Sei sulla pagina 1di 60

Soliferrum

Correva l'anno 1974, nei negozi di dischi appare un lp, strano,


sperimentale, "alternativo", l'autore un giovane siciliano, che in
seguito avrebbe venduto milioni dì dischi, girato film, dipinto
icone, e aperto una casa editrice specializzata in esoterismo.
L'album si chiama "Clic" come il rumore di un'arma a tamburo
che fa cilecca. Non era ancora tempo di “esplodere” con "Aria
di rivoluzione" "Povera Patria" o di viaggi per impedire la
"latinizzazione della lingua Araba". Nel disco, sinceramente un
po’ ostico anche per i fan più sfegatati, c'è un brano "Ethika fon
ethica" pare un'insieme di suoni casuale, come la
sintonizzazione di stazioni su una vecchia radio a valvole.
Inizia con un muezzin, poi un canto popolare africano,
"....quando tu sei partito mi donasti una rosa......Faccetta nera
bella abissina...." Potremmo farne il suono di sottofondo della
nostra comunità, forse un po’ ostica, variegata,
apparentemente casuale, ma con un' “Ethika” come prassi e
come destino. Charles Baudelaire ammoniva che esistono solo
tre esseri rispettabili: il prete, il poeta, il guerriero. Sapere,
creare e combattere. Questi siamo noi, i poeti, i guerrieri, i
sacerdoti, di un nuovo, o meglio antico, modo di intendere la
politica, che è prima di tutto condivisione, comunità, comunità
a volte troppo indaffarata per trovare il tempo per mettere su
carta la ns. giornaliera battaglia politica. Soliferrum nei ns.
intenti doveva avere cadenza bimensile, non ce l'abbiamo fatta,
i giorni ,i mesi, sono trascorsi nel risolvere le emergenze,
politiche, economiche, organizzative, in questo lasso di tempo
fra il numero 7 e quello che avete in mano è successo di tutto.
Siamo stati costretti a mollare la ns. storica sede di via del
Loreto, costretti non da orde salafite, ma da ben più pericolose
orde di creditori, difficile trovare finanziatori quando si fanno
politiche apertamente antiliberiste. Ma non abbiamo mollato, ci
siamo rimboccati le maniche ed ora abbiamo di nuovo una
sede, se si può, ancora più nostra, in quanto l'abbiamo
praticamente tirata su con le ns. mani, con il nostro lavoro. Un
ringraziamento particolare chiaramente a Marco, che ci ha
messo a disposizione il fondo. La nostra comunità è cresciuta, e
non solo numericamente, abbiamo partecipato alla battaglia
referendaria sul quesito costituzionale, dove siamo stati fieri
sostenitori del no, e interlocutori credibili per molte forze
politiche, abbiamo organizzato a Montecatini nell'albergo del
Frontista Michele (Settentrionale Explanade), 2 importanti
eventi, la conferenza "Integrazione e Disintegrazione" sul
fenomeno migratorio, e un convegno Nazionale sulla
Comunicazione. Nella vecchia sede, una conferenza su Cuba,
del nostro amico Andrea Virga, ed al refettorio di San Michele
a Pescia la presentazione del primo libro del nostro David, "2
Cavalieri ed una Strega". Abbiamo accompagnato nel suo
ultimo viaggio l'amico Vivaldo. Ci siamo liberati in parte dei
fardelli Nazionali, sono tornato ad occuparmi esclusivamente
della ns. regione, cedendo il ruolo di responsabile nazionale
dell'organizzazione. Forse adesso, con una nuova sede, minori
impegni, e una comunità più ampia, riusciremo a rispettare le
scadenze del ns. bollettino. A fra 2 mesi, a meno che nel
frattempo non ci sia da fare la rivoluzione….

Marco Braccini
EXEMPLIS VITAE

Continuità Ideale

Araldo di Crollalanza
Il Fascista galantuomo che ricostruì il Vulture.

Abbiamo tutti purtroppo l'angoscia e la tristezza


per quanto avvenuto per il devastante terremoto
di Amatrice e del Centro Italia. Immani
distruzioni, centinaia di morti, numerose opere
d'arte irrimediabilmente perdute, danni economici
per migliaia di miliardi e incredibili ritardi nella
ricostruzione e nel fornire a 5 mesi dal sisma in
questo freddissimo inverno pieno di neve le
casette prefabbricate per dare almeno un minimo
riparo ai poveri residenti.. Non vi lasceremo soli
avevano sentenziato pomposamente le più alte
cariche dello stato nelle loro fugaci visite in quei
luoghi, per poi ritornare nei loro palazzi romani
ben riscaldati serviti e riveriti, ma alle promesse
non sono seguiti i fatti. Di ben altra tempra era
Araldo di Crollalanza, ministro dei lavori pubblici
negli anni '30, quando solo dopo tre mesi ricostruì
il Vulture distrutto. Tutto questo si deve a un
uomo eccezionale, un fascista purissimo, un uomo
probo e onesto che testimonierà in tutta la sua
lunga vita con concretezza e impegno la convinta
e profonda condivisione ai Valori nazionali e sociali
della nostra civiltà. Di nobile famiglia, con origini
valtellinesi, Araldo di Crollalanza nacque a Bari il
19 maggio 1892. Aderì al fascismo già nel 1919 e
guidò gli squadristi pugliesi durante la Marcia su
Roma. Nel 1923 divenne Console Generale della
MVSN; fu nominato Podestà di Bari (1926-1927).
Eletto deputato dal 1924 al 1943. Ministro dei
Lavori Pubblici, si distinse particolarmente per
l'impegno nei soccorsi e nella ricostruzione post-
sisma in occasione del terremoto del Volture
avvenuto il 23 luglio 1930 di magnitudo 6,7 (più
alta di quella di Amatrice) che causò 1.404
vittime. Tre mesi dopo il catastrofico terremoto, il
28 ottobre 1930, le prime case vennero
consegnate alle popolazioni della Campania, della
Lucania e della Puglia: furono costruite 3.746 case
e riparate 5.190 abitazioni. Il Duce salutò il suo
Ministro dei Lavori Pubblici al termine della sua
opera con queste parole:
"Eccellenza di Crollalanza, lo Stato italiano La
ringrazia non per aver ricostruito in pochi mesi
perché era Suo preciso dovere, ma La ringrazia
per aver fatto risparmiare all'erario 500.000 lire."
Infatti la ricostruzione costò meno del previsto.
Le palazzine edificate nel 1930 resistettero ad un
altro catastrofico terremoto, 50 anni dopo (Irpinia
1980). Dal 1935 al 1943 Presidente dell'Opera
Nazionale Combattenti e il nome di Crollalanza è
particolarmente legato alla bonifica dell'Agro
Pontino: furono create le città di Littoria,
Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia.
Dopo l'8 settembre '43 aderì alla Repubblica
Sociale Italiana e nominato Commissario
Straordinario per la Camera e il Senato. Dopo la
guerra Araldo di Crollalanza è tra i fondatori del
MSI a Bari e in Puglia. Nel 1953 è eletto Senatore
tra le file del MSI nella sua Bari. Dal 1977 al 1986
capogruppo del MSI al Senato.
Araldo di Crollalanza è morto a Roma il 18
gennaio 1986 all'età di 94 anni.
La sua carriera politica è stata lunga come la sua
vita e come il Lungomare che la sua città Bari ha
intitolato con affetto e riconoscenza a “don
Araldo”, come lo chiamavano i suoi concittadini.
Indro Montanelli scrisse di lui “non fece mai
mostra di sé, mai partecipò a punizioni punitive,
mai si fece un partito o una clientela personale,
mai brigò per carriere politiche. Ogni indagine sul
suo patrimonio risultò vana : l'uomo che aveva
costruito città e redento province non aveva una
casa, né un palmo di terra, nè un conto in banca.
Un uomo che durante i tre mesi della ricostruzione
del Vulture dormiva in una carrozza ferroviaria
dove aveva allestito anche il suo ufficio e da dove
dava disposizioni affinchè tutto il Genio Civile,
trasferito in loco assieme ai tecnici e funzionari
portassero incessantemente rifornimenti e
materiale e lui don Araldo senza un minuto di
assenza dal luogo del sisma per risolvere i
numerosi e difficili problemi della ricostruzione.
Don Araldo sempre presente controllava di
persona i vari interventi edilizi che affidava in
tempo reale, si recava in treno anche nelle
stazioni più sperdute per far sentire la presenza
concreta dello Stato, dove non arrivava con il
treno ci andava a dorso di mulo convocando le
autorità dando precise disposizioni su quello che
doveva essere fatto. Fu prosciolto in istruttoria
dopo la fine della RSI nei processi a carico degli
esponenti del fascismo e nel dopo guerra l'allora
ministro dei lavori pubblici Romita, individuandolo
sui banchi del Msi in Senato, ricordandosi del
miracolo della sua ricostruzione gli disse nel
silenzio rispettoso di tutti “Lei Crollalanza è stato
un grande ministro”, quel grande rispetto che
ebbero sempre per lui i cittadini baresi, di ogni
idea politica, che lo elessero sempre al Senato per
otto legislature conoscendo la sua grande probità
e l'amore per la sua terra e per l'Italia. Se i politici
di oggi vuoti e pomposi imparassero solo una
parte di quello che ha fatto il fascista galantuomo
Crollalanza sicuramente l'Italia di oggi sarebbe
molto migliore. - Giovanni Gentile – C. Ideale
Valdinievole.
Italia Domani

