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Ermeneutica

La ragione come dominio e la repressione della sensibilità: Edipo e Odisseo;

La ragione come rivolta e la liberazione della sensibilità: Orfeo e Narciso.

Introduzione

1. CONTESTO STORICO: rivoluzioni del 1848 Insieme di moti rivoluzionari scoppiati in Europa tra il gennaio del 1848
e la primavera del 1849. Dopo i moti del 1830-31, si trattò della seconda grande risposta delle forze
democratiche, liberali e rivoluzionarie alla politica della Restaurazione; in tale ondata, peraltro, alle istanze
politiche, di liberazione e indipendenza nazionale e di conquista di regimi democratici, si affiancarono istanze di
tipo sociale, ben visibili nel protagonismo operaio e popolare nei moti parigini. I primi moti si verificarono
nel regno delle Due Sicilie, e a seguito di essi il 29 gennaio Ferdinando II di Borbone dovette concedere una
Costituzione. Seguirono quindi episodi simili in Toscana e nel regno di Savoia ( ➔ sabaudo, Stato); qui, l’8
febbraio, Carlo Alberto concesse uno statuto di stampo liberale. Il 22-23 febbraio, intanto, a seguito del divieto
della «campagna dei banchetti», volta ad ampliare il diritto al voto, insorgevano a  Parigi operai, artigiani e
studenti. Alle dimissioni di Guizot e all’abdicazione di Luigi Filippo d’Orléans seguivano la costituzione di un
governo provvisorio (retto dal liberale Lamartine ma comprendente radicali e socialisti), il varo del suffragio
universale, l’abolizione della schiavitù nelle colonie e, il 4 maggio, la nascita della Seconda repubblica. Intanto a
marzo i moti si erano propagati nell’impero tedesco e in quello asburgico. Il 13 marzo Vienna era insorta,
provocando la caduta di Metternich; l’imperatore Ferdinando I concedeva quindi una Costituzione, riconoscendo
l’autonomia a ungheresi (insorti il 15 sotto la guida di L. Kossuth), cechi e croati. La crisi dell’impero asburgico
innescava quindi moti antiaustriaci in Italia: alla rivolta di Venezia (guidata da D. Manin e N. Tommaseo) e alle
Cinque giornate di Milano (18-22 marzo), terminate con la cacciata del maresciallo Radetzky, seguì la
dichiarazione di guerra all’Austria da parte di Carlo Alberto. Il 15 marzo, intanto, era insorta Berlino; Federico
Guglielmo IV dovette quindi anch’egli concedere una Costituzione e la formazione di un Parlamento, eletto a
suffragio universale, il quale tuttavia si divise tra i sostenitori dell’ipotesi piccolo-tedesca e di quella grande-
tedesca. Il 15 maggio una nuova rivolta a Vienna costringeva l’imperatore alla fuga, aprendo le porte a
un’Assemblea costituente pure eletta a suffragio universale. Nelle stesse settimane, iniziava però la fase di
riflusso: in Francia il peso dei ceti rurali portava all’elezione di un’Assemblea costituente moderata; a questo
seguirono l’insurrezione operaia di Parigi (giugno), repressa nel sangue dal generale Cavaignac, e l’ascesa alla
presidenza della Repubblica di Luigi Bonaparte, il quale ne avviò il ripiegamento reazionario. In Italia la prima
guerra d’Indipendenza vedeva prevalere gli austriaci, mentre l’autorità degli Asburgo era restaurata anche in
Boemia e Ungheria, e una nuova insurrezione di Vienna (ottobre) veniva anch’essa stroncata. A dicembre
Federico Guglielmo di Prussia scioglieva la Costituente, quindi (apr. 1849) rifiutava la corona offertagli dal
Parlamento di Francoforte e reprimeva i moti successivi. In Italia alla fuga di Pio IX e alla proclamazione della
Repubblica romana (genn. 1849), guidata da Mazzini, Saffi e Armellini, seguivano una nuova sconfitta
dell’esercito sabaudo a opera degli austriaci (luglio), la caduta della Repubblica romana e poi di quella di San
Marco (agosto). L’ondata rivoluzionaria si concludeva quindi con la sconfitta delle forze progressive, al cui
interno le posizioni democratiche e socialiste erano destinate a scalzare l’impostazione liberale fino ad allora
egemone.

