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BIOLOGIA DI BASE - LA CELLULA E LA SUA ORGANIZZAZIONE

La scoperta dell’esistenza della cellula risale al 17° secolo, risale al biologo sovrintendente della Royal
Society di Londra (importante accademia scientifica) Robert Hooke che, osservando al microscopio una
piccola sezione di sughero, notò e fu colpito dalla sua struttura ad alveare che sembrava ricordargli le celle
dei monaci (da “piccole CELLE” a CELLULE). Riguardo a tale scoperta scrisse la “Micrografia” del 1665 che
costituisce la base di partenza per le successive scoperte riguardanti la teoria cellulare.

Le vere e proprie basi della teoria cellulare furono poste nel 19° secolo, intorno al 1830, quando gli studiosi
Matthias Jacob Schleiden (botanico- osservava tessuti vegetali) e Theodor Schwann (zoologo- osservava
tessuti animali), muniti di strumentazione più recente e moderna (vi furono ad esempio perfezionamenti
dei microscopi), confrontandosi osservarono una analoga conformazione in cellule animali e vegetali, e
teorizzarono le prime due diciture della teoria cellulare. Fu infine Rudolf Virchow nel 1858 a concludere la
teoria cellulare, facendo ricerca per quanto riguarda l’origine delle cellule ed affermando che ogni cellula
nasce da un'altra cellula preesistente ("Omnis cellula e cellula").

La teoria cellulare afferma quindi che: Teoria ripresa qualche anno


 Ogni essere vivente è costituito da una o più cellule dopo da Darwin, con la teoria
 La cellula è l’unità basale della struttura di tutti gli organismi dell’evoluzione delle specie
 Ogni cellula è originata da cellule preesistente (1859), il quale affermò che
tutte le cellule hanno
un’origine comune.
Le cellule che costituiscono gli organismi viventi vengono in primo luogo classificate in due grandi categorie:
cellule EUCARIOTE e PROCARIOTE.

1. La cellula EUCARIOTA è la struttura di base che costituisce organismi uni e pluricellulari (animali,
piante, protisti, funghi), è la cellula maggiormente evoluta e presenta un nucleo, che contiene le
info genetiche, ben definito da membrana nucleare. La sua grandezza varia intorno ai 20 µm.
2. La cellula PROCARIOTA è la struttura basale degli organismi batterici, essa non possiede un nucleo
definito e la sua grandezza è inferiore a quella della cellula eucariota, si aggira intorno ai 2µm.

Le dimensioni
cellulari
solitamente si
dispongono
nell’intervallo
tra 1-100 µm.
Vi sono
comunque
delle eccezioni
(es. uova).
PRIMA DI ARRIVARE ALLA CELLULA L’ORGANIZZAZIONE GERARCHICA IN BIOLOGIA

Per costituire la struttura della cellula sono necessari diversi livelli di organizzazione della materia:

1. ALLA BASE: GLI ATOMI, gli atomi costituiscono il primo livello di organizzazione della materia, è la
più piccola parte di un elemento chimico e quella che ne conserva le proprietà.
2. PRIMO LIVELLO: LE MOLECOLE, le molecole costituiscono il primo livello poiché sono formate
dall’unione di due o più atomi, uguali o differenti, che avviene attraverso la creazione di legami
chimici.
3. SECONDO LIVELLO: LE MACROMOLECOLE, sono costituite a loro volta da due o più molecole legate
anch’esse attraverso legami chimici, esse sono ad esempio i lipidi, proteine, carboidrati.
4. TERZO LIVELLO: GLI AGGREGATI MOLECOLARI, sono gli organelli e il citoplasma, ovvero i costituenti
della cellula.
5. QUARTO LIVELLO: LA CELLULA, la più piccola unità strutturale vivente.

NEGLI ORGANISMI PLURICELLULARI TALE ORGANIZZAZIONE PROSEGUE

6. Le cellule si associano tra loro a formare i TESSUTI, di diversa struttura e funzione.


7. I TESSUTI si aggregano tra loro a formare gli ORGANI.
8. Gli organi si organizzano a loro volta in SISTEMI o APPARATI.
9. I sistemi di organi si associano tra loro a costituire un ORGANISMO funzionale all’interno del quale
cooperano per la sua sopravvivenza.
10. Organismi della stessa specie costituiscono una POPOLAZIONE.
11. Le popolazioni di diverse specie che convivono entro una stessa area ed interagiscono tra loro,
vanno a costituire una COMUNITÀ.
12. La comunità a sua volta, unita all’ambiente che la circonda, costituito da organismi non viventi, va a
costituire un ECOSISTEMA.
13. Infine, la terra con tutte le sue comunità costituisce la BIOSFERA.

Negli organismi PLURICELLULARI vi possono essere fino a miliardi di cellule strettamente specializzate in
forma e funzione, al contrario invece, negli organismi UNICELLULARI, essendo presente una sola cellula,
essa risulta molto complessa e non specializzata poiché deve svolgere tutte le funzioni necessarie alla
sopravvivenza dell’organismo che, ovviamente, risulta molto meno complesso e ridotto rispetto ai
pluricellulari. Gli UNI- sono solitamente MICROORGANISMI, ne esistono però alcuni (rari) che raggiungono
anche i 20 cm: gli XENOPHYPHOREA.

COSA DEFINISCE UN ORGANISMO VIVENTE? QUALI SONO LE SUE CARATTERISTICHE?

 Prima caratteristica: la presenza di CELLULE, se non è costituito da cellule (ma soltanto da atomi,
molecole, ecc...) non può essere un organismo vivente. Il numero di cellule può chiaramente essere
variabile, oscillando da una a tanti miliardi PRINCIPIO FONDAMENTALE DELLA TEORIA CELL.
 Seconda caratteristica: la presenza di un processo metabolico, il METABOLISMO, ovvero l’insieme
delle reazioni chimiche e trasformazioni energetiche che avvengono all’interno di un organismo, a
livello della cellula, permette alla cellula di svolgere tutte le funzioni necessarie alla sopravvivenza
dell’organismo.
 Terza caratteristica: presenza di OMEOSTASI (=condizione di equilibrio), vengono denominati
meccanismi omeostatici tutti quei processi che permettono di mantenere all’interno dell’organismo
una condizione interna di equilibrio. Sono meccanismi che permettono di mantenere costanti i
parametri interni di un organismo, facendo mantenere le sue caratteristiche fisico-chimiche.
 Quarta caratteristica: verificarsi di un ACCRESCIMENTO o SVILUPPO, ovvero un aumento di
dimensioni e/o numero delle cellule durante l’arco vitale (può durare tutta la vita, piante, o per
periodi definiti e specifici) dell’organismo, con lo sviluppo gli organismi vanno incontro a
modificazioni che avvengono nel corso della propria vita, al fine di acquisire caratteristiche MORFO-
FUNZIONALI che ne permettano la sopravvivenza.
 Quinta caratteristica: presenza di fattori RIPRODUTTIVI ed EREDITARI, anch’essi finalizzati alla
sopravvivenza, in questo caso di una specie e non di un solo organismo. La riproduzione tra
organismi viventi può essere sessuata o asessuata, quella asessuata genera organismi
geneticamente identici (cloni), quella sessuata genera un nuovo organismo geneticamente diverso,
poiché generato da cellule derivanti da due organismi differenti.
 Sesta caratteristica: la presenza di un ADATTAMENTO EVOLUTIVO, ovvero la capacità degli
organismi appartenenti ad una popolazione di evolversi (modificarsi) in relazione all’ambiente
circostante, al fine di adattarsi e perciò riuscire a sopravvivere e mantenere intatta la specie
trasmettendo alla progenie le caratteristiche necessarie alla sopravvivenza.
 Settima caratteristica: la capacità di rispondere agli STIMOLI, ovvero qualsiasi variazione che
avvenga all’interno o all’esterno dell’organismo (es. cambia temperatura= mi vesto, abbiamo
fame= mangio). Questa capacità di risposta agli stimoli è alla base dell’omeostasi (caratteristica 3).

Alla base del mantenimento della vita di ogni organismo appartenente all’ecosistema vi è l’ENERGIA,
necessaria per ogni tipo di azione che gli organismi devono compiere, nel caso degli organismi terrestri si
tratta di energia sottoforma di luce proveniente dal sole, è perciò necessario che esistano organismi in
grado di catturare l’energia solare trasformandola in energia chimica (organismi FOTOSINTETICI).

Un ECOSISTEMA è un sistema all’interno del quale vi sono, per il motivo sopra riportato e mantenere il
flusso continuo di energia che necessita, diversi tipi di organismi dipendenti l’uno dall’altro, i quali rendono
l’ecosistema autosufficiente:

 Organismi PRODUTTORI= organismi in grado di intrappolare l’energia proveniente dal sole


modificandola in energia chimica.
 Organismi CONSUMATORI= non sono in grado di produrre autonomamente molecole energetiche,
hanno quindi bisogno di metabolizzare le molecole di energia trasformata dagli organismi
produttori.
 Organismi DECOMPOSITORI= sono organismi che permettono il riciclaggio dei componenti relativi
ai composti di rifiuto, alle carcasse di esseri viventi ormai morti, sono fondamentali poiché la
decomposizione è un processo naturale e necessario al fine di rinnovare la materia e l’energia.

Gli organismi viventi vengono divisi secondo diversi parametri, e così vengono differenziati in base a:

 Il NUMERO di CELLULE che li costituiscono:


 UNIcellulari
 PLURIcellulari
 Il TIPO di ENERGIA che essi sfruttano:
 FOTOTROFI, sfruttano l’energia luminosa in modo diretto
 CHEMIOTROFI, sfruttano l’energia chimica proveniente da molecole prodotte
 Il TIPO di METABOLISMO che essi hanno, ovvero la loro fonte di Carbonio:
 AUTOTROFI, sono in grado di sintetizzare molecole organiche partendo da molecole inorganiche
(es. da CO2, H2O)
 ETEROTROFI, non sono in grado di sintetizzare molecole organiche partendo da inorganiche
 In base alla loro DIPENDENZA da O:
 AEROBI, sono dipendenti dalla presenza di ossigeno
 ANAEROBI, non necessitano della presenza di ossigeno
In base a queste caratteristiche tutti gli esseri viventi sono suddivisi in primo luogo in tre DOMINI,
suddivisione principalmente dovuta alla tipologia di cellule che costituisce tali organismi:

1. BATTERI
Costituiti da cellule procariote
2. ARCHEA
3. EUCARIOTI (cellule eucariote)

E gli organismi appartenenti a tali domini vengono a loro volta suddivisi in sei REGNI:

 EUBATTERI Appartenenti al dominio dei bacteria


 ARCHEOBATTERI Appartenenti al dominio degli archea
 PROTISTI
 PIANTE
 FUNGHI Appartenenti al dominio degli eucarioti
 ANIMALI

Questa classificazione degli organismi rispecchia il processo evolutivo, l’albero di seguito rappresentato
mostra le correlazioni tra gli organismi attuali (in alto) e suggerisce il fatto che gli organismi appartenenti ai
regni riconosciuti correntemente siano derivati per divergenza da un progenitore comune, il quale ha dato
quindi origine a tutti gli organismi attuali.

LINEA DI EVOLUZIONE (dai più antichi ai più recenti)

Gli organismi appartenenti ad ogni regno vengono poi classificati a loro volta in categorie man mano più
ristrette, andando gradualmente a ridurre queste categorie in base a caratteristiche morfologiche,
funzionali, comportamentali si giunge alla base della categorizzazione: la SPECIE. La specie viene indicata
con due nomi (es. homo sapiens), il primo indica il genere, ovvero la categoria che procede la specie, la
seconda indica la vera e propria specie.

LE BASI CHIMICHE DELLA VITA

In natura (materia vivente e non vivente) sono presenti 92 elementi in totale, un elemento è definito quella
porzione di materia che non può essere scissa nelle sue componenti attraverso reazioni chimiche e fisiche
ordinarie (semplici), tra essi soltanto 25 sono importanti ed essenziali all’interno del mondo degli organismi
viventi. Tra questi 25 elementi la quasi totalità (96%) della massa dei viventi viene costituita da soli 4
elementi:
1. OSSIGENO (O) al 65 % Il restante 4% è costituito da elementi comunque
2. CARBONIO (C) al 18,5% necessari (calcio, potassio, fosforo, zolfo, sodio,
3. IDROGENO (H) al 9,5% cloro, magnesio) ed altri 14 elementi presenti con
4. AZOTO (N) al 3,3% valore minore allo 0,01% (=elementi TRACCIA).

Ogni elemento è a sua volta costituito da atomi tra loro uguali, l’atomo viene definito come la porzione più
piccola di un elemento capace di mantenere intatte le sue caratteristiche. Esso è costituito da particelle
subatomiche (PROTONE a carica positiva, NEUTRONE a carica neutra, ELETTRONE a carica negativa) così
strutturate:

-All’interno del nucleo PROTONI e NEUTRONI

-All’esterno (intorno) del nucleo gli ELETTRONI

Gli elettroni risultano essere estremamente più piccoli sia dei protoni che dei neutroni, questi sono presenti
in egual numero rispetto ai protoni, e ciò determina la neutralità propria dell’atomo.

Ogni atomo si distingue in base al numero di protoni che possiede all’interno del nucleo, tale numero non è
variabile, rimane lo stesso durante ogni reazione chimica. Esso è denominato NUMERO ATOMICO, ed è il
valore secondo il quale vengono ordinati gli elementi all’interno della tavola periodica (in ordine crescente).

Gli atomi interagiscono tra di loro attraverso la creazione di legami, attraverso tali legami si combinano in
molecole che vanno a comporre e dare luogo a composti chimici. Gli elettroni si trovano in regioni dello
spazio chiamate orbitali e possiedono una specifica energia, possiamo affermare quindi che gli atomi
presentano dei gusci elettronici intorno al loro nucleo, dove appunto si trovano gli elettroni. Il primo guscio
elettronico è completo quando in esso sono presenti due elettroni, quelli successivi sono completi quando
presentano più elettroni, in pratica presenti otto elettroni. Quando il guscio più esterno non è completo,
l’atomo tende a completarlo al fine di raggiungere una maggiore stabilità, per tal motivo l’atomo
interagisce con altri atomi creando dei legami. I tipi di legami ed interazioni sono:

 Legami COVALENTI, si istaurano tra gli atomi quando questi mettono in compartecipazione degli
elettroni, condividendoli gli uni con gli altri al fine di completare il guscio di valenza di ognuno di
essi e acquisendo così stabilità. Il legame covalente può essere APOLARE (o puro), la molecola
risultante è una molecola apolare, o POLARE, quando la risultante è una molecola polare.
Le molecole venutesi a creare sono complessivamente neutre, se avessero un qualche tipo di carica si
Azw2q
parlerebbe di ioni, ma è possibile il verificarsi di situazioni per le quali un atomo tende maggiormente ad
attirare a sé gli elettroni del legame covalente creatosi, poiché sono atomi diversi, risulta così avere una
porzione relativa a quell’atomo della molecola carica negativamente, la porzione opposta risulterà
quindi carica positivamente poiché vede allontanarsi gli elettroni, risulta così una molecola avente un
POLO NEGATIVO ed un POLO POSITIVO, ciò determina nella molecola una caratteristica chiamata
POLARITÀ (es. l’acqua è una molecola polare poiché l’ossigeno, più elettronegativo dell’idrogeno, tende
ad attrarre verso di sé gli e- del legame covalente= la porzione di O risulta essere il polo negativo, quella
di H il polo positivo). Il termine che definisce la capacità di un atomo di attrarre a sé gli elettroni del
legame covalente è il termine ELETTRONEGATIVITÀ. Gli atomi con maggiore elettronegatività sono
quelli di ossigeno e fluoro, quelli minormente elettronegativi sono gli atomi di idrogeno, questo fa sì che
la porzione delle molecole che presenta idrogeno sarà sempre carica positivamente.

 Legami IONICI, sono legami dovuto alle interazioni tra ioni. Uno ione è un atomo/molecola che
perso o acquisito elettroni, se si perde un elettrone si perde una carica negativa, perciò risulta un
atomo/molecola carica positivamente. Se si acquisisce si acquisisce anche una carica negativa.
Quando ioni aventi cariche opposte si attraggono e si uniscono a formare dei composti. In base alle
interazioni tra cariche opposte ne risulta la formazione di un legame ionico= legame tra ioni.
 Legami DEBOLI, ovvero interazioni facilmente distruggibili.

FORMAZIONE DI UN LEGAME COVALENTE SEMPLICE: due atomi, nell’esempio di idrogeno, raggiungono la


stabilità condividendo due elettroni e formano così una molecola di idrogeno, mettendo in
compartecipazione un elettrone taluno. La formula di struttura di un legame covalente semplice si
rappresenta con un trattino tra i simboli dei due (o più) atomi (H-H).

FORMAZIONE DI UN DOPPIO LEGAME COVALENTE: due atomi, in tal caso di ossigeno, condividono due
coppie di elettroni al fine di formare l’ossigeno molecolare, dotato di doppio legame covalente. La formula
di struttura è rappresentata con due trattini paralleli (O=O).

Il numero di legami che un determinato atomo può formare è generalmente determinato dal numero di
elettroni necessari al fine di completare il suo guscio di valenza. Se ne possono formare anche tre, e così
via.

IL LEGAME COVALENTE PUÒ ESSERE APOLARE (o puro) O POLARE. Nel primo caso viene a formarsi una
molecola apolare, che non presenta alcuna polarità, nel secondo caso si tratta di una molecola che presenta
una qualsiasi polarità.

