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PETRONIO

CONTESTO STORICO (età neroniana)


Improvvisamente però, nel 54 d.C., Claudio morì, probabilmente avvelenato dalla moglie
Agrippina, che voleva nominare principe il figlio Nerone.
Nerone durante il “quinquennio felice” seguì una politica filosenatoria, lasciandosi consigliare dal
suo maestro Seneca e da Afranio Burro.
Dopo aver ucciso la madre nel 59 d.C., condusse invece una politica di concentramento del potere
nella sua figura.
Dal punto di vista culturale invece la fine dell’età augustea portò a una crisi del mecenatismo
attraverso l’introduzione della censura nei confronti di innumerevoli intellettuali.
Di conseguenza la poesia e gli scritti non saranno più celebrativi ma bensì critici rispetto all’età
giulio-claudia.

BIOGRAFIA (I sec d.C.)


- notizie sulla biografia dell’autore del satyricon molto controverse
- l’autore si identifica con T.Petronius elegantiae arbiter di Nerone (Tacito, Annales)
- personaggio eccentrico, acculturato, figura di spicco alla corte neroniana
- testimonianze su Petronio anche di Plinio il Vecchio e Plutarco
- elegantiae arbiter (maestro di eleganza, DANDY) = uomo raffinato
- ma anche capace uomo politico
- Nerone lo teneva in grande considerazione
- proconsole della Bitinia
- P. cade in disgrazia per colpa di Tigellino, crudele e invidioso prefetto del pretorio, che lo fa
falsamente accusare di coinvolgimento nella Congiura dei Pisoni (perchè amico di Scevino,
uno dei congiurati)
- condannato a morte (66 d.C.)
- anche il suo suicidio sarà un atto di superiore finezza (suicidio come rappresentazione
scenica)
- suicidio che potrebbe essere stato in parte “idealizzato” da Tacito”
TACITO, ANNALES 18-19 (narra il suicidio di Petronio)
- si fa incidere e richiudere le vene per prolungare l’attesa della morte, per prolungare questa
agonia
- nel mentre discorre di poesia frivola e non di filosofia (Seneca)
- Seneca e Petronio contemporanei ma completamente opposti
- sembra quasi la parodia del suicidio di seneca (parodia del suicidio degli stoici)
- discorre e vive come se nulla fosse, vuole che la sua morte appaia accidentale, vuole che
la morte sopraggiunga con naturalità
- RAPPORTO INTELLETTUALE E POTERE
- prima di morire molti scrivevano testi di adulazione nei confronti di Nerone, nella speranza
di ottenere la grazia
- Petronio fece il contrario
- prima di morire scrisse dettagliatamente tutte le infamie del principe e denuncia
nefandezze e delitti
- attacco diretto a Nerone

SATYRICON
QUANDO: opera risale all’età neroniana
- (quadro società neroniana compatibile con quella di Petronio)

AUTORE: scritta da Petronio


FORMA frammentaria e incompleta, ci è giunto monco

STRUTTURA: 141 capitoli provenienti dai libri XIV, XV, XVI


- struttura composita
- la fabula si presta a delle digressioni
- 5 novelle:
1) novella del vetro infrangibile
2) novella del lupo mannaro
3) trafugamento di un cadavere nella notte di streghe
4) novella del fanciullo di Pergamo
5) novella della matrona di Efeso
1-3 durante la cena di Trimalchione, 4-5 narrate da Eumolpo
- inserti poetici che innalzano lo stile il cui scopo è duplice: 1. raccontare i fatti 2.
rappresentare le percezioni dei diversi personaggi a questi inserti
- la letteratura all’interno del Satyricon è un elemento tematico del discorso

METRO: prosimetro: alternanza di prosa e poesia

TITOLO: Satyricon o anche Satirica o Saturae.


Titolo probabilmente da intendere come un genitivo che sottintenda la parola libri (“libri di
storie satiriche”).
Fa chiaramente riferimento al genere della Satira Menippea (mista (prosa e versi) e varia,
nasce nel III sec. a.C. in Grecia con Menippo di Gadara ed è portata a Roma da Varrone)
N.B. “Satura tota nostra est” ,Quintiliano, la satira non trova corrispondenza nella letteratura greca
Satira ha origine a Roma nel III-II sec. a.C. con Ennio.
vero iniziatore della satira Lucilio (II sec. a.C.): esametro e contenuti pungenti, aggressivi
Orazio: dignità e rigore formale (regolarizza scrivendo tutto in esametri), toni colloquiali e sermo
“urbano”, contenuti intimi, riservati, dimensione informale (idealizzazione dei Sermones)
SATUROI = Satiri (dei)
LEX SATURA = legge polpettone
SATURA LANX = salsiccia
mix di stili, toni, temi, topoi
non a caso Petronio mischia prosa e poesia, modalità espressive e tematiche.
caratteri DIFFERENTI del romanzo petroniano rispetto alla Satira Menippea
- struttura più unitaria
- tema erotico dominante
- assenza di predicazioni moralistiche

GENERE: Romanzo
LA NASCITA’ DEL ROMANZO, SATYRICON PRIMO ROMANZO DELLA LETTERATURA LATINA
- nasce con Petronio e dalla sua voglia di divertire, intrattenere e intrecciare storie
- il romanzo nasce in Grecia e Petronio prende ispirazione dal Romanzo Ellenistico
- scrive in Romanice loqui (lingue romanze) = parlare romanico ossia latino in lingua volgare
prende ISPIRAZIONE DA:
- ROMANZO ELLENISTICO (Omero, Poema epico) ripreso per:
1) il tema del viaggio
2) dell’avversità di un Dio
3) del naufragio
che vengono però rovesciate e diviene quasi un → ANTI-ROMANZO ELLENISTICO, ANTI-
POEMA EPICO
- FABULA MILESIA (fabulae Milesiae) (Aristide di Mileto, argomenti meno idealizzati e situazioni
inverosimili, novelle comiche e licenziose) → per le novelle inserite all’interno del Satyricon
narrazioni realistiche a contenuto erotico, scabrose, grottesche e divertenti
- SATIRA MENIPPEA

NARRATORE: interno è Encolpio, che narra in prima persona la vicenda

ENCOLPIO: NARRATORE MITOMANE E PETRONIO: AUTORE NASCOSTO


- legge e interpreta le sue vicende attraverso le sue conoscenze letterarie (vive sitazioni che
gli ricordano illustri modelli epici e quindi si identifica in quei personaggi eroici: Achille,
Ulisse e Enea)
- Conte definisce E. un narratore “mitomane” ossia un personaggio che narra le avventure di
cui lui stesso è protagonista paragonandole ai modelli epici della letteratura ellenistica.
- E. si immerge dunque in una dimensione eroica che si distacca però dalla vera realtà
degradata della vicenda
- Il racconto di Encolpio risulta dunque non credibile agli occhi del lettore e dello stesso
autore.
- Petronio, con la parodia, fa crollare tutte queste illusioni del protagonista
- Petronio utilizza quindi l’ironia per disilludere questo narratore mitomane che non riesce a
distinguere la realtà dalla fantasia letteraria.
- Dunque l’arma dell’ironia è utilizzata dall’autore per colpire i personaggi stessi del romanzo
che confondono la letteratura con la realtà e non i poemi epici in sé.
- Encolpio diviene così l'anti modello dell’eroe epico
- P. non interviene mai nell’opera, non giudica, rimane distaccato
- Petronio invece viene definito un “autore nascosto” che ascolta la narrazione di Encolpio e
sorride di fronte a questa ridicolo confronto smascherando le illusioni del narratore.

FORTUNATA E LA NARRAZIONE IN PROSPETTIVA

DOVE:
1) Graeca urbs indefinita della costa campana
2) imbarcazione diretta a Taranto
3) Crotone
- luoghi interni: luoghi di trappole, inganni e litigi
- luoghi aperti: spesso simboleggiano il labirinto entro cui i personaggi si smarriscono dal
quale poi riescono a riemergere

PERSONAGGI: i nomi stessi rispecchiano il personaggio


- Encolpio (“ colui che sta in grembo”) : scholasticus, adulescens colto in viaggio con Ascilto
- Ascilto: giovane che viaggia con E., rivale in amore nei confronti di G
- Gitone: giovane affascinante amato sia da E. che da A.
- Dio Priapo: dio della sessualità che perseguita E., è adirato con lui e lo spinge in avventure
comiche (Ulisse-Poseidone)
- Trimalchione (“tre volte potente”): parvenu che ostenta le sue ricchezze e le sue velleità
- Eumolpo (“il bel canto”): poetastro
- Fortunata: moglie di Trimalchione e amministratrice dei suoi beni
- Lica: mercante
TRAMA
- libero accostamento di scene ma il filone principale della vicenda segue le peregrinazioni, i
viaggi di E.
- triangolo amoroso fatto di gelosie, tradimenti e liti
libro XIV
1. E. alle prese con il retore Agamennone e prendono in esame le ragioni della decadenza
dell’oratoria
2. durante questo discorso E. si accorge della scomparsa di A.
3. E. parte alla ricerca di A. affrontando una serie di peripezie
4. Quartilla, sacerdotessa del Dio Priapo, accusa i 3 giovani di aver violati i sacri misteri del
dio e li coinvolge in una serie di riti espiatori (orgia)
libro XV
5. sfuggono alle insidie della sacerdotessa e partecipano alla cena di Trimalchione dove è
presente anche la moglie Fortunata e altri liberti arricchiti
6. Trimalchione inscena il proprio funerale
7. tutto quel baccano fa intervenire i pompieri convinti dello scoppio di un incendio
8. questo permette ai 3 giovani di fuggire
9. dopo essere rientrati nel loro alloggio scoppia una rissa tra E. e A. per G.
10. G. se ne va via con A.

