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CANTO 1 INFERNO

Versi 1-27. All’età di trentacinque anni, Dante si ritrova smarrito in una foresta


oscura e intricata, il cui pensiero ancora lo turba. Non è in grado di dire come vi
sia entrato. Al mattino, però, riesce ad uscire da essa, ritrovandosi ai piedi di un
colle la cui sommità è illuminata dai primi raggi dell’alba; è un’immagine che
riesce un poco ad acquietare la sua paura e a ridonargli speranza.
Versi 28-60. Dopo essersi riposato, Dante riprende il cammino su un pendìo che
conduce al colle ma, non appena iniziata la salita, gli si presenta davanti una
minacciosa lonza dal manto maculato. La luce del sole e la stagione primaverile
gli donano la speranza di riuscire ad oltrepassare quel primo ostacolo, ma ecco
comparire di fronte a lui un leone affamato che gli sbarra il cammino. Dopodiché
compare anche una lupa, magra e vorace, che lo spinge a indietreggiare verso la
foresta. 
Versi 61-90. Mentre torna sui suoi passi, Dante vede una figura umana nella
penombra e chiede aiuto. Questa si presenta: dice di essere un’anima e fornisce
ulteriori dettagli sulla sua persona, come di aver avuto genitori lombardi, di aver
vissuto all’epoca di Giulio Cesare e sotto l’imperatore Augusto e di aver cantato le
gesta di Enea. Dopodiché chiede a Dante perché non stia proseguendo il suo
cammino verso la vetta del colle. Dante, a questo punto, lo riconosce: si tratta
di Virgilio, poeta latino che definisce suo maestro di alto stile poetico e a cui
dichiara tutta la sua devozione artistica. Infine, spiega a Virgilio il motivo del suo
indietreggiare indicandogli la lupa. 
Versi 91-136. Virgilio suggerisce a Dante di prendere un altro percorso dal
momento che la lupa costituisce, per ora, un ostacolo insormontabile. Contro di
essa però, spiega ancora il poeta latino, si batterà un giorno un Veltro – modello
di sapienza, amore e virtù – che la sconfiggerà e la ricaccerà all’Inferno, luogo da
cui era uscita. Virgilio, a questo punto, si offre come guida di Dante: lo condurrà
nei luoghi dell’Inferno e del Purgatorio, per poi affidarlo in Paradiso a un’anima
più degna. Dante, allora, lo prega di guidarlo e inizia a seguirlo. 
CANTO 3 INFERNO

Versi 1-21. Dante e Virgilio arrivano davanti la porta dell’Inferno che, sulla


sommità reca un’iscrizione minacciosa in caratteri scuri: viene messo in guardia
chi la varca, spiegando che sul luogo in cui sta per entrare regna l’eterna
sofferenza e che non vi è speranza di uscirvi. Dante, tentennante, viene condotto
da Virgilio attraverso la porta.  
Le pene dei dannati dell'InfernoVersi 22-69. Varcata la soglia, Dante è travolto da un
terribile mescolarsi di pianti, voci, lamenti, urla; Virgilio gli spiega che ad
emettere quei suoni sono gli ignavi, le anime di coloro che in vita hanno peccato
di viltà, non schierandosi mai né dalla parte del bene né da quella del male. La
loro punizione è quella di correre continuamente dietro a un’insegna senza
significato ed essere punzecchiati senza sosta da vespe e mosconi: il sangue che
esce dai loro volti viene raccolto da orripilanti vermi. Tra queste
anime, Dante scorge quella di «colui che fece per viltade il gran rifiuto».  
Viene introdotta la figura di CaronteVersi 70-120. Dante scorge poi altre anime,
ammassate sulla riva di un fiume: si tratta delle anime dannate che, disposte
lungo l’Acheronte, aspettano di essere portate verso l’altra sponda, laddove
comincia l’Inferno. A traghettarle c’è Caronte, il nocchiero che appare a Dante in
tutta la sua vecchiaia e che intima il poeta di andar via, rivolgendogli parole
ingiuriose. È Virgilio a zittire il demone, ricordandogli che il viaggio di Dante è
voluto da Dio; tanto basta a calmare Caronte.
Le anime, accalcate lungo la sponda, si gettano dalla riva alla barca e, quando il
nocchiero ancora non è arrivato alla meta opposta, sulla riva si è formata una
nuova schiera.  
Virgilio spiega a Dante la reazione di Caronte Versi 121-136. Virgilio spiega
a Dante che non deve prendersela per le parole di Caronte, anzi: nessuna anima
in Grazia di Dio può essere traghettata all’altra riva, e quindi la rabbia del
nocchiero significa che l’anima del poeta è salva. Improvvisamente, il suolo
infernale è scosso da uno spaventoso terremoto accompagnato da un lampo
rossastro: Dante perde i sensi e sviene a terra.  