IL LEGAME A IDROGENO

Il legame a idrogeno viene indicato con una linea tratteggiata che unisce l’idrogeno di una molecola con
l’elemento fortemente elettronegativo (F, N, O) dell’altra molecola, è un legame debole.

L’elettronegatività è quella grandezza che caratterizza la capacità di


attrazione di un atomo nei confronti degli elettroni del legame con un altro atomo.

LEGAMI DEBOLI

Sono legami deboli:

 Le interazioni elettrostatiche come le forze di van der Waals, vere e proprie interazioni
elettrostatiche che si formano in maniera temporanea data la grande mobilità degli elettroni.
 Le interazioni idrofobiche che si instaurano per il semplice motivo che le molecole apolari, non
aventi affinità per l’acqua, per evitare il contatto con l’acqua, si “ripiegano” su loro stesse e si
aggregano tra di loro.

L’ACQUA, UNA MOLECOLA DI VITALE IMPORTANZA

La molecola dell’acqua (H2O) è costituita da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, legati attraverso
legami covalenti. Essa è una molecola fondamentale per la vita, pur non essendo una molecola organica, il
70% del peso corporeo di un individuo è costituito da acqua ed ha la funzione di solvente in tutte le
tipologie di reazioni biologiche.

È una molecola che possiede una parziale carica positiva (la parte formata dagli atomi di idrogeno) ed una
parziale carica negativa, ovvero una molecola denominata POLARE, a livello delle regioni che presentano
idrogeno vi è una parziale carica positiva, a livello dell’ossigeno una carica negativa, la molecola risulta
comunque complessivamente neutra, e tale polarità è l’elemento che la rende un ottimo solvente, poiché
conferisce alla molecola di interagire con tutte le molecole polari attraverso la formazione di legami a
idrogeno: l’idrogeno (+) attrae atomi positivi (es. ossigeno- di altre molecole di acqua).
Il tipo legame ad idrogeno fa sì che l’acqua si presenti in tre stati fisici ovvero liquido, solido, gassoso:

 Allo stato liquido le molecole di acqua formano, rompono e riformano continuamente legami a
idrogeno.
 Allo stato solido, nel ghiaccio, ogni molecola forma quattro legami a idrogeno con le molecole
adiacenti, dando luogo così ad una struttura cristallina perfettamente regolare.
 Lo stato gassoso è invece conferito dalla rottura di molti legami a idrogeno che, quando si rompono
ulteriormente quasi tutti attivano il libero movimento nell’aria delle molecole.

Tutto ciò che possiede una determinata affinità con l’acqua viene denominato IDROFILO, ciò che non
possiede tale caratteristica viene definito IDROFOBICO o IDROFOBO.

LA CHIMICA DEL CARBONIO (la chimica organica)

Il carbonio è l’elemento componente di tutti i composti organici, eccetto quando esso non possiede legami
con altri atomi di C o con atomi di H (es. CO 2 è un composto inorganico). Esso è in grado di formare fino a
quattro legami covalenti, arrivando a costituire molte molecole. Le molecole organiche più semplici sono
costituite da atomi di carbonio e atomi di idrogeno, la più semplice in assoluto risulta quindi essere la
molecola di metano= CH4.

I composti organici presentano determinate caratteristiche conferite dal cosiddetto SCHELETRO


CARBONIOSO, ovvero l’ossatura costituita dagli atomi di carbonio legati gli uni agli altri. Tale scheletro può
presentarsi in forma lineare oppure ripiegatosi ad anello.

Vi sono alcuni gruppi funzionali (o funzioni), ovvero piccoli raggruppamenti di atomi i quali determinano le
reazioni chimiche alle quali la molecola partecipa, i quali sono biologicamente importanti:

1. Gruppo OSSIDRILICO/ALCOLICO= gruppo polare poiché l’ossigeno elettronegativo attrae gli


elettroni del legame covalente. È il gruppo che caratterizza la classe di componenti degli alcoli e la
sua formula di struttura è -OH
2. Gruppo CARBONILICO= si presenta in due modi diversi in base alla classe di componenti
caratterizzati dal gruppo, la sua struttura è C=O (doppio legame)
 ALDEIDI: il carbonio del gruppo carbonilico è legato con almeno un atomo di H, è polare
perché l’ossigeno elettronegativo attrae gli elettroni del legame covalente.
 CHETONI: il carbonio del gruppo carbonilico è legato ad altri due atomi di carbonio,
anch’esso è polare poiché l’ossigeno elettronegativo attrae gli elettroni del legame
covalente.
3. Gruppo CARBOSSILICO= è un gruppo debolmente acido, talvolta può rilasciare uno ione H +. la sua
formula di struttura è O=C-OH

4. Gruppo AMMINICO= è debolmente basico, può accettare uno ione H +. =NH2


5. Gruppo FOSFATO= debolmente acido, possono essere rilasciati uno o due ioni H +. =H3PO4
6. Gruppo SULFIDRILICO= aiuta a stabilizzare la struttura interna delle proteine. =SH

In base quindi alla tipologia di gruppi funzionali che una determinata molecola possiede, noi possiamo
conoscere le reazioni chimiche che tale molecola può fare.

Le molecole organiche (o MACROMOLECOLE o molecole biologiche) sono le molecole risultanti da tali


interazioni tra carbonio ed altri elementi, esse possono essere classificate in quattro principali categorie:
 CARBOIDRATI, funzione energetica e talvolta strutturale (es. cellulosa, chitina).
 LIPIDI, molecole organiche che non hanno affinità con l’acqua, hanno funzione energetica e
strutturale.
 PROTEINE, molecole che svolgono le azioni all’interno degli organismi viventi.
 ACIDI NUCLEICI, molecole organiche per possiedono e trasportano le informazioni genetiche
all’interno di ogni organismo vivente.

Le MACROMOLECOLE possono essere semplicemente molecole di grandi dimensioni, oppure possono


essere dei POLIMERI, i polimeri sono molecole complesse costituite da tante unità di molecole più semplici
e di minori dimensioni denominate MONOMERI. I polimeri si sintetizzano attraverso reazioni di
disidratazione, ovvero ogni monomero si lega con la catena polimerica mediante la perdita di una molecola
di acqua.

Il catabolismo/demolizione dei polimeri avviene invece mediante il processo inverso, l’idratazione


(IDROLISI), una molecola di acqua determina il rilascio di un monomero da una determinata catena
polimerica.

Nello specifico….

I CARBOIDRATI gli IDRATI del carbonio C n(H2O)n = per ogni atomo di carbonio vi è idrogeno e
ossigeno in quantità eguale agli atomi presenti nella molecola dell’acqua: es. C5(H2O)5 5 atomi di C
e 5 molecole di H2O.

Gli zuccheri sono quindi principalmente costituiti da carbonio e gruppi


ossidrili (OH) ma talvolta tali gruppi ossidrili possono essere sostituiti da gruppi amminici (NH 2), in tal caso
vengono definiti AMMINOZUCCHERI, di complessità sempre maggiore nel caso in cui tali gruppi amminici
interagiscono con altre molecole. Ad esempio, lo zucchero n-acetilglucosammina, deriva dal glucosio ma,
un gruppo ossidrilico è stato sostituito da un gruppo amminico e a tale gruppo amminico si è legato un
acetile (CH3CO)

Si suddividono in tre grandi classi:

o MONOSACCARIDI= molecole singole di carboidrato


o DISACCARIDI= molecole costituite dall’unione di due monosaccaridi
o POLISACCARIDI= molecole polimeriche costituite dall’unione di migliaia di unità monosaccaridiche.

La funzione principale dei carboidrati è la funzione energetica, essi costituiscono il combustibile principale e
fondamentale della cellula, e perciò dell’organismo, ma taluni svolgono anche una funzione a livello
strutturale, ad esempio la cellulosa, componente strutturale appunto della parete cellulare vegetale.

MONOSACCARIDI: carboidrati a singola molecola che contengono da tre a sette atomi di C, i più importanti
sono ad esempio i TRIOSI (contenenti tre atomi di C) come gliceraldeide e deiidrossiacetone; i PENTOSI
(monosaccaridi a cinque atomi) come ribosio e deossiribosio; gli ESOSI (sei atomi) come glucosio, fruttosio e
galattosio.
Il glucosio è il combustibile energetico principale
Fruttosio e galattosio hanno proprietà all’interno della cellula, durante il processo di respirazione
diverse rispetto al glucosio poiché la aerobia, processo che permette la liberazione dell’energia
disposizione degli atomi della molecola è immagazzinata all’interno della molecola di glucosio; è
diversa da quella degli atomi del glucosio anche fondamentale al fine di fornire scheletri carboniosi
(pur essendo tutti e tre monosaccaridi esosi). per ulteriori sintesi da parte della cellula.

Il fruttosio, ad esempio, risulta più dolce rispetto al glucosio a causa della sua struttura diversa.
Gli zuccheri possono presentarsi sottoforma di due strutture diverse: struttura lineare e ad anello. La
struttura ad anello si viene a creare quando essi sono disciolti in soluzione.

DISACCARIDI: carboidrati costituiti da due molecole di monosaccaride, sono perciò dei dimeri il cui
monomero è costituito dalla singola unità monosaccaridica. Il legame chimico che unisce tali monomeri
prende il nome di legame GLICOSIDICO (o glicosilico), che permette il legame tra le due molecole tramite la
disidratazione, ovvero perdendo una molecola di acqua.

I disaccaridi principali risultano essere dimeri delle molecole monosaccaridiche dei tre zuccheri esosi
sopraelencati, ne risultano quindi:

1. MALTOSIO dall’unione di due molecole di glucosio (utilizzato principalmente nella produzione di


alcolici)
2. SACCAROSIO, dimero risultante dall’unione di fruttosio e glucosio (comunemente lo zucchero da
cucina)
3. LATTOSIO, costituito da una molecola di glucosio e una di galattosio, è l’elemento che conferisce
l’intolleranza ad esso, poiché il metabolismo delle persone intolleranti non è in grado di scindere il
legame glicosidico creatosi tra glucosio e galattosio.

POLISACCARIDI: sono carboidrati polimerici, costituiti da lunghe catene di monosaccaridi legati tra loro
attraverso legami glicosidici. Quelli a base di glucosio sono: amido, cellulosa e glicogeno.

 L’amido è il polisaccaride che ha la funzione di riserva di glucosio all’interno delle piante, esso si
ritrova all’interno delle radici e in altri organi della pianta, all’interno di specifici organelli
denominati AMILOPLASTI.
 Il glicogeno è invece il polisaccaride che funge da riserva energetica all’interno degli organismi
animali, esso è una molecola fortemente ramificata e lo si ritrova principalmente all’interno del
fegato e dei muscoli, i quali necessitano di molta energia.
 La cellulosa è un polimero di glucosio all’interno del quale i monomeri sono organizzati secondo
una struttura che gli animali non riescono a scindere e metabolizzare, la stragrande maggioranza
degli animali non è quindi in grado di utilizzare la cellulosa come fonte di combustibile energetico
(ad eccezione di bovini ed ovini i quali possiedono alcune simbiosi con determinati batteri che
rendono possibile la rottura del legame dei monomeri della cellulosa). I monomeri della cellulosa, le
molecole di glucosio, sono legate tra loro a formare delle fibrille che, come ad esempio nel nostro
organismo) passano inalterate attraverso il canale alimentare, le cosiddette fibre.
 La chitina è un polimero di n-acetilglucosammina, amminozucchero, polimero di funzione
strutturale importante poiché costituisce l’esoscheletro di insetti e crostacei e la parete cellulare
dei funghi.

I LIPIDI sono una classe di composti organici piuttosto eterogena, ma sono tutti accomunati dal
fatto di non avere affinità per l’acqua (sono quindi idrofobi), poiché contengono O in quantità minore
rispetto a C ed H.
I lipidi sono:
Essi possono svolgere diverse funzioni, tra cui:
1. ACIDI GRASSI
 Riserva energetica. 2. TRIGLICERIDI
 Componenti strutturali delle membrane biologiche. 3. FOSFOLIPIDI
 Costituiscono la base per la sintesi ormonale. 4. STEROIDI
5. CAROTENOIDI

1) ACIDI GRASSI, sono costituiti da una lunga catena di atomi di carbonio legati tra di loro mediante legami
covalenti, e da gruppi funzionali carbossilici ad una estremità (COOH); ogni atomo di carbonio può
formare fino a quattro legami covalenti, i legami impiegati nel legare tra sé gli atomi di carbonio sono
due, perciò i legami covalenti che esso non impiega nel legarsi con il C precedente ed il C successivo li
completa formando legami con l’idrogeno.
Ricordare che: ogni gruppo funzionale o funzione conferisce alla molecola organica determinate
caratteristiche, poiché determinano le reazioni chimiche alle quali tale molecola può partecipare.
Talvolta alcuni atomi di carbonio che costituiscono la catena carboniosa possono formare tra di loro un
doppio legame covalente, quando la molecola presenta questa caratteristica, e quindi presenta anche
un solo doppio legame covalente tra due atomi di carbonio, viene denominata acido grasso INSATURO,
se invece la catena carboniosa non presenta doppi legami tra gli atomi di carbonio l’acido grasso viene
definito SATURO (poiché tutti gli atomi di C sono saturati da legami con H).
La struttura molecolare dell’acido grasso insaturo presenta una piegatura, quella invece degli acidi
grassi saturi è perfettamente lineare.

2) TRIGLICERIDI o TRIACIGLICEROLI, costituiti, come suggerisce il nome, da una molecola di glicerolo


(alcool che possiede tre gruppi ossidrilici/alcolici=OH) in cui ogni gruppo OH reagisce con il gruppo
carbossilico di un acido grasso e, poiché i gruppi ossidrilici sono tre, quando la molecola di glicerolo si
lega con tre molecole di acidi grassi va a costituirsi il trigliceride.
Anche tale legame tra gruppo ossidrilico del glicerolo e gruppo carbossilico degli acidi grassi avviene
tramite il processo di disidratazione, si va quindi a perdere una molecola di acqua.
In base al fatto che gli acidi grassi, all’interno delle sostanze, siano saturi o insaturi ne derivano stati
fisici diversi, a temperatura ambiente:
- Tutto ciò che è caratterizzato dalla presenza di una moltitudine di acidi grassi saturi risulta
sottoforma di solido, poiché le molecole lineari determinano una struttura ben precisa (es. grassi
animali=burro).
- Ciò che invece presenta acidi grassi insaturi in maggior quantità rispetto agli acidi grassi saturi
risulta essere allo stato liquido, poiché possedendo alcune molecole aventi delle piegature il loro
impaccamento gli uni sugli altri è minore rispetto ai saturi (es. grassi vegetali=olio)
3) FOSFOLIPIDI, sono il principale componente lipidico della membrana cellulare, la loro struttura
molecolare ricorda molto quella dei trigliceridi. Anche qui troviamo una molecola di glicerolo, il quale
lega due catene di acidi grassi formando legami tra gruppo ossidrile e gruppo carbossilico. Il terzo
gruppo ossidrile interagisce invece con un gruppo fosfato che a sua volta si lega ad una molecola
organica non specifica, può variare (da essa dipendono le categorie di fosfolipidi). Questa molecola
viene definita ANFIPATICA, ovvero una molecola che possiede una porzione avente affinità con l’acqua
(idrofila), ed una porzione la quale risulta invece idrofoba.
La componente idrofoba/idrofobica è data dalla porzione in cui si trovano le catene di acidi grassi (code
idrofobe), quella idrofila è data da: lo scheletro del glicerolo, il gruppo fosfato e la molecola organica ad
esso legata (testa idrofila).

4) STEROIDI, lo steroide principale e di maggior importanza è il COLESTEROLO, poiché da esso vengono


sintetizzati gli altri steroidi, esso è un lipide idrofobo che possiede soltanto una piccola porzione che
può prendere contatto con delle porzioni idrofile di alcune molecole, esso è importante nella
membrana cellulare delle cellule animali ed è inoltre il punto di partenza della sintesi di molti ormoni,
ad esempio il cortisolo (ormone dello stress) prodotto a livello del surrene e che possiede azione
iperglicemizzante, ma anche ormoni sessuali come estrogeni e testosterone vengono sintetizzati dalla
molecola di colesterolo.
5) CAROTENOIDI, sono i pigmenti organici che si ritrovano all’interno delle piante, come il pigmento che
conferisce il colore verde ad alcune verdure, ai fiori, alcuni pigmenti accessori della fotosintesi, ecc…

LE PROTEINE rappresentano la classe di molecole organiche più eterogenea poiché sono presenti in
diverse tipologie e svolgono svariate funzioni diverse come:

 Proteine enzimatiche: accelerano in modo selettivo determinate reazioni chimiche. Es. gli enzimi
digestivi che catalizzano (=velocizzano) l’idrolisi dei legami presenti nelle molecole alimentari.
 Proteine di deposito: svolgono funzione di riserva degli amminoacidi. Es. la caseina, proteina del
latte, è la fonte principale di amminoacidi per i piccoli dei mammiferi; l’ovalbumina è la prote
dell’albume dell’uovo utilizzata come fonte di amminoacidi dall’embrione in via di sviluppo.
 Proteine ormonali: coordinano le attività di un organismo. Es. l’insulina, ormone secreto dal
pancreas, stimola l’assorbimento del glucosio da parte dei tessuti, concorrendo alla regolazione
della concentrazione di zucchero nel sangue, o anche il suo ormone antagonista.
 Proteine contrattili a funzione motoria: consentono il movimento delle cellule. Es. le proteine
motorie sono responsabili dei movimenti ondulatori di ciglia e flagelli. Le proteine actina e miosina
consentono la contrazione e quindi il movimento dei muscoli.
 Proteine di difesa: proteggono dagli agenti patogeni. Es. gli anticorpi inattivano virus e batteri
promuovendone la distruzione.
 Proteine di trasporto: trasportano sostanze all’interno dell’organismo. Es. l’emoglobina, proteina
contenente ferro presente nel sangue dei vertebrati che trasporta molecole di ossigeno ai polmoni
e alle altre parti del corpo. Altre proteine di trasporto trasportano determinate molecole attraverso
le membrane.
 Proteine a funzione recettoriale: consentono alla cellula di rispondere agli stimoli. Es. i recettori
localizzati sulla membrana di una cellula nervosa rilevano le molecole segnale liberate da altre
cellule.
 Proteine strutturali: forniscono supporto meccanico e strutturale. Es. la cheratina è la proteina che
costituisce i capelli, le corna, le piume e altri annessi cutanei. Gli insetti e i ragni usano le fibre
proteiche della seta per fabbricare i propri bozzoli o ragnatele. Le proteine collagene ed elastina
forniscono un’impalcatura strutturale ai tessuti connettivi degli animali.