LA STORIA POI DIRA’ CHI AVRA’ RAGIONE

“La storia poi dirà chi avrà ragione, che per


salvare un barbaro abissino vorrebbero affamare
la nazione..”, iniziava così un canto patriottico del
1936 dedicato alle inique sanzioni. Tali versi,
divenuti per molti anni oggetto di scherno e
derisione, si rivelano oggi sempre più profetici.
Non mi riferisco alle ormai desuete avventure
coloniali, bensì alle teorie corporative e
partecipative elaborate in forma diversa dal primo
e dal secondo fascismo. Se all’ epoca del regime
le corporazioni rappresentarono poco più che
associazioni di categoria con dirigenti nominati
dall’alto , ben altro significato assunsero nel
periodo della Repubblica Sociale Italiana. La
sconfitta ormai certa, aveva risvegliato nelle
coscienze di molti fascisti, addormentate dai
privilegi del potere, l’orgoglio e la freschezza della
prima ora , quando i fasci di combattimento si
ammantavano di spirito rivoluzionario. Sull’onda
di questo stato d’ animo nacque ,o per meglio dire
risorse, una cultura volta al cambiamento radicale
degli assetti istituzionali ed economici , a cui
Giuseppe Parlato dedicò nel 2000 un saggio dal
titolo La sinistra fascista ( il Mulino, Bologna). Non
sembri paradossale tale definizione. Gli
intellettuali e gli attivisti che si nutrivano di queste
idee spostarono lo spirito rivoluzionario dal fronte
interno a quello internazionale : la guerra contro
le demoplutocrazie occidentali diveniva così l’inizio
di una rivoluzione mondiale destinata a instaurare
un nuovo ordine fondato sulla mistica del lavoro,
nella tradizione corridoniana e gentiliana. Il
nemico non si trovava più ad est, tanto che molti
sindacalisti guardavano con crescente interesse
alla Russia di Stalin, bensì ad ovest, da cui
proveniva il complotto plutocratico – giudaico –
massonico destinato a sottomettere l’intero
pianeta ai propri interessi. La lotta in corso
acquistò in tal modo il doppio significato di
rivoluzione interna e di guerra internazionale. Fino
a non molti anni addietro la maggior parte degli
storici, era convinta che le spinte di Salò verso il
socialismo esprimessero soltanto l’estremo
tentativo del regime di riconquistare le masse
lavoratrici..,oggi, invece, di fronte alla
degenerazione tirannica del neocapitalismo
finanziario costituitosi in cupola mafiosa globale, e
al suo tentativo di sopprimere la sovranità dei
popoli, si sta facendo strada una nuova
convinzione, presso molti studiosi non
necessariamente di destra, che porta dritto a un
domanda inquietante: e se il fascismo
dell’ultima ora avesse visto giusto, se
avvicinandosi la fine di un’era si fosse manifestata
la consapevolezza , o almeno il presentimento
della catastrofe che sarebbe seguita alla sua
scomparsa? La rilettura della storia in questa
dimensione ci obbliga a riconsiderare taluni
aspetti della politica della RSI e a paragonarli con
interventi più vicini a noi, oltretutto ad opera di
ambienti politici decisamente diversi, spesso legati
a tradizioni resistenziali e antifasciste. Giuseppe
Parlato così commenta il pensiero del sindacalista
Luigi Fontanelli ( G.Parlato, cit., p. 126): “Da una
parte un principio morale nuovo e gli interessi del
popolo, dall’altra il vuoto morale e degli interessi
concentrati in poche mani. Da una parte la verità
e il lavoro, dall’altra la menzogna e il vano gioco.
Da una parte la democrazia di nome, dove il
capitalismo , attraverso le sue infinite propaggini,
domina lo Stato, e dall’altra la democrazia di
fatto, dove il capitale non è già più capitalismo e
deve sottostare alla volontà dello Stato. Di qui la
necessità di impostare la rivoluzione fascista in
termini rivoluzionari, anzi di ‘rivoluzione continua’
“. Il concetto qui espresso rinvia a un saggio da
me pubblicato negli insospettabili anni Ottanta,
nel quale, pur senza avere letto Fontanelli ed
essendo di là da venire l’opera di Parlato,
giungevo alle medesime conclusioni ( Carlo
Vivaldi-Forti , Problemi di metodologia scientifica
nella ricerca psicologica umanistica, Thule ,
Palermo1983 , p.58): “Nel linguaggio delle
scienze umane possiamo sostenere che il
mutamento sociale continuo si configura come un
adeguamento costante della realtà istituzionale
alla sottostante realtà sociale in movimento.
Quello, cioè, che normalmente avviene attraverso
la rivoluzione, e quindi secondo un criterio di
caotica discontinuità, si verifica qui secondo un
criterio di continuità ordinata. A questo punto,
però, ci rendiamo conto di avere praticamente
introdotto il concetto di rivoluzione continua”. Ma
cos’è, questa rivoluzione continua, se non l’effetto
della partecipazione diretta del popolo alle
decisioni che lo riguardano? Le implicazioni
istituzionali e costituzionali appaiono allora
evidenti: l’ autogoverno delle categorie
produttive, che il corporativismo del ventennio
fascista , degenerato purtroppo in burocratismo ,
aveva promesso ma non realizzato, diventa
l’obiettivo primario della legislazione sociale del
periodo repubblicano. Non soltanto i sindacalisti
rivendicano l’elezione dei quadri dal basso, ma
invocano il superamento sia pure graduale dello
stesso rapporto di lavoro salariato, da sostituire
con una remunerazione mista, rappresentata da
un minimo garantito e da un’eccedenza derivante
dai risultato economici dell’impresa. L’ipotesi di
temperare il contratto d’impiego con quello di
società non è nuova, ritrovandosi nella stessa
dottrina sociale della Chiesa. Un altro noto
sindacalista fascista, Tullio Cianetti, non si limita
ad enunciare genericamente tale principio
auspicandone l’ applicazione, ma si spinge ad
affermare , in un momento di grave crisi come
quello degli anni Trenta, che “ cadono tutte le
presunte leggi e i metodi consuetudinari che
regolano l’impiego dei capitali, la produzione e lo
stesso salario. Questo non può che trasformarsi in
una quota di partecipazione, in un dividendo.
Occorre formarlo gradualmente con dividendi, fino
a sostituirlo definitivamente con un dividendo
vero e proprio, derivato non dalle singole aziende,
ma dalla produzione globale della nazione.
Svincolatasi la produzione dall’arbitrio del capitale
cadono tutte le premesse di fatto del sistema
capitalistico, travolgendo la sovrastruttura
ideologica che poggia su di esso. Il lavoro perde
così la caratteristica di merce , il suo compenso
non essendo più il salario , concepito e calcolato
come mezzo per la conservazione materiale della
classe operaia. Esso viene valutato e remunerato
in rapporto alle sue capacità ed alla effettiva
potenzialità dell’azienda nel panorama economico
nazionale”( T. Cianetti, Rimunerazione corporativa
, a cura del PNF , Roma 1940, p.57). In un
momento ancor più drammatico, il 13 gennaio
1944 il Consiglio dei Ministri della RSI vara il noto
decreto legge sulla socializzazione dell’impresa,
dal quale emerge chiaro l’intento di sottrarre il
salario all’imposizione dei grandi monopoli,
associando il dipendente alla gestione e alla
proprietà dell’organizzazione in cui lavora. Gli utili
residuali, dopo il pagamento dell’interesse
spettante per legge al capitale, saranno devoluti
ai salariati, in modo però che la proporzione fra la
quota percepita a titolo di dividendo non
oltrepassi il 30% di quella percepita a titolo di
stipendio. Di particolare rilievo è poi la delibera di
estendere la socializzazione alle imprese
pubbliche , attribuendo a ciascun collaboratore un
certo numero di titoli di credito emessi dall’ente
medesimo. Ciò nell’intento di superare l’antinomia
fra settore privato e pubblico, universalizzando la
proprietà dei mezzi di produzione. Il precipitare
degli eventi bellici ostacolò la puntuale
applicazione del decreto, ma la strada verso il
cambiamento sociale era stata imboccata.
Qualcosa di molto simile , incredibilmente, è
riproposto nel 1968 dal presidente de Gaulle, capo
storico della resistenza francese. Il 30 giugno
invia una nota al Consiglio dei Ministri in cui
chiede che venga istituita, nelle aziende, la
partecipazione di tutti i collaboratori alla gestione
e alla comproprietà del pacchetto azionario.
L’intera teoria muove dalla necessità di
sconfiggere l’ alienazione dei salariati, costretti a
vendere a un padrone le loro capacità intellettuali
e fisiche. La differenza fra il concetto marxista e
quello gollista d’alienazione consiste nel fatto che,
secondo quest’ultimo, l’opera prestata a favore di
un ente pubblico appare addirittura più alienante
di quella svolta per una impresa privata. Nel
mercato libero , infatti, la possibilità di limitare i
danni derivanti dal rapporto con un padrone
rimane assai più concreta ( maggiore libertà di
scelta) che nell’economia interamente statizzata,
ove i dipendenti sono costretti ad accettare le
condizioni imposte da un unico datore di lavoro.
Gli economisti vicini a de Gaulle coniano
addirittura un nuovo lessico economico. Il sistema
classico di mercato è da loro definito
oligocapitalismo ( i mezzi di produzione nelle mani
di pochi) , mentre il socialismo reale è chiamato
monocapitalsmo ( i mezzi di produzione in mano
ad un solo soggetto). Essi considerano la
partecipazione lo strumento per trasformare la
società in un diverso modello pancapitalista ( i
mezzi di produzione nelle mani di tutti). Anche il
resistente Charles de Gaulle , non diversamente
da Benito Mussolini , mira all’estensione della
proprietà a tutti coloro che partecipano al
processo produttivo. Il fine ultimo di entrambi è il
superamento della differenziazione fra settore
pubblico e privato, oltre che della lotta di classe..
La partecipazione, massimo strumento di
democrazia diretta, è oggi l’unica arma efficace
contro la cupola mafiosa. Eccoci allora alla
drammatica domanda: coloro che vilipendono
Mussolini per aver difeso con le armi l’
indipendenza nazionale dai poteri forti mondiali,
possono effettivamente dimostrare che avesse
tutti i torti? Se personaggi come de Gaulle o
Edgardo Sogno, pur provenendo da culture
politiche opposte, sono poi giunti a conclusioni
analoghe, vorrà significare qualcosa? Ne tengano
conto coloro che , da qualunque parte della
barricata, si battono oggi contro la mafia globale!
Il fascismo non potrà certo rinascere , ma un
nuovo movimento di massa che recepisca quelle
stesse esigenze si sta già rapidamente formando.
Basta che esca dalle catacombe e scelga un
leader degno di tal nome in grado di guidarlo!