 Bismarck fonda l'Impero: Sotto l'apparenza dell'idealismo che lascia strada al realismo, il nazionalismo
tedesco si spostò rapidamente dal suo carattere liberale e democratico del 1848 alla Realpolitik  (in tedesco:
"politica concreta" o "reale" - è una politica basata su una concreta pragmaticità, rifuggendo da ogni
premessa ideologica o morale. Traducibile anche come pragmatismo politico nel contesto internazionale,
identifica, ad esempio, scelte basate più su questioni pratiche che su principi universali o etici) autoritaria
del cancelliere prussiano Otto von Bismarck. Bismarck voleva l'unificazione per raggiungere il suo scopo di
uno Stato tedesco conservatore e dominato dalla Prussia. Egli riuscì nel suo intento attraverso tre successi
militari:  In primo luogo si alleò con l'Impero austriaco allo scopo di sconfiggere la Danimarca in una breve
guerra combattuta durante il 1864, acquisendo in questo modo lo Schleswig-Holstein.  Nel 1866, in
concerto con l'Italia, attaccò e sconfisse l'Austria nella guerra austro-prussiana, che culminò nella battaglia di

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Königgrätz (meglio conosciuta come battaglia di Sadowa), il che, nello stesso anno, gli permise di escludere
l'antico rivale austriaco quando formò la Confederazione della Germania del Nord, il diretto precursore
dell'Impero del 1871, con gli Stati che avevano appoggiato la Prussia nella Guerra Austro-Prussiana.  Infine
sconfisse la Francia nella Guerra franco-prussiana (1870-71); la Confederazione venne trasformata in Impero
con l'incoronazione del re prussiano Guglielmo I come imperatore tedesco, al palazzo di Versailles, per
somma umiliazione dei francesi. Bismarck stesso preparò a grandi linee la Costituzione della Germania del
Nord del 1866, che sarebbe poi diventata, con qualche aggiustamento, la Costituzione dell'Impero Tedesco
del 1871. (Il trattato di Versailles del 1871 pose fine alla guerra franco-prussiana e fu sottoscritto da Adolphe
Thiers, della Terza Repubblica francese e Otto von Bismarck, dell'Impero tedesco, appena formatisi, il 26
febbraio 1871. Questo trattato preliminare fu utilizzato per consolidare l'armistizio del 28 gennaio 1871 tra i
due stati in guerra. ) La Germania divenne quindi una monarchia costituzionale: disponeva infatti di un
Reichstag, un parlamento con poteri formalmente limitati, ma de facto con pieni poteri legislativi, eletto
direttamente con suffragio maschile. Comunque, la legislazione richiedeva anche il consenso del Bundesrat,
il consiglio federale dei deputati degli Stati, nel quale la Prussia godeva, essendo il più grande e popoloso fra
gli stati tedeschi, di grande influenza grazie al maggior numero di delegati. Il potere esecutivo era investito
dall'Imperatore, il Kaiser, che nominava il cancelliere imperiale; ciò avveniva formalmente solo per volontà
dell'Imperatore, ma poiché il cancelliere non godeva di nessun potere di legiferare, a differenza dei suoi
colleghi stranieri, egli era fortemente dipendente dalla Dieta. Mentre gli Stati minori mantenevano i loro
governi, le forze armate erano controllate del Governo federale. Anche se autoritario per molti aspetti,
l'Impero permise lo sviluppo dei partiti politici. L'unificazione della Germania significò anche l'assorbimento
dell'intero Regno di Prussia in essa. La Prussia rimase la componente più rilevante nell'Impero, tanto che il