Da tutte queste funzioni delle proteine risulta che quasi tutte le azioni svolte dalla cellula avvengono grazie
alla presenza di proteine.

Esse sono definite come polimeri di aminoacidi, sono quindi costituite da unità monomeriche di aminoacidi.

Gli aminoacidi di base sono 20, possono essere presenti ulteriori tipologie dovute da alcune modificazioni
(es. interazioni di idrossilazione portano la prolina a formare idrossiprolina).

Ogni aminoacido è costituito da:

- Un atomo di C, definito carbonio alfa e asimmetrico posizione centrale


- Ogni atomo di C è legato ad un atomo di H
- Legame di C con un gruppo carbossilico=COOH
- Legame di C con un gruppo amminico=NH 2
- Legame di C con R= catena laterale variabile che permette la distinzione dei venti amminoacidi

In base a tale catena laterale si distinguono ad esempio in neutri, basici, acidi, ecc..

Gli aminoacidi si legano tra loro, al fine di costituire la catena proteica, mediante legami covalenti tra il
gruppo carbossilico dell’ amminoacido che precede e il gruppo amminico di quello successivo e vi è sempre
una reazione di disidratazione, si libera infatti una molecola di acqua. Tale legame prende il nome di legame
PEPTIDICO Possiamo definire la catena di aminoacidi come POLIPEPTIDE, ovvero polimero i cui
monomeri sono uniti tra loro mediante legami peptidici. Sequenza peptidica=sequenza di aminoacidi.

L’enzima che permette la formazione del legame peptidico tra i vari aminoacidi è l’enzima PEPTIDIL
TRANSFERASI, il quale è caratterizzato dal fatto che non è un enzima proteico, costituito quindi da una
proteina, bensì è formato da RNA (molecola di rRNA che fa parte della subunità maggiore del ribosoma).

La funzione che le proteine svolgono dipende dalla forma che esse presentano, perciò il mantenimento di
tale forma è essenziale affinché esse possano svolgere la loro specifica funzione, una qualsiasi variazione
della struttura può talvolta determinare una perdita della funzionalità (es. anemia falciforme è dovuta dalla
mutazione di un singolo aminoacido che fa variare la costituzione dell’emoglobina). Si identificano quattro
livelli di organizzazione strutturale delle proteine:

1. STRUTTURA PRIMARIA= modalità di sequenza degli aminoacidi che costituiscono la proteina


2. STRUTTURA SECONDARIA= è la struttura tridimensionale di alcune porzioni della proteina, le strutture
del livello di organizzazione di struttura secondaria riconosciute sono: α-elica e β-foglietto.
α-elica: porzioni della proteina tridimensionali di forma elicoidale, tale struttura conferisce alla proteina
la proprietà dell’elasticità;
β-foglietto: porzioni della proteina tridimensionali a forma di “ventaglio”, sono una sorta di foglietti che
presentano numerose piegature, tale struttura conferisce alla proteina la proprietà di flessibilità.
3. STRUTTURA TERZIARIA= è la struttura tridimensionale dell’intera proteina, conferiscono quindi la vera e
propria forma.
4. STRUTTURA QUATERNARIA= è la struttura tridimensionale delle proteine costituite da più di una catena
proteica, ad esempio l’emoglobina è costituita da quattro catene proteiche.

Ogni proteina possiede dunque una struttura primaria, secondaria e terziaria ma soltanto alcune anche
quella quaternaria.
La forma determina e permette lo svolgersi delle funzioni della proteina, la perdita di una determinata
struttura può definire la perdita di funzionalità di tale proteina. La variazione di forma può essere
determinata da diversi fattori: variazione di un aminoacido, variazioni di pH, esposizioni al calore,
modificazioni chimiche processo di variazione denominato DENATURAZIONE

La proteina denaturata non ha più la propria forma strutturale della proteina nativa e perciò
non possiede più la sua proprietà funzionale.

GLI ACIDI NUCLEICI gli acidi nucleici sono macromolecole deputate alla conservazione e al trasporto
delle informazioni genetiche. Essi sono:

1. DNA=acido deossiribonucleico/desossiribonucleico
2. RNA=acido ribonucleico

Anch’esse sono molecole polimeriche costituite da unità monomeriche di nucleotidi. I nucleotidi, a loro
volta, sono così costituiti da:

- Uno zucchero pentoso, a cinque atomi di C, in particolare il ribosio nell’RNA ed il


deossiribosio/desossiribosio nel DNA. Questi due zuccheri si distinguono per la presenza di un
gruppo H nel deossiribosio al posto del gruppo OH presente nel ribosio.
- Un legame tra lo zucchero ed un gruppo fosfato (PO 4) in posizione di 5’.
- Un legame tra lo zucchero ed una base azotata, la quale è l’elemento che distingue i nucleotidi.

Le basi azotate si distinguono in basi pirimidine e purine: le pirimidine sono citosina, timina ed uracile, esse
possiedono una struttura a singolo anello, mentre le purine sono guanina e adenina ed hanno una struttura
a doppio anello. La timina si trova soltanto nel DNA e l’uracile soltanto nel RNA.

Poiché la base azotata è l’elemento che permette la distinzione tra i nucleotidi, essi vengono indicati con la
lettera iniziale della base azotata che contengono al loro interno (A=nucleotide che contiene adenina;
C=nucleotide che contiene citosina, ecc…).

I singoli nucleotidi sono uniti l’uno all’altro mediante un legame denominato legame FOSFODIESTERICO, il
quale si istaura tra il gruppo OH in posizione 3’ dell’ultimo nucleotide della catena ed il gruppo fosfato 5’ del
nucleotide successivo, è perciò un legame zucchero-fosfato (fosfodiestere).

La struttura degli acidi nucleici:

 DNA, ha una struttura elicoidale a doppia elica, poiché è costituito da due filamenti uniti da legami
ad idrogeno i quali si istaurano tra le basi azotate di uno e dell’altro filamento. L’appaiamento delle
basi azotate avviene secondo regole ben definite, ovvero A-T e C-G, adenina e timina si legano
attraverso un doppio legame a idrogeno e citosina e guanina con un triplo (poiché essendo legami
deboli e dovendo conferire stabilità alla struttura del DNA devono essere numerosi).
 RNA, è invece una molecola a singolo filamento, presenta adenina, guanina, citosina ed uracile
legati soltanto alla molecola di zucchero. Vi sono però diverse tipologie di RNA: RNA messaggero
(mRNA), molecola di RNA nella quale viene trascritta l’informazione genetica; RNA ribosomiale, il
quale va a costituire i ribosomi, organelli deputati alla sintesi delle proteine (rRNA); RNA transfer o
di trasporto, il quale trasporta gli aminoacidi ai ribosomi per compiere la sintesi delle proteine
(tRNA).

CELLULA PROCARIOTICA

È la cellula presente in natura più semplice e più piccola (2µm), esse non possiedono un nucleo contenente
le informazioni genetiche. Materiale genetico  un’unica molecola di DNA circolare localizzato in una
regione detta nucleoide, area citoplasmatica in cui si trova la molecola del DNA del batterio.

Presentano alcune strutture comuni con la cellula eucariota: la membrana


plasmatica/cellulare/plasmalemma che delimita la cellula fornendole la sua struttura, il citoplasma che
contiene soluti nei quali sono dispersi gli organelli cellulari, il materiale genetico (DNA) e i ribosomi,
organelli deputati alla sintesi delle proteine.

La cellula procariotica NON possiede quindi:

 Organelli e nucleo
 Citoscheletro
 Membrana nucleare e nucleolo

Organismi procarioti sono organismi batterici, essi sono sempre unicellulari, alcuni possiedono la capacità di
effettuare la fotosintesi. La sua struttura è così definita:

 Possiede una membrana plasmatica (cellulare) costituita da fosfolipidi e proteine la quale regola il
passaggio di sostanze dentro/fuori dalla cellula, essa svolge alcune funzionalità all’interno della
cellula che sarebbero destinate ai vari organelli, i quali però non sono presenti. A tal proposito sono
presenti nella membrana degli specifici ripiegamenti, invaginazioni, i quali sono sede di enzimi
coinvolti in: respirazione cellulare, fotosintesi, sintesi di lipidi e divisione cellulare.
 Possiede una regione denominata nucleoide all’interno del quale è presente il DNA, non è però
delimitata dalla membrana nucleare, non è un vero e proprio nucleo
 Contiene ribosomi (più piccoli di quelli eucarioti), organelli di natura non membranosa deputati alla
sintesi proteica, unici organelli che la cellula procariota possiede
 Possiede un ulteriore involucro esterno, esternamente alla membrana cellulare, chiamato parete
cellulare, formata da peptidoglicano (o mureina): lunghe catene polisaccaridiche, di natura
glucidica, date dalla ripetizione di 2 unità di amminozuccheri alternate ed unite da ponti proteici di
brevi tratti di amminoacidi uniti da legami peptidici, proteggono ulteriormente la cellula e ne regola
l’equilibrio idrico (evita che essa assuma troppa acqua in ambienti ipotonici). La percentuale della
quantità di peptidoglicano permette la distinzione tra Gram+ e Gram-.

La cellula procariotica è la cellula costituente dei due domini/regni batterici:


 Archeobatteri, dominio degli archea, possiedono la capacità di vivere in condizioni ambientali estreme
e vengono così denominati estremofili (alte temperature, ph basso). Sono archeobatteri ad esempio i
metanogeni, batteri anaerobi, che vivono quindi in assenza di ossigeno i quali hanno la capacità di
produrre metano da CO2 e H, gli alofili, particolarmente adatti alla vita in ambienti aventi livelli di
salinità piuttosto elevati, ecc…
 Eubatteri, dominio dei bacteria, sono più evoluti e maggiormente conosciuti, non sopravvivono in
ambienti estremi e sono gergalmente i comuni batteri

I batteri, microrganismi unicellulari, possono essere suddivisi secondo varie classificazioni:

In base alla struttura morfologica data dalla forma della parete cellulare:

 Cocchi = forma rotondeggiante, sferica


 Bacilli = a bastoncello, cilindrica
 Vibrioni = di forma ricurva (a “virgola”) es. colera
 Spirilli o spirochete = forma a spirale, elicoidale, spirilli se elica lunga e rigida, spirochete se elica lunga
ma flessibile

In base alla modalità di aggregazione tra di loro, pur essendo solitamente unicellulari hanno comunque la
capacità di aggregarsi:

 Diplo-cocchi = si aggregano due cocchi a coppie


 Strepto-cocchi = cocchi disposti in lunghe catenelle lineari
 Stafilo-cocchi = cocchi disposti a grappolo

I batteri sono capaci di crescere in maniera esponenziale (raddoppiano il loro numero ogni 20-30 min.)
quando si trovano nelle loro condizioni ottimali, per quanto riguarda spazio, assenza di rifiuti, presenza di
nutrienti e temperatura. La temperatura ottimale per tale crescita varia e possono essere classificati in base
ad essa:
Tale crescita è una riproduzione di tipo asessuato, ogni
o Termofili = crescono ad alte t (da 47 a cellula si duplica secondo un processo definito SCISSIONE
70°, ottimale 50-55°) BINARIA il batterio si accresce raddoppiando il suo
o Mesofili = crescono a medie t (da 20 a patrimonio genetico per poi dividersi in due cellule
45°, ottimale 30-37°, più conosciuti) differenziate. Vi sono anche altri processi di scissione e
moltiplicazione dei batteri, questa è quella principale.
o Psicrofili/criofili = crescono a basse t
(da 0 a 25°, ottimale 20-25°)

In base alla necessità e tolleranza di Ossigeno:

- Aerobi = necessitano O2
- Anaerobi = non tollerano la presenza di O 2
- Aerobi facoltativi = possono vivere anche in assenza di O 2, ma preferiscono ambienti che lo hanno

In base alla modalità di ottenimento dei nutrienti e di cattura dell’energia:

 AUTOTROFO = in grado di sintetizzare autonomamente le proprie molecole organiche a partire da


sostanze inorganiche semplici
 Fotoautotrofo/fototrofo = ha fonte energetica la luce solare e fonte di carbonio l’anidride carbonica
 Chemioautotrofi/chemiotrofi = hanno come fonte energetica molecole inorganiche e fonte di carbonio
l’anidride carbonica
 ETEROTROFO =  organismo vivente che non è in grado di sintetizzare tutte le proprie molecole
organiche autonomamente a partire da altre molecole inorganiche. Per la sopravvivenza esso deve
quindi far riferimento a composti organici precedentemente sintetizzati da altri organismi autotrofi.
 Fotoeterotrofo = fonte di energia la luce solare ma fonte di carbonio proveniente da molecole
organiche già sintetizzate
 Chemioeterotrofi = fonte di energia costituita da composti organici già sintetizzati e fonte di carbonio
proveniente da molecole organiche

Nonostante essi non siano visibili ad occhio nudo, rappresentano la forma di vita più diffusa sulla terra, essi
infatti hanno colonizzato un’enorme quantità di habitat dell’ecosistema, colonizzando anche altri organismi
viventi (es. sulla superficie esterna ed interna del nostro corpo vi sono 10 volte tanti batteri quante le
cellule che costituiscono il nostro organismo).

Il termine batterio non è però necessariamente legato alla sua accezione negativa di patogeno, agente che
intacca la salute dell’organismo all’interno del quale si trova, ma essi possono svolgere funzioni in simbiosi
con l’organismo nel quale vivono istaurando un reciproco vantaggio. Es. batteri presenti all’interno della
nostra bocca: loro vantaggio è quello di vivere in un ambiente che permette loro la sopravvivenza, nostro
vantaggio è l’impedimento da parte loro di far crescere funghi; batteri della flora intestinale permettono la
digestione di alcune molecole, la sintesi di importanti vitamine (K e alcune del gruppo b), permettono il
mantenimento di un determinato livello di pH. Altri batteri si istaurano all’interno di organismi poiché ne
traggono un determinato vantaggio, ma non necessariamente, potrebbe anche non verificarsi una
situazione di reciproco vantaggio. Ed infine altri batteri si stabiliscono all’interno dell’organismo causando
patologie poiché liberano delle sostanze che risultano, per l’organismo ospitante, sostanze tossiche e
nocive: le tossine.

Quindi:

 Batteri simbionti  in simbiosi con alcuni organismi, traggono reciproci vantaggi l’un l’altro
 Batteri commensali  hanno un vantaggio nell’essere a contatto con un organismo oppure non ne
hanno nessuno
 Batteri patogeni  causano malattie liberando sostanze dannose per l’organismo (tossine)

I batteri, pur essendo potenzialmente nocivi, possiedono comunque un’elevata importanza, infatti
contribuiscono ad esempio a riciclare i nutrienti derivati dalla decomposizione dei resti vegetali e animali,
vengono utilizzati negli impianti di depurazione delle acque reflue e per il biorisanamento di suoli
contaminati con sostanze inquinanti. Ulteriori campi di impiego dei batteri, importanti per l’uomo e
l’ecosistema, sono:

- Trasformazione dello zucchero ad alcool (fermentazione batterica alcoolica: vino, birra, liquori)
- Trasformazione dell’alcool ad acido (fermentazione batterica acida: aceto, yogurt)
- Produzione di sostanze utili all’organismo (vitamine: batteri endosimbionti intestinali)
- Digestione della cellulosa da parte di ovini, bovini ecc.. (batteri endosimbionti intestinali)
- Fotosintesi, i cianobatteri permettono la presenza di ossigeno nell’aria (batteri fotosintetici)
- Impiego in campo biotecnologico per la produzione di farmaci, per far crescere velocemente le
molecole necessarie

Le pareti batteriche si presentano in due tipologie di forma, tali due tipologie determinano un
comportamento diverso della cellula al trattamento con specifici coloranti ed al trattamento con antibiotici
in base alla quantità di peptidoglicano che possiedono nella parete. Questo metodo venne messo a punto
da Joachim Christian Gram, medico danese, nel 1884 circa. In base alla loro reazione alla colorazione di
Gram:

 GRAM + parete cellulare costituita da uno spesso strato di peptidoglicano


 GRAM - parete cellulare costituita da strato sottile di peptidoglicano, ed esternamente
un’ulteriore membrana di natura fosfolipidica (simile alla membrana cellulare, si differenziano per il
fatto che quella esterna presenta legami con polisaccaridi)

Ricoprire il preparato batterico (batteri strisciati su un vetrino), fissato al calore, con colorante
cristal violetto (o violetto di genziana) per 1 minuto  tutti i batteri si colorano di viola reagendo al
colorante  aggiungere soluzione iodata per 3 minuti (le cellule rimangono viola) 
successivamente il preparato viene trattato con alcol per circa 20 sec  decolorazione dei Gram-
che risultano a questo punto incolori (i Gram + sempre viola)  controcolorazione, viene aggiunto
un altro colorante (safranina) per 1-2 min  Gram – colorati in rosso/rosa, Gram + risultano
sempre viola.