Carlo Vivaldi Forti - Italia Domani


Fare Fronte

Il governo Gentiloni è andato in scena a reti


unificate, tra i lustrini e le paillettes dei dibattiti
televisivi, i fiumi di parole della meglio
intellighenzia nazionale schierata a gettone, e dosi
industriali della nuova retorica americana e
giovanilistica da simpatici amiconi “goodfellas”,
simboleggiata da un Renzi finto allegro che
abbraccia il suo prestanome e successore
consegnandogli non la ridicola campanella, ma la
felpa con su scritto Amatrice. Almeno in quello, lo
stile Salvini è al governo. I terremotati sfruttati
intanto tremano, e non solo per l’inverno. No,
non conoscono la vergogna. Loro e, soprattutto il
loro mandanti internazionali. Il dominus di casa
nostra, Giorgio Napolitano, che manteniamo dal
1953 ed è affiliato dal 1978 ai circoli di potere più
riservati del pianeta, ha piazzato ancora le proprie
pedine, come la volitiva Anna Finocchiaro al
centro del cratere governativo, e può contare
sulla devozione generale di costoro. Specie della
signorina Maria Etruria Boschi, la fatina delle
riforme abortite, incredibilmente ancora in sella
come sottosegretario alla presidenza del Consiglio
che vorrebbe dire portavoce, ombra e angelo
custode in conto terzi del presidente. Già, il conte
Gentiloni Silveri, patrizio marchigiano con feudo in
Filottrano, Ancona. Dopo la scapestrata giovinezza
tra i mazzieri di Mario Capanna, il cui servizio
d’ordine era capeggiato dal Santo Gino Strada,
patrono e padrone di Emergency, la ONG più
buona che ci sia, venne la pensosa maturità prima
con l’ambientalismo e poi a sfogliare Margherite.
Adesso, alle soglie della vecchiaia, assurge alla
carica di capo del governo. Forse hanno ragione
gli americani: tutti ce la possono fare,
specialmente se lavorano da anni per la perdita di
sovranità del loro Paese a favore di Unione
Europea e potentati internazionali, e se,
soprattutto, si trovano al posto giusto proprio al
momento giusto. Non conoscono vergogna,
davvero. Hanno perduto rovinosamente la loro
scommessa politica, ma non cedono. Non vuolsi
così là dove si puote ciò che si vuole. Eh, sì,
perché la posta in palio della riforma
costituzionale abbattuta dal voto popolare non era
certo il nuovo Senato o la goffa bandierina della
diminuzione del costo della politica ( il costo del
regime si può abbattere, ma a patto di abbattere
il regime), bensì la costituzionalizzazione del
primato del diritto dell’Unione Europea e degli altri
centri di potere transnazionale. Si sono rialzati in
piedi quasi in tempo reale, ed abbiamo quindi il
piacere di vedere Angelino Alfano promosso
ministro degli Esteri. Perde il posto solo la povera
professoressa Giannini, conosciuta per la
sedicente “buona scuola” decisamente, il nostro è
un Paese ridicolo e per un
incauto topless balneare. Premio alla tardona che
non si rassegna. E’ sostituita da una senatrice, la
signora Fedeli – nomen omen – dall’inquietante
aspetto da combattente “de sinistra” degli anni
Settanta. Resistono quasi tutti gli altri, soprattutto
il professore Padoan, proconsole e
plenipotenziario degli gnomi di Bruxelles e
Francoforte, qualcuno deve pur fare il lavoro
di “governance”, mentre gli altri giocano col
potere. C’è anche una splendida“new entry”,
Marco Minniti ministro dell’Interno, D’Alema conta
ancora, eccome, e ribadisce attraverso il suo
sodale il controllo sugli apparati più riservati del
potere. Intanto, incombe una drammatica crisi
bancaria, di cui giornali e televisione parlano
molto meno del giusto, e si capisce perché. La
ricchezza globale degli italiani è scesa in un anno
di altre decine di miliardi, uno su quattro è a
rischio povertà. L’occupazione non cresce,
nonostante le contorsioni statistiche e finiti gli
effetti di droghe passeggere come il Jobs Act, le
famiglie monoreddito fanno ormai parte della
grande platea del nuovo proletariato. Monte dei
Paschi- un vergogna tutta italiana e molto
“sinistra”, Banca di Vicenza, Carige, persino
Unicredit sono in bilico. Probabilmente il disegno è
proprio quello di consegnare l’ultimo mazzo di
chiavi in mano nostra alla Troika o addirittura al
famigerato MES, il Meccanismo Europeo di
Stabilità, nome soave, rassicurante dell‘ infernale
fondo monetario europeo che dirigerà gli affari
nostri con poteri assoluti e pienamente legali.
Tutto sommato, ce lo meritiamo: siamo un popolo
che ha creduto a tutto ed a tutti. Abbiamo
creduto in Di Pietro e in Mani Pulite, la gigantesca
operazione che ha spazzato via , con una classe
politica, la ricchezza industriale e finanziaria frutto
di un’Italia che sapeva lavorare. Abbiamo creduto
persino in Berlusconi, salvo abbandonarlo con
disprezzo nel 2011, quando l’assalto
internazionale nei suoi confronti era l’attacco alle
poche iniziative giuste da lui intraprese, come gli
accordi energetici con Putin e Gheddafi . Abbiamo
puntato tutto anche su Matteo Renzi, il venditore
di auto usate passato da Rignano sull’Arno a
chiamare per nome Angela Merkel e alle cene di
gala con Obama con buffoni di corte al seguito, ed
abbiamo perduto, una volta ancora. La cosiddetta
sinistra dorme il sonno di chi ha abbandonato i
poveri per patrocinare stranieri, femministe
ritardatarie e disturbati sessuali. Il resto, non
pervenuto, a meno di non prendere sul serio
i tweet di Salvini e le sue felpe, o il sovranismo di
Giorgia Meloni. Finiremo in mano a Beppe Grillo,
forse moriremo dal ridere. Non è un bel modo di
uscire di scena. E’ la tragedia di un popolo
diventato ridicolo da quando ha cessato di
indignarsi. Forse aveva ragione Pannella: fece
molto meno danno a Montecitorio Ilona Staller, il
vecchio , trapassato comune senso del pudore
non l’ha abolito Cicciolina, ma la compagnia di
giro che, in conto terzi e con lauta provvigione,
tiene in mano l’Italia da decenni.

Roberto Pecchioli (Fronte Liguria)


Contributo

La Grande Guerra Patriottica dell’Antimafia:

