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Mélanges de l'École française

de Rome. Italie et Méditerranée

Esorcisti o stregoni ? Identità professionale del clero e


Inquisizione a Modena nel primo Cinquecento
Matteo Duni

Riassunto
Il presente contributo si concentra anzitutto sul carattere composito della cultura e dell’identità professionale dei chierici
della prima età moderna, i quali mescolavano ai riti della Chiesa le più varie operazioni magiche, ma studia anche il
rapporto complesso che intercorreva tra tali preti e le richieste e le aspettative dei fedeli – che non sembrano vedere un
contrasto nella compresenza, in una stessa persona, dei ruoli dello stregone, dell’esorcista esperto e del sacerdote
modello nell’officiare i riti – e infine, la risposta delle istituzioni ecclesiastiche alla devianza diffusa del basso clero,
attraverso soprattutto gli strumenti di controllo e repressione come il tribunale dell’Inquisizione.

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Duni Matteo. Esorcisti o stregoni ? Identità professionale del clero e Inquisizione a Modena nel primo Cinquecento. In:
Mélanges de l'École française de Rome. Italie et Méditerranée, tome 115, n°1. 2003. Représentation et identité en Italie
et en Europe (XVe–XIXe siècle) pp. 263-285;

doi : https://doi.org/10.3406/mefr.2003.9998

https://www.persee.fr/doc/mefr_1123-9891_2003_num_115_1_9998

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MEFRIM – 115 – 2003 – 1, p. 263-285.
MATTEO DUNI

ESORCISTI O STREGONI?
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO
E INQUISIZIONE A MODENA NEL PRIMO CINQUECENTO

Alla fine dell’ottobre del 1541, il notaio modenese Tommasino de’ Bian-
chi, detto Lancellotti, registrava nella sua Cronaca degli avvenimenti citta-
dini la morte di don Guglielmo Campana, ricordando gli aspetti salienti
della personalità di quel prete davvero singolare :
Morì el venerabile don Guielmo di Campana preto modoneso vechio de
anni 80 o circa, el quale era mansonario et capelano della capella de Santo
Michelo in Modona; lui non era molto dotto, ma era sufficentissimo preto nel
scunzurare li spiriti maligni, al quale già ge fu aposto havere fatte certe mate-
rie de incantamenti, per havere femine, perché era homo robusto e galiardo
vechio, e più quando era giovine, et li frati de Santo Dominico ge procedette-
no contra, et in publico nella chiesa de Santo Dominico fu mitriato et absolto,
e fu in pericolo di perdere li benefitii, pur promisse de emendarse, e di poi re-
nontiò li soi benefitii a uno suo nepote con regresso el quale tolse poi mogliere
e besognò ch’el spendesse ancora delli scuti a fare cunzare quello regresso, et
impignò li benefitii per havere dinari [...] Questo [...] religioxo era bello
homo, et al presente daben, e sufficientissimo sacerdote per intonare il canto
fermo, cantare evangelii e fare altre cerimonie della giesia, e diceva benissimo
messa, e detta giesia ne haverà grande besogno per molti mesi, inante che al-
tri habiano quelle pratiche, e cussì Dio habia misericordia dell’anima sua.
Amen1.

1
Cfr. Tommasino Bianchi detto de’ Lancellotti, Cronaca modenese, a cura di
C. Borghi, L. Lodi e G. Ferrari Moreni, Parma, 1862-1884 (Monumenti di storia pa-
tria delle province modenesi e parmensi. Serie delle cronache, II-XIII), VII, p. 153-154.
A proposito di don Guglielmo Campana, figura eccezionale nel panorama della vita
religiosa modenese del primo Cinquecento, mi permetto di rinviare al mio studio Tra
religione e magia. Storia del prete modenese Guglielmo Campana (1460?-1541), Firen-
ze, 1999 (Studi e testi per la storia religiosa del Cinquecento, 9). Su Lancellotti e la sua
Cronaca modenese, documento straordinario di cinquant’anni di vita cittadina (1504-
1554), si vedano A. Biondi, Tommasino Lancellotti, la città e la chiesa a Modena
(1537-1554), in Contributi, Biblioteca municipale «A. Panizzi», II, Reggio Emilia,
1978, p. 43-61; R. Memeo, Tommasino Lancellotti, un cronista modenese del ’500 tra

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Lo sguardo gettato dal grande cronista a ripercorrere la vita di don


Campana mette a fuoco efficacemente alcuni dei temi principali di questo
contributo : anzitutto il carattere composito della cultura e dell’identità
professionale dei chierici della prima età moderna, i quali mescolavano ai
riti della Chiesa le più varie operazioni magiche; ma anche il rapporto
complesso che intercorreva tra tali preti e le richieste e le aspettative dei fe-
deli che, come il pio (e per molti versi bigotto) Lancellotti, non sembrano
vedere un contrasto nella compresenza, in una stessa persona, dei ruoli
dello stregone, dell’esorcista esperto e del sacerdote modello nell’officiare i
riti; infine, la risposta delle istituzioni ecclesiastiche alla devianza diffusa
del basso clero, attraverso soprattutto gli strumenti di controllo e repres-
sione come il tribunale dell’Inquisizione, che nella Modena dei primi del
Cinquecento condannò don Campana.
Quel che a noi adesso appare come una peculiarità della fisionomia
culturale e professionale di quei (non pochi) religiosi che, come Guglielmo
Campana, dicevano messa e praticavano la stregoneria senza reale soluzio-
ne di continuità, era anzitutto un riflesso di un aspetto più generale del fe-
nomeno religioso tra tardo medioevo e prima età moderna, ossia la dimen-
sione sostanzialmente magica nella quale il cristianesimo era vissuto o, per
meglio dire, l’inesistenza, agli occhi della gran parte dei fedeli, di confini
netti tra la sfera della religione e quella della magia. Come ormai sappiamo
dagli studi aperti dalla grande ricerca di Keith Thomas, nella visione del
popolo di Dio la Chiesa era soprattutto un ricettacolo di poteri soprannatu-
rali che potevano essere sfruttati per le evenienze e i bisogni più vari della
vita quotidiana, non certo solo quelli spirituali; il sistema dei riti, dei sacra-
menti e dei sacramentali era lo strumento che metteva quella potenza a di-
sposizione dei fedeli, che riponevano piena fiducia nel carattere automati-
co della sua efficacia 2. La valenza magica del rituale ecclesiastico era tal-
mente evidente, da indurre i laici a frequenti appropriazioni di parole,
luoghi e oggetti legati al culto per diverse pratiche caratteristiche della ma-
gia popolare, scongiuri amorosi, rimedi terapeutici.
Le carte inquisitoriali modenesi, non diversamente da quelle di altri

eresia e ortodossia, in Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere «La


Colombaria», LIX, n.s. XLV, 1994, p. 135-161.
2
K. Thomas, La religione e il declino della magia. Le credenze popolari nell’Ing-
hilterra del Cinquecento e del Seicento, Milano, 1985 (ed. or. Londra, 1971), in partico-
lare p. 29-52. Più recentemente, vedi D. Gentilcore, From Bishop to witch. The sys-
tem of the sacred in early modern Terra d’Otranto, Manchester-New York, 1992, e, in
una prospettiva molto diversa, E. Duffy, The stripping of the Altars. Traditional reli-
gion in England, c. 1400-c. 1580, New Haven-Londra, 1992.

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archivi, abbondano di esempi di questo «uso marginale» del sacro : magi-


ster Pietro d’Arezzo e Bernardina Stadera, processati rispettivamente nel
1496 e nel 1499, ricorrevano alla pratica di maledicere missam, legando una
cordella – e simbolicamente il cuore della donna o dell’uomo che volevano
conquistare – esattamente al momento in cui il celebrante diceva Dominus
vobiscum (e si doveva rispondere : «Non è vero, tu menti per la gola») 3.
Beatrice da Vicenza, maliarda e «donna inhonesta» notoria, per far inna-
morare di sé il patrizio Ludovico Valentini aveva messo lo strumento d’ele-
zione della magia erotica, la calamita, sotto la tovaglia dell’altare di una
chiesa, in latere sinistro ubi leguntur Evangelii, e mentre il prete celebrava
messa aveva detto : «Tu non di’ vere, tu non di’ vere» 4. Citazioni di questo
genere si potrebbero moltiplicare all’infinito; basti qui ricordare la consi-
derazione, efficacemente sintetica, che sul rapporto tra magia e sacralità
ecclesiastica aveva formulato Camilla da Nirano, denunciata all’Inquisizio-
ne nel 1517, ossia che «non se poteria fare ni malie ni facture se non ge in-
travano li sacramenti dela Gesia» 5. Gianfrancesco Pico della Mirandola po-
chi anni dopo vide in tali blasfeme commistioni di sacro e profano addirit-
tura quei segni della presenza del Maligno, che lo avevano spinto a
sostenere una «witch-hunt» clamorosa nel suo microscopico dominio, e le
denunciò come diaboliche nel suo dialogo Strix, sive de ludificatione dae-
monum (1523) 6. Il fatto era, però, che molto spesso erano proprio i sacer-
doti a fornire di buon grado i loro servigi alle fattucchiere : la stessa Camil-
la aveva confidato a un’amica che il «cresma», ossia l’olio santo, da lei usa-
to per le malie d’amore, le era stato dato da «uno preto suo amico» che le
forniva anche l’acqua santa 7.
Nella Modena del primo Cinquecento non erano certo pochi i preti che
avessero stretto legami – d’amicizia e di interesse e complicità – con le in-

3
Archivio di Stato di Modena (d’ora in avanti ASMo), Inquisizione, b. 2, Proces-
si 1489-1549, fasc. I, deposizioni di Ludovico Bottacci e di Girolamo della Rossa, ris-
pettivamente 26 e 27 maggio 1496; ibid., deposizione di Bernardina Stadera, 2 di-
cembre 1499.
4
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Beatricem de Vin-
centia, deposizione di Maddalena Terotti, 8 gennaio 1517.
5
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Camillam de Nira-
no, deposizione di Violante Carandini, 5 giugno 1517.
6
«Strega : Sendo nella chiesa ne’ giorni delle feste, [il diavolo] commandava a
me, che leggendo il sacerdote la messa ad alta voce (sicome se suole) dicesse io pian
piano : non è vero, tu ne menti per la gola» (Gianfrancesco Pico della Mirandola, Li-
bro detto Strega o delle illusioni del demonio, nel volgarizzamento di Leandro Alberti,
a cura di A. Biondi, Venezia, 1989, p. 139).
7
Contra Camillam de Nirano cit., deposizione di Violante Carandini, 5 giugno
1517.

