀνδρηιοτάτῳ καὶ προσφιλεστάτῳ προσέκειτο. Testo greco e traduzione di
Antelami.
85
ὁ Κῦρος κότερα τὰ τῇ προτεραίῃ εἶχον ἢ τὰ παρεόντα σφι εἴη αἱρετώτερα. Testo greco e
traduzione di Antelami.
86
οἳ δὲ ἔφασαν πολλὸν εἶναι αὐτῶν τὸ μέσον: τὴν μὲν γὰρ προτέρην ἡμέρην πάντα σφι κακὰ ἔχειν,
τὴν δὲ τότε παρεοῦσαν πάντα ἀγαθά. Testo greco e traduzione di Antelami.
87
Ciro vuole proprio “mettere a nudo” la verità, “spogliarla” dei veli e delle vesti dell'inganno.

3
0
A questo punto pare che la sua μῆτις si trasformi adottando nuove strategie: dalla
lettera ingannevole Ciro sembra passare a un atteggiamento paternalistico e
demagogico. Egli fa leva sui desideri e gli istinti del popolo. Paragona il regno di
Astiage a uno stato di eterna e dolorosa schiavitù, rappresentata allegoricamente
dalla giornata passata a dissodare il terreno; identifica il proprio regno futuro come
un periodo di grande benessere e felicità, rappresentata allegoricamente dal
banchetto88.
Ciro ha buon gioco nel fare tutto questo. Da una parte i Persiani hanno ben chiara la
situazione passata e presente rappresentata dal regno di Astiage. Essa non è molto
positiva dal momento che il re Medo discrimina i popoli diversi dal suo, compresi i
Persiani. E se già il suo governo ha incontrato il malcontento dei Medi 89, i Persiani
vivevano una condizione più amara. Inoltre è plausibile ritenere che non accettassero
di buon grado il governo di un re straniero e che fossero complessivamente
insoddisfatti del loro stato.
D'altra parte Ciro promette loro un futuro migliore. Si è rivelato generoso nei loro
confronti per mezzo del ricco banchetto. Tale dono rappresenta solo un anticipo del
benessere promesso loro dal suo futuro governo. Inoltre Ciro è (per linea paterna, che
tradizionalmente è quella più importante) uno di loro ed è plausibile aspettarsi che
egli voglia favorire i membri della propria etnia, magari a scapito di quei Medi che li
hanno sempre trattati male. Il sogno utopistico proposto da Ciro diventa un ideale per
cui vale la pena lottare e rovesciare l'ordine costituito.
Su questi elementi si possono proporre alcune considerazioni: innanzitutto Ciro
adotta un atteggiamento che potremmo definire “demagogico” per conquistare il
potere. Si tratta però di una demagogia attenuata, perché non c'è stato inganno

88
Il banchetto è, tra l'altro, un luogo dell'inganno tradizionalmente codificato nella cultura greca (cfr.
Dorati 1993 e Dorati 2000). Erodoto vuol forse dirci che in fondo anche questo apologo
“partecipato” è un inganno. Ma è meglio sottolineare le due forme di μῆτις: la prima (la finta
lettera) è un vero è proprio δόλος, una chiara falsità; la seconda è piuttosto un artificio retorico
prodotto dal σοφός Ciro.
89
È lo stesso Erodoto a comunicarcelo con assoluta chiarezza (I, 123, 2): Arpago riesce a persuadere
facilmente i Medi al tradimento “poiché Astiage era duro (“πικρός”) nei confronti dei Medi”[=
ἐόντος τοῦ Ἀστυάγεος πικροῦ ἐς τοὺς Μήδους]; la traduzione dell'aggettivo πικρός proposta da
Antelami non rende abbastanza: Astiage era “spietato”, dotato di quella ὕβρις tipica del tiranno
nelle sue fasi peggiori. Diversamente non ci sarebbe stato un simile malcontento. Dal punto di
storico è altamente probabile che lo scontento fosse dovuto ai tributi troppo pesanti imposti ai
sudditi.

3
1
premeditato, ma una rivelazione sincera delle proprie intenzioni, e probabilmente
anche in seguito una reale politica favorevole ai Persiani. Vero è anche però che, una
volta al potere, Ciro mantiene il tradizionale distacco del μέγας βασιλεύς tipico del
cerimoniale persiano, disilludendo così le aspettative di reale cambiamento di
rapporti che i suoi inizi avevano forse fatto sperare.

3
2
2.3 LA MENZOGNA DI DARIO

Il personaggio che più di tutti esprime il rapporto tra Persiani e inganno è il Gran Re
Dario. Proprio colui che dichiara, nell'iscrizione di Behistun, di essere stato scelto da
Ahura-Mazda (il Signore della Verità) come campione nella lotta contro la menzogna
e quindi come garante supremo della verità, avrebbe, secondo Erodoto, conquistato il
potere grazie a una serie di menzogne e inganni.
Già all'epoca del regno di Ciro Dario era sospettato come ribelle. Ciro infatti lo
avrebbe visto in sogno (I, 209, 1-3) mentre stendeva le sue ali sui continenti: sarebbe
dunque salito al trono portando l'impero persiano alla sua massima estensione. Ciro,
timoroso di un eventuale complotto ordito da Dario, lo avrebbe fatto convocare (I,
209, 3-5); il padre di Dario, estremamente leale a Ciro, si era dichiarato disposto
anche a uccidere il proprio figlio per salvare il suo re (I, 210, 2-3). Ma ciò non si rese
necessario perché Ciro era morto prima durante la guerra contro i Massageti e la
questione venne “archiviata”.
Seguendo il racconto erodoteo è possibile supporre una certa propensione di Dario a
ricercare il potere a ogni costo.
Quando i Magi presero con l'inganno il potere, Otane, che aveva sentito la
confessione fatta da Cambise poco prima di morire, voleva trovare degli elementi che
comprovassero la verità di quelle dichiarazioni. Grazie a sua figlia, andata in sposa al
presunto fratello di Cambise, scoprì che lo Smerdi seduto sul trono non era il figlio di
Ciro, ma Smerdi il Mago90. Di fronte all'evidenza dell'inganno, decise di organizzare
la congiura. A lui si unirono progressivamente altre cinque persone. Solo all'ultimo
momento si aggregò Dario. Questi tuttavia fece credere ai suoi compagni di essere al
corrente dell'inganno e di aver meditato una congiura già da tempo, dichiarandolo
apertamente con queste parole (III, 71, 2): “Da parte mia, ritenevo di essere il solo a
conoscere queste cose: che il Mago aveva il regno e che Smerdi, figlio di Ciro, è
morto. E appunto per questo sono giunto con sollecitudine: per tramare morte contro
il Mago”91.
90
Smerdi il Mago era stato in gioventù punito con la mutilazione delle orecchie. Mentre questi si era
addormentato dopo essersi unito alla figlia di Otane, lei scopre tale mutilazione e riferisce tutto al
padre (III, 69).
91
‘ἐγὼ ταῦτα ἐδόκεον μὲν αὐτὸς μοῦνος ἐπίστασθαι, ὅτι τε ὁ Μάγος εἴη ὁ βασιλεύων καὶ Σμέρδις ὁ

3
3
Come fa notare Flory92, le parole di Dario non sono molto convincenti. Dario
dichiara di essere giunto “con sollecitudine (σπουδῇ)”, mentre Erodoto nella
sequenza narrativa dichiara semplicemente che Dario “giunge (παραγίνεται)”, senza
dare la minima idea di un fine premeditato. Egli inoltre parla aspettando
tranquillamente il proprio turno. Ha quindi tutto il tempo per apprendere le
informazioni da Otane, sondare gli umori all'interno del gruppo e preparare una
consona strategia. Solo dopo aver sentito che il regno di Smerdi era in realtà frutto di
un inganno, decide di prendere parte alla congiura “not only to kill Magus but to
become king.93”.
Dario si mostra indignato per la menzogna di cui il popolo Persiano è vittima, ma in
realtà è proprio con una menzogna che Dario dà inizio alla sua scalata al potere.
Mentre Ciro scatena la rivolta solo dopo aver detto la verità a coloro che saranno suoi
compagni nell'impresa, Dario dà impulso alla congiura mentendo ai suoi compagni.
Il rapporto di fiducia che dovrebbe instaurare con gli altri sei congiurati (i quali, a
differenza dei Persiani di Ciro, sono aristocratici suoi pari) è già inquinato dalla
falsità. Ma, come Dario stesso esprimerà nell'iscrizione di Behistun, la menzogna è la
madre di tutte le rivolte. Perciò solo sotto il segno della menzogna è possibile
rovesciare il potere costituito.
Nel passo erodoteo III, 72 Dario farà una vera e propria apologia della menzogna.

Κύρου τετελεύτηκε: καὶ αὐτοῦ τούτου εἵνεκεν ἥκω σπουδῇ ὡς συστήσων ἐπὶ τῷ Μάγῳ θάνατον.
ἐπείτε δὲ συνήνεικε ὥστε καὶ ὑμέας εἰδέναι καὶ μὴ μοῦνον ἐμέ, ποιέειν αὐτίκα μοι δοκέει καὶ μὴ
ὑπερβάλλεσθαι· οὐ γὰρ ἄμεινον.’ Testo greco e traduzione di Fraschetti.
92
Flory 1987, p. 129.
93
Flory 1987, p. 129.

3
4
2.4 INGANNO E OPPORTUNISMO: L'IMPORTANZA DELLA MENZOGNA
IN DARIO

In III, 72 Erodoto introduce Dario che illustra ai suoi compagni il piano della
congiura, che prevede l'eventualità di mentire alle guardie. I congiurati, e Otane in
particolare, si indignano all'idea di mentire. Dario allora cerca di argomentare così il
valore della menzogna (III, 72, 4-5):
“[4] Quando è necessario dire una menzogna (τι δεῖ ψεῦδος λέγεσθαι), la menzogna
sia detta. Infatti aspiriamo allo stesso fine (τοῦ γὰρ αὐτοῦ γλιχόμεθα): gli uni
mentendo e gli altri attenendosi alla verità; gli uni mentono quando intendono
procurarsi dei vantaggi persuadendo con le menzogne, gli altri dicono la verità per
ricavare dalla verità un guadagno e perché ci si affidi a loro più volentieri. Così,
senza usare gli stessi mezzi, aspiriamo allo stesso scopo. [5] Se non ci fosse da trarne
un guadagno, indifferentemente chi dice la verità mentirebbe e il bugiardo sarebbe
veritiero ( ὁμοίως ἂν ὅ τε ἀληθιζόμενος ψευδὴς εἴη καὶ ὁ ψευδόμενος ἀληθής)”94.
I compagni intendono queste parole nel modo in cui dettava loro l'educazione
ricevuta: per conseguire il proprio vantaggio è lecito ingannare i nemici. Questo è
anche ciò che Dario vuol far credere loro, inserendo questo discorso come
giustificazione del suo piano. In verità Dario, più o meno intenzionalmente, usa
queste parole per legittimare la sua intera condotta morale, o, per meglio dire, il
comportamento che tiene da quando si è inserito ex abrupto nella congiura fino a
quando ottiene il potere. Questo è il suo pensiero: per conseguire il proprio vantaggio
è lecito mentire a tutti. E lo manifesta fin dal momento in cui si è auto-incluso nella
congiura millantando di sapere già tutto fin dall'inizio. Al comportamento retto di
Otane, che rivela tutto ai suoi pari, si oppone l'atteggiamento spregiudicato e
sfacciato di Dario, che mente anche ai suoi compagni pur di realizzare le proprie
aspirazioni. E, paradossalmente, usa questa apologia come monito per i compagni,
quasi per metterli in guardia circa le sue reali intenzioni. Come a dire: «vi sto

94
[4] ἔνθα γάρ τι δεῖ ψεῦδος λέγεσθαι, λεγέσθω. τοῦ γὰρ αὐτοῦ γλιχόμεθα οἵ τε ψευδόμενοι καὶ οἱ
τῇ ἀληθείῃ διαχρεώμενοι. οἳ μέν γε ψεύδονται τότε ἐπεάν τι μέλλωσι τοῖσι ψεύδεσι πείσαντες
κερδήσεσθαι, οἳ δ᾽ ἀληθίζονται ἵνα τῇ ἀληθείῃ ἐπισπάσωνται κέρδος καί τι μᾶλλόν σφι
ἐπιτράπηται. οὕτω οὐ ταὐτὰ ἀσκέοντες τὠυτοῦ περιεχόμεθα. [5] εἰ δὲ μηδὲν κερδήσεσθαι
μέλλοιεν, ὁμοίως ἂν ὅ τε ἀληθιζόμενος ψευδὴς εἴη καὶ ὁ ψευδόμενος ἀληθής. Testo greco e
traduzione di Fraschetti.

3
5
mentendo, e non ho scrupolo a farlo; e continuerò a mentirvi se mi sarà utile». Ma
per il momento nessuno dei compagni intuisce il suo doppio gioco 95. Ci si potrebbe
chiedere perché Dario si spinga a mentire fin da subito ai propri pari. È probabile che
Dario non consideri gli altri sei come suoi pari, ma si ritenga nettamente superiore a
loro, e finga di prendere parte a una lotta collettiva (la deposizione e l'uccisione dei
Magi), mentre in verità sfrutti queste persone per perseguire la sua battaglia
personale (la sua corsa al potere). Anche nell'organizzazione della congiura la sua
risolutezza potrebbe riflettere un atteggiamento individualista. Subito dopo che Dario
aveva dichiarato la sua volontà di uccidere il Mago (III, 71, 2), Otane lo invita alla
prudenza. L'ideatore della congiura96 ritiene infatti opportuno prendere tempo per
radunare più persone97 (III, 71, 3): “[...] non affrettare questa impresa in maniera così
sconsiderata; prendila invece con maggiore prudenza, perché per tentarla bisogna
essere più numerosi»”98. Ma Dario impone con forza il suo punto di vista,
minacciando di rivelare tutto al Mago (III, 71, 4-5): «Uomini qui presenti, se vi
comporterete nel modo che ha detto Otane, sappiate che vi attende la peggiore delle
morti: qualcuno (τις)99 infatti farà la spia (ἐξοίσει)100 al Mago, procurando guadagni
solo a se stesso (ἰδίῃ περιβαλλόμενος ἑωυτῷ κέρδεα)101. Sarebbe stato molto meglio
se aveste deciso questa impresa addossandovela di persona; ma, poiché avete deciso
di riferirla a molta gente e me ne avete messo a parte (ἐμοὶ ὑπερέθεσθε)102, o agiamo
95
Cfr. Flory 1987, p.130.
96
Come tale Otane viene riconosciuto da tutti. Infatti quando rinuncerà a competere per il trono verrà
ricoperto di doni (III, 85,1) “perché per primo aveva progettato l'impresa e li aveva riuniti”[= ὅτι
ἐβούλευσέ τε πρῶτος τὸ πρῆγμα καὶ συνέστησε αὐτούς]. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
97
L'idea di radunare più persone non è tanto dettata dalla prudenza, bensì riflette l'indole di Otane.
Egli, sostenitore della democrazia partecipativa, vuole che a questa impresa, di interesse comune
per tutto il popolo persiano, partecipi il maggior numero possibile di individui. La congiura deve
trasformarsi in una vera e propria rivolta popolare.
98
ἐπιχείρησιν ταύτην μὴ οὕτω συντάχυνε ἀβούλως, ἀλλ᾽ ἐπὶ τὸ σωφρονέστερον αὐτὴν λάμβανε: δεῖ
γὰρ πλεῦνας γενομένους οὕτω ἐπιχειρέειν. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
99
In realtà quel “qualcuno” sarà Dario stesso. Cfr. infra αὐτὸς ἐγὼ.
100
Letteralmente il verbo significa “farà sapere”, che corrisponde al successivo “rivelerò” (κατερέω,
che si potrebbe anche tradurre “denuncerò”. Tale verbo richiama fortemente il precedente ἐξοίσω
“farò la spia”). La stessa relazione si trova poi tra i pronomi “qualcuno” (τις) e il successivo “io
stesso” (αὐτὸς ἐγὼ).
101
Si tratta sempre del concetto per cui ogni cosa è lecita per conseguire il proprio vantaggio, tanto
mentire, quanto dire la verità, magari facendo anche la spia.
102
Sembra qui che Dario voglia rinfacciare ai suoi compagni di averlo incluso nella congiura, magari
accusandoli di scarsa prudenza. Sarebbe dunque troppo tardi per mettere in pratica la prudenza
tanto invocata da Otane. Ma con queste parole Dario potrebbe di nuovo essersi lasciato sfuggire,
come in un lapsus, un altro frammento di verità: non si sarebbe recato a Susa di sua iniziativa per

3
6
oggi stesso o sappiate che, se trascorre questo giorno, nessuno mi precederà
nell'accusa, e anzi io stesso (αὐτὸς ἐγὼ) rivelerò (κατερέω) tutto (σφεα) al Mago»103.
Dario si rivela estremamante opportunista: il futuro Gran Re è disposto a trarre
vantaggio da ogni situazione. Se i “compagni” non gli avessero “ubbidito” si sarebbe
spinto a tradirli per ottenere dei benefici dai Magi 104. Una posizione di privilegio
presso i potenti del momento poteva costituire per lui un premio di consolazione per
la mancata ascesa al trono. A questo punto Otane avverte il pericolo rappresentato da
Dario e, messo alle strette dalle sue minacce, gli cede di fatto la conduzione delle
operazioni (III, 72, 1): “Vedendo Dario pieno di impeto (σπερχόμενον), a queste
parole Otane rispose: «Dal momento che ci costringi (ἀναγκάζεις) ad affrettarci e
non ci permetti (οὐκ ἐᾷς) di indugiare, ebbene, spiegaci tu (ἐξηγέο αὐτὸς)105 come
entreremo nella reggia e li attaccheremo”106. L'autorevolezza di cui Dario viene
investito sarà ulteriormente rafforzata quando questi, su invito e con l'aiuto di
Gobria, ucciderà il falso Smerdi. E Dario decide di sfruttare questo carisma per far
prevalere il suo parere individualista nel dibattito sul futuro governo della Persia.
In III, 80-82 Erodoto inserisce un interessante dibattito tra Otane, Megabizo e Dario,
che ha per oggetto la nuova forma di governo da dare alla Persia. Tale dibattito,
assolutamente improbabile nella realtà storica, risponde invece perfettamente alle
categorie del pensiero di un greco ionico, quale Erodoto era.