La parete dei batteri Gram+ riesce a trattenere il colorante, quella dei Gram – non è in grado, poiché la
spessa parete di peptidoglicano dei Gram + impedisce ai cristalli del colorante cristal violetto di
fuoriuscire dalla cellula batterica, cosa che invece si può realizzare nei Gram-.

La colorazione è importante per individuare il tipo di batterio e in caso di infezione per riuscire a capire
quale antibiotico può essere utilizzato. Gram + : antibiotici che danneggiano lo strato di peptidoglicano, i
quali non determinano la morte dei Gram – poiché il danno subito non è sufficiente a distruggerlo.

Nel 1929 Alexander Fleming, un medico scozzese ricercatore presso il St. Mary's Hospital di Londra, scoprì
la penicillina: la prima sostanza conosciuta e studiata capace di combattere i batteri e di sconfiggere
malattie precedentemente mortali. La penicillina fu il capostipite di una famiglia di farmaci ad azione
antibiotica. La penicillina agisce sui Gram+ perché inibisce la sintesi del peptidoglicano, impedendo la
formazione dei ponti amminoacidici-peptidici che legano le catene dei peptidoglicani mentre è inutile
contro i Gram- poiché hanno poco peptidoglicano ed il danno recato non sarebbe sufficiente per
sconfiggerli.

Organizzazione cellula procariota:

 Dna sotto forma di molecola circolare, dispersa nel citoplasma (nell'area nucleare) in una regione
denominata nucleoide, poiché non contiene nucleo.
 Parte dei geni che servono si ritrovano in molecole circolari di DNA più piccole chiamate plasmidi i
quali, attraverso il processo di CONIUGAZIONE possono essere trasferiti da un batterio all’altro, e
possono portare geni informativi come capacità di metabolizzare sostanze o resistenza al
trattamento di alcuni antibiotici. Importanti in ingegneria genetica.
 Gli unici organuli presenti nel citoplasma procariote sono i Ribosomi: sono gli unici organelli che
non hanno origine membranosa, ovvero non sono costituiti da membrane fosfolipidiche, ma sono
costituiti da due subunità di specifiche proteine e RNA ribosomiale (si trovano anche nella cellula
eucariota, ma hanno dimensioni diversi e sono costituiti da proteine e RNA diversi da quelli presenti
nei ribosomi dei procarioti). Sono la sede della sintesi delle proteine.

Altre strutture (facoltative, non tutti le possiedono):

- Capsula: ulteriore rivestimento esterno alla parete cellulare costituita da polisaccaridi; è gelatinosa
perché serve per proteggersi dalla fagocitosi ma soprattutto per attaccarsi alle superfici o per
prendere contatto con altri batteri.
- Flagelli: appendici per il movimento della cellula (ruotano come eliche e sono costituiti da una
proteina chiamata “flagellina”). La disposizione di essi permette una classificazione dei batteri.
- Pili o fimbrie: corte proiezioni della cellula per movimento o contatto con altri batteri, permettono il
trasferimento di informazioni genetiche da cellula a cellula.
- Spore: forme di resistenza al fine di sopravvivere in ambiente sfavorevole (poco nutrimento,
temperature non adeguate alla crescita, troppi rifiuti).
- Plasmidi: piccole molecole di DNA circolare.

Vi sono batteri denominati SPORIGENI, poiché in condizioni avverse sono capaci di formare delle spore.
Il batterio è sempre in grado di percepire se l’ambiente circostante è sfavorevole o meno per la sua
sopravvivenza, se riconosce un ambiente non opportuno: viene a formarsi una cellula all’interno di
quella originaria, con uno spesso rivestimento proteico, molto disidratata ed in grado di sopravvivere
all’habitat sfavorevole in cui si trova il batterio originario. È una forma quiescente del batterio, come se
la cellula batterica si ibernasse in questa situazione, e ciò permette la sopravvivenza della cellula in
condizioni avverse anche per molto tempo = ENDOSPORE. Esse possono divenire un problema poiché,
resistendo ad alte e basse temperature potrebbero non eliminarsi dopo una sterilizzazione, e non
eliminandosi possono essere patogene liberando tossine nocive.

Esempi di batteri sporigeni: carbonchio antrace, botulismo e tetano producono tossine anche letali

Archeobatteri/archea: Non sono i batteri più antichi (essi sono gli eubatteri/bacteria) ma si chiamano così
perché vivono in situazioni ambientali difficili, situazioni simili a quelle della terra primordiale, ma la loro
organizzazione cellulare, da un punto di vista molecolare è più simile a quella degli eucarioti, che non a
quella degli eubatteri.

Essi sono ad esempio:

 Termofili: temperatura di crescita ottimale >55°, termoacidofili t alte e a ph basso (0.9-2.0)


 Metanogeni: generatori di metano, si trovano nelle paludi, acquitrini o nel canale digerente di
molti animali (essere umano compreso)
 Alofili: vivono in ambienti a grande concentrazione salina

CELLULA EUCARIOTA O EUCARIOTICA

Più grande rispetto a quella procariotica, essa ha un diametro di decine di µm, presenta il materiale
genetico sotto forma di molecole lineari, e non circolare come nella procariota, racchiuse nel nucleo.

Vi sono due tipologie di cellule eucariotiche: vegetale e animale, esse presentano alcune differenze in
forma, distribuzione degli organelli, numero degli organelli.

Nel citoplasma troviamo non solo i ribosomi ma anche altri organelli che svolgono ognuno determinate
funzioni, le funzioni della cellula eucariota sono quindi compartimentate in specifici distretti:
- Nucleo: circonda il materiale genetico, il Dna, il quale è sottoforma di molecole lineari che
quando si condensano costituiscono i cromosomi; all’interno del nucleo vi è il nucleoplasma, la
regione in cui si trova il materiale genetico sotto forma di cromatina, una rete di dna coniugata
a delle proteine di natura basica, i cromosomi si vengono a formare quando essa si condensa e
vi è la divisione cellulare. Il nucleo è un organello che presenta una doppia membrana tra le
quali c’è uno spazio intermembrana detto “area perinucleare”.
Le due membrane si fondono in alcuni punti i quali vengono definiti pori nucleari, hanno natura
proteica e permettono il passaggio di sostanze tra l'interno e l’esterno del nucleo (e viceversa).
- Nucleolo: strutture tondeggianti a livello del nucleo, di numero variabile, sede della sintesi dei
ribosomi.
- Ribosomi: organelli per la sintesi di proteine, formati da due subunità ognuna costituita da
proteine e RNA ribosomiale (come nei procarioti, ma il tipo di proteina è diverso). Tranne i
ribosomi, gli organelli hanno natura membranosa, sono costituiti similmente alla struttura della
membrana cellulare, e tra i vari organelli c’è uno scambio continuo di sostanze che avviene
tramite vescicole.
- Reticolo endoplasmatico/endoplasmico (R.E): Si trova a diretto contatto con il nucleo e se ne
individuano due porzioni: una liscia e una rugosa (REL e RER).
REL: livello di sintesi dei lipidi, di ormoni steroidei (i quali vengono sintetizzati partendo dal
colesterolo), è coinvolto nel metabolismo dei carboidrati, è importante per processi di
detossificazione da sostanze come farmaci, i quali vengono modificati chimicamente e resi
solubili in acqua da esso, in modo che l'organismo li può eliminare attraverso le urine. È inoltre
coinvolto nell’omeostasi dello ione calcio, regola la concentrazione di esso.
RER: denominato ruvido poiché sul versante citoplasmatico della membrana che lo costituisce
ha dei ribosomi adesi per cui ha aspetto rugoso al microscopio; si occupa della sintesi di
proteine destinate alla membrana cellulare, ad altri organelli della cellula oppure destinate ad
essere liberate (non è il RER a sintetizzare proteine ma ciò avviene attraverso i ribosomi adesi a
esso). Sono solitamente proteine coniugate a brevi catene di zuccheri (vengono glicosilate
dal RER, sintesi di glicoproteine, si libera ATP).
- Apparato di Golgi: zona di controllo, raffineria, sede di ultimazione delle proteine, esso le riceve
tramite il trasferimento che avviene mediante le vescicole, le proteine modificate vengono poi
smistate nei distretti della cellula; modifica quindi glicoproteine, glicolipidi e fosfolipidi, tra cui
sfingolipidi (fosfolipidi in cui l’alcol presente non è glicerolo ma sfingosina), provenienti dagli
altri organelli, per poi smistarli. Si occupa inoltre della sintesi dei lisosomi;
- Lisosomi: corpo che degrada, lisa. All’interno di essi abbiamo un valore di pH di 2 o più unità più
basso del resto della cellula, intorno a 5 poiché è il valore ottimale per la funzionalità degli
enzimi idrolitici al suo interno. Vengono denominati “corpi che lisano” poiché degradano le
macromolecole (carboidrati, proteine, acidi nucleici) rompendo i polimeri nei monomeri
costituenti, sono quindi importanti nei processi di digestione negli organismi unicellulari,
intervengono inoltre nel rimodellamento embrionale e sono importanti per svolgere azione
antimicrobica. Essi si originano dal Golgi per un processo di gemmazione.

Un deficit di tali enzimi idrolitici può verificare patologie estremamente gravi, le quali
possono generare nell’uomo una morte anche in età pediatrica, es. malattia di Tay-Sachs in
cui si accumulano nel lisosoma un lipide poiché tale lisosoma non possiede la capacità
enzimatica necessaria per degradarlo.
- Mitocondri: organelli estremamente importanti, ha dimensioni elevate, simili a quelle di un
batterio, ed è sede della sintesi delle molecole energetiche. Hanno doppia membrana: fra le
due troviamo uno spazio intermembrana. La membrana interna se distesa avrebbe un’area
superiore a quella esterna, perciò è ripiegata su sé stessa e tali ripiegamenti prendono il nome
di “creste mitocondriali”; la membrana interna racchiude la matrice (compartimento più
interno del mitocondrio) che contiene DNA, RNA e ribosomi e sono in gradi di riprodursi
autonomamente. La membrana esterna è una membrana non molto selettiva, è piuttosto
permeabile perché è ricca di canali, denominati “porine”, che permettono passaggio molecole,
mentre quella interna è estremamente selettiva, ciò è dovuto al fatto che tra i fosfolipidi che la
compongono è presente un fosfolipide, la cardiolipina, il quale lega 4 catene di acidi grassi e
non 3: la sua presenza fa sì che la membrana interna sia impermeabile soprattutto per gli ioni
H+ (protoni). A livello delle creste mitocondriali troviamo le ATP SINTASI, strutture proteiche (in
particolare enzimatiche), dove avviene la sintesi dell’ATP, molecola energetica della cellula,
quando essa consuma energia consuma solitamente ATP.

Molecola ATP (=adenosina tri-fosfato): molecola nucleotide che possiede tre legami con gruppi
fosfato legati uno di seguito all’altro. È un ribonucleotide, poiché lo zucchero presente è il ribosio,
la base azotata è adenina la quale lega tre gruppi fosfati i cui legami sono estremamente energetici,
è dalla rottura di tali legami tra fosfati che viene sprigionata energia: si rompe il legame, l’ATP
diviene ADP/AMP + energia (se AMP l’energia liberata è minore).

Mitocondrio coinvolto nella respirazione cellulare aerobica, la quale è suddivisa in tre fasi:
1. Glicolisi (avviene nel citoplasma).
2. Ciclo di Krebs/ dell’acido citrico/ degli acidi tricarbossilici-TCA (avviene nella
matrice mitocondriale).
3. Fosforilazione ossidativa/ trasporto degli elettroni (a cavallo della membrana
interna dei mitocondri).
A livello dei mitocondri avviene anche la formazione di molecole dannose per la cellula
come i “radicali liberi”, derivanti dal trasporto di elettroni, responsabili di processi di
invecchiamento; i mitocondri sono coinvolti in un processo denominato morte cellulare
programmata o apoptosi, che determina la morte della cellula in risposta a specifici segnali
(deve essere distinta da necrosi che è invece causata da traumi chimici, fisici e provoca una
reazione infiammatoria, cosa che non accade con l’apoptosi), essa è importante quindi
nella regolazione della quantità di cellule, durante il rimodellamento embrionale e nei
processi di metamorfosi di alcuni organismi. Il malfunzionamento di tale processo può
essere responsabile di alcune patologie, come ad esempio lo sviluppo di tumori. I
mitocondri sono semi autonomi, si riproducono autonomamente per scissione binaria che
è anche il principale meccanismo di moltiplicazione dei batteri. Alterazioni del DNA
mitocondriale determinano una serie di patologie come la malattia di Parkinson e di
Alzheimer, condizioni di sordità possono essere correlate a mutazioni del DNA
mitocondriale.
- Perossisomi: così denominati poiché a livello di tali organelli sono presenti enzimi che catalizzano
reazioni implicate in funzionalità della cellula che però determinano produzione di perossido
d’idrogeno (H2O2 - acqua ossigenata), dannoso per cellula per cui è importante che la sua
produzione sia ben localizzata e che venga metabolizzata da questi organelli.
Esso viene degradato grazie a “catalasi” (enzima) che catalizza la molecola per cui da due molecole
di acqua ossigenata si arriva a due d'acqua più una di ossigeno.
Hanno inoltre una funzionalità detossificante, smaltimento di sostanze tossiche come alcol, e sono
coinvolti nella degradazione ossidativa degli acidi grassi.
- Citoscheletro: è presente all’interno della cellula eucariotica, esso è una rete intricata di proteine di
vario tipo che va a costituire sia lo scheletro che muscolatura della cellula, conferisce ad essa la
forma, tiene gli organuli in posizioni precise, con la sua struttura dinamica permette il movimento
degli organuli e della cellula stessa, permette alle cellule di aderire tra di loro, permette la
trasmissione dei segnali ed è coinvolto nella divisione del citoplasma (=CITOCINESI) durante la
divisione cellulare.
I filamenti proteici che lo costituiscono sono:
 microtubuli: funzione del movimento cellulare degli organelli e delle vescicole, permettono la
corretta separazione dei cromosomi durante divisione cellulare. Sono cilindri cavi, costituiti
dalla ripetizione di un dimero a sua volta costituito da alfa-tubulina e beta-tubulina (proteine
globulari). Essi si assemblano a partire da centri organizzativi chiamati MTOC (centro
organizzatore dei microtubuli), ad esempio il centrosoma che si trova in interfase (periodo di
tempo del ciclo cellulare che passa tra una divisione cellulare e quella successiva). A livello del
centrosoma troviamo i centrioli, strutture costituite da microtubuli coinvolti nella formazione
del fuso mitotico. I microtubuli costituiscono anche i flagelli (che invece nei procarioti sono
costituiti da flagellina), il flagello è presente in entrambe le cellule e ne permette il movimento,
nei proca funziona come un’elica, negli euca batte come un colpo di frusta. Altre appendici
cellulari costituite da microtubuli sono le ciglia, che si trovano sulla superficie di alcune cellule,
come quelle che rivestono alcuni tratti delle vie respiratorie (per ripulire ad esempio da muco
intrappolando particelle che non devono giungere ai polmoni) e negli organismi unicellulari
cigliati (protozoi).
 filamenti intermedi (dimensioni intermedie tra microtubuli e filamenti di actina) hanno
funzione architetturale, sono più importanti quindi nel mantenimento della forma cellulare
poiché sono i meno dinamici rispetto agli altri elementi del citoscheletro; formano le giunzioni
tra cellule. Sono costituiti dall’associazione di unità proteiche con struttura filamentosa di vario
tipo, in base ad esse si hanno varie funzionalità (es. cheratine danno resistenza, neurofilamenti
danno stabilità all’assone delle cellule nervose). Anche questi concorrono alla struttura dei
microvilli, oltre ai microfilamenti.
 microfilamenti o filamenti di actina, sono i filamenti di minori dimensioni, sono anch’essi
coinvolti nel processo di contrazione, di variazione della forma e di movimento cellulare.
Costituiti da unità proteiche di g-actina (g=globulare) aventi struttura globulare che si uniscono
per formare una sorta di “catena di perle” e vanno a costituire f-actina, actina filamentosa, ed
infine tali filamenti, avvolgendosi l’uno sull’altro, vanno a formare la struttura del
microfilamento. L’actina lega, prende rapporto con molte proteine tra cui, una delle più
importanti, la miosina (il sistema actina-miosina è coinvolto nella contrazione muscolare, nel
processo di divisione cellulare nella citodieresi, permette il movimento degli unicellulari e lo
spostamento all’interno del citoplasma). I microfilamenti possono avere ruolo strutturale, ad
esempio a livello dei microvilli: estroflessioni citoplasmatiche che troviamo per esempio nelle
cellule dell’epitelio dell’intestino tenue.

CELLULA EUCARIOTA VEGETALE

La cellula vegetale ha una membrana cellulare ma, a differenza della cellula animale, possiede anche una
parete cellulare costituita da cellulosa, polimero del glucosio, molte cellule presentano anche una parete
cellulare secondaria, la quale si forma nel tempo tra la membrana cellulare e la parete di cellulosa ed ha
una costituzione chimica diversa rispetto alla primaria. La parete cellulare conferisce alla cellula forma,
supporto e protezione e ne impedisce l’assorbimento di troppa acqua.