Kaiser di Germania era anche Re di Prussia. Le tre nuove province: Prussia Orientale, Prussia Occidentale e
Provincia di Posen, che prima erano al di fuori della Confederazione germanica vennero incorporate nel
futuro Stato tedesco.  Si possono riassumere gli obiettivi di Bismarck sotto tre parole chiave: Kulturkampf,
riforma sociale e unità nazionale.  Kulturkampf: a seguito dell'incorporazione degli stati cattolici del sud, il
cattolicesimo, rappresentato dal partito cattolico di centro, sembrava la minaccia principale al nazionalismo
militar-aristocratico prussiano. I cattolici del sud, provenienti da una più forte base agraria e suddivisi sotto le
gerarchie di contadini, artigiani, clero e aristocrazia principesca dei piccoli stati, più spesso delle loro
controparti protestanti del nord, ebbero dei problemi iniziali a competere con l'efficienza industriale e
l'apertura ai commerci con l'estero degli Zollverein. Dopo il 1878 la lotta contro il socialismo avrebbe unito
Bismarck con il partito cattolico di centro, portando una fine al Kulturkampf, che aveva lasciato nei cattolici
un'irrequietezza maggiore di quanta non ne fosse esistita prima, e rafforzò il cattolicesimo in Germania
piuttosto che indebolirlo. Riforma sociale: la creazione, da parte di Bismarck, di uno stato sociale
particolarmente avanzato diede alla classe operaia un motivo per adottare il nazionalismo tedesco. Il sistema
di previdenza sociale (sanità nel 1883, assicurazione sugli infortuni nel 1884, pensione di invalidità e di
anzianità nel 1889) instaurato a quell'epoca era il più avanzato del mondo e, in parte, esiste ancora nella
Germania odierna. L'Impero fiorì sotto la guida di Bismarck, fino alla morte del primo Kaiser (marzo 1888).
Nel cosiddetto Dreikaiserjahr (Anno dei Tre Imperatori), Federico III, suo figlio e successore, regnò solo per
99 giorni, lasciando la corona al giovane e impetuoso Guglielmo II, che costrinse Bismarck a lasciare l'incarico
nel marzo 1890. L'opposizione interna del Partito Socialdemocratico (SPD), crebbe fino a renderlo il
maggiore partito socialista al mondo, prendendo un terzo dei voti nelle elezioni del gennaio 1912 per il
Reichstag (il parlamento imperiale). Il governo cionondimeno rimase nelle mani di una coalizione
conservatrice appoggiata dai liberali di destra e dal clero cattolico, e pesantemente dipendente dal favore
del Kaiser. Il traballante equilibrio europeo si ruppe quando l'Austria-Ungheria, alleata della Germania fin dal
1879, dichiarò guerra alla Serbia (luglio 1914), dopo l'assassinio, avvenuto a Sarajevo, dell'erede al trono
austriaco. La Germania sostenne gli obiettivi del suo leale alleato in Serbia, e firmò un "assegno in bianco"
perché li perseguisse con ogni mezzo ritenuto necessario. La Serbia era appoggiata dalla Russia, che era a sua
volta alleata con la Francia. A seguito della decisione russa per la mobilitazione generale (ovvero, contro
Austria-Ungheria e Germania), la Germania dichiarò guerra a Russia e Francia, in quello che fu definito un
attacco preventivo. Questo fu l'inizio della prima guerra mondiale.
 Prima Guerra Mondiale 28 luglio 1914 – 11 novembre 1918.  Durante la fine del secondo decennio del
Novecento le grandi potenze mondiali affrontavano una fase di distensione politica. A turbare questa
distensione arrivò la crisi del 1929 che, a partire dagli Stati Uniti d'America, si diffuse in tutto il mondo. La