uccidere i Magi, consapevole di tutto fin dall'inizio, ma sarebbe stato appositamente convocato dai
congiurati. Come suggerisce Briant (Briant 1996, pp. 124 e ss.), Dario sarebbe stato convocato da
Gobria, il quale lo avrebbe poi aiutato a uccidere il Mago e gli avrebbe dato in sposa sua figlia.
103
ἄνδρες οἱ παρεόντες, τρόπῳ τῷ εἰρημένῳ ἐξ Ὀτάνεω εἰ χρήσεσθε, ἐπίστασθε ὅτι ἀπολέεσθε
κάκιστα: ἐξοίσει γάρ τις πρὸς τὸν Μάγον, ἰδίῃ περιβαλλόμενος ἑωυτῷ κέρδεα. [5] μάλιστα μέν
νυν ὠφείλετε ἐπ᾽ ὑμέων αὐτῶν βαλλόμενοι ποιέειν ταῦτα: ἐπείτε δὲ ὑμῖν ἀναφέρειν ἐς πλεῦνας
ἐδόκεε καὶ ἐμοὶ ὑπερέθεσθε, ἢ ποιέωμεν σήμερον ἢ ἴστε ὑμῖν ὅτι ἢν ὑπερπέσῃ ἡ νῦν ἡμέρη, ὡς
οὐκ ἄλλος φθὰς ἐμεῦ κατήγορος ἔσται, ἀλλά σφεα αὐτὸς ἐγὼ κατερέω πρὸς τὸν Μάγον. Testo
greco e traduzione di Fraschetti.
104
E probabilmente li avrebbe ottenuti. I Magi erano molto generosi (III, 67, 3), soprattutto verso
quelli disposti a collaborare con loro, e il caso di Prexaspe è significativo al riguardo (III, 74).
105
Il verbo ἐξηγέομαι non significa solo “spiegare” ma anche “guidare”, “condurre”, “governare”.
Con questo imperativo Otane sta esortando Dario a prendere il comando dell'impresa. È il primo
segno della resa di Otane, consapevole che, a poco a poco, sta perdendo l'autorevolezza e il
carisma presso i suoi compagni. A differenza di Dario, Otane non ambisce in alcun modo al potere,
ma è interessato solamente al risultato collettivo dell'impresa.
106
λέγει πρὸς ταῦτα Ὀτάνης, ἐπειδὴ ὥρα σπερχόμενον Δαρεῖον, ‘ἐπείτε ἡμέας συνταχύνειν
ἀναγκάζεις καὶ ὑπερβάλλεσθαι οὐκ ἐᾷς, ἴθι ἐξηγέο αὐτὸς ὅτεῳ τρόπῳ πάριμεν ἐς τὰ βασιλήια καὶ
ἐπιχειρήσομεν αὐτοῖσι. Testo greco e traduzione di Fraschetti.

3
7
Otane, il promotore della congiura, si batte per un regime democratico, e Megabizo,
forte del recente successo della congiura, propone un regime oligarchico (quindi di
governare insieme tutti e sette). Entrambi vedono il futuro governo come
continuazione delle modalità con cui avevano ordito la congiura e propongono quindi
un governo di tipo collegiale. Dario invece è l'unico a proporre con forza un regime
monarchico. Secondo lui è legittimato a governare solo il più intelligente e il più
capace di gestire gli affari pubblici107. Il re deve essere il più acuto e il più discreto di
tutti. Ma tale acutezza e segretezza implicano anche la capacità di ingannare il
prossimo.“Yet Darius also acknowledges the necessity for secrecy and, by
implication, deceit in government for this has been his own approach”108.
Anche Dario concepisce il futuro governo nello stesso modo in cui lui aveva
concepito la congiura.
Dunque il messaggio implicito è questo: poiché Dario è stato il più risoluto nel
condurre la congiura e poiché è stato abile a tessere inganni fin dal principio, solo lui
è degno di diventare re. Nessuno dei congiurati lo capisce e tutti, conquistati dalle
sue parole e dal suo carisma, votano compatti il progetto monarchico. Solo Otane,
ormai messo in ombra dalla luce di Dario, sceglie di ritirarsi. Sfruttando quel poco
che è rimasto dell'originaria autorevolezza di cui godeva, decide di cautelare la sua
persona e propone di rinunciare alla competizione per il potere, in cambio di uno
spazio di libertà. I sei accettano con gioia e lo riempiono di doni, per onorare il
fautore della congiura, e probabilmente anche contenti di aver così eliminato dalla
gara un valido concorrente.

107
Cfr. III, 82, 2: ἀνδρὸς γὰρ ἑνὸς τοῦ ἀρίστου οὐδὲν ἄμεινον ἂν φανείη: γνώμῃ γὰρ τοιαύτῃ
χρεώμενος ἐπιτροπεύοι ἂν ἀμωμήτως τοῦ πλήθεος, σιγῷτό τε ἂν βουλεύματα ἐπὶ δυσμενέας
ἄνδρας οὕτω μάλιστα.
108
Flory 1987, p. 133.

3
8
2.5 L'INGANNO DI EBARE

Sconfitti i Magi e scelto per la Persia il regime monarchico, non resta che stabilire
chi diventerà re. I sei congiurati rimasti a competere (dopo l'abbandono di Otane)
sono concordi a affidare la scelta del re al fato (III, 84, 3): “Per il regno decisero nel
modo seguente: allo spuntare del sole, mentre essi cavalcavano nel suburbio, colui il
cui cavallo avrebbe nitrito per primo, sarebbe stato re” 109. Naturalmente Dario non ha
alcuna intenzione di affidare al caso il coronamento delle sue ambizioni. A un passo
dalla meta vuole assicurarsi il successo con ogni mezzo. Gli manca tuttavia la
sapienza tecnica necessaria per conseguire il suo scopo. Decide dunque di ricorrere
alle arti del suo abile (σοφός) scudiero, o, meglio, stalliere (ἱπποκόμος)110, di nome
Ebare, chiedendogli esplicitamente di mettere in atto (μηχανῶ) la sua abilità (σοφίην)
per garantirgli il regno (III, 85, 1). In questo passaggio Erodoto utilizza un verbo
tipico del lessico dell'inganno, μηχανᾶσθαι, che solitamente significa “tramare, ordire
intrighi”111 associato a un sostantivo della stessa area semantica, σοφίη. Dorati
definisce la σοφίη erodotea, in opposizione alla forza bruta βίη, “una sapienza del
tutto pratica, non speculativa, nella quale confluiscono abilità tecnica e prudenza,
astuzia e colpo d'occhio”112. È proprio il tipo di sapienza che manca a Dario, che fa
invece della speculazione teorica e della persuasione retorica i suoi maggiori punti di
forza. L'episodio insegna che per conquistare il potere servono quattro strumenti:
forza, capacità di pianificazione, capacità persuasiva, sapienza pratica. Per il primo e
per l'ultimo degli elementi Dario deve fare affidamento su personaggi terzi: per la βίη

109
περὶ δὲ τῆς βασιληίης ἐβούλευσαν τοιόνδε: ὅτευ ἂν ὁ ἵππος ἡλίου ἐπανατέλλοντος πρῶτος
φθέγξηται, ἐν τῷ προαστείῳ αὐτῶν ἐπιβεβηκότων, τοῦτον ἔχειν τὴν βασιληίην. Testo greco e
traduzione di Fraschetti.
110
È colui che si deve occupare del cavallo di Dario.
111
“Μηχανᾶσθαι è senza dubbio il verbo che maggiormente caratterizza l'azione dell'ingannatore e
che ricorre più di frequente per designare l'ideazione di un trucco. Il termine è saldamente attestato
nella tradizione epica, ed è usato, per esempio, per esprimere le trame, le macchinazioni di
qualcuno […] In Erodoto il verbo è usato forse con più sfumature, ma nel complesso mantiene il
valore fondamentale […] sembra essere sempre sottintesa l'idea dell'intelligenza astuta […]
prodotto di una mente acuta e ingegnosa. […] in Μηχανᾶσθαι entra sempre in gioco la metis […]
l'intelligenza che opera nel verbo Μηχανᾶσθαι è di tipo pratico, non speculativo, […] e cerca
risultati concreti” [Dorati 1993, n. 25].
112
Dorati 1998, n. 10.

3
9
ricorre ai congiurati, per la σοφίη si appoggerà al suo fedele stalliere. In III, 85-87
sono riportate due versioni diverse dello stratagemma escogitato da Ebare113.
Nella prima versione (III, 85-86) Ebare conduce il cavallo nel luogo in cui dovrà
nitrire e lì lo fa accoppiare con la sua cavalla preferita. Il mattino seguente il cavallo,
riconosciuto il luogo dell'accoppiamento, corre in avanti e nitrisce.
Nella seconda versione (III, 87) Ebare agisce in modo ancora più diretto: “dopo aver
sfiorato con la mano i genitali della cavalla” avrebbe tenuto “questa mano nascosta
nelle proprie braghe; poi, al sorgere del sole, quando i cavalli stavano per muoversi,
tirata fuori la mano, Ebare l'avrebbe accostata alle narici del cavallo di Dario e il
cavallo, sentendo l'odore, si sarebbe messo a fremere e a nitrire”114.
Il più astuto è certamente lo scudiero Ebare. Di questo Dario è assolutamente
consapevole e infatti provvede a dedicare un rilievo scolpito nella roccia al suo
cavallo e, soprattutto, al suo scudiero, dichiarando apertamente che per merito loro
ebbe in sorte il regno.
Erodoto introduce allora un elemento legittimante, forse per evitare che il regno di
Dario sia considerato semplicemente frutto di un inganno (III, 86, 2): mentre il
cavallo nitriva, “a ciel sereno ci fu un fulmine e un tuono” e solo a seguito di questo
prodigio “gli altri balzarono giù dai cavalli e gli si prosternarono”115.
Gli dei hanno quindi premiato l'astuzia di Dario dando il loro assenso al suo regno.
L'iscrizione di Behistun andrebbe forse rivista sotto questa luce: Ahura-Mazda
avrebbe davvero protetto Dario, dando legittimità, con la sua autorità di garante della
verità, alle menzogne del suo devoto.

113
Per un approfondimento dell'episodio cfr. Flory 1987, p. 70-71.
114
ὡς τῆς ἵππου ταύτης τῶν ἄρθρων ἐπιψαύσας τῇ χειρὶ ἔχοι αὐτὴν κρύψας ἐν τῇσι ἀναξυρίσι: ὡς
δὲ ἅμα τῷ ἡλίῳ ἀνιόντι ἀπίεσθαι μέλλειν τοὺς ἵππους, τὸν Οἰβάρεα τοῦτον ἐξείραντα τὴν χεῖρα
πρὸς τοῦ Δαρείου ἵππου τοὺς μυκτῆρας προσενεῖκαι, τὸν δὲ αἰσθόμενον φριμάξασθαί τε καὶ
χρεμετίσαι. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
115
ἀστραπὴ ἐξ αἰθρίης καὶ βροντὴ ἐγένετο […] οἳ δὲ καταθορόντες ἀπὸ τῶν ἵππων προσεκύνεον
τὸν Δαρεῖον. Testo greco e traduzione di Fraschetti. Cfr. Flory 1987, p. 71: “Here both stories also
provide an earthy couterpart to the supernatural role of thunder that follows and confirms Darius as
king and to which Herodotus provides no alternatives”.

4
0
3. INGANNO E CONQUISTE TERRITORIALI

3.1 LA CONQUISTA DI BABILONIA: GLI INGANNI DI CIRO E DARIO

Nell'opera di Erodoto, la conquista della città di Babilonia ha rappresentato per i re


persiani una delle imprese più ardue. Il primo a tentare questa sfida è stato proprio il
capostipite dell'impero persiano.
La prosperità di Babilonia dipendeva dalla capacità di controllare il corso delle
acque. Pertanto, solo chi fosse in grado di dominare le acque sarebbe stato degno di
governare Babilonia. Due regine inaugurarono questa tradizione: Semiramide e
Nitocris. Semiramide per prima fece costruire argini che impedissero al fiume di
inondare tutta la pianura (I, 184). Ma la più intelligente e “avveduta” (συνετωτέρη)
delle due fu senza alcun dubbio Nitocris (I, 185). Le opere idrauliche che lei dispose
avevano un unico scopo: difendere Babilonia da un possibile attacco dei Medi. Per
fare questo Nitocris rese tortuoso il corso del fiume Eufrate e scavò un lago
artificiale affinché “il fiume, rompendosi in molte curve, divenisse più lento, e la
navigazione fino a Babilonia fosse più tortuosa, e alla fine della navigazione ci fosse
il lungo giro del lago” (I, 185, 6) 116. La μῆτις della regina consiste proprio
nell'ingannare il naturale corso delle acque per ingannare i nemici117. Per conquistare
la città occorreva essere dotati di altrettanta astuzia. Infatti fu proprio Ciro,
successore dei Medi nella politica espansionistica, a muovere guerra contro il figlio
di Nitocris, Labineto, il quale ebbe subito occasione di collaudare le misure difensive
allestite da sua madre. Prima di giungere a Babilonia, il Gran Re di Persia diede
prova del suo potere e della sua μῆτις sulle acque del fiume Ginde (I, 189-190):
poiché il fiume in questione “gli aveva fatto l'affronto” (ὑβρίσαντι) di “inghiottire”
(συμψήσας) uno dei suoi sacri cavalli bianchi durante un guado, Ciro, “sdegnato”
contro il fiume, decise di punirlo suddividendolo in 360 canali, in modo da “renderlo
116
ὅ τε ποταμὸς βραδύτερος εἴη περὶ καμπὰς πολλὰς ἀγνύμενος, καὶ οἱ πλόοι ἔωσι σκολιοὶ ἐς τὴν
Βαβυλῶνα, ἔκ τε τῶν πλόων ἐκδέκηται περίοδος τῆς λίμνης μακρή. Testo greco e traduzione di
Izzo D'accini.
117
Per il rapporto tra il nome di questa regina e l'uso astuto delle acque, vale la pena osservare che
Erodoto (II, 100, 3) mette in scena un'omonima regina Egiziana (e sottolinea questa omonimia), la
quale uccide i suoi nemici rovesciando su di loro, durante un banchetto, le acque di un fiume, per
mezzo di una conduttura sotterranea. Cfr. Dorati 1993, p. 66; Dorati 1998, n. 13.

4
1
così debole che per l'avvenire anche le donne l'avrebbero attraversato facilmente
senza bagnarsi le ginocchia”118. Questa grande opera impegnò Ciro per tutta l'estate e
solo in primavera poté riprendere la marcia contro Babilonia. Questo apparente
spreco di tempo costituì per Ciro e i suoi uomini un vero e proprio banco di prova per
sviluppare e affinare quelle competenze che si rivelarono poi determinanti per la
conquista della città. I Babilonesi attendevano da tempo l'arrivo di Ciro e, in vista di
un assedio, “avevano accumulato viveri per moltissimi anni. Così non si curavano
affatto dell'assedio, mentre Ciro119 era stretto in difficoltà, poiché passava molto
tempo e la sua impresa non progrediva in nulla”(I, 190, 2) 120. A questo punto, con
uno stratagemma (I, 191), Ciro schierò l'esercito nei rispettivi punti in cui il fiume
entrava ed usciva dalla città, ordinando alle sue truppe di attaccare appena il fiume
fosse divenuto guadabile. Dopodiché, giunto presso lo stagno con un manipolo di
uomini, “fece con il fiume e con lo stagno le stesse cose che aveva fatto la regina di
Babilonia: infatti, attraverso un canale, condusse il fiume allo stagno che allora era
pantano e, essendo il fiume disceso, fece in modo che il vecchio letto divenisse
guadabile” (I, 191, 3)121. La strategia di Ciro, rivelatasi efficace per la conquista della
città, era però strettamente connessa con l'effetto sorpresa. Erodoto infatti non tarda a
rammentarlo (I, 191, 5): “Se i Babilonesi avessero saputo prima o avessero capito ciò
che Ciro intendeva fare, non permettendo che i Persiani entrassero in città, li
avrebbero sterminati nel modo più tremendo; sbarrando infatti tutte le porte che
davano sul fiume e salendo sui muri a secco che correvano lungo le sue rive, li
avrebbero presi come in trappola”122.

118
οὕτω δή μιν ἀσθενέα ποιήσειν ὥστε τοῦ λοιποῦ καὶ γυναῖκας μιν εὐπετέως τὸ γόνυ οὐ βρεχούσας
διαβήσεσθαι. Testo e traduzione di Izzo D'Accinni.
119
Ciro era già riuscito a sconfiggerli nella battaglia campale (I, 190, 1).
120
προεσάξαντο σιτία ἐτέων κάρτα πολλῶν. ἐνθαῦτα οὗτοι μὲν λόγον εἶχον τῆς πολιορκίης οὐδένα,
Κῦρος δὲ ἀπορίῃσι ἐνείχετο, ἅτε χρόνου τε ἐγγινομένου συχνοῦ ἀνωτέρω τε οὐδὲν τῶν
πρηγμάτων προκοπτομένων. Testo greco e traduzione di Antelami.
121
τά περ ἡ τῶν Βαβυλωνίων βασίλεια ἐποίησε κατά τε τὸν ποταμὸν καὶ κατὰ τὴν λίμνην, ἐποίεε
καὶ ὁ Κῦρος ἕτερα τοιαῦτα: τὸν γὰρ ποταμὸν διώρυχι ἐσαγαγὼν ἐς τὴν λίμνην ἐοῦσαν ἕλος, τὸ
ἀρχαῖον ῥέεθρον διαβατὸν εἶναι ἐποίησε, ὑπονοστήσαντος τοῦ ποταμοῦ. Testo greco e traduzione
di Antelami.
122
εἰ μέν νυν προεπύθοντο ἢ ἔμαθον οἱ Βαβυλώνιοι τὸ ἐκ τοῦ Κύρου ποιεύμενον, οἳ δ᾽ ἂν
περιιδόντες τοὺς Πέρσας ἐσελθεῖν ἐς τὴν πόλιν διέφθειραν ἂν κάκιστα: κατακληίσαντες γὰρ ἂν
πάσας τὰς ἐς τὸν ποταμὸν πυλίδας ἐχούσας καὶ αὐτοὶ ἐπὶ τὰς αἱμασιὰς ἀναβάντες τὰς παρὰ τὰ
χείλεα τοῦ ποταμοῦ ἐληλαμένας, ἔλαβον ἂν σφέας ὡς ἐν κύρτῃ. Testo greco e traduzione di
Antelami.

