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Riassunto
Il presente contributo si concentra anzitutto sul carattere composito della cultura e dell’identità professionale dei chierici
della prima età moderna, i quali mescolavano ai riti della Chiesa le più varie operazioni magiche, ma studia anche il
rapporto complesso che intercorreva tra tali preti e le richieste e le aspettative dei fedeli – che non sembrano vedere un
contrasto nella compresenza, in una stessa persona, dei ruoli dello stregone, dell’esorcista esperto e del sacerdote
modello nell’officiare i riti – e infine, la risposta delle istituzioni ecclesiastiche alla devianza diffusa del basso clero,
attraverso soprattutto gli strumenti di controllo e repressione come il tribunale dell’Inquisizione.
Duni Matteo. Esorcisti o stregoni ? Identità professionale del clero e Inquisizione a Modena nel primo Cinquecento. In:
Mélanges de l'École française de Rome. Italie et Méditerranée, tome 115, n°1. 2003. Représentation et identité en Italie
et en Europe (XVe–XIXe siècle) pp. 263-285;
doi : https://doi.org/10.3406/mefr.2003.9998
https://www.persee.fr/doc/mefr_1123-9891_2003_num_115_1_9998
ESORCISTI O STREGONI?
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO
E INQUISIZIONE A MODENA NEL PRIMO CINQUECENTO
Alla fine dell’ottobre del 1541, il notaio modenese Tommasino de’ Bian-
chi, detto Lancellotti, registrava nella sua Cronaca degli avvenimenti citta-
dini la morte di don Guglielmo Campana, ricordando gli aspetti salienti
della personalità di quel prete davvero singolare :
Morì el venerabile don Guielmo di Campana preto modoneso vechio de
anni 80 o circa, el quale era mansonario et capelano della capella de Santo
Michelo in Modona; lui non era molto dotto, ma era sufficentissimo preto nel
scunzurare li spiriti maligni, al quale già ge fu aposto havere fatte certe mate-
rie de incantamenti, per havere femine, perché era homo robusto e galiardo
vechio, e più quando era giovine, et li frati de Santo Dominico ge procedette-
no contra, et in publico nella chiesa de Santo Dominico fu mitriato et absolto,
e fu in pericolo di perdere li benefitii, pur promisse de emendarse, e di poi re-
nontiò li soi benefitii a uno suo nepote con regresso el quale tolse poi mogliere
e besognò ch’el spendesse ancora delli scuti a fare cunzare quello regresso, et
impignò li benefitii per havere dinari [...] Questo [...] religioxo era bello
homo, et al presente daben, e sufficientissimo sacerdote per intonare il canto
fermo, cantare evangelii e fare altre cerimonie della giesia, e diceva benissimo
messa, e detta giesia ne haverà grande besogno per molti mesi, inante che al-
tri habiano quelle pratiche, e cussì Dio habia misericordia dell’anima sua.
Amen1.
1
Cfr. Tommasino Bianchi detto de’ Lancellotti, Cronaca modenese, a cura di
C. Borghi, L. Lodi e G. Ferrari Moreni, Parma, 1862-1884 (Monumenti di storia pa-
tria delle province modenesi e parmensi. Serie delle cronache, II-XIII), VII, p. 153-154.
A proposito di don Guglielmo Campana, figura eccezionale nel panorama della vita
religiosa modenese del primo Cinquecento, mi permetto di rinviare al mio studio Tra
religione e magia. Storia del prete modenese Guglielmo Campana (1460?-1541), Firen-
ze, 1999 (Studi e testi per la storia religiosa del Cinquecento, 9). Su Lancellotti e la sua
Cronaca modenese, documento straordinario di cinquant’anni di vita cittadina (1504-
1554), si vedano A. Biondi, Tommasino Lancellotti, la città e la chiesa a Modena
(1537-1554), in Contributi, Biblioteca municipale «A. Panizzi», II, Reggio Emilia,
1978, p. 43-61; R. Memeo, Tommasino Lancellotti, un cronista modenese del ’500 tra
.
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IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 265
3
Archivio di Stato di Modena (d’ora in avanti ASMo), Inquisizione, b. 2, Proces-
si 1489-1549, fasc. I, deposizioni di Ludovico Bottacci e di Girolamo della Rossa, ris-
pettivamente 26 e 27 maggio 1496; ibid., deposizione di Bernardina Stadera, 2 di-
cembre 1499.
4
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Beatricem de Vin-
centia, deposizione di Maddalena Terotti, 8 gennaio 1517.
5
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Camillam de Nira-
no, deposizione di Violante Carandini, 5 giugno 1517.
6
«Strega : Sendo nella chiesa ne’ giorni delle feste, [il diavolo] commandava a
me, che leggendo il sacerdote la messa ad alta voce (sicome se suole) dicesse io pian
piano : non è vero, tu ne menti per la gola» (Gianfrancesco Pico della Mirandola, Li-
bro detto Strega o delle illusioni del demonio, nel volgarizzamento di Leandro Alberti,
a cura di A. Biondi, Venezia, 1989, p. 139).
7
Contra Camillam de Nirano cit., deposizione di Violante Carandini, 5 giugno
1517.