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crisi del 1929 inaugurò il periodo della cosiddetta Grande Depressione e innescò una serie di eventi che
portarono alla Seconda Guerra Mondiale. La crisi del 1929 mise in ginocchio l'economia mondiale per la
prima volta nella storia del capitalismo. Le conseguenze della crisi economica del 1929 non furono solo
economiche. Per avere una stima reale delle sue conseguenze, basti pensare che senza il crollo
dell’economia del 1929 non ci sarebbe sicuramente stato nessun Hitler e quasi certamente non ci sarebbe
stato nessun Roosevelt (che, soprattutto dopo il 1933, avviò il rilancio produttivo e industriale attraverso il
celebre New Deal). Un'altra conseguenza della crisi del '29 è stata quella di considerare il sistema sovietico
come un'alternativa concreta al modello capitalista

2. LA SCUOLA DI FRANCOFORTE: e i suoi esponenti ebbero un grande influsso sul pensiero novecentesco, in special
modo negli anni 60 e 70 quando alcune opere, soprattutto di Adorno, Horkheimer e Marcuse, furono lette non
solo dagli specialisti della filosofia, ma anche dal grande pubblico, contribuendo allo sviluppo di uno spirito
critico nei confronti della società. La Scuola nacque nel 1922 presso l’Istituto per la ricerca sociale che, fondato
da Weil e diretto inizialmente da Gerlach e in seguito da Grünberg, vide l’avvicinarsi di studiosi di diverse
discipline, quali Wittfogel (storico e sociologo), Grossmann (teorico marxista) e Pollock (economista), Borkenau
(storico), Horkheimer e Adorno (filosofi).  Tale istituto, nelle intenzioni di Weil, avrebbe dovuto studiare "le
complesse connessioni sociali" che "richiedono la cooperazione intellettuale nel lavoro di ricerca". L'idea era
nata dopo il successo della Erste marxistische Arbeitswoche, un convegno della durata di una settimana
organizzato da Weil, al quale avevano contribuito Lukács, Korsch, Wittfogel e Pollock. L'evento aveva avuto un
tale riscontro da convincere Weil a finanziare la creazione di un istituto permanente.  1924.   II 22 giugno viene
inaugurata la nuova sede. Nel suo discorso d'apertura Grünberg indica come obiettivo dell'Istituto quello di
rompere con la tradizione accademica tedesca capace di produrre solo dei "mandarini" fedeli allo status quo e
lontani dalla pratica. Su altri punti centrali, però, Grünberg non incontra il consenso di Horkheimer e degli altri
giovani membri dell'Istituto. La fondazione dell'Istituto costituisce un evento epocale nella storia della cultura
tedesca: per la prima volta nell'università tedesca diviene possibile insegnare e studiare il marxismo e la storia
del movimento operaio; diventa finanche possibile laurearsi su questi temi.  1930.   Horkheimer pubblica Gli
inizi della filosofia borghese della storia, uno studio su Machiavelli, Hobbes, e Vico. Con questo lavoro, grazie ad
accordi interni con Pollock (compromesso politicamente per la sua partecipazione attiva ai Consigli operai di
Monaco), Weil e all'appoggio di Paul Tillich, consegue la docenza e assume la direzione dell'Istituto. L’Istituto
iniziò ad avere un indirizzo specifico a partire dalla direzione di Horkheimer (anni Trenta), quando entrarono a
farne parte anche altri pensatori: Löwenthal (critico e sociologo), Neumann (politologo), Fromm (psico-
sociologo), Benjamin (critico letterario e filosofo) e Marcuse (filosofo).  1933 - Il 30 gennaio il presidente
Hindenburg nomina Hitler cancelliere del Reich. Lo stesso giorno l'abitazione di Horkheimer e Pollock viene
occupata dalle SA. Il 13 marzo l'Istituto viene perquisito e chiuso per aver "promosso attività antistatali" dalla
polizia; successivamente i locali vengono occupati dall'Associazione studentesca nazionalsocialista. La grande
biblioteca viene sequestrata, ma i fondi erano stati accortamente trasferiti in Olanda già dal 1931. Il 13 aprile
Horkheimer assieme a Paul Tillich, Hugo Sinzheimer, Karl Mannheim viene espulso dall'università di
Francoforte. La maggior parte dei membri dell'Istituto si trasferisce all'estero e la direzione provvisoria a Ginevra.
 1934. Primo viaggio di Horkheimer negli Stati Uniti. Nicholas Murray Butler, rettore della Columbia University
offre all'Istituto di associarsi all'università mettendo a disposizione uno dei suoi edifici al 429 della 117ma West
Street. Cosi l'Istituto rivoluzionario e marxista sbarca nel cuore del capitalismo. Marcuse arriva a New York a
luglio, Löwenthal in agosto, Pollock in settembre. Fromm era già stato negli Stati Uniti in occasione di un ciclo di
conferenze presso l'Istituto di psicanalisi dell'università di Chicago. Grazie all'opera di mediazione di John
Maynard Keynes Adorno riesce intanto a iscriversi come advanced student al Merton College di Oxford (estate
1934), continuando però a vivere a Berlino. Continua inoltre la serie di contatti epistolari tra Horkheimer e
Adorno, riallacciati da Horkheimer stesso nell'ottobre del '34 e miranti a riconquistare la genialità del secondo.
Essi continueranno fino al trasferimento di Adorno a New York, nel febbraio 1938. In sintesi, fra il '34 e il '35
prosegue il processo di collaborazione iniziato negli anni '30 a Francoforte, fra il "materialista della teoria
sociale" Horkheimer e il "materialista ermeneuta" Adorno. 1935.  Prendono il via, nell'Istituto, quattro
programmi di ricerca, prevalentemente incentrati sui rapporti fra autorità e famiglia e che avrebbero dovuto