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cantatrici. Dai processi inquisitoriali del periodo 1495-1523 (gli anni a par-
tire dai quali la documentazione è pressoché completa) 8 ricaviamo notizie
sufficienti ad identificare almeno venti religiosi coinvolti variamente nelle
pratiche magiche, compresi il vescovo suffraganeo Jacopo Sandri da Mon-
tagnana 9 e l’esorcista della cattedrale, don Campana; ma molti di più sono i
chierici-stregoni cui è impossibile dare un nome per la vaghezza dei riferi-
menti. Il caso modenese da questo punto di vista, peraltro, non è eccezio-
nale, quanto piuttosto uno di quelli che meglio documenta come, nello sce-
nario della vita religiosa del tempo, i sacerdoti rivestissero chiaramente il
ruolo di operatori specializzati cui i fedeli si rivolgevano per attingere alla
fonte della potenza straordinaria del sacro. Ciò poteva avvenire tanto attra-
verso il canale dei riti ortodossi, quanto attraverso innumerevoli forme di
appropriazione di quei riti e degli oggetti del culto in genere. In molti casi,
del resto, la distinzione tra lecito e illecito nell’uso delle cose sacre non era
per niente agevole, neppure per i preti stessi. Basti pensare ad esempio ai
«brevi», strisce di carta o sacchettini di stoffa recanti preghiere, immagini
o piccoli oggetti sacri, da portare indosso a scopo apotropaico o anche te-
rapeutico, ammessi dalla Chiesa e anzi prodotti e distribuiti dai religiosi
stessi10. Si trattava di una tipologia di oggetti devozionali del tutto sovrap-
ponibile a quella dei biglietti magici, variamente noti come «bollettini» o
«polizzini», o come «carte di voler bene» : foglietti sui quali si scrivevano
preghiere e invocazioni di carattere magico-religioso, o si disegnavano im-
magini, per suscitare l’amore o vincere la malattia11. La confezione dei

8
Il totale dei procedimenti per magia e stregoneria istruiti dal tribunale mode-
nese nel periodo 1495-1523 è di 41, di cui 31 concentrati negli anni 1517-1520. Sull’at-
tività del tribunale modenese in questi decenni, e sui problemi della sua ricostru-
zione dovuti alle varie lacune della documentazione, cfr. A. Biondi, Lunga durata e
microarticolazione nel territorio di un Ufficio dell’Inquisizione : il «Sacro Tribunale» a
Modena (1292-1785), in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, VIII,
1982, p. 73-90; M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 16-33.
9
Su Sandri e sul suo coinvolgimento in attività stregonesche, cfr. A. Biondi,
Streghe ed eretici nei domini estensi all’epoca dell’Ariosto, in Il Rinascimento nelle corti
padane. Società e cultura, Bari, 1977, p. 165-201, p. 176-177; M. Duni, Tra religione e
magia cit., p. 179-180.
10
Cfr. M. O’Neil, «Sacerdote ovvero Strione» : Ecclesiastical and Supersticious
Remedies in 16th century Italy, in S. L. Kaplan (a cura di), Understanding popular
culture : Europe from the Middle Ages to the Nineteenth century, Berlin-New York-
Amsterdam, 1984, p. 53-83, in part. p. 59-60; D. Gentilcore, From bishop to witch
cit., p. 101-102.
11
Sulle veneziane «carte» e in generale sui biglietti magici e l’appropriazione
delle forme del sacro ecclesiastico da parte degli operatori della magia, vedi R. Mar-
tin, Witchcraft and the Inquisition in Venice 1550-1650, Oxford, 1989, p. 124-138;

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«bollettini» sembra essere stata, nella Modena del primo Cinquecento, una
delle mansioni che i fedeli più di frequente richiedevano ai preti, non solo
in quanto manipolatori del sacro, ma anche perché in possesso almeno dei
rudimenti della scrittura. Si può dire che in questa doppia abilità si trovi
espresso un aspetto importante dell’identità professionale dei sacerdoti,
messo in evidenza da tempo dai ricercatori, ossia quello di mediatori tra
sfere diverse, del soprannaturale e del terreno, da un lato, dell’oralità e del-
la scrittura, dall’altro12 : da tutto ciò discendeva certamente la centralità del
loro ruolo nelle pratiche magiche. Erano i preti soli a poter fornire ai fedeli
dei veicoli speciali dell’azione magica come i biglietti che recavano parole
sacre, variamente derivate dalle Scritture o dalla liturgia : Giovanna Spazzi
aveva avuto a quodam fratre un «bollettino» con nomina apostolorum scrip-
ta, che gli sarebbe servito per sedurre l’uomo amato13 ; il servita fra Bernar-
dino, denunciato nel 1518, ricorreva a biglietti che recavano quedam auc-
toritas Scripture per curare Margherita Pazzani dagli effetti di un malefi-
cio14 ; don Guglielmo Campana confessò nel 1517 di aver ceduto spesso alle
insistenze fastidiose di molte donne che si lamentavano di essere trascura-
te dal marito, scrivendo loro bigliettini contenenti formule devote come
«Sia pase intra il talle et la tale como fu tra Adam et Eva, Abram et Sara»15.
Altre volte, però, il biglietto poteva essere meno innocente, come quello
continentem orationem Epifanie che Campana aveva scritto col sangue
estratto dal dito della donna che voleva essere riamata16. Il confine tra pra-
tica devozionale e tecnica magica, insomma, era davvero labile, visto che
talvolta quest’ultima si presentava semplicemente come una versione parti-
colare di una preghiera o di un rito perfettamente lecito; e anche sacerdoti
più in buona fede dell’arcimago Campana, dotati com’erano di una prepa-
razione dottrinale quasi sempre molto rudimentale, potevano incontrare

G. Ruggiero, Binding passions. Tales of magic, marriage, and power at the end of the
Renaissance, Oxford-New York, 1993, p. 99-107.
12
Cfr. L. Allegra, Il parroco : un mediatore fra alta e bassa cultura, in R. Romano
e C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia. Annuali 4. Intellettuali e potere, Torino, 1981,
p. 895-947.
13
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Joannam Spa-
ciam maleficam, deposizione della moglie di Simone da Frignano, 15 dicembre 1522.
14
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra fratrem Bernardi-
num ordinis Servitorum et Gulielmum Campanam, deposizione di Margherita Pazza-
ni, 3 febbraio 1519.
15
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Processus completus
contra donum Guilielmum Campanam (d’ora in poi citato come Contra donum Gui-
lielmum Campanam), memoriale di don Guglielmo, 5 aprile 1517.
16
Contra donum Guilielmum Campanam, costituto di don Guglielmo, 17 gen-
naio 1517.

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grandi difficoltà a resistere alle richieste dei laici, che si attendevano da lo-
ro la risposta ad un bisogno fondamentale di protezione dalla sventura o
dalla malattia. In verità, non si trattava di una vera e propria contrapposi-
zione tra preti da una parte e fedeli dall’altra, in quanto entrambi i soggetti
condividevano largamente una stessa cultura e una stessa visione del fatto
religioso nella quale elementi centrali erano la fiducia nel potere materiale
della sacralità e il ricorso continuo ai suoi veicoli, comunque connotati,
fossero i sacramentali approvati nel Rituale della Chiesa o le loro infinite
versioni elaborate dalla creatività degli operatori non ufficiali.
Il risultato di questa solidarietà culturale profonda già nel primo Cin-
quecento appariva come un’inaccettabile deriva superstiziosa del culto agli
uomini più acuti del movimento di riforma della Chiesa. I due camaldolesi
veneziani Tommaso Giustiniani e Vincenzo Querini nel 1513 con il loro Li-
bellus ad Leonem X segnalavano all’attenzione del nuovo papa la diffusione
enorme di superstizioni come le tecniche curative basate su philateriis, bre-
vibus, characteribus, suspensionibus, carminationibus, execrationibus, va-
nissimisque verbis e lo incitavano a bandirle con la massima severità17. Ne-
gli stessi anni anche Gasparo Contarini esprimeva preoccupazioni analo-
ghe nel De officio episcopi (1517), arrivando a ritenere le superstizioni in
materia di fede una minaccia più grave dell’empietà per il cristianesimo18.
D’altra parte, i riformatori stessi erano coscienti che la causa prima di un
degrado così disastroso era da individuarsi proprio nei chierici, sprovvisti
di istruzione religiosa e imbevuti delle stesse credenze esecrabili del volgo.
Querini e Giustiniani scrivevano lapidariamente che i due mali più grandi
del popolo cristiano, ignorantia e superstitio, a religiosis hominibus initium
capiunt e da costoro si diffondono tra i credenti19.
Intanto però, a parte la denuncia lucida ed aspra che veniva dalle pun-
te più avanzate della gerarchia, al livello della parrocchia la vita religiosa si
presentava sotto la forma di un’integrazione sostanziale di magia e religio-
ne in quello che David Gentilcore, nella sua ricerca sulla Terra d’Otranto,

17
Libellus ad Leonem X, in Johannes Benedictus Mittarelli, Anselmus Costadoni,
Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti, Venetiis, apud Jo. Baptistam Pas-
quali, 1773-1775, vol. IX, coll. 685-686.
18
Cfr. G. Fragnito, Cultura umanistica e riforma religiosa : il De officio boni viri
ac probi episcopi di Gasparo Contarini, in Studi veneziani, XI, 1969, p. 75-189, ora in
Ead., Gasparo Contarini. Un magistrato veneziano al servizio della cristianità, Firenze,
1988, p. 79-211, in part. p. 209 : Maiori arbitror diligentia maiorique nixu extirpanda
est superstitio quam irreligiositas, quoniam hoc genere magis atque a pluribus pecca-
tur quam impietate, adeo ut saepenumero mihi christiani videantur gentilium religio-
nem imitari, in tantum a puritate divini cultus recessere.
19
Libellus ad Leonem X cit., col. 688.