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266 MATTEO DUNI
cantatrici. Dai processi inquisitoriali del periodo 1495-1523 (gli anni a par-
tire dai quali la documentazione è pressoché completa) 8 ricaviamo notizie
sufficienti ad identificare almeno venti religiosi coinvolti variamente nelle
pratiche magiche, compresi il vescovo suffraganeo Jacopo Sandri da Mon-
tagnana 9 e l’esorcista della cattedrale, don Campana; ma molti di più sono i
chierici-stregoni cui è impossibile dare un nome per la vaghezza dei riferi-
menti. Il caso modenese da questo punto di vista, peraltro, non è eccezio-
nale, quanto piuttosto uno di quelli che meglio documenta come, nello sce-
nario della vita religiosa del tempo, i sacerdoti rivestissero chiaramente il
ruolo di operatori specializzati cui i fedeli si rivolgevano per attingere alla
fonte della potenza straordinaria del sacro. Ciò poteva avvenire tanto attra-
verso il canale dei riti ortodossi, quanto attraverso innumerevoli forme di
appropriazione di quei riti e degli oggetti del culto in genere. In molti casi,
del resto, la distinzione tra lecito e illecito nell’uso delle cose sacre non era
per niente agevole, neppure per i preti stessi. Basti pensare ad esempio ai
«brevi», strisce di carta o sacchettini di stoffa recanti preghiere, immagini
o piccoli oggetti sacri, da portare indosso a scopo apotropaico o anche te-
rapeutico, ammessi dalla Chiesa e anzi prodotti e distribuiti dai religiosi
stessi10. Si trattava di una tipologia di oggetti devozionali del tutto sovrap-
ponibile a quella dei biglietti magici, variamente noti come «bollettini» o
«polizzini», o come «carte di voler bene» : foglietti sui quali si scrivevano
preghiere e invocazioni di carattere magico-religioso, o si disegnavano im-
magini, per suscitare l’amore o vincere la malattia11. La confezione dei
8
Il totale dei procedimenti per magia e stregoneria istruiti dal tribunale mode-
nese nel periodo 1495-1523 è di 41, di cui 31 concentrati negli anni 1517-1520. Sull’at-
tività del tribunale modenese in questi decenni, e sui problemi della sua ricostru-
zione dovuti alle varie lacune della documentazione, cfr. A. Biondi, Lunga durata e
microarticolazione nel territorio di un Ufficio dell’Inquisizione : il «Sacro Tribunale» a
Modena (1292-1785), in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, VIII,
1982, p. 73-90; M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 16-33.
9
Su Sandri e sul suo coinvolgimento in attività stregonesche, cfr. A. Biondi,
Streghe ed eretici nei domini estensi all’epoca dell’Ariosto, in Il Rinascimento nelle corti
padane. Società e cultura, Bari, 1977, p. 165-201, p. 176-177; M. Duni, Tra religione e
magia cit., p. 179-180.
10
Cfr. M. O’Neil, «Sacerdote ovvero Strione» : Ecclesiastical and Supersticious
Remedies in 16th century Italy, in S. L. Kaplan (a cura di), Understanding popular
culture : Europe from the Middle Ages to the Nineteenth century, Berlin-New York-
Amsterdam, 1984, p. 53-83, in part. p. 59-60; D. Gentilcore, From bishop to witch
cit., p. 101-102.
11
Sulle veneziane «carte» e in generale sui biglietti magici e l’appropriazione
delle forme del sacro ecclesiastico da parte degli operatori della magia, vedi R. Mar-
tin, Witchcraft and the Inquisition in Venice 1550-1650, Oxford, 1989, p. 124-138;
.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 267
«bollettini» sembra essere stata, nella Modena del primo Cinquecento, una
delle mansioni che i fedeli più di frequente richiedevano ai preti, non solo
in quanto manipolatori del sacro, ma anche perché in possesso almeno dei
rudimenti della scrittura. Si può dire che in questa doppia abilità si trovi
espresso un aspetto importante dell’identità professionale dei sacerdoti,
messo in evidenza da tempo dai ricercatori, ossia quello di mediatori tra
sfere diverse, del soprannaturale e del terreno, da un lato, dell’oralità e del-
la scrittura, dall’altro12 : da tutto ciò discendeva certamente la centralità del
loro ruolo nelle pratiche magiche. Erano i preti soli a poter fornire ai fedeli
dei veicoli speciali dell’azione magica come i biglietti che recavano parole
sacre, variamente derivate dalle Scritture o dalla liturgia : Giovanna Spazzi
aveva avuto a quodam fratre un «bollettino» con nomina apostolorum scrip-
ta, che gli sarebbe servito per sedurre l’uomo amato13 ; il servita fra Bernar-
dino, denunciato nel 1518, ricorreva a biglietti che recavano quedam auc-
toritas Scripture per curare Margherita Pazzani dagli effetti di un malefi-
cio14 ; don Guglielmo Campana confessò nel 1517 di aver ceduto spesso alle
insistenze fastidiose di molte donne che si lamentavano di essere trascura-
te dal marito, scrivendo loro bigliettini contenenti formule devote come
«Sia pase intra il talle et la tale como fu tra Adam et Eva, Abram et Sara»15.
Altre volte, però, il biglietto poteva essere meno innocente, come quello
continentem orationem Epifanie che Campana aveva scritto col sangue
estratto dal dito della donna che voleva essere riamata16. Il confine tra pra-
tica devozionale e tecnica magica, insomma, era davvero labile, visto che
talvolta quest’ultima si presentava semplicemente come una versione parti-
colare di una preghiera o di un rito perfettamente lecito; e anche sacerdoti
più in buona fede dell’arcimago Campana, dotati com’erano di una prepa-
razione dottrinale quasi sempre molto rudimentale, potevano incontrare
G. Ruggiero, Binding passions. Tales of magic, marriage, and power at the end of the
Renaissance, Oxford-New York, 1993, p. 99-107.
12
Cfr. L. Allegra, Il parroco : un mediatore fra alta e bassa cultura, in R. Romano
e C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia. Annuali 4. Intellettuali e potere, Torino, 1981,
p. 895-947.
13
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Joannam Spa-
ciam maleficam, deposizione della moglie di Simone da Frignano, 15 dicembre 1522.
14
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra fratrem Bernardi-
num ordinis Servitorum et Gulielmum Campanam, deposizione di Margherita Pazza-
ni, 3 febbraio 1519.
15
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Processus completus
contra donum Guilielmum Campanam (d’ora in poi citato come Contra donum Gui-
lielmum Campanam), memoriale di don Guglielmo, 5 aprile 1517.
16
Contra donum Guilielmum Campanam, costituto di don Guglielmo, 17 gen-
naio 1517.
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268 MATTEO DUNI
grandi difficoltà a resistere alle richieste dei laici, che si attendevano da lo-
ro la risposta ad un bisogno fondamentale di protezione dalla sventura o
dalla malattia. In verità, non si trattava di una vera e propria contrapposi-
zione tra preti da una parte e fedeli dall’altra, in quanto entrambi i soggetti
condividevano largamente una stessa cultura e una stessa visione del fatto
religioso nella quale elementi centrali erano la fiducia nel potere materiale
della sacralità e il ricorso continuo ai suoi veicoli, comunque connotati,
fossero i sacramentali approvati nel Rituale della Chiesa o le loro infinite
versioni elaborate dalla creatività degli operatori non ufficiali.