4
2
Oltretutto i Babilonesi erano in festa e si accorsero troppo tardi di essere stati
conquistati (I, 191, 6).
Successivamente Babilonia aveva approfittato del regno del Mago e della congiura
dei Sette per ribellarsi al dominio Persiano. Dario, volendo riconquistare la città, la
tenne sotto assedio per un anno e sette mesi senza risultati. Infatti i Babilonesi,
memori dell'amara sconfitta inflitta da Ciro, avevano adottato tutte le misure
necessarie, anche le più cruente, per resistere a un lungo assedio (III, 150). Tra i vari
tentativi, Dario si spinse perfino a replicare lo stratagemma di Ciro (III, 152), ma
questa volta i Babilonesi non si lasciarono ingannare. Questa fase di stallo evidenzia
la nuova condizione di Dario: ottenuto il potere, dotato della forza armata, egli ha
perduto la sua μῆτις. Non è più dunque in grado di vincere il nemico con l'astuzia.
Solo l'intervento di un suddito, privo di κράτος e βία, ma dotato di μῆτις, riuscì a
sbloccare la situazione e a permettere al Gran Re di conquistare la città. Quest'uomo,
Zopiro, figlio di quel Megabizo che dopo l'uccisione dei Magi aveva proposto per la
Persia un regime aristocratico, percepì tramite una profezia che la caduta della città
era imminente. Infatti secondo un omen pronunciato da un soldato babilonese, la città
sarebbe stata conquistata quando le mule lì presenti avessero partorito (III, 151, 2).
Al ventesimo mese di assedio una mula di Zopiro, adibita al trasporto di viveri,
partorì (III, 153). Allora pensò che il momento era propizio per conquistare la città e
volle essere il fautore di questa impresa. Qui Zopiro manifesta un'ambizione
associata a un forte senso dell'onore: come orgoglioso aristocratico persiano ritiene
“intollerabile che gli Assiri deridano i Persiani”123. Il suo desiderio di difendere
l'onore del suo popolo e di acquisire gloria e fama è tale che egli è disposto anche a
mutilarsi pur di ottenere tutto ciò. Avendo intuito che l'unico modo per prendere la
città è agire dall'interno, egli ha bisogno di apparire ai Babilonesi come un disertore
persiano passato dalla loro parte. Si chiarisce dunque il senso della mutilazione: egli
si mozza naso e orecchie, infliggendosi la pena prevista, tanto in Persia quanto a
Babilonia, per i bugiardi e i traditori124. Così menomato si presenta a Dario e gli
illustra il suo piano (III, 155, 4): “entrerò da disertore all'interno delle mura e dirò ai

123
(III, 155, 2): δεινόν τι ποιεύμενος Ἀσσυρίους Πέρσῃσι καταγελᾶν. Testo greco e traduzione di
Fraschetti.
124
Cfr. supra, par. 1.5.

4
3
Babilonesi che questo trattamento l'ho subito da te; quando li avrò persuasi che le
cose stanno così, credo che otterrò il comando di un esercito”125.
A questo punto, per dimostrare ai Babilonesi di conoscere nei dettagli i piani di
Dario126, chiede al Gran Re in persona di sacrificare tre reparti del suo esercito dal
numero crescente di uomini (rispettivamente mille, duemila, quattromila)
disponendoli dove voleva Zopiro e armandoli “alla leggera”. Egli vuole acquistare
grande fiducia presso i cittadini di Babilonia (III, 155, 6) “poiché, come credo, per
aver compiuto grandi imprese, i Babilonesi tra l'altro mi affideranno anche le chiavi
delle porte”127.
Solo allora avrebbe potuto tradire i Babilonesi e spalancare le porte della città ai
Persiani. Il piano funzionò perfettamente. Appena entrato in città, riuscì a persuadere
così bene l'assemblea dei cittadini, che essi (III, 157, 1) “erano pronti a concedergli
ciò che chiedeva”128. Mano a mano che tornava vittorioso dalle tre imprese, i
Babilonesi erano sempre più dipendenti da lui. Dopo la prima vittoria, ovvero lo
sterminio dei mille persiani (III, 157, 3) “I Babilonesi, visto che le imprese di cui era
autore corrispondevano alle sue parole129, colmi di gioia erano pronti a obbedirgli in
tutto”130. Alla seconda impresa, la strage di duemila soldati persiani (III, 157, 4),
“tutti i Babilonesi avevano Zopiro sulla bocca e lo lodavano”. All'ultima e alla più
grandiosa delle tre imprese, il massacro di quattromila soldati del Gran Re, i
Babilonesi erano completamente ciechi di ammirazione per il loro condottiero e
abbassarono completamente i livelli di guardia: “Zopiro per loro era tutto, e lo
elessero non solo capo dell'esercito ma anche custode delle mura”131.
125
αὐτομολήσω ἐς τὸ τεῖχος καὶ φήσω πρὸς αὐτοὺς ὡς ὑπὸ σεῦ τάδε πἔπονθα: καὶ δοκέω, πείσας
σφέας ταῦτα ἔχειν οὕτω, τεύξεσθαι στρατιῆς. Testo greco e traduzione di Fraschetti. L'atto di
accordarsi con “l'esercito nemico” per ottenere dalla città il comando dell'esercito difensore, e poi
“aprire le porte” al nemico, può accostare la figura di Zopiro a quella di Arpago. Ma Arpago è un
Medo che tradisce il re dei Medi suo parente; Zopiro invece è un Persiano che tradisce i
Babilonesi, con cui non ha alcun legame, per aiutare il proprio popolo.
126
Così infatti dirà ai Babilonesi: “conosco tutti i particolari dei suoi piani”(= ἐπίσταμαι δ᾽ αὐτοῦ
πάσας τὰς διεξόδους τῶν βουλευμάτων). Testo greco e traduzione di Fraschetti.
127
ὡς γὰρ ἐγὼ δοκέω, ἐμέο μεγάλα ἔργα ἀποδεξαμένου, τά τε ἄλλα ἐπιτρέψονται ἐμοὶ Βαβυλώνιοι
καὶ δὴ καὶ τῶν πυλέων τὰς βαλανάγρας. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
128
ἐπιτρέπεσθαι ἕτοιμοι ἦσαν τῶν ἐδέετο σφέων. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
129
Zopiro, come aveva dichiarato apertamente ai Babilonesi, conosceva i piani di Dario nei minimi
particolari. E non poteva essere diversamente visto che era stato Zopiro stesso a proporli a Dario.
130
μαθόντες δέ μιν οἱ Βαβυλώνιοι τοῖσι ἔπεσι τὰ ἔργα παρεχόμενον ὅμοια, πάγχυ περιχαρέες ἐόντες
πᾶν δὴ ἕτοιμοι ἦσαν ὑπηρετέειν. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
131
πάντα δὴ ἦν ἐν τοῖσι Βαβυλωνίοισι Ζώπυρος, καὶ στρατάρχης τε οὗτός σφι καὶ τειχοφύλαξ

4
4
Si erano completamente consegnati nelle mani di un persiano senza rendersene
conto. È perciò inevitabile chiedersi come i Babilonesi che, a detta di Erodoto (III,
152), “stavano straordinariamente in guardia”132, siano caduti così ingenuamente nel
tranello. In V, 97, 2, dove si narra l'episodio di Aristagora che riesce a persuadere
l'assemblea degli Ateniesi a prendere parte alla rivolta ionica, Erodoto dichiara senza
mezzi termini che “è più facile ingannare molti che uno solo” 133. E difatti Aristagora
riuscì a ingannare facilmente 30.000 Ateniesi, laddove fallì con il re di Sparta
Cleomene (V, 97, 1-2).
Risultava facile anche a un buon oratore, quale poteva essere Zopiro, soggiogare la
volontà dei Babilonesi che erano allora governati dall'assemblea dei cittadini 134.
Zopiro utilizza l'arte ortatoria come arma di persuasione per attuare il suo piano, con
la stessa efficacia con cui un tiranno si servirebbe della forza armata per imporre la
sua volontà. Inoltre ancora una volta i Babilonesi troppo tardi si rendono conto
dell'inganno subito. Come era avvenuto con la conquista di Ciro, anche ora molti
soldati e cittadini non si erano accorti del palese tradimento di Zopiro.
(III, 158) “[1] Quando Dario secondo gli accordi attaccò il circuito delle mura,
Zopiro allora rese noto tutto il suo inganno […] spalancate le porte […] fece entrare i
persiani all'interno delle mura. [2] […] quelli che non lo videro rimasero ciascuno al
proprio posto, finché anch'essi non compresero di essere stati traditi” 135. Questo
ritardo di percezione del pericolo, questa “distrazione" rappresenta il vero punto
debole dei Babilonesi e costituirà la ragione ultima della loro disfatta.
Zopiro ha quindi avuto successo e (III, 160, 1) “A giudizio di Dario, la benemerenza
di Zopiro non fu superata da nessuno dei Persiani” 136. Dario fu molto grato nei suoi

ἀπεδέδεκτο. Testo greco e traduzione di Fraschetti.


132
δεινῶς ἦσαν ἐν φυλακῇσι. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
133
πολλοὺς γὰρ οἶκε εἶναι εὐπετέστερον διαβάλλειν ἢ ἕνα. Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni. Per un commento ulteriore al passo e alla figura di Aristagora, cfr. Corti 2003, p. 118 e
sgg.
134
L'ultimo re era stato infatti deposto da Ciro e il governo della città, risultato di una ribellione
collettiva, era democratico.
135
[1] προσβολὴν δὲ Δαρείου κατὰ τὰ συγκείμενα ποιευμένου πέριξ τὸ τεῖχος, ἐνθαῦτα δὴ πάντα
τὸν δόλον ὁ Ζώπυρος ἐξέφαινε […] πύλας ἀναπετάσας ἐσῆκε τοὺς Πέρσας ἐς τὸ τεῖχος. [2] οἳ δὲ
οὐκ εἶδον, ἔμενον ἐν τῇ ἑωυτοῦ τάξι ἕκαστος, ἐς ὃ δὴ καὶ οὗτοι ἔμαθον προδεδομένοι. Testo
greco e traduzione di Fraschetti.
136
Ζωπύρου δὲ οὐδεὶς ἀγαθοεργίην Περσέων ὑπερεβάλετο παρὰ Δαρείῳ κριτῇ. Testo greco e
traduzione di Fraschetti.

4
5
confronti: lo ricopri di onori e doni e “gli diede per tutta la vita Babilonia, con
esenzione dal tributo”137.
Il prezzo da pagare è stato, a parere di Dario, altissimo: “avrebbe preferito che Zopiro
non subisse quell'oltraggio piuttosto di impadronirsi di venti Babilonie, oltre a quella
che possedeva”138.
Ma a livello morale il marchio di tradimento colpirà la sua discendenza. Erodoto non
manca poi di segnalare (III, 160, 2) che il suo omonimo nipote Zopiro “disertò dai
Persiani passando ad Atene”139. Se il primo Zopiro era dunque stato un finto disertore
a favore dei Persiani, il suo popolo, ma un vero e proprio traditore della fiducia
accordatagli dai Babilonesi, il secondo Zopiro si rivelerà a tutti gli effetti un traditore
del proprio popolo.

137
τὴν Βαβυλῶνά οἱ ἔδωκε ἀτελέα νέμεσθαι μέχρι τῆς ἐκείνου ζόης. Testo greco e traduzione di
Fraschetti.
138
βούλοιτο ἂν Ζώπυρον εἶναι ἀπαθέα τῆς ἀεικείης μᾶλλον ἢ Βαβυλῶνάς οἱ εἴκοσι πρὸς τῇ ἐούσῃ
προσγενέσθαι. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
139
ἐς Ἀθήνας ηὐτομόλησε ἐκ Περσέων. Testo greco e traduzione di Fraschetti.

4
6
3.2 CIRO, CRESO E I MASSAGETI

Ciro si propone di assoggettare il popolo dei Massageti per i seguenti motivi (I, 204,
2): “prima di tutto la nascita e il credere di essere più che uomo; in secondo luogo la
fortuna avuta nelle guerre”140. Vorrebbe dare un'ulteriore dimostrazione della sua
potenza. Non sa ancora che questa velleità costituirà l'ultima delle sue imprese. Egli
tenta dapprima di sottomettere questo popolo con l'inganno o, meglio, con una
politica matrimoniale: poiché Tomiri, la regina di questo popolo, era rimasta vedova,
Ciro si propone di sposarla, (I, 205, 1) “dicendo di volerla avere per moglie” 141. La
vicenda nasce già all'insegna della menzogna. Tomiri infatti capisce benissimo che
Ciro “desiderava non lei, ma il regno dei Massageti” 142. Perciò lo rifiuta. Allora Ciro,
comprendendo che l'inganno era fallito, decide di conquistare militarmente il regno
(I, 205, 2). Il rifiuto di lei scatena in lui l'orgoglio e la volontà di ostentare il suo
potere. In questo momento Ciro assume tutti i connotati tipici di un re dei Medi 143:
abbandona la μῆτις a favore della forza, scatenando una guerra contro i Massageti.
Questa scelta gli costerà la vita. Mentre si accinge a costruire torri e ponti di barche
per attraversare con sicurezza il fiume Arasse, la regina Tomiri gli propone di
tralasciare questo lavoro per scegliere il territorio in cui condurre la battaglia (I, 206,
1-3): o i Massageti si sarebbero ritirati abbastanza da permettere ai Persiani di
attraversare tranquillamente il fiume; o i Persiani avrebbero invece accolto i
Massageti nel proprio territorio. Entrambe le scelte presentavano vantaggi e
svantaggi. Perciò Ciro chiede il parere dei suoi consiglieri. I Persiani più autorevoli
gli suggeriscono la seconda opzione (I, 206). Ma Creso si oppone saggiamente (I,
207, 3): “Se infatti vorremo accogliere i nemici nel nostro territorio, c'è per te questo
pericolo: vinto in battaglia, tu perdi altresì tutto il regno, poiché è naturale che se
saranno vincitori i Massageti non se ne fuggiranno indietro, ma si spingeranno contro
i tuoi domini”144. Invita quindi il sovrano a varcare il fiume muovendo guerra alla

140
πρῶτον μὲν ἡ γένεσις, τὸ δοκέειν πλέον τι εἶναι ἀνθρώπου, δευτέρα δὲ ἡ εὐτυχίη ἡ κατὰ τοὺς
πολέμους γενομένη. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
141
τῷ λόγῳ θέλων γυναῖκα ἣν ἔχειν. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
142
οὐκ αὐτήν μιν μνώμενον ἀλλὰ τὴν Μασαγετέων βασιληίην. Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni.
143
Questo è l'appellativo con cui la regina Tomiri si rivolge a lui.
144
εἰ γὰρ ἐθελήσομεν ἐσδέξασθαι τοὺς πολεμίους ἐς τὴν χώρην, ὅδε τοι ἐν αὐτῷ κίνδυνος ἔνι:
ἑσσωθεὶς μὲν προσαπολλύεις πᾶσαν τὴν ἀρχήν. δῆλα γὰρ δὴ ὅτι νικῶντες Μασσαγέται οὐ τὸ

4
7
regina (I, 207, 4). Maggiori sarebbero stati così i vantaggi di una vittoria. Inoltre Ciro
non avrebbe rischiato il biasimo per essere arretrato dinnanzi a una donna (I, 207, 5).
Creso prosegue nel discorso e propone a Ciro questo stratagemma (I, 207, 6-7):
simulare una ritirata e lasciare imbandito per i nemici un ricco banchetto con molto
cibo e soprattutto molto vino. I Massageti, ignari del lusso e degli effetti del vino, si
sarebbero addormentati diventando una facile preda per i Persiani. Ciro mette in
pratica lo stratagemma di Creso con grande successo. Uccide molti nemici e ne fa
prigionieri alcuni, tra cui il figlio della regina, Spargapise, comandante dell'esercito.
Tomiri è furibonda con Ciro poiché si è servito di un tremendo “farmaco” (così
definisce il vino) per sconfiggere suo figlio in modo subdolo e sleale (“ingannando”
δολώσας), invece che con quella “forza” che Ciro voleva esibire in questa impresa (I,
212, 2). Nonostante la sua ira, lei si dichiara disposta a far cessare le ostilità in
cambio della restituzione di Spargapise (I, 212, 3). È l'ultima concessione che la
regina è disposta a fare a Ciro. Ma il Gran Re la ignora. A fronte di un re ormai
corrotto dai lussi persiani e dalla μῆτις lidia, disposto a ogni espediente, anche il più
meschino, pur di vincere e di riaffermare con forza il proprio potere, si contrappone
la forza di un popolo primitivo e guerriero, dotato di una propria etica ferrea, che
rifiuta ogni forma di inganno e concepisce la vittoria sui nemici soltanto come
risultato di un onorevole scontro armato, ove non conta l'astuzia ma solo la forza
guerriera. È plausibile pensare che il nomade popolo dei Massageti incarni la purezza
guerriera del primitivo popolo persiano, perdutasi poi nel corso della sua
evoluzione145. È curioso osservare che, nell'ultimo capitolo delle Storie (IX, 122),
Erodoto presenti proprio Ciro come garante dell'ἀρετή persiana, quando mette in
guardia il suo popolo dal dimorare in terre molli e fertili: “dai luoghi molli son soliti
nascere uomini molli, perché non è di una stessa terra produrre frutti meravigliosi ed
uomini valorosi in guerra”146.
Nella guerra contro i Massageti questa virtù guerriera non è incarnata tanto dal
grande Ciro, quanto piuttosto da Spargapise. il quale, riacquistata la lucidità dopo la
sbornia del banchetto e la cattura, si rende conto della sua irresponsabilità e per la
ὀπίσω φεύξονται ἀλλ᾽ ἐπ᾽ ἀρχὰς τὰς σὰς ἐλῶσι. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
145
Cfr. Flory 1987, pp. 93-96.
146
φιλέειν γὰρ ἐκ τῶν μαλακῶν χώρων μαλακοὺς γίνεσθαι: οὐ γὰρ τι τῆς αὐτῆς γῆς εἶναι καρπόν τε
θωμαστὸν φύειν καὶ ἄνδρας ἀγαθοὺς τὰ πολέμια. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.