.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 269

ha definito ed analizzato come «sistema del sacro», ossia l’insieme delle


credenze relative alla sfera delle potenze sovrumane e dei mezzi ritenuti
capaci di accedervi 20. L’attività dei sacerdoti, collocandosi al centro del si-
stema, si poneva in un rapporto di confronto, comunicazione, e anche
competizione e conflitto continui con quella degli altri operatori attivi al-
l’interno di esso, ossia soprattutto le fattucchiere e i guaritori, oltre che, ov-
viamente, con le richieste dei loro clienti. Passiamo quindi ad esaminare le
modalità di questa relazione, nella quale si ravviserà senza dubbio uno dei
fattori principali della definizione dell’identità professionale del clero pre-
tridentino.
Al livello più semplice, il rapporto tra il prete e la «maga» popolare si
configurava come la fornitura da parte del primo di un’aggiunta di potenza
sovrannaturale alla tecnica magica. Questo tipo d’intervento doveva essere
così frequente, da rappresentare effettivamente una parte non trascurabile
delle mansioni quotidiane di un religioso. Abbiamo già accennato all’uso
dell’acqua e dell’olio santi forniti alle fattucchiere da tanti sacerdoti dispo-
nibili; altrettanto frequente era il «battesimo» di oggetti da usare nelle va-
rie operazioni. In entrambi i casi, si credeva che lo strumento della magia
dovesse essere «trattato» con l’esposizione al sacro ecclesiastico per prepa-
rarlo all’uso specifico : l’incanto amatorio o il rimedio magico-curativo.
Giovanna Spazzi ad esempio aveva imparato da alcune donne «in commu-
ni sermone» che si poteva usare il crisma per far innamorare un uomo, ma
che prima esso doveva essere «adattato» da un prete 21. A don Guglielmo
Campana si richiedeva di «conciare», in linguaggio tecnico, cioè battezza-
re, la calamita 22 : tra le maliarde si diceva comunemente che si doveva farla
«conciare per fare che fosse buona a tirar gli uomini» e che «non era bona
se non era battezzata» 23. Il battesimo seguiva un rituale di tipo para-
canonico molto simile a quello ortodosso, e prevedeva il coinvolgimento di-
retto delle interessate : ad esempio quando don Sebastiano Montani aveva
battezzato una calamita col nome di Giulio, l’uomo di cui era innamorata
Anastasia detta «la Frappona», la fattucchiera aveva partecipato alla ceri-

20
Cfr. D. Gentilcore, From bishop to witch cit., p. 1-19, in particolare 15-17.
21
Contra Joannam Spaciam maleficam cit., deposizione di Giovannea Spazzi, 29
dicembre 1522.
22
Contra donum Guilielmum Campanam, memoriale autografo di Campana, 5
aprile 1517.
23
Sono le espressioni usate da Crezia, fattucchiera pistoiese attiva a Lucca alla
fine del Cinquecento, riportate in E. Galasso Calderara e C. Sodini, Abratassà. Tre se-
coli di stregherie in una libera Repubblica, Lucca, 1989, p. 130-131.

.
270 MATTEO DUNI

monia rispondendo al prete ut faciunt commatres 24. Tecniche come queste


dovevano apparire agli occhi dei laici, più che come stregherie vere e pro-
prie, come componenti di una gamma di sacramentali più estesa di quella
ufficiale, che integrava l’offerta di protezione divina della Chiesa con altri
strumenti, specificamente destinati a creare o rinsaldare le unioni, e a cu-
rare le malattie 25. È da notare, comunque, che i chierici che si prestavano a
tali riti dovevano avere talvolta una certa consapevolezza del loro carattere
illecito : non si spiega altrimenti l’energia con la quale lo stesso don Cam-
pana, di solito non restio ad ammettere commistioni disinvolte di sacro e
profano, tenne a sottolineare di non aver mai veramente battezzato la cala-
mita, ma di aver sempre unicamente finto, «senza operare libri de battesi-
mo né altre cose sante» 26.
Nell’amministrazione di questa sacralità anomica il prete occupa, per
quanto emerge dai documenti modenesi, una posizione gerarchicamente
superiore a quella dell’operatore laico; ma in certi casi il ruolo di quest’ulti-
mo poteva essere più attivo, quasi paritario. Don Campana raccontò che
una volta Anastasia «la Frappona» gli aveva portato un «bollettino» di
«carta vergine» (ossia scritto su di una pergamena preparata seguendo un
procedimento assai complesso, richiesto da alcune pratiche descritte nei
testi di magia diabolica) 27, che egli aveva poi consacrato sull’altare con una
cerimonia in cui la donna aveva partecipato rispondendo «singulo ver-
bo» 28. Il prete purtroppo non dice come Anastasia si fosse procurata un vei-
colo così prezioso per la malia amorosa; ma certo la fattucchiera, come ha
segnalato anni fa Carlo Ginzburg, aveva contatti anche con un intellettuale
interessato alla magia, l’umanista Panfilo Sassi, che le aveva insegnato a
sufumigare spiritum amoris faciendo circulum – una tecnica piuttosto raffi-
nata della magia cerimoniale 29. Il rapporto con un’operatrice dotata di ri-

24
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Anastasiam de
Cottigliano, costituto dell’11 ottobre 1519.
25
Cfr. G. Ruggiero, Binding Passions cit., p. 157-161, a proposito dell’integra-
zione dei remedia ecclesiae e dei rimedi di guaritori e «donne esperte», vista dagli
operatori popolari del Friuli tardo-cinquecentesco come una forma di cooperazione
proficua, non di conflitto.
26
Contra donum Gulielmum Campanam, memoriale di don Guglielmo, 5 aprile
1517.
27
La «carta vergine», pergamena così detta perché ricavata da capretti o agnelli
non maturi sessualmente attraverso complicati passaggi di essiccazione e di «purifi-
cazione» rituale, era usata nelle pratiche di magia cerimoniale, descritte in testi
come quelli discussi più sotto (vedi infra, p. 279-280).
28
Contra donum Guilielmum Campanam, memoriale di don Guglielmo, 5 aprile
1517; Contra Anastasiam de Cottigliano cit., costituto di Anastasia, 11 ottobre 1519.
29
Cfr. C. Ginzburg, Un letterato e una strega al principio del ’500 : Panfilo Sasso e

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IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 271

sorse tali doveva quindi essere improntato più alla collaborazione, che non
alla linea truffaldina che spesso contraddistingueva la condotta dei maghi,
i quali, come don Guglielmo, non esitavano a propinare «mille fole» ai
clienti importuni, spacciando loro per efficaci incantamenti fasulli 30.
La complessità della funzione rivestita dai religiosi all’interno del siste-
ma del sacro può essere colta in tutte le sue sfumature particolarmente nel
caso delle tecniche terapeutiche magico-religiose. Ci troviamo nuovamente
di fronte al frutto della visione della Chiesa e dei suoi riti come fonte di po-
tere materiale, propagata del resto dalle stesse gerarchie, che a partire da
san Bonaventura avevano paragonato i sacramenti alle medicine, in quan-
to unici strumenti capaci di curare realmente l’uomo, anima e corpo 31. Il
segno della croce fatto sulla parte malata («segnare»), il leggere il Vangelo
sopra il paziente, l’uso di «brevi» con brani delle Scritture, erano sacra-
mentali ammessi e largamente usati dagli ecclesiastici, ai quali ricorrevano
spessissimo malati soprattutto di condizione modesta, non in grado di pa-
gare un medico 32. Dalle devozioni lecite alle pratiche paracanoniche il pas-
so era brevissimo : l’influenza delle tradizioni demoiatriche, l’incertezza
dottrinale e la creatività individuale dei singoli sacerdoti contribuivano a
modificare i riti della Chiesa, dei quali peraltro mancava una versione uni-
ca ed approvata dall’autorità ecclesiastica 33. Significativa in tal senso è la
oratio Sancti Cypriani che Campana racconta di aver usato per curare i ma-
lati, dopo averli segnati con una candela benedetta 34 : si trattava di una
preghiera assai diffusa, descritta anche in alcuni libri liturgici disponibili
ai primi del Cinquecento come uno strumento efficace per la liberazione

Anastasia la Frappona, in Studi in memoria di Carlo Ascheri, Differenze, IX, 1970,


p. 129-137, in particolare p. 132-133.
30
L’espressione è usata da don Campana, nella già citata memoria autografa, al
riguardo di Betta Bacchini, una cliente di cui egli si sarebbe liberato dandole a «in-
tendere mile fole» (Contra donum Guilielmum Campanam, 5 aprile 1517).
31
Cfr. J.-C. Schmitt, Religione e guarigione nell’Occidente medievale, in Id., Reli-
gione, folklore e società nell’Occidente medievale, Roma-Bari, 1988, p. 287-310, in par-
ticolare 296-297.
32
D. Gentilcore, From bishop to witch cit., p. 102-105; M. O’Neil, «Sacerdote ov-
vero Strione»... cit., p. 60-61.
33
Nei primi decenni del ’500 erano in circolazione, sotto titoli variabili, molte
versioni del testo liturgico contenente i riti diversi dalla messa, spesso non control-
late dall’autorità episcopale. Soltanto nel 1614 papa Paolo V avrebbe messo ordine in
questo campo con l’edizione del Rituale romanum (cfr. G. Zanon, Catalogo dei rituali
liturgici italiani dall’inizio della stampa al 1614, in Studia patavina, XXXI, 1984,
p. 497-694).
34
Contra donum Guilielmum Campanam, deposizione di Caterina Maroverti, 11
gennaio 1517.