Il risultato di questa solidarietà culturale profonda già nel primo Cin-
quecento appariva come un’inaccettabile deriva superstiziosa del culto agli
uomini più acuti del movimento di riforma della Chiesa. I due camaldolesi
veneziani Tommaso Giustiniani e Vincenzo Querini nel 1513 con il loro Li-
bellus ad Leonem X segnalavano all’attenzione del nuovo papa la diffusione
enorme di superstizioni come le tecniche curative basate su philateriis, bre-
vibus, characteribus, suspensionibus, carminationibus, execrationibus, va-
nissimisque verbis e lo incitavano a bandirle con la massima severità17. Ne-
gli stessi anni anche Gasparo Contarini esprimeva preoccupazioni analo-
ghe nel De officio episcopi (1517), arrivando a ritenere le superstizioni in
materia di fede una minaccia più grave dell’empietà per il cristianesimo18.
D’altra parte, i riformatori stessi erano coscienti che la causa prima di un
degrado così disastroso era da individuarsi proprio nei chierici, sprovvisti
di istruzione religiosa e imbevuti delle stesse credenze esecrabili del volgo.
Querini e Giustiniani scrivevano lapidariamente che i due mali più grandi
del popolo cristiano, ignorantia e superstitio, a religiosis hominibus initium
capiunt e da costoro si diffondono tra i credenti19.
Intanto però, a parte la denuncia lucida ed aspra che veniva dalle pun-
te più avanzate della gerarchia, al livello della parrocchia la vita religiosa si
presentava sotto la forma di un’integrazione sostanziale di magia e religio-
ne in quello che David Gentilcore, nella sua ricerca sulla Terra d’Otranto,
17
Libellus ad Leonem X, in Johannes Benedictus Mittarelli, Anselmus Costadoni,
Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti, Venetiis, apud Jo. Baptistam Pas-
quali, 1773-1775, vol. IX, coll. 685-686.
18
Cfr. G. Fragnito, Cultura umanistica e riforma religiosa : il De officio boni viri
ac probi episcopi di Gasparo Contarini, in Studi veneziani, XI, 1969, p. 75-189, ora in
Ead., Gasparo Contarini. Un magistrato veneziano al servizio della cristianità, Firenze,
1988, p. 79-211, in part. p. 209 : Maiori arbitror diligentia maiorique nixu extirpanda
est superstitio quam irreligiositas, quoniam hoc genere magis atque a pluribus pecca-
tur quam impietate, adeo ut saepenumero mihi christiani videantur gentilium religio-
nem imitari, in tantum a puritate divini cultus recessere.
19
Libellus ad Leonem X cit., col. 688.
.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 269
20
Cfr. D. Gentilcore, From bishop to witch cit., p. 1-19, in particolare 15-17.
21
Contra Joannam Spaciam maleficam cit., deposizione di Giovannea Spazzi, 29
dicembre 1522.
22
Contra donum Guilielmum Campanam, memoriale autografo di Campana, 5
aprile 1517.
23
Sono le espressioni usate da Crezia, fattucchiera pistoiese attiva a Lucca alla
fine del Cinquecento, riportate in E. Galasso Calderara e C. Sodini, Abratassà. Tre se-
coli di stregherie in una libera Repubblica, Lucca, 1989, p. 130-131.
.
270 MATTEO DUNI
24
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Anastasiam de
Cottigliano, costituto dell’11 ottobre 1519.
25
Cfr. G. Ruggiero, Binding Passions cit., p. 157-161, a proposito dell’integra-
zione dei remedia ecclesiae e dei rimedi di guaritori e «donne esperte», vista dagli
operatori popolari del Friuli tardo-cinquecentesco come una forma di cooperazione
proficua, non di conflitto.
26
Contra donum Gulielmum Campanam, memoriale di don Guglielmo, 5 aprile
1517.
27
La «carta vergine», pergamena così detta perché ricavata da capretti o agnelli
non maturi sessualmente attraverso complicati passaggi di essiccazione e di «purifi-
cazione» rituale, era usata nelle pratiche di magia cerimoniale, descritte in testi
come quelli discussi più sotto (vedi infra, p. 279-280).
28
Contra donum Guilielmum Campanam, memoriale di don Guglielmo, 5 aprile
1517; Contra Anastasiam de Cottigliano cit., costituto di Anastasia, 11 ottobre 1519.
29
Cfr. C. Ginzburg, Un letterato e una strega al principio del ’500 : Panfilo Sasso e
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IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 271
sorse tali doveva quindi essere improntato più alla collaborazione, che non
alla linea truffaldina che spesso contraddistingueva la condotta dei maghi,
i quali, come don Guglielmo, non esitavano a propinare «mille fole» ai
clienti importuni, spacciando loro per efficaci incantamenti fasulli 30.
La complessità della funzione rivestita dai religiosi all’interno del siste-
ma del sacro può essere colta in tutte le sue sfumature particolarmente nel
caso delle tecniche terapeutiche magico-religiose. Ci troviamo nuovamente
di fronte al frutto della visione della Chiesa e dei suoi riti come fonte di po-
tere materiale, propagata del resto dalle stesse gerarchie, che a partire da
san Bonaventura avevano paragonato i sacramenti alle medicine, in quan-
to unici strumenti capaci di curare realmente l’uomo, anima e corpo 31. Il
segno della croce fatto sulla parte malata («segnare»), il leggere il Vangelo
sopra il paziente, l’uso di «brevi» con brani delle Scritture, erano sacra-
mentali ammessi e largamente usati dagli ecclesiastici, ai quali ricorrevano
spessissimo malati soprattutto di condizione modesta, non in grado di pa-
gare un medico 32. Dalle devozioni lecite alle pratiche paracanoniche il pas-
so era brevissimo : l’influenza delle tradizioni demoiatriche, l’incertezza
dottrinale e la creatività individuale dei singoli sacerdoti contribuivano a
modificare i riti della Chiesa, dei quali peraltro mancava una versione uni-
ca ed approvata dall’autorità ecclesiastica 33. Significativa in tal senso è la
oratio Sancti Cypriani che Campana racconta di aver usato per curare i ma-
lati, dopo averli segnati con una candela benedetta 34 : si trattava di una
preghiera assai diffusa, descritta anche in alcuni libri liturgici disponibili
ai primi del Cinquecento come uno strumento efficace per la liberazione
.