libro XVI
11. E. incontra Eumolpo che recita per lui la “presa di Troia” e i due diventano amici
12. affrontano una serie di peripezie e ritrovano Gitone
13. ora che A. è uscito di scena Eumolpo diviene un altro rivale in amore (nuovo triangolo
amoroso)
14. si imbarcano sulla nave di un mercante Lica, nemico di E.
15. durante il viaggio Eumolpo narra la novella della Matrona di Efeso
16. tempesta fa naufragare la nave di Lica e lo fa uscire di scena mentre i 3 protagonisti
naufragano su una spiaggia di Crotone
17. Eumolpo illustra le caratteristiche della poesia elevata e da un saggio con la declamazione
di un passo del Bellum Civile di Lucano (guerra tra Cesare e Pompeo)
18. Encolpio intraprende una relazione amorosa con una nobildonna di nome Circe
19. è reso sterile dal Dio Priapo
20. per recuperare la virilità si sottopone a delle pratiche magiche
21. nel frattempo Eumolpo stila il suo testamento che contiene una clausola: gli eredi se
vogliono godere dei suoi beni devono cibarsi delle sue carni, compiendo un atto di
cannibalismo

LINGUA E STILE
PARODIA E REALISMO
- filtra ogni vicenda del Satyricon
- PARODIA LETTERARIA dei CANONI, dei TEMI del ROMANZO GRECO e dei GENERI
LETTERARI (ANTI-ROMANZO ELLENISTICO)
- realismo vs idealismo del romanzo greco
- degradazione comica del modello tramite lo schema del rovesciamento tipo della
LETTERATURA CARNEVALIZZATA
- Coppia di giovani innamorati, peripezie, lieto fine → triangolo amoroso tra giovani poco credibili e
non idealizzati
- vicende di E., perseguitato dall'ira del Dio Priapo → degradazione delle avventure di Ulisse,
perseguitato da Poseidone
- PARODIA ETICO-SOCIALE filtra costumi e atteggiamenti individuali e della collettività in
epoca neroniana con intento realistico
- parodia: modalità letteraria utilizzata da P. al fine di raggiungere il realismo
- Petronio enfatizza la distorsione delle bassezze umane, i comportamenti gretti,
l’esibizionismo, l’indifferenza, che rispecchiano la decadenza morale e la perdita dei valori
dell’età neroniana
- esagerazione quando si parla di eccessi
- descrive la sua realtà sociale, distorcendo e enfatizzando le bassezze della collettività e
dell’individuo, ciò è sicuramente comico ma si può cogliere un implicito giudizio sociale
- per alcuni da ciò emerge un implicito disprezzo per questa società degradata (il realismo
del distacco) che preferisce soldi, cibo e sesso ai valori antichi della cultura
- l’opera non è una denuncia dei mali della società del suo tempo, è piuttosto l’osservazione
divertita e in parte disprezzata di un raffinato e colto aristocratico

SATYRICON COME DOCUMENTO DELLA CRISI DEL TEMPO


La contrapposizione di Encolpio a Trimalchione e i liberti non è un confronto tra il bene e il male e
il giusto e lo sbagliato.
Anche Encolpio contribuisce alla degradazione della società.
Questa crisi sociale investiva tutta la società durante l’epoca neroniana, non solo Trimalchione e i
liberti arricchiti con il loro chiasso e la loro rozzezza ma anche Encolpio con il suo silenzio.

REALISMO PETRONIANO (AUERBACH)


- realismo di petronio diverso dal realismo epico per la sua dimensione “romanzesca”
- ossia per:
1) la visione soggettiva della realtà (narrata da un personaggio della vicenda), il
narratore proietta la sua visione soggettiva, filtrata dai suoi giudizi sulla realtà
(visione della realtà in prospettiva)
Petronio evita di raccontare personalmente le vicende delegando il compito direttamente ai suoi
personaggi. Questo artificio narrativo conferisce alle descrizioni un tono estremamente soggettivo,
con un conseguente sdoppiamento di prospettiva: il personaggio nel descrivere gli altri descrive
inconsapevolmente, con i suoi giudizi e considerazioni, anche se stesso. Il procedimento, come
afferma Erich Auerbach nel suo celebre saggio MIMESIS "conduce ad un’illusione di vita più
sensibile e concreta", e quindi più realistica.
Petronio se ne serve per una obiettiva e consapevole descrizione di un particolare strato sociale

2) il punto di vista, essendo portato dentro la narrazione, esalta ciò che a lui sta a
cuore. in questo caso l’ascesa sociale della classe dei liberti dovuta alla fortuna e
alla sorte (mondo instabile in continuo mutamento, la ricchezza e la posizione
sociale sono altamente instabili). Il confronto tra la condizione presente e la
condizione passata (DE NIHILO CREVIT, Fortunata)
3) soggettivismo e realismo che si esprime anche attraverso il linguaggio, mimesi
linguistica non tanto nelle tematiche (linguaggio realistico che rispecchia il
personaggio)

Il realismo, cioè lo sguardo attento ad una realtà che si intende rappresentare nei suoi molteplici
aspetti, in Petronio tocca livelli di resa, anche linguistica, precedentemente sconosciuti alla
letteratura latina.Petronio adatta ad ogni personaggio il suo specifico registro linguistico: si passa
così dalla stile aulico, declamatorio, di Eumolpo, alla parlata volgare, piena di espressioni gergali
dei commensali di Trimalcione. A caratterizzare un personaggio non concorrono solamente le sue
azioni e i suoi discorsi ma anche la lingua. La modalità letteraria con cui, poi, vengono riferiti i fatti,
rappresenta un esempio insuperato nella letteratura classica di realismo descrittivo.
La narrazione soggettiva fatta da un personaggio delle proprie peripezie ha, nella sua forma
esteriore, diversi precedenti nella letteratura classica: ad esempio, il celebre racconto di Ulisse alla
corte dei Feaci o Enea presso Didone.
Petronio, tuttavia, per la prima volta, se ne serve per una obiettiva e consapevole descrizione di un
particolare strato sociale: la bassa plebe provinciale e l’emergente classe dei liberti del primo
secolo dopo Cristo. Questo intento descrittivo, come osserva ancora Auerbach, rende l’opera di
Petronio più simile di ogni altro scritto classico alla moderna rappresentazione realistica di scrittori
come Balzac, Flaubert, Tolstoy o Dostoevskij, rappresentando dunque il limite estremo cui il
realismo antico sia mai arrivato. Gli altri generi letterari che rappresentano la realtà quotidiana
bassa sono cristallizzati nella loro descrizione in schemi fissi e generici, come nella commedia, o,
invece, come nel caso della satira, risentono di uno spiccato moralismo, che accentua in chiave
critica i vizi dei personaggi.
Bisogna però precisare che Petronio, come tutti gli scrittori e storici classici, non conosce il
concetto moderno di società, con le sue problematiche politiche ed economiche e le sue
suddivisioni in classi e forze sociali. La sua descrizione dei liberti che partecipano alla cena di
Trimalcione non esamina assolutamente le cause economiche e politiche che nel I d.C. hanno
portato alla ribalta nella società romana quel ceto che, soltanto pochi decenni prima, era in uno
stato di totale asservimento. Inoltre, la severa divisione degli stili vigente in tutta la letteratura
classica e codificata da Aristotele nella Poetica imponeva che la vita quotidiana e la realtà bassa
del popolo dovesse essere rappresentata solamente in forma comica e mai in modo tragico e
serio.
Il Satyricon non si pone nessuna finalità documentaria o sociologica né tantomeno può essere
interpretato come una denuncia della società del tempo. L’autore la descrive con estrema
spregiudicatezza ma allo stesso tempo con stile fortemente ironico, sagace e distaccato.
Il comportamento di Petronio è quello di distaccata superiorità e di non-partecipazione.
L’atteggiamento dell’autore di fronte alla realtà e ai problemi morali che essa propone, non risulta
mai, per altro, improntato al biasimo e alla condanna moralistica, quanto piuttosto all’aristocratico
disincanto di un osservatore divertito. Tale esito è raggiunto mediante un accurato uso delle forme
linguistiche, dei mezzi espressivi e di operazioni di etopea. Il realismo petroniano risulta dunque
notevolmente limitato se confrontato con la letteratura moderna, in quanto non consente un
approfondimento serio e problematico delle tematiche sociali, pur rappresentando la più avanzata
forma di realismo della letteratura classica.