La mafia non è semplice criminalità e neanche


un’organizzazione criminale. La mafia all’interno
della sua struttura e della sua natura presenta
notevoli differenze rispetto a ciò che è il crimine
nella sua concezione più immediata e diffusa.
Nell’immaginario collettivo il mafioso viene
percepito molto spesso, da chi vive in una
dimensione apparentemente lontana dai fatti di
mafia, come un criminale romantico e brutale,
ammantato da un fascino che in molti casi rasenta
l’erotico. Questa concezione immaginaria,
direttamente causata da alcune trasposizioni
cinematografiche e televisive molto distanti dalla
realtà, ha trasmesso l’idea di un criminale-eroe
che tenta di elevare la propria condizione
disagiata fin dalla nascita e che lotta contro una
società oppressiva che ne limita la libertà con la
Legge. Tutto ciò fa da sfondo, di solito, ad una
struggente storia d’amore ostacolata da più parti.
Se abbandoniamo la fantasia delle serie televisive
e dei film ambientati nel proibizionismo
americano, per tuffarci nella realtà ben più
complessa di un fenomeno che da almeno due
secoli vive e si evolve sulle spalle dell’Italia,
scopriamo un’estrema complessità non ancora
pienamente compresa dai più. Basta osservare
l’esperienza delle mafie italiane nel corso della
loro storia per capire che si tratta di un qualcosa
di molto diverso da chi “semplicemente” si associa
per rubare, per truffare o per corrompere. Questo
aspetto di radicale diversità forse era più
compreso, paradossalmente, quando la mafia
stessa era meno conosciuta e meno indagata nei
suoi aspetti più caratteristici; infatti tra la fine del
XIX e l’inizio del XX secolo si considerava la mafia
del tempo come una setta o una società segreta.
Nella raccolta di racconti “Il ritorno di Sherlock
Holmes” di sir Conan Doyle, nel 1905 nel racconto
“l’avventura dei sei Napoleoni”, il protagonista
dice al dottor Watson, parlando di un personaggio
italiano che compare nella storia: “È legato alla
mafia che, come lei sa, è una società politica
segreta che ricorre all’omicidio per far rispettare
la sua legge”. Quindi, come si diceva, non
un’organizzazione criminale ma un’organizzazione
segreta e politica che utilizza il crimine come
strumento di controllo. Analizzando le azioni delle
organizzazioni mafiose vediamo che sono
strutture che basano il proprio potere sulla
capacità di controllare un territorio che fa da
fulcro e che permette la diffusione e l’infiltrazione
di tale potere in altri territori. Il controllo
territoriale passa attraverso una forma di visibilità
sul territorio stesso alternando l’uso
dell’autorevolezza a quello della forza per inserirsi
nel tessuto sociale allo scopo di controllarne,
almeno parzialmente, lo sviluppo. Riescono a fare
ciò grazie ad una struttura gerarchica interna ai
clan, a una esterna che collega i clan tra loro e ad
una forma di ritualità che ha l’effetto di collante
che affonda le sue radici nelle tradizioni rurali ed
in credenze quasi leggendarie che legittimano e
nobilitano le azioni delle “onorate società”. Gli
aspetti sopra elencati sono ciò che caratterizza la
mafia e ciò che la distingue da altre tipologie di
organizzazioni. I gruppi puramente criminali sono
privi di una struttura gerarchica sviluppata al loro
interno né tanto meno, di una struttura che
ordina e raccoglie i vari gruppi regolandone i
rapporti. L’aspetto organizzativo effettivamente
ricorda molto quello di una società segreta ma
non ha un controllo del territorio così pressante e
strutturato. Diverge dalle sette, invece, perché
l’elemento rituale varia in base alle necessità
strumentali del momento che l’ingresso stesso
nella mafia può essere barattato o utilizzato come
merce di scambio o un pagamento per la
corruzione di un pubblico ufficiale. Alla luce di ciò
occorre dare una definizione della mafia che non
sia viziata da percezioni distorte o da pregiudizi
ma che sia rispettosa della realtà e che sia capace
di comprendere tutte le caratteristiche uniche del
fenomeno in questione. Osservando le varie forme
di mafia, partendo da quella siciliana, non si può
far a meno di notare la somiglianza con lo Stato in
alcuni aspetti fondamentali. Come viene spiegato
nelle scuole lo Stato moderno è una forma di
organizzazione della collettività e della vita sociale
che, per la propria esistenza, necessità di un
territorio con confini precisi su cui fa valere il
monopolio della violenza, un popolo su cui
esercitare la sovranità e una struttura gerarchica
che gestisca il potere (potere legislativo,
esecutivo e giudiziario) e l’amministrazione. A
questo va aggiunta una tradizione che fa
riferimento a periodi storici che hanno la funzione
di legittimare lo Stato stesso e di rappresentarne i
valori e gli ideali fondativi. Le somiglianze sono
evidenti ma, del resto, non si può neanche negare
che siano cose diverse sotto molti aspetti di non
secondaria importanza. Uno Stato agisce in senso
politico e nasce dall’attività politica, coordina e
armonizza la società allo scopo di creare una
stabilità, ha una forte burocrazia e cerca di
mantenere il monopolio della violenza. La mafia
non agisce in senso politico, al contrario di ciò che
sosteneva Conan Doyle nel suo racconto, ma
tenta di infiltrarsi in ogni forza politica importante
evitando di sostenerne una in particolare eccetto
quando non sia necessario per i propri affari. La
mafia si insinua nel tessuto sociale per lucrare
sulla mancanza di armonia che si genera nella
società grazie al suo operato. Possiede una forte
gerarchia ma non ha, com’è ovvio, una burocrazia
e subappalta l’utilizzo della violenza se ciò porta
un guadagno. A seguito di queste valutazioni
possiamo identificare la mafia come anti-stato,
cioè come un’organizzazione uguale e contraria
allo Stato che si oppone ad esso. Fin qui sembra
una conclusione banale ma ha aspetti tutt’altro
che scontati. Essere anti-stato non significa
cercare la distruzione dello Stato ma
rappresentare un’alternativa ad esso, cercando di
colmare le “mancanze” dello Stato stesso per
ottenere potere sulla società e sul territorio. Si
può facilmente riscontrare un modello che viene
seguito da ogni organizzazione mafiosa in ogni
tempo ed in ogni luogo. Per prima cosa un clan si
insinua nelle fasce deboli della società, dove
l’autorità delle istituzioni è più debole, dirigendo il
contrabbando e facendo da tramite per i
sequestri. Da qui diventano agenti delle classi più
potenti lucrando sulle spalle di contadini ed operai
che non hanno modo di difendersi. Dal contatto
con le classi più agiate e da una forte influenza su
quelle più povere inizia l’infiltrazione negli
apparati dello Stato periferico fino ad arrivare ad
un forte controllo sull’amministrazione locale.
Questo controllo viene utilizzato per rendere
meno efficace l’attività dello Stato che diventa
incapace di rispondere alle necessità della società.
Queste mancanze vengono colmate, ma non
sanate, dal clan mafioso che così facendo, al
ripresentarsi delle stesse necessità nel tempo,
ottiene un guadagno costante e la gratitudine
della popolazione che si sente tutelata da uno
Stato crudele ed oppressivo. Tuttavia, in molti
casi, i guadagni illeciti sono difficilmente
usufruibili, quindi vengono investiti in attività
lecite, che rappresentano la vera ricchezza della
mafia. Ovviamente la mafia non cerca l’anarchia e
non cerca di sostituirsi allo Stato, perché non
sarebbe capace di gestirne le conseguenze, ma è
alla ricerca del malfunzionamento dello Stato,
soprattutto nel garantire i diritti sociali, in modo
da ottenere il massimo profitto con il minimo
sforzo. Il modello che è stato appena descritto è
la tendenza generale ma ci sono innumerevoli
varianti dettate dalle necessità circostanziali come
la competizione tra clan rivali o per evitare di
attirare troppo l’attenzione dello Stato, infatti
un’aggressione diretta allo Stato non può far altro
che risolversi con la distruzione dei clan coinvolti
o con la fine dei loro capi, come i più spregiudicati
di loro hanno imparato in vari momenti storici ed
in diversi luoghi. La mafia agisce il più possibile
nell’ombra e uccide solo quando pensa che la
vittima in questione sia più pericolosa da viva
piuttosto che da morta. Questa spiegazione ha
bisogno di un esempio concreto per essere
compresa pienamente. Uno dei casi più
rappresentativi si svolge tra il XIX ed il XX secolo.
Il protagonista di questa storia si chiama
Bernardino Verro, nato e cresciuto a Corleone.
Nonostante un percorso scolastico terminato
precocemente viene assunto negli uffici comunali
del suo paese finché non diventa socialista dando
inizio al suo impegno politico in favore dei
contadini. A quel tempo i terreni coltivabili erano
concentrati nelle mani di pochi, ricchissimi,
proprietari che abitavano nelle città lontane dai
campi e si disinteressavano della loro gestione.
Questi terreni venivano affidati a degli
intermediari, chiamati “gabellotti”, che a loro volta
affittavano ai contadini a canoni altissimi. In
queste condizioni i contadini e i braccianti erano
ridotti alla fame e qualsiasi tentativo di ribellione
era bloccato dalla mafia, dato che i gabellotti
erano quasi tutti membri, o addirittura capi, dei
clan. Nel 1893 Verro fonda uno dei primi Fasci
siciliani a Corleone, un’organizzazione politica, di
stampo socialista, con lo scopo di tutelare i
contadini ed operare una redistribuzione delle
terre. Tramite il Fascio, Verro riesce ad
organizzare scioperi e ad attirare l’attenzione della
politica nazionale, infatti, in tutta la Sicilia
cominciarono a nasce nuovi Fasci. Poco dopo la
fondazione del suo Fascio, Verro venne invitato a
partecipare ad una riunione segreta fuori dal
paese da un gabellotto. In questa riunione gli
vennero presentati tutti i capi dell’onorata società
di Corleone e gli venne offerto di entrare a farne
parte, proposta che venne accettata. Ovviamente
la mafia accoglie Verro tra le sue fila per poterlo
controllare e per non correre il rischio di non
avere rapporti con un movimento politico che si
sarebbe potuto dimostrare estremamente potente
anche a livello nazionale. Dal canto suo Verro
spera di ottenere maggior sostegno per la sua
causa proprio dalla mafia ora che ne fa parte. Le
speranze di entrambe le parti vengono disilluse,
Verro si dimostra incontrollabile ed instancabile
nella sua lotta e questo spaventa molto la mafia
che decide di schierarsi contro i Fasci. Verro viene
ostacolato in ogni modo sul piano politico, viene
minacciato, viene arrestato più volte a causa di
alcune testimonianze fasulle per poi essere
rilasciato dopo pochi mesi, i suoi amici e i capi dei
Fasci dell’isola vengono malmenati o uccisi.
Nonostante ciò fonda una cooperativa nel 1899
che ha lo scopo di aiutare i contadini ad affittare i
lotti del terrene senza l’intermediazione dei
gabellotti. Negli anni seguenti continua a perdere
amici per mano della mafia e nel 1910 lui stesso
subisce un agguato a cui sopravvive con solo una
ferita superficiale al polso sinistro. Con
l’introduzione del suffragio universale maschile,
nel 1912, decide di candidarsi come sindaco di
Corleone e alle successive elezioni, nel 1914,
vince. Con le continue vittorie conquista la fiducia
dei contadini corleonesi che lo sostengono e lo
hanno sempre sostenuto nonostante le minacce, i
morti, il carcere ed i tradimenti subiti. Il 3
novembre 1915 il sindaco Verro viene colpito a
morte da due sicari appostati ai lati delle strada
mentre saliva la scalinata d’ingresso al municipio.
Immediatamente dopo l’agguato, uno dei due
sicari si avvicina al corpo di Verro, ormai senza
vita, e svuota il caricatore della sua pistola sul
volto del morto fino a renderlo irriconoscibile. Un
chiaro messaggio per chiunque avesse voluto
seguire la sua strada. Dopo la sua morte Corleone
diventa un paese completamente prostrato al
potere mafioso che si consolida legandosi
profondamente al tessuto sociale del paese,
legame di cui non si è ancora liberata. Con la
morte di Verro ogni iniziativa d’opposizione alla
mafia cessa nei fatti permettendo, non solo di
continuare lo sfruttamento dei contadini, ma
anche ai capi mafiosi di acquistare ed accumulare
terreni agricoli aumentando a dismisura i propri
guadagni. Questo è un esempio estremamente
rappresentativo che permette di capire
chiaramente il funzionamento e gli scopi della
mafia, perseguiti con una varietà impressionante
di mezzi capaci di adattarsi al contesto con
facilità. Come si è già detto, la definizione di
mafia più completa è quella di anti-stato. Ciò
comporta un’estrema capacità d’adattamento
perché, in base a dove si trova e allo Stato con
cui si deve confrontare, riesce a modificare la
propria strategia diventandone l’opposto,
soprattutto se lo Stato non è consapevole della
presenza di questo parassita silenzioso. Se noi
prendiamo ad esempio i potenti clan camorristici
Nuvoletta e Di Lauro, sul finire degli anni ’90 fino
ai primi anni 2000, mettono in piedi una
formidabile struttura organizzativa convertendo le
periferie di Napoli in una gigantesca piazza di
spaccio ed in un enorme magazzino di droga
sfruttando il disagio sociale, ottenendo
manodopera a bassissimo costo dalle persone
disperate e sfiduciate che abitano quei quartieri.
La droga si muove da e per Napoli attraverso le
navi mercantili grazie ai porti di Barcellona,
Marsiglia e Nizza, che sono anche importanti
piazze di spaccio, e da qui vengono diffuse in
tutta Europa. Le stesse linee di distribuzione sono
seguite dalle armi e da varie forme di
contrabbando come i capi d’abbigliamento
contraffatti. I soldi che vengono ricavati da queste
tratte vengono investiti in grandi centri economici
e, in modo particolare, nel settore dei servizi. In
città come Roma, Milano, Torino, Berlino,
Francoforte, Parigi e Londra abbiamo innumerevoli
alberghi, ristoranti, negozi d’abbigliamento di
lusso e aziende di trasporti controllate dai clan.
Grazie a questi investimenti, che hanno lo scopo
di riciclare il denaro, i clan arrivano a stringere
forti legami economici con banche e fondi
finanziari. Questi contatti fanno da testa di ponte
per inserirsi in nuovi tessuti sociali ed in nuovi
territori applicando nuovamente il modello sopra
spiegato. La mafia deve essere considerata il
primo nemico dello Stato proprio perché ne altera
la struttura e ne limita il controllo del territorio,
destabilizza il tessuto sociale e danneggia ogni
suo tentativo d’intervento. Conseguentemente
deve essere il primo nemico anche per ogni
movimento politico che creda nell’idea dello Stato
e che lo metta al centro del proprio progetto
politico. Ogni tentativo, compreso il più giusto ed
opportuno, sarebbe destinato a fallire proprio
perché la mafia mina la capacità d’azione delle
istituzioni. Deve essere chiaro che la lotta in
difesa dello Stato e della Patria contro la mafia
non è una lotta politico-ideologica, anche se
generata da motivazioni di tale natura, perché la
mafia non è un soggetto politico, anche se sfrutta
la politica per il proprio interesse, e quindi non si
ha la pretesa che essa diventi il primo nemico in
senso politico ma che diventi uno dei primi da un
punto di vista ideologico, perché la sua sola
presenza impedisce, di fatto, il realizzarsi di un
qualsiasi progetto statalista e patriottico.
L’operato delle forze dell’ordine è solo la metà
della lotta, perché a questa deve seguire una
battaglia culturale che porti le persone a fidarsi
nuovamente dello Stato e che permetta allo Stato
stesso di intervenire per il benessere sociale del
popolo italiano. La battaglia che da anni viene
combattuta dall’Antimafia deve essere considerata
la Grande Guerra Patriottica del nostro tempo
perché è il prerequisito inderogabile ad ogni
azione in favore del popolo, per una società più
giusta e per uno Stato più saldo e indipendente.

Cyborg
GLOBALIA

ANTIMPERIALISMO MEDITERRANEO.