272 MATTEO DUNI
degli indemoniati 35. Non sappiamo quale fosse il testo della preghiera usa-
to da don Guglielmo; tuttavia, le caratteristiche che essa poteva presentare
in certe versioni la avvicinavano molto ad una contro-fattura o ad uno
scongiuro :
[...] se factura o malia legatura diabolica facta per alchuna mala femina in
ferro, in rame, in piombo, in stagno, oro, ariento o in qualunque metallo fussi
facta, o se fussi facta in filato di lino o d’accia, seta, filogello, in bocca di mor-
to, in ossa d’animali, in pietre, in legno, in erbe, in pesce, in animali di dua piè
o di quatro piè, d’ucegli o d’altri volatili, in scriptura, in prieta di sipultura, in
lingua greca o ebraica o latina, in fonte in mare o in aqua, se fussi facta sopra
uscio o sotto uscio [...] in dividimento di vie di dua o di tre o di quatro, tucte
queste cose fieno disfacte et disciolte dalla serva di Dio N. o di qualunque per-
sona che sopra di sé porterà questa oratione o saragli lecta 36.
35
Si veda in G. Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controrifor-
ma, Firenze, 1990, p. 131, un caso di uso, con finalità magico-terapeutiche, dell’ora-
zione di San Cipriano da parte di un guaritore friulano della fine del Cinquecento.
Sulla circolazione e l’utilizzo di preghiere del genere, non autorizzate dalle autorità
religiose post-tridentine cfr. M. P. Fantini, La circolazione clandestina dell’orazione di
Santa Marta : un episodio modenese, in G. Zarri (a cura di), Donna, disciplina, crean-
za cristiana dal XV al XVII secolo. Studi e testi a stampa, Roma, 1996, p. 45-65.
36
Liber cathecumini, impressum Florentiae per presbiterum Michaelangelum Bla-
sii de Emporio, 1495, cc. 76v-94r : la preghiera di San Cipriano fa parte, in questo vo-
lume, dell’Exorcismus sive adiuratio Sancti Ambrosii super demoniacum (Biblioteca
nazionale centrale di Firenze, B. Rari 134). Un esempio di testo con caratteristiche
analoghe, come l’elencazione – in questo caso – delle parti del corpo da guarire, si
può vedere in un brevissimo libro di esorcismi, la Coniuratio malignorum spirituum,
Roma, Stephan Plannck, 1492 ca. (Biblioteca Casanatense di Roma, Inc. 1289, c. 2v :
Obsecro te, domine Ihesu Christe, ut extrahas omnes languores ab omnibus membris
huius homini : a capite a capillis a cerebro a fronte ab ocullis ab auribus a naribus ab
ore a lingua a dentibus a faucibus a gutture a collo a dorso a pectore [...]).
37
Contra donum Guilielmum Campanam, deposizione di don Guglielmo, 17
gennaio 1517. Le tradizioni folkloriche attribuivano al latte di Maria un potere note-
vole, come testimonia, tra gli altri, il processo lucchese del 1589 contro una fattuc-
chiera, «la Veneziana», che ricorreva all’«orazione di San Daniello», nella quale il
santo veniva invocato «per quelo santo late che dete la Vergine Maria al suo unicho
figlio» (E. Galasso Calderara e C. Sodini, Abratassà cit., p. 63).
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IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 273
La tecnica terapeutica del prete era in casi come questo del tutto identica a
quella del guaritore popolare, consistendo, da un lato, in una sequenza or-
dinata di atti fondati sulla cosiddetta «magia delle punte», dall’altro, in for-
mule di contenuto devoto basate sul principio del «come ... così» 38. L’uo-
mo di Chiesa, insomma, si trovava ad operare sul terreno della guarigione
accanto alle altre figure che al tempo vi erano attive, professionali o semi-
professionali che fossero : dalle «donne esperte» ai guaritori, agli empirici
e agli speziali, fino ai medici di formazione accademica 39. Se non i presup-
posti teorici della visione della malattia, certo i metodi terapeutici av-
vicinavano spesso tutti questi diversi operatori, disposti, in grado variabile
e per ragioni differenti, ad ammettere l’efficacia di rimedi che potevano
agire per vie occulte e sostanzialmente magiche 40.
La vicinanza, nella pratica quotidiana, tra i vari addetti alle tecniche
curative manteneva aperti i canali di comunicazione tra livelli di cultura
difformi, dando luogo a frequenti interazioni. Nella Modena cinquecente-
sca le fattucchiere come Giulia da Bologna e Costanza detta «Barbetta»
erano assidue clienti degli «aromatarii», cioè degli speziali, dai quali acqui-
stavano l’«argento vivo» per le malie d’amore 41. Ma le stesse botteghe erano
frequentate dai preti, anch’essi alla ricerca di ingredienti e consigli per le
loro attività : don Campana dichiarava di somministrare medicamenti na-
turali ai maleficiati, ma soltanto dopo aver consultato medicum seu aroma-
tarium 42. Grazie ai suoi contatti con la cultura medica ufficiale, egli doveva
essersi dotato di un bagaglio di nozioni, che gli permettevano di abbozzare
con una certa sottigliezza diagnosi non rudimentali di alcuni disturbi : Ca-
terina da Reno, che la fama pubblica indicava come vittima di un maleficio
38
Molti rimedi dell’armamentario dei guaritori popolari erano basati sulla «ma-
gia delle punte», che prevedeva l’impiego di strumenti appuntiti quali armi simbo-
liche rivolte contro il dolore o la malattia : cfr. A. Pazzini, La medicina popolare in
Italia. Storia tradizioni leggende, Trieste, 1948, p. 153. Cfr. invece E. de Martino, Sud
e magia, Milano, 19662, p. 96-97, 104, a proposito di questo tipo di «historiole», defi-
nite un «rituale metastorico di cancellazione» della negatività della situazione pato-
logica o esistenziale.