Dopo i primi due di introduzione – rispettivamente del poema, il primo, e della


cantica, il secondo – nel Canto III dell’Inferno ci troviamo finalmente
nell’Oltretomba, e a darci il “benvenuto” è nientemeno che la porta infernale,
che reca sulla sua sommità una minacciosa scritta. 
l luogo di ambientazione, nello specifico, è quello dell’ Antinferno (anche
detto Vestibolo), connotato dall’oscurità e dal terribile riecheggiare di lamenti,
urla e pianti: a popolarlo sono gli ignavi, coloro cioè che nella vita non
sono stati in grado di prendere posizione, macchiandosi così
irrimediabilmente di viltà.
Pur non essendo propriamente dannati – il Vestibolo, infatti, è il luogo che
precede l’Inferno – essi sono condannati ad una severa pena. Non si tratta,
però, delle uniche anime che incontriamo all’interno del terzo Canto
dell’Inferno: vi sono, infatti, anche i dannati che attendono sulla riva
dell’Acheronte di essere trasportati verso l’Inferno vero e proprio. A traghettarli
è Caronte, figura demoniaca di reminiscenza virgiliana.   
Nella sua materia narrativa, il Canto è quindi suddivisibile in tre sezioni:  
 La porta dell’Inferno, che segna l’ingresso vero e proprio all’interno della
tematica infernale. Voluta e creata dalla Trinità, la porta sancisce l’immutabilità della
condanna divina, non permettendo ad alcuna anima di tornare indietro una volta varcata
la sua soglia (vedi paragrafo 4.1);
 L’incontro con le anime degli ignavi, per cui Dante nutre profondissimo
disprezzo, al punto tale che – oltre alla descrizione della loro colpa e della loro pena –
non è dato loro alcuno spazio di intervento e di interazione (vedi paragrafo 4.2);
 La figura di Caronte, vero protagonista del terzo Canto, dalla duplice funzione
didattica e profetica (vedi paragrafo 2.1).

CANTO 5

Nel canto V dell'Inferno, Dante e Virgilio si lasciano alle spalle il Limbo,


Primo Cerchio della voragine infernale e luogo di cui il Poeta ci ha parlato nel
quarto canto, e si avviano verso il secondo Cerchio, dove ha inizio il vero e
proprio Inferno. All’ingresso di questa zona fa la sua comparsa un personaggio
mostruoso: Minosse. Terrorizzate dal suo aspetto, e soprattutto dal suo
giudizio, le anime dei dannati si presentano al suo cospetto per essere giudicate.
A Minosse basta guardarle per sapere quale pena infliggere, e comunica la sua
sentenza arrotolando la coda tante volte quanti sono i cerchi dell’Inferno a
cui l’anima è destinata. Anche Dante e Virgilio si presentano davanti al giudice
infernale che, come già aveva fatto Caronte sulle sponde dell’Acheronte, cerca
di intimidire Dante impedendogli di continuare il suo viaggio. Virgilio
risponde con la formula che riserva ai guardiani dell’Inferno quando questi
cercano di bloccare il suo compagno: vuolsi così colà dove si puote ciò che si
vuole e più non dimandare!  
 I due superano Minosse e, finalmente, ecco stagliarsi davanti a Dante il primo
vero scenario infernale. Non c’è luce, l’aria è tenebrosa e scossa da una
fortissima tempesta di vento dentro la quale sono sbattute e percosse le anime
dei dannati. Ci troviamo davanti un contrappasso: che significato assume questa
pena? Il vento rappresenta la mancanza di lucidità e di ordine, l’assenza
di razionalità e l’abbandono del corpo agli istinti corporali e alla passione
sessuale: in questo cerchio sono puniti i lussuriosi. Le anime, in questa
tempesta, non vagano alla rinfusa ma sono suddivise in schiere in base al tipo
di amore che condussero. La schiera che attira l’attenzione di Dante è quella di
quei dannati che morirono per amore. Fra queste, dopo un elenco di
personaggi che viene riportato da Virgilio a Dante, il Poeta è attratto da due
amanti in particolare che, a differenza degli altri, sono scossi dalla tempesta
restando abbracciati e saldi uno all’altra. Sono le anime di Paolo e
Francesca.    
   