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272 MATTEO DUNI

degli indemoniati 35. Non sappiamo quale fosse il testo della preghiera usa-
to da don Guglielmo; tuttavia, le caratteristiche che essa poteva presentare
in certe versioni la avvicinavano molto ad una contro-fattura o ad uno
scongiuro :

[...] se factura o malia legatura diabolica facta per alchuna mala femina in
ferro, in rame, in piombo, in stagno, oro, ariento o in qualunque metallo fussi
facta, o se fussi facta in filato di lino o d’accia, seta, filogello, in bocca di mor-
to, in ossa d’animali, in pietre, in legno, in erbe, in pesce, in animali di dua piè
o di quatro piè, d’ucegli o d’altri volatili, in scriptura, in prieta di sipultura, in
lingua greca o ebraica o latina, in fonte in mare o in aqua, se fussi facta sopra
uscio o sotto uscio [...] in dividimento di vie di dua o di tre o di quatro, tucte
queste cose fieno disfacte et disciolte dalla serva di Dio N. o di qualunque per-
sona che sopra di sé porterà questa oratione o saragli lecta 36.

Con la stessa tranquillità con la quale aveva parlato all’inquisitore della


preghiera di san Cipriano, Campana confessò quello che doveva sembrargli
un rimedio altrettanto ortodosso, una cura per il mal di denti che consiste-
va nel tracciare il segno della croce sul dente dolorante con la punta di un
coltello recitando questa formula : «Così sii dolce el dolore del dente, como
fui dolze il lacto che deti la Verzene Maria al Nostro Signore Jesu Cristo» 37.

35
Si veda in G. Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controrifor-
ma, Firenze, 1990, p. 131, un caso di uso, con finalità magico-terapeutiche, dell’ora-
zione di San Cipriano da parte di un guaritore friulano della fine del Cinquecento.
Sulla circolazione e l’utilizzo di preghiere del genere, non autorizzate dalle autorità
religiose post-tridentine cfr. M. P. Fantini, La circolazione clandestina dell’orazione di
Santa Marta : un episodio modenese, in G. Zarri (a cura di), Donna, disciplina, crean-
za cristiana dal XV al XVII secolo. Studi e testi a stampa, Roma, 1996, p. 45-65.
36
Liber cathecumini, impressum Florentiae per presbiterum Michaelangelum Bla-
sii de Emporio, 1495, cc. 76v-94r : la preghiera di San Cipriano fa parte, in questo vo-
lume, dell’Exorcismus sive adiuratio Sancti Ambrosii super demoniacum (Biblioteca
nazionale centrale di Firenze, B. Rari 134). Un esempio di testo con caratteristiche
analoghe, come l’elencazione – in questo caso – delle parti del corpo da guarire, si
può vedere in un brevissimo libro di esorcismi, la Coniuratio malignorum spirituum,
Roma, Stephan Plannck, 1492 ca. (Biblioteca Casanatense di Roma, Inc. 1289, c. 2v :
Obsecro te, domine Ihesu Christe, ut extrahas omnes languores ab omnibus membris
huius homini : a capite a capillis a cerebro a fronte ab ocullis ab auribus a naribus ab
ore a lingua a dentibus a faucibus a gutture a collo a dorso a pectore [...]).
37
Contra donum Guilielmum Campanam, deposizione di don Guglielmo, 17
gennaio 1517. Le tradizioni folkloriche attribuivano al latte di Maria un potere note-
vole, come testimonia, tra gli altri, il processo lucchese del 1589 contro una fattuc-
chiera, «la Veneziana», che ricorreva all’«orazione di San Daniello», nella quale il
santo veniva invocato «per quelo santo late che dete la Vergine Maria al suo unicho
figlio» (E. Galasso Calderara e C. Sodini, Abratassà cit., p. 63).

.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 273

La tecnica terapeutica del prete era in casi come questo del tutto identica a
quella del guaritore popolare, consistendo, da un lato, in una sequenza or-
dinata di atti fondati sulla cosiddetta «magia delle punte», dall’altro, in for-
mule di contenuto devoto basate sul principio del «come ... così» 38. L’uo-
mo di Chiesa, insomma, si trovava ad operare sul terreno della guarigione
accanto alle altre figure che al tempo vi erano attive, professionali o semi-
professionali che fossero : dalle «donne esperte» ai guaritori, agli empirici
e agli speziali, fino ai medici di formazione accademica 39. Se non i presup-
posti teorici della visione della malattia, certo i metodi terapeutici av-
vicinavano spesso tutti questi diversi operatori, disposti, in grado variabile
e per ragioni differenti, ad ammettere l’efficacia di rimedi che potevano
agire per vie occulte e sostanzialmente magiche 40.
La vicinanza, nella pratica quotidiana, tra i vari addetti alle tecniche
curative manteneva aperti i canali di comunicazione tra livelli di cultura
difformi, dando luogo a frequenti interazioni. Nella Modena cinquecente-
sca le fattucchiere come Giulia da Bologna e Costanza detta «Barbetta»
erano assidue clienti degli «aromatarii», cioè degli speziali, dai quali acqui-
stavano l’«argento vivo» per le malie d’amore 41. Ma le stesse botteghe erano
frequentate dai preti, anch’essi alla ricerca di ingredienti e consigli per le
loro attività : don Campana dichiarava di somministrare medicamenti na-
turali ai maleficiati, ma soltanto dopo aver consultato medicum seu aroma-
tarium 42. Grazie ai suoi contatti con la cultura medica ufficiale, egli doveva
essersi dotato di un bagaglio di nozioni, che gli permettevano di abbozzare
con una certa sottigliezza diagnosi non rudimentali di alcuni disturbi : Ca-
terina da Reno, che la fama pubblica indicava come vittima di un maleficio

38
Molti rimedi dell’armamentario dei guaritori popolari erano basati sulla «ma-
gia delle punte», che prevedeva l’impiego di strumenti appuntiti quali armi simbo-
liche rivolte contro il dolore o la malattia : cfr. A. Pazzini, La medicina popolare in
Italia. Storia tradizioni leggende, Trieste, 1948, p. 153. Cfr. invece E. de Martino, Sud
e magia, Milano, 19662, p. 96-97, 104, a proposito di questo tipo di «historiole», defi-
nite un «rituale metastorico di cancellazione» della negatività della situazione pato-
logica o esistenziale.
39
Cfr. P. Burke, Il rituale dei guaritori, in Id., Scene di vita quotidiana nell’Italia
moderna, Roma-Bari, 1988, p. 259-277; D. Gentilcore, From bishop to witch cit.,
p. 129-131; vedi anche dello stesso D. Gentilcore, Medical pluralism in the kingdom of
Naples, in Id., Healers and healing in early modern Italy, Manchester, 1998, p. 1-21.
40
Cfr. D. Gentilcore, Medical pluralism cit., passim, per un’analisi più articolata
delle diverse teorie e pratiche terapeutiche disponibili nella prima età moderna.
41
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra Constantiam Bar-
bettam, deposizione di Laura Betocchia, 29 dicembre 1518/19 (stile della Natività).
42
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di don Campana, 17 gen-
naio 1517.