39
Cfr. P. Burke, Il rituale dei guaritori, in Id., Scene di vita quotidiana nell’Italia
moderna, Roma-Bari, 1988, p. 259-277; D. Gentilcore, From bishop to witch cit.,
p. 129-131; vedi anche dello stesso D. Gentilcore, Medical pluralism in the kingdom of
Naples, in Id., Healers and healing in early modern Italy, Manchester, 1998, p. 1-21.
40
Cfr. D. Gentilcore, Medical pluralism cit., passim, per un’analisi più articolata
delle diverse teorie e pratiche terapeutiche disponibili nella prima età moderna.
41
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Constantiam Bar-
bettam, deposizione di Laura Betocchia, 29 dicembre 1518/19 (stile della Natività).
42
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di don Campana, 17 gen-
naio 1517.
.
274 MATTEO DUNI
scagliato proprio dal prete, secondo lui invece avrebbe sofferto di humor
melenconicus et matrix 43. In questo caso Campana dimostra di conoscere
sia il collegamento tra la patologia dell’utero – il «malum de matrice» – e la
melanconia, sia la somiglianza dei sintomi dell’affatturamento e della pos-
sessione a quelli della melanconia 44. La conoscenza di tali nessi, definiti da
un’importante e secolare discussione nell’ambito della cultura medico-filo-
sofica, è indice del fatto che un sacerdote poteva collocarsi su di un livello
di consapevolezza diverso rispetto a quello degli altri operatori non ufficia-
li del campo terapeutico, che certo riconoscevano e trattavano il «male del-
la matrice», ma senza ricondurne le cause agli squilibri umorali secondo la
tradizione ippocratico-galenica 45. A differenza dei guaritori, legati al sapere
orale della cultura popolare, il prete poteva accedere perlomeno ad alcune
delle diverse espressioni della cultura accademica, forse anche per il trami-
te dei libri «di secreti», sorta di guide tecnico-pratiche di varie materie, tra
cui la medicina, che ebbero grande diffusione nel Cinquecento 46. Ma non
erano tanto questi i fattori che rendevano i chierici concorrenziali nei con-
43
Ivi, deposizione di don Campana, 22 gennaio 1517.
44
Sul «male della matrice», antesignano dell’isteria, e sulla sua connessione con
la melanconia e la possessione, cfr. O. Niccoli, Il corpo femminile nei trattati del Cin-
quecento, in G. Bock e G. Nobili (a cura di), Il corpo delle donne, Ancona, 1988, p. 24-
43, in part. p. 32-35; D. P. Walker, Possessione ed esorcismo. Francia e Inghilterra fra
Cinque e Seicento, Torino, 1984 (ed. or. Londra, 1981), p. 3-22; un quadro generale
della questione in J. Céard, Folie et démonologie au XVIe siècle, in Folie et déraison à
la Renaissance, Bruxelles, 1976, p. 129-147; per la storia dell’umore melanconico nel
pensiero medico-filosofico il rimando è naturalmente a R. Klibansky, E. Panofsky e
F. Saxl, Saturno e la melanconia. Studi di storia della filosofia naturale, religione e
arte, Torino, 1983 (ed. or. Londra, 1964), p. 7-115, e in particolare le p. 73, 88-89 per
quanto riguarda il problema del rapporto melanconia/possessione.
45
Cfr. G. Ruggiero, Binding passions cit., p. 148-149; G. Pomata, La promessa di
guarigione. Malati e curatori in Antico Regime. Bologna XVI-XVIII secolo, Roma-Bari,
1994, p. 158-160, segnala come la pratica terapeutica delle «comari», figure semi-
professionali riconosciute anche negli statuti del collegi medici, fosse segnata dalla
loro specificità sessuale : ossia si rivolgesse alle donne, e per lo più nei disturbi tipi-
camente femminili come il «male della matrice». G. Romeo, Esorcisti, confessori e
sessualità femminile nell’Italia della Controriforma. A proposito di due casi modenesi
del primo ’600, Firenze, 1998, p. 116-120, analizza il conflitto tra le credenze popolari
sul «male» e le sue cure, e l’atteggiamento della Chiesa della Controriforma al ri-
guardo, rilevando peraltro la persistenza anche tra gli ecclesiastici del ’600 di atteg-
giamenti «anomali» al riguardo.
46
Cfr. in generale W. Eamon, Science and the secrets of nature. Books of secrets
in medieval and early modern culture, Princeton, 1994, passim; R. Taiani, «L’esperien-
za vincitrice» : conoscenze e culture a confronto nei libri dei segreti dei secoli XVI-
XVIII, in O. Besomi e C. Caruso (a cura di), Cultura d’élite e cultura popolare nell’arco
alpino fra Cinque e Seicento, Basilea-Boston-Berlino, 1995, p. 367-391.
.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 275
fronti sia dei medici sia delle «signore delle erbe», quanto, nuovamente, la
loro peculiare funzione di mediatori tra il sacro e il mondo materiale, di-
spensatori della potenza divina e quindi antagonisti delle forze negative
che mettevano a rischio la salute dei cristiani, in primis il diavolo e i suoi
alleati umani, fattucchiere e stregoni.