Con la progressiva disgregazione dell'area


europea le culture politiche esterne al centro
liberale si trovano nella condizione di riproporre
una nuova etica globale e una nuovo “perno”
geopolitico della Nuova Italia. Qualsiasi
considerazione di tal fatta deve necessariamente
partire da alcuni assunti che costituiscono la base
di qualsiasi indagine della politica estera del
nostro paese. Non tener di conto di queste basi
vuol dire creare uno iato tra le reali necessità
delle classi subalterne italiane e la direzione della
politica internazionale, con due risultati
ugualmente deprimenti: o la inagibilità teorica o
una oggettiva posizione sciovinista nella pratica.
Tale nozioni di base sono: la natura coloniale dello
Stato Italiano, La base industriale e imperialistica
di seconda fascia del capitalismo italiano, che ci
pone in netto contrasto con le prerogative della
geopolitica dell'attuale stato italiano. La natura di
mediazione culturale del nostro paese, di caratura
secolare, che la rende il ponte ideale di qualsiasi
progetto di dialogo col Medioriente e l'Africa.
Anche se il Fronte Nazionale ha da sempre
propugnato una visione eurasiatica, convinto della
valenza antimperialistica ed anticapitalista
dell'Eurasiatismo (dove correttamente inteso),
non è realmente possibile evitare una riflessione
seria sul rapporto tra Rivoluzione, Italia e
Mediterraneo. Sia il lungo periodo che le
emergenze attuali (immigrazione su tutte) ci
mettono davanti alla necessità teorica di
confrontarci con la dimensione mediterranea.
Queste tesi sono concepite espressamente come il
risultato di una miscellanea di punti fermi sui quali
la riflessione geopolitica del Fronte Nazionale (e di
qualsiasi formazione socialista, patriottica ed
antimperialista) dovrebbe attentamente riflettere.
E' assolutamente necessario, per gli
antimperialisti italiani, respingere l'idea che possa
esistere la possibilità di implementare dentro le
strutture della politica estera europea una
“agenda del Mediterraneo”. L'Unione Europea
nasce dall'incontro tra due istanze: la necessità
francese di imbalsamare l'ordine politico
successivo al 1945 e a quella americana di avere
un contrafforte antisovietico nel rimland
occidentale della massa eurasiatica. A ciò, con
l'Euro, si è aggiunta la necessità del nuovo
capitalismo tedesco che ha preteso di adattare la
moneta nuova alle sue necessità personali, in
obtempere al nuovo nazionalismo tedesco
costituzional/economico: “Esporto, dunque sono”.
Questo è il reale nucleo, l'essenza della politica
europea. In questo progetto non c'è spazio per
una integrazione mediterranea, ne' “forte” (tesi
dell'Impero latino di Kojeve) ne' debole (l'Unione
del Mediterraneo proposta da Sarkozy). Il capitale
franco-tedesco vuole mantenere i paesi
meridionali dell'Europa in uno stato di “mercato
insoluto”, cioè di un mercato che acquisti le merci
tedesche e che assorba i capitali anglofrancesi ad
una velocità sufficiente. Il recente allargamento
ad Est dell'Unione Europea e i nuovi legami di
Berlino con la Cina testimoniano peraltro che il
capitale tedesco si sta riorientando ad altri terreni
di caccia, portandosi appresso una parte
consistente delle energie diplomatiche europee.
Qualsiasi unione del Mediterraneo proposta da
enti borghesi o da governi nazionali borghesi è
destinata non a implementare una reale unione
dei popoli mediterranei per scopi comuni, ma ad
allargare a sud un mercato comune che dove
arriva corrompe, distrugge ed aumenta la
sprerequazione. Queste unioni sono dunque
destinate ad essere elementi di “cooptazione
gentile” delle borghesie dei paesi del sud
Mediterraneo, e quindi a creare nuovi dispositivi
diplomatici per mangiare sulla pelle dei piccoli
imprenditori e sui salariati dei suddetti paesi. Una
partecipazione italiana a questi organismi non
sarebbe positiva, nella misura in cui non è
positiva una espansione del raggio in cui i capitali
italiani operano senza una seria politica
keynesiana. E' quindi necessario che gli
antimperialisti italiani si schierino contro queste
unioni, proponendo invece larghe alleanze con
altri movimenti lungo i confini mediterranei. Il
Mediterraneo è la casa di tre grandi religioni
monoteistiche e di 5 confessioni: cattolicesimo,
ortodossia, sciismo,sunnismo, ebraismo. Posto il
rifiuto dell'ateismo scientifico e la nozione che
ciascuna religione occupa, con un linguaggio suo
proprio, tutto il ventaglio di classe che va dal
grande imprenditore al misero nullafacente, si
rivela necessario impostare la questione su basi
egualitarie e non sciovinistiche. Una futura unione
del Mediterraneo su basi realmente socialiste sarà
espressamente basata sul mutuo rispetto religioso
e sulla reale libertà religiosa, di culto e di
rappresentanza politica. E' quindi necessario
disarmare le narrazioni islamofobe o di odio
intrinseco contro le altre religioni e puntare ad
una politica sociale, culturale e narrativa che
rilanci la cooperazione tra fedi diverse come
antidoto migliore a chi, invece, sul terreno della
islamofobia o dell'odio verso le religioni costruisce
una base soggettivamente sciovinistica.
L'islamofobia è infatti, in modo aperto o meno,
una ideologia imperiale, che pertanto deve essere
combattuta al pari dell'egoismo, dell'eclettismo e
del consumismo. Nessun socialismo mediterraneo
o progetto comune di liberazione del Mediterraneo
è possibile senza una strenua lotta al sionismo,
inteso come dispositivo religioso e culturale in
mano al grande capitale e come concreta rete di
sostegno allo stato di Israele. Il sionismo è frutto
dell'incontro tra la necessità del nazionalismo
ebraico e le prerogative culturali di alcuni ceti
borghesi imbevuti di liberismo politico. Questo
dispositivo appoggia da sempre gli elementi retrivi
dello stato italiano che opprimono gli sfruttati
italiani. Attivamente il sionismo agisce non solo in
Italia, ma infiltrandosi nei gangli del potere in
tutto il mondo occidentale, e in modo
apertamente militare nel resto del mondo
mediterraneo. Le due anime del sionismo non
scindibili: Israele sopravvive grazie a queste rete
che orienta le opinioni pubbliche dei paesi
capitalisti e disarma culturalmente gli antisionisti
potenziali, e questi ceti trovano nella macchina da
guerra israeliana un padrino molto forte. Ogni
progetto antimperialista mediterraneo deve
pertanto tenere di conto di questa natura, e che,
occasionalmente, il sionismo come rete di
influenza si comporta in modo apparentemente
diverso (se non opposto) al modo in cui si pone
Israele nell'agone internazionale. La distruzione di
Israele, mediante il supporto a stati e movimenti
antisionisti radicali, dovrebbe essere un punto
fermo nella costruzione di una etica mediterranea
antimperialista. L'imperialismo americano ha
distillato, negli ultimi vent'anni, un nuovo veleno:
la “Balcanizzazione”. Questo procedimento è stato
utilizzato contro la Yugoslavia, prima di tutto, ma
in seguito anche contro Libia, Siria, Libano,
Turchia e Serbia, solo per citare una serie di paesi
afferenti al bacino mediterraneo. La
“Balcanizzazione” è un formidabile arma contro
qualsiasi nazionalismo socialista e antiamericano,
dato che dissangua le forze nazionali in una
guerra civile su base confessionale, premurandosi
di rinnovare continuamente le condizioni in cui
questa guerra civile “in vitro” possa continuare.
Come ci hanno insegnato Sankara, Nasser,
Gheddafi e le pratiche antimperialiste di paesi
come la Siria, la Libia, ecc.. la creazione di grandi
agglomerati nazionali, frutto del libero accordo di
molte nazioni in senso anche federale costituisce
un ambiente ideale per lo sviluppo del socialismo
e di una economia non liberista. Dunque è
oggettivamente positiva l'esistenza di stati dalla
molteplice natura confessionale od etnica (Libano,
Siria, Bosnia, ecc) sul Mediterraneo, dato che una
loro esplosione favorirebbe la libera corsa alla
sfruttamento di molte borghesie nazionali e
getterebbe nel caos alcune esperienze
comunitarie molto positive. Il supporto del Fronte
Nazionale alla Siria di Assad è risultata essere una
scelta politica illuminata, da ripetere in futuro in
difesa di Algeria, Libano, Egitto, Turchia. L'Italia,
dovrebbe rifiutare in toto qualsiasi intervento, sia
in solitaria, sia in accordo con la NATO. Dentro le
architetture imperiali le libertà geopolitiche
apparenti (libertà di investimento, libertà di
subcolonialismo, libertà di protettorato) sono
sempre libertà delle classi borghesi. Occasionali
problemi che danneggiano tutto il popolo italiano
(come l'immigrazione, od il terrorismo) debbono
essere risolti per via diplomatica . Qualsiasi forma
di “Lotta al terrorismo” che coinvolga attivamente
la macchina militare italiana dovrebbe essere
respinta, a meno che essa non assuma contorni di
lotta alla balcanizzazione. Difatti, il terrorismo
della balcanizzaione è l'effetto primo e più
velenoso. E' tuttavia necessario combattere la
suddetta “balcanizzazione” per opporsi
validamente al terrorismo. A queste tesi,
concepite come indicazioni di riflessione basate
sui fatti citati inizialmente e che, a mio modo di
vedere, costituiscono una base di analisi
imprescindibili, ritengo si debbano affiancare due
corollari: Una partita molto importante nel
Mediterraneo si gioca in Turchia. Quì è necessario
opporsi alle posizioni antiturche per principio, e
ricordarsi che la Turchia ha il terzo esercito della
NATO per estensione e la fanteria più numerosa
d'Europa. Tutta una serie di fattori, tra cui la
posizione geografica, l'esposizione diplomatica, un
gran tasso di inurbamento e la leva obbligatoria,
che “Militarizza” e “socializza” l'esperienza sociale
la rendono un laboratorio per qualsiasi
esperimento mediterraneo. L'Algeria, unico paese
arabo sunnita a schierarsi risolutamente con
Damasco durante la guerra civile, è da un
decennio bersaglio di attacchi e di accuse
dirittoumaniste. Pur se non socialista, l'Algeria ha
creato una esperienza di gestione sociale delle
risorse autoctone, di limitazione della
penetrazione esterna e di una diffusa
socializzazione delle imprese. E' quindi necessario
per il Fronte Nazionale difenderne l'esperienza
contro gli attacchi che potrebbero arrivargli Di
volta in volta il nazionalista non sciovinista (vale a
dire il socialista patriottico) deve valutare quale
posizione geopolitica giovi ad una determinata
classe dentro un determinato paese, e dentro il
nostro. Una posizione che favorisse la borghesia
di entrambi i paesi sarebbe deleteria,in quanto
rafforzerebbe contestualmente lo stato borghese
di tutte e due le nazioni, impedendo ai rispettivi
movimenti anticapitalisti di rafforzarsi. In un
momento storico come questo è necessario
respingere l'idea che il “Multipolarismo” possa
diventare una “moltiplicazione dei nazionalismi”:
non può esistere vero nazionalismo senza
socialismo integrale. Quindi una posizione
nazionalista in un mondo multipolare, quando non
sia tattica, risulta dannosa agli stessi fini del vero
nazionalismo. Il “Multipolarismo” è una fase del
momento imperialista: il capitalismo si è ormai
diffuso ovunque, e quindi, armi in mano, Cina,
Brasile, India ed altri organizzano le loro sfere di
influenza. Il “Multipolarismo” è, se usiamo una
metafora cosmica, il momento esatto dopo
l'esplosione di una stella: la diffusione dei centri di
potere ovunque, che è prodromo al loro
indebolimento per le guerre fratricide e la
conseguente possibilità di addivenire a nuovi
sistemi privi di caratteristiche egemoniche. Il
nazionalismo italiano deve pertanto spingere
sul'accelleratore del multipolarismo, difendendo le
conquiste cinesi e russe, fintantochè la minaccia
di rappresaglie occidentali costituirà un oggettivo
problema.