PERSONAGGI:
Il Canto V dell’Inferno è il canto di Paolo e Francesca. Qui, come in altri
canti, Dante disegna due personaggi che attraverseranno i secoli della
letteratura e che saranno bagaglio culturale di intere generazioni. Tutti
conoscono i nomi di Paolo e Francesca, gli amanti dannati, ma la loro
storia deve essere approfondita. I personaggi che incontriamo nell’Inferno, nel
Purgatorio e nel Paradiso, sono estratti da Dante dalle Sacre Scritture, dalla
letteratura, dalla mitologia e anche dalla storia: il Poeta non inventa nessun
nuovo personaggio, ma gli attribuisce un valore e un significato nuovi e
universali. 

Paolo Malatesta e Francesca da Polenta fanno parte della storia


contemporanea di Dante, potremmo dire della cronaca nera del suo tempo.
Sono due cognati uccisi dal marito di lei (e quindi dal fratello di lui) solo pochi
anni prima della discesa di Dante nell’Inferno. Sappiamo infatti, dalle parole
di Francesca, che suo marito, Gianciotto Malatesta, è ancora vivo e che la
zona dell’Inferno detta Caina sta aspettando che lui muoia per accoglierlo e
fargli scontare la sua pena. Gianciotto ha ucciso i suoi familiari, e nella Caina
sono puniti i traditori dei parenti. 

CANTO 6

Il sesto canto dell’inferno dantesco è ambientato nel terzo


girone infernale, dove dimorano le anime che si sono macchiate in
vita del peccato di gola. Dante vi giunge dopo essersi risvegliato dal
mancamento avuto alla fine del canto precedente, in seguito
all’incontro e al dialogo con Paolo e Francesca. La descrizione che il
poeta ci fornisce di questo cerchio cancella qualsiasi pathos nei
confronti delle anime
 ANALISI:

Terminato il suo dire, con un’espressione che non ha più nulla di umano, cade
pesantemente a terra, in mezzo agli altri suoi compagni di pena. Virgilio, a
questo punto, ricorda al suo discepolo che Ciacco, al pari degli altri dannati,
riavrà il suo corpo nel giorno del Giudizio Universale e che, dopo la risurrezione
della carne, le sofferenze dei reprobi aumenteranno d’intensità. Giunti nel punto
ove è il passaggio dal terzo al quarto cerchio, i due viandanti s’imbattono nel
demonio Pluto.
Introduzione critica
I canti quinto e sesto hanno uno svolgimento narrativo sostanzialmente identico.
Esso, per comodità di esposizione, può articolarsi in quattro momenti: incontro
col demonio posto a guardia del cerchio, descrizione del supplizio inflitto ai
dannati (la bufera... che mai non resta e la piova etterna), drammatico colloquio
con uno di essi (Francesca, Ciacco), cui fa seguito la reazione del personaggio
Dante (nel quinto canto la perdita dei sensi alla vista del pianto di Paolo; nel
sesto la domanda rivolta a Virgilio sull’intensità delle pene infernali dopo la
risurrezione dei corpi).
FIGURE RETORICHE:
 
Ma le analogie non si fermano qui: almeno per i 24 versi iniziali del canto dei
lussuriosi anche l’ordito ritmico appare identico a quello del sesto canto: ogni
terzina è un mondo a sé; si sostituisce, più che subordinarsi, alla precedente; ne
ripropone, al tempo stesso, forme, idee, inflessioni; ha, nella vis espressiva, la
sua prima ragione di essere; rifiuta lo sfumato, non meno di quei nessi sintattici
che altrove strutturano la robusta logica della Commedia e sono indici di una
concezione che nel reale scorge, al di là del problema, la fermezza di un ordine
precostituito ed eterno (con felice intuito è stato visto nel ritmo ternario del
poema quasi un equivalente dell’argomentare sillogistico).