In effetti, quando si sospettava che una malattia non avesse un’origine
naturale, ma dipendesse da un maleficio, il ricorso al sacerdote era di soli-
to la scelta più praticata. Il male appariva in questi casi come una presenza
estranea, aggressiva, e il linguaggio rifletteva l’idea che avesse invaso il cor-
po del paziente : ad esempio, di domina Caterina da Reno si diceva in tutta
Modena che fosse detencta, cioè occupata, da un male che non era natura-
le, e quindi fosse infirma aut aliter affatturata 47. L’ammalato e i suoi parenti
alla ricerca di una cura potevano rivolgersi in successione ai diversi opera-
tori, dato lo scenario di pluralismo dei sistemi terapeutici 48. Prima di recar-
si da don Campana, Lucrezia Pasini in diciotto anni di malattia aveva pro-
vato plurima rimedia, ma senza successo : nunquam sanari nec liberari po-
tuit, dichiarava nel 1517 49 ; nel 1531 due medici avevano visitato Maddalena
Ferrari di Spezzano, colpita da un male che l’aveva prosciugata come un
pezzo di legno, e il secondo le aveva detto candidamente che doveva andare
ad strionem per esserne «liberata» 50. L’alternativa allo «strione» era il pre-
te 51; d’altra parte, se si diceva che la malattia «possedeva» il corpo malato,
e che il paziente voleva esserne «liberato», è perché si vedeva un paralleli-
smo chiaro tra la malattia e la possessione diabolica, e dunque un’analogia
tra la cura e l’esorcismo. Si credeva comunemente, del resto, che la posses-
sione potesse essere causata anche da un maleficio; ed era quindi necessa-
rio l’intervento del prete per disfarlo con gli strumenti della Chiesa 52. A Mo-
47
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Pellegrina Guidotti, 4
gennaio 1517; sulla malattia come presenza estranea aggressiva cfr. J.-C. Schmitt,
Religione e guarigione nell’Occidente medievale cit., in particolare p. 290-291.
48
Cfr. F. Lebrun, Se soigner autrefois. Médecins et saints et sorciers aux XVIIe et
XVIII siècles, Paris, 1983, p. 7-9, 93-103; G. Pomata, La promessa di guarigione cit.,
e
.
276 MATTEO DUNI
.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 277
un lato, nella sua stessa posizione egemonica all’interno del campo magi-
co-religioso, o meglio, nei modi della sua esplicazione, che dovevano inne-
scare dinamiche di rivalità e contrapposizione nei confronti degli altri
«operatori» nel campo 56 ; dall’altro, nei suoi comportamenti, che destabiliz-
zavano gli equilibri comunitari e alimentavano e inasprivano le tensioni
potenziali con i «concorrenti». Tali erano certamente le vanterie insistite
della sua superiorità stregonesca : «Ve’ tu, altro che Dio non potirà guarire
tua madona, salvo che mi», aveva detto alla cameriera di Caterina da Reno,
mostrandole un pupazzo di cera, trafitto di spilli, che raffigurava la sua pa-
drona 57. Quel che doveva apparire più grave, era che egli approfittasse della
sua supremazia per pretendere da diverse donne la soddisfazione di un ap-
petito sessuale inesauribile (evidentemente non appagato dalle sue due
concubine), sotto il ricatto di ritorsioni terribili. Più volte aveva molestato
Lucrezia Pasini (sepe et sepius ipse presbiter ipsam mulierem requisivit et in-
terpelavit ad peccandum cum ea), arrivando a importunarla durante l’esor-
cismo di un’altra donna nella cripta del duomo e minacciando di farla «in-
spirtare» se non avesse ceduto. Aveva rivendicato chiaramente la responsa-
bilità della malattia di Lucrezia, dovuta al rifiuto alle sue «avances», e si
era vantato della potenza del maleficio : «[...] Che crede ti, che t’habia gua-
sto io? Son sta’ mi, et non tuo cugnà, perché queste cose [scil. la fattura]
non se pono [possono] far senza capi chericati. Et questo ho facto per gran-
do amore che io <ho> voluto a ti» 58. Se solo un caput clericatum, ossia un
chierico di un certo rango, poteva scagliare un maleficio del genere, chi ne
era stato colpito doveva per forza rivolgersi ad un altro operatore di pari li-
vello nella gerarchia delle diverse figure detentrici dei poteri malefici-tera-
peutici. Lucrezia infatti si era rivolta a don Giovanni Albrisi, massaro del
Capitolo, nonché negromante esperto 59. Naturalmente le gelosie e le inimi-
56
Sulla nozione di «campo religioso» e sulle dinamiche tra i vari operatori (sa-
cerdoti, stregoni, «profeti») al suo interno, il riferimento è a P. Bourdieu, Genèse et
structure du champ religieux, in Revue française de sociologie, XII, n. 3, 1971, p. 295-
334.
57
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Pellegrina Guidotti, 4
gennaio 1517.
58
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Lucrezia «Gotola» Pa-
sini, 13 gennaio 1517. L’espressione «capi chericati» corrisponde probabilmente al
latino «capita clericata», che secondo C. Du Cange, Glossarium mediae et infimae
Latinitatis, Graz, 1974 (rist. anastatica dell’edizione del 1883-87), vol. II, s.v. «caput»,
significa «praecipui ex clero».
59
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Lucrezia «Gotola» Pa-
sini, 13 gennaio 1517. Don Giovanni Albrisi, massaro del Capitolo modenese, ricoprì
l’incarico di esorcista della cattedrale dopo Campana, del quale peraltro condivideva
gli interessi per la magia (cfr. M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 177-178).
.
278 MATTEO DUNI
60
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Lucrezia «Gotola» Pa-
sini, 13 gennaio 1517 : don Albrisi aveva detto quod non posset nec potest ipsam mu-
lierem liberare, quia donus Guielmus incantavit et alligavit super personam ipsius mu-
lieris spirtum de Staroto.
61
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra fratrem Bernadi-
num ordinis Servitorum et Gulielmum Campanam, deposizione di Vincenzo Ma-
roverti, 22 dicembre 1518.
62
Sulla famiglia di don Campana, vedi M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 51-
55.
.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 279
63
Su questo genere di letteratura cfr. L. Thorndike, A history of magic and expe-
rimental science, New York, 1929-1958, II, p. 279-80; E. Garin, Magia e astrologia nel-
la cultura del Rinascimento, in Id., Medioevo e Rinascimento. Studi e ricerche, Roma-
Bari, 19734, p. 150-159, 151; Id., Considerazioni sulla magia, in Medioevo e Rinasci-
mento cit., p. 159-176; P. Zambelli, Il problema della magia naturale nel Rinasci-
mento, in Ead., L’ambigua natura della magia. Filosofi, streghe, riti nel Rinascimento,
Milano, 1991, p. 121-152, in part. p. 129, 135-137; G. Federici Vescovini, Stregoneria e
magia cerimoniale nei secoli XIII e XIV, in G. Bosco e P. Castelli (a cura di), Stregone-
ria e streghe nell’Europa moderna, Roma, 1996, p. 23-47, in part. p. 25-27; sulla Clavi-
cula Salomonis, uno dei testi più noti e diffusi del genere, e in generale sull’uso dei li-
bri di magia cerimoniale da parte di «maghi» di livello popolare, cfr. F. Barbierato,
Il testo impossibile : la Clavicula Salomonis a Venezia (secoli XVII-XVIII), in Annali
della Fondazione Luigi Einaudi, XXXII, 1998, p. 235-284.