.
274 MATTEO DUNI

scagliato proprio dal prete, secondo lui invece avrebbe sofferto di humor
melenconicus et matrix 43. In questo caso Campana dimostra di conoscere
sia il collegamento tra la patologia dell’utero – il «malum de matrice» – e la
melanconia, sia la somiglianza dei sintomi dell’affatturamento e della pos-
sessione a quelli della melanconia 44. La conoscenza di tali nessi, definiti da
un’importante e secolare discussione nell’ambito della cultura medico-filo-
sofica, è indice del fatto che un sacerdote poteva collocarsi su di un livello
di consapevolezza diverso rispetto a quello degli altri operatori non ufficia-
li del campo terapeutico, che certo riconoscevano e trattavano il «male del-
la matrice», ma senza ricondurne le cause agli squilibri umorali secondo la
tradizione ippocratico-galenica 45. A differenza dei guaritori, legati al sapere
orale della cultura popolare, il prete poteva accedere perlomeno ad alcune
delle diverse espressioni della cultura accademica, forse anche per il trami-
te dei libri «di secreti», sorta di guide tecnico-pratiche di varie materie, tra
cui la medicina, che ebbero grande diffusione nel Cinquecento 46. Ma non
erano tanto questi i fattori che rendevano i chierici concorrenziali nei con-

43
Ivi, deposizione di don Campana, 22 gennaio 1517.
44
Sul «male della matrice», antesignano dell’isteria, e sulla sua connessione con
la melanconia e la possessione, cfr. O. Niccoli, Il corpo femminile nei trattati del Cin-
quecento, in G. Bock e G. Nobili (a cura di), Il corpo delle donne, Ancona, 1988, p. 24-
43, in part. p. 32-35; D. P. Walker, Possessione ed esorcismo. Francia e Inghilterra fra
Cinque e Seicento, Torino, 1984 (ed. or. Londra, 1981), p. 3-22; un quadro generale
della questione in J. Céard, Folie et démonologie au XVIe siècle, in Folie et déraison à
la Renaissance, Bruxelles, 1976, p. 129-147; per la storia dell’umore melanconico nel
pensiero medico-filosofico il rimando è naturalmente a R. Klibansky, E. Panofsky e
F. Saxl, Saturno e la melanconia. Studi di storia della filosofia naturale, religione e
arte, Torino, 1983 (ed. or. Londra, 1964), p. 7-115, e in particolare le p. 73, 88-89 per
quanto riguarda il problema del rapporto melanconia/possessione.
45
Cfr. G. Ruggiero, Binding passions cit., p. 148-149; G. Pomata, La promessa di
guarigione. Malati e curatori in Antico Regime. Bologna XVI-XVIII secolo, Roma-Bari,
1994, p. 158-160, segnala come la pratica terapeutica delle «comari», figure semi-
professionali riconosciute anche negli statuti del collegi medici, fosse segnata dalla
loro specificità sessuale : ossia si rivolgesse alle donne, e per lo più nei disturbi tipi-
camente femminili come il «male della matrice». G. Romeo, Esorcisti, confessori e
sessualità femminile nell’Italia della Controriforma. A proposito di due casi modenesi
del primo ’600, Firenze, 1998, p. 116-120, analizza il conflitto tra le credenze popolari
sul «male» e le sue cure, e l’atteggiamento della Chiesa della Controriforma al ri-
guardo, rilevando peraltro la persistenza anche tra gli ecclesiastici del ’600 di atteg-
giamenti «anomali» al riguardo.
46
Cfr. in generale W. Eamon, Science and the secrets of nature. Books of secrets
in medieval and early modern culture, Princeton, 1994, passim; R. Taiani, «L’esperien-
za vincitrice» : conoscenze e culture a confronto nei libri dei segreti dei secoli XVI-
XVIII, in O. Besomi e C. Caruso (a cura di), Cultura d’élite e cultura popolare nell’arco
alpino fra Cinque e Seicento, Basilea-Boston-Berlino, 1995, p. 367-391.

.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 275

fronti sia dei medici sia delle «signore delle erbe», quanto, nuovamente, la
loro peculiare funzione di mediatori tra il sacro e il mondo materiale, di-
spensatori della potenza divina e quindi antagonisti delle forze negative
che mettevano a rischio la salute dei cristiani, in primis il diavolo e i suoi
alleati umani, fattucchiere e stregoni.
In effetti, quando si sospettava che una malattia non avesse un’origine
naturale, ma dipendesse da un maleficio, il ricorso al sacerdote era di soli-
to la scelta più praticata. Il male appariva in questi casi come una presenza
estranea, aggressiva, e il linguaggio rifletteva l’idea che avesse invaso il cor-
po del paziente : ad esempio, di domina Caterina da Reno si diceva in tutta
Modena che fosse detencta, cioè occupata, da un male che non era natura-
le, e quindi fosse infirma aut aliter affatturata 47. L’ammalato e i suoi parenti
alla ricerca di una cura potevano rivolgersi in successione ai diversi opera-
tori, dato lo scenario di pluralismo dei sistemi terapeutici 48. Prima di recar-
si da don Campana, Lucrezia Pasini in diciotto anni di malattia aveva pro-
vato plurima rimedia, ma senza successo : nunquam sanari nec liberari po-
tuit, dichiarava nel 1517 49 ; nel 1531 due medici avevano visitato Maddalena
Ferrari di Spezzano, colpita da un male che l’aveva prosciugata come un
pezzo di legno, e il secondo le aveva detto candidamente che doveva andare
ad strionem per esserne «liberata» 50. L’alternativa allo «strione» era il pre-
te 51; d’altra parte, se si diceva che la malattia «possedeva» il corpo malato,
e che il paziente voleva esserne «liberato», è perché si vedeva un paralleli-
smo chiaro tra la malattia e la possessione diabolica, e dunque un’analogia
tra la cura e l’esorcismo. Si credeva comunemente, del resto, che la posses-
sione potesse essere causata anche da un maleficio; ed era quindi necessa-
rio l’intervento del prete per disfarlo con gli strumenti della Chiesa 52. A Mo-

47
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Pellegrina Guidotti, 4
gennaio 1517; sulla malattia come presenza estranea aggressiva cfr. J.-C. Schmitt,
Religione e guarigione nell’Occidente medievale cit., in particolare p. 290-291.
48
Cfr. F. Lebrun, Se soigner autrefois. Médecins et saints et sorciers aux XVIIe et
XVIII siècles, Paris, 1983, p. 7-9, 93-103; G. Pomata, La promessa di guarigione cit.,
e

p. 130-150; D. Gentilcore, Medical pluralism, passim.


49
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Lucrezia «Gotola» Pa-
sini, 13 gennaio 1517.
50
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. III, Contra Borgentum de
Brigentis, deposizione di Maddalena Ferrari, 3 marzo 1531.
51
Cfr. M. O’Neil, «Sacerdote ovvero Strione»... cit., passim.
52
Cfr. G. Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe cit., p. 109 s., a proposito del fa-
moso esorcista francescano Girolamo Menghi (1529-1609), teorizzatore della dipen-
denza dal maleficio della maggior parte dei casi di possessione; vedi anche la discus-
sione del legame tra diavolo, maleficio e streghe nell’opera del francescano Candido
Brugnoli, Alexicacon (1668), studiata da A. Biondi, Tra corpo e anima : medicina ed

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276 MATTEO DUNI

dena ciò significava affidarsi ad un sacerdote in particolare : l’esorcista del-


la cattedrale, che era l’amministratore del carisma straordinario del santo
patrono Geminiano. Secondo una tradizione millenaria, il grande potere
esorcistico che il santo aveva avuto in vita era concentrato nella sua tomba,
l’arca di san Geminiano nella cripta del duomo, e in quel luogo l’esorcista
agiva guarigioni e liberazioni dal Maligno 53. Ma egli, in quanto agiva attra-
verso un potere soprannaturale ed occulto, era percepito dai fedeli sostan-
zialmente come un guaritore, e non era quindi al riparo dal sospetto di
aver provocato mediante il maleficio le malattie che poi curava, secondo la
massima popolare che recitava qui scit sanare scit destruere 54. Era questo il
caso di don Campana : esorcista di San Geminiano, quindi detentore della
massima fonte di potenza taumaturgica, interpellato da numerosissimi af-
fatturati che volevano essere liberati, egli era al tempo stesso sospettato di
essere complice delle creature infernali e di ricorrervi per ammaliare, anzi
per «devastare» «arte diaboli» 55.
Il sacerdote che più di ogni altro a Modena avrebbe dovuto rappresen-
tare una fonte di protezione e di rassicurazione per la comunità, finisce per
apparire come un pericolo da affrontare col mezzo estremo, la denuncia al-
l’Inquisizione, attraverso un processo che è interessante analizzare per co-
gliere il modificarsi dei contorni dell’identità di un prete-stregone piena-
mente accettato dai fedeli per lungo tempo. La radice del cambiamento
nella percezione di don Campana da parte dei modenesi è da ricercarsi, da

esorcistica nel Seicento (L’Alexicacon di Candido Brugnoli), in P. Prodi (a cura di)


con la collaborazione di Carla Penuti, Disciplina dell’anima, disciplina del corpo e di-
sciplina della società tra medioevo ed età moderna, Bologna, 1994, p. 397-416, in parti-
colare p. 407 s.; D. Gentilcore, The Church, the devil and the living saints, in Id., Hea-
lers and healing cit., p. 156-176, in particolare p. 161 s.
53
Sull’agiografia di san Geminiano e il suo culto tra alto e basso Medioevo, cfr.
P. Golinelli, San Geminiano e Modena. Un Santo, il suo tempo, il suo culto nel Me-
dioevo, in Civitas geminiana. La città e il suo patrono, Modena, 1997, p. 9-29; nello
stesso volume vedi anche il contributo di A. Biondi, La comunità e il santo nel Cin-
quecento, p. 35-46; sull’arca del Santo, vedi Antonio Dondi, Notizie storico-artistiche
del Duomo di Modena, Modena, 1896, p. 4-10. Sulla lunga sopravvivenza delle cre-
denze nei poteri taumaturgici di Geminiano, cfr. G. Boccolari e L. Bossetti, Aspetti
di religiosità popolare nel culto di San Geminiano e altri santi nel Modenese, in La reli-
giosità popolare nella valle padana. Atti del II Convegno di studi sul folklore padano,
Modena, 1966, p. 75-90.
54
Cfr. C. Ginzburg, I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Sei-
cento, Torino, 19793, p. 116-117; M. O’Neil, «Sacerdote ovvero Strione»... cit., p. 71-73,
discute l’ambivalenza della posizione dell’esorcista nella percezione popolare; nel ca-
so di don Campana, vedi M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 215-217.
55
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizioni di Federico Cozzi e Batti-
sta Falloppia, rispettivamente 8 e 15 gennaio 1517.

