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Giangiuseppe Pili
Ph.D. Filosofia e Scienze della mente
Dublin City University – School of Law and Government
Laboratorio di Intelligence – Università della Calabria
scuolafilosofica@gmail.com
www.scuolafilosofica.com
L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpe-
vole. Minorità è l'incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un
altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelli-
genza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere
guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelli-
genza! Questo dunque è il motto dell'illuminismo.
Immanuel Kant
1. Introduzione
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flessione di Kant ma anche della storia della filosofia Occidentale. Invito il let-
tore ad andare a leggere il testo personalmente, prima di procedere. La versio-
ne utilizzata in questo breve saggio di accompagnamento è la traduzione
dall'originale tedesco di Francesca Di Donato che si trova liberamente
(http://btfp.sp.unipi.it/dida/kant_7/ar01s04.xhtml)
L’illuminismo non è un’epoca storica, secondo Kant. Non c’è alcun pas-
saggio nel testo in cui Kant si autodefinisca parte dell’illuminismo in quanto
vivente in un particolare momento storico definito “illuminismo”. Il filosofo
tedesco è chiaro riguardo a questo punto: l’illuminismo segna il momento di
uscita dallo stato di minorità, definita come “incapacità di servirsi della propria
intelligenza senza la guida di un altro”. Ovvero, l’illuminismo è una condizio-
ne di libertà del soggetto razionale (l’uomo) che è il frutto di una “emancipa-
zione” dalla tirannia (dipendenza) degli altri. Questi altri sono le varie forme di
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coercizione poste dall’esterno all’interno del pensiero: morali non razionali
(quindi la religione), costumi sociali irrazionali e consuetudinari, l’educazione
fondata su precetti e non sullo sviluppo del proprio talento, il potere coercitivo
dello stato. Per tutte queste ragioni, dunque, l’illuminismo è una condizione
non necessaria, mai definitiva e sempre incerta dell’umanità.
Kant imputa la minorità alla stessa umanità perché essa non dipende da
condizioni esterne alla mente umana stessa. Questa, infatti, è concepita come
sufficientemente potente da poter seguire le sue sole regole. Il principio di au-
tonomia del soggetto è uno dei cardini concettuali dell’intera concezione mo-
rale kantiana. Infatti, il soggetto razionale può formulare leggi di condotta pri-
ve di riferimento al proprio egoismo e alla propria disposizione sensibile. In
questo modo egli può raggiungere una formulazione dell’imperativo morale
fondata esclusivamente sull’uso delle categorie dell’intelletto. In parole pove-
re, il soggetto razionale, l’uomo, può essere e deve essere autonomo nel giudi-
zio. Il problema è, appunto, che sebbene si possa e si debba essere autonomi,
nella maggior parte dei casi i singoli esseri umani non lo sono. Kant infatti so-
stiene che le persone sono di volta in volta dominate da “altri padroni”, ovvero
da regole formulate in funzione di altri punti di vista che sono il suo principale
bersaglio polemico, ovvero principalmente la religione e la cultura
dell’obbedienza imposta dallo stato dispotico.
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emergere. Per questo il filosofo si batte per un uso pubblico della ragione, ov-
vero sostiene che il potere politico ha il dovere di lasciar liberi gli individui di
impiegare pubblicamente la propria ragione. Infatti, l’uso privato della ragione
non è liberatorio, cioè non consegue ad un progresso universale. Per Kant, in-
fatti, il soggetto razionale gode della piena libertà solo nella duplice possibilità
di esercitarla (libertà da – pensata in termini di libertà civili) e di generarla (li-
bertà di – pensata in termini di attività della ragione). L’uso pubblico della ra-
gione consente così il pieno sviluppo non solo dell’individuo razionale ma an-
che di tutti gli altri, i quali sono così invitati a liberarsi a loro volta dalle iniqui-
tà delle spinte egoiste sensibili e dalle tirannie delle consuetudini malvagie.