4
8
vergogna si toglie la vita. La sua morte scatenerà l'ira della madre e dei Massageti, i
quali, dotati di una forza primitiva superiore a ogni μῆτις, distruggeranno Ciro e il
suo esercito in una delle più aspre battaglie narrate da Erodoto (I, 214).
È tuttavia opportuno riflettere ancora sulla validità dello stratagemma di Creso. Se
l'inganno non ha potuto assicurare la vittoria dei Persiani e non ha salvato la vita di
Ciro, la scelta di combattere nel territorio dei Massageti ha però salvato il destino
dell'impero persiano. Dopo la loro vittoria i Massageti si sono infatti arrestati al
fiume Arasse e non hanno voluto proseguire: la battaglia infatti aveva causato gravi
perdite da entrambe le parti e Tomiri era appagata di aver vendicato suo figlio
“saziando la sete di sangue” di Ciro147 e di aver salvato il proprio regno dall'invasione
nemica. L'opinione di Flory148, che enfatizza il merito dell'idea di Creso forse non
tiene conto a sufficienza del carattere della regina Tomiri: costei non era affatto
interessata a conquistare nuovi territori, men che meno a ricercare lo scontro con i
Persiani. Ella più volte cerca di evitare l'inasprimento degli scontri e si decide a
combattere spinta soltanto da necessità prima difensive, poi di vendetta.
È il primo esempio che troviamo in Erodoto, nell'ambito delle vicende persiane, di un
inganno ben riuscito che non procura alcun vantaggio a coloro che lo mettono in atto.
E non solo: è uno dei rari casi in cui la βίη ha il sopravvento sul δόλος.

147
Cfr. I, 214, 4. Tomiri riempie un otre del sangue dei caduti e vi immerge la testa del cadavere di
Ciro.
148
Flory 1987, pp. 93-96.

4
9
3.3 CAMBISE E GLI ETIOPI

Cambise mostra un'ambizione e una volontà di potenza, paragonabile a quella del


padre Ciro, quando medita di sottomettere l'Etiopia. Come suo padre, anche Cambise
sceglie di non procedere subito con l'invasione, ma di agire gradualmente, tentando
di raccogliere informazioni (spinto anche dalla curiosità) sulla natura e le abitudini
degli Etiopi e di blandire con dei doni il loro re. Il Gran Re decide dunque di inviare
degli ambasciatori al re degli Etiopi, e per questa missione non sceglie membri del
proprio popolo, bensì gli Ittiofagi. Poiché questi abitavano le coste sud-orientali del
Mar Rosso, equidistanti dall'Etiopia e dall'ultima propaggine egiziana del dominio
persiano, rappresentavano per Cambise gli intermediari ideali.
Per mezzo di questi ambasciatori, Cambise invia al re degli Etiopi dei doni in segno
di amicizia (III, 20, 1): “una veste di porpora, una collana d'oro, dei braccialetti, un
vaso d'alabastro di unguento profumato e un orcio di vino fenicio”149.
Ciascuno di questi doni presenta almeno due gradi di significato. Tutti questi oggetti
apparentemente mostrano il livello di ricchezza e di sviluppo della civiltà persiana. In
realtà nascondono tutti un'area semantica legata al dominio e all'inganno. Non vale la
pena di soffermarsi troppo sul vino, simbolo tradizionale di una civiltà avanzata 150,
ma anche φάρμακον che annebbia la mente, fa perdere i sensi e la capacità di agire151.
Il manto di porpora, veste preziosissima, apparentemente rappresenterebbe la
scoperta fenicia del modo di tingere le vesti e la raffinatezza di chi indossa simili
abiti. Il re degli Etiopi, ricalcando il punto di vista dei Greci di epoca arcaica 152,
individua un secondo livello di significato: la tintura rappresenta un inganno in
quanto copre il vero colore del materiale impiegato153.

149
πορφύρεόν τε εἷμα καὶ χρύσεον στρεπτὸν περιαυχένιον καὶ ψέλια καὶ μύρου ἀλάβαστρον καὶ
φοινικηίου οἴνου κάδον. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
150
Il popolo Etiope, stando al racconto erodoteo, non conosceva ancora il vino. E il re degli Etiopi
resta profondamente colpito da questa scoperta, mostrandola ai suoi sudditi come l'unico elemento
in cui i Persiani si dimostravano superiori a loro (III, 22, 3-4). Per un ulteriore approfondimento
sul ruolo del vino in relazioni ai popoli descritti da Erodoto, cfr. Dorati 2000, p. 56 e sgg.
151
Cfr. supra, par. 3.2.
152
Cfr. Asheri 1990, commento, pp. 238-239.
153
Lo stesso significato viene attribuito all'unguento profumato che inganna l'olfatto altrui coprendo
il vero odore di chi se lo applica.

5
0
Ma il manto purpureo potrebbe simboleggiare un terzo e più profondo significato di
volontà di affermazione del potere di Cambise sugli Etiopi. A questa dimostrazione
di potere corrisponde l'offerta di collana e braccialetti d'oro che vengono percepiti dal
re degli Etiopi come “ceppi (πέδας)”, che “sono simbolo di schiavitù” 154. Cambise
quindi si propone al re degli Etiopi come un dominatore e gli offre le “catene dorate”
della schiavitù. È ben comprensibile la reazione ostile del re etiope. Agli Ittiofagi che
dichiarano (III, 21, 1): «Cambise, re dei Persiani, volendo diventare tuo amico e
ospite, […] ti offre questi doni»155, egli, che ha capito i reali significati dei doni,
risponde prontamente (III, 21, 2): «No, il re dei Persiani non vi ha mandato a
portarmi doni poiché tiene molto a diventare mio ospite; voi non dite la verità (οὔτε
ὑμεῖς λέγετε ἀληθέα): siete venuti a spiare il mio regno; e quell'uomo non è un uomo
giusto (οὔτε ἐκεῖνος ἀνήρ δίκαιος). Poiché, se fosse stato giusto, non avrebbe
desiderato un altro paese oltre al suo, e non renderebbe schiavi uomini dai quali non
ha ricevuto torto»156.
Il re degli Etiopi, rappresentante del “popolo utopicamente giusto” 157, sta accusando
Cambise, che ha dedicato la sua intera vita alla fanatica lotta contro la menzogna 158,
di essere un bugiardo e un uomo ingiusto. È plausibile sostenere che, dopo questa
accusa, la già fanatica difesa della verità diventerà per Cambise un'ossessione che lo
porterà alla follia. A sostegno di questa ipotesi è riconducibile il secondo messaggio
che il re degli Etiopi gli comunica attraverso gli ambasciatori (III, 21, 3): porgendo
loro un arco, dichiara che il Gran Re sarà in grado di muovere guerra contro gli
Etiopi soltanto quando avrà la forza sufficiente per tenderlo.
Quest'arma, oltre a essere un simbolo ricorrente nella mitologia greca e nella
novellistica popolare, è simbolo dell'Etiopia159. Questo simbolo però si intreccia col
154
Asheri 1990, commento, p. 239.
155
βασιλεὺς ὁ Περσέων Καμβύσης, βουλόμενος φίλος καὶ ξεῖνός τοι γενέσθα […] δῶρα ταῦτά τοι
διδοῖ. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
156
οὔτε ὁ Περσέων βασιλεὺς δῶρα ὑμέας ἔπεμψε φέροντας προτιμῶν πολλοῦ ἐμοὶ ξεῖνος γενέσθαι,
οὔτε ὑμεῖς λέγετε ἀληθέα ( ἥκετε γὰρ κατόπται τῆς ἐμῆς ἀρχῆς ), οὔτε ἐκεῖνος ἀνήρ δίκαιος. εἰ
γὰρ ἦν δίκαιος, οὔτ᾽ ἂν ἐπεθύμησε χώρης ἄλλης ἢ τῆς ἑωυτοῦ, οὔτ᾽ ἂν ἐς δουλοσύνην
ἀνθρώπους ἦγε ὑπ᾽ ὧν μηδὲν ἠδίκηται. Testo greco e traduzione di Fraschetti.
157
Asheri 1990, commento, p. 238.
158
E, per reagire a un inganno subito, muove guerra contro l'Egitto, dando avvio alla sua politica
espansionistica.
159
Cfr. VII, 69,1. Nella rassegna dei popoli che partecipano alla spedizione di Serse, gli Etiopi hanno
come arma principale l'arco.

5
1
secondo dei precetti Persiani: “tirare con l'arco”. Cambise, che deve essere, per sua
funzione regale, il primo dei Persiani, resterà confuso e turbato quando scoprirà di
non essere in grado di tendere quest'arco. E sarà ancor più adirato quando vedrà in
suo fratello Smerdi l'unico persiano in grado di farlo (III, 30, 1) 160. L'invidia lo
spingerà a rimandare il fratello in Persia dall'Egitto, allontanandolo da sé. Lo stesso
sentimento, unito alla paura di essere da lui rovesciato, lo porterà ad ucciderlo 161. Ma
la correlazione suggerita dal re degli Etiopi tra uomo giusto e uomo capace di tendere
l'arco, unita all'epilessia e alla follia provocata dal dio Api, darà origine in Cambise a
quella perversa equazione tra i due precetti persiani (“tirare con l'arco” e “dire la
verità”) che indurrà il re a commettere il crudele omicidio del figlio di Prexaspe162.
La prima follia compiuta in modo eclatante da Cambise è proprio la spedizione
militare da lui condotta contro gli Etiopi. L'impresa è gestita in modo dissennato dal
momento che l'esercito parte senza adeguato approvvigionamento alimentare (III, 25,
1-2). Percorsi i quattro quinti della marcia (III, 25, 4) “vennero loro a mancare tutti i
viveri che avevano, e dopo i viveri vennero meno anche le bestie da soma, che
furono mangiate”163. Se Cambise fosse tornato indietro si sarebbe comportato
saggiamente, rimediando all'errore iniziale. Ma il Gran Re continua ostinatamente la
marcia. I soldati cercano di sopravvivere mangiando erba, ma quando giungono in
pieno deserto neppure questo espediente risulta possibile (III, 25, 6). Perciò presi
dalla disperazione si danno al cannibalismo: “tratto a sorte uno su dieci di loro lo
divorarono”164. Di fronte a tale assurdità anche lo squilibrato Cambise percepisce il
pericolo e, (III, 25, 7) “temendo che si mangiassero l'uno con l'altro”165, decide di
abbandonare la spedizione e di tornare indietro.
La campagna etiopica rappresenta il primo e unico episodio in cui Cambise cerca di
usare contro i nemici l'inganno. Ma il re degli Etiopi se ne accorge immediatamente.
Tanto Ciro quanto suo figlio vedono fallire le loro strategie preliminari, poiché
160
Smerdi, e non Cambise, sembra qui essere in verità il primo dei Persiani. La legittimità del regno
di Cambise pare messa in discussione.
161
Cfr. supra, par. 1.3.
162
Cfr. supra, par. 1.2.
163
αὐτίκα πάντα αὐτοὺς τὰ εἶχον σιτίων ἐχόμενα ἐπελελοίπεε, μετὰ δὲ τὰ σιτία καὶ τὰ ὑποζύγια
ἐπέλιπε κατεσθιόμενα. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
164
ἐκ δεκάδος γὰρ ἕνα σφέων αὐτῶν ἀποκληρώσαντες κατέφαγον. Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni.
165
δείσας τὴν ἀλληλοφαγίην. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.

5
2
entrambi sono dotati di scarsa μῆτις e le frodi fallite ne sono prova. Mentre Ciro non
dà alcun peso a questo fallimento, desideroso piuttosto di dar prova della propria
forza militare, Cambise si dimostra decisamente offeso e decide d'impulso di guidare
l'esercito immediatamente senza la minima pianificazione (III, 25, 1).
Le conseguenze dei due differenti atteggiamenti sono piuttosto evidenti. La
ragionevolezza di Ciro e la sua disponibilità ad ascoltare i consigli altrui gli
permettono di arrivare prossimo alla vittoria contro i Massageti, mentre la sua
incapacità di ascoltare per l'ultima volta il nemico gli costerà la vita; Cambise, con la
sua caparbietà e la sua emotività, decimerà le sue truppe senza neppure combattere e
non arriverà in Etiopia. Mentre Ciro muore gloriosamente nella sua ultima strenua
battaglia, dopo aver inflitto gravi perdite ai nemici e aver assicurato la stabilità del
regno, Cambise sopravvive per dare inizio ad una serie di atti folli e crudeli, che lo
porteranno a perdere la vita e il regno.

5
3
4. INGANNI SUBITI DAI GRAN RE PERSIANI

4.1 INGANNI SUBITI DAI SOVRANI LEGITTIMI

Nei seguenti paragrafi si analizzeranno alcuni episodi che vedranno protagonisti


Cambise e Serse. Questi regnarono in modo pienamente legittimo in quanto
rispettivamente figli primogeniti l'uno di Ciro l'altro di Dario. A differenza dei loro
padri, essi non ebbero affatto bisogno di conquistare il potere con l'astuzia e con
l'inganno, perciò non svilupparono mai queste abilità. Totalmente privi di μῆτις,
anche a livello difensivo, saranno vulnerabili ai vari inganni e alle varie beffe ordite
da nemici stranieri e personaggi loro subordinati.

4.1.1 CAMBISE INGANNATO DAL FARAONE AMASI

Il figlio di Ciro si trova a confrontarsi con un sovrano diametralmente opposto a lui


quanto a carattere e vita vissuta. Mentre Cambise ha ereditato tranquillamente il
regno di suo padre, Amasi è un usurpatore. Tutte le informazioni inerenti al suo
carattere e alle sue imprese sono oggetto dell'ultima parte del secondo libro delle
Storie (II, 162-182): mandato dal legittimo faraone Apries, con cui aveva uno stretto
rapporto (forse era suo cognato), a sedare una rivolta, viene incoronato re dai ribelli.
Nel guidare l'insurrezione riesce, con l'astuzia e un po' di fortuna, a far passare dalla
propria parte l'intero popolo egiziano, al punto che Apries sarà difeso unicamente da
un esercito di mercenari. Sconfitto il faraone e ottenuto il regno, dedicherà la sua
intera vita a conquistare il favore dei suoi sudditi, dimostrando scaltrezza, sagacia,
prontezza di spirito, senso dell'ironia, gusto per lo scherzo, ma anche generosità,
simpatia e benevolenza nei confronti dei sudditi e degli ospiti stranieri (in particolare
Greci), e infine un profondo rispetto per il culto di ogni genere di divinità, a cui
dedicherà un gran numero di statue e templi. Ad un sovrano totalmente privo di
μῆτις, quale è il Gran Re Cambise, si contrappone dunque un personaggio che ha
coltivato la μῆτις fin da quando era un privato cittadino, esercitandola in una serie di
scaltre imprese che andavano dagli scherzi più innocenti fino ai veri e propri furti.

5
4
L'occasione di scontro tra questi due sovrani viene offerta dal risentimento di un
medico egiziano costretto dal faraone ad andare in Persia al servizio di Cambise.
(III, 1, 2) “Lamentandosi di questo, costui incitava con i suoi consigli Cambise a
chiedere in sposa ad Amasi la figlia, perché questi o dandola ne provasse dolore, o
non dandola si rendesse odioso a Cambise”166.
Il Gran Re si lascia subito suggestionare dalle parole del medico egizio e non esita a
mandare la richiesta al faraone. Amasi è timoroso della potenza persiana, ma non
vuole concedere sua figlia al re persiano “poiché sapeva bene che Cambise non come
moglie legittima voleva averla, ma come concubina” 167. Era infatti consuetudine che
le mogli legittime del re di Persia venissero scelte tra le donne dell'aristocrazia
persiana. D'altro canto è storicamente accertato che in Egitto i faraoni erano stati
sempre riluttanti a dare in sposa le proprie figlie, dal momento che consideravano la
propria stirpe di origine divina e ritenevano disonorevole contaminare così il loro
sangue reale168.
Decide dunque di ingannare il Gran Re mandandogli in sposa, al posto di sua figlia,
la figlia del precedente faraone Apries, da lui stesso spodestato e lasciato uccidere
per mano degli Egiziani (II, 169, 3). Cambise, che non aveva mai visto prima la figlia
di Amasi, incontrando la bella figlia di Apries riccamente ornata, non si rende conto
dello scambio di persona. Sarà la stessa fanciulla a svelargli il tranello. Fidandosi
ciecamente delle parole di lei, Cambise, alquanto offeso, decide di muovere guerra
contro l'Egitto. Nella sua prima campagna militare Cambise si comporta
sorprendentemente in modo assennato: a differenza della campagna etiope (III, 25),
si preoccupa della strada da percorrere e del rifornimento idrico. Quando la
pianificazione diventa troppo difficile (l'esercito avrebbe dovuto infatti attraversare
una zona priva di acqua), in soccorso di Cambise interviene miracolosamente Fanete
(III, 4), un importante mercenario di Amasi, che era al corrente di tutti i piani del
faraone. Risentito contro Amasi, Fanete fugge dall'Egitto e, presentatosi a Cambise,

166
ταῦτα δὴ ἐπιμεμφόμενος ὁ Αἰγύπτιος ἐνῆγε τῇ συμβουλῇ κελεύων αἰτέειν τὸν Καμβύσεα Ἄμασιν
θυγατέρα, ἵνα ἢ δοὺς ἀνιῷτο ἢ μὴ δοὺς Καμβύσῃ ἀπέχθοιτο. Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni.
167
εὖ γὰρ ἠπίστατο ὅτι οὐκ ὡς γυναῖκά μιν ἔμελλε Καμβύσης ἕξειν ἀλλ᾽ ὡς παλλακήν. Testo greco
e traduzione di Izzo D'Accinni.
168
Non disdegnavano invece la possibilità di avere per concubine delle principesse straniere. Sotto
questo aspetto non differivano affatto dai sovrani persiani.