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completare le Studien über Autorität und Familie, ma che non conobbero il loro grado di multidisciplinarietà e di
integrazione. Infatti, la ricerca sull'atteggiamento verso l'autorità delle studentesse del Sarah Lawrence College a
New York, diretta da Fromm, si protrasse a lungo e fu alla fine abbandonata;  1937. Horkheimer pubblica il saggio
"Teoria tradizionale e teoria critica", il manifesto programmatico della nuova fase dell'Institut. Horkheimer
accentua la necessità del momento pratico-sociale implicato in ogni teoria: il puro pensiero non ricava da se
stesso finalità pratiche, ma deve comprenderle come risultanti della totalità sociale: "Rispetto al ruolo
dell'esperienza c'è una differenza tra la teoria tradizionale e quella critica. I punti di vista che quest'ultima ricava
come fini dell'attività umana dall'analisi storica, soprattutto l'idea di un'organizzazione sociale razionale... sono
immanenti al lavoro umano". Il superamento della teoria tradizionale è dunque il rifiuto di separare la
descrizione della realtà dalla sua critica: "Pensare l'oggetto della teoria come separato da essa falsa il quadro e
conduce al quietismo o conformismo".  1941.  Marcuse, Kircheimer e Neumann entrano al servizio di un
settore specifico del controspionaggio americano (l'OSS, Office of Strategic Services), il servizio di intelligence
sulle attività strategiche. Marcuse pubblica Ragione e rivoluzione: Hegel e il sorgere della teoria sociale. Il
pensiero hegeliano, interpretato come "trionfo della filosofia", segna anche l'abdicazione di questa, la fine
della pura teoria senza che questo implichi la fine del pensiero critico: dopo Hegel il "compito della ragione",
scrive Marcuse nell'Introduzione, "si trasferisce ai campi della teoria sociologica e della prassi sociale". La fine
della filosofia pura, della teoria tradizionale, segna il sorgere della  teoria critica della società .  1947.  Adorno e
Horkheimer pubblicano presso l'editore Querido di Amsterdam la versione definitiva della Dialettica
dell'Illuminismo. Esce anche Eclisse della ragione di Horkheimer presso la Columbia University Press. 1949. Il 13
luglio con l'appoggio dei comandi delle truppe alleate fu ricreata per Horkheimer la cattedra che era stata abolita
nel 1933. Questa fu la premessa per il ritorno dell'Istituto, della sua biblioteca e dei fondi a Francoforte anche se
molti membri, primo fra tutti Horkheimer, accettarono di far ritorno in Germania solo a condizione di poter
conservare la doppia cittadinanza.

- Tutti gli aderenti alla Scuola condividono, pur nella trattazione di diversi ambiti e lo sviluppo di teorie originali,
l’adesione al marxismo critico, ripreso però alla luce dei cambianti storico-sociali novecenteschi. L’Istituto,
mostra infatti di avere un forte indirizzo critico nei confronti della società presente, mirando a evidenziarne gli
elementi più negativi alla luce di un ideale (rivoluzionario) teso al raggiungimento di una società libera, in cui
l’uomo non risulti più alienato ma anzi pienamente sviluppato nelle sue potenzialità. Quello che viene
esercitato è cioè un pensiero critico che investe ogni campo e che mira allo smascheramento delle
contraddizioni del sistema imperante a fronte di un ideale utopico in grado di stimolare il cambiamento
radicale. Gli esponenti della Scuola di Francoforte riprendono il tratto tipicamente hegeliano del pensiero
dialettico (influsso del primo Lukács) che, attento alle contraddizioni e alla presenza di elementi contrastanti
all’interno della realtà, concepisce quest’ultima come totalità organica e processuale. Da Marx (che comunque
in ciò verrà visto, proprio dalla Scuola, come successore di Hegel) è invece ripresa l’applicazione di tale tipo di
pensiero non solo alla totalità della storia in senso “astratto”, ma anche alla realtà sociale concreta, presa in
considerazione in tutti i suoi aspetti e nelle loro vicendevoli relazioni che non permettono di scindere un
ambito dagli altri. La connessione tra teoria e pratica è infatti imprescindibile per un pensiero che non si fermi
alla constatazione dei dati di fatto, ma intenda modificare la realtà.