MIMESI LINGUISTICA E PLURILINGUISMO


- diversi livelli di lingua, diversi stili (PLURILINGUISMO E PLURISTILISMO)
- i registri vengono adattati al livello socio-culturale dei soggetti secondo il principio della
MIMESI LINGUISTICA
- il linguaggio viene adattato allo stato sociale e culturale di chi sta parlando
- i personaggi colti: Sermo familiaris, semplice, elegante grammaticalmente corretto
- il registri però si adatta anche ai temi dei discorsi
- i personaggi di basso livello culturale (i liberti arricchiti): Sermo vulgaris, base linguistica
popolare, espressioni proverbiali e colloquialismi, volgarismi, diminutivi
- sermo vulgaris= latino scorretto ricco di volgarismi, grecismi e neologismi
- Cena di Trimalchione si realizza il più alto livello di mimesi linguistica
- dalla lingua (sermo vulgaris) possiamo comprendere la mentalità di questo nuovo ceto
- temi del cibo, del denaro e del sesso dominano il lessico e i discorsi, a sottolineare la
banalità e la meschinità dei discorsi

ARCHETIPO DEL VIAGGIO


ARCHETIPO DEL LABIRINTO
archetipo del labirinto come archetipo della crisi delle certezze e dei valori
nella struttura labirintica sta la COMPLESSITÀ’ del romanzo
struttura labirintica la ritroviamo e rispecchia:
- la struttura topografica (villa di Trimalchione) e negli “oggetti” (portate della cena, a scatole
cinesi)
- lo smarrimento intellettuale
- lo smarrimento dei valori tradizionali della società
- la decadenza morale
- l’intreccio dei discorsi (sul piano lessicale e della conversazione), anche la scrittura è
labirintica
- mancanza di soluzioni di una società in crisi

CENA DI TRIMALCHIONE
- digressione dalla storia principale
- fonti letterarie da cui trae ispirazione: Simposio di Platone e Cena Nasidieni, satira di
Orazio
- opera di Platone riletta e rovesciata in chiave parodistica
- da queste fonti riprende i monologhi (simposio) e il desiderio del padrone di casa di stupire
i suoi commensali (cena nasidieni)
- probabilmente prende spunto anche dalla realtà, quindi personaggi e luoghi rispecchiano il
reale e rispondono a un criterio di verosimiglianza e di realismo
L’episodio della Cena di Trimalchione descrive un ricco banchetto organizzato dal ricco liberto
Trimalchione al quale Encolpio, Ascilto e Gitone partecipano.
Da quest’episodio emerge l’ascesa di una nuova classe sociale durante il periodo neroniano,
quella dei liberti.
Questa nuova classe sociale ha abbandonato tutti i valori tradizionali della cultura e della moralità
e li ha sostituiti con quelli del cibo, del denaro e del sesso.
Il protagonista di quest’episodio, ossia Trimalchione, è un ricco liberto esibizionista e spregiudicato
che vuole ostentare la sua ricchezza e la cui unica preoccupazione è la morte e la brevità
dell’esistenza umana, che è simboleggiata da uno scheletro d’argento che un servitore getta sulla
tavola durante la cena.
Questo scheletro, più volte gettato sulla tavola dal servo, assume sempre posizioni differenti, a
simboleggiare le varie forme che la morte può assumere.
Questo tema della morte è sviluppato durante tutto il racconto della Cena di Trimalchione e si
giungerà addirittura alla messa in scena del funerale dello stesso Trimalchione.
(Nel Satyricon emerge il distacco di Petronio da questi liberti arricchiti, in quanto ignoranti e
volgari.)
- ostentazione plateale della sua ricchezza
- teatralità e spettacolarismo
- scena accurata e descrizione minuziosa che enfatizza la ricchezza del liberto
- Ogni minimo dettaglio del banchetto è stato curato in modo maniacale e ciò sottolinea
l’esibizionismo di Trimalchione

T1 L’ENTRATA IN SCENA DI TRIMALCHIONE


- descrizione dell’arrivo di Trimalchione al banchetto
- scena accurata e descrizione minuziosa che enfatizza la ricchezza del liberto
- Ogni minimo dettaglio del banchetto è stato curato in modo maniacale e ciò sottolinea
l’esibizionismo di Trimalchione
- ostentazione plateale della sua ricchezza
- teatralità e spettacolarismo
- Trimalchione ricerca l’effetto sorpresa nelle portate che serve tramite la finzione e l’artificio
- tutto si svolge nella più totale volgarità e insensatezza (tutto è degenerato)
- scheletro d’argento= simbolo della morte
- il senso della morte fa scattare in lui l’imperativo a godere
- Al termine del passo l’esortazione finale di Trimalchione a godere dei piaceri della vita
rivela la preoccupazione e l’ossessione della morte (scheletro spunto per una
declamazione sulla caducità della vita)
- semplicistico tentativo di interpretare il Carpe Diem di Orazio
- rovescia il carpe diem, Trimalchione invita a godere dei piaceri con voracità perchè la vita è
breve (distorsione del messaggio oraziano)
- in questo episodio Petronio ironizza sulla volgarità degli eccessi e al contempo critca e
disapprova i costumi e le mode di questi liberti arricchiti

T2 L’ASCESA SOCIALE DI TRIMALCHIONE


- Trimalchione tiene un discorso, una vera e propria orazione, nel quale ripercorre tutti i
momenti della sua ascesa sociale, da schiavo a ricco liberto.
- piccolo schiavo di origine asiatica, condotto a Roma e comprato da un ricco signore di cui
divenne l’amante ed anche dispensator, ossia il tesoriere del padrone
- ricevette in eredità parte del patrimonio che investì in attività commerciali (per ottenere
ingenti guadagni) e in acquisti di terreni (per vivere come un aristocratico) e proprio da qui
ha inizio la sua ascesa sociale che lo portò a diventare un ricco liberto
- la sua scaltrezza e la sua intelligenza gli hanno permesso di arricchirsi ma anche la
Fortuna ha giocato la sua parte
- da questo suo discorso scaturisce una delle massime più famose del satyricon ossia:
ASSEM HABEAS, ASSEM VALEAS; HABES, HABEBERIS (hai un soldo, vali un soldo; hai
qualcosa, sarai qualcuno)
- mimesi linguistica
- Trimalchione, nonostante sia un liberto arricchito, è privo di cultura e ciò lo si può cogliere
dalla straordinaria mimesi linguistica applicata da Petronio nell’orazione, attraverso
l’inserimento di modi di dire popolari, di proverbi e di un basso livello linguistico.

T3 FORTUNATA, LA MOGLIE DI TRIMALCHIONE


- umili origini, sa cos’è la povertà, ma grazie alla Fortuna è divenuta una popolana arricchita
- grazie alla sua ambizione, alla sua avidità e grazie anche alla fortuna è riuscita a ribaltare
completamente il suo status sociale (crescita di questa classe di liberti arricchiti che pensa
solo ad accumulare beni e ostentare le proprie ingenti ricchezze)
- amministra il suo patrimonio e quello del marito
- è presentata dal punto di vista di un liberto di nome Ermerote che spiega ad Encolpio chi
sia la donna che si aggira per la sala
- Ermerote fa un ritratto della donna “in prospettiva” (Auerbach) ossia attraverso il punto di
vista di un personaggio interno alla società nella quale Fortunata è inserita
- dunque l’immagine che viene data di Fortunata è filtrata, distorta, storpiata dal giudizio del
liberto che ne fa la descrizione (giudizio che essendo di un uomo che appartiene alla
stessa classe sociale della donna si basa sul metro della ricchezza)
- presentata nei termini del realismo comico
- ama la ricchezze, i gioielli e il lusso (tantum auri vides)
- l’avidità di ricchezza, la vanità e l’abitudine al pettegolezzo la caratterizzano
- linguaggio realistico che rispecchia il linguaggio dei liberti, ossia ricco di modi di dire, frasi
brevi, espressioni proverbiali…
- il linguaggio è colorito e volgare
STATUS SOCIALE DELLA DONNA
- evidente il mutamento dello status sociale della donna durante l’epoca neroniana che iniziò
ad acquisire autonomia e indipendenza nei confronti dell’uomo
- crescita del ruolo e dei diritti delle donne

T4 LA MATRONA DI EFESO
- appartiene al genere della fabula milesia e questa novella viene però rielaborata da
Petronio in chiave erotica
- digressione, un intermezzo narrativo che viene narrato dal poeta Eumolpo durante il
viaggio per mare di Gitone ed Encolpio sulla nave del mercante Lica diretta verso Taranto.
MISOGINISMO
- a bordo si stava affrontando un tema misogino riguardo la volubilità delle donne che
Eumolpo vuole sostenere con un exemplum (a sostegno della volubilità della donna) e
narra così la novella della Matrona di Efeso
- tema misogino che trova validità e conferma in questa novella
- progressivo abbandono della pudicizia a favore della impudicizia e del sacrilegio (cede
facilmente alle lusinghe del soldato e si arrende di fronte ai piaceri materiali)
TRAMA
la matrona di Efeso è una vedova inconsolabile dopo la morte del marito a tal punto da rinchiudersi
nel sepolcro dove era stato posto il cadavere del marito. La donna, assistita da una serva, si stava
facendo morire di fame fino a che non giunse al sepolcro un giovane soldato che si trovava nei
paraggi perchè stava facendo da guardia ai corpi di due ladri crocifissi, di modo che i parenti non li
portassero via.
L’arrivo del soldato fece rinascere in lei la voglia di cibarsi e di vivere, tanto che si lasciò sedurre
facilmente dal soldato. (consolatio che assume fini ben diversi da quelli di alleviare i dolori
dell’animo.) Purtroppo però i parenti di uno dei due ladri crocifissi sottrasse il cadavere proprio
mentre il soldato si trovava in compagnia della matrona.
Intenzionato a suicidarsi per le terribili conseguenze che ne deriveranno, il soldato viene salvato
dalla donna che, pur di non perdere un amante vivo, appende alla croce il corpo del marito già
morto.
- letteratura carnevalizzata (rovesciamento della figura della matrona e dell’amore (eros,
thanatos), totale rovesciamento dei valori tradizionali)
- desacralizzazione di tutti i temi trattati (amore e morte) con intento parodistico e grottesco
- degradazione morale della matrona (la donna è legata al piano materiale, non sa rinunciare
al vino, al cibo e al sesso)
- la natura e i piaceri prevalgono sulla virtù e sulla ratio, prima in ambito gastronomico e poi
sessuale
SUL PIANO LESSICALE
- il linguaggio diviene dal drammatico al comico
- non si intravede alcun giudizio moralistico
- testo permeato di ironia, di un'ironia fine a se stessa che non mira a un messaggio morale
- REALISMO DEL DISTACCO (“sospensione del giudizio”)
- il soldato utilizza metafore militari
ANCELLA
- rovesciamento anche della figura della ancella che stava accento all’eroina tragica
- compie un’azione persuasiva utilizzando lo strumento della dialettica e la sua abilità
retorica
- le parole dell’ancella assumono un tono elevato in quanto si ispirano alle parole
pronunciate dalla sorella di Didone di nome Anna, che cerca di persuadere la sorella ad
abbandonarsi all’amore per Enea (Eneide)
- la funzione di questo richiamo è chiaramente parodistica

T5 L’ARRIVO A CROTONE, SATYRICON 116


Crotone, ricca colonia della Magna Grecia, è la città dove naufragano Eumolpo, Gitone ed
Encolpio. Al loro arrivo li accoglie un contadino che li informa sul malcostume dei cittadini e sulla
loro attività economica principale di cacciatori di testamenti.