5
5
(III, 4, 3) “gli espose tutti gli affari di Amasi, e gli spiegò anche la strada da seguire,
consigliandogli di inviare messi presso il re degli Arabi, per chiedere di concedergli
un sicuro passaggio”169. Saranno proprio gli Arabi a provvedere al rifornimento idrico
dell'esercito persiano. I consigli di Fanete si rivelano determinanti per la vittoria di
Cambise. Fanete pagherà caro il tradimento. I suoi ex compagni mercenari infatti si
vendicheranno sgozzando i suoi figli e bevendo il loro sangue (III, 2-3).
Cambise giunge in Egitto, ma non trova il faraone Amasi, poiché questi era già
morto, lasciando il regno al figlio Psammenito (III, 10). Tuttavia, secondo una
versione riportata dagli Egiziani a cui Erodoto non sembra fare troppo affidamento,
Amasi sarebbe riuscito a imbrogliare Cambise anche da morto (III, 16, 6-7). Avendo
infatti saputo da un oracolo che il suo corpo sarebbe stato oltraggiato e bruciato 170,
Amasi avrebbe fatto seppellire il cadavere di un altro uomo nella parte consueta della
tomba, ordinando poi al figlio di collocare il suo vero corpo nella parte più interna e
nascosta del sepolcro. Cambise dunque avrebbe oltraggiato un corpo insignificante.

169
ἐπελθὼν φράζει μὲν καὶ τἄλλα τὰ Ἀμάσιος πρήγματα, ἐξηγέεται δὲ καὶ τὴν ἔλασιν, ὧδε
παραινέων, πέμψαντα παρὰ τὸν Ἀραβίων βασιλέα δέεσθαι τὴν διέξοδόν οἱ ἀσφαλέα παρασχεῖν.
Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
170
È il primo degli atti empi compiuti da Cambise attestati da Erodoto.

5
6
4.1.2 SERSE E L'INGANNO

Serse è l'ultimo dei Gran Re persiani che Erodoto presenta quale protagonista di
grandi imprese, incapace di ingannare con sufficiente abilità tanto i nemici quanto i
suoi stessi alleati. Narra lo storico (VIII, 24-25) che, al termine della battaglia delle
Termopili, nella quale Serse si trovò a fronteggiare la strenua resistenza greca, la
differenza numerica tra i cadaveri dei Greci (4000) e quelli dei Persiani (20000) si
rivelò enorme. Con un goffo stratagemma Serse cercò di ingannare gli alleati (VIII,
24, 1): dei ventimila morti “ne lasciò da parte circa mille; scavate delle fosse, vi
seppellì i restanti, vi ammucchiò sopra terra e li coprì di foglie, perché non fossero
visti dalla flotta”171. Così facendo il Gran Re non si limitò a ridurre notevolmente il
numero apparente di caduti persiani, ma invertì addirittura le proporzioni tra questi e
quelli greci, esponendosi al ridicolo davanti agli alleati (VIII, 25, 2): “Non sfuggì
loro tuttavia ciò che Serse aveva fatto dei suoi cadaveri; e certo era cosa da ridere;
dei persiani si vedevano giacere mille cadaveri, mentre i nemici stavano ammassati
tutti insieme nello stesso luogo, in numero di quattromila”172.
Con questo maldestro tentativo di occultare il reale numero dei cadaveri persiani,
Serse utilizza in modo smisurato i mezzi in suo potere per ottenere un misero
risultato che lo scredita presso gli alleati.
Erodoto narra altre vicende in cui Serse viene rappresentato non più come artefice,
bensì come vittima di inganni, che saranno oggetto di trattazione nei due successivi
paragrafi.

171
ὑπολιπόμενος τούτων ὡς χιλίους, τοὺς λοιποὺς τάφρους ὀρυξάμενος ἔθαψε, φυλλάδα τε ἐπιβαλὼν
καὶ γῆν ἐπαμησάμενος, ἵνα μὴ ὀφθείησαν ὑπὸ τοῦ ναυτικοῦ στρατοῦ. Testo greco e traduzione di
Masaracchia.
172
οὐ μὲν οὐδ᾽ ἐλάνθανε τοὺς διαβεβηκότας Ξέρξης ταῦτα πρήξας περὶ τοὺς νεκροὺς τοὺς ἑωυτοῦ:
καὶ γὰρ δὴ καὶ γελοῖον ἦν: τῶν μὲν χίλιοι ἐφαίνοντο νεκροὶ κείμενοι, οἳ δὲ πάντες ἐκέατο ἁλέες
συγκεκομισμένοι ἐς τὠυτὸ χωρίον, τέσσερες χιλιάδες. Testo e traduzione greca di Masaracchia.
Mentre il rapporto numerico dei cadaveri era di 1:5 a favore dei Greci, Serse lo manipola radicalmente
(1:4) a favore dai Persiani.

5
7
4.1.3 SERSE E TEMISTOCLE

Erodoto descrive Temistocle come un personaggio intelligente, spregiudicato e


avido173. Erodoto evidenzia come i suoi astuti stratagemmi siano finalizzati
soprattutto alla ricerca del proprio vantaggio personale, che talvolta coincide con
quello di Atene, la sua città. La sua figura assume importanza in relazione alla
seconda guerra greco-persiana e alla battaglia di Salamina in particolare. In questo
ambito è ascrivibile l'inganno da lui perpetrato nei confronti di Serse. Mentre la città
di Atene veniva conquistata e saccheggiata dall'esercito persiano, gli abitanti erano
stati fatti evacuare sulle navi. I soldati greci che si trovavano a Salamina erano decisi
ad abbandonare l'isola per combattere la battaglia decisiva presso l'Istmo di Corinto
(VIII, 56). Tuttavia Mnesifilo, che Erodoto (VIII, 57, 1) definisce semplicemente “un
ateniese” (ἀνὴρ Ἀθηναῖος), ma che secondo Plutarco (Vita di Temistocle, 2, 4)
sarebbe stato il maestro di Temistocle in politica, suggerisce a Temistocle di
continuare a combattere a Salamina (VIII, 57). Facendo proprio questo consiglio
Temistocle, nonostante l'opposizione forte del comandante degli alleati Corinzi
Adimanto (preoccupato evidentemente di proteggere più da vicino i suoi
concittadini), riesce a convincere lo spartano Euribiade174, comandante supremo della
flotta, a mantenere le navi a Salamina. I marinai presenti non sono tuttavia
unanimemente favorevoli alla decisione di Euribiade. Durante un'assemblea
convocata per discutere della questione si formano due fazioni (VIII, 74, 2): gli uni
sostenevano che “bisognava ripiegare sul Peloponneso e rischiare per esso, e non
rimanere a combattere davanti a una terra già occupata dal nemico”, gli altri
(“ateniesi, gli egineti e i megaresi”) sostenevano invece che “bisognava rimanere e
battersi”175. In questa situazione di pericoloso stallo, un “demone maligno”(κακός
δαίμων) agì per la rovina dei Persiani. Così Eschilo nei “Persiani” (v. 354) spiega,
173
Per uno studio più approfondito circa la figura di Temistocle in Erodoto, cfr. W. Blösel, The
Herodotean picture of Themistocles: a mirror of fifth-century Athens, in N. Luraghi (ed. by), The
Historian's Craft in the Age of Herodotus, Oxford University Press, Oxford, 2001; pp. 179-197.
174
Era già riuscito a persuaderlo in privato (VIII, 58), ma per essere più convincente pubblicamente
lo costrinse con la minaccia di un eventuale abbandono della battaglia da parte degli Ateniesi
(VIII, 62), il che avrebbe comportato una sconfitta sicura per tutti i Greci (VIII, 63).
175
οἳ μὲν ὡς ἐς τὴν Πελοπόννησον χρεὸν εἴη ἀποπλέειν καὶ περὶ ἐκείνης κινδυνεύειν μηδὲ πρὸ
χώρης δοριαλώτου μένοντας μάχεσθαι, Ἀθηναῖοι δὲ καὶ Αἰγινῆται καὶ Μεγαρέες αὐτοῦ μένοντας
ἀμύνεσθαι. Testo greco e traduzione di Masaracchia.

5
8
attraverso le parole del messaggero, l'origine “diabolica” del subdolo inganno
escogitato da Temistocle. Il comandante ateniese manda (VIII, 75, 1) uno schiavo
fidatissimo, Sicinno, il pedagogo dei suoi figli, come messaggero “presso i
comandanti dei barbari”176. A differenza dello scudiero Ebare, servus callidus artefice
dell'inganno del cavallo di Dario177, Sicinno non è altro che uno strumento, la longa
manus dell'astuzia di Temistocle178. Erodoto gli fa pronunciare un messaggio (VIII,
75, 2-3) costruito con grande accuratezza e ambiguità retorica che permette di
alternare e mischiare elementi veritieri ed elementi menzogneri. Esordisce dicendo di
aver inviato il messaggio “di nascosto dagli altri Greci” e questo è vero: Temistocle
non aveva infatti comunicato a nessuno di loro il proprio piano 179. Ma nel motivare
tale segretezza mente, sostenendo di agire cosi in quanto “parteggia per il re e
preferisce che abbiate sopravvento voi piuttosto che i suoi”180. Continua a mentire
sostenendo che “i Greci, in preda al terrore meditano la fuga” 181. Queste menzogne
costituiscono le premesse per l'ingannevole suggerimento di Temistocle: i Persiani
dovrebbero impedire la fuga dei Greci. Temistocle sembra poi interrompere il flusso
delle menzogne per inserire un dato di fatto: i Greci “non sono d'accordo tra loro”182.
Ma deforma completamente la natura di questa discordia presentandola come una
lotta intestina tra “quelli che vi [= ai Persiani] sono favorevoli e quelli che vi sono

176
πρὸς τοὺς στρατηγοὺς τῶν βαρβάρων. Con questa generica denominazione Erodoto può voler
indicare i comandanti di tutti gli eserciti, persiani e popoli alleati non greci, sottomessi alla guida
di Serse. Secondo Eschilo, Sicinno avrebbe invece conferito con lo stesso Serse. Il Gran Re è in
ogni caso il destinatario ultimo del messaggio e il bersaglio dell'inganno.
177
Cfr. supra, paragrafo 2.5.
178
Nelle vicende narrate nelle Storie e soprattutto in quelle relative a Temistocle, il messaggero è
sempre uno schiavo. Va tuttavia osservato che Temistocle ricompenserà molto generosamente
Sicinno rendendolo ricco e libero cittadino di Tespie.
179
Solo successivamente (VIII, 80) Temistocle rivelerà il proprio piano all'antico rivale Aristide.
180
τυγχάνει γὰρ φρονέων τὰ βασιλέος καὶ βουλόμενος μᾶλλον τὰ ὑμέτερα κατύπερθε γίνεσθαι ἢ τὰ
τῶν Ἑλλήνων πρήγματα. Testo greco e traduzione di Masaracchia. Questa menzogna gli sarà utile
in futuro: cfr. VIII, 109-110.
181
οἱ Ἕλληνες δρησμὸν βουλεύονται καταρρωδηκότες. Testo greco e traduzione di Masaracchia.
Molti Greci erano fuggiti via nave in preda alla paura dopo che l'Acropoli di Atene era stata presa
dai Persiani (VIII, 56). Tuttavia i Greci rimasti erano ben decisi a combattere, semplicemente molti
di loro ritenevano più opportuno spostare il luogo dello scontro nell'Istmo di Corinto. Per un
ulteriore approfondimento storico e letterario cfr. G. Masaracchia, La battaglia di Salamina in
Erodoto, in «Helikon», 9-10 (1969-1970), pp. 68-106.
182
οὔτε γὰρ ἀλλήλοισι ὁμοφρονέουσι. Testo greco e traduzione di Masaracchia.

5
9
contrari”183. E questo li renderebbe incapaci di contrastare adeguatamente l'esercito
persiano184.
Analizzando la costruzione del messaggio, è possibile rilevare una struttura ben
definita in cui il suggerimento ingannevole (SI) parrebbe incastonato tra due moduli
di tre elementi ciascuno, di cui un elemento è veritiero (V) e due sono falsi (F).
Lo schema risulterebbe dunque questo: V-F-F – SI – V-F-F; una simmetrica
costruzione del discorso riconducibile alle tecniche oratorie ateniesi del V secolo185.
Lo stratagemma funziona efficacemente e Temistocle ottiene un doppio risultato,
piegando alla sua volontà tanto i Persiani quanto i Greci. I primi si convincono ad
attaccare e a condurre la battaglia in un'area molto stretta e quindi svantaggiosa per le
loro navi. I secondi si vedono costretti dalle necessità contingenti a ricomporre il
disaccordo per reagire all'attacco, accettando i piani dello stratega ateniese. Serse
viene pesantemente sconfitto e Erodoto attribuisce il merito della vittoria agli
Ateniesi e agli Egineti, ritenuti più abili, disciplinati e coordinati dei barbari (VIII,
86). È altresì importante considerare le forti motivazioni psicologiche alla base di
questa vittoria: la volontà di dirottare a tutti i costi la battaglia in un territorio che
conoscevano molto bene per difendere strenuamente la loro patria.
Serse si volge in fuga, lasciando a Mardonio (su sua stessa proposta; cfr. VIII, 100) il
compito di proseguire la battaglia via terra. Temistocle propone di inseguire i
Persiani e di bloccare loro la fuga tagliando il ponte di barche sull'Ellesponto (VIII,
108, 2). Ma il comandante supremo Euribiade si oppone, sostenendo che il nemico
bloccato, spinto dalla disperazione, avrebbe potuto causare danni terribili ai Greci, e
propone di lasciare fuggire i Persiani per poi attaccarli direttamente nel loro territorio
al volgere della primavera (VIII, 108, 3). Temistocle, si appropria del parere di
Euribiade e inganna contemporaneamente gli Ateniesi e il Gran Re Serse. Infatti da
un lato invita i suoi concittadini (VIII, 109) a ringraziare gli dei per la vittoria e a
riprendere le loro faccende quotidiane, rimandando l'attacco ai Persiani. Ma di

183
τοὺς τὰ ὑμέτερα φρονέοντας καὶ τοὺς μή. Testo greco e traduzione di Masaracchia.
184
οὔτε ἀντιστήσονται ὑμῖν. Testo greco e traduzione di Masaracchia.
185
Erodoto era strettamente legato a Pericle (cfr. supra Introduzione), considerato uno dei più grandi
oratori ateniesi del V secolo; inoltre le sue concezioni politiche e filosofiche sono influenzate dal
pensiero dei Sofisti (per questo si veda: K. A. Raaflaub, Philosophy, Science, Politics: Herodotus
and the Intellectual Trends of His Time, in E. J. Bakker, I. J. F. De Jong, H. Van Wees, Brill's
Companion to Herodotus, Brill, Leiden, 2002; cap. 7, pp. 149-186).

6
0
nascosto invia nuovamente Sicinno, insieme ad altri uomini fidatissimi, presso il
Gran Re Serse in persona con questo messaggio (VIII, 110, 3): “Temistocle Ateniese
con l'intenzione di rendere un servigio a te ha trattenuto i Greci che volevano
inseguire le navi e tagliare i ponti all'Ellesponto. E ora vattene in tranquillità” 186.
Erodoto spiega le ragioni di questo atteggiamento ambivalente (VIII, 109, 5): “Parlò
così con l'intenzione di assicurarsi la benevolenza del Persiano, perché, se mai
dovesse capitargli da parte degli Ateniesi qualche disgrazia, avesse un luogo dove
rifugiarsi: il che realmente accadde”187. Con queste parole Erodoto anticipa quanto
verrà narrato successivamente da Tucidide (La Guerra del Peloponneso, I, 137-138),
ovvero che Temistocle, in esilio e in fuga da Atene, accusato di tradimento, troverà
rifugio presso Artaserse figlio di Serse, proprio grazie a questa “strategia preventiva”.
Erodoto non riporta alcuna reazione di Serse a quest'ultima ambasciata. Non è
dunque possibile affermare con assoluta certezza se Serse abbia dato nuovamente
credito alle parole di Temistocle. Sulla base di VIII, 97, si può supporre che Serse
fosse troppo occupato a fuggire e sufficientemente contento di avere una via di
fuga188, per badare alle sue reali intenzioni. Artaserse, che si troverà ad accogliere
Temistocle, è ignaro dei particolari della vicenda, ma le accuse di medismo mosse
dagli Ateniesi nei confronti del loro ex stratega saranno per il Gran Re una prova
sufficiente della “lealtà” di Temistocle alla Persia.

186
Θεμιστοκλέης ὁ Ἀθηναῖος, σοὶ βουλόμενος ὑπουργέειν, ἔσχε τοὺς Ἕλληνας τὰς νέας
βουλομένους διώκειν καὶ τὰς ἐν Ἑλλησπόντῳ γεφύρας λύειν. καὶ νῦν κατ᾽ ἡσυχίην πολλὴν
κομίζεο. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
187
ταῦτα ἔλεγε ἀποθήκην μέλλων ποιήσασθαι ἐς τὸν Πέρσην, ἵνα ἢν ἄρα τί μιν καταλαμβάνῃ πρὸς
Ἀθηναίων πάθος ἔχῃ ἀποστροφήν: τά περ ὦν καὶ ἐγένετο. Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni. Per un ulteriore approfondimento dell'episodio cfr. M. P. Milton, “The second message
to Xerxes and Themistocles' view of strategy, in «PCA» 1983 XVII, 22-52.
188
Erodoto tratteggia la preoccupazione di Serse in VIII, 97: il Gran Re è cosi timoroso di vedere
tagliati i ponti di barche che medita addirittura di simulare la preparazione al prolungamento del
combattimento avviando la costruzione di un porto rivolto verso Salamina, ma comunicando allo
stesso tempo in patria la notizia della propria sconfitta.