Nelle cellule eucariote vegetali troviamo:

- Vacuoli (importante quello centrale, contenente prevalentemente acqua), sacchetti


membranosi in cui la cellula accumula, acqua, zuccheri, sali, rifiuti, pigmenti (hanno varie
funzionalità)
- Cloroplasti: organelli di dimensione simile a quella di un batterio, a livello dei quali la cellula
vegetale realizza la fotosintesi, anch’essi possiedono una doppia membrana, contengono DNA e
RNA e ribosomi e si riproducono in modo autonomo.
All’interno dei cloroplasti vi sono delle strutture membranose che prendono il nome di
Tilacoidi, impilati, regione dove avviene il processo di fotosintesi (processo per cui l’energia
luminosa viene intrappolata nella molecola del glucosio a partire da CO 2 e H2O, e viene liberato
O come sostanza di scarto), si sintetizza una molecola organica da molecola
inorganica=organismo autotrofo.

La cellula vegetale ha sia i cloroplasti che i mitocondri, quella animale solo i mitocondri.

Soltanto nei tessuti vegetali tra le cellule adiacenti si realizzano comunicazioni grazie a canali, i
“plasmodesmi”, i quali permettono comunicazioni tra i citoplasmi di cellule adiacenti, le cellule possono
quindi attuare uno scambio di sostanze attraverso tali canali.

Nei tessuti animali troviamo delle giunzioni cellulari di questi tipi, più o meno strette che permettono o
meno il passaggio di sostanze:

 Giunzioni ancoranti, le cellule sono strettamente adese, ma del materiale può passare tra gli
spazi che permangono di esse, ad es. in alcuni epiteli.
 Giunzioni serrate, permettono di sigillare il lume di alcuni organi (cavità interne), e sono così
strette che fra cellula e cellula non passa materiale.
 Giunzioni comunicanti, ci può essere passaggio di soluti tra una cellula e quella accanto.

Nei tessuti animali dobbiamo considerare anche la presenza di spazio extracellulare dove troviamo la
matrice extracellulare (ECN), costituita da una fitta rete di polisaccaridi e proteine come collagene, che
permette adesione e connessione tra cellule ma anche il differenziamento, di prolificazione, di migrazione,
e i processi di guarigione di ferite o patologici.

Questa organizzazione deriva dall’analisi di una cellula campione, le cellule prendono poi determinate e
diverse forme il base all’organismo che devono andare a costituire (uni o pluri cellulare, tipo di tessuto,
ecc..)

TEORIA ENDOSIMBIOTICA DA CELLULA PROCARIOTA A CELLULA EUCARIOTA

Teoria dovuta alla studiosa Linn Margulis, la quale teorizza il passaggio evolutivo dalla cellula procariotica a
quella eucariotica, viene così denominata per la presenza di un processo di simbiosi attraverso il quale
organismi simbionti diventano organelli ben distinti.

Essa, a differenza della teoria evolutiva afferma la presenza di cooperazione e non di competizione: si
teorizza che il proto eucariota (cellula procariota che avrebbe formato un nucleo grazie ad invaginazioni
della propria membrana cellulare) abbia inglobato dei batteri instaurando con loro un rapporto di simbiosi,
e che con il tempo questi batteri aerobi (in grado di realizzare metabolismo ossidativo, il quale sfrutta
ossigeno per ossidare molecole che hanno immagazzinato energia, liberando l’energia in esse contenuta) si
sarebbero trasformati in organelli della cellula (mitocondri).

Alcune di queste cellule avrebbero poi realizzato simbiosi con organismi in gradi di svolgere la
fotosintesi, come i cianobatteri (responsabili del cambiamento dell’atmosfera terrestre), anche essi
sfruttati per la loro capacità di organicare carbonio partendo da fonte luminosa per la sintesi di energia
e sarebbero poi diventati i cloroplasti. Sviluppo successivo, poiché TUTTE le cellule
eucariote contengono mitocondri, ma solo quelle
vegetali hanno cloroplasti, deve essere perciò
accaduto successivamente.
Perché si è teorizzata una evoluzione di questo tipo?

Poiché mitocondri e cloroplasti contengono DNA,


RNA, ribosomi, sono in grado di riprodursi in modo Nella fagocitosi una cellula ingloba l’altra,
autonomo, sono in grado di sintetizzare proteine. mantenendo una doppia membrana, la propria e
Hanno inoltre doppia membrana, perciò si pensa che quella della cellula inglobata.
il proto-eucariota abbia inglobato tali batteri per
fagocitosi, rendendo conto di tale doppia membrana

MEMBRANA CELLULARE/MEMBRANA ORGANICA/PLASMALEMMA/CITOMEMBRANA

È costituita principalmente da lipidi e proteine, e in piccola percentuale anche da carboidrati. Essa riveste
tutti i tipi di cellula, conferendo ad esse e ad i loro organelli la forma, il limite, e svolge svariate funzioni:

 Contorno e barriera di permeabilità (di natura idrofobica)


 Organizzazione e localizzazione delle varie funzioni della cellula (organelli negli eucarioti)
 Trasporto nutrienti
 Rilevamento dei segnali provenienti dall’esterno, per poi attuare una risposta
 Interazione (grazie alle proteine, molte delle quali di membrana)

Le membrane biologiche sono composte da lipidi, prevalentemente fosfolipidi i quali costituiscono la


componente strutturale, costituiscono la barriera (di natura idrofobica), da proteine (trasporto sostanze,
riconoscimento e comunicazione fra cellule, conversione di forme diverse di energia) e da carboidrati
(riconoscimento e comunicazione).

I lipidi che costituiscono la membrana si dividono in:

 Fosfolipidi: sono la componente principale, la composizione di essi varia da membrana a


membrana. Sono costituiti da una molecola di glicerolo che lega due catene di acido grasso e
un gruppo fosfato, il quale lega a sua volta una molecola organica (variabile), essi sono
anfipatici, ovvero aventi una regione affine con l’acqua (polare-idrofila) ed una non affine
(apolare-idrofoba): parte idrofoba sono le code di acidi grassi, la componente idrofila dallo
scheletro del glicerolo, gruppo fosfato e la molecola organica.
 Glicolipidi: sono lipidi coniugati a brevi catene di zuccheri, alcuni sono sfingoglicolipidi, in cui gli
acidi grassi non legati al glicerolo ma alla sfingosina (alcol).
 Steroli, il colesterolo nella cellula animale e i suoi equivalenti, i fitosteroli, nella cellula vegetale

Sul lato extracellulare è presente la componente carboidratica. I carboidrati di membrana sono costituiti da
una sequenza di oligosaccaridi (catena di zuccheri più corta di quella dei polisaccaridi-da 2 a 60 unità di
monosaccaridi). Se questa è legata ai lipidi si hanno i glicolipidi, se invece si lega alle proteine di membrana
si hanno le glicoproteine, (anche la componente proteica varia in dipendenza della membrana). La
componente carboidratica non è presente nella membrana dei cloroplasti, dei mitocondri (sia esterna che
interna) e dei batteri.

Le membrane si definiscono doppi strati fosfolipidici, o doppio foglietto fosfolipidico. Ciò deriva dal fatto
che vi è uno strato di fosfolipidi tutti orientati nello stesso modo e nello strato sottostante ogni fosfolipide è
orientato a 180° rispetto all’altro strato, le componenti a contatto sono quindi le code dei due strati, le quali
tendono a stare a contatto per interazioni idrofobiche. Sporgono le teste idrofile verso i compartimenti
acquosi sia esternamente, sia all'interno verso il citosol/citoplasma (componente acquosa extra e intra
cellulare).

Modello accettato per l’organizzazione della membrana (sia cellulare che degli organelli membranosi):
MOSAICO FLUIDO (1972)→ doppio strato fosfolipidico all’interno del quale troviamo immerse (o a contatto
di un solo lato) le proteine come se fossero tessere di un mosaico.
I carboidrati solo sul lato extracellulare (negli animali talvolta sono in grande quantità e vanno a costituire il
rivestimento glicocalice).

Le proteine di membrana si distinguono in:

 Proteine integrali di membrana, o intrinseche, penetrano in parte o completamente il doppio strato


fosfolipidico
Vari tipi:
1. proteina monotipica: penetra un solo strato della membrana, solo in parte, attraversano sia le
alfa elica che le beta foglietto (sporge da un solo lato).
2. proteina monopasso: unico filamento che penetra e trapassa una sola volta (sporge sia
esternamente che internamente).
3. proteina multipasso: unico filamento che penetra e trapassa più volte (sporge esternamente e
internamente).
4. proteina multimerica: più filamenti di aminoacidi (più polipeptidi, più di una catena proteica) che
trapassano la membrana.
Tali proteine che penetrano e trapassano il doppio strato sono proteine di natura idrofobica.

 Proteine periferiche di membrana, o estrinseche, esse non penetrano i due strati fosfolipidici, ma
vengono solo a contatto con le teste idrofile di uno dei due strati fosfolipidici

Esse svolgono svariate ed importanti funzioni, in molti casi un’unica proteina può svolgere più ruoli:

 TRASPORTO: proteine che permettono il passaggio di sostanze fuori-dentro la cellula (o viceversa),


ciò avviene o in presenza della formazione di un canale idrofilo che consente il passaggio selettivo
di un soluto specifico, o grazie ad un cambiamento conformazionale della proteina che porta la
sostanza da un lato all’altro. Alcune di esse idrolizzano l’ATP al fine di ottenere l’energia necessaria
per pompare in modo attivo le sostanze attraverso la membrana.
 ATTIVITÀ ENZIMATICA: alcune proteine svolgono una azione enzimatica con il sito attivo esposto
alle sostanze presenti nell’ambiente circostante, fungono quindi da catalizzatori di reazioni
biochimiche all’interno o all’esterno della cellula, talvolta organizzandosi all’interno di complessi.
 TRASDUZIONE DEI SEGNALI: una proteina di membrana, detta recettore, può presentare un sito di
legame specifico per messaggeri chimici, ad esempio un ormone. Con tale legame con il
messaggero esterno, molecola segnale di stimoli, può determinare una modificazione della
conformazione della proteina, consentendo così il trasferimento del messaggio all’interno della
cellula.
 RICONOSCIMENTO TRA CELLULE: alcune glicoproteine agiscono da marcatori che possono essere
riconosciuti da proteine di membrana di altre cellule, permettendone poi un legame tra esse.
Questo tipo di legame è solitamente di breve durata rispetto a quello dell’adesione intercellulare.
 ADESIONE INTERCELLULARE: le proteine di membrana di cellule adiacenti possono unirsi insieme
andando a formare vari tipi di giunzione (serrate, occludenti…). Questo tipo di legame è di maggior
durata rispetto a quello precedente.
 ADESIONE AL CITOSCHELETRO E ALLA MATRICE EXTRACELLULARE: i microfilamenti o altri elementi
del citoscheletro possono legarsi alle proteine di membrana, fissando la posizione di queste e
contribuendo al mantenimento della forma dell’intera cellula. Le proteine che si legano alle
molecole della matrice extracellulare possono coordinare cambiamenti extra- e intra- cellulari.

La membrana viene definita asimmetrica: i fosfolipidi non sono ugualmente distribuiti nel doppio foglietto,
è composta da fosfolipidi diversi.
I lipidi come si muovono? La membrana cellulare è una struttura dinamica, non è statica e rigida, perciò i
fosfolipidi al suo interno si muovono, in questo modo:

o ruotano su sè stessi (tipo ballerina del carillon, girano su sé stessi sul proprio asse).
o si spostano lateralmente (diffusione laterale, rimangono però nello strato in cui si trovano).
o movimento flip-flop (passano da uno strato all’altro), chiamato anche diffusione trasversale (si
rovesciano e passano nell’altro strato).

Anche le proteine compiono dei movimenti, ma solo lateralmente, diffusione solo laterale (si muovono
come un iceberg in un mare di fosfolipidi), sono movimenti compiuti molto lentamente.

Tale fluidità delle proteine nel doppio strato fosfolipidico venne dimostrata da Frye e Edidin, i quali
riuscirono a fondere una cellula umana con una cellula di topo a dare una cellula ibrida, dopo aver marcato
con marcatori fluorescenti diversi le due tipologie di proteine. La fluidità venne dimostrata dal fatto che la
parte di cellula umana non restava distinta dalla parte di cellula di topo, su tutta la membrana vi erano
infatti sparse sia proteine umane che di topo.

La membrana cellulare è in ogni caso una struttura gelatinosa e non rigida, si definiscono le sue due
tipologie di fasi come:

- fase di gel: stato più viscoso, i due foglietti sono ben impaccati, le code risultano allineate -
basse temperature
- fase fluida: stato in cui si perde l’allineamento delle code, vi è minor compattezza- alte
temperature

Il cambiamento di stato è dovuto al fatto che è stata fornita energia sotto forma di calore, vi è quindi una
specifica temperatura in cui la membrana passa dalla fase di gel alla fase fluida, denominata temperatura di
transizione.

La temperatura che permette la transizione di fase da gel a fluido viene siglata come T m (melting
temperature=temperatura di fusione), si dice che la membrana “fonde” anche se non avviene una vera e
propria fusione.

La temperatura di transizione (quindi la fluidità) di fase della membrana dipende da due fattori:

1. Lunghezza acidi grassi

2. Presenza di doppi legami nelle catene di tali acidi grassi (percentuale di acidi grassi insaturi in
fosfolipidi)

La Tm aumenta all’aumentare della lunghezza della catena degli acidi grassi saturi (fosfolipidici),
all’aumentare della catena di atomi di C, diventando meno fluida quando le catene sono più lunghe,
poiché più sono lunghe, più sono difficili da scindere, serve più energia. La temperatura di transizione
diminuisce all’aumentare del numero dei doppi legami presenti negli acidi grassi dei fosfolipidi,
diventando più fluida quanti più doppi legami sono presenti. Acidi grassi insaturi presentano piegature
e quindi i fosfolipidi si impaccano meno di quanto succeda negli acidi grassi saturi (come succede nelle
sostanze grasse olio-burro).

Nelle cellule animali la fluidità è influenzata dal colesterolo, lipide di natura idrofobica con una piccolissima
porzione idrofila, esso si dispone nella membrana grazie al gruppo ossidrilico OH (unica parte idrofilica), il
quale gli permette di prendere contatto con la testa idrofila dei fosfolipidi (il resto della molecola prende
contatto con le code idrofobica).

Nello svolgere la sua funzione di regolatore della fluidità, esso fa da spaziatore tra i fosfolipidi di ognuno dei
due strati della membrana. Quando la membrana cellulare diventa troppo rigida (tende ad impaccarsi
troppo) le impedisce il troppo impaccamento, quando i fosfolipidi tendono ad allontanarsi (perdendo
integrità) fa sì che non accada. REGOLA quindi LA FLUIDITÀ effetto TAMPONE

La medesima funzione del colesterolo nelle cellule vegetali viene svolta dai FITOSTEROLI.

Nel RER, sede del metabolismo lipidico, vengono appunto sintetizzati i lipidi di membrana.

Le membrane biologiche sono selettivamente permeabili, ovvero attraverso di esse passano alcuni soluti ed
altri no in modo selettivo, con l’aiuto delle proteine di trasporto. Esse sono permeabili a molecole o
macromolecole di natura idrofobica (apolari), ai gas (O 2, CO2 o N2), ad alcune molecole polari di piccole
dimensioni come H2O, glicerolo o urea. Quelle di grandi dimensioni (zuccheri, AA) o gli ioni (molecole che
presentano una carica) non sono in grado di passare attraverso il doppio strato, per permettere il passaggio
di queste sono necessarie specifiche proteine-trasportatrici.

TIPOLOGIE DI TRASPORTO

Vi sono meccanismi di trasporto tra ambiente extra ed intra cellulare, ambienti definiti come due soluzioni
acquose.

1. TRASPORTO PASSIVO: trasporto di soluto il quale avviene secondo gradiente di concentrazione del soluto
in questione. Il soluto si sposta dal compartimento in cui si trova a maggiore concentrazione (quantità di
soluto in relazione al volume della soluzione) a quello in cui si trova in minore, per poter arrivare ad una
situazione di equilibrio (dinamico- quando le due molecole di soluto continuano ad attraversare la
membrana ma alla stessa velocità in entrambe le direzioni). È denominato trasporto passivo poiché la
cellula, in tale modalità di trasporto non consuma energia, ed avviene secondo due tipologie di diffusione.
La diffusione è l’insieme di movimenti casuali che portano ad uno stato di equilibrio (equilibrio dinamico,
poiché continua a variare in base allo spostamento delle molecole), e può essere:

 Diffusione semplice, la sostanza si sposta grazie al gradiente di concentrazione, attraversando


direttamente il doppio strato fosfolipidico.
 Diffusione facilitata, la sostanza si muove comunque secondo il gradiente ma riesce ad
attraversare lo strato soltanto perché aiutata dalle proteine di trasporto.

Le proteine di membrana di trasporto coinvolte sono canali o carrier:

- Canali: proteine di struttura a canale, permettono che uno specifico soluto passi attraverso tale
canale liberamente, secondo gradiente di concentrazione le cariche sono di natura opposto rispetto
allo ione trasportato. Molti di questi sono canali ionici, che permettono il passaggio di ioni i quali
sono quindi di carica opposta a quella di tali ioni.
- Carrier o permeasi: proteine specifiche per il loro substrato, sono proteine allosteriche, ovvero
possono assumere 2 diverse conformazioni diverse: con apertura verso l’esterno o con apertura
verso l’interno della cellula, sono inoltre saturabili, non possono trasportare più di quelle tante
unità di soluto nell’unità di tempo.