Lorenzo Centini
EOWYN
"Sembravano essere dominate dal dispetto di non
essere nate uomini piuttosto che dall’orgoglio di
essere donne. - Evita Peròn

Femminile e Femminismo: una lettura frontista.

Autocoscienza e Comunità: sono questi gli strumenti attraverso cui la


Donna Frontista raggiungerà quello che, parafrasando Kant, può
essere definito un “Aufklarung Femminile” (1), ovvero l’uscita da
uno stato di minorità non imputabile, stavolta, né a loro stesse né ai
fantasmi della società patriarcale, ma a un mostro ideologico
prodotto dalla cultura liberal-capitalista, il femminismo, un
abominio che nulla ha a che spartire con la gloriosa storia di Olympe
de Gouges, Emmeline Pankhurst e altre grandi esponenti del pensiero
femminile moderno, di cui invece il movimento femminista
contemporaneo rappresenta solo una degenerazione funzionale
all’attuale sistema economico-sociale. Questo, attraverso i mezzi
della propaganda liberale io-centrica, ha operato negli anni una
progressiva virilizzazione del Femminile, distruggendone l’unità
biologica, affettiva e psicologica, e promuovendo non
l’emancipazione della donna dall’uomo, ma della donna da se stessa.
Il motivo? L’abbattimento dei costi di uno stato sociale costruito
sulle esigenze della Lavoratrice. La Maternità costa troppo? Ecco
allora che il capitalista, attraverso il megafono femminista, risponde
con una vera e propria campagna denigratoria nei confronti della
medesima: diventare madre non rientra fra gli obiettivi della donna
moderna, i figli sono solo un ostacolo che si contrappone alla sua
realizzazione, che per ragioni puramente economiche esige che essa
sia libera da qualsiasi legame familiare, etico e morale, in perfetto
accordo con la narrazione liberale. Poco importa se questo violenta la
natura della Donna e i suoi affetti più profondi: emancipare la donna
dalla maternità vuol dire avere lavoratrici più efficienti, efficienza
ottenuta mascherando ragioni puramente economiche con un altro
leitmotiv della propaganda liberista: i diritti civili. Non essere una
donna è diventato quindi un diritto civile e gli stessi media hanno
abilmente contribuito a costruire il mito della donna “forte”, “libera”,
“indipendente”, ma soprattutto aderente a un preciso modello, quello
maschile, non solo nelle esigenze, ma anche e soprattutto
nell’habitus. Risulta essenziale, a questo punto, il recupero di una
autentica coscienza di genere da contrapporre con forza al
femminismo, braccio ideologico del capitalismo, che come una
moderna dea Kali si propone la distruzione di tutto ciò che possa
definirsi umano. L’autocoscienza appare, quindi, l’unica via
percorribile per acquisire la piena consapevolezza dei propri diritti,
ma soprattutto dei propri doveri, ed è qui che entra in gioco la
dimensione comunitaria, all’interno della quale la Donna potrà e
dovrà esprimere pienamente le proprie doti intellettuali, senza mai
per questo abiurare al suo ruolo di madre, non solamente dei propri
figli, ma soprattutto della società. A tal proposito risulta decisivo il
recupero del pensiero di Jane Addams, premio nobel per la pace del
1931, e della sua idea di “maternità sociale”, attraverso cui
migliorare la Comunità per renderla a misura di donna e di bambino:
“(…) Il valore della donna per gli Stati moderni, continuamente
costretti ad affrontare riforme sociali, consiste nel fatto che gli statisti
oggi sono impegnati nel tentativo di trasformare la nuova sensibilità
sociale in azione politica. I tentativi in corso in vari Paesi d’Europa
di estendere alle malattie i principi delle assicurazioni sociali e di
controllare la disoccupazione attraverso gli uffici nazionali di
collocamento non sono tanto delle riforme sociali quanto degli
enormi elementi di una grande costruzione di ingegneria sociale, per
la quale il parere delle donne è assolutamente indispensabile.
Ovunque le Commissioni governative si avvalgono delle
testimonianze delle donne per legiferare in materia di qualità di
abitazioni, servizio sanitario, istruzione, assistenza alle persone a
carico e molte altre misure riformatrici, perché è ovviamente
pericoloso affidare dei delicati esperimenti sociali agli uomini, che
sono rimasti completamente estranei alle preoccupazioni sociali e
che sono stati eletti a ricoprire cariche legislative unicamente in base
a quelle che in passato si consideravano questioni politiche. ” (2) Per
la Addams è dunque irrinunciabile la sensibilità femminile per
migliorare la Comunità, fino a quel punto pensata e declinata solo in
senso maschile, e la maternità non risulta solamente un istinto
biologico, ma un patrimonio di esperienze e conoscenze che deve
essere valorizzato e messo a servizio dello Stato. Alla luce di tutto
questo l’unica domanda che rimane è: che fare? Non può esistere
emancipazione, né un reale movimento femminile organizzato senza
che si scardini il sistema di disvalori liberista su cui si fonda la
società odierna. Senza considerare i diritti della donna all’interno di
una più ampia ridefinizione della dimensione sociale essi
continueranno a essere parole vuote, prive di contenuto. La
rivoluzione femminile deve essere,quindi, anche e soprattutto una
rivoluzione politica e sociale portata avanti da Uomini e Donne di
buona volontà al fine di inaugurare una nuova era in cui maschile e
femminile potranno cooperare insieme per costruire un mondo più
giusto. Federica Florio.

Alle Femmine il Femminismo, alle Donne la Rivoluzione!

(1)Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?