6
1
4.1.4 SERSE E IL LUOGOTENENTE ARTAUCTE

Nella parte conclusiva delle Storie Erodoto narra dell'ultimo inganno subito da Serse,
ad opera del suo luogotenente persiano Artaucte, governatore di Sesto e del
Chersoneso tracico. Erodoto lo definisce “feroce (δεινός) ed empio (ἀτάσθαλος)” e
subito dopo aggiunge “che aveva ingannato (ἐξηπάτησε) persino il re”189. L'utilizzo
da parte di Erodoto di questi due termini (“empio” e “ingannare”) in riferimento ad
un Persiano, certamente richiama all'attenzione il tema della verità concepita dai
Persiani con una forte connotazione etica. Se la verità è considerata sacra, mentire al
più alto rappresentante del proprio popolo è un atto decisamente sacrilego. L'empietà
di Artaucte è scatenata qui dalla sua avidità. Egli vorrebbe infatti impadronirsi della
tomba del mitico eroe Protesilao, primo greco a essere ucciso nella guerra di Troia
(Iliade II, 701), divenuto poi oggetto di culto. Tale sepolcro era delimitato da un
recinto sacro ove erano custodite delle immense ricchezze, frutto di numerose offerte
votive. Per la brama di entrarne in possesso, Artaucte compie un doppio atto
sacrilego che Erodoto così stigmatizza: “saccheggiò (ἐσύλησε)” la tomba e “ingannò
(διεβάλετο)190 Serse” per ottenere la sua autorizzazione al saccheggio. Nel rivolgersi
a Serse, cerca di giocare sul significato delle parole e muovendosi con estrema
astuzia verbale riesce a mentire dicendo la verità (IX, 116, 3): “Signore, c'è qui la
casa di un greco, che ha combattuto contro la tua terra e morendo vi ha trovato
punizione”191. Emerge subito un'incongruenza: Artaucte tratteggia l'eroe Protesilao
come se questi avesse mosso guerra all'impero persiano. In realtà, come Erodoto

189
ὃς καὶ βασιλέα … ἐξηπάτησε. Testo greco e traduzione di Massaracchia. Il verbo
è chiaramente legato al termine ἀπάτη, utilizzato da Erodoto e già dal linguaggio
epico per designare l'inganno esercitato per mezzo della parola. Cfr. Dorati 1993,
p. 80, n. 23; Corti ritiene che questo termine sia il più specifico per indicare
l'inganno: cfr. Corti 2003, p. 112, n. 29. Il verbo risulta dunque particolarmente
appropriato per segnalare l'inganno di Antaucte che si esprime attraverso la
menzogna, o, meglio, attraverso l'ambiguità delle parole.
190
Ancora una volta viene utilizzato un verbo tipico del lessico erodoteo dell'inganno: διαβάλλω è un
termine ancora più utilizzato di ἀπάτη e del relativo verbo ἐξαπατέω (cfr. Corti 2003, p. 112, n.
29). In questa sinonimica variatio lo storico greco vuole evidenziare la colpa del governatore
persiano nei confronti del suo signore, ponendola sullo stesso piano di empietà della profanazione.
191
δέσποτα, ἔστι οἶκος ἀνδρὸς Ἕλληνος ἐνθαῦτα, ὃς ἐπὶ γῆν σὴν στρατευσάμενος
δίκης κυρήσας ἀπέθανε. Testo greco e traduzione di Massaracchia.
6
2
spiega subito dopo, il subdolo luogotenente sta “alludendo al fatto che i persiani
ritengono che tutta l'Asia sia di proprietà loro e di chi di volta in volta è loro
sovrano”192. Così Serse, “che non sospettò nulla di quanto egli aveva in mente” 193, gli
concede facilmente la tomba. Artaucte infatti, lungi dal riferire dell'esistenza del
tesoro qui contenuto, lascia intendere a Serse di voler distruggere la “casa (οἶκος)194”,
per dare una punizione esemplare ai Greci “affinché tutti imparino a non muovere
guerra alla tua terra”195. L'inganno si risolve qui unicamente a vantaggio di Artaucte,
che trafuga le ricchezze, ma non le consegna a Serse. Artaucte inoltre, coerente con il
suo carattere “feroce ed empio”, s'adopra per la profanazione del luogo: “seminò e
diede a pascolo il terreno sacro (τέμενος) e, ogni volta che si recava a Eleunte, si
univa a donne nel santuario”196. Per tali atti sacrileghi quindi, e non per l'inganno
arrecato a Serse, verrà punito. Gli Ateniesi, sotto il comando di Santippo, padre di
Pericle, faranno scontare al governatore persiano una pena crudele (IX, 120, 4):
“Trascinatolo sul promontorio dove Serse aveva aggiogato lo stretto […] lo appesero
dopo averlo inchiodato su una tavola197, e lapidarono il figlio sotto i suoi occhi”198.
Erodoto conclude la narrazione dell'episodio senza darci notizia di un'eventuale
reazione da parte di Serse all'inganno di Artaucte: dunque non ci dice se Serse fosse
rimasto totalmente ignaro della vicenda o se, pur essendone informato, fosse
semplicemente rimasto indifferente.

192
νοέων τοιάδεּ τὴν Ἀσίην πᾶσαν νομίζουσι ἑωυτῶν εἶναι Πέρσαι καὶ τοῦ αἰεὶ βασιλεύοντος. Testo
greco e traduzione di Masaracchia.
193
οὐδὲν ὑποτοπηθέντα τῶν ἐκεῖνος ἐφρόνεε. Testo greco e traduzione di
Masaracchia. Una costante nel comportamento del Serse erodoteo è l'incapacità di
sospettare, anche solo minimamente, che qualcuno possa ingannarlo.
194
Gioca sulla metafora della tomba come “casa del morto”.
195
ἵνα καί τις μάθῃ ἐπὶ γῆν τὴν σὴν μὴ στρατεύεσθαι. Testo greco e traduzione di
Masaracchia.
196
καὶ τὸ τέμενος ἔσπειρε καὶ ἐνέμετο, αὐτός τε ὅκως ἀπίκοιτο ἐς Ἐλαιοῦντα ἐν τῷ
ἀδύτῳ γυναιξὶ ἐμίσγετο. Testo greco e traduzione di Masaracchia.
197
Cfr. VII, 33: “lo inchiodarono vivo a un palo”(ζῶντα πρὸς σανίδα διεπασσάλευσαν). Testo greco
e traduzione di Izzo D'Accinni.
198
ἀπαγαγόντες δὲ αὐτὸν ἐς τὴν Ξέρξης ἔζευξε τὸν πόρον […] πρὸς σανίδας
προσπασσαλεύσαντες ἀνεκρέμασαν: τὸν δὲ παῖδα ἐν ὀφθαλμοῖσι τοῦ Ἀρταΰκτεω
κατέλευσαν. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
6
3
4.2 DARIO: L' INGANNATORE INGANNATO

Dario, nel racconto erodoteo, si è servito della μῆτις propria (la persuasione e la
pianificazione astuta) e altrui (la sapienza pratica) per conquistare il potere regale.
Ma, conseguito il suo obiettivo primario, egli ha assunto un altro ruolo: da suddito è
diventato re. Dal momento che l'inganno non è legato al personaggio che lo mette in
atto199, ma al ruolo che questo ricopre nella vicenda, nel momento in cui cambia il
suo ruolo, cambia anche il suo rapporto con l'inganno. Se, come suddito e
aristocratico persiano in cerca di potere, Dario era dotato di grande astuzia, divenuto
Gran Re è destinato a interpretare il ruolo tipico dei personaggi del suo rango:
Cambise, Serse, ma anche Astiage, re dei Medi. Da ingannatore diventa ingannato. Il
τόπος dei potenti, dotati di forza e privi di μῆτις, a cui succedono altri più astuti, che
una volta al potere “cambiano pelle” e assumono le stesse caratteristiche dei loro
predecessori, risale alla stessa Teogonia di Esiodo200.
Crono subentra al padre Urano, Zeus succede al padre Crono e la μῆτις passa da una
divinità all'altra. Zeus però riesce a ingannare Mῆτις in persona e, ingoiandola, a dare
stabilità al suo regno e quindi a tutto l'ordine cosmico.
I sovrani medi e persiani, che Erodoto in varie occasioni accomuna a Zeus, non
godono però della stessa fortuna del dio. Dario in particolare è “una sorta di Zeus
distratto”201: infatti, contrariamente al modello ideale di monarca, dotato di una
“μῆτις difensiva” che tuteli gli interessi suoi e del suo popolo dai nemici interni ed
esterni202, Dario si rivela completamente privo di questa capacità e ciò lo rende
estremamente vulnerabile alle insidie che gli vengono di volta in volta tese. Tuttavia
Dario, a differenza di Cambise, Serse e Astiage, è un sovrano usurpatore e questa
caratteristica lo accomuna a Ciro. Sebbene non sia dotato della stessa astuzia del

199
“L'inganno, nelle Storie, è impersonale: non appare legato in nessun modo ai personaggi che di
volta in volta lo mettono in atto […] Quando si tratta di compiere un inganno, il personaggio che è
chiamato a ricoprire il ruolo dell'ingannatore perde la sua individualità e si adegua a un modello più
generale e impersonale” [Dorati 1993, p. 76].
200
Cfr. Detienne/Vernant 1984, pp. 41-94.
201
Nenci 1994, commento, p. 315. Anche Zeus ha un attimo di distrazione e Tifone se ne approfitta
per accedere alla dimora olimpica minacciando un ritorno al caos primordiale. Zeus però apre gli
occhi in tempo e scongiura il pericolo.
202
Cfr. il celebre discorso che Erodoto fa pronunciare a Dario a favore della monarchia (vedi in
particolare III, 82, 2).

6
4
primo Gran Re di Persia, tuttavia risulta simile a lui per l'accorta capacità di
circondarsi di persone fidate e intelligenti, che sappiano ingannare con l'astuzia i
nemici (come Zopiro203), o intuire il pericolo laddove lui si rivela cieco (come
Megabazo204), o sopprimerlo rapidamente (come Artaferne con Istieo di Mileto205).
Per quanto protetto nelle situazioni più gravi, egli sarà, come Serse, bersaglio di beffe
(come nell'episodio relativo alla tomba della regina Nitocris206), o di inganni volti,
più che a danneggiarlo, a procurare vantaggi ai loro stessi autori (come avviene per i
Peoni207).

203
III, 153-160.
204
V, 23.
205
VI, 30.
206
I, 187.
207
V, 12-14.

6
5
4.2.1 DARIO E ISTIEO DI MILETO

Dario, ottenuto il potere, perde del tutto la sua μῆτις. Per compensare questa carenza,
seguendo il saggio esempio di Ciro, provvede a circondarsi dei migliori consiglieri.
Tra questi egli sceglie come uomo più fidato Megabazo, di cui il Gran Re aveva una
grande stima al punto da dichiarare (IV, 143, 2) “che avrebbe voluto possedere un tal
numero di Megabazi [quanti sono i chicchi nella melagrana208] piuttosto che avere in
suo possesso la Grecia”209. Gli affida perciò il comando in Tracia con un esercito di
80.000 soldati. La sua intelligenza militare e la sua μῆτις si riveleranno indispensabili
a Dario per condurre diverse operazioni militari in Europa e in Asia minore. Il re si
impegna inoltre a premiare tutti i Persiani e gli stranieri che sappiano offrirgli buoni
consigli e che si dimostrino particolarmente leali nei suoi confronti. Tra questi
emerge la figura di Istieo, tiranno di Mileto. Questi aveva dimostrato una grande
fedeltà a Dario quando, in seguito ad una spedizione miseramente fallita contro gli
Sciti, tentava di ritirarsi. Ma gli Sciti precedevano, con la loro veloce cavalleria, la
fanteria di Dario, e esortavano gli Ioni a tagliare il ponte che stavano sorvegliando,
per bloccare al re persiano la strada del ritorno. In questo modo Dario e il suo
esercito, isolati in territorio nemico, sarebbero stati annientati completamente dagli
Sciti e l'impero persiano sarebbe crollato di conseguenza. Milziade, futuro eroe di
Maratona, allora tiranno del Chersoneso, proponeva (IV, 137, 1) “di dare ascolto agli
Sciti e di liberere la Ionia”210. Ma la sua proposta, fino ad allora la più convincente,
era destinata a essere sopraffatta da quella diametralmente opposta di Istieo, tiranno
di Mileto (IV, 137, 2): “ora grazie a Dario ciascuno era signore di una città” 211 ma,
una volta abbattuta la potenza persiana, “né egli stesso sarebbe stato in grado di
dominare sui Milesi né alcun altro i suoi sudditi: ciascuna delle città avrebbe infatti
deciso di essere retta da un governo democratico piuttosto che da un tiranno” 212.
208
οἱ τοσοῦτο πλῆθος γενέσθαι ὅσοι ἐν τῇ ῥοιῇ κόκκοι. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
209
Μεγαβάζους ἄν οἱ τοσούτους ἀριθμὸν γενέσθαι βούλεσθαι μᾶλλον ἢ τὴν Ἑλλάδα ὑπήκοον. Testo
greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
210
πείθεσθαι Σκύθῃσι καὶ ἐλευθεροῦν Ἰωνίην. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
211
νῦν μὲν διὰ Δαρεῖον ἕκαστος αὐτῶν τυραννεύει πόλιος. Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni.
212
οὔτε αὐτὸς Μιλησίων οἷος τε ἔσεσθαι ἄρχειν οὔτε ἄλλον οὐδένα οὐδαμῶν: βουλήσεσθαι γὰρ

6
6
Spaventati da questa prospettiva, tutti i tiranni della Ionia optarono per il parere di
Istieo e finsero di tagliare il ponte quel tanto che bastava per ingannare gli Sciti.
Inoltre quando Dario giunse sulla riva dell'Istro, Istieo di sua iniziativa (IV, 141)
“fornì tutte le navi per traghettare l'esercito e ristabilì il ponte” 213. Col suo intervento
dunque Istieo di Mileto aveva salvato Dario e l'impero persiano. In segno di
riconoscenza, il Gran Re decide di concedergli qualunque cosa lui desiderasse. Egli
chiede e ottiene di poter fondare una città in una regione della Tracia di nome
Mircino, nella stessa zona ricca di argento e legname dove più tardi i Greci
fonderanno la città di Anfipoli. Ma l'iniziativa di Istieo di volere anche fortificare
(τειχέω) la città, mette in allarme Megabazo. Questi infatti teme che Istieo organizzi
una rivolta ponendo come base proprio questa città. La sua paura si fonda
sostanzialmente su di un pregiudizio: in quanto Greco214, Istieo non può che essere
δεινός215 e σοφός216 (V, 23, 2). Secondo questo stereotipo, i Greci sarebbero stati
educati fin da piccoli a ingannarsi vicendevolmente per poter imparare i trucchi più
sottili ed efficaci per imbrogliare i nemici217. Il quinto libro delle Storie sembra
presentare l'inganno come “carattere distintivo dei Greci”218, soprattutto di quei greci
disposti a tutto per soddisfare la propria ambizione e la propria brama di potere,
come Istieo e Aristagora, gli autori della rivolta ionica, esponenti di quegli Ioni che
erano stati giudicati dagli Sciti (IV, 142) “i più perfidi e vili di tutti gli uomini” 219.
Con questa ingiuria infatti gli Sciti si erano espressi contro l'atteggiamento di

ἑκάστην τῶν πολίων δημοκρατέεσθαι μᾶλλον ἢ τυραννεύεσθαι. Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni.
213
τάς τε νέας ἁπάσας παρεῖχε διαπορθμεύειν τὴν στρατιὴν καὶ τὴν γέφυραν ἔζευξε. Testo greco e
traduzione di Izzo D'Accinni.
214
Cfr. Nenci 1994, commento, p. 184.
215
Il termine può significare “abile” ,“esperto”, o (come traducono sia Izzo D'Accinni che Nenci)
“astuto”, e può costituire quindi un' endiadi col termine successivo. Ma significa anche
“pericoloso” ed è con questa accezione che Megabazo vuole bollare il potenziale nemico Istieo.
216
Discostandomi dalla banale traduzione “saggio” voluta tanto da Izzo D'Accinni quanto da Nenci,
mi appello a quell'idea di sapienza pratica già presente in Dorati (cfr. Dorati 1958, n. 10) e già
citata a proposito dello scudiero Ebare (cfr. supra par. 2.5) e propongo di tradurre con “abile” o
“ingegnoso” favorendo la sinonimia con il termine precedente. Corti, appellandosi a Bencsik (cfr.
Corti 2003, p. 111, più n. 27), traduce “astuto”, sottolineando come lo stesso aggettivo sia
attribuito ad Aristagora in V, 50.
217
Cfr. Senofonte, Ciropedia, I, 6, 32: ὥσπερ καὶ ἐν πάλῃ φασὶ τοὺς Ἕλληνας διδάσκειν ἐξαπατᾶν,
καὶ γυμνάζειν δὲ τοὺς παῖδας πρὸς ἀλλήλους τοῦτο δύνασθαι ποιεῖν.
218
Corti 2003, p. 112.
219
κακίστους τε καὶ ἀνανδροτάτους κρίνουσι εἶναι ἁπάντων ἀνθρώπων. Testo greco e traduzione di
Izzo D'Accinni.

