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SOLIFERRUM

Viviamo in epoca di revival, parola che indica il


ritorno alla moda di usi, costumi, stili,
orientamenti culturali, estetici o musicali
appartenenti a un tempo passato. Hollywood ci
subissa di Remake, la musica, di remix, e la
politica ci sta riproponendo a colpi di falsi
attentati, scontri fra compagni trinariciuti, e
fascisti del terzo millennio, la strategia della
tensione, per dirottare il cambiamento, verso un
assenza di cambiamento, tutto cambi perchè nulla
cambi, avrebbero detto gli antichi. Ma torniamo a
noi, torniamo al revival, alla sigla di una vecchia
trasmissione televisiva condotta nel lontano 1978
da Renato Rascel (grande mito della musica
perlopiù sconosciuto alle nuove generazioni)
"Buonasera Con.." il testo faceva così:

Una volta questo mondo


si capiva che cos’era
e adesso invece sì… buonasera!
..Come t’eri laureato
ti si apriva una carriera
e adesso invece sì… buonasera!
Per vedere se andrà meglio
aspettiamo quelli lì
che già la pensano così…

Noi siamo piccoli,


ma cresceremo
e allora, virgola!
Ce la vedremo!
Chiusa parentesi, riporto sei,
noi siamo piccoli
ma dateci del lei..

Ecco, dateci del lei. Questa piccola comunità di


"disperati", perlopiù, sorta in una realtà periferica,
come può essere la Valdinievole, sta crescendo e
non solo numericamente, ma soprattutto
nell'importanza di influire sulla politica, locale e
Nazionale. Da questa comunità, per designazione
diretta del Presidente del Fronte Nazionale
Adriano Tilgher, è uscito il Segretario Nazionale
del Fronte Giovani, il nostro Andrea Brizzi, che
partendo da Borgo a Buggiano, per ora è arrivato
come gradito ospite alla trasmissione TV di "la 7",
la gabbia, condotta da Gianluigi Paragone, ed è
diventato collaboratore della storica rivista "Il
Borghese". Anche il sottoscritto, dopo il successo
organizzativo di Chianciano, è passato da
segretario Provinciale, a Regionale, con un
posticino "Romano" nell'ufficio Politico, e la
responsabilità Nazionale dell'organizzazione.
Nuovi impegni, e nuove responsabilità che ci
hanno portato a dover rivedere la struttura
interna della sezione Pistoiese, dove è diventato
Provinciale Paolo Buchetti, che sta dando una
mano anche nell'organizzazione Nazionale, e
segretario Cittadino di Pescia, Luciano Bocchini.
Lorenzo, ormai è autore “affermato”, sia per
Millenium, Eurasia, etc. con testi apprezzati in
tutto il nostro paese ed oltre; (per soli motivi
logistici, è saltato un incontro moscovita con
Alexander Dugin). Ad ogni riunione, rotazione di
iscritti e simpatizzanti, sempre con nuovi
interessati, e anche con qualche defezione,
dovuta non a divergenze di contenuti, ma
soprattutto, metodologiche, tra chi, volando "alto"
a volte non tiene i piedi per terra, e chi, non
riesce a volare perché troppo appesantito dalle
proprie radici, ma niente di definitivo, sono certo
che se sapremo crescere, ritorneremo di nuovo
insieme. Un ringraziamento agli amici di
continuità Ideale, di Millenium, di U.S.N., che
collaborano con noi, ed anche alle sezioni locali de
"La Destra" e ad alcuni amici dei "Fratellini". Noi
siamo qua, se una casa crolla sappiate che ne
avete una già pronta ad accogliervi.

Marco Braccini
EXEMPLIS VITAE

Jozef Tiso

Bytča 1887 - Bratislava 1947


Sacerdote cattolico di lontane origini Venete. Presidente del
Consiglio della Repubblica indipendente Slovacca. Nacque a
Bytča nel 1887 e si laureò nel 1910 al "Pasmaneum" di Vienna
in Teologia. Consacrato sacerdote fu inviato in diverse città,
insegnando lo slovacco, organizzando rappresentazioni teatrali
e attività culturali. All'inizio della prima guerra mondiale è in
attività come cappellano militare. Nel 1915 è nominato
direttore del Seminario teologico di Nitra. Nel 1918 era nata la
Cecoslovacchia, innaturale mostro tricefalo, creato a tavolino
dopo lo sfaldamento degli imperi centrali. A questo aborto era
incatenato il popolo slovacco che già da decenni aveva
riscoperto il proprio secolare senso di appartenenza nazionale.
L'Identità e la fierezza Nazionalistica Slovacca era tenuta in
vita dal maggiore partito identitario, il Partito Slovacco del
Popolo guidato da Monsignor Andrei Hlinka. In questo partito
militò il giovane sacerdote Tiso. Dal 1921 al 1924 è segretario
del vescovo e insegnante presso il seminario di Nitra.
Nell'autunno 1938 la Germania compì l'annessione della
regione cecoslovacca dei Sudeti, gli slovacchi che non avevano
mai goduto di autonomia ne approfittarono e dichiararono la
propria autonomia dalla Cecoslovacchia. Alla morte di Hlinka,
Tiso quale leader del partito del popolo slovacco – divenne
Primo Ministro del nuovo Stato. La Cecoslovacchia dovette
modificare la sua costituzione in senso federalista, ma nel
marzo 1939 il governo centrale di Benes tentò un colpo di
coda, sciogliendo le assemblee regionali e arrestando gli
indipendentisti. Il 13 marzo l’invasione tedesca spazzava via i
disegni del governo centrale. Tiso mantenne nei confronti della
Germania un atteggiamento di illuminata indipendenza. La
Slovacchia fu uno stato cattolico indipendente, governato sui
principi della dottrina sociale della Chiesa e delle encicliche
papali. Il Partito Slovacco del Popolo approvò una legislazione
antisemita, il cui esempio principale è rappresentato dai 270
articoli del cosiddetto codice ebraico del 9 settembre 1941. In
base a tale normativa gli ebrei in Slovacchia non potevano
essere proprietari di beni immobili, erano esclusi dagli
incarichi pubblici e dalle libere professioni. Tiso aveva ben
precise idee antisemite, ma quale sacerdote si è sempre opposto
alla violenza. Sacerdote inappuntabile, governò lo Stato pur
rimanendo parroco della sua parrocchia. Quando la Slovacchia
fu invasa dai sovietici, Tiso fuggì attraverso l'Austria in
Baviera ad Altötting, trovando rifugio all'interno di un
monastero. Qui fu catturato nella metà del giugno del 1945 da
parte di servizi segreti americani, non venne consegnato al
Vaticano, ma alla ricostituita Cecoslovacchia, la quale il 15
aprile del 1947 lo condannò a morte per impiccagione. Nel suo
testamento spirituale scrisse. “Muoio come martire della legge
naturale data da Dio a ciascun popolo di promuovere la sua
libertà e come difensore della civiltà cristiana.. Vittorio
Messori sulla rivista Il Timone dell’aprile 2006 ha
scritto:"L’alba del 18 aprile del 1947, nel cortile del tribunale
di Bratislava, un uomo sulla sessantina dalla corporatura
massiccia, accompagnato da un frate cappuccino, saliva i pochi
gradini di un patibolo, sul quale incombeva una forca. Solo
sette minuti dopo il momento in cui la botola gli si è aperta
sotto i piedi, l’espressione del condannato si è lentamente
trasformata in un orribile rictus, mentre dalle sue mani
scivolava la corona di un rosario...Si era scelta l’impiccagione
perché considerata più degradante della fucilazione e si era
fatto in modo che la morte non fosse immediata ma
sopravvenisse tra tormenti e terrori" il corpo fù poi arso in odio
alla fede cattolica, su sentenza di un tribunale “popolare” al
servizio dei nuovi “padroni del mondo”. L’ultima lettera di
monsignor Tiso a Pio XII dell’8 novembre 1944 rappresenta il
suo testamento spirituale: "..le accuse di atrocità al governo
slovacco, commesse nei confronti di persone a causa della loro
nazionalità e della loro stirpe sono soltanto dicerie ed
esagerazioni della propaganda nemica. Durante i cinque anni
della indipendenza slovacca non si è verificata neppure una
sola condanna a morte. L’espulsione dei Cechi e la
dislocazione degli Ebrei come forza lavoro per la Germania è
stata una necessità imposta dall’esigenza di difendere la nostra
Nazione dai suoi nemici che hanno operato in essa in modo
distruttivo da secoli..."Il 31 dicembre 1993 la Storia giustiziava
la Cecoslovacchia che aveva assassinato Monsignor Tiso e la
bandiera della Doppia Croce apostolica tornava a garrire nel
vento.
EX ORIENTE LUX

Un Occidente in preda a mille sussulti , tutto assorto


nell'eterna crisi in cui la mafia finanziaria globale lo ha
sprofondato, che perde tempo prezioso a disquisire su Cina e
India, non si accorge invece delle nubi di tempesta che ancora
una volta si addensano ad Oriente, ma non in quello mitico e
misterioso del Celeste Impero o dell'Induismo, bensì in un
Paese che si trova a poche centinaia di chilometri dalle
maggiori metropoli europee. Mi riferisco, ovviamente, alla
Russia. Per comprendere il nostro grande e inquieto vicino,
occorre meditare sulle grandi opere letterarie del suo passato,
iniziando dal genio di Tolstoj , uno dei più grandi scrittori
dell'umanità, fedelissimo interprete dell'anima del suo popolo.
Ebbene, l'artista-conte , in Guerra e Pace, avanza una teoria
largamente condivisibile: la storia del blocco continentale
euroasiatico sarebbe caratterizzata da una costante
migrazione di popoli da est verso ovest, a loro volta incalzati
da altri che seguirebbero lo stesso cammino. Perciò i moderni
europei altro non sarebbero che popolazioni di origine asiatica
giunte in antico, non in un'unica soluzione, bensì a ondate
successive. Il fatto stesso che parliamo tutti lingue
indoeuropee rappresenta una prima verifica di tale ipotesi.
Tuttavia , di tanto in tanto, quando la pressione da Oriente si fa
troppo forte, assistiamo ad una controspinta uguale e
contraria degli occidentali. Episodi come la colonizzazione
vichinga dell'Ucraina, la guerra russo-svedese, la conquista
francese di Mosca nel 1812 e le due guerre mondiali fanno
parte di questa sequenza logica. Talvolta la reazione orientale
è dura e immediata: Napoleone, per esempio, viene
istantaneamente respinto e non passa molto tempo che
l'esercito russo, guidato dallo zar Alessandro, occupi Parigi.
Qualcosa