2. TRASPORTO ATTIVO: trasporto di sostanza che avviene contro gradiente di concentrazione. Il soluto si
sposta dalla regione in cui si trova a minor concentrazione verso quella in cui si trova in maggiore quantità.
Al fine di svolgere tale trasporto vi è sempre necessità di un trasportatore proteico, il quale consuma
energia sottoforma di ATP:

 primario: la proteina trasporta direttamente la sostanza in seguito al consumo di ATP.


 secondario: non è direttamente il trasportatore a determinare la spesa di ATP, ma si sfrutta il
gradiente di un’altra molecola che si è realizzato consumando ATP.
Le proteine di membrana addette al trasporto attivo sono le pompe di membrana, poiché pompano la
sostanza da trasportare contro gradiente di concentrazione, le quali sono specifiche per determinate
sostanze e consumano energia.

ESEMPI:

POMPA SODIO/POTASSIO ATPasi (ATPasi=consumo di ATP)

Esempio classico del trasporto attivo primario, è specifica per trasportare ioni sodio e ioni potassio. Sposta
contro gradiente di concentrazione ioni sodio e potassio (trasporto accoppiato ed antiporto), porta
all'esterno della cellula 3 ioni sodio e fa entrare dentro 2 ioni potassio con spesa di una molecola di ATP.

ESEMPIO POMPA PROTONICA (di protoni=ioni H+)

Esempio trasporto attivo primario. Determina lo spostamento di ioni idrogeno verso il compartimento a
maggior concentrazione con spesa di ATP.

Esempio trasporto attivo secondario, si realizza poiché la molecola trasportata contro gradiente di
concentrazione viene trasportata da una proteina di trasporto la quale non consuma direttamente ATP ma
sfrutta il gradiente di concentrazione di un’altra molecola che si è realizzata con spesa di energia.

TRASPORTO ATTIVO SECONDARIO DI GLUCOSIO NEGLI ENTEROCITI

Gli enterociti sono cellule dell’epitelio dell'intestino tenue; sono quelli che permettono di avere elevata
superficie per l’assorbimento dei nutrienti, grazie ai microvilli. A livello dell’enterocita il glucosio entra
grazie al meccanismo del trasporto attivo secondario perché si sfrutta il gradiente dello ione sodio (reso
possibile dalla sodio-potassio amilasi). Il glucosio entra dentro l’enterocita andando contro il gradiente di
concentrazione. Il trasporto verso il sangue è realizzato dal trasportatore GLUT2.

3. TRASPORTO DI MASSA (esocitosi ed endocitosi): è un trasporto attivo, perciò consuma energia. Tali
tipologie di trasporto dimostrano la presenza di un continuo rimodellamento di membrana che conferisce
plasticità ad essa e non staticità.

I trasporti mediati da proteine di trasporto si dividono in

 UNIPORTO: la proteina di membrana coinvolta, la quale permette il trasporto, lo permette di un


solo specifico soluto.
 TRASPORTO ACCOPPIATO: la proteina di trasporto permette il trasporto di 2 diversi tipi di soluto. Se
la direzione dei due soluti è rivolta verso il medesimo compartimento è denominato simporto, se
essa è invece rivolta ai lati opposti è detto antiporto.

La velocità per il trasporto passivo varia da diffusione semplice a facilitata: durante la diffusione semplice la
velocità aumenta in maniera lineare all’aumentare della concentrazione, fino ad arrivare alla condizione
termodinamicamente favorita dell’equilibrio, nella diffusione facilitata la velocità aumenta invece
inizialmente, all’aumentare della concentrazione, ma raggiunge poi un livello in cui essa non aumenta più
nonostante aumenti la concentrazione della molecola (poiché le proteine di trasporto sono saturabili).

ESEMPIO DIFFUSIONE FACILITATA: proteine carrier trasportatori di glucosio: chiamati trasportatori GLUT,
presenti in varie forme (GLUT1-GLUT2-GLUT3) a seconda delle diverse cellule in cui si trovano, a livello della
loro membrana, e trasportano il glucosio secondo gradiente di concentrazione.
TRASPORTO DI IONI

Il trasporto di ioni (anche molecolari), specie aventi quindi una carica positiva o negativa, tiene conto del
gradiente elettrico presente a livello della membrana.

Se ai due lati della membrana non è presente una differente disposizione di carica, ovvero un gradiente
elettrico che dà origine ad un potenziale di membrana, gli ioni si spostano secondo gradiente
concentrazione.

Nel caso in cui invece i due lati della membrana presentano due cariche (opposte), e quindi aventi un
potenziale di membrana, si introduce il concetto di gradiente elettrochimico. Esso facilita il passaggio di ioni
i quali possiedono carica opposta a quella del lato membranoso in cui devono essere trasportati:

 Se ho elevata concentrazione di uno ione avente la stessa carica dello strato esterno della
membrana ed opposta allo strato interno, il gradiente di concentrazione spinge all’interno gli
ioni e il gradiente elettrochimico fa sì che sia favorito.
 Se ho elevata concentrazione di uno ione avente carica opposta al lato esterno della
membrana, ed internamente la stessa carica, il gradiente di concentrazione tende a spingere lo
ione verso l’interno ma il gradiente elettrochimico fa sì che il trasporto non sia favorito.

QUINDI Uno ione positivo che si trova in maggior concentrazione a livello


dello strato di membrana esterno, avente anch’esso carica positiva, viene spinto
secondo gradiente di concentrazione e secondo gradiente elettrochimico (poiché
cariche opposte si attraggono); se lo ione fosse invece negativo il gradiente
elettrochimico non favorirebbe tale trasporto, poiché verrebbe trasportato sul
lato di membrana di carica uguale

LA DIFFUSIONE DELL’ACQUA

Vi sono due tipologie di trasporto di acqua:

o Diffusione facilitata: facilitata dalla presenza di canali che ne permettono il passaggio, i quali
prendono il nome di acquaporine.
o Diffusione semplice: processo di osmosi. Si realizza quando la membrana è semipermeabile che
separa due compartimenti che contengono due soluzioni di differente concentrazione. Questa
diffusione non è un passaggio di soluto, ma di solvente. Essa è quindi impermeabile alle molecole di
soluto e permeabile alle molecole di solvente. Solvente biologico=acqua.

TERMINOLOGIA OSMOTICA Se la membrana separa due soluzioni:

- con stessa concentrazione di soluto, questa separa due soluzioni tra loro ISOTONICHE, aventi
medesima tonicità.
- a differente concentrazione di soluto, quella a maggiore concentrazione è la soluzione IPERTONICA,
a maggiore tonicità, e quella a minor concentrazione è IPOTONICA.

Il movimento dell’acqua avviene sempre dalla soluzione ipotonica verso quella ipertonica: il solvente va a
diluire la soluzione maggiormente concentrata. Quando si raggiunge l’equilibrio di concentrazione esso
risulta dinamico, non vi è movimento netto (continua a variare con lo spostarsi delle molecole). Poiché vi è
movimento di solvente questo determina la variazione del volume delle soluzioni attraverso le quali c’è
stato lo spostamento, può far variare il volume della cellula in caso entri/esca acqua.

ESEMPIO FLUSSO OSMOTICO DELL’ACQUA NELLA CELLULA ANIMALE:


1. Il globulo rosso viene preso e immerso in soluzione ipotonica rispetto all’ipertonica all’interno
del globulo: l’acqua entra nella cellula e il globulo aumenta le sue dimensioni, assume perciò
acqua. Se fosse immerso in acqua distillata esso continuerebbe ad assumere acqua ma non
riuscirebbe a raggiungere l’equilibrio lisi della cellula.
2. Il globulo rosso viene immerso in soluzione isotonica: si trova in una situazione di equilibrio,
tanta acqua entra tante esce. Situazione normale.
3. Il globulo rosso viene preso e immerso in soluzione ipertonica: l'acqua all’interno del globulo va
a diluire l’ambiente esterno e la cellula si raggrinzisce, diminuendo il suo volume.

ESEMPIO FLUSSO OSMOTICO DELL’ACQUA NELLA CELLULA VEGETALE:

1. La cellula vegetale immersa in soluzione ipertonica: rilascia acqua verso l'esterno, se ne perde
troppa va in plasmolisi, la membrana si distacca dalla parete, se non viene rapidamente
riparata la cellula va in contro alla morte.
2. La cellula vegetale immersa in soluzione isotonica: tanta acqua entra tanta esce; si raggiunge
l’equilibrio ma non la situazione ideale per la cellula. Cellula flaccida.
3. La cellula vegetale immersa in soluzione ipotonica: la situazione è ideale, entra l’acqua che
viene accumulata a livello vacuolo centrale ma, quando ne assorbe troppa, la cellula sbatte
contro la parete e grazie al segnale mandato da questa l’acqua smette di essere rilasciata.
La cellula vegetale viene infatti definita come cellula turgida, la cui situazione ottimale è stare
immersa in soluzione ipotonica, poiché la parete cellulare è in grado di monitorare il flusso di
acqua ed impedirne l’eccessivo assorbimento.

ESOCITOSI ED ENDOCITOSI

Trasporti di macromolecole che avvengono soltanto nelle cellule eucariote, essi riguardano il trasporto di
particelle di elevate dimensioni (nei batteri nanoparticelle) -phagocytosis, di piccole cellule (proteine, virus,
lipoproteine). Sono processi che richiedono ATP.

L’ entrata e il rilascio di sostanze è consentito grazie all’elasticità della membrana cellulare. L’endocitosi è il
processo in entrata di particelle, mentre l’esocitosi è quando la cellula rilascia al suo esterno.

ENDOCITOSI: La particella si avvicina dall’esterno verso la membrana cellulare, viene avvolta due lembi di
essa, i lembi che hanno avvolto tale particella si uniscono andando a formare le pareti di una vescicola, e
viene rilasciata all’interno della cellula attraverso la vescicola membranosa.

ESOCITOSI: Ciò che voglio rilasciare all’esterno è avvolto dalla vescicola membranosa, questa si avvicina alla
membrana della cellula prendendone contatto, si fondono e la vescicola si apre verso l’esterno rilasciando il
contenuto.

Nell’endocitosi possiamo distinguere tre tipologie:

 Fagocitosi: è la cellula che fagocita, mangia (può essere il macrofago che mangia un batterio,
può essere un protista che mangia una particella nutritiva) è un processo aspecifico.
 Pinocitosi: è la cellula che beve, è la vescicola endocitosica che così si realizza, assorbe il liquido
extracellulare e ciò che in esso è disciolto.
 L’endocitosi mediata dal recettore: è specifica (necessita la presenza di un riconoscimento tra
ciò che deve entrare e la proteina di membrana-recettore) per ciò che viene trasportato
all’interno della cellula, perché il soluto si lega con delle proteine di legame che si trovano sulla
superficie extracellulare. Una volta realizzato il legame si ha un’invaginazione, in
corrispondenza di dove si era realizzato il legame, della membrana cellulare: a far sì che ciò che
è stato legato entri nella cellula attraverso una vescicola membranosa.

Esempio: COME LA CELLULA EPATICA ASSORBE L’LDL, cioè le lipoproteine a bassa densità (colesterolo
cattivo). Le persone che hanno il deficit genetico per la sintetizzazione dell’LDL soffrono di
ipercolesterolemia familiare.

DNA E REPLICAZIONE

Nel DNA sono iscritte tutte le informazioni necessarie per la vita, all’interno della sequenza dei monomeri
(nucleotide)che costituiscono il DNA. Quando si replica lo deve fare con grande precisione: tutti gli
organismi della stessa specie hanno lo stesso DNA, e quindi le stesse informazioni. ma in specie differenti è
diversa. Il DNA può subire cambiamenti: nella sequenza possono presentarsi delle mutazioni, le quali non
sempre hanno accezione negativa, poiché sono alla base dell’evoluzione quindi non per forza preoccupanti.

Gli acidi nucleici sono polimeri dei nucleotidi. L’RNA è una molecola a singolo filamento, il DNA a doppio
filamento, precisamente appaiati a dare una doppia elica. Un nucleotide su un filamento di DNA è appaiato
a quello di fronte sull’altro filamento attraverso legame a idrogeno tra le loro basi azotate, tale
appaiamento è fisso: la timina lega inevitabilmente con l’adenina attraverso 2 legami a idrogeno; la guanina
lega soltanto con la citosina attraverso 3 legami a idrogeno (esse sono basi complementari). Il DNA è
costituito da due catene polinucleotidiche complementari e antiparallele = un filamento è in un verso e
l’altro nel verso opposto (si appaiano alle estremità 5’, con 3’ l’un l’altro).

La struttura è stata chiarita nel 1953 da Watson e Crick che descrissero la doppia elica, vincendo il nobel. In
realtà è Rosalinda Franklin a scoprirne la struttura con un’immagine ma non potette ricevere il Nobel
perché morì giovane.

Il GENOMA è il tipo di DNA appartenente ad una specifica specie, la lunghezza del DNA è variabile tra specie
e specie

DUPLICAZIONE DNA

Viene definita semiconservativa perché quando abbiamo una molecola di DNA che si deve duplicare, essa si
replica aprendosi in due filamenti: ognuno fa da stampo per la sintesi di un nuovo filamento, da una
molecola di DNA possiamo quindi ottenerne due, costituite ognuna da un filamento parentale e uno nuovo,
il quale si crea complementare a quello parentale. Le basi nel DNA sono infatti complementari: AT GC. Vi
sono enzimi che collaborano al fine di permettere la duplicazione, essi sono:

 Elicasi
 Proteine che legano il DNA a singolo filamento
 Primasi
 DNA polimerasi
 DNA ligasi
 Topoisomerasi

INIZIO DEL PROCESSO: creazione della forca di replicazione i due filamenti si separano, tramite la
rottura dei doppi legami a H tra le basi azotate per mano dell’azione dell’enzima elicasi. I filamenti devono
rimanere separati, così abbiamo l’intervento di proteine che legano il singolo filamento (proteine SSB).
Entra in azione anche l’enzima topoisomerasi ha la funzione di eliminare il superavvolgimento della
molecola di DNA che si realizza quando una porzione viene separata nei suoi 2 filamenti, questo
superavvolgimento si verifica a causa della situazione di tensione provocata dallo scioglimento della doppia
elica (come il filo elicoidale del telefono).
Si crea quindi una forca di replicazione sulla quale andrà ad agire l’enzima che catalizza la sintesi del DNA,
esso è il DNA polimerasi. Entra in azione anche l’enzima primasi.

La sintesi a livello delle molecole inizia in punti chiamati origini di replicazione, essi sono siti ricchi in
adenina e timina in quanto viene spesa meno energia per rompere il legame formato tra esse, poiché vi
sono solo due legami ad H, invece dei tre di citosina-guanina: interviene poi l’elicasi che svolge il DNA, sono
presenti due elicasi, una in un senso e una nell’altro. Si forma così la bolla di replicazione, e l’elicasi apre
l’elica del Dna in modo bidirezionale, su entrambi i lati della bolla di replicazione vi è quindi una forca di
replicazione.

A livello del cromosoma batterico (unico e circolare) è presente una sola origine di replicazione. Nei
cromosomi eucariotici (cromosomi lineari e maggiormente estesi) sono presenti più origini che velocizzano
la replicazione.

La DNA polimerasi ha due caratteristiche che ne influenzano il funzionamento:

 Può unire un nucleotide solo se è presente un gruppo ossidrile in posizione 3’ a cui legare il
gruppo fosfato in posizione 5’ del nucleotide che deve aggiungere alla catena di DNA in fase di
allungamento, così da realizzare la formazione del legame fosfodiestere il quale lega un
nucleotide all’altro nella catena degli acidi nucleici.
 Non riesce da solo a posizionare il primo nucleotide del nuovo filamento, esso è capace
soltando di attaccarli ad altri nucleotidi. È così necessario un precedente intervento di un
enzima (RNA primasi) che sintetizza un breve tratto di RNA PRIMER complementare al tratto
iniziale del DNA da duplicare, l’RNA innesco/primer fornisce il gruppo 3’ OH al quale la DNA
polimerasi inizierà ad attaccare il primo nucleotide che ha da aggiungere.

L’ RNA primer (primasi) formerà in 3’ un gruppo OH che la polimerasi attaccherà il gruppo fosfato del 1°
nucleotide che questo andrà ad aggiungere. La polimerasi sintetizza solo in direzione 5’→3’ perché essa
lega il gruppo fosfato in 5’ al gruppo OH in 3’ della catena già sintetizzata.

Il DNA ha filamenti antiparalleli (uno va in direzione 5’-3’, l’atro va in direzione opposta): quando l'elicasi
svolge la doppia elica, uno dei due filamenti è nel corretto orientamento affinché la DNA polimerasi possa
aggiungere nucleotidi (5’→3’ -filamento guida o anticipato) e l’altro è in senso contrario (3’→5’). In questo
filamento avente orientamento opposto (filamento in ritardo, ritardato) la polimerasi si trova costretta a
sintetizzare il DNA in direzione opposta al movimento dell’elicasi. Il DNA del filamento ritardato viene
sintetizzato a blocchi, in frammenti.

Nel filamento guida basterà quindi sintetizzare un RNA primer e poi verrà sintetizzata tutta la catena, la
sintesi è perciò continua, mentre sul filamento ritardato avremo bisogno di tanti primer tutte le volte che si
sintetizza un frammento (frammenti di Okazaki-dallo studioso che ha scoperto il meccanismo) ottenendo
una sintesi in modo discontinuo.

Il DNA viene svolto nelle 2 direzioni a livello della bolla di replicazione, quindi si dice che la sintesi del DNA è
bidirezionale rispetto all’origine di replicazione.

È necessario poi eliminare l’RNA primer una volta che esso ha svolto la sua funzione, ciò avviene grazie
all’azione di un’altra DNA polimerasi avente attività esonucleasica (capace di degradare le sequenze di
nucleotidi posti alle estremità), vengono quindi rimossi gli inneschi di RNA primer, nel caso del filamento
ritardato gli RNA primer da rimuovere sono tanti quanti i frammenti di Okazaki, gli intervalli dove viene
rimosso l’RNA vengono colmati dalla stessa DNA polimerasi. Successivamente l’enzima DNA ligasi lega i
frammenti di DNA presenti sul filamento ritardato.
La DNA polimerasi è un enzima estremamente efficiente, compie un errore ogni 10 8 (100.000.000)
nucleotidi che va ad aggiungere, poiché ha la capacità di autocorreggersi (proofreading=correzione della
bozza):

 Controlla l’appaiamento precedente prima di aggiungere un nuovo nucleotide e, se scorretto, lo


rimuove inserendo quello giusto.
 Ha attività nucleasica, ossia degradativa, in direzione opposta a quella di sintesi.

ORGANIZZAZIONE DEL DNA

Le cellule batteriche possiedono un solo cromosoma circolare e altre piccole molecole contenenti DNA
rappresentate dai plasmidi, i quali portano geni per metabolizzare alcune sostanze oppure geni che
conferiscono al batterio la resistenza a particolari antibiotici.

La cellula eucariotica si dice invece essere DIPLOIDE (possiede coppie di cromosomi omologhi) e negli
organismi che si producono in maniera sessuata, uno deriva da un genitore e uno dall’altro. Saranno
chiamate invece aploidi le cellule deputate alla riproduzione, in cui il corredo genetico è stato dimezzato
per la meiosi.

EUCARIOTI DNA associato a proteine

Il DNA è racchiuso nel nucleo sotto forma di cromatina cioè un filamento di DNA associato a proteine
basiche (basiche poiché il DNA è un acido) denominate istoni, quelli conosciuti sono H1, H2A, H2B, H3, H4.

Gli istoni H2A-H2B-H3-H4, ognuno in duplice copia vanno a costituire un ottamero (8 proteine) attorno al
quale si avvolge un tratto di DNA, ottenendo il cosiddetto nucleosoma. I vari nucleosomi sono legati l'uno
all'altro da tratti di DNA di collegamento denominato DNA linker.

Questa organizzazione può essere ulteriormente compattata aumentando la quantità di DNA che si avvolge
su questo nucleo istonico grazie all’azione dell’istone H1, l’unico non coinvolto nel creare l’ottamero. La
struttura della cromatina si condensa in presenza dell’istone H1.

La cromatina può avere vari livelli di impacchettamento, fino ad arrivare all’impacchettamento massimo, il
quale si ritrova nei CROMOSOMI, e si osserva durante i processi di divisione cellulare, quando abbiamo la
possibilità di visualizzare i cromosomi nella loro forma a x.

Il cromosoma è quindi cromatina estremamente compattata, perché i cromosomi devono essere spartiti tra
le cellule figlie, ed è molto più semplice spartire qualcosa di compatto piuttosto che meno.

CROMOSOMA: il cromosoma è costituito da due cromatidi (cromatidi fratelli) i quali portano entrambi la
stessa informazione genetica. Essi sono uniti l’uno all’altro in una zona denominata centromero a livello del
quale si trovano delle strutture proteiche chiamate cinetocori con cui prendono contatto le fibre del fuso
mitotico e meiotico (costituite da microtubuli) e che permetteranno la separazione dei cromatidi fratelli in
modo che vadano a costituire i cromosomi delle due cellule figlie.

Eterocromatina (cromatina più compattata): non è accessibile, si tratta del DNA non attivo, il quale non
viene quindi trascritto, non fa da stampo per la sintesi dell’RNA.

Eucromatina (cromatina meno compattata): è più accessibile e può essere trascritta in RNA, poiché è DNA
rilassato e quindi attivo.

Il numero di cromosomi varia di specie in specie, individui della stessa specie possiedono lo stesso DNA e di
conseguenza stesso numero di cromosomi (uomo=46, scimmia=42, cavallo=66, ecc…), vi sono specie che
possono avere stesso numero di cromosomi ma sono portatori di informazioni genetiche differenti.
PROCARIOTI cromosoma e plasmidi

Anche il DNA batterico può associarsi con delle proteine basiche, le quali però non sono gli istoni che si
trovano soltanto negli eucarioti.

DOGMA CENTRALE DELLA BIOLOGIA: traduzione delle informazioni genetiche in unica direzione.

Si credeva che il flusso dell’informazione genetica si muovesse in questo modo:

1. Dal DNA, capace di replicarsi, partiva l’informazione genetica verso l’RNA.


2. L’informazione genetica veniva trascritta in RNA.
3. L’informazione, adesso presente nell’RNA veniva tradotta in proteina.

Con il progresso scientifico è stato dimostrato che tale processo può andare anche in direzioni diverse da
essa.

TRASCRIZIONE O SINTESI DELL’RNA NEI PROCARIOTI

Viene realizzata grazie alla separazione delle due eliche del DNA e una delle due fa da stampo per la sintesi
dell’RNA, l’enzima che catalizza tale sintesi è l’RNA polimerasi. È l’enzima stesso ad aprire la doppia elica e
ad utilizzare uno dei due filamenti come stampo della sintesi dell’RNA.

Fasi: inizio, allungamento, termine.

1. INIZIO: l’RNA polimerasi si lega al DNA a livello di una regione che si trova a monte (prima) del
tratto di DNA da trascrivere: regione denominata promotore, esso indica alla polimerasi da dove
deve iniziare la trascrizione, quale dei due filamenti di DNA deve andare a leggere ed anche.
2. ALLUNGAMENTO: dopo che si è legata a livello del promotore inizia a svolgere la doppia elica di
DNA e quindi inizia a sintetizzare l’RNA utilizzando uno dei due filamenti come stampo. Si allunga la
catena che si sta sintetizzando.
3. TERMINE: l’RNA polimerasi raggiunge una regione chiamata terminatore, regione del DNA la quale
indica all’RNA polimerasi che ha concluso il suo lavoro, ha trascritto ciò che doveva trascrivere.
L’RNA polimerasi si separa dal DNA e si separa anche l’RNA sintetizzato dal filamento stampo del
DNA.

L’RNA polimerasi nei procarioti è una proteina multimerica costituita da varie subunità: due subunità α, una
β e una β’. Vi è inoltre un fattore sigma, elemento dell’RNA polimerasi che permette il riconoscimento del
promotore, tale fattore è presente in varie tipologie (σ28, σ54, σ70) al fine di permettere la trascrizione di
tratti differenti (geni diversi) poiché ogni tipologia di sigma riconosce un promotore differente. Le altre
subunità sono coinvolte nella sintesi.

La RNA polimerasi sintetizza solo in direzione 5’→3’. A differenza della sintesi di DNA essa però può sempre
procedere in modo continuo e non necessita di un innesco.

I nucleotidi da aggiungere sia nell’RNA che nel DNA arrivano come ribonucleotidi trifosfato, è la rottura tra
tali tre fosfati che conferisce l’energia necessaria per compiere tutto il processo.

La terminazione della trascrizione all’interno di una cellula batterica può avvenire perché:

 C’è l’intervento di fattori (es. rho) che raggiungono l’RNA polimerasi camminando sulla molecola di
RNA sintetizzata. Quando raggiunge la polimerasi in fase di terminazione di sintesi, si realizza la
condizione per cui l’RNA sintetizzato si stacca dal filamento di DNA stampo e possa allontanarsi la
RNA polimerasi.
 Legata al fatto che quando viene sintetizzato l’RNA si ha la sintesi anche di tratti che si possono
appaiare, poiché sono complementari, creando strutture a forcina che rappresentano il segnale che
è giunta al terminatore.

Sia traduzione che trascrizione avvengono nel citoplasma uno di seguito all’altro: la traduzione avviene
quando la trascrizione non è terminata.

TRASCRIZIONE NEGLI EUCARIOTI

Si realizza in pratica come quella dei procarioti ma risulta più complessa poiché sono presenti più tipologie
di RNA polimerasi a seconda di quello che è il prodotto della trascrizione:

- RNA polimerasi I: sintetizza rRNA 28S, 18S, 5, 8S


- RNA polimerasi II: sintetizza mRNA, snRNA (small nuclear RNA=piccole molecole)
- RNA polimerasi III: sintetizza tRNA, rRNA, 5S, ed altri piccoli RNA
- RNA polimerasi a livello mitocondriale
- RNA polimerasi a livello dei cloroplasti

I promotori hanno sequenze in basi diverse e il legame dell'RNA polimerasi al promotore è mediato da
proteine denominate fattori di trascrizione.

PROCEDIMENTO Presenta le medesime tre fasi come nelle cellule procariote: inizio, allungamento,
terminazione.

La sintesi inizia con la RNA polimerasi la quale si lega a livello del promotore (a monte), e il promotore
svolge le stesse funzioni che svolge nei procarioti (indica il punto di origine della trascrizione, quale
filamento deve essere trascritto, e la direzione di lettura), però prima del legame dell'RNA polimerasi al
promotore essa si lega ai fattori di trascrizione, poi si lega l’RNA polimerasi e si realizza la situazione per cui
la polimerasi può sintetizzare la catena di RNA.

Nei procarioti sia la trascrizione (sintesi dell’RNA) che la traduzione (sintesi delle proteine) sono processi
che avvengono nel citoplasma, poiché non vi è nucleo, ed avvengono uno di seguito all’altro (talvolta la
traduzione inizia a trascrizione ancora da terminare). Negli eucarioti invece la trascrizione avviene
all’interno del nucleo, mentre la traduzione avviene nel citoplasma, da parte dei ribosomi (liberi, o associati
al RE ecc..).

Gli mRNA degli eucarioti vengono inoltre sintetizzati in una forma per cui si dice che la trascrizione
determina la sintesi dell'mRNA precursore, ovvero gli mRNA non vengono trascritti nella loro forma finale
per essere tradotto in proteine, ma come precursori. Il pre mRNA deve quindi subire delle modificazioni in
modo che si arrivi alla molecola di mRNA che il ribosoma traduce in proteina.

Tali modificazioni prendono il nome di MATURAZIONE del PRE-mRNA, la quale prevede 3 step:

 Capping: “incappucciamento” del mRNA, viene messo un cappuccio all’estremità 5’ dell’mRNA,


esso ha la funzione di proteggerlo affinché questo non venga degradato e di orientare bene il
processo di traduzione da parte dei ribosomi (permette il posizionamento di essi in modo corretto).
 Poliadenilazione: viene messa una sequenza di adenine all'estremità finale dell’mRNA, in posizione
quindi 3’. Questa coda protegge l’mRNA dalla degradazione e ha la funzione di permettere il
passaggio dell’mRNA dal nucleo verso il citoplasma (passa dai pori nucleari, dati dai punti di fusione
della doppia membrana del nucleo).
 Splicing (o editing/processamento): si tagliano sequenze che non sono necessarie affinché il
ribosoma possa tradurre la proteina. Quando viene trascritto il messaggio del DNA nell’mRNA
precursore vi sono dei tratti di RNA che non devono essere tradotti in proteine e perciò devono
essere eliminati, essi vengono denominati introni, non portano l’informazione necessari alla sintesi
delle proteine. I tratti che invece devono mantenersi, poiché portano l’informazione che deve
essere tradotta, si chiamano esoni, essi vengono poi saldati l’uno all’altro una volta che sono stati
eliminati gli introni. Tale processo avviene grazie all'azione degli spliceosomi (splaisosomi) che sono
costituiti da proteine e snRNA, tagliano ed eliminano gli introni e saldano gli esoni.

GENE

Il gene è un tratto di un genoma, una regione di un genoma costituita dunque di DNA, costituito da
sequenze che vengono trascritte (in RNA) e da sequenze regolatorie (promotori), corrispondente all'unità
ereditaria fondamentale degli organismi viventi. La sua trascrizione porta alla formazione, alla sintesi, di un
prodotto funzionale (RNA) oppure, con il processo di traduzione, cioè la lettura da parte del ribosoma
dell'informazione adesso scritta nell’mRNA, in modo da sintetizzare la proteina.

IL CODICE GENETICO

L’insieme di regole che permette di «tradurre» l’informazione genetica dal DNA (RNA) in proteine è
chiamata codice genetico. La traduzione viene così denominata poiché è letteralmente una traduzione da
una lingua all’altra, dal linguaggio dei nucleotidi a quello degli aminoacidi.

Il codice genetico venne decifrato grazie agli esperimenti condotti da F. Crick e S. Brenner, M. Nirenberg e
H. Matthaei, Har Gobind Khorana, un decennio dopo il lavoro di Watson e Crick (anni 60 del 1900).

Come vengono portate, per poi essere tradotte, le informazioni?

L’alfabeto proteico è costituito da 20 lettere (numero di aminoacidi). L’alfabeto dell’RNA è costituito da 4


lettere (A, C, G, T). Come possono 4 lettere fare da traduttori per 20 aminoacidi?

 Parole di 1 lettera 4 combinazioni = 4 possibilità non sufficienti


 Parole di 2 lettere 42 combinazioni = 16 possibilità non sufficienti
 Parole di 3 lettere 43 combinazioni = 64 possibilità unica soluzione, più che sufficienti

Teoricamente si stabilì quindi che solo con tre nucleotidi era possibile codificare per un numero più che
sufficiente di amminoacidi.

3 nucleotidi = 1 AA

3 nucleotidi = 43 = 64 amminoacidi

Ogni aminoacido che deve essere inserito nella catena proteica che l’RNA va a sintetizzare è quindi
specificato da una sequenza di tre nucleotidi, tale sequenza (tripletta di basi azotate) viene chiamata
codone.

Caratteristiche del codice genetico:

1. È ridondante: vi sono aminoacidi che possono essere specificato da più di un codone, da codoni
differenti (64 triplette-20 aminoacidi).
2. Non è ambiguo: un determinato codone specifica per un solo aminoacido.
3. È universale: uguale per tutti gli esseri viventi tranne alcune eccezioni (alcuni batteri, codice
genetico mitocondriali, alcuni funghi).
4. È senza punteggiatura: cioè viene letto linearmente e non è sovrapponibile, niente spazia un
codone dall’altro nella sequenza.
SINTESI DELLE PROTEINE

I partecipanti al processo di sintesi proteica sono:

 Codice genetico da seguire per creare sequenze di aminoacidi.


 RNA messaggero che porta il messaggio da tradurre.
 RNA di trasferimento/ di trasporto per trasferire aminoacidi ai ribosomi.
 Aminoacidi per costituire la catena proteica.
 Aminoacil-tRNAsintetasi, enzima che unisce l’aminoacido al tRNA.
 Ribosomi, organelli in cui avviene la vera e propria sintesi.

STRUTTURA DEL tRNA

L’RNA di trasporto, o transfer, è una molecola non molto lunga e può essere rappresentata
schematicamente in molti modi.

Il trasporto dell’aminoacido è attuato attraverso la creazione di legami tra l’aminoacido in questione e la


posizione 3’ dell’RNA transfer.

Un altro codone di rilevata importanza è l’ANTICODONE, situato più o meno centralmente alla molecola di
tRNA, l’anticodone è una sequenza di basi azotate in rapporto complementare al codone che specifica per
l’aminoacido che è legato in 3’, si appaiano ad esso in modo complementare.

Il tRNA, una volta legato all’aminoacido che deve trasportare ai ribosomi, prende il nome di aminoacil-
tRNA, il quale viene sintetizzato attraverso l’azione dell’enzima aminoacil-tRNA sintetasi che, utilizzando
energia sottoforma di ATP crea il legame tra aminoacido e 3’ dell’RNA.

I RIBOSOMI

Unici organelli presenti sia in eucarioti che procarioti, sono organelli costituiti da due subunità, una minore
ed una maggiore, e sono costituiti da RNA e proteine (differenti tra cellule eucariote e procariote):

- Procarioti: ribosomi 70s (s=unità svedberg, misura del coefficiente di sedimentazione)


- Eucarioti: ribosomi 80s

STRUTTURA GENERALE DEI RIBOSOMI

La subunità minore del ribosoma possiede un sito di legame per l’mRNA, a livello della subunità maggiore vi
sono invece 3 siti:
 Sito A: sito a livello del quale viene legato il tRNA il quale è legato all’aminoacido da aggiungere alla
catena aminoacidica in fase di sintesi.
 Sito P: P da polipeptide, proteina, a livello di tale sito vi è legato il tRNA che porta la catena proteica
di aminoacidi in fase di accrescimento.
 Sito E: E per exit, è il sito dal quale escono gli RNA di trasporto i quali hanno concluso di svolgere la
propria funzione.

PROCESSO DI SINTESI PROTEICA

1. La subunità minore del ribosoma si lega ad una sequenza del mRNA a monte (precedentemente)
del codone di inizio (sempre AUG) presente nel mRNA, coprendo però anche la sequenza
contenente il codone di inizio stesso
2. Entra in azione il primo tRNA coinvolto, si tratta di un tRNA il quale trasporta il primo aminoacido e
possiede l’anticodone (codone complementare) del codone di inizio (UAC), esso si lega al mRNA in
posizione del codone di inizio.
3. Prende parte al processo la subunità maggiore del ribosoma, la quale crea un complesso che
realizzerà la sintesi proteica, (tRNA, mRNA, sub. minore e sub. maggiore). Il tRNA si trova nel sito P
del ribosoma. A tal punto il sito A del ribosoma delimita sul mRNA il codone successivo a quello di
inizio, delimita il secondo codone per il secondo aminoacido.
4. Inizia la fase di allungamento, in prossimità del sito A iniziano a legarsi i tRNA che presentano
l’anticodone, il codone complementare a quello delimitato dal sito A. Successivamente gli
aminoacidi si legheranno l’uno all’altro attraverso la formazione di legami peptidici fino a che
avviene il riconoscimento del codone di stop dell’mRNA, il quale pone fine al processo di sintesi. Il
legame peptidico si forma poiché il gruppo carbossilico dell’ultimo aminoacido della catena
venutasi a formare (in sito P) forma un legame covalente con il gruppo amminico dell’aminoacido
legato al tRNA posizionato nel sito A. La realizzazione del legame provoca una situazione per cui la
catena aminoacidica risulta non più legata al tRNA posizionato in sito P ma a quello in sito A. A tal
punto si realizza un movimento di tutto il complesso RNA-ribosoma, il tRNA che si trovava nel sito
P, ormai libero della catena polipeptidica in allungamento, viene a trovarsi in posizione del sito E, e
perciò eliminato, quello presente nel sito A risulta trovarsi nel sito P ed il sito A delimita la
successiva tripletta il ciclo si ripete fino all’arrivare al codone di stop.
5. Una volta che il ribosoma raggiunge il codone di stop, e il tRNA legato ad esso si trova nel sito P
entra in azione un fattore di rilascio di natura proteica, il quale va ad occupare il sito A (poiché di
forma simile al tRNA) e idrolizza il legame tra il polipeptide che si è sintetizzato e l’ultimo tRNA, la
catena polipeptidica completata può così allontanarsi, si allontana anche il tRNA, si dissocia il
ribosoma ed il processo è terminato.

Tutto il processo di sintesi proteica necessita dell’utilizzo di energia, utilizzata sottoforma


di GTP. GTP=GUANOSINTRIFOSFATO nucleotide trifosfato strutturato come l’ATP
ma al posto di adenina vi è guanina (guanina+ribosio+3 gruppi fosfato).
Come si posiziona correttamente il ribosoma?

La prima sezione a formare il legame con l’mRNA è la subunità minore, poiché è in grado di riconoscere
delle specifiche sequenze a monte della prima tripletta, ovvero la tripletta precedente al codone di inizio.
Tale sito di riconoscimento viene denominato come sequenza di Shine-Dalgarno nei procarioti e cappuccio
negli eucarioti (posizione 5’).

Al fine di avere una maggiore efficienza del processo di sintesi solitamente più ribosomi si associano al
mRNA in serie, uno successivo all’altro, al fine di creare un maggior numero di catene polipeptidiche,
poiché ogni ribosoma sintetizza una copia di una proteina. La serie di ribosomi venutasi a creare prende il
nome di POLISOMA.

NEI PROCARIOTI LA TRADUZIONE È CO-TRASCRIZIONALE non c’è nessun intervallo di tempo tra il
processo di trascrizione ed il processo di traduzione, nei procarioti non vi è il periodo di maturazione del
pre-mRNA che invece è presente nel processo eucariotico.

La sintesi proteica si può quindi realizzare quando la fase di trascrizione è ancora in atto.

NEGLI EUCARIOTI LA TRADUZIONE È POST-TRASCRIZIONALE la traduzione prende atto dopo la


terminazione della fase di trascrizione e dopo il processo di maturazione che porta i pre-mRNA a divenire
mRNA completi. Vi è quindi un intervallo di tempo tra trascrizione e traduzione, ciò è dovuto anche alla
differente localizzazione di tali processi, la trascrizione avviene nel nucleo, la traduzione avviene all’interno
del citoplasma dove sono presenti i ribosomi.

Nel particolare

Dove avviene la sintesi proteica negli eucarioti?

I ribosomi si trovano all’interno del citoplasma, adesi alla parete citoplasmatica del RER, all’interno del
cloroplasto (cellula vegetale) e all’interno del mitocondrio. In una cellula vegetale quindi la sintesi proteica
avviene grazie ai ribosomi: del citoplasma, del RER, del cloroplasto e del mitocondrio; in una cellula animale
invece: ribosomi del citoplasma, del RER e dei mitocondri.

Le proteine negli eucarioti possono subire delle modificazioni post-traduzionali, le quali sono di diversa
natura.
Tenere a mente, in primis, che la catena polipeptidica venutasi a formare nel processo di sintesi
proteica, una vota rilasciata dal ribosoma, deve assumere la propria e specifica conformazione
tridimensionale al fine di poter svolgere le proprie funzioni (struttura e funzione sono strettamente
correlate).

Alcune delle modificazioni post-traduzionali:

 PROTEOLISI: il polipeptide che è stato sintetizzato viene frammentato ed ognuno dei frammenti
assume la sua conformazione tridimensionale al fine di svolgere la propria funzione.
 GLICOSILAZIONE: aggiunta di zuccheri alla catena proteica (es. sintesi delle proteine di membrana).
 FOSFORILAZIONE: aggiunta di gruppi fosfato alla proteina.

CONSEGUENZE DI ALTERAZIONI DEL DNA A LIVELLO DELLA PROTEINA

Alterazioni genetiche del DNA possono provocare alterazioni anche a livello della proteina nel caso in cui
essa sia stata creata partendo da una sequenza di DNA alterata.

MUTAZIONI GENICHE o PUNTIFORMI

Mutazioni in cui si ha l’alterazione di un singolo nucleotide, riguardante quindi una sola base di una
determinata sequenza di DNA, si possono verificare come mutazioni di:

o SOSTITUZIONE: dovute alla sostituzione di una singola base del DNA con un’altra base.
o DELEZIONE: perdita di una base nel filamento del DNA (si perdono in realtà due basi, due nucleotidi
legati e complementari che appartengono ai due filamenti di DNA)
o INSERZIONE: aggiunta di una base (in realtà aggiunta di una coppia di nucleotidi) nel filamento di
DNA.
La SOSTITUZIONE comporta il fatto che a livello del mRNA cambia un nucleotide appartenente ad una
tripletta, di conseguenza cambia il messaggio portato dalla tripletta e, poiché ogni tripletta è specifica per
un singolo aminoacido, questo può avere conseguenze più o meno gravi sul prodotto finale (la proteina
specificata da quel gene), esse sono:

 Mutazioni SILENTI, la tripletta mutata non comporta modificazioni della sequenza amminoacidica
della proteina (la tripletta venutasi a creare specifica per lo stesso aminoacido per il quale
specificava la tripletta non mutata, poiché alcuni aminoacidi possono essere specificati da più di un
codone).
 Mutazioni MISSENSO, la tripletta mutata specifica e fa inserire un aminoacido diverso da quello
specificato dalla tripletta non mutata, viene quindi inserito un aminoacido diverso nella catena
proteica.
 Mutazioni NON SENSO, la tripletta mutata è una tripletta che rappresenta un codone di stop, si
verifica una situazione per cui si determina l’arresto precoce della sintesi della proteina.

Una patologia causata da una mutazione missenso è l’ANEMIA FALCIFORME, nella quale la sostituzione di
un nucleotide (una adenina sostituisce una timina) nella sequenza del DNA che porta alla sintesi
dell’emoglobina provoca una mutazione di essa. L’mRNA dell’emoglobina mutante specifica per
l’aminoacido VALINA anziché per l’ACIDO GLUTAMMICO, la proteina venutasi a creare non riesce ad
assumere la propria e specifica conformazione strutturale e ciò comporta una perdita di funzionalità
dell’emoglobina, la quale provoca la classica forma falciforme degli eritrociti (globuli rossi).

Con la DELEZIONE o l’INSERZIONE si verificano le cosiddette mutazioni di FRAMESHIFT (o di scivolamento


della cornice, o di spostamento della fase di lettura).

Nel caso della delezione o dell’inserzione, con la perdita o l’aggiunta quindi di un nucleotide, avviene la
formazione di nuove triplette diverse rispetto a quelle sarebbero state presenti senza mutazione della
sequenza di DNA. Questa conseguenza viene denominata spostamento, scivolamento della griglia di
lettura.
Esempio: abbiamo basi da 1 a 9 non mutate che creano 3 diverse triplette:
123 | 456 | 789
Se la delezione porta la perdita del nucleotide 5 la conseguenza sarà la creazione di triplette diverse:
1 2 3 | 4 6 7 | 8 9 10
Se l’inserzione porta l’aggiunta di un nucleotide N tra i nucleotidi 5 e 6 si creeranno:
123 | 45N | 678
Avviene uno scorrimento di basi. Cambia la fase di lettura.

Possono avvenire inserzioni anche di due/tre nucleotidi, nel caso in cui ne siano aggiunti tre può trattarsi di
una semplice aggiunta di una tripletta, la proteina risulterà semplicemente avere un aminoacido in più.

I VIRUS

L’origine etimologica del termine deriva dal termine latino “veleno”, i virus non sono inseriti nella categoria
di organismi viventi, poiché essi non possiedono un’organizzazione cellulare al loro interno. Sono perciò
definiti come PARASSITI ENDOCELLULARI (poiché penetrano dentro le cellule) OBBLIGATI di Procarioti ed
Eucarioti. Il termine obbligati sta ad indicare la loro necessità di insediarsi e parassitare cellule appartenenti
ad altri organismi al fine di poter sopravvivere e per potersi riprodurre. Essi non appartengono a nessun
dominio e differenziano da tutte le tipologie di cellule.

All’interno dei virus non vi è mai una contemporanea presenza di DNA ed RNA, come nelle cellule eucariote
e procariote, ma la presenza di uno esclude la presenza dell’altro, hanno però comunque un genoma, il
quale può essere colpito da mutazioni.
Caratteristiche generali:

 Sono visibili soltanto al microscopio elettronico, poiché hanno dimensioni inferiori a quelle cellulari
(ordine dei nanometri=miliardesimi di metro).
 Non possiedono citoplasma né organelli cellulari, e non possiedono un metabolismo regolato.
 Non possiedono un apparato biosintetico, necessario per la riproduzione, sono infatti parassiti
obbligati poiché devono sfruttare gli apparati biosintetici di cellule viventi al fine di potersi
riprodurre.

Come è costituito?

INTERNO Il genoma del virus (o a DNA o a RNA), il quale costituisce il CORE del virus, si trova
all’interno di un rivestimento proteico denominato CAPSIDE, costituito da tante proteine che prendono il
nome di CAPSOMERI.

ESTERNO (talvolta) Alcuni virus possiedono un rivestimento membranoso esternamente al capside, il


quale prende nome di PERICAPSIDE o ENVELOPE e presenta sulla sua superficie delle proteine (spesso
glicoproteine) che ne permettono l’attacco a livello della cellula ospite. Tale involucro membranoso è
proveniente dalla membrana della cellula ospite infettata.

In base alla presenza o meno di questo rivestimento esterno vengono categorizzati in:

- Virus vestiti, presentano il rivestimento.


- Virus nudi, non possiedono l’envelope.

CLASSIFICAZIONI:

I virus sono solitamente specie-specifici, ovvero specifici per parassitare una sola specie, devono compiere
mutazioni per passare da una specie all’altra. In base all’organismo all’interno del quale si insediano si
dividono quindi in:

 Virus BATTEROFAGI (o fagi), parassitano i batteri.


 Virus VEGETALI, infettano le cellule eucariote vegetali.
 Virus ANIMALI, parassitano le cellule eucariote animali.

In base alla loro forma, in particolare alla simmetria del capside:

 Elicoidali.
 Poliedrici.
 Simmetria complessa, solitamente data dal fatto che presentano sia una struttura elicoidale che
poliedrica.

I virus presentano il patrimonio genetico in tutte le possibili forme, infatti non solo può essere a DNA o a
RNA, ma sia DNA che RNA possono trovarsi entrambi o a doppia o a singola elica. Possono inoltre
presentare il genoma sottoforma di un’unica molecola lineare, un’unica molecola circolare (solo a DNA) o
segmentato in più molecole:

 Il 30% dei virus animali presenta un genoma a DNA.


 Nella maggior parte dei casi il genoma a DNA si trova a doppio filamento, ci sono però delle
eccezioni, può essere a singolo filamento (es. parvovirus) ma anche un mix di entrambi (es.
hepadnavirus= doppio filamento circolare incompleto, presenta tratti a doppio e a singolo
filamento).
 I virus animali portano avanti i loro processi di trascrizione e replicazione nel nucleo della cellula
parassitata.
 Il 70% dei virus animali presenta un genoma a RNA, il quale è sempre di forma lineare, mai
circolare.
 Nella maggior parte dei casi il genoma a RNA è a singolo filamento, può essere però anche a doppio
filamento e in entrambi i casi può essere segmentato (es. reovirus= doppio filamento segmentato,
orthomyxovirus= singolo filamento segmentato).
 I processi di trascrizione e replicazione avvengono solitamente nel citosol (citoplasma) della cellula
parassitata.

CICLI RIPRODUTTIVI-VIRUS BATTEROFAGI (o FAGI)

1) CICLO LITICO: porta alla lisi (distruzione) della cellula ospite parassitata. Tale ciclo viene realizzato da
quei virus denominati virus VIRULENTI:
- Il virus batterico prende contatto con la cellula batterica, iniettando al suo interno il proprio
genoma.
- L’iniezione del genoma virale determina la distruzione del genoma della cellula parassitata e il
genoma virale prende possesso della cellula, sfruttandone l’apparato biosintetico al fine di
sintetizzare molte copie dei suoi costituenti.
- Una volta sintetizzate numerose copie di costituenti del virus queste vengono assemblate,
realizzando la costituzione di numerosi virus.
- Le copie di virus venute a costituirsi fuoriescono dalla cellula poiché: il fago dirige la sintesi di
un enzima che è in grado di danneggiare la parete batterica, ciò provoca l’ingresso del liquido
extracellulare che causa il rigonfiamento ed infine l’”esplosione” della cellula, provocando la
fuoriuscita delle particelle virali.
2) CICLO LISOGENICO/LISOGENO: porta all’integrazione del genoma virale con quello della cellula ospite,
senza provocare la morte di quest’ultimo (viene a crearsi un PROFAGO), viene realizzato dai virus
chiamati virus TEMPERATI:
- Il virus batterico prende contatto con la cellula batterica, iniettando al suo interno il proprio
genoma.
- Il genoma iniettato viene inserito nel cromosoma batterico, questo genoma, il quale si integra a
quello batterico, viene denominato profago.
- La creazione di un profago all’interno della cellula parassitata comporta il fatto che ogni volta
che la cellula batterica si dividerà, andrà a dividersi anche il genoma virale integrato ad essa
(tutte le cellule figlie avranno quindi il genoma virale al loro interno).
- Il fatto che nel cromosoma batterico sia inserito il genoma del virus può far assumere alla
cellula batterica parassitata nuove proprietà, tale processo prende il nome di conversione
lisogenica (può ad esempio sintetizzare nuove proteine).
Es. batterio che causa la difterite: può sintetizzare la tossina che determina la malattia perché al
suo interno è inserito un profago portatore dell’informazione genetica per la sintesi di tale
tossina.

In condizioni particolari i virus temperati, che compiono quindi il ciclo lisogenico, possono divenire virulenti.

CICLI RIPRODUTTIVI-VIRUS ANIMALI

1. CICLO LITICO: provoca come nei batteriofagi la distruzione della cellula parassitata, presenta però
alcune differenze rispetto al ciclo del fago.
2. CICLO LISOGENICO: si crea, all’interno del genoma della cellula ospite, un PROVIRUS (al posto del
profago batterico).
- Non inietta il genoma all’interno della cellula ospitante, bensì è in grado di entrare all’interno di
essa, solitamente grazie alla fusione dell’involucro membranoso (l’envelope) con la membrana
della cellula che viene infettata (alcuni entrano quindi per fusione, altri per endocitosi).
- Il genoma viene rilasciato una volta che il virus si trova all’interno della cellula, e fa da stampo
per: mRNA i quali portano l’informazione affinché vengano sintetizzate le proteine del capside,
mRNA che portano l’informazione affinché vengano sintetizzate le glicoproteine che vanno a
ricoprire l’involucro membranoso esterno ed anche per nuove copie del genoma virale stesso.
- Vi è la fase di assemblaggio, si producono quindi numerose copie di particelle viraci le quali
escono dalla cellula per gemmazione

RETROVIRUS: HIV

I retrovirus sono una categoria di virus a RNA, il più conosciuto è il virus HIV, i quali sono caratterizzati dal
fatto che possiedono un enzima (DNA polimerasi-RNA dipendente) denominata TRASCRITTASI INVERSA.
Tale trascrittasi inversa è una DNA polimerasi in grado di sintetizzare molecole di DNA utilizzando come
stampo non un filamento di DNA ma un filamento di RNA.

Il ciclo riproduttivo di tali virus avviene come il ciclo riproduttivo della cellula animale, a differenza che la
trascrittasi inversa permette la formazione, in primo luogo di un ibrido RNA-DNA che poi diviene un doppio
filamento di DNA il quale si crea grazie all’azione dell’enzima RNAsi H che provoca una degradazione del
filamento di RNA per lasciare spazio alla sintesi del secondo filamento complementare di DNA. Tale
molecola di DNA venutasi a creare va ad inserirsi all’interno del genoma della cellula da parassitare, prende
il nome di provirus il quale prende il controllo della cellula parassitata sintetizzando conseguentemente
molecole di mRNA affinché si possano sintetizzare i diversi contenenti proteici del virus, e fa da stampo
anche per la sintesi dei nuovi genomi del virus. I virus di nuovo assemblaggio vengono rilasciati per
gemmazione (es. HIV).

DOGMA CENTRALE DELLA BIOLOGIA ADESSO

Esso non segue più il modello per cui l’informazione genetica risiedeva a livello del DNA e procedeva in
un’unica direzione, verso l’RNA e verso le proteine, adesso vediamo che è possibile una trascrizione inversa
del DNA (da RNA a DNA) e vi può anche essere una replicazione dell’RNA.

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