6
7
doppiezza e falsità tenuto nei loro confronti dagli Ioni secondo le direttive di Istieo, il
vero responsabile e quindi il più colpevole.
Megabazo, nel mettere in guardia Dario, incarna la figura del wise adviser, del
“saggio consigliere”, che esorta il suo sovrano a non commettere certi errori. Il suo
comportamento è paragonabile a quello di un profeta o di un oracolo. Ma mentre
questi predicono le sventure per lo più come eventi ineludibili, il consigliere spiega
anche come evitarle. Ma poiché difficilmente tali “consigli didattici” vengono
seguiti, le sventure finiscono per diventare altrettanto inevitabili220. Dario tuttavia
sembra molto disponibile ad accettare i consigli altrui e quindi anche il piano
proposto da Megabazo (V, 23, 3), che consiste nel convincere “con modi dolci
(τρόπῳ δὲ ἠπίῳ)” Istieo a stare il più lontano possibile dalla propria città. (V, 24, 1)
“Dicendo questo, Megabazo persuadeva facilmente (εὐπετέως ἔπειθε) Dario,
stimando che prevedesse bene ciò che sarebbe accaduto”221.
Probabilmente è Megabazo a sopravvalutare erroneamente le capacità di Dario
quando gli propone di ingaggiare con Istieo, in forma del tutto inedita, un duello di
astuzie tra sovrano e suddito. Non si tratterebbe dunque di uno scontro tra forza
militare dell'uno e μῆτις dell'altro, ma del tentativo di Dario di vincere il suo
avversario sul suo stesso terreno, con la sua stessa arma della persuasione retorica.
L'impresa si presenta molto difficile perché, a differenza di Zopiro, il Gran Re non
deve convincere una folla di ingenui cittadini Babilonesi, ma un solo individuo assai
scaltro, appartenente a quel popolo che ha fatto della retorica la propria arma
principale: i Greci. Si intravede una certa ironia nella captatio benevolentiae
racchiusa negli eccessivi elogi che Dario rivolge a Istieo di Mileto: (V, 24, 1) “trovo
che nessun uomo è più benevolo di te verso di me e le cose mie” 222, (V, 24, 3)
“nessun'altra ho tanto cercato quanto il vederti e che tu venissi a colloquio con me,
perché ho riconosciuto che di tutti i beni il più prezioso è un amico, intelligente e
benevolo”223. Erodoto attribuisce a Dario, evidentemente parodiandola, la strategia
220
Cfr. Nenci 1994, commento, pp. 183-184.
221
ταῦτα λέγων ὁ Μεγάβαζος εὐπετέως ἔπειθε Δαρεῖον ὡς εὖ προορῶν τὸ μέλλον γίνεσθαι. Testo
greco e traduzione di Nenci.
222
εὑρίσκω ἐμοί τε καὶ τοῖσι ἐμοῖσι πρήγμασι εἶναι οὐδένα σεῦ ἄνδρα εὐνοέστερον. Testo greco e
traduzione di Nenci.
223
οὐδέν κω ἄλλο χρῆμα οὕτω ἐν βραχέι ἐπεζήτησα ὡς σὲ ἰδεῖν τε καὶ ἐς λόγους μοι ἀπικέσθαι,
ἐγνωκὼς ὅτι κτημάτων πάντων ἐστὶ τιμιώτατον ἀνὴρ φίλος συνετός τε καὶ εὔνοος. Testo greco e

6
8
suasoria dei Greci224. Dopo queste lusinghe preliminari, Dario avanza a Istieo la
proposta molto allettante di diventare suo commensale (σύσσιτος) e consigliere
(σύμβουλος), per trattenerlo con sé a Susa. Istieo accetta, spinto da una doppia
motivazione ideale e opportunistica. Se da un lato infatti presta fede alle sue parole,
dall'altro intravede anche l'opportunità di un importante avanzamento, con una gran
quantità di onori e privilegi che per il momento potrebbero appagare la sua grande
ambizione225.
Dario dunque, attraverso il meccanismo promoveatur ut amoveatur, avrebbe
momentaneamente scongiurato il pericolo rappresentato dal tiranno di Mileto e si
illude di aver ormai vinto il “duello d'astuzia”, neutralizzando l'avversario sul suo
stesso terreno. L'ingannatore Istieo sarebbe stato ingannato. In realtà il Gran Re non
si rende conto di aver vinto solo il primo round: la partita, che assumerà i tratti della
rivolta ionica, è ancora tutta da giocare.
Un τόπος ricorrente del mito226 e dell'aneddotica greca riguarda le profezie che si
avverano proprio in seguito ai comportamenti di chi vorrebbe invece scongiurarle.
Questa “regola” è già affiorata in qualche modo nell'episodio di Astiage, Arpago e
Ciro: per difendere il proprio potere da un'eventuale usurpazione da parte di Ciro,
Astiage finisce per inimicarsi Arpago e Ciro, i quali, l'uno per spirito di vendetta,
l'altro per ambizione, decidono di scatenare la rivolta che porterà alla morte di
Astiage e alla fondazione del regno persiano227.
È possibile riscontrare una analoga situazione nel “duello d'astuzia” tra Dario e
Istieo. Quest'ultimo infatti non aveva manifestato prima, secondo la narrazione di
Erodoto, il desiderio di ribellarsi al Gran Re e, anzi, si era dimostrato estremamente
leale nel momento di maggior pericolo, assicurando la salvezza di Dario e del regno.
Suo unico desiderio era governare stabilmente Mileto e, possibilmente, trarre dei
vantaggi economici dalla fondazione della nuova città autorizzata da Dario stesso. Il
pregiudizio di Megabazo e il conseguente provvedimento di Dario hanno invece
scatenato proprio quella rivolta che nel loro intento volevano evitare. Secondo

traduzione di Izzo D'Accinni.


224
Cfr. Corti 2003, p. 118.
225
Cfr. Nenci 1994, commento, p. 185.
226
Un esempio fra i tanti il racconto di Acrisio, Danae e Perseo.
227
Cfr. supra, par. 2.1.

6
9
Erodoto, Istieo sentiva profondamente la mancanza della sua patria e vedeva nella
rivolta l'unico mezzo per essere rispedito a Mileto (V, 35, 4): “Istieo fece questo
perché si affliggeva d'esser trattenuto a Susa, e se fosse scoppiata una rivolta aveva
molte speranze di esser mandato verso il mare, mentre se a Mileto non ci fosse stata
nessuna novità egli pensava che non vi avrebbe più fatto ritorno” 228. Decide dunque
di ordinare al suo luogotenente, il genero (γαμβρός) e cugino (ἀνεψιὸς) Aristagora229,
di provocare la rivolta delle città ioniche. In questa sua vicenda è ravvisabile una
evidente analogia con Arpago. Entrambi sono infatti consiglieri del re ed entrambi
devono inviare un messaggio ad un proprio parente, che abita in una città lontana,
per incitare alla ribellione, eludendo la stretta sorveglianza delle strade voluta da un
sovrano che, privo di astuzia, non ha che la forza militare per imporre la propria
volontà.
Come Arpago, anche Istieo adotta un geniale stratagemma: fatto rasare il capo al suo
servo più fidato, vi fa tatuare il messaggio, lascia ricrescere i capelli e lo invia ad
Aristagora, con la raccomandazione di rasare nuovamente il capo per leggervi quanto
era scritto (V, 35, 3)230. Come per Arpago, il vantaggio perseguito da Istieo non è la
conquista del potere. Come il consigliere del re dei Medi, il consigliere del re dei
Persiani riceverà dal sovrano il comando delle truppe per sedare la rivolta. La rivolta
raggiunge l'apice del successo con la conquista e l'incendio di Sardi, ex capitale del
regno di Lidia, e poi capitale persiana dell'Asia Minore. Dario è furibondo e convoca
Istieo (V, 106, 1). Sospetta infatti che abbia tramato alle sue spalle per scatenare
questa ribellione (V, 106, 2): “E come tale impresa può essere stata compiuta senza il
tuo consiglio?”231. E minaccia così il suo consigliere: “Bada di non doverti trovare in
colpa in seguito”232. Questa minaccia rievoca quella pronunciata da Astiage nei
confronti di Arpago (I, 108, 4): “e non volere in seguito esser causa della tua

228
ταῦτα δὲ ὁ Ἱστιαῖος ἐποίεε συμφορὴν ποιεύμενος μεγάλην τὴν ἑωυτοῦ κατοχὴν τὴν ἐν Σούσοισι:
ἀποστάσιος ὦν γινομένης πολλὰς εἶχε ἐλπίδας μετήσεσθαι ἐπὶ θάλασσαν, μὴ δὲ νεώτερόν τι ποιεύσης
τῆς Μιλήτου οὐδαμὰ ἐς αὐτὴν ἥξειν ἔτι ἐλογίζετο. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
229
Cfr. V, 30, 2.
230
Cfr. Dorati, 1998, p. 208.
231
κῶς δὲ ἄνευ τῶν σῶν βουλευμάτων τούτων τι ἐπρήχθη; Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni.
232
ὅρα μὴ ἐξ ὑστέρης σεωυτὸν ἐν αἰτίῃ σχῇς. Testo greco e traduzione di Nenci.
7
0
rovina”233. Istieo si difende con elegante e abile astuzia: in primo luogo si finge
indignato per i sospetti di Dario nei suoi confronti e si appella ai benefici e
all'autorevolezza di cui ha finora goduto presso il Gran Re (V, 106, 3). Quindi scarica
tutta la responsabilità sul suo luogotenente Aristagora e, anzi, rimprovera a Dario la
sua decisione di tenerlo lontano da Mileto (V, 106, 4-5): “sappi cosa mai hai fatto
strappandomi dal mare234. [5] Mi pare infatti che gli Ioni, da quando sono stato
sottratto ai loro occhi235, abbiano fatto ciò di cui da tempo avevano desiderio 236,
mentre se io fossi stato nella Ionia, nessuna città si sarebbe mossa nascostamente” 237.
Date queste premesse Istieo formula la proposta: “Ora dunque, lascia che io al più
presto parta per la Ionia affinché ti rimetta ogni cosa al suo posto e consegni nelle tue
mani questo luogotenente di Mileto, che ha macchinato (μηχανησάμενον) ciò” 238.
Promette infine a Dario di conquistargli la Sardegna. Erodoto dichiara apertamente
che con queste parole Istieo ingannava (διέβαλλε) il re, che tuttavia (V, 107) “si
lasciava persuadere (ἐπείθετο)239 e lo lasciava andare, ordinandogli di tornare indietro
a Susa appena avesse compiuto ciò che aveva promesso”240.
Spetta a un altro personaggio il compito di smascherare l'imbroglio di Istieo:
Artaferne, fratello di Dario. Questi era stato nominato satrapo di Sardi nello stesso
periodo in cui Istieo era stato condotto a Susa come consigliere di Dario (V, 25, 1).
Dopo l'incendio di Sardi, Artaferne riceverà da Dario l'incarico di riconquistare le
città che si erano ribellate. Incontrato a Sardi Istieo (VI, 1), gli chiede quali

233
μηδὲ […] ἐξ ὑστέρης σοὶ αὐτῷ περιπέσῃς. Testo greco e traduzione di Izzo
D’Accinni. Cfr. supra par. 2.1.
234
Cfr. V, 34, 4; da queste parole sembra riemergere la nostalgia di Istieo per la propria patria.
235
Con questa metafora Istieo si riallaccia alla frase che Dario gli aveva rivolto in V, 24, 3: “tu fosti
lontano dai miei occhi (σύ μοι ἐγένεο ἐξ ὀφθαλμῶν)”. È un'espressione topica nella cultura
persiana che Erodoto fa pronunciare a Istieo per esaltare la sua capacità di immedesimarvisi (cfr.
Nenci 1994, commento, pp. 185, 314).
236
Istieo allude qui al “tentativo di ribellione” dei tiranni della Ionia da lui sventato (IV, 137 e segg.).
237
μάθε οἷον πρῆγμα ἐργάσαο ἐμὲ ἀπὸ θαλάσσης ἀνάσπαστον ποιήσας. [5] Ἴωνες γὰρ οἴκασι ἐμεῦ
ἐξ ὀφθαλμῶν σφι γενομένου ποιῆσαι τῶν πάλαι ἵμερον εἶχον: ἐμέο δ᾽ ἂν ἐόντος ἐν Ἰωνίῃ οὐδεμία
πόλις ὑπεκίνησε. Testo greco e traduzione di Nenci.
238
νῦν ὦν ὡς τάχος ἄπες με πορευθῆναι ἐς Ἰωνίην, ἵνα τοι κεῖνά τε πάντα καταρτίσω ἐς τὠυτὸ καὶ
τὸν Μιλήτου ἐπίτροπον τοῦτον τὸν ταῦτα μηχανησάμενον ἐγχειρίθετον παραδῶ. Testo greco e
traduzione di Nenci.
239
Erodoto utilizza lo stesso verbo con cui Megabazo convince Dario a ingannare Istieo.
Un'espressione del genere segnala la totale soggezione di Dario al parere altrui.
240
Ἱστιαῖος μὲν λέγων ταῦτα διέβαλλε, Δαρεῖος δὲ ἐπείθετο καί μιν ἀπίει, ἐντειλάμενος, ἐπεὰν τὰ
ὑπέσχετό οἱ ἐπιτελέα ποιήσῃ, παραγίνεσθαί οἱ ὀπίσω ἐς τὰ Σοῦσα. Testo greco e traduzione di Nenci.

7
1
motivazioni, a suo parere, avessero spinto gli Ioni alla rivolta. Istieo cerca di eludere
la domanda fingendo di non sapere nulla, ma il fratello di Dario intuisce che il greco
sta “andando in cerca di sotterfugi (τεχνάζοντα)” e lo mette alle strette con queste
parole (VI, 1, 2): “questo calzare tu l'hai cucito241, ma Aristagora se l'è calzato”242.
Istieo si spaventa (VI, 2) e di notte “fuggì verso il mare”243. Non riuscirà a
riconquistare il potere a Mileto poiché, proprio come egli pensava 244, con la rivolta la
città aveva rifiutato la tirannide e, contenta della morte di Aristagora, si era data un
regime democratico. Istieo continua quindi a vagare tra le isole greche e l'Asia
minore, vivendo di inganni, sotterfugi, stratagemmi e menzogne, fino a che non
viene catturato, per mezzo del capitano Arpago, dal satrapo Artaferne. Erodoto
spiega che anche in questa occasione Istieo ricorre ad un'ultima disperata astuzia (VI,
29, 1-2): “Istieo, sperando di non essere ucciso dal re per la sua presente colpa,
s'appigliò al seguente stratagemma pur di salvarsi la vita: [2] quando nella fuga
venne raggiunto da un Persiano e, preso, stava per essere trafitto, parlando in
persiano rivela di essere Istieo di Mileto”245. In questo modo non ottiene altro che
prolungare di poco la sua vita: Artaferne decide infatti di impalare il suo corpo e di
portare a Dario la sua testa imbalsamata (VI, 30, 1). Anche in questo passaggio lo
storico di Alicarnasso non manca di sottolineare nuovamente l'ingenuità di Dario.
Infatti senza l'intervento brutale di Artaferne, lo stratagemma di Istieo, a parere di
Erodoto, avrebbe funzionato: “se dopo essere stato catturato fosse stato portato
dinnanzi al re non avrebbe avuto a soffrir mali, a quanto io credo, ma Dario gli
avrebbe perdonato la sua colpa”246. E proprio per questa ragione Artaferne,
consapevole del pericolo rappresentato dall'influenza persuasiva di Istieo sul Gran
Re, decide di eliminarlo alla svelta. A riprova della fondatezza della congettura
241
Ovvero: “Tu hai pianificato la rivolta”.
242
τοῦτο τὸ ὑπόδημα ἔρραψας μὲν σύ, ὑπεδήσατο δὲ Ἀρισταγόρης. Testo greco e traduzione di Izzo
D'Accinni.
243
ἀπέδρη ἐπὶ θάλασσαν. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni. Il mare, da ricordo felice e da
simbolo della patria desiderata, si trasforma qui in una via di fuga.
244
Cfr. IV, 137, 2 e supra.
245
ὁ Ἱστιαῖος ἐλπίζων οὐκ ἀπολέεσθαι ὑπὸ βασιλέος διὰ τὴν παρεοῦσαν ἁμαρτάδα φιλοψυχίην
τοιήνδε τινὰ ἀναιρέεται· [2] ὡς φεύγων τε κατελαμβάνετο ὑπὸ ἀνδρὸς Πέρσεω καὶ ὡς καταιρεόμενος
ὑπ᾽ αὐτοῦ ἔμελλε συγκεντηθήσεσθαι, Περσίδα γλῶσσαν μετεὶς καταμηνύει ἑωυτὸν ὡς εἴη Ἱστιαῖος ὁ
Μιλήσιος. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.
246
εἰ […], ὡς ἐζωγρήθη, ἄχθη ἀγόμενος παρὰ βασιλέα Δαρεῖον, ὁ δὲ οὔτ᾽ ἂν ἔπαθε κακὸν οὐδὲν
δοκέειν ἐμοί, ἀπῆκέ τ᾽ ἂν αὐτῷ τὴν αἰτίην. Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.

7
2
erodotea, Dario rimprovera Artaferne dell'omicidio e decide di seppellire con tutti gli
onori la testa di Istieo, considerato da lui una sorta di “eroe nazionale”, per aver
garantito la ritirata di Dario dopo il fallimento della campagna scitica.