UN MONDO ALLA ROVESCIA


- la città di Crotone è una città distopica, una città alla rovescia
- rovesciamento investe sia il piano sociale che morale
- i valori morali sono rovesciati e degradati (degradazione a livello valoriale) e a Crotone c’è
una totale mancanza di moralità
- insensatezza dei comportamenti umani, degrado sul piano valoriale non investono solo la
città di Crotone ma anche la sua società contemporanea
- Crotone è il simbolo di una città e di una società in decadenza
- l’inganno, la frode e la sregolatezza hanno soppiantato l'onestà, la rettitudine e i buoni
costumi
- solo la menzogna è fonte di guadagno
- ribaltata anche l’importanza della famiglia, che era un pilastro della società romana
- ribaltamento investe anche il piano lessicale, ciò lo si individua nel linguaggio forbito del
contadino
- questo è un esempio di “mimesi linguistica” alla rovescia

TEMA DELLA DEFORMAZIONE, DELLA CARNEVALIZZAZIONE, DEL MASCHERAMENTO E’ IL


TEMA CHE ACCOMUNA GRAN PARTE DEGLI AVVENIMENTI DEL SATYRICON.
L’INGANNO E’ IL COMPORTAMENTO CHE CARATTERIZZA TUTTI I PERSONAGGI DEL
ROMANZO E QUESTI LO UTILIZZANO SECONDO LA CATEGORIA DELLA CONVENIENZA.
Le parole e i pensieri non sono dettati da ragioni morali ma vengono modellati in base all’obiettivo
da raggiungere.

- Inganno di Eumolpo: si presenta come un uomo ricco che ha appena perso il figlio e
Eumolpo e Gitone si fingono suoi schiavi

T9 L’IRA DI ENCOLPIO
- Gitone decide di andare via con Ascilto e non con Encolpio.
- Encolpio non vuole lasciare impunito il tradimento e decide di vendicarsi con il sangue dei
due amanti
- ma un uomo in uniforme (non è necessario l’intervento di una divinità) gli requisisce la
spada (finisce addirittura derubato)
- tradito dalle scarpe, dal improprietà dell’abbigliamento militare
- la volontà di vendetta si tramuta in un’azione mancata
- deluso torna al suo alloggio e comprende come siano la fortuna e la sorte a decidere il
corso degli eventi
- si possono intravedere dei modelli eroici epici
- in Encolpio riconosciamo:
1) il furor eroico di enea
- indossare le armi (enea durante la notte della guerra di Troia)
- l’atteggiamento furente di Encolpio che cerca i due= atteggiamento furente di Enea che
cerca Creusa
- Enea furente che vede Elena nell’incendio di Troia e pensa addirittura di ucciderla
2) l’ira del pelide Achille
- le emozioni di Encolpio vengono però amplificate e rese quasi melodrammatiche
- Encolpio è quindi intrappolato in queste sue fantasie di vendetta eroica e illusioni che lui
proietta nella realtà
- divario tra le illusioni eroiche del poeta e la vita reale
- le sue aspirazioni crollano nella vita reale e ciò è sottolineato dall’ironia

LINGUA E STILE
- inizialmente registro alto
- realismo: prima di attuare il suo piano vendicativo pensa di rifocillarsi con una bella
scorpacciata
- strumento dell’ironia

T7 LE CHIACCHIERE DEI LIBERTI


- liberti divengono una classe dirigente che si dedica all’attività commerciale e con il tempo si
arricchiscono notevolmente
- sono in parte frustrati in quanto non vengono riconosciuti dalle altre classi sociali anche per
il fatto che sono ancora rozzi e grotteschi
- esempio di mimesi linguistica (latino scorretto, ricco di volgarismi, grecismi e neologismi
che fanno trasparire rozzezza)
- discorsi filtrati dal giudizio del narratore, che in questo caso è determinato dal solo
parametro della ricchezza

SELEUCO
- tema della morte
- inopportunità di fare i bagni quotidianamente
- ricorda il funerale di Crisanto e ne fa le lodi

FILEROTE
- condizione passata e condizione presente (si è fatto dal niente)
- le sue ricchezze sono dovute all’avidità, all’indole litigiosa e anche alla fortuna

GANIMEDE
- elogio della condizione passata
- politico Safinio che aveva una giusta condotta morale, era leale e onesto
- vs interessi personali e corruzione
- declino della religiosità, declino economico e malgoverno attuali
- da questo discorso emerge che l’orizzonte del pensiero dei liberti è la realtà concreta, non
riescono a individuare le cause profonde della degradazione della società

ECHIONE
- crisi economica e valoriale
- commento sugli spettacoli dei condannati dati in pasto alle belve
- Echione si rivolge ad Agamennone e commenta e ironizza sulla la disparità di educazione
- tratta la differente concezione della cultura tra gli intellettuali e la gente comune
- litterae thesaurum est (la cultura è un tesoro)
- quicquid discis, tibi discis (quello che impari lo impari per te)
- valore della cultura