- Nella teoria critica, elaborata dalla Scuola di Francoforte, si fa riferimento alla filosofia di G. W. F. Hegel (1770-
1831), si mettono in discussione e si reinterpretano alcuni aspetti delle teorie psicoanalitiche di S. Freud (1856-
1939) e si prende in considerazione quella parte del pensiero di K. Marx (1818-1883), che, oltre a riconoscere le
contraddizioni interne dell’intero sistema, ha l’obiettivo di rendere evidenti le possibilità rivoluzionarie presenti
nella fase contemporanea del capitalismo. Dall’analisi condotta dalla Scuola si evince che la classe operaia ha
perso la vocazione rivoluzionaria attribuitale da Marx, facendo sempre più allontanare la radicale
trasformazione economica e antropologica, finalizzata a risollevare l’intera condizione umana. Riferendosi alla
psicoanalisi freudiana, il mancato successo della rivoluzione è spiegato dai francofortesi, con l’individuazione
della causa in due meccanismi psichici ben precisi: l’integrazione della classe operaia nel processo produttivo
del capitalismo e l’adesione di massa ai totalitarismi.

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- Nel 1936, gli Studi sull’autorità e la famiglia furono pubblicati dall’Istituto proprio con l’intento di descrivere e
di scandagliare i processi d’integrazione sociale dell’individuo, risalendo all’unità fondamentale della famiglia:
un’istituzione che nel corso della storia ha subito profondi mutamenti. Dall’epoca della borghesia classica a
quella del tardo capitalismo, la famiglia perde progressivamente la sua capacità di formare individui
autoresponsabili e in grado di assumersi consapevolmente le proprie responsabilità, sviluppando un carattere
fortemente autoritario. È questa l’indole di chi, reprimendo gl’impulsi libidici, si manifesta in maniera
aggressiva verso gli altri ed esterna la propria frustrazione con un ‘io’ inadeguato ad assumersi la responsabilità
di se stesso. Il risultato è che un individuo non autoresponsabile avrà la tendenza ad affidarsi in maniera
costante e non consapevole all’autorità di un leader che gli garantisca la soddisfazione dei propri bisogni. Di
Tali meccanismi inconsci, il principio di autorità, che passa dalla famiglia all’individuo e che trasforma l’autorità
del padre da esterna a interna, è accettato da tutti quei soggetti che hanno a loro volta interiorizzato l’autorità
paterna. I processi psicologici appena descritti proliferano all’interno di un contesto totalitario, generando
quasi naturalmente una società di massa.

Karl Marx > Nasce nel 1818 a Treviri in Renania, zona industriale della Germania del tempo, da una famiglia
borghese di origine ebraica (il padre si convertì al luteranesimo per non avere restrizioni). • Scoppiata la rivoluzione
in Europa ed espulso dal Belgio, va prima a Parigi poi a Colonia. • Dopo il fallimento della rivoluzione vive a Soho una
vita di stenti che porterà alla morte di quattro figli piccolo e che lo farà malare gravemente. Viene aiutato da Engels
che eredita la comproprietà dell'azienda paterna. • Lavora nel British Museum analizzando i cosiddetti "Libri Blu"
contenenti i dati drammatici delle inchieste parlamentari sulle condizioni degli operai nelle fabbriche inglesi, che
saranno poi utilizzati come documentazione per Il Capitale. • Nel 1864 contribuisce alla fondazione dell'Associazione
internazionale dei lavoratori (Prima internazionale). • Dopo aver visto la prima forma di governo della classe operaia
con la Comune del 1870 di Parigi, muore a Londra nel 1883.