(Risposta alla Domanda: che cos’ l’Illuminismo?), 1784

(2)in Anna Rossi Doria, La Libertà delle donne. Voci della


tradizione politica suffragista, Torino, Rosemberg & Sellier, 1990
DEUS VULT

ITALIA REPUBBLICA FONDATA SULL’APOSTASIA

Per alcuni potrà sembrare un oltraggio alla Costituzione, per


altri un fondamentalismo ideologico: poco importa. A noi
interessa testimoniare la Verità, a costo di andare contro tutti
e contro tutto, senza aspettarci alcun merito da questo mondo.
La Costituzione della Repubblica Italiana cita all’ articolo 1 che
“L’ Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.”
Oggigiorno niente di più falso. Di repubblica c’ è rimasta forse
la forma, ma non l’ identità, in una unione di particolarismi
locali sintomo di quella mancanza di coesione che sin dall’
inizio è stata un problema per i massoni che la hanno
costituita; democratica non lo è più, dopo anni di governo
illecito, auto elettosi tramite sotterfugi lobbistici e contro ogni
volontà popolare, ovviamene ignorata; del lavoro meglio non
parlarne, non c’è e quel poco che c’è funziona male, checché
ne dicano i colletti bianchi della statistica parlamentare. Non
è necessario spendere parole per criticare il nostro Belpaese,
perché siamo tutti quanti tuttologi nella penisola e
certamente non basterebbero queste poche righe per
denigrare il nostro orticello in riva al mare d’ Europa, quindi
non sarà questo l’ intento dell’ articolo. Il nostro obbiettivo è
piuttosto criticare, con una denuncia forte e decisa, la deriva
identitaria, ideologica, oserei dire ontologica di questa nazione.
Ebbene, il titolo la dice tutta: l’ Italia è una repubblica fondata
sulla apostasia. Apostasia dalle proprie radice romane e
cristiane, fonte di ogni bellezza e ricchezza, apostasia dai
propri costumi, che hanno fatto dello stivale del continente il
polo sociale di secoli di storia, apostasia da quella cultura che
ha dettato legge sapienziale fino all’ altro ieri, apostasia
persino da quel minimo di buon senso che in qualsiasi società,
anche primitiva, permette di vivere nella logica del bene
comune. Coloro che non amano la polemica costruttiva
possono smettere di leggere qui. Non ci interessano i numeri,
ci interessano i cuori. Sullo scenario italiano, ne abbiamo viste
di tutti i colori…. dell’ arcobaleno! La approvazione, con un
deplorevole escamotage parlamentare, del cosiddetto ddl
Cirinnà per l’ introduzione delle unioni civili nell’ ordinamento
giuridico italiano, equiparando questa nuova forma
antropologica al matrimonio naturale, è l’ ennesima
dimostrazione di uno squallido fallimento. Una legge
anticostituzionale, come da più parti è stato dimostrato,
approvata in maniera non democratica, contro ogni volontà
popolare, infrangendo quel poco che è rimasto della
convalescente certezza del diritto, cosa altro non può palesare
se non che lo smarrimento della retta via di more et usus ? E
quali saranno, adesso , i grandi traguardi, di così fondamentale
importanza per l’ agenda politica, che grazie a questa legge
verranno, forse, raggiunti? Il paese soffre la povertà, le
pensioni non vengono erogate, la moneta non ha valore, i
flussi migratori intra ed extra sono pressoché incontrollati, ci
governa un esecutivo illecito che continua a fare quello che gli
pare, la rabbia e il malcontento spingono le masse popolari a
muoversi gli uni contro gli altri, ma dare matrimonio, figli e
reversibilità dei conti agli omosessuali è indispensabile per
risolvere la crisi del Paese. È proprio vero che in Italia qualsiasi
rivoluzione si ferma non appena comincia la partita della
Champions. Il grande guaio è vedere che questo assopimento
vita-natural-durante della coscienza identitaria forse, un po’,
ce lo meritiamo. Che la famiglia sia il nucleo essenziale di ogni
società è dato di fatto assodato e confermato. Tutti i popoli
del nostro continente hanno sempre messo la famiglia al
centro dell’ apparato sociale, degli impegni politici, della
costruzione stessa dell’ identità nazionale. È in famiglia che si
costruisce il modus vivendi, che si apprendono le norme
sociali e morali, si fa la prima esperienza di “società”, si fanno
propri i costumi della cultura, si incarna l’ esperienza
metafisica della identità personale e comunitaria del popolo
cui si appartiene. E non dimentichiamoci la cosa più
importante di tutti: in famiglia si impara l’ amore. Non è
questa la sede per fare una apologia della famiglia, nei suoi
vari modelli, nella sua evoluzione e nel suo valore, ma
semplicemente riteniamo importante soffermarsi a pensare
per un momento all’ incommensurabile valore della famiglia, e
quindi la necessità di difenderla da ogni attacco che la voglia
disgregare. Oggi vediamo la nostra Italia pugnalare a viso
aperto la famiglia, da un lato con una politica econ-omicida
che costringe a sacrifici frustranti e a rinunciare ai grandi
progetti, ai piaceri e ai sogni per l’obbligato favore a un
welfare che contraddice il suo stesso motivo d’ esistere (quello
di curare le politiche sociali e le questioni del bene comune), e
dall’ altro lato, con la mefistofelica pretesa di elevare ad
assioma di realtà una ideologia irrazionale che contraddice l’
ordine della naturalità biologica, affettiva e relazionale dell’
essere umano, che è uomo e donna, imponendo una legge che
prevede un costrutto sociodinamico partorito per cesario da
una tecnocrazia anti-umanista. Un paradosso puro. Tanto
assurdo quanto pericoloso, perché, si capisce, minando la
famiglia, si distrugge la società, questa nostra precisa società
italiana. L’ equiparazione di un concetto contraddittorio che
volutamente evade il principio di realtà per il capriccio
ormonale di una minoranza lobbistica a “famiglia” è un
peccato di materia grave, un errore dell’ evoluzione socio-
politica della Nazione e, un giorno, l’ esecuzione di una
condanna all’ annichilimento incontrollato di un popolo che ha
smarrito sé stesso. Fare apostasia delle tradizioni è,
precisamente, rinnegare quei principi, valori, usi e costumi che
fondano storicamente e sociologicamente il proprio popolo.
Sillogisticamente, dalla apostasia delle tradizioni, non può
altro che derivare per necessità logica l’ apostasia della
politica e della stessa identità individuale e nazionale.
Attenzione, però, non vogliamo fare del mero logicismo: la
realtà ci permette di constatare quotidianamente il vuoto
interiore e il buio all’ orizzonte. Ed è proprio a partire dalla
nostra comune esperienza che speriamo di riuscire a fare
riflettere molti sulla necessità di tornare al principio. L’ uomo
postmoderno ha l’ imperante esigenza di tornare a guardarsi
dentro, di conoscersi, riflettersi, narrarsi, relazionarsi
autenticamente e metafisicamente. Ora, se la politica è
veramente “prendersi cura della cosa comune” per
“perseguire il bene comune”, è chiaro che essa è sia prodotto
che producente della res publica, che gli uomini fanno la
politica e la politica fa gli uomini, secondo quel circolo
metodologico e pragmatico finalizzato al raggiungimento dello
scopo. Sul serio? Apostasia della politica: l’ abbiamo sotto gli
occhi, è innegabile. “Un governo che non persegue il bene
della nazione, il bene del popolo, non è un buon governo”
ammoniva Platone, e “non deve ricevere obbedienza” perché
“non è legittimo che il potere sia usato per il male della
società”. In nostro aiuto viene San Tommaso D’Aquino, il
quale, parlando della politica sociale, ricordava che “ essendo
l’ uomo parte della società, tutto ciò che ciascuno possiede
appartiene alla società: così come una parte in quanto tale
appartiene al tutto. Infatti anche la natura sacrifica la parte
per salvare il tutto. Ecco perché le leggi che ripartiscono oneri
proporzionalmente sono giuste, obbligano in coscienza, e sono
leggi legittime.” Vediamo una Italia politicamente stagnante
su una dicotomia marcescente, che non è più degna di alcuna
credibilità, perché il valore di una azione politica si giudica
sulle pagine della storia che essa, succube dell’ imperialismo
turbo-capitalista di matrice liberale che con le la sue catene
acuminate del consumismo e della massificazione tiene
imprigionato lo spirito di una nazione che per secoli ha
imperato gloriosamente sul globo terrestre. Possibile che gli
italiani stiano dimenticando così tanto la propria identità? Il
nome Italia, comun denominatore di decine di popoli che col
sangue e il sudore hanno edificato l’ impero più grande della
storia, oggi è motivo di denigrazione, di dispregio, e, abominio,
di personale vergogna. Da una lato i flussi migratori di
proporzioni preoccupanti, dove vediamo giovani menti fuggire
all’ estero con la pretesa ideale di una vita più soddisfacente, il
sorgere di gruppi e movimenti di ricerca e formazione
nazionalsocialista, sono sintomi della mancanza di un legame
viscerale ed identitario con la propria terra e cultura, da una
parte evaso, dall’ altra energicamente ricercato.
Dimenticando le proprie origini, che, lo ribadiamo, sono
romane, sono cristiane, sono europee, non si riesce più a fare
politica, e si arriva a perdere se stessi. Ogni tipo di crisi, sia
economica, politica, culturale, è, prima di tutto, una crisi
spirituale. L’ uomo che perde di vista la sua essenziale
apertura alla trascendenza smarrisce inesorabilmente lo scopo
del suo esistere. Stiamo facendo apostasia della nostra
identità: personale, comunitaria, nazionale. Personale, perché
la singola persona non ha più coscienza del senso del proprio
esistere, della bellezza della vita, della ricchezza del proprio
cuore e del proprio esser-ci , della unicità della propria storia.
Il soggettivismo antimetafisico riduce l’ uomo all’ individuo:
ma nessuno si salva da solo. Identità comunitaria, perché fare
comunità è relegato ad un attivismo scevro di ogni motore
valoriale e teleologico, riducendo lo stare insieme ad una
concatenazione di fenomeni economici e sociali relegabili ad
un calcolo statistico o revisionistico, scindendo
pericolosamente la teoresi dalla prassi, gli uomini autentici dal
loro vivere insieme. E infine nazionale, perché una persona
che non sa chi è, cosa vuole e perché, non riesce a fare
comunità, e senza comunità sociale non c’ è nazione. “Se
manca l’ identità di chi siamo e di ciò che, insieme, dobbiamo
essere, percorrendo il cammino della vita sociale, chiunque
sarà in grado di distruggerci, che si tratti di una forza fisica o di
una ideologia, di un califfato fondamentalista o di un
liberalismo imperialista alieno, di una massa incontrollata di
immigrati o dell’ annichilimento nella tecnoliquidità del
mondo postmoderno” scrive un autore contemporaneo. È
proprio vero. Bisogna ripartire dalle radici dell’ uomo, da un
umanesimo integrale, e poi risalire, gli uni con gli altri, nella
reciproca necessità di essere in relazione, per divenire nazione
che , come dice l’etimologia stessa del termine, è “nascita” di
una nuova forza capace di trasformare il mondo.