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IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 277

un lato, nella sua stessa posizione egemonica all’interno del campo magi-
co-religioso, o meglio, nei modi della sua esplicazione, che dovevano inne-
scare dinamiche di rivalità e contrapposizione nei confronti degli altri
«operatori» nel campo 56 ; dall’altro, nei suoi comportamenti, che destabiliz-
zavano gli equilibri comunitari e alimentavano e inasprivano le tensioni
potenziali con i «concorrenti». Tali erano certamente le vanterie insistite
della sua superiorità stregonesca : «Ve’ tu, altro che Dio non potirà guarire
tua madona, salvo che mi», aveva detto alla cameriera di Caterina da Reno,
mostrandole un pupazzo di cera, trafitto di spilli, che raffigurava la sua pa-
drona 57. Quel che doveva apparire più grave, era che egli approfittasse della
sua supremazia per pretendere da diverse donne la soddisfazione di un ap-
petito sessuale inesauribile (evidentemente non appagato dalle sue due
concubine), sotto il ricatto di ritorsioni terribili. Più volte aveva molestato
Lucrezia Pasini (sepe et sepius ipse presbiter ipsam mulierem requisivit et in-
terpelavit ad peccandum cum ea), arrivando a importunarla durante l’esor-
cismo di un’altra donna nella cripta del duomo e minacciando di farla «in-
spirtare» se non avesse ceduto. Aveva rivendicato chiaramente la responsa-
bilità della malattia di Lucrezia, dovuta al rifiuto alle sue «avances», e si
era vantato della potenza del maleficio : «[...] Che crede ti, che t’habia gua-
sto io? Son sta’ mi, et non tuo cugnà, perché queste cose [scil. la fattura]
non se pono [possono] far senza capi chericati. Et questo ho facto per gran-
do amore che io <ho> voluto a ti» 58. Se solo un caput clericatum, ossia un
chierico di un certo rango, poteva scagliare un maleficio del genere, chi ne
era stato colpito doveva per forza rivolgersi ad un altro operatore di pari li-
vello nella gerarchia delle diverse figure detentrici dei poteri malefici-tera-
peutici. Lucrezia infatti si era rivolta a don Giovanni Albrisi, massaro del
Capitolo, nonché negromante esperto 59. Naturalmente le gelosie e le inimi-

56
Sulla nozione di «campo religioso» e sulle dinamiche tra i vari operatori (sa-
cerdoti, stregoni, «profeti») al suo interno, il riferimento è a P. Bourdieu, Genèse et
structure du champ religieux, in Revue française de sociologie, XII, n. 3, 1971, p. 295-
334.
57
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Pellegrina Guidotti, 4
gennaio 1517.
58
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Lucrezia «Gotola» Pa-
sini, 13 gennaio 1517. L’espressione «capi chericati» corrisponde probabilmente al
latino «capita clericata», che secondo C. Du Cange, Glossarium mediae et infimae
Latinitatis, Graz, 1974 (rist. anastatica dell’edizione del 1883-87), vol. II, s.v. «caput»,
significa «praecipui ex clero».
59
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Lucrezia «Gotola» Pa-
sini, 13 gennaio 1517. Don Giovanni Albrisi, massaro del Capitolo modenese, ricoprì
l’incarico di esorcista della cattedrale dopo Campana, del quale peraltro condivideva
gli interessi per la magia (cfr. M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 177-178).

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278 MATTEO DUNI

cizie tra preti-stregoni potevano contribuire potentemente ad amplificare


la cattiva fama e i risentimenti : don Giovanni, dopo aver ingaggiato con
don Guglielmo un duello a colpi di incantesimi e controfatture, aveva moti-
vato il suo fallimento sostenendo e diffondendo l’idea che la malattia di Lu-
crezia era incurabile in quanto Campana aveva «alligato» su di lei il diavo-
lo Astarot 60. Lungi dal cacciare i diavoli, Campana dunque ne sollecitava la
collaborazione per tormentare le sue vittime. L’offesa a san Geminiano, e
di conseguenza alla collettività, che il Santo rappresentava e proteggeva,
era gravissima : al livello dei rapporti col soprannaturale, Campana mante-
neva relazioni amichevoli invece che ostili con i diavoli, e si serviva del po-
tere del patrono per maleficiare i fedeli, invece di curarli; al livello dei rap-
porti sociali, egli rappresentava un fattore di turbamento pesante, per le
molestie pubbliche, e come tali scandalose e disonoranti, a donne anche
sposate, come Lucrezia, Caterina Maroverti ed altre ancora. Gli stessi dia-
voli alleati di Campana, esorcizzati ancora da un altro religioso cui si erano
rivolte le donne perseguitate, avevano riconosciuto la gravità della situazio-
ne, collegando la cessazione dei miracoli del Santo alle colpe del suo esor-
cista : suis [scil. di Campana] incantationibus et inniquitatibus suis fuerint
causa quod miracula que solebant fieri per divum Geminianum cessave-
runt 61. Le nefandezze di don Guglielmo avevano depotenziato il sacrario
modenese o, forse meglio, avevano cambiato di segno alla sua efficacia : da
strumento salvifico ne avevano fatto un veicolo di stregamenti. Non stupi-
sce che infine, nel gennaio del 1517, ben tredici persone accusino il prete
davanti all’inquisitore, denunciando misfatti e una pessima reputazione
che risalivano a decenni prima : si era evidentemente spezzato un equili-
brio basato sulla reciproca convenienza. Campana si era dimostrato ostile
alla comunità, ai suoi bisogni e ai suoi valori, e quindi non poteva più be-
neficiare di quei margini molto ampi di tolleranza che gli avevano consen-
tito per lunghi anni di mantenere una vera e propria famiglia, e di affianca-
re al sacerdozio la pratica della necromanzia 62.
Il caso dell’esorcista del duomo che invoca i diavoli invece di cacciarli
è l’espressione estrema della normalità dell’interesse per la magia diabolica

60
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di Lucrezia «Gotola» Pa-
sini, 13 gennaio 1517 : don Albrisi aveva detto quod non posset nec potest ipsam mu-
lierem liberare, quia donus Guielmus incantavit et alligavit super personam ipsius mu-
lieris spirtum de Staroto.
61
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra fratrem Bernadi-
num ordinis Servitorum et Gulielmum Campanam, deposizione di Vincenzo Ma-
roverti, 22 dicembre 1518.
62
Sulla famiglia di don Campana, vedi M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 51-
55.

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IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 279

tra i religiosi modenesi. Le carte dell’Inquisizione abbondano di notizie su


frati e preti che leggono, ricopiano, e fanno circolare scritti di magia nel-
l’ambiente variegato degli appassionati di scienze occulte. Si può dire anzi
che quasi non si desse pratica della necromanzia se non in presenza di un
ecclesiastico e della sua piccola raccolta di testi «de caeremoniis» 63. A parte
Campana, che consegnò all’inquisitore sei libri e un numero imprecisato di
quaderni e fogli volanti pieni di formule magiche, si possono ricordare don
Giovannino Carafoli, che aveva «libros nigromantie» e che quindi aveva so-
lidarizzato con don Guglielmo, bollando le accuse contro di lui come «bu-
bolas» 64 ; don Antonio Montagnana, che leggeva testi di invocazioni diabo-
liche, passandoli e ricevendoli in prestito dalla sua amante, la fattucchiera
Bernardina Stadera, la quale a sua volta li scambiava con un gruppo di fra-
ti serviti, nonché con lo stesso Campana 65. Il già citato don Albrisi, che al
Campana successe nel ruolo di esorcista del duomo, avrebbe letto, come il
suo predecessore, la diffusissima Clavicula Salomonis 66. E si potrebbe con-
tinuare a lungo. Quel che si vuole qui sottolineare è come tale interesse,
nutrito da letture del genere, non si esplicasse in modo slegato dal servizio

63
Su questo genere di letteratura cfr. L. Thorndike, A history of magic and expe-
rimental science, New York, 1929-1958, II, p. 279-80; E. Garin, Magia e astrologia nel-
la cultura del Rinascimento, in Id., Medioevo e Rinascimento. Studi e ricerche, Roma-
Bari, 19734, p. 150-159, 151; Id., Considerazioni sulla magia, in Medioevo e Rinasci-
mento cit., p. 159-176; P. Zambelli, Il problema della magia naturale nel Rinasci-
mento, in Ead., L’ambigua natura della magia. Filosofi, streghe, riti nel Rinascimento,
Milano, 1991, p. 121-152, in part. p. 129, 135-137; G. Federici Vescovini, Stregoneria e
magia cerimoniale nei secoli XIII e XIV, in G. Bosco e P. Castelli (a cura di), Stregone-
ria e streghe nell’Europa moderna, Roma, 1996, p. 23-47, in part. p. 25-27; sulla Clavi-
cula Salomonis, uno dei testi più noti e diffusi del genere, e in generale sull’uso dei li-
bri di magia cerimoniale da parte di «maghi» di livello popolare, cfr. F. Barbierato,
Il testo impossibile : la Clavicula Salomonis a Venezia (secoli XVII-XVIII), in Annali
della Fondazione Luigi Einaudi, XXXII, 1998, p. 235-284.
64
Carafoli, curato di Santa Maria delle Assi, fu processato nel 1519 : ASMo, In-
quisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra D. Joaninum Carapholum, depo-
sizione di Carafoli, 10 febbraio 1519 (cfr. infra, p. 284). Don Giovannino era anch’egli
dedito alle stregherie insieme ad una sua concubina, Bartolomea Carpesani, sorella
della fattucchiera Dorotea, processata nel 1519.
65
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. I, deposizione di Bernardi-
na Stadera, 2 dicembre 1499.
66
Contra donum Gulielmum Campanam, deposizioni di don Guglielmo rispetti-
vamente del 17 gennaio e del 12 marzo 1517. Il documento della sostituzione di don
Guglielmo con un terzetto di sacerdoti tra i quali don Albrisi è in ASMo, Notarile di
Modena, Serie dei Notai, Mirandoli Jacopo, b. 1485, atto n. 539, 10 marzo 1517, che ri-
porta una decisione del Capitolo della cattedrale. Cfr. M. O’Neil, «Sacerdote ovvero
Strione»... cit., p. 62-66, p. 74, per il caso analogo di un esorcista della cattedrale,
don Teofilo Zani, processato per pratiche magiche nel 1582.