7
3
4.2.2 DARIO E LA REGINA NITOCRIS

La figura estremamente intelligente di Nitocris, ultima regina di Babilonia, è stata già


precedentemente analizzata, in rapporto alle sue opere idrauliche, nel paragrafo
dedicato alla conquista di questa città247. I Persiani non hanno mai avuto rapporti
diretti con lei, ma conoscono le opere da lei lasciate. Nitocris dedica la sua intera
esistenza a proteggere la sua città dai potenziali assalti dei Medi. Erodoto vuole
sottolineare come, anche nella circostanza della sua sepoltura, Nitocris manifesti la
sua volontà di proteggere sì i suoi successori, ma di beffare gli avidi nemici, facendo
incidere sulla porta della propria tomba questa scritta (I, 187, 2): “se uno dei re di
Babilonia, che verrà dopo di me, mancherà di ricchezze, apra la tomba e prenda tutte
le ricchezze che vuole; tuttavia non l'apra se non è sprovvisto: infatti non è la cosa
migliore”248. Dario, conquistata la città e venuto a conoscenza di questa tomba, non
sa resistere alla propria avidità e viene, per così dire, “beffato” dal cadavere della
regina. La tomba da lui aperta risulta infatti spoglia di ogni genere di ricchezza e
accanto al cadavere compare un'altra iscrizione (I, 187, 5): “Se non fossi stato
insaziabile di ricchezze e avido, non avresti aperto i sepolcri dei morti” 249. Il
messaggio non era evidentemente rivolto personalmente a Dario, ma a chiunque,
mosso dall'avidità, avesse commesso l'empietà di profanare una tomba. L'inganno
consisteva proprio nell'invito ad aprire la tomba in caso di necessità: un re giusto e
pio non avrebbe mai commesso un tale oltraggio neppure in condizioni di estrema
miseria. Dario è inizialmente trattenuto dalla paura e dalla superstizione: temeva
infatti che attraversando la porta della tomba “avrebbe avuto il cadavere sopra la
testa”250. Non è dunque il rispetto per i morti a frenarlo, ma uno sciocco istinto, ben
presto però sopraffatto da un altro impulso ancora più forte: la cieca brama di

247
Cfr. supra, par. 3.1.
248
τῶν τις ἐμεῦ ὕστερον γινομένων Βαβυλῶνος βασιλέων ἢν σπανίσῃ χρημάτων, ἀνοίξας τὸν τάφον
λαβέτω ὁκόσα βούλεται χρήματα· μὴ μέντοι γε μὴ σπανίσας γε ἄλλως ἀνοίξῃ· οὐ γὰρ ἄμεινον. Testo
greco e traduzione di Antelami.
249
εἰ μὴ ἄπληστός τε ἔας χρημάτων καὶ αἰσχροκερδής, οὐκ ἂν νεκρῶν θήκας ἀνέῳγες. Testo greco e
traduzione di Antelami.
250
ὕπερ κεφαλῆς οἱ ἐγίνετο ὁ νεκρὸς. Testo greco e traduzione di Antelami.

7
4
ricchezza. La beffa subita non implica per lui alcuno svantaggio: Dario resta ricco e
potente quanto prima. In questa circostanza Erodoto non riferisce alcun tipo di
reazione o commento da parte di Dario.
Questo aneddoto risulta comunque significativo in quanto contribuisce a meglio
definire il carattere di Dario: il Gran Re che, persa ormai la sua μῆτις, resta
paradossalmente indebolito da un potere basato solo sulla mera forza militare e sulla
sciocca e ingenua avidità di ricchezza.

7
5
4.2.3 DARIO E I PEONI

I fratelli Pigre e Mastia, due uomini Peoni, aspirano a diventare tiranni del proprio
popolo (V, 12, 1). Per realizzare il loro progetto sarebbe necessario l'intervento
militare del Gran Re di Persia. Decidono quindi di trarre in inganno Dario in questo
modo: giunti a Sardi insieme ad una loro sorella alta e bella, attendono lì la pubblica
uscita del Gran Re. Alla sua venuta (V, 12, 2) “abbigliarono la sorella come meglio
potevano e la mandavano a prendere acqua, portando sul capo un vaso e tirando con
un braccio il cavallo e filando il lino”251. Con questo “travestimento”252 i due Peoni
vogliono suscitare meraviglia e ammirazione agli occhi di Dario e l'uso di θωμάζω
(riferito a Dario) in apertura del paragrafo 13 prova che sono riusciti pienamente nel
loro intento. Infatti il termine θω̃μα indica in Erodoto tutto ciò che suscita stupore e,
di conseguenza, ammirazione. Le Storie, in particolare le sezioni descrittive, sono
ricche di descrizioni di fenomeni che suscitano stupore e meraviglia 253. In fondo
Erodoto dichiara esplicitamente nel proemio (I, Proemio) di voler raccontare ἔργα
μεγάλα τε καὶ θωμαστά.
Tuttavia, a differenza dei mirabilia delle sequenze descrittive, lo stupore suscitato in
Dario è frutto di inganno. Pigre e Mastia vogliono far credere a Dario, con questa
messa in scena e con dichiarazioni esplicitamente menzognere, che le donne Peonie
siano tutte molto laboriose (V, 13, 3). Dario, ingenuamente abbagliato da questo
straordinario “prodigio”, ordina subito al suo generale Megabazo di conquistare il
territorio dei Peoni, per trasferire in Asia l'intera popolazione. I due fratelli avrebbero
così raggiunto il loro obiettivo, ma Erodoto non ci informa se siano anche divenuti o

251
σκευάσαντες τὴν ἀδελφεὴν ὡς εἶχον ἄριστα, ἐπ᾽ ὕδωρ ἔπεμπον ἄγγος ἐπὶ τῇ κεφαλῇ ἔχουσαν καὶ
ἐκ τοῦ βραχίονος ἵππον ἐπέλκουσαν καὶ κλώθουσαν λίνον. Testo greco e traduzione di Nenci. Dietro
questo aneddoto potrebbe nascondersi il motivo folkloristico della giovane popolana che, volendo
diventare regina, suscita lo stupore del re con l'esibizione di tutta la propria bellezza e abilità. Cfr.
Corti 2003, p. 115, n. 40.
252
Il travestimento è un mezzo tipico dell'inganno tanto nella cultura greca in generale quanto negli
aneddoti delle Storie. Cfr. Dorati 1993; per lo specifico episodio cfr. Corti 2003, pp.115-116.
253
Cfr. Nenci 1994, commento, p. 171. Per un'analisi approfondita delle rubriche descrittive in
Erodoto, cfr. Dorati 2000, cap.III (pp. 91-142).

7
6
meno tiranni dei Peoni per conto del Gran Re. È solo evidente che l'inganno subito
non arreca alcun danno al re. Al contrario, Dario vedrà estendere il proprio dominio
con l'annessione di un nuovo territorio, la sottomissione e la deportazione di una
nuova popolazione. Questo è un curioso esempio di inganno che va a beneficiare la
vittima più che gli stessi autori.

7
7
CONCLUSIONI

Con questo lavoro ho cercato in primo luogo di dimostrare come la sincerità fosse, a
parere di Erodoto, un valore codificato nell'educazione persiana, nell'ambito della
quale tuttavia tale precetto non va inteso in senso assoluto, ma “relativizzato”
piuttosto alla lealtà verso gli amici e i membri del proprio ἔθνος. Ho inteso inoltre
analizzare un tema che Erodoto sembra presentare come complementare a questo: la
lotta (fisica e metafisica) contro la menzogna, intesa dal popolo persiano come la
principale fonte dei mali. Nella cultura persiana entrambi questi valori erano
fortemente sentiti, come dimostra l'iscrizione di Behistun. Anche lo storico di
Alicarnasso ne è evidentemente consapevole quando ci narra del fanatismo di
Cambise (disposto a uccidere pur di far valere la sua verità, esasperando fino alla
follia la difesa dei precetti persiani), o della coerenza di Prexaspe (che non esita a
sacrificare la sua vita pur di dire la verità al suo popolo), o della violenta reazione
dell'orgoglioso aristocratico Intaferne (pronto a punire crudelmente i guardiani di
Dario per il solo sospetto di essere stato ingannato).
Per sviluppare poi l'analisi del rapporto dei Persiani con l'inganno (nella seconda
parte del mio lavoro) ho utilizzato come modello di riferimento gli studi di Dorati e
Corti, soffermandomi sui passi erodotei da loro stessi indicati.
Ma mentre i due studiosi collocano sullo stesso piano passi di diversa tipologia
relativi agli inganni subiti, nella mia ricerca ho riscontrato alcune differenze inerenti
alle cause e, soprattutto, agli effetti di tali inganni.
La tesi principale sostenuta da Dorati è che la μῆτις difensiva è assente in coloro che,
per diritto dinastico o per usurpazione, detengono il potere regale, quasi che la forza
di cui dispongono sia sufficiente a compensare l'assenza (per i sovrani legittimi) o la
perdita (nel caso di Dario) di quell'astuzia, che invece dovrebbe essere propria di chi
detiene il più alto governo. Tale carenza comporterebbe per questi sovrani una
grande vulnerabilità agli inganni altrui e di conseguenza un maggior rischio di
esposizione a pericoli e disfatte.

7
8
Ma i passi esaminati non sembrano confermare sempre questa interpretazione. Infatti
riscontriamo che a volte l'inganno si risolve in una beffa senza alcun danno per il
sovrano ingannato: così avviene per Cambise (ingannato – ma lo storico dubita della
veridicità dell'episodio – dal finto cadavere di Amasi), per Dario (vittima della beffa
della regina Nitocris) e per Serse (ignaro delle avide mire del governatore Artaucte).
Altre volte la beffa si volge addirittura a vantaggio delle vittime, offrendo loro
l'opportunità di espandere il proprio dominio: Cambise, ingannato da Amasi,
approfitta dell'offesa subita per sottomettere l'Egitto; Dario coglie l'invito dei Peoni
per conquistare la Peonia.
Di differente tipologia è il celeberrimo inganno di Temistocle nei confronti di Serse,
con la conseguente sconfitta della flotta persiana a Salamina. Tuttavia il pur grave
danno che ne deriva non comprometterà la durata del suo regno. Il Gran Re è infatti
libero da ogni responsabilità verso i suoi sudditi e può continuare a regnare anche
dopo una sconfitta in battaglia254.
L'inganno del subdolo Istieo di Mileto viene invece gradualmente neutralizzato
grazie all'intervento dei fedelissimi di Dario (Megabazo e Artaferne), i quali salvano
un sovrano quasi inconsapevole del pericolo che lo minacciava.
Diversa è l'interpretazione della vicenda di Ciro, riconducibile in parte ad una
contrapposizione tra Arpago, suddito dotato di astuzia e accortezza, e Astiage, re dei
Medi, provvisto della forza militare e degli apparati di potere. Questa dimensione
dialettica astuzia-forza è molto presente nel pensiero culturale greco che si riflette in
Erodoto (come segnalano gli studi di Detienne/Vernant e di Dorati): in questo scontro
la μῆτις sostiene il più debole e gli permette di prendere il sopravvento sul più forte.
Ma Ciro manifesta la propria μῆτις quando ricorre alla persuasione per guidare i suoi
“connazionali” alla rivolta.
Nel raccontare questo stratagemma Erodoto, sebbene esponga con chiarezza il
sistema della falsa lettera e l'allegoria della fatica e del banchetto, sembra però

254
Questo aspetto è evidenziato da Eschilo attraverso le parole che Atossa pronuncia nei riguardi di
suo figlio Serse (Persiani, vv. 213-214):
κακῶς δὲ πράξας, οὐχ ὑπεύθυνος πόλει,
σωθεὶς δ᾽ ὁμοίως τῆσδε κοιρανεῖ χθονός.
“ma se cadrà … eppure lui non ha da rendere conto ai cittadini. Basta che si salvi, e resterà come
prima a capo di questa terra”. Testo greco e traduzione di Ferrari.

7
9
lasciare aperto un interrogativo: nel momento in cui Ciro dichiara di dire la verità ai
sudditi e promette loro condizioni di benessere superiori a quelle di cui godevano
sotto Astiage, lo storico non racconta se egli avesse poi mantenuto le promesse, o se
almeno ne avesse mai avuto l'intenzione.
I passi successivi del primo libro delle Storie infatti descrivono il primo Gran Re dei
Persiani con caratteristiche assai simili a quelle dell'ultimo re dei Medi, senza
riferimenti però a quelle grandi riforme da lui promesse. Ciononostante la nobiltà
persiana sembra molto soddisfatta di lui, a giudicare dalle manifestazioni di
gratitudine e lealtà da parte di Istaspe, padre di Dario, disposto perfino a sacrificare
potenzialmente la vita di suo figlio per salvare il suo re (I, 210). È plausibile
ipotizzare che le condizioni del popolo persiano sotto il regno di Ciro fossero
comunque migliorate. Come Astiage aveva fatto con il popolo dei Medi, così Ciro
considera i Persiani il suo popolo privilegiato255.
Come Ciro, anche Dario fa della persuasione la sua arma principale, ma Erodoto pare
collegare la sua astuzia con la menzogna e lo presenta con un carattere così
spregiudicato da indurlo a ingannare perfino i suoi compagni, pur di soddisfare le sue
ambizioni di potere.
Ma nei racconti di Erodoto il tema dell'inganno assume anche una valenza
potenzialmente strategica durante le campagne militari persiane.
L'imbroglio, quale stratagemma di battaglia (come nel caso della conquista di
Babilonia da parte di Ciro), si rivela uno strumento efficace anche se insufficiente ad
assicurare la vittoria definitiva (come accade per l'inganno ideato da Creso contro i
Massageti, primo esempio, riscontrato in questo mio lavoro, di superiorità della forza
sull'astuzia). L'inganno come strategia preliminare o alternativa si rivela invece
totalmente fallimentare (così accade a Ciro con i Massageti e a Cambise con gli
Etiopi).

BIBLIOGRAFIA
255
Illuminanti in tal proposito sono proprio le parole di Istaspe (I, 210, 2): “tu in luogo di schiavi hai
reso i Persiani liberi e da sudditi dominatori” (ἀντὶ μὲν δούλων ἐποίησας ἐλευθέρους Πέρσας εἶναι,
ἀντὶ δὲ ἄρχεσθαι ὑπ᾽ ἄλλων ἄρχειν ἁπάντων). Testo greco e traduzione di Izzo D'Accinni.

8
0
EDIZIONI DEI TESTI E DELLE TRADUZIONI

– Asheri 1988: D. Asheri (a cura di), Erodoto. Il libro I delle Storie, traduzione
di Virginio Antelami, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1988.
– Asheri 1990: D. Asheri (a cura di), Erodoto. Il libro III delle Storie,
traduzione di Augusto Fraschetti, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1990.
– Nenci 1994: G. Nenci (a cura di), Erodoto. Il libro V delle Storie, Fondazione
Lorenzo Valla, Milano, 1994.

– Masaracchia 1977: A. Masaracchia (a cura di), Erodoto. Il libro VIII delle


Storie, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1977.

– Masaracchia 1998: A. Masaracchia (a cura di), Erodoto. Il libro IX delle


Storie, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1998.

– Erodoto, Storie. Volume primo (libri I-II), introduzione di F. Cassola,


traduzione di A. Izzo D'accinni, note di D. Fausti, RCS Rizzoli Libri S. P. A., Milano,
1984.

– Erodoto, Storie. Volume secondo (libri III-IV), traduzione di A. Izzo


D'accinni, note di D. Fausti, RCS Rizzoli Libri S. P. A., Milano, 1984.

– Erodoto, Storie. Volume terzo (libri V-VII), traduzione di A. Izzo D'accinni,


note di D. Fausti, RCS Rizzoli Libri S. P. A., Milano, 1984.

– Erodoto, Storie. Volume quarto (libri VIII-IX), traduzione di A. Izzo


D'accinni, note di D. Fausti, RCS Rizzoli Libri S. P. A., Milano, 1984.

– Eschilo, Persiani, Sette contro Tebe, Supplici, a cura di F. Ferrari, RCS


Rizzoli Libri S. P. A., Milano, 1987.

– Senofonte, Anabasi e Ciropedia, a cura di C. Carena, Einaudi, Torino, 1972.

8
1
STUDI MODERNI

– Belloni 2006: L. Belloni, Un inganno reale (Erodoto, III 65, 6). NOMOS e
PATHOS nella figura di Cambise, «PP» 2006 61, n° 349, pp. 279-293.
– W. Blösel, The Herodotean picture of Themistocles: a mirror of fifth-century
Athens, in N. Luraghi (ed. by), The Historian's Craft in the Age of Herodotus, Oxford
University Press, Oxford, 2001; pp. 179-197.
– Briant 1996: P. Briant, Histoire de l'empire perse de Cyrus à Alexandre,
Librairie Arthème Fayard, Paris, 1996.
– Corti 2003: E. Corti, Persuasione e inganno nel quinto libro delle STORIE di
Erodoto. Uno sguardo sul lessico, in E. Bona/ M. Curnis (a cura di), Linguaggi del
potere, poteri del linguaggio, Ed. dell'Orso, Alessandria, 2003, pp. 107-128.
– Dandamaev 1976: M. A. Dandamaev, Persien unter den ersten Achämeniden
(6. Jahrhundert v. Chr.), L. Reichert, Wiesbaden, 1976.
– Detienne/Vernant 1984: M. Detienne/J.P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza
nell'antica Grecia, Laterza, Roma-Bari, 1984 [Le ruses de l'intelligence – La mètis
des Grecs, Flammarion, Paris 1974; trad. ita di Andrea Giardina].
– Dorati 1998: M. Dorati, Μῆτις e conquista del potere nelle Storie di Erodoto,
«ACME» 1958 51 (3), pp. 203-211.
– Dorati 1993: M. Dorati, Cultura tradizionale e tematiche dell'inganno in
Erodoto, «QS» 1993 19 n° 38, pp. 65-84.
– Dorati 2000: M. Dorati, Le Storie di Erodoto: etnografia e racconto, Istituti
editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma, 2000.
– Flory 1987: S. Flory, THE ARCHAIC SMILE OF HERODOTUS, Wayne State
University Press, Detroit, 1987.
– G. Masaracchia, La battaglia di Salamina in Erodoto, in «Helikon», 9-10
(1969-1970), pp. 68-106.

– M. P. Milton, “The second message to Xerxes and Themistocles' view of


strategy, in «PCA» 1983 XVII, 22-52.
– K. A. Raaflaub, Philosophy, Science, Politics: Herodotus and the Intellectual

8
2
Trends of His Time, in E. J. Bakker, I. J. F. De Jong, H. Van Wees (edd. by), Brill's
Companion to Herodotus, Brill, Leiden, 2002; cap. 7, pp. 149-186.

8
3

Potrebbero piacerti anche