- Per Marx la filosofia deve svelare la falsità di ciò che sembra (Schopenhauer) per rivelare ciò che è davvero e
trasformare ciò che è. Filosofia come strumento rivoluzionario (filosofia della prassi, ciò che caratterizza l'uomo
non è il pensiero ma la prassi: attività umana). > ALIENAZIONE Compito della filosofia: smascherare
l'alienazione, la schiavitù umana. • Intesa come processo storico ed economico-sociale di asservimento dei
produttori della ricchezza materiale a coloro che dispongono di tale ricchezza e dei mezzi che sono serviti a
produrla (lavoratori privati del prodotto finale). Bisogna quindi passare ad una messa in discussione delle
strutture economico-sociali che producono quelle condizioni di asservimento. Occorre una forza materiale (il
proletariato) per abbattere una forza materiale e un'emancipazione oltre che politica anche economica-sociale.
L'uomo si aliena quindi perché dovrebbe realizzare la sua essenza umana nel lavoro, ma ne è in realtà privato
del prodotto.
- Per Marx l'essere è l'uomo in carne ed ossa inserito nel contesto sociale che differenzia le autocoscienze e
influenzano il pensiero. La storia è quindi data dai diversi contesti sociali.
- Per Marx lo stato è l'ennesimo strumento dell'autocoscienza per legittimare i vari contesti.

La rivoluzione è quindi per Marx l’unico modo per realizzare l’emancipazione non solo socio-politica, ma anche
dell’uomo e di abbattere il sistema borghese che, estraneo al pensiero dialettico, si pone come fatto necessario e
non coglie invece la superabilità delle proprie contraddizioni (derivanti dal conflitto tra capitale e lavoro salariato)
attraverso la propria abolizione. Il comunismo, con eliminazione della proprietà privata, è quindi identificato con la
dis-alienazione umana ed è pertanto fine della storia dialetticamente intesa – ancora, è qui evidente l’influsso di
Hegel, che “ha concepito l’uomo in un’ottica storica […] ha […] sottolineato in tale processo autoformativo
l’importanza del lavoro […] alienazione e soppressione dell’alienazione” e ha evidenziato il ruolo del negativo per il
processo dialettico stesso, pur restando a un livello astratto. Dunque il punto di vista che si deve assumere è quello
della concretezza e della considerazione dell’uomo come essere storico e sociale, per cui il discorso antropologico
non può essere separato da quello economico, politico e culturale e ogni aspetto teorico deve essere
inscindibilmente legato alla prassi. Il nuovo impianto proposto da Marx è rivolto alla comprensione del processo
storico a partire dalla concreta considerazione delle sue cause, al di là di ogni tessuto ideologico mistificante, e mira
a giungere a una scienza obiettiva della storia rispetto a cui la filosofia assuma la funzione di sintesi. Il materialismo

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storico marxista interpreta quindi la storia come processo caratterizzato dalla lotta per la sopravvivenza dell’uomo
secondo il meccanismo del bisogno-soddisfacimento, in cui l’uomo agisce attraverso il lavoro, cioè la produzione dei
propri mezzi di sussistenza, i quali permettono l’affermarsi di cultura e civiltà. - Pertanto la storia ha base economica
e conduce necessariamente al comunismo come risultato finale in quanto risolvimento della dialettica causata
dall’esistenza di una società di classe e della proprietà privata. La rivoluzione, che deve guidare all’eliminazione
dell’ingiustizia sociale, conduce anche alla caduta di ideologia e falsa coscienza, elementi che attualmente
mascherano gli interessi di classe dominanti all’interno della società. La storia dunque si configura come lotta di
classi. > I presupposti del materialismo storico, della categoria del lavoro e dello studio della realtà come totalità, in
cui ogni aspetto è da studiarsi in relazione agli altri, costituiscono la base dell’analisi che Marx conduce nel Capitale
(1867) a proposito dei meccanismi della società e dell’economia borghese. Il capitalismo, non avente come scopo il
consumo delle merci prodotte dal lavoro umano, ma l’accumulazione del denaro, conduce al cosiddetto «feticismo
delle merci», “che consiste nel considerare le merci come entità aventi valore di per sé, dimenticando che esse sono
invece frutto dell’attività umana e di determinati rapporti sociali”, e alla ricerca di un sempre maggior profitto da
parte del capitalista. - È in base a tale analisi che la rivoluzione comunista si configura come l’unica soluzione
auspicabile poiché capace di abolire lo sfruttamento attraverso la soppressione della proprietà privata e la
socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio. È per mezzo della rivoluzione così intesa che è possibile
giungere all’“uomo nuovo, considerato come un essere onnilaterale e totale, che esercita in modo creativo l’insieme
delle sue potenzialità”662, il cui lavoro si configuri come libera espressione di se stesso.

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