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280 MATTEO DUNI

sacerdotale, ma portasse spesso all’interazione di questo con la necroman-


zia. I rituali esorcistici messi in atto da don Campana o da fra Bernardino
erano «arricchiti» da elementi tratti da libri come quelli ricordati, tanto
che sarebbe stato difficile distinguerli dalle evocazioni diaboliche di un
mago : il frate esorcizzava i maleficiati facendoli stare all’interno di circoli
tracciati per terra, analoghi ai «pentacoli» descritti nella Clavicula, mentre
celebrava la messa, e poi imponeva sulla testa dei malati la patena con
l’ostia 67 ; don Campana seguiva fedelmente le prescrizioni di un altro testo
di magia molto diffuso, l’Almandel, quando si trattava di curare possessioni
o fatture 68. L’identità di scopi e di mezzi dell’esorcistica e della necroman-
zia, entrambe tecniche miranti al controllo dei diavoli tramite un rituale
codificato, faceva apparire ai sacerdoti del tempo lo scambio e la contami-
nazione tra le due un fatto del tutto naturale, col risultato di condurre ad
un intreccio inestricabile di fini e funzioni 69. Fra Bernardino cercava di
espellere il diavolo dalle povere donne tormentate da Campana, ma perché
lo voleva «ligare in ampolla», così da poterne sfruttare i servigi; e don Gu-
glielmo, il quale era famoso in città appunto perché aveva lo spirito diabo-
lico «alligato» nell’«ampolla», lo interrogava su cose future e segrete vesti-
to dei paramenti sacerdotali e ricorrendo alle formule di esorcismo che si
usavano nella cattedrale 70.
L’attenzione ai testi di necromanzia era un elemento che, nella dimen-
sione di sociabilità in cui la magia era praticata, contribuiva a fare di preti
e frati un raccordo e un collante di notevole importanza tra figure e am-
bienti molto diversi : esponenti delle professioni – soprattutto notai e giu-
reconsulti, aristocratici, magistri, chirurghi – ma anche streghe notorie e
venditori girovaghi, si incontravano e comunicavano tra loro all’interno di
circuiti che ruotavano quasi sempre attorno ad un prete e ai suoi libri di
magia 71. Certo la presenza dei religiosi era preziosa in ragione dei poteri so-

67
ASMo, Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, Contra fratrem Bernardi-
num, deposizione di Giovanni Magnani, 30 dicembre 1519.
68
Cfr. M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 228-230.
69
Cfr. R. Kieckhefer, La magia nel Medioevo, Roma-Bari, 1993 (ed. or. Cambrid-
ge, 1990), p. 217-220.
70
Contra donum Guilielmum Campanam, deposizione di don Guglielmo, 31
marzo 1517, che dichiara di aver usato le coniuractiones solitas fieri in Sancto Gemi-
niano de spirtibus diabolicis per interrogare lo spirito diabolico familiare.
71
Cfr. al proposito le considerazioni di J.-M. Sallmann, Chercheurs de trésors et
jeteuses de sorts. La quête du surnaturel à Naples au XVIe siècle, Parigi, 1986, p. 156-
170, e in particolare p. 159-160 sulle caratteristiche dei maghi alfabetizzati a Napoli
nel ’500; per l’ambiente modenese, cfr. M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 172-182.

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IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 281

prannaturali che erano in grado di maneggiare attraverso l’armamentario


del rituale della Chiesa; ma la loro centralità nella pratica della magia, più
in generale, è anche parte del ruolo di mediatori tra mondi culturalmente e
socialmente difformi che essi rivestivano all’alba dell’età moderna, parteci-
pi com’erano sia delle tradizioni orali della cultura popolare sia della sfera
della cultura scritta. Lettori dei testi di magia cerimoniale, e in contatto
con le fattucchiere del vicinato, dispensatori dei rimedi ecclesiastici e delle
loro varianti eterodosse, guaritori e stregoni al tempo stesso, i religiosi si
presentavano dunque ai primi del Cinquecento con un’identità culturale e
professionale estremamente complessa; dopo averne esplorato alcune delle
numerose sfaccettature, non mi resta adesso che esaminare molto breve-
mente, partendo sempre dal microcosmo modenese, se e come essa rappre-
sentasse un problema per l’autorità ecclesiastica, e in che modo si interve-
nisse a reprimere i comportamenti che da essa discendevano.
In una situazione tipica di assenza del vescovo e di latitanza del-
l’autorità – e del tribunale – episcopale verso tutte le questioni ecclesiasti-
che che non riguardassero la materia beneficiale 72, a Modena era il tribu-
nale dell’Inquisizione a farsi carico di controllare e sanzionare la condotta
deviante dei chierici. Ma un paradosso è subito evidente se si esamina la
serie dei processi dei primi tre decenni del Cinquecento : a fronte di un
coinvolgimento massiccio ed evidentissimo del clero modenese nelle prati-
che magiche, sono veramente pochissimi, non più di due o tre, i preti effet-
tivamente processati, o almeno denunciati, all’Inquisizione 73. In questa se-
de posso solamente abbozzare un’ipotesi interpretativa, che si basa su due
ordini di considerazioni : una relativa al quadro dottrinale del funziona-
mento del tribunale; l’altra, che riguarda i rapporti tra istituzioni diverse
all’interno della Chiesa pre-tridentina.

72
Sullo stato della diocesi di Modena, che, come moltissime altre città italiane,
attraversò il periodo di più profonda crisi dell’istituto vescovile tra la fine del Quat-
trocento e i primi decenni del Cinquecento, cfr. S. Peyronel Rambaldi, Speranze e
crisi nel Cinquecento modenese. Tensioni religiose e vita cittadina ai tempi di Giovanni
Morone, Milano, 1979, p. 29-51, 101-122, e passim.
73
Si tratta del processo completo a carico di Campana (1517) e del procedi-
mento incompleto contro il servita fra Bernardino (1518), mentre il processo contro
don Carafoli (1519) – il quale, pure, era coinvolto in malie e fatture – non è propria-
mente per stregoneria. Per quanto riguarda il tribunale episcopale, se ho visto bene,
nelle filze del fondo Curia vescovile si trova soltanto un processo a carico di un sacer-
dote per pratiche magico-superstiziose relativo ai primi tre decenni del secolo (cfr.
ASMo, Curia vescovile, Attuari, Mirandoli Giacomo, Processi, b. 4, Contra donum
Franciscum Passarinum, 1518).

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282 MATTEO DUNI

Per quanto riguarda il lato teologico, è opportuno anzitutto individua-


re i termini nei quali gli inquisitori modenesi riconducevano le pratiche
magiche e stregonesche sotto la categoria del crimine perseguito dal tribu-
nale, l’eresia. Ciò avveniva all’interno di un’impalcatura teorica tradizional-
mente tomista, e che quindi sussumeva magia e stregoneria sotto la catego-
ria più ampia di «superstitio» 74. In questo quadro, le pratiche magiche e di-
vinatorie, pur se effettuate tramite il ricorso alle potenze diaboliche, si
configuravano come eretiche soltanto se l’incantatore si fosse atteso effetti
che superavano non solo le forze umane, ma soprattutto le possibilità reali
di azione del Maligno. Il mago che chiedeva ai demoni, ad esempio, di
spingere donne o uomini ad una passione sensuale illecita commetteva cer-
to un peccato grave, ma non era un eretico, perché si aspettava che i demo-
ni facessero quel che era loro proprio, cioè tentare l’uomo 75 ; ma chi pensa-
va che il diavolo potesse obbligare a peccare, oppure potesse conoscere
eventi futuri dipendenti dal libero arbitrio dell’uomo o dai disegni divini,
sarebbe stato colpevole d’idolatria, attribuendo al diavolo – creatura – ciò
che è proprio del solo Creatore 76. Ne derivava, al livello della prassi giudi-

74
Sul concetto di superstitio nella riflessione teologica cfr. E. Teetaert, Super-
stition, in Dictionnaire de théologie catholique, Parigi, 1903-1972, XIV, coll. 2763-
2824; Mary R. O’Neil, Superstition, in M. Eliade (a cura di), History of religions, New
York, 1987, XIV, p. 163-166. Nel mio studio Tra magia e religione cit., p. 66-75, 87-90,
109-110, ho svolto un’analisi più ampia e approfondita dell’applicazione del concetto
di «superstitio» nella prassi inquisitoriale nel caso del processo contro Campana, il
più complesso del primo Cinquecento modenese. Studi recenti indicano che un to-
mismo saldo e uno scetticismo prudente nei confronti del fenomeno stregonesco fu-
rono tipici dell’approccio anche di altri tribunali ecclesiastici, come l’Inquisizione
portoghese : si veda l’importante lavoro di J. P. Paiva, Bruxaria e superstição num
país sem «caça às bruxas». 1600-1774, Lisboa, 1997, p. 47-57, 361-363.
75
Cfr. R. Martin, Witchcraft and the Inquisition in Venice cit., p. 71; J. P. Paiva,
Bruxaria e superstição cit., p. 57.
76
Cfr. Nicolaus Eymericus, Directorium inquisitorum Fratris Nicolai Eymerici
Ordinis Praedicatorum, cum commentariis Francisci Pegnae, Venezia, apud Marcum
Antonium Zalterium, 1607, «De invocantibus daemones», p. 338-343, in part. p. 343 :
l’inquisitore deve appurare attentamente quod in invocationibus daemonum, ad peti-
tionem est acutius attendendum : nam si petitur quod excedit daemonis facultatem, ut
sunt futura, a Dei vel hominis arbitrio mere dependentia vel voluntate [...] vel homi-
nem cogere ad peccatum, & similia; et tunc ex huiusmodi petitione haeretici iudican-
tur : quia protestantur se credere daemonem fore Deum. Il Directorium inquisitorum,
scritto dall’Inquisitore Generale del regno di Aragona Eymeric nel 1376, fu stampato
per la prima volta nel 1503 e fu ripubblicato numerose volte fino al XVIII secolo, di-
ventando il principale manuale degli inquisitori (molto importanti le edizioni ro-
mane del 1578 e 1585, curate dall’eminente canonista spagnolo Francisco Peña : cfr.
A. Borromeo, A proposito del Directorium inquisitorum di Nicolas Eymerich e delle
sue edizioni cinquecentesche, in Critica storica, XX, 1983, p. 499-547).