64
Carafoli, curato di Santa Maria delle Assi, fu processato nel 1519 : ASMo, In-
quisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra D. Joaninum Carapholum, depo-
sizione di Carafoli, 10 febbraio 1519 (cfr. infra, p. 284). Don Giovannino era anch’egli
dedito alle stregherie insieme ad una sua concubina, Bartolomea Carpesani, sorella
della fattucchiera Dorotea, processata nel 1519.
65
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. I, deposizione di Bernardi-
na Stadera, 2 dicembre 1499.
66
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizioni di don Guglielmo rispetti-
vamente del 17 gennaio e del 12 marzo 1517. Il documento della sostituzione di don
Guglielmo con un terzetto di sacerdoti tra i quali don Albrisi è in ASMo, Notarile di
Modena, Serie dei Notai, Mirandoli Jacopo, b. 1485, atto n. 539, 10 marzo 1517, che ri-
porta una decisione del Capitolo della cattedrale. Cfr. M. O’Neil, «Sacerdote ovvero
Strione»... cit., p. 62-66, p. 74, per il caso analogo di un esorcista della cattedrale,
don Teofilo Zani, processato per pratiche magiche nel 1582.
.
280 MATTEO DUNI
67
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra fratrem Bernardi-
num, deposizione di Giovanni Magnani, 30 dicembre 1519.
68
Cfr. M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 228-230.
69
Cfr. R. Kieckhefer, La magia nel Medioevo, Roma-Bari, 1993 (ed. or. Cambrid-
ge, 1990), p. 217-220.
70
Contra donum Guilielmum Campanam, deposizione di don Guglielmo, 31
marzo 1517, che dichiara di aver usato le coniuractiones solitas fieri in Sancto Gemi-
niano de spirtibus diabolicis per interrogare lo spirito diabolico familiare.
71
Cfr. al proposito le considerazioni di J.-M. Sallmann, Chercheurs de trésors et
jeteuses de sorts. La quête du surnaturel à Naples au XVIe siècle, Parigi, 1986, p. 156-
170, e in particolare p. 159-160 sulle caratteristiche dei maghi alfabetizzati a Napoli
nel ’500; per l’ambiente modenese, cfr. M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 172-182.
.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 281
72
Sullo stato della diocesi di Modena, che, come moltissime altre città italiane,
attraversò il periodo di più profonda crisi dell’istituto vescovile tra la fine del Quat-
trocento e i primi decenni del Cinquecento, cfr. S. Peyronel Rambaldi, Speranze e
crisi nel Cinquecento modenese. Tensioni religiose e vita cittadina ai tempi di Giovanni
Morone, Milano, 1979, p. 29-51, 101-122, e passim.
73
Si tratta del processo completo a carico di Campana (1517) e del procedi-
mento incompleto contro il servita fra Bernardino (1518), mentre il processo contro
don Carafoli (1519) – il quale, pure, era coinvolto in malie e fatture – non è propria-
mente per stregoneria. Per quanto riguarda il tribunale episcopale, se ho visto bene,
nelle filze del fondo Curia vescovile si trova soltanto un processo a carico di un sacer-
dote per pratiche magico-superstiziose relativo ai primi tre decenni del secolo (cfr.
ASMo, Curia vescovile, Attuari, Mirandoli Giacomo, Processi, b. 4, Contra donum
Franciscum Passarinum, 1518).
.
282 MATTEO DUNI
74
Sul concetto di superstitio nella riflessione teologica cfr. E. Teetaert, Super-
stition, in Dictionnaire de théologie catholique, Parigi, 1903-1972, XIV, coll. 2763-
2824; Mary R. O’Neil, Superstition, in M. Eliade (a cura di), History of religions, New
York, 1987, XIV, p. 163-166. Nel mio studio Tra magia e religione cit., p. 66-75, 87-90,
109-110, ho svolto un’analisi più ampia e approfondita dell’applicazione del concetto
di «superstitio» nella prassi inquisitoriale nel caso del processo contro Campana, il
più complesso del primo Cinquecento modenese. Studi recenti indicano che un to-
mismo saldo e uno scetticismo prudente nei confronti del fenomeno stregonesco fu-
rono tipici dell’approccio anche di altri tribunali ecclesiastici, come l’Inquisizione
portoghese : si veda l’importante lavoro di J. P. Paiva, Bruxaria e superstição num
país sem «caça às bruxas». 1600-1774, Lisboa, 1997, p. 47-57, 361-363.
75
Cfr. R. Martin, Witchcraft and the Inquisition in Venice cit., p. 71; J. P. Paiva,
Bruxaria e superstição cit., p. 57.
76
Cfr. Nicolaus Eymericus, Directorium inquisitorum Fratris Nicolai Eymerici
Ordinis Praedicatorum, cum commentariis Francisci Pegnae, Venezia, apud Marcum
Antonium Zalterium, 1607, «De invocantibus daemones», p. 338-343, in part. p. 343 :
l’inquisitore deve appurare attentamente quod in invocationibus daemonum, ad peti-
tionem est acutius attendendum : nam si petitur quod excedit daemonis facultatem, ut
sunt futura, a Dei vel hominis arbitrio mere dependentia vel voluntate [...] vel homi-
nem cogere ad peccatum, & similia; et tunc ex huiusmodi petitione haeretici iudican-
tur : quia protestantur se credere daemonem fore Deum. Il Directorium inquisitorum,
scritto dall’Inquisitore Generale del regno di Aragona Eymeric nel 1376, fu stampato
per la prima volta nel 1503 e fu ripubblicato numerose volte fino al XVIII secolo, di-
ventando il principale manuale degli inquisitori (molto importanti le edizioni ro-
mane del 1578 e 1585, curate dall’eminente canonista spagnolo Francisco Peña : cfr.