La vita
Ci sono conservati notevoli frammenti di due libri, appartenenti a un'opera di carattere singolare,
che possiamo definire un romanzo, il Satyricon, attribuito nei codici a un PETRONIO ARBITRO.
Un problema fondamentale si pone subito: se il Petronio, autore del Satyricon, sia da identificare
con il Petronio di cui parla con una certa ampiezza Tacito nel XVI libro degli Annali. Diciamo subito
che oggi a questo interrogativo si dà in genere risposta affermativa: l'identificazione è
generalmente ammessa. Nei capitoli citati Tacito parla appunto di un Petronio che fu tra le vittime
illustri della congiura dei Pisoni, e mori nel 66 d. C. Petronio si era acquistato con l'ignavia la
notorietà che di solito si ottiene con la vita operosa; ma non per questo era ritenuto un crapulone,
come la maggior parte di coloro che consumano il loro patrimonio, ma un raffinato gaudente. Del
resto aveva dato prove di essere energico e all'altezza dei propri compiti, quando era stato
proconsole in Bitinia e poi da console. Ammesso fra i pochi intimi dell'imperatore, venne
considerato da lui arbitro del buon gusto (elegantiae arbiter); tanto che Nerone nulla stimava
elegante e raffinato se non l'avesse approvato prima Petronio; ma l'invidia del rivale Tigellino lo
fece cadere in disgrazia. Così, mentre stava seguendo l'imperatore che si recava in villeggiatura in
Campania, Petronio, giunto a Cuma, ricevette l'ordine di fermarsi. A questo punto Petronio non
volle affrontare le incognite della situazione, e si incise le vene senza attendere la condanna
ufficiale. Le ultime ore le trascorse a banchetto, ascoltando dagli amici non discorsi sull'immortalità
dell'anima, ma versi frivoli. Dette premi ad alcuni dei servi; altri ne punì. E nel suo ultimo
messaggio (codicillis), indirizzato a Nerone, non adulò lui e i suoi accoliti, come era divenuto ormai
uso nei casi simili, per tutelare i congiunti; anzi scrisse per filo e per segno un elenco delle
turpitudini del principe, e glielo mandò dopo averlo sigillato con il suo anello. Poi ruppe il sigillo,
perché Nerone non se ne potesse servire per fare altre vittime. Se volessimo immaginare un
ritratto dell'autore del Satyricon nessuno potrebbe riuscire più adatto di questo tacitiano. È vero
che queste pagine non sono certo da considerare un documento di sicura esattezza storica: la
morte di Petronio, come altre descritto negli Annali tacitiani, presuppone la letteratura idealizzante
dei cosiddetti exitus illustrium virorum; anche se ne risente in modo particolare rovesciandone,
diremmo, i termini. Infatti, mentre discutere su argomenti filosofici attinenti alla morte pare quasi
tema obbligato per un personaggio giunto in simili circostanze alla fine della vita, a proposito di
Petronio, Tacito nel passo citato sottolinea il particolare che egli non si comportò come gli altri
(...alloqui amicos non per seria aut quibus gloriam constantiae peteret. Audiebatque referentes
nihil de immortalitate animae... sed levia carmina et faciles versus).
SUICIDIO
Quella di Petronio è dunque una morte in antitesi a quella socratico-stoica dei condannati a morte
degli Annali, tra le quali abbiamo già visto, esempio tipico, quella di Seneca. Ma non per questo la
descrizione tacitiana è meno significativa. Infatti, comunque sia avvenuta nella realtà la morte di
Petronio, bisogna ammettere che quella descritta da Tacito doveva essere sentita dallo storico
come perfettamente conveniente al personaggio, anzi forse immaginata proprio sul carattere di lui
per costituire un exemplum significativo. È evidente, dunque, che il ritratto di Petronio, sia pure
condotto secondo un preciso schema precostituito, doveva essere aderente alla realtà dell'uomo.
La questione petroniana Quindi che il ritratto del Petronio tacitiano si attagli così bene all'immagine
che noi concepiamo dell'autore del Satyricon conserva tutto il significato che sottolineava il
Marchesi per l'identità delle due figure. Ed è significativa anche la definizione di Tacito di
elegantiae arbiter; la quale concorda con quella di Petronius Arbiter che troviamo nei manoscritti e
in testimonianze indirette; il metricista Terenziano Mauro, il primo fra gli antichi (III sec. d. C.) che
nomina Petronio, lo dice fra 2 l'altro Arbiter disertus; nel V sec. il romanzo di Arbiter è citato da
Macrobio e uno scrittore Arbiter da Sidonio Apollinare. Questo soprannome dato all'autore del
romanzo, che una volta di più fa optare per l'identificazione di lui con il personaggio tacitiano, può
essere derivato a Petronio dalla celebrità di quelle prerogative cui Tacito (e anche Plutarco)
accenna; oppure, all'opposto, la definizione tacitiana di elegantiae arbiter può esser nata dal
cognome Arbiter.
PETRONIO? DATAZIONE?
Si è tuttavia da parte di più di uno studioso tentato di sostenere che l'autore del Satyricon non
fosse da identificare con il Petronio di cui parla Tacito; perché il romanzo sarebbe da datare molto
piú tardi, addirittura nel III secolo; l'ipotesi si fonda su argomenti linguistici, su presunte imitazioni
da Marziale che si ritroverebbero nel Satyricon, e anche su un'usanza, la manumissio per mensam
(cioè l'uso di affrancare gli schiavi invitandoli alla mensa padronale), non documentata prima del III
secolo d. C., che si è creduto di trovare attestata nel romanzo (Paoli) in una scena che in realtà
muove da un fermento di idee che è presente anche in Seneca e che di quella usanza è il
presupposto. Ha destato, a ragione, qualche dubbio anche il fatto che del Satyricon non vi sia
menzione negli scrittori prima del III secolo d. C. Ma questo silenzio può spiegarsi fra l'altro con il
fatto che il Satyricon era per il suo contenuto assolutamente inadatto alla scuola. Quanto alla
lingua del romanzo, che è stata ritenuta tarda da coloro che credevano che si dovesse spostare
qualche secolo più avanti la datazione del Satyricon, essa può benissimo essere quella del I sec.
d. C.; Petronio mise in bocca ai suoi personaggi, all'occorrenza, il latino parlato del I secolo d. C. e
anche usi idiomatici e plebei frequenti, quali possono riscontrarsi nelle iscrizioni pompeiane: e i
volgarismi sono fatti di conservazione che possono distendersi anche in un ampio arco di tempo.
Mentre non vi sono ragioni fondate per non attribuire il Satyricon all'età di Nerone, ve ne sono varie
e importanti a favore di questa datazione. Intanto nel cap. 89 vi è, declamato da un personaggio,
Eumolpo, un carme sulla distruzione di Troia (Troiae halõsis), che sembra satireggiare il poema
perduto di Nerone sulla guerra troiana; ed è ovvio che la satira perderebbe tutta la sua punta,
morto Nerone; inoltre, nei capp. 119-124 si trova il lungo brano sulla guerra civile che si
contrappone in maniera evidente al poema di Lucano, senza che Lucano vi sia nominato; che per
alcuni sarebbe una prova che il poeta doveva essere ancora vivente. A parte questo, usanze,
costumi, idee espresse nel romanzo inquadrano chiaramente l'opera nello sfondo etico-sociale
dell'età di Nerone. Sul passo tacitiano è sorta un'altra questione. Abbiamo visto che, secondo
Tacito, Petronio giunto sul punto di morire avrebbe inviato, come facevano in genere i condannati
a morte, dei codicilli all'imperatore: flagitia principis sub nominibus exoleterum feminarumque et
novitatem cuiusque stupri perscripsit atque obsignata misit Neroni. Secondo alcuni in questi
codicilli sarebbe da vedere il Satyricon; che naturalmente non sarebbe stato composto negli ultimi
momenti di Petronio, né era una precisa satira contro Nerone, ma descriveva lussurie che non
erano ignote all'imperatore. Però l'identificazione dei codicilli col Satyricon – che comunque
potrebbe considerarsi solo una pura ipotesi – lascia molte perplessità, e non su questa possiamo
fondare la nostra attribuzione del romanzo al Petronio tacitiano. Su Petronio, comunque, non
siamo affatto informati al di là dei capitoli tacitiani; non ne conosciamo neppure il prenome: il piú
probabile è Titus, datoci da Plutarco, ma si incontra anche Publius, in uno scolio a Giovenale, e
Caius, nel passo degli Annales. Non sappiamo nulla neppure della patria di Petronio; egli secondo
alcuni sarebbe di origine campana, secondo altri di origine gallica, e secondo altri, infine, romano.

Le opere; le poesie
All'infuori delle parti attribuite al Satyricon nell'Anthologia latina (una copiosa raccolta del V secolo
di componimenti poetici di vari autori o anonimi), ci restano circa 30 carmi e frammenti poetici, o
trasmessi sotto il nome di Petronio nei codici stessi o che possono attribuirsi a lui per 3
testimonianze indirette o in base a ragioni stilistiche; ma non sempre l'attribuzione è sicura. Alcuni
di essi potrebbero originariamente aver fatto parte del romanzo. Comunque sono in genere
ripetizioni di forme epigrammatiche già viete: unica novità, non certo di rilievo, può forse vedersi in
certe leziosaggini erotiche, che formalmente sembrano anticipare la poesia dei « poeti novelli ».
Più interessanti, se mai, gli sviluppi di motivi dell'epicureismo più trito: dalla negazione degli dèi
alla proclamata sfiducia nelle virtù profetiche dei sogni. Probabilmente, i versi che originariamente
erano inseriti nel romanzo, in parti ora perdute, dovevano acquistare senso, talvolta parodistico e
caratterizzante, inquadrati nei contesti in prosa. Comunque essi non aggiungono nulla alla
grandezza di Petronio, che rifulge tutta nella prosa del Satyricon.

Il romanzo di Petronio
Si è già detto che del Satyricon ci sono giunti larghi estratti di due libri, il XV e il XVI.