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IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 283

ziaria, una forte attenzione al rapporto tra l’incantatore e il Maligno, che


veniva investigato a fondo per individuare i segni dell’eresia; ma in pratica
era laborioso e piuttosto difficile arrivare ad enucleare opinioni e compor-
tamenti pienamente e consapevolmente idolatrici, tanto più che i maghi-
esorcisti si difendevano dicendo di non aver mai supplicato il diavolo, ma
di averlo costretto ad obbedire grazie alle cerimonie della Chiesa 77. A pro-
posito di quest’ultimo punto, inoltre, è da notare che il tribunale non sem-
bra interessato all’abuso dei sacramenti e dei sacramentali, utilizzati per
invocare il demonio e comunque per numerose tecniche stregonesche. Don
Campana fu condannato per aver tenuto il diavolo «in una bala di cristal-
lo» per avere «resposte così de le cose presente como de le cose che haveva-
no a venire, et erano contingente [...]» e per aver invocato i diavoli speran-
do che essi «mutasseno la mente» di varie persone spingendole ad «amore
illicito» 78 ; il suo utilizzo disinvolto e inconsiderato dei riti, dei luoghi e de-
gli oggetti del culto, al contrario, non è fatto oggetto di sanzione. Le preoc-
cupazioni di figure come Contarini, Giustiniani e Querini per gli usi ano-
mici del sacro, insomma, sono assenti dall’orizzonte concettuale e operati-
vo degli inquisitori modenesi del primo Cinquecento : è verosimile
ipotizzare che per loro l’abuso dei sacramenti dovesse essere colpito solo se
fosse stato inserito in un vero e proprio culto del diavolo, e quindi si fosse
configurato come un atto d’idolatria 79. Soltanto nello scenario post-triden-
tino si arrivò ad una vigilanza più stretta sulle modalità di amministrazio-
ne del sacro, mentre parallelamente si procedeva alla condanna di ogni for-
ma di magia, compresi i sortilegi «semplici» popolari, in quanto opera dia-
bolica 80.
Ma il tradizionalismo dell’impianto teologico non era l’unico vincolo
all’intervento dell’Inquisizione nei confronti dei religiosi. Altro ostacolo, e

77
Cfr. Contra donum Gulielmum Campanam, deposizione di don Guglielmo, 12
marzo 1517 : dichiara di aver interrogato il diavolo costringendolo a rispondergli
exorcismis solitis contra demones.
78
Contra donum Gulielmum Campanam, «Processus» (ossia elenco delle colpe
confessate da Campana), 5 aprile 1517.
79
Cfr. le considerazioni di R. Martin, Witchcraft and the Inquisition cit., p. 148-
160, 189-191, a proposito dell’atteggiamento più severo (ma sempre sulla stessa linea)
dell’Inquisizione veneziana nella seconda metà del Cinquecento : l’uso di oggetti le-
gati al culto da parte di maghi e fattucchiere induce sempre i giudici a sospettare l’a-
dorazione del diavolo e quindi l’eresia.
80
Cfr. M. O’Neil, Magical healing, love magic and the Inquisition in late sixteenth-
century Modena, in S. Haliczer (a cura di), Inquisition and society in early modern eu-
rope, Londra-Sidney, 1987, passim; G. Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe cit.,
p. 176-180, 201 s.; A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori confessori missio-
nari, Torino, 1996, p. 368-417.

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284 MATTEO DUNI

ben maggiore, era costituito dall’integrazione del clero locale nei rapporti
di tipo politico-clientelare attraverso i quali l’élite ecclesiastica governava
la diocesi : quando era necessario, gli esponenti di quella élite fornivano
una difesa molto efficace contro le ingerenze di poteri esterni, come ap-
punto il tribunale dei domenicani. Un esame anche solo superficiale dei ra-
rissimi processi contro i preti modenesi mette in luce la rete di protezioni
che difendeva le loro attività multiformi. Tralasciando il caso di don Cam-
pana, il quale grazie all’aiuto del vicario vescovile ottenne una sentenza
molto mite e riuscì poi a farla annullare dalla Penitenzieria Apostolica 81,
sarà sufficiente ricordare don Giovannino Carafoli, curato di Santa Maria
delle Assi. Incriminato dall’inquisitore Bartolomeo Spina non tanto per i
suoi interessi verso la necromanzia, quanto per l’espressione pubblica del
suo dissenso verso la condanna di don Campana, e soprattutto per la sua
ostilità verso il clero regolare e i suoi poteri, Carafoli rifiutò di presentar-
si 82. Il vicario della diocesi, lungi dal riprenderne la condotta, mandò dal-
l’inquisitore il notaio del vescovato a presentare una «protestatio» del Ca-
rafoli, che avanzava pesanti dubbi sull’equità del tribunale 83. Il procedi-
mento si concluse con la condanna ad una penitenza lievissima.
Perseguire sacerdoti, evidentemente, non era affatto consigliabile per
il tribunale della fede, ancora troppo debole ai primi del Cinquecento nel
confronto con i poteri che dominavano la Chiesa. Qualsiasi tentativo di col-
pire la commistione di magia e religione che si coglieva nelle attività di tan-
ti esorcisti-stregoni si risolveva in un nulla di fatto, se non andava addirit-
tura contra honorem officii inquisitionis e in obbrobrium fidei, come scrisse
lo sfortunato giudice che aveva processato Campana 84. Significativamente,

81
Cfr. M. Duni, Tra religione e magia cit., p. 120-134.
82
Don Giovannino fu citato da Spina per aver dichiarato che l’Inquisizione ave-
va commesso iniustitiam contro don Campana, condannandolo pubblicamente
propter bubulas et res minimi momenti. Fu condannato per aver sostenuto dal pulpi-
to l’opinione eretica quod parrochiani non possunt confiteri religiosis, generalem li-
centiam audiendi confessiones habentibus, sine speciali licentia sui curati vel episcopi;
et qui sine licentia ista, ut prefertur, confessi sunt religiosis, tenentur iterum confiteri
suo curato, alias non sunt absoluti (Contra D. Joaninum Carapholum cit., deposi-
zione di fra Aurelio da Lodi, 9 febbraio 1519; vedi al riguardo S. Abbiati, A proposito
di taluni processi inquisitori modenesi del primo Cinquecento, in Bollettino della So-
cietà di studi valdesi, n. 146, 1979, p. 101-118).
83
Carafoli dichiarava che nolebat comparere ne forte sibi accideret aliquid mali,
sicut et quibusdam accidisse novit et forte contra iustitiam per vicarium Inquisitionis
et in conventu Sancti Dominici ministratum et patratum (Contra D. Joanninum Cara-
pholum cit., deposizione di ser Jacopo Mirandoli, notaio del vescovato, 9 febbraio
1519).
84
Si tratta delle espressioni usate da frate Antonio da Brescia, vicario dell’Inqui-

.
IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL CLERO E INQUISIZIONE 285

la condanna di don Guglielmo rimase per lunghi decenni l’unica pronun-


ciata per stregoneria contro un sacerdote a Modena 85. E generazioni di fe-
deli continuarono a rivolgersi a preti che, come aveva scritto il cronista
Lancellotti, erano «sufficentissimi» nel cantare la messa quanto nell’invo-
care i diavoli.

Matteo DUNI

sizione di Modena tra 1516 e 1518, a proposito della trasgressione da parte di don
Campana delle pene impostegli dal tribunale della fede (non si trattava, peraltro, di
una trasgressione vera e propria, dato che il prete aveva ottenuto l’assoluzione piena
dalle condanne a seguito della sua supplica alla Penitenzieria Apostolica) : ASMo,
Inquisizione, b. 2, Processi 1489-1549, fasc. II, 21 febbraio 1518.
85
Se abbiamo visto bene, nessun religioso risulta esser stato processato per ma-
gia o stregoneria dall’Inquisizione modenese dal 1518 (fra Bernardino) al 1582 (don
Teofilo Zani). Per la verità, negli Elenchi di denunciati «delati» e abiuranti (sec. XVI)
(ASMo, Inquisizione, b. 1, fasc. VI) vi sono scarne menzioni di religiosi denunciati :
nel 1561 ad esempio si registrano tre preti qui curent maleficiis affectas (ibid., c. 30r).
Ma non sembra che queste denunce siano mai state seguite da indagini formali.

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