A. Borromeo, A proposito del Directorium inquisitorum di Nicolas Eymerich e delle
sue edizioni cinquecentesche, in Critica storica, XX, 1983, p. 499-547).
.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 283
77
Cfr. Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di don Guglielmo, 12
marzo 1517 : dichiara di aver interrogato il diavolo costringendolo a rispondergli
exorcismis solitis contra demones.
78
Contra donum Gulielmum Campanam, «Processus» (ossia elenco delle colpe
confessate da Campana), 5 aprile 1517.
79
Cfr. le considerazioni di R. Martin, Witchcraft and the Inquisition cit., p. 148-
160, 189-191, a proposito dell’atteggiamento più severo (ma sempre sulla stessa linea)
dell’Inquisizione veneziana nella seconda metà del Cinquecento : l’uso di oggetti le-
gati al culto da parte di maghi e fattucchiere induce sempre i giudici a sospettare l’a-
dorazione del diavolo e quindi l’eresia.
80
Cfr. M. O’Neil, Magical healing, love magic and the Inquisition in late sixteenth-
century Modena, in S. Haliczer (a cura di), Inquisition and society in early modern eu-
rope, Londra-Sidney, 1987, passim; G. Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe cit.,
p. 176-180, 201 s.; A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori confessori missio-
nari, Torino, 1996, p. 368-417.
.
284 MATTEO DUNI
ben maggiore, era costituito dall’integrazione del clero locale nei rapporti
di tipo politico-clientelare attraverso i quali l’élite ecclesiastica governava
la diocesi : quando era necessario, gli esponenti di quella élite fornivano
una difesa molto efficace contro le ingerenze di poteri esterni, come ap-
punto il tribunale dei domenicani. Un esame anche solo superficiale dei ra-
rissimi processi contro i preti modenesi mette in luce la rete di protezioni
che difendeva le loro attività multiformi. Tralasciando il caso di don Cam-
pana, il quale grazie all’aiuto del vicario vescovile ottenne una sentenza
molto mite e riuscì poi a farla annullare dalla Penitenzieria Apostolica 81,
sarà sufficiente ricordare don Giovannino Carafoli, curato di Santa Maria
delle Assi. Incriminato dall’inquisitore Bartolomeo Spina non tanto per i
suoi interessi verso la necromanzia, quanto per l’espressione pubblica del
suo dissenso verso la condanna di don Campana, e soprattutto per la sua
ostilità verso il clero regolare e i suoi poteri, Carafoli rifiutò di presentar-
si 82. Il vicario della diocesi, lungi dal riprenderne la condotta, mandò dal-
l’inquisitore il notaio del vescovato a presentare una «protestatio» del Ca-
rafoli, che avanzava pesanti dubbi sull’equità del tribunale 83. Il procedi-
mento si concluse con la condanna ad una penitenza lievissima.
Perseguire sacerdoti, evidentemente, non era affatto consigliabile per
il tribunale della fede, ancora troppo debole ai primi del Cinquecento nel
confronto con i poteri che dominavano la Chiesa. Qualsiasi tentativo di col-
pire la commistione di magia e religione che si coglieva nelle attività di tan-
ti esorcisti-stregoni si risolveva in un nulla di fatto, se non andava addirit-
tura contra honorem officii inquisitionis e in obbrobrium fidei, come scrisse
lo sfortunato giudice che aveva processato Campana 84. Significativamente,
81
Cfr. M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 120-134.
82
Don Giovannino fu citato da Spina per aver dichiarato che l’Inquisizione ave-
va commesso iniustitiam contro don Campana, condannandolo pubblicamente
propter bubulas et res minimi momenti. Fu condannato per aver sostenuto dal pulpi-
to l’opinione eretica quod parrochiani non possunt confiteri religiosis, generalem li-
centiam audiendi confessiones habentibus, sine speciali licentia sui curati vel episcopi;
et qui sine licentia ista, ut prefertur, confessi sunt religiosis, tenentur iterum confiteri
suo curato, alias non sunt absoluti (Contra D. Joaninum Carapholum cit., deposi-
zione di fra Aurelio da Lodi, 9 febbraio 1519; vedi al riguardo S. Abbiati, A proposito
di taluni processi inquisitori modenesi del primo Cinquecento, in Bollettino della So-
cietà di studi valdesi, n. 146, 1979, p. 101-118).
83
Carafoli dichiarava che nolebat comparere ne forte sibi accideret aliquid mali,
sicut et quibusdam accidisse novit et forte contra iustitiam per vicarium Inquisitionis
et in conventu Sancti Dominici ministratum et patratum (Contra D. Joanninum Cara-
pholum cit., deposizione di ser Jacopo Mirandoli, notaio del vescovato, 9 febbraio
1519).
84
Si tratta delle espressioni usate da frate Antonio da Brescia, vicario dell’Inqui-
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IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 285
Matteo DUNI
sizione di Modena tra 1516 e 1518, a proposito della trasgressione da parte di don
Campana delle pene impostegli dal tribunale della fede (non si trattava, peraltro, di
una trasgressione vera e propria, dato che il prete aveva ottenuto l’assoluzione piena
dalle condanne a seguito della sua supplica alla Penitenzieria Apostolica) : ASMo,
Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, 21 febbraio 1518.
85
Se abbiamo visto bene, nessun religioso risulta esser stato processato per ma-
gia o stregoneria dall’Inquisizione modenese dal 1518 (fra Bernardino) al 1582 (don
Teofilo Zani). Per la verità, negli Elenchi di denunciati «delati» e abiuranti (sec. XVI)
(ASMo, Inquisizione, b. 1, fasc. VI) vi sono scarne menzioni di religiosi denunciati :
nel 1561 ad esempio si registrano tre preti qui curent maleficiis affectas (ibid., c. 30r).
Ma non sembra che queste denunce siano mai state seguite da indagini formali.