STRUTTURA E LUNGHEZZA
Che essi appartengono ai libri XV e XVI sarebbe provato dal fatto che in uno dei codici, quello
trovato a Traù in Dalmazia, nella subscriptio, cioè nella formala che chiude il codice, è detto
esplicitamente: Petronii Arbitri Satyri fragmenta expliciunt ex libro quinto decimo et sexto decimo.
Ma non è questa, certo, una ragione sicuramente probante. Naturalmente, se diamo fede a questa
testimonianza, il Satyricon occupava almeno sedici libri. C'è chi pensa appunto a un'estensione di
sedici o diciassette libri, chi a un'estensione di circa una ventina. Ma v'è anche chi (Paratore)
crede che l'opera fosse molto meno lunga. In realtà i molti rimandi e allusioni, nelle parti che
possediamo, a clementi e fatti che dovevano essere nelle parti perdute, potrebbero anche far
pensare a un'estensione notevole del romanzo.
QUESTIONE DEL TITOLO
Non siamo sicuri neppure del titolo. Nei codici compaiono Petronii Arbitri Satire con, Petronil Arbitri
satirarum liber, e anche Petronii Arbitri Aranii satirici liber, oltre al già visto Petronii Arbitri Satyri
fragmenta. In genere si accetta il titolo Satyricon (intendendolo come un genitivo plurale del tipo
Metamorphoseon, sottinteso libri, trascrizione del greco estupekāy, o anche come un nominativo
neutro singolare, da satupuxóv) con y, che sarebbe indice di una forma trascritta dal greco; mentre
la forma con i ou indicherebbe una derivazione diretta della parola latina satira o satura, e
starebbe a indicare il carattere composito dell'opera, che, mista com'è di poesia e prosa e di
argomento vario, si può avvicinare alla Satura menippea, e con questa ha del resto piú di un
motivo comune, al di là della forma. Con la questione del titolo, dunque, è connessa quella del
genere a cui va ascritto il Satyricon.
FONTI DI ISPIRAZIONE E QUESTIONE DEL GENERE
L'opera di Petronio tradizionalmente viene avvicinata al genere satirico: e difficilmente si possono
escludere del tutto rapporti fra il Satyricon e le satire menippea, fra queste il recentissimo Ludus de
morte Claudi di Seneca. Ma almeno altrettanto innegabili sono i rapporti del Satyricon con il
romanzo, a cominciare dalla sua lunghezza. Petronio ad Apuleio è già avvicinato da Macrobio, nel
suo commento al Somnium Scipionis (I, 2, 8); ma, al di là di ogni testimonianza, l'evidenza stessa
parla in questo senso. Ma in che rapporto è il Satyricon con il romanzo precedente, cioè con il
romanzo ellenistico? Noi conosciamo il romanzo ellenistico, nel complesso, troppo poco;
comunque par difficile negare ogni rapporto di Petronio con quello, come ha fatto il Rohde, per
sostenere che il Satyricon deriva da una tradizione prettamente latina. E d'altra parte pare
arrischiato far dipendere, con lo Heinze, il Satyricon interamente da questa forma letteraria, e
vederci una parodia. Infatti, oltre che la satira menippea e il romanzo, si può esser certi che
Petronio tenne presenti, per esempio, le novelle milesie, il mimo, la diatriba: di quest'ultima,
particolarmente, molti motivi tornano più che altrove nella Cena. Se difficile sarebbe ricercare in
tutti i particolari i rapporti del Satyricon con i varii generi letterari, i critici, sia pure con diverse
sfumature, per lo più sono d'accordo nell'ammettere che l'opera di 4 Petronio, che noi oggi nel suo
insieme non possiamo non definire un romanzo, appare alimentata da sorgenti diverse e la
questione del suo genere letterario non si può risolvere in maniera rigorosamente unilaterale
(Knoche). Ma soprattutto è da sottolineare, ancora più che i varii motivi che confluiscono nel
Satyricon, la grande originalità con cui questi motivi sono rielaborati in un'opera fra le più singolari
di tutte e letterature, che sfugge a una precisa classificazione di generi.
La trama, e le caratteristiche del Satyricon
Quanto possediamo del Satyricon non ci permette di ricostruire chiaramente la trama dell'opera. E
un succedersi pittoresco di avventure indiavolate, dove personaggi astuti e senza scrupoli si
muovono in un mondo di vizio e di imbrogli. Infatti in un certo senso il Satyricon potrebbe definirsi
un romanzo d'avventura, o addirittura una narrazione epica, vista come in uno specchio
deformante, per cui all'eroismo si sostituisce l'abiezione. Il Satyricon narra le peripezie del giovane
e ozioso scholasticus Encolpio e di Gitone, il fanciullo da lui amato, parodia della coppia di
innamorati che è protagonista del romanzo ellenistico. Parodia di situazioni epiche è l'ira del dio
Priapo che perseguita Encolpio, sospingendolo in una serie di avventure eroicomiche, sullo sfondo
della società dei ceti italico-provinciali che si affermano nel I secolo: affaristi, truffaldini, gaudenti
insaziabili. La parte superstite si apre con una tirata del retore Agamennone contro le declamazioni
in risposta ad Encolpio, che lo lascia a mezzo per inseguire il suo Gitone fuggito con Ascilto. I tre si
ritrovano e fanno pace: dopo una serie di vicende piccanti, intervengono al sontuoso banchetto di
Trimalchione, il parvenu, che ostenta le sue ricchezze e le sue velleità di mecenate. Usciti di là alla
chetichella i tre giovani ricominciano a litigare: finché Encolpio, rimasto solo, si incontra con un
vecchio poeta sfortunato, Eumolpo, che si mette a declamare una Presa di Troia finché è preso a
sassate. Gitone, pentito, ritorna e Encolpio si imbarca con lui e col poeta sulla nave di un
trafficante di schiavi: e qui nuove peripezie, fra cui un naufragio (tema tradizionale del romanzo
alessandrino), e una nuova esibizione di Eumolpo che improvvisa un Bellum civile in esametri. A
Crotone assistiamo a nuove gesta di Eumolpo in veste di cacciatore di testamenti, e a nuovi
infortuni di Encolpio sempre più vittima di Priapo. I personaggi e le caratteristiche La figura
centrale è Encolpio (in cui si è voluto vedere Petronio stesso), che fa il racconto in prima persona.
Egli è perseguitato dal dio Priapo, adirato con lui (e, dato lo stato in cui il libro ci è giunto, non
sappiamo perché), come Ulisse da Poseidone; come Ulisse, vaga di terra in terra; lo accompagna
il bellissimo Gitone, capriccioso e femmineo, e, nella prima parte di quello che possediamo, anche
Ascilto, l'uomo forte, rozzo e astuto; poi entra in scena Eumolpo, intelligente e fine, talento bizzarro
ma dissoluto e senza scrupoli di sorta. Vigoroso caratterista, Petronio crea e svolge attraverso le
vicende dell'azione personaggi complessi, che non sono mai stilizzati.
RITMI E PAUSE
Intorno a questi, che sono i personaggi principali, almeno delle parti che possediamo, si muove
tutta una folla variopinta, che forma come uno sfondo vivace e indistinto, sul quale però si stacca
con contorni netti e precisi ora questo ora quel personaggio, che si fa avanti, poi scompare per
ricomparire di nuovo in seguito, con un ritmo serratissimo, a volte addirittura frenetico, che non
genera però mai sazietà, tanto le figure sono tutte vitali, fresche, varie; e tanto questa apparente
farragine di uomini e di vicende Petronio sa dominare con una sicurezza la quale mostra insieme
l'artista consumato e lo scrittore geniale che narra con arte mimica insuperata, al limite del
grottesco. Questo ritmo frenetico ha ogni tanto delle pause (come l'episodio della Cena di
Trimalchione); in cui peraltro il movimento non si placa, ma, diremmo, si svolge in un altro senso,
costituendo cosí una specie di vivacissimo riposo. La Cena Trimalchionis è la parte più conosciuta
5 (e anche la meglio conservata) del Satyricon. È una divagazione, la più lunga del romanzo: si
stende per 53 capitoli (26-78). Trimalchione è il liberto tanto ricco quanto sciocco e goffo,
sguaiatamente loquace e grossolano anche nel suo modo di essere generoso; il ricordo
dell'oraziana cena di Nasidieno è evidente (anche la chiusa: raptim tam plane quam ex incendio
fugimus ricorda l'improvviso finale della satira oraziana). La Cena di Trimalchione è un succedersi
di sorprese, di trovate comiche e grottesche; c'è anche qui una piccola folla di personaggi, tutti
diversi, tutti vivi, tutti felici: fra i quali è Fortunata, la moglie di Trimalchione, che si dà arie di
signora ed è soltanto pettegola, zotica, tirata, ma senza malizia. Vi sono altre parti che nella
narrazione sembrano avere in qualche modo quella funzione di interrompere il ritmo del racconto
che ha la Cena di Trimalchione, e sono novelle come quella della matrona di Efeso (capp. 111-
112), di cui conosciamo una variante in Fedro, e in qualche modo anche gli intermezzi poetici.
REALISMO
Dalla vivacità dell'azione scaturisce l'essenza dei personaggi: nel senso che essi non sono mai
osservati, definiti da Petronio nelle loro caratteristiche psicologiche, ma fatti muovere, fatti vivere;
senza, si direbbe, che l'autore li commenti: se mai, come per esempio nella Cena, è uno dei
personaggi che commenta talvolta il comportamento degli altri, e questo dà una ricchezza nuova
alla scena. Ma dire che Petronio presenta i personaggi sempre in azione non significa affatto che i
personaggi stessi si muovano, più che come delle creature vive, come delle marionette o delle
maschere. Nulla è più lontano dalla marionetta che i personaggi di Petronio: non vi è mai nulla in
loro di convenzionale, di schematico; perfino i gesti, i tipi che, visti in un altro contesto, sarebbero
con tutta probabilità i più assurdi, nel Satyricon diventano sempre reali; come sono reali e credibili
gli incredibili luoghi in cui si muovono. Questa capacità, che diremmo di trasfigurazione a rovescio,
è una ragione della grandezza di Petronio. In fondo anche Petronio si muove secondo quella
poetica dell'esagerazione, dell'esasperazione che abbiamo visto nelle tragedie di Seneca e in
Lucano, e che ritroveremo (e in una materia più vicina a quella del Satyricon) nelle satire di
Giovenale. Ma, diremmo, siamo in uno stadio posteriore, in cui avviene ormai un processo inverso:
attuata, data come scontata l'esasperazione della realtà, questa stessa esasperazione è riportata
