CANTO 6
Terminato il suo dire, con un’espressione che non ha più nulla di umano, cade
pesantemente a terra, in mezzo agli altri suoi compagni di pena. Virgilio, a
questo punto, ricorda al suo discepolo che Ciacco, al pari degli altri dannati,
riavrà il suo corpo nel giorno del Giudizio Universale e che, dopo la risurrezione
della carne, le sofferenze dei reprobi aumenteranno d’intensità. Giunti nel punto
ove è il passaggio dal terzo al quarto cerchio, i due viandanti s’imbattono nel
demonio Pluto.
Introduzione critica
I canti quinto e sesto hanno uno svolgimento narrativo sostanzialmente identico.
Esso, per comodità di esposizione, può articolarsi in quattro momenti: incontro
col demonio posto a guardia del cerchio, descrizione del supplizio inflitto ai
dannati (la bufera... che mai non resta e la piova etterna), drammatico colloquio
con uno di essi (Francesca, Ciacco), cui fa seguito la reazione del personaggio
Dante (nel quinto canto la perdita dei sensi alla vista del pianto di Paolo; nel
sesto la domanda rivolta a Virgilio sull’intensità delle pene infernali dopo la
risurrezione dei corpi).
FIGURE RETORICHE:
Ma le analogie non si fermano qui: almeno per i 24 versi iniziali del canto dei
lussuriosi anche l’ordito ritmico appare identico a quello del sesto canto: ogni
terzina è un mondo a sé; si sostituisce, più che subordinarsi, alla precedente; ne
ripropone, al tempo stesso, forme, idee, inflessioni; ha, nella vis espressiva, la
sua prima ragione di essere; rifiuta lo sfumato, non meno di quei nessi sintattici
che altrove strutturano la robusta logica della Commedia e sono indici di una
concezione che nel reale scorge, al di là del problema, la fermezza di un ordine
precostituito ed eterno (con felice intuito è stato visto nel ritmo ternario del
poema quasi un equivalente dell’argomentare sillogistico).
CANTO26
PARAFRASI:v1v12
Godi Firenze poiche sei cosi grande che diffondi la tua fama per mare e per terra
e il tuo nome si espande per l’inferno.
Tra i dannati per furto trovai cinque noti tuoi cittadini per cui mi vergogno e tu
non puoi certo crescere molto in onore.
Ma se sul far del mattino si sogna la verità tu sperimenterai fra breve quel chge
prato e altre città bramano per te, e se questa punizione fosse già avvenuta non
sarebbe troppo presto.
Magari avvenisse dal momento che deve succedere poiché mi recherà tanto
dolore quanto più invecchio.
SINTESI:
Versi 1-12. Il Canto si apre con una pungente invettiva di Dante nei confronti di
Firenze. Egli, infatti, nella settima Bolgia – dov’è punita la colpa del furto – ha
incontrato ben cinque anime di ladri fiorentini. L’autore preannuncia quindi un
terribile futuro per la sua città natale.
Tra i consiglieri fraudolenti, Dante e Virgilio trovano Ulisse e Diomede Versi 13-75. Dante
e Virgilio riprendono il cammino e si imbattono in uno spettacolo il cui ricordo
scatena ancora nel poeta una terribile sofferenza. Il fondo buio dell’ottava Bolgia
è illuminato da tante fiammelle vive: sono le anime dei consiglieri fraudolenti,
imprigionate all’interno di lingue di fuoco. L’attenzione dell’autore è rivolta, in
particolar modo, ad una fiammella con la punta biforcuta: all’interno di essa
sono nascoste le anime di Ulisse e Diomede, eroi achei che a più riprese si sono
macchiati della colpa dell’inganno. Dante chiede allora a Virgilio di avvicinarsi a
dialogare con esse; la guida acconsente ma gli suggerisce di lasciar parlare lui.
Ulisse racconta perché si trova lìVersi 76-102. La fiammella dalla punta biforcuta si
avvicina ai due; al che, Virgilio chiede di sapere come sia morta almeno una delle
due anime intrappolate al suo interno. A rispondere è la più grande delle due
punte, Ulisse: egli racconta che, una volta liberatosi dalla prigionia della maga
Circe, non bastarono gli affetti a frenarlo e decise di partire, insieme ad un
gruppo di fedeli amici, per soddisfare finalmente la sua sete di conoscenza.
Ulisse racconta di come convinse i suoi compagni a varcare il limite Versi 103-142. Ulisse
e i suoi compagni si spinsero allora nel Mediterraneo, verso ovest, fino a
raggiungere lo stretto di Gibilterra – le colonne d’Ercole. Dopo aver esortato e
convinto i suoi compagni, attraverso un piccolo ma convincete discorso, a
varcare quel limite, Ulisse proseguì verso sud fino a raggiungere la montagna del
Purgatorio. In quel momento una tempesta si alzò dal mare e colpì la prua della
nave, facendola ruotare tre volte su se stessa e, infine, inabissare.
FIGURE RETORICHE:
vv. 25-32, «Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, / nel tempo che colui che ’l
mondo schiara / la faccia sua a noi tien meno ascosa, // come la mosca cede alla
zanzara, / vede lucciole giù per la vallea, / forse colà dov’e’ vendemmia e ara: //
di tante fiamme tutta risplendea / l’ottava bolgia»: similitudine
v. 28, «mosca»: sineddoche (singolare per il plurale)
v. 28, «zanzara»: sineddoche (singolare per il plurale)
vv. 34-41, «E qual colui che si vengiò con li orsi / vide ’l carro d’Elia al dipartire,
/ quando i cavalli al cielo erti levorsi, // che nol potea sì con li occhi seguire, /
ch’el vedesse altro che la fiamma sola, / sì come nuvoletta, in sù salire: // tal si
move ciascuna per la gola / del fosso»: similitudine
v. 34, «colui che si vengiò con li orsi»: perifrasi per indicare Eliseo
vv. 80-81, «s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, / s’io meritai di voi assai o
poco»: anafora
v. 101, «legno»: sineddoche per indicare la nave
v. 106, «vecchi e tardi»: endiadi
vv. 114-115, «a questa tanto picciola vigilia / d’i nostri sensi ch’è del
rimanente»: perifrasi per indicare la poca vita rimasta
v. 125, «de’ remi facemmo ali al folle volo»: metafora per esprimere la
temerarietà del viaggio di Ulisse
v. 138, «legno»: sineddoche per indicare la nave