Lorenzo Maria Pacini


Vexatio Stultorum

LE ORIGINI “ESOTERICHE” DEL


MONDIALISMO
Oggi si cercano le cause della crisi economica
globale, della instabilità politica di molti Paesi,
delle rivolte etniche, delle varie Primavere, Arabe
e non, che, più che a primavere, somigliano a
gelidi inverni, inverni della Coscienza e
dell'Umanità; ma per avvicinarsi alle vere cause
occorrono memoria, apertura mentale e Coraggio.
Memoria, per ricordare gli eventi, a volte lontani
nel tempo o apparentemente insignificanti, ma
che delineano la realtà dei fatti, poi Apertura
Mentale, per poter comprendere le reali
dimensioni del Complotto Globale, infine
Coraggio, per non tacere annichiliti di fronte alla
potenza dispiegata dalle Forze Contrarie, contro
l'Umanità intera, ordendo un piano difficile anche
da concepire, nella sua estensione temporale e
nella sua Disumanità. Da dove partire? Da
Abramo, che viene benedetto da Melkisedek, Re-
Sacerdote di Salem, che per l'occasione non offre
sacrifici di sangue, ma offre il Pane ed il Vino quali
sacrifici incruenti? O Dagli Egizi? Dai Fenici? Dai
Romani? Partiamo dall'Egitto dei Faraoni, quando
il millenario pantheon politeista, che verteva sulla
triade Iside-Osiride-Horus venne sostituito, per
breve tempo, dal culto del Dio Unico Aton, il disco
solare dai raggi che terminano in piccole mani, tra
il 1350 ed il 1333 a.C. Per volere di Amenhotep
IV. Quando il Clero di Amon, sostenitore della
antica religione riprese il potere, gli adepti del Dio
Unico sembrano scomparire nel deserto…Circa un
secolo dopo, dal 1200 a.C. compare una nuova
Civiltà, quella Fenicia, nei territori tra l'odierna
Siria ed il Libano, popolazione di ceppo Semitico,
dalle tradizioni religiose politeiste, alle cui Divinità
venivano offerti molti sacrifici. Dai Fenici
discendevano direttamente i Cartaginesi, che
proseguendo nelle tradizioni cultuali, avevano
l'uso di offrire al Dio Baal i figli primogeniti.
..Queste pratiche sono testimoniate dalla
presenza, ancora oggi visibile, nelle aree
archeologiche degli insediamenti Fenici, come
Cagliari, dei Topet, cimiteri che ospitano solo urne
cinerarie di bambini; qualche archeologo nega tali
pratiche, ma allora come si spiegano resti di
capretti e altri piccoli animali nelle urne?
Evidentemente qualcuno "barava", gabbando lo
Santo e salvando i figli dall'Olocausto. (termine
Biblico che indica un sacrificio a Dio) Delenda
Carthago! Inneggiavano i Legionari Romani, dopo
la conquista della città, nel 146 a.C. Dopo poco
più di 200 anni, nell'anno 80 dopo Cristo, a cadere
sotto le armi d'assedio Romane, fu la volta di
Gerusalemme, dopo un assedio durato giorni e
notti, quando la furia si placa, il trionfante Tito, a
capo dell'esercito Romano, impone ai Giudei
sopravvissuti di lasciare la loro Città, poi si
predispone per l'abbattimento del loro Tempio più
sacro, il Tempio di Salomone, di cui resta oggi
solo un tratto di muro, detto "del Pianto". Tito
portò a Roma un grande bottino, tra cui il
candelabro Menorah, simbolo stesso della Fede
Ebraica, che fu portato in trionfo per le vie
dell'Urbe, ma tra i tesori saccheggiati non c'era un
altro simbolo della tradizione Giudaica, ovvero
l'Arca dell'Alleanza. Dov'era finita? La venuta di
Gesù Nazareno, che i Romani Crocifissero per
volontà del Sinedrio, non era stata prevista dai
Sacerdoti del Tempio. I confini dell'Impero
Romano sono ormai troppo estesi per essere
controllati dai soli soldati di Roma, dapprima si
reclutano legionari tra i popoli assoggettati nel
corso dei secoli, poi, non bastando questo a
contenere le spinte migratorie, che sempre più
assumono forme di vere invasioni, si delegano le
funzioni di difesa del Limes alle stesse popolazioni
barbare che vi si trovano; pensando che i Barbari
Buoni avrebbero fermato i Barbari Cattivi. Gli
effetti saranno, come sappiamo, disastrosi a
livello epocale, eventi che qualcuno continua a
vedere come positivi, addirittura atti di fondazione
dell'Europa moderna, ma su cui dovremmo tutti
riflettere bene, al di là della retorica buonista e
globalista. Ma andiamo avanti; nel 476 d.C.
Odoacre, generale Barbaro, depone ed esilia
l'ultimo Imperatore di Roma, Romolo Augustolo;
un capitolo della Storia finisce e ne comincia
un'altro, ma forse i registi sono sempre gli stessi.
In Medio Oriente, intanto, si sta diffondendo come
un incendio una nuova Religione, l'Islam, che
converte cuori e conquista Imperi, dall'India
all'Africa nera. I Bizantini, che ritengono di essere
i veri discendenti di Roma e i Longobardi, ultimi
fieri Barbari, devono vedersela con una nuova
potenza, i Franchi di Carlo Magno, che uno scaltro
Papa incorona Imperatore nel Natale dell'anno
800, dimostrando la supremazia del potere
Religioso su quello Temporale. Per una breve
stagione, sembra resistere il sogno di una Europa
unita, sotto un unico scettro ed una unica Fede,
quella Cattolica e Romana. Le leggi ereditarie dei
Franchi, dividendo l'impero tra i tre eredi di Carlo,
renderanno vano quel sogno. Ma eccoci nell'anno
del Signore 1066, alla conquista dell'Inghilterra da
parte dei Normanni, discendenti dai Vichinghi
insediati da circa un secolo nel nord della Francia,
guidati dal Duca Guglielmo, da allora detto il
Conquistatore, che sbaraglia sia gli Angli che i loro
nemici Danesi. Può sembrare un dato marginale,
ma è importante dire che gli Angli seguivano
l'eresia del Cristianesimo Ariano, mentre i Danesi
credevano in Odino e negli Dèi Nordici. Niente
avviene per caso. Siamo in un'Europa con un
clima molto mite, si coltiva la vite perfino in
Inghilterra, la popolazione è aumentata
esponenzialmente, i figli cadetti dei nobili, esclusi
dalle eredità, da soli o riunendosi in vere bande
dedite al saccheggio e alla rapina, cominciano ad
essere un problema; i tempi sono maturi per
andare a riprendere quel che si è nascosto, al
momento dell'esodo... Sistemate le questioni di
carattere religioso e di catechismo, con una
Chiesa Cattolica in grado di diffondere
capillarmente una chiamata alla conquista della
Terra Santa, si risolvono i problemi di
sovrappopolazione e di troppe spade in
circolazione, benedicendole e dando loro un
obiettivo; Gerusalemme. La Prima Crociata, che
non sapeva di essere tale, comincia con un
antipasto di Pogrom contro le comunità di Ebrei
delle Città Francesi, Tedesche, Ungheresi e degli
altri territori attraversati dalla immensa armata di
fanatici straccioni, che giunti a Costantinopoli,
vengono traghettati in fretta sulla sponda Asiatica
del Bosforo. Le guide Bizantine, chissà perchè,
porteranno la massa di fanatici verso l'Anatolia,
nel cuore delle montagne della Turchia, invece di
guidarli verso la Palestina, ma questo non fermerà
l'ineluttabile; il 14 Luglio 1099, dopo un assedio
durissimo, i Crociati prendono con la spada la
Città Santa, con la solita sequela di massacri e di
orrori; le cronache affermano che nella Spianata
del Tempio i cavalli avanzassero nel sangue fino al
petto. Ma era fatta, ora chi aveva per Secoli
ordito, infiltrato nelle Elites, nei centri di potere e
nei principali Casati d'Europa, tirando i fili del
potere Temporale e Religioso, aveva mano libera
per riappropriarsi di quegli strumenti occultati al
tempo della conquista Romana. La storia racconta
che pochi anni dopo la conquista Crociata, un
piccolo gruppo di nove Cavalieri, guidati da un
certo Ugone de Payens, o dei Pagani, si sia
presentato dal Re di Gerusalemme, offrendosi di
formare una confraternita dedita alla scorta dei
pellegrini e al controllo delle strade. Re Baldovino
fu talmente entusiasta che lasciò loro una parte
del suo palazzo reale, che era niente meno che tra
la Moschea della Roccia e i resti del Tempio di
Salomone. I nove Poveri Cavalieri, che
probabilmente non erano così pochi, si stabilirono
nel sito, ma non ne uscirono per anni, invece di
pattugliare le strada, scavarono sotto le rovine del
Tempio liberando tunnel e sale ipogee interrate,
disposti su più piani sotterranei, ambienti
realizzati in epoca remota, che conservavano un
segreto, un segreto molto potente. Dopo ben
sette anni di continui scavi e ricerche nei
sotterranei della Spianata del Tempio di
Gerusalemme, gli scavi si fermano; i Cavalieri
Cercatori hanno trovato qualcosa, Qualcosa che
cambierà la Storia. Che Cosa? Documenti?
Reliquie? L'Arca dell'Alleanza? Non è così
importante, in fondo, ma questo Qualcosa viene
portato in Francia e studiato durante il Concilio di
Troyes, città nei domini di Ugone di Champagne,
uno dei Cavalieri della Cerca, da uno stuolo di
Abati, eruditi ed esperti di lingue antiche, tra cui,
stranamente, anche diversi Rabbini delle comunità
Ebraiche della zona. Gli effetti immediati furono
diversi e rilevanti; il sodalizio dei Cavalieri che
avevano svolto con successo "la missione", viene
riconosciuto come Ordine Cavalleresco, con la
definizione di Poveri Cavalieri di Cristo e del
Tempio di Gerusalemme, comunità di Monaci-
Cavalieri che diverrà in breve tempo una potenza,
sia Militare, sia Economica, sia Assistenziale, che
per qualche strana ragione, mai chiarita ma
storicamente certa, iniziò a disporre di ingenti
quantità di monete d'argento, un metallo che, fino
ad allora, in Europa era più raro dell'oro. Ma la
cosa che ancora oggi possiamo ammirare stupiti,
è la costruzione, nell'arco di pochi decenni, delle
Cattedrali Gotiche. Diversamente dalle costruzioni
Romaniche, dalle pareti spesse e quasi prive di
finestre, il Gotico è il frutto di una cognizione
architettonica del tutto nuova e rivoluzionaria,
dove le murature sono sottili, le vetrate
multicolori sono enormi, la struttura stessa si
regge su complicati equilibri di spinte e
controspinte, in cui gli archi ogivati e le guglie
hanno funzioni pratiche, oltre che estetiche. Ma il
dato davvero interesante è che queste
stupefacenti costruzioni sono erette secondo i
dettami e le regole della "Architettura Sacra",
grazie a quei "Numeri Aurei" che altri architetti ed
altri Capimastri avevano utilizzato nella
costruzione di altri antichi luoghi Sacri, quali la
piramide di Cheope, il Tempio di Salomone, il
Partenone, per citare qualche caso. Per farla
breve, quel Qualcosa, che per essere recuperato,
da chi sapeva della sua esistenza con certezza,
aveva richiesto molti secoli di pazienza, doveva
essere davvero qualcosa di speciale, fuori dalla
portata dei “gentili”, ma non per i membri del
popolo Eletto. (Fine Prima Parte). David Valori
ELEGIA

Ogni cosa sacra e che voglia rimanere tale


s'avvolge di mistero. Le religioni si trincerano al
riparo di arcani, rivelati al solo predestinato:
L'arte ha i suoi. La musica ce ne offre un
esempio... Mi sono chiesto piu volte perché
questo carattere necessario sia stato negato ad
una sola arte, alla piu grande. Essa è senza
mistero contro le curiosità ipocrite; senza terrore
contro gli spietati o sotto il sorriso e la smorfia
dell'ignorante o del nemico. Parlo della
poesia.....Un' idea inaudita e balorda germoglierà
nei cervelli, quella che è indispensabile insegnarla
nelle scuole, e, irresistibilmente, come tutto ciò
che viene insegnato ai molti, la Poesia sarà
abbassata al livello di una scienza. Sarà spiegata
a tutti egualmente, egualitariamente …Desideri
pure un filosofo la popolarità, io lo stìmerò per
questo. Egli non chiude le mani sulla manciata di
verità radiose che esse rinserrano: egli le spande,
ed è giusto che esse lascino una scia luminosa su
ciascuna delle sue dita. Ma che un Poeta, un
adoratore del bello inaccessibile al volgare non si
accontenti dei suffragi del sinedrio…non riesco a
capirlo. L'uomo può essere democratico, l'artista
deve, rimanere aristocratico.
Stephane Mallarmè "L'Art Pour Tous"
POESIA

Ho visto:
mari ergersi sopra montagne,
monti infrangersi contro le nuvole,
soli sprofondare nell'oscurità,
Bambini calpestati nel terrore dell'uomo.
Ho irriso: - Immoto osservatore di cose terrene.
Ho letto - Un verso, due strofe d'un tragico
poeta. - un brivido ha traversato il mio corpo,
si è rampicato sul mio essere assente, come
un'edera polare. - due strofe,
e per questo, ringrazio Dio
di esistere ancora. Marco Braccini

MATURITA’
Maturo,
frutto giunto alla perfezione,
uomo giunto al perfettamente ovvio.
Ho il complesso di Peter Pan,
anzi, un’intera orchestra.
Rifiuto di crescere - cresce il rifiuto.
A 50 anni si deve essere maturi,
lo esige la famiglia, - la società,
il certificato di nascita,
Quindi devo essere maturo.
Qual è la fine del frutto maturo?
Essere Mangiato. Infantilità?
No avversione al cannibalismo.
Marco Braccini
Nebbia

Lungo un viale sbiadito Lungo il viale


Passeggiano anonime Passeggiano ancora i
Due persone, due;
di grigio vestite. due amici, due amanti
Si ode il suono forse,
Del fiume, di fianco, figure anch’esse sbiadite,
nascosto e scordato. camminando,
Poco lontano a poco a poco sparendo
Troneggia l’ombra antica nell’ignoto incerto
Di un ponte, della nebbia.
sul niente, Metafora fin troppo vivida
inghiottito in una gola di una vaporosa
densa, modernità.
di suggestivo infinito
sapore. Andrea Brizzi
Il sole gioca triste,
ad un nascondino
mal voluto,
e tutto intorno
è una vecchia foto;
uomini,
alberi,
case,
bestie,
immortalati in un eterno

Potrebbero piacerti anche