alla realtà, alla naturalezza, più ovvia: questi personaggi, epici, tragici, orridi - sia pure in quel
modo particolarissimo che abbiamo accennato- divengono personaggi di tutti i giorni; quel ritmo
frenetico e convulso sembra quasi scorrere fluido come il ritmo di una qualsiasi giornata borghese.
Per questo il mondo di Petronio, che è un mondo assolutamente fantastico (e che abbia o no
aderenza con la realtà da questo punto di vista, evidentemente, non ha importanza), non ha
tuttavia nulla a vedere con il mondo della novella di qualsiasi tipo: il suo realismo aderisce ben
altrimenti alla società contemporanea che l'invenzione fiabesca di un Apuleio.
DOVE
Per questo non ha in fondo una grande importanza determinare storicamente i luoghi in cui gli
avvenimenti del Satyricon si svolgono: certamente, si svolgono nell'Italia meridionale, prima in una
urbs graeca (che potrebbe essere Napoli, Cuma o Pozzuoli o ancora altra località); poi a Crotone;
comunque questi luoghi sono indubbiamente ricreati da Petronio. Cosi sono. ricreati i personaggi,
che non recano i tratti di personaggi contemporanei, come troppo si è creduto, ma sono figure
originalissime, in cui Petronio ha riflesso certi aspetti della natura umana Due caratteristiche
colpiscono a prima vista nel Satyricon e sono veramente tra le fondamentali dell'opera: l'originalità
e la complessità. Il Satyricon, che accoglie in sé il frutto di innumerevoli esperienze artistiche, non
trova un termine di confronto: neppure somiglia alle Metamorfosi di Apuleio, che fra le opere che
possediamo è certamente quella che gli è più vicina. Perché le Metamorfosi, anche se condotte
con grandissima libertà e leggerezza, sono pur sempre tese verso un significato allegorico-morale,
che è in definitiva il senso più profondo dell'opera, e insieme il motivo conduttore che ne
costituisce l'unità. Nel Satyricon pare che non vi sia alcun motivo conduttore, e i più vari e
straordinari episodi sbocciano l'uno dall'altro, liberamente, per forza propria, diremmo; con una
levità, arriveremmo a dire con una serenità e con un candore che, per il 6 contrasto con la materia
graveolente, hanno quasi del prodigioso. “Pare”, abbiamo detto, perché in teoria potrebbe restare il
dubbio che la libertà con cui il Satyricon sembra snodarsi sia derivata anche dalla frammentarietà
con cui esso ci è giunto. Ma a parte il fatto che questa caratteristica è evidente anche, anzi di più,
nelle parti più complete e continue fra quelle che possediamo, non crediamo che questa, una delle
qualità più intime e più caratterizzanti del romanzo quale esso oggi ci appare, sia un frutto casuale
delle circostanze e non una conquista consapevole del genio di Petronio. Conquista, anche,
perché una trama così complicata, con una tal folla di personaggi, è portata avanti senza un vero e
proprio filo conduttore, senza mai cadere nel farraginoso, o nel nebuloso, e questo non può non
essere frutto di un'arte incredibilmente raffinata e sicura: della precisione e della nitidezza di tocco
forse unica, che Petronio possiede. Del resto lo si scorge facilmente in più di un aspetto del
romanzo: basta pensare per esempio ai personaggi che sono sì sfondo animato, folla, ma solo
quando lo devono essere, quando sono visti di proposito nel loro insieme; altrimenti sono tutte
precisissime, inconfondibili individualità che si caratterizzano da sé per ciò che dicono e fanno. Le
figure del Satyricon hanno, forse, una certa fissità, in quanto i loro caratteri non sono svolti nel
tempo; sono disegnati senza nessuno sfoggio di sottigliezze, anzi, all'opposto, facendoli scaturire
dalle azioni; ma, in certo senso, anche inversamente facendo scaturire gli avvenimenti e tutto
l'andamento delle scene, con la loro atmosfera, dai personaggi (a volte anche il tempo sembra
scandito dalle azioni dei personaggi, cfr. p. es. 70, 10: iam coeperat Fortunata velle saltare etc.).
Come avviene nelle opere wagneriane, dove ogni personaggio ha un suo a tema musicale, cosí
qui ogni personaggio ha un suo preciso modo di sentire, un suo preciso ritmo d'azione, che
impronta di sé i passi in cui compare: cosi Encolpio, che è sempre in scena, viene a costituire, lui
sì, il motivo conduttore di tutto il romanzo. La folla dei personaggi, il ritmo indiavolato delle
avventure sono fra i motivi della complessità del Satyricon; ma non gli unici. Ché il Satyricon è
un'opera enormemente complessa; al punto che è francamente difficile orientarvisi a fondo perché
non si può mai trovare un metro, un angolo di prospettiva che sia valido per guardare l'opera in
ogni sua parte, in ogni suo aspetto. Vi è in tutto il Satyricon un gioco di rapporti sempre
consapevole ed estremamente vario: un gioco di rapporti che per noi è difficilissimo cogliere, ma
che non doveva esser facilmente percepibile neppure per un lettore medio dell'età di Petronio. Ma
Petronio non scrive certo per un lettore medio: egli doveva essere veramente, nella vita e nello
stile, il gran signore che Tacito ha descritto: il gran signore per cui la raffinatezza è summa lex,
insofferente sempre di ogni cosa che possa offendere il buon gusto. Da questa raffinatezza, in
contrasto apparente non solo con la volgarità e la trivialità della materia, ma anche con il genere
letterario popolaresco, quale il romanzo era considerato, nasce uno dei particolari rapporti a cui
accennavamo. Un altro è in Petronio, come del resto in altri autori, il complesso rapporto con le
opere da cui egli ha tratto qualche elemento, qualche spunto, e alle quali in qualche modo si è
ispirato (nel caso del Satyricon non si può certo in nessun senso parlare di modelli): e queste
sono, come si è detto, moltissime, a cominciare dall'Odissea (il richiamo con l'Odissea è
frequentemente e in modo significativo sottolineato nel testo). Nei riguardi del poema epico -
l'abbiamo già accennato- si tratta di una specie di rovesciamento di situazioni e di valori. Ma in
molti altri casi questo rapporto possiamo tutt'al più intuirlo, non certo coglierlo e tanto meno
gustarne il senso. Questo accade anche nei casi in cui noi conosciamo il testo a cui Petronio si
richiama; che sono, naturalmente, senza confronto i casi meno numerosi. Per rendersene conto
basta un esempio: quello famoso del Bellum civile. Nei capp. 108 e sgg. Eumolpo, dopo aver
parlato delle caratteristiche che secondo lui sono proprie del poema epico, recita un lungo carme
in esametri (295 vv.) sulla guerra civile fra Cesare e Pompeo. Che Petronio qui pensi alla
Pharsalia di Lucano è indubbio: troppi sono i richiami a quest'opera, e non possono certo essere
tutti casuali. Ma quale sia la sua posizione riguardo a quel poema è ancora 7 discusso e tutt'altro
che chiaro. Certo è di critica: i paragrafi che precedono; - dai quali non si può assolutamente
prescindere per capire tutto il passo- non lasciano dubbi in proposito. Ma il brano poetico stesso,
che cosa significa nei riguardi di Lucano e che cosa significa in sé stesso? Non è una parodia della
Pharsalia; perché non riprende, calcandoli, gli aspetti che in Lucano Petronio critica (e che ha
esposto immediatamente prima) come una parodia avrebbe dovuto fare, anzi realizza i principi che
in quella critica sono contenuti. Neppure ci sentiamo di considerare i versi come un esempio di
quello che Petronio riterrebbe un perfetto carme epico: che un finissimo, smaliziato critico come
Petronio, per quanto compreso senza vita, della propria arte, potesse considerare davvero un
esempio di bella poesia questi versi così palesemente costruiti a freddo, vuoti, macchinosi,
pesanti, ci rifiutiamo di pensarlo. Se mei, Petronio potrebbe essersi valso del personaggio
Eumolpo per esprimere il proprio giudizio sul poema di Lucano. Il passo varrebbe a dare un tocco
di più a questo suggestivo paesaggio: intelligente nel giudicare la poesia altrui, ma cieco quando si
tratta della propria: forse ci sarebbe da vedere qui una punta verso i letterati della stessa specie,
che dovevano esistere a Roma (come dovunque in ogni tempo, del resto); senonché 295 versi
scritti a questo fine possono parere francamente troppi. E allora non resta che pensare che il
passo sia, sí, parodia, ma proprio di un poema epico realizzato secondo i principi stessi enunciati
prima. E se a questi principi, come sembra, Petronio aderisce, potrebbe essere in qualche modo
una negazione della possibilità stessa di un poema epico in quel momento. E questo non
meraviglierebbe affatto: che l'epica stia attraversando un periodo di crisi, di ripensamenti, di
problemi lo provano la Farsaglia stessa e i poemi di Valerio Flacco, di Stazio, di Silio Italico che
seguiranno. Del resto l'epica in genere ha spesso di per se stessa la vita difficile presso cerchie e
presso critici di cultura raffinata, addirittura estenuata, come era Petronio. Il Bellum civile o, meglio,
il Bellum civile insieme con la parte che lo precede, potrebbe essere dunque un attacco all'epica
dell'età neroniana in genere: un attacco che potremmo imparziale, perché rivolto contro Lucano e i
poeti del suo tipo nella parte in prosa; contro i loro oppositori nella parte in poesia. Naturalmente
anche questa resta un'ipotesi: di una cosa soltanto diremo che è certa: anche il passo del Bellum
civile è una prova di più di quest'atteggiamento di insoddisfazione, di critica; una critica non aspra,
non indignata ma sorridente, da uomo superiore, che è tipica di Petronio.
SENECA-LUCANO/PETRONIO
Il Bellum civile, in quanto indubbiamente critica a Lucano, può offrirci uno spunto non per capire,
ma per tentare di immaginare i rapporti letterari, si intende — di Petronio con gli Annèi, cioè, oltre
che con Lucano, con Seneca. Petronio è certo contro di loro per più di un aspetto, non solo per
quanto riguarda il poema epico. Quell'esasperazione, quell'ostentazione dei sentimenti, che sono
propri del Seneca tragico come di Lucano, non possono essere di suo gusto; ma in pratica egli non
è poi troppo lontano da loro: vicende di per se stesse drammatiche anche se presentate in tono o
scanzonato o addirittura dimesso nel Satyricon non mancano davvero: c'è, tanto per citare un
esempio, sia pure interpretato in maniera diversa, quel gusto per il magico, per l'escatologico che
era di Seneca, di Lucano, della loro età. Anche dallo sguardo a un solo passo del Satyricon appare
come siano difficili a interpretare e complessi i rapporti fra Petronio e i testi a cui si ispira, e,
diremmo di più, fra Petronio e il mondo circostante, quel mondo che è poi l'oggetto della sua opera
e della sua critica al tempo stesso. Questa complessità di rapporti appare più evidente, come si è
più volte tentato di fare, quando si cercano nei personaggi figure reali del tempo di Petronio. A noi
pare che una simile ricerca sia legittima ma disperata. Perché certo in ognuna delle figure del
Satyricon, almeno nelle principali, si intrecciano echi e suggestioni da più di un personaggio reale,
e condotti con diverso spirito: ora di ritratto, ora di caricatura, ora di satira, ora perfino di sincero
sfogo autobiografico. Per esempio in Trimalchione si è voluto vedere Nerone, e qualcosa di
Nerone in qualche tratto ci sarà certo; ma sarebbe senza dubbio un forzare e un falsare il
personaggio spingere troppo oltre la ricerca di questi tratti. Si potrebbe dire che Petronio ha
romanzato la società in cui vive, e per questo viene fatto di pensare a Proust. Un personaggio
reale potrà comparire in un modo 8 o un altro in più di una figura del Satyricon; per esempio
Petronio stesso, che ha certamente notevole risonanza nel protagonista, Encolpio, talvolta
reagisce alla vita che lo circonda con le reazioni del vecchio poeta Eumolpo. Nel quale, d'altra
parte, vi sono poi probabilmente anche tratti di Nerone. Ma tutti i personaggi sono in primo luogo
frutto originalissimo della liberissima fantasia di Petronio e della sua sottile sensibilità. In
conclusione, più si cerca di approfondire il Satyricon più ci si accorge che è impossibile
interpretarlo per mezzo di formule fisse che valgano sempre. Non si può, quasi, trovare una
definizione, un aggettivo per il Satyricon senza rendersi subito conto che si potrebbe usare una
definizione, un aggettivo di valore, per certi aspetti, contrario: si è parlato, e non a torto, di barocco;
ma non si può non notare a volte un rigore, addirittura una secchezza nel descrivere, nel
rappresentare che del barocco sono in qualche modo l'opposto, si è parlato di verismo, e non si
può negare che Petronio sia anche un verista; ma troppe volte il Satyricon ha i colori
dell'invenzione più fantastica; si è parlato di parodia, e a ragione almeno per certi luoghi, e con
altrettanta ragione ma solo per certi altri luoghi - la parodia si è negata. Un atteggiamento però è
costante in Petronio, quello di distaccata superiorità, di non-partecipazione, che, con diverse
sfumature, si mantiene anche nei momenti nei quali è innegabile una certa bonaria simpatia per
alcuni personaggi. Quella di Petronio è un'arte che non si permette mai abbandoni o distrazioni: vi
sono, sì, dei momenti in cui una descrizione, un racconto, un carattere sembrano divagare, con
deviazioni inattese (certi momenti di meravigliata semplicità in Encolpio, come quando racconta la
sua dolorosa sorpresa per l'abbandono subito da parte di Gitone, tanto per fare un esempio), ma
sono deviazioni che si inseriscono sempre perfettamente nel quadro generale e sono sempre
rigorosamente controllate; ché quella di Petronio è un'arte consapevole questa sì, è una
caratteristica costante —; e sotto un'apparenza di chiarezza, di libertà, è un'arte quanto mai
schiva, ritrosa. La lingua Anche dal punto di vista della lingua bisogna procedere molto cauti nel
definire il Satyricon, opera non meno complessa e varia sotto questo profilo, opera di uno scrittore
raffinato e sorvegliato al massimo. Prova di questa complessità e della ricchezza linguistica del
Satyricon è la stessa diversità di opinioni sul periodo in cui l'opera fu composta, opinioni che si
fondano anche su un esame della lingua. Abbiamo detto che il Satyricon è formalmente una satira
menippea, e quindi per questo aspetto vicino all' Apokolokyntosis di Seneca. E all' Apokolokyntosis
è vicino anche per la lingua; che ci porta a una medesima cerchia di innovatrici gusti letterari,
anche se Petronio sembra raggiungere punte più arditamente. Ciò ad un esame attento risulta che
Petronio mette in bocca ai suoi personaggi il latino del I sec. d. C., ma qui bisogna distinguere (a
parte il linguaggio di Encolpio, di Eumolpo, e di altri personaggi di un certo livello naturalmente le
differenze tra parti prosastiche e parti poetiche) due strati: sociale e culturale, e il linguaggio degli
schiavi, dei liberti, del popolino in genere. Il Satyricon, e la Cena Trimalchionis in particolare, sono
documento unico del latino parlato del I secolo d. C., anzi possiamo dire, addirittura, l'unico
documento che abbiamo dell'autentico latino parlato, riprodotto consapevolmente senza pretese di
stilizzazione, eppure ricreato con arte finissima e da Petronio inserito nella letteratura. Sempre, sia
nella Cena che nelle altre parti del Satyricon, Petronio si serve anche della lingua per sottolineare
il carattere dei vari personaggi e le situazioni più diverse, usandola con sicura padronanza: la
finezza critica di un personaggio come Eumolpo, la sensibilità morbosa di Encolpio con i suoi
trasalimenti, la pretenziosità di parecchie altre figure, anche se di diversissimo livello da Trifena a
Trimalchione -, la grossolanità, la volgarità, si possono seguire da vicino, si vedono, diremmo,
registrate come da un diagramma fedelissimo dal diverso modo di esprimersi. Diverso per alcuni di
loro anche nel lessico, si capisce; ma diverso in genere soprattutto perché si può riscontrare che
più d'uno dei personaggi ha un proprio ritmo, una maniera particolare di 9 strutturare la frase, un
proprio tono. Ed è veramente sorprendente come questi personaggi, che proprio anche per mezzo
della lingua sono cosi inconfondibilmente fissati nel loro tempo, sono pur tuttavia miracolosamente
attuali. La povertà di vocabolario, il ripetersi di espressioni fisse, l'impaccio di una falsa disinvoltura
che distingue più di un personaggio - e a volte sottolinea la distinzione con diverse sfumature —
sono la stessa povertà di vocabolario, lo stesso ripetersi di espressioni fisse, lo stesso impaccio di
una falsa disinvoltura che si incontrano tanto spesso anche oggi. Caratteristiche precise ha,
abbiamo detto, la lingua della Cena. Tra esse bisogna distinguere quelle che hanno importanza
per sottolineare un singolare carattere del parlante, e che ci colpiscono spesso con particolare
evidenza, ma che non hanno nessun significato, o quasi, dal punto di vista dello svolgimento del
latino nelle lingue romanze; e quelle meno appariscenti, delle quali ci renderemmo appena conto
in una lettura affrettata, ma che avranno poi un grande seguito. Potremmo annoverare fra le prime
il frequente uso dei grecismi. È noto che da secoli il grecismo è tipico del linguaggio parlato e, in
particolare, del linguaggio degli schiavi, provenienti spesso da paesi di lingua greca. È facilmente
comprensibile perché Petronio mette così frequenti grecismi sulla bocca dei partecipanti alla cena
di Trimalchione; e anche grecismi di importazione recente. Questo uso del grecismo si nota
immediatamente leggendo la Cena; ma questa non è certo una novità; il grecismo usato in questo
senso l'abbiamo incontrato fin da Plauto, anzi da Nevio in poi. Una novità invece della Cena di
Trimalchione è ad esempio l'uso del pronome personale: «il pronome personale usato senza
necessità effettiva di rilievo, annuncio di un uso più largo quale si avrà nel futuro; ma novità
appena visibile a occhio esperto» (Devoto). E sulla stessa linea potremmo citare non poche novità
di Petronio: novità non in senso assoluto, di creazioni sue, ma in senso relativo: una massa di «
forme espressive o anche usuali, che egli non subisce, come avviene nell'età di decadenza, ma
consciamente immette nella storia della lingua letteraria » (Devoto). Non ci sarebbe neppure
bisogno di sottolineare che la totale libertà, con cui Petronio accoglie le varie possibilità che il
latino gli offre, è tipica dell'asianesimo; è dell'asianesimo la ricchezza dei vocaboli, la varietà dei
ritmi, quell'accogliere le forme più popolareggianti, persino gli errori e i solecismi, il periodare goffo
in vista di determinati effetti di stile. Asiano, dunque, Petronio come Lucano; ma di un diversissimo
asianesimo: anche per questo aspetto si potrebbe parlare di un rovesciamento: si potrebbe dire
che quanto Lucano cerca l'alto, il sonoro, tanto il Petronio delle parti volgari, cerca lo stile più trito,
più comune. Ma sarebbe anche questa una definizione troppo approssimativa, soprattutto troppo
schematica: il sermo plebeius con la pittoresca varietà di usi idiomatici e con le più impreviste
risorse raggiunge il culmine del realismo. Fa meraviglia, soprattutto, anche sul piano dello stile, il
processo in certo modo analogo a quello che abbiamo notato a proposito del mondo del Satyricon
e che potremmo definire un ritorno alla semplicità. È una semplicità, quella di Petronio, tutta
apparente, che nasce dall'aver assaporato e sfruttato le più varie esperienze. Ma in definitiva
dicendo questo ci accorgiamo una volta di più che quando vogliamo definire Petronio ritorniamo
sempre alla solita formula, la più ampia, magari la più generica, ma anche la più alta: quella di
insuperabile artista. Un discorso diverso da quello che facciamo per le parti in prosa si imporrebbe
per le parti in poesia: le quali hanno, si può dire, ognuna un significato particolare, e andrebbero
quindi esaminate, una per una, anche per quanto riguarda lo stile e la lingua: un'altra prova,
questa, della duttilità di Petronio.

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