CANTO26
PARAFRASI:v1v12
Godi Firenze poiche sei cosi grande che diffondi la tua fama per mare e per terra
e il tuo nome si espande per l’inferno.
Tra i dannati per furto trovai cinque noti tuoi cittadini per cui mi vergogno e tu
non puoi certo crescere molto in onore.
Ma se sul far del mattino si sogna la verità tu sperimenterai fra breve quel chge
prato e altre città bramano per te, e se questa punizione fosse già avvenuta non
sarebbe troppo presto.
Magari avvenisse dal momento che deve succedere poiché mi recherà tanto
dolore quanto più invecchio.
SINTESI:
Versi 1-12. Il Canto si apre con una pungente invettiva di Dante nei confronti di
Firenze. Egli, infatti, nella settima Bolgia – dov’è punita la colpa del furto – ha
incontrato ben cinque anime di ladri fiorentini. L’autore preannuncia quindi un
terribile futuro per la sua città natale.
Tra i consiglieri fraudolenti, Dante e Virgilio trovano Ulisse e Diomede Versi 13-75.  Dante
e Virgilio riprendono il cammino e si imbattono in uno spettacolo il cui ricordo
scatena ancora nel poeta una terribile sofferenza. Il fondo buio dell’ottava Bolgia
è illuminato da tante fiammelle vive: sono le anime dei consiglieri fraudolenti,
imprigionate all’interno di lingue di fuoco. L’attenzione dell’autore è rivolta, in
particolar modo, ad una fiammella con la punta biforcuta: all’interno di essa
sono nascoste le anime di Ulisse e Diomede, eroi achei che a più riprese si sono
macchiati della colpa dell’inganno. Dante chiede allora a Virgilio di avvicinarsi a
dialogare con esse; la guida acconsente ma gli suggerisce di lasciar parlare lui. 
Ulisse racconta perché si trova lìVersi 76-102. La fiammella dalla punta biforcuta si
avvicina ai due; al che, Virgilio chiede di sapere come sia morta almeno una delle
due anime intrappolate al suo interno. A rispondere è la più grande delle due
punte, Ulisse: egli racconta che, una volta liberatosi dalla prigionia della maga
Circe, non bastarono gli affetti a frenarlo e decise di partire, insieme ad un
gruppo di fedeli amici, per soddisfare finalmente la sua sete di conoscenza. 
Ulisse racconta di come convinse i suoi compagni a varcare il limite Versi 103-142. Ulisse
e i suoi compagni si spinsero allora nel Mediterraneo, verso ovest, fino a
raggiungere lo stretto di Gibilterra – le colonne d’Ercole. Dopo aver esortato e
convinto i suoi compagni, attraverso un piccolo ma convincete discorso, a
varcare quel limite, Ulisse proseguì verso sud fino a raggiungere la montagna del
Purgatorio. In quel momento una tempesta si alzò dal mare e colpì la prua della
nave, facendola ruotare tre volte su se stessa e, infine, inabissare.
FIGURE RETORICHE:

vv. 25-32, «Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, / nel tempo che colui che ’l
mondo schiara / la faccia sua a noi tien meno ascosa, // come la mosca cede alla
zanzara, / vede lucciole giù per la vallea, / forse colà dov’e’ vendemmia e ara: //
di tante fiamme tutta risplendea / l’ottava bolgia»: similitudine
v. 28, «mosca»: sineddoche (singolare per il plurale)
v. 28, «zanzara»: sineddoche (singolare per il plurale)
vv. 34-41, «E qual colui che si vengiò con li orsi / vide ’l carro d’Elia al dipartire,
/ quando i cavalli al cielo erti levorsi, // che nol potea sì con li occhi seguire, /
ch’el vedesse altro che la fiamma sola, / sì come nuvoletta, in sù salire: // tal si
move ciascuna per la gola / del fosso»: similitudine
v. 34, «colui che si vengiò con li orsi»: perifrasi per indicare Eliseo
vv. 80-81, «s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, / s’io meritai di voi assai o
poco»: anafora
v. 101, «legno»: sineddoche per indicare la nave
v. 106, «vecchi e tardi»: endiadi
vv. 114-115, «a questa tanto picciola vigilia / d’i nostri sensi ch’è del
rimanente»: perifrasi per indicare la poca vita rimasta
v. 125, «de’ remi facemmo ali al folle volo»: metafora per esprimere la
temerarietà del viaggio di Ulisse
v. 138, «legno»: sineddoche per indicare la nave 

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