All’epoca dell’illuminismo, così ormai concepita nella teca dei nostri pas-
sati, Kant dedica assai poco spazio perché, come si è visto, l’illuminismo è una
condizione relativa ai singoli, in quanto esseri razionali, e all’umanità, in quan-
to insieme di esseri razionali (a sua volta non concepita da Kant, per altro, co-
me soggetto razionale). Quindi, l’illuminismo in quanto epoca è qualcosa di
alieno alla concezione kantiana, la quale lascia aperta la porta a questa inter-
pretazione storica solamente in quanto sembra che gli intelletti si siano rischia-
rati solamente in tempi relativamente recenti a Kant. In realtà, appunto, in
quanto condizione generale atemporale, rispetto alla storia, l’interpretazione
kantiana dell’illuminismo non segna un’epoca storica quanto ad una generale
disposizione degli esseri razionali. In questo senso, Kant non limita
l’illuminismo al futuro, ma concede che il progresso dell’umanità (di cui per
altro non indica né una fine né un fine) è pensabile al futuro molto più che al
passato. Ma anche questo orizzonte escatologico è povero. Kant è molto più
interessato agli individui che alla storia dell’umanità in quanto gruppo e totali-
tà. Per tale ragione, ancora una volta, l’illuminismo è una conquista
dell’umanità che deve andare a progredire pur nella dimensione di uno svilup-
po pensato in termini di libertà individuale e coltivazione dei propri talenti e
non, piuttosto, una strana forma di autoliberazione assoluta dal regno terreno
dei mali. Niente di così grandioso, insomma.
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manticismo fu, paradossalmente, in gran parte in linea di continuità con il mo-
vimento di rischiaramento della ragione individuale. Ma dalla metà del XIX
secolo si assiste ad una curiosa scissione tra la ragione pubblica e privata in cui
la seconda è diventata molto più condiscendente con gli “spiriti animali” che
l’illuminismo aveva tentato di razionalizzare. E la ragione pubblica è sempre
più un vuoto chiacchiericcio per pochi eletti, la cui elezione dipende da tutto
tranne che dalla loro partecipazione al progresso generale il quale è, purtroppo,
difficile da condividere con poco sforzo ed è difficile da sposare senza
un’opportuna dedizione. Perché l’illuminismo non fu una negazione dei valori
umani, intesi nella loro inevitabile relazione con i sentimenti e con le emozioni
primordiali. Al contrario. Tuttavia, è pur vero che l’illuminismo e, in particola-
re Kant, riteneva un preciso dovere quello di essere liberi dalle passioni nella
misura del possibile, così da essere sempre al comando di quella fragile nave
che è il proprio corpo, in quella difficile rotta che è la via della vita. E tuttavia,
specialmente con l’imposizione della società di massa, in cui l’individuo non
può più contare soltanto sulle sue forze e su quelle dei vicini (pochi e fragili),
scopre una nuova potenza e, allo stesso tempo, una straordinaria insignifican-
za.
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bersaglio ideologico. Tutta la politica Occidentale è stata antilluminista, con la
sola eccezione del liberalismo che, infatti, è sempre stato ostracizzato in
quell’Europa la cui pace fu fondata da due potenze esterne. Infatti, i partiti
fondati su religioni non possono sposare la visione kantiana dello sviluppo
umano generale, già concepito come salvabile solamente dall’esterno. Le ideo-
logie di destra rivendicano l’imperioso uso della volontà arbitraria come ulti-
mo baluardo e ragione per non finire rinchiusi nelle leggi eterne della storia,
che era infatti il punto di vista della sinistra di stampo marxista. Quest’ultima,
più vicina ad alcuni principi dell’illuminismo, rivendicava comunque una
preminenza di alcuni eletti (il partito comunista e gli scienziati della rivoluzio-
ne a seconda dei casi). Il risultato è stato appunto semplice: relegare
l’illuminismo nel cimitero delle idee estinte da onorare come i caduti di una
grande guerra la quale, per mezzo dell’arbitrio della forza, ha stabilito il vinto
e il vincitore.
Bibliografia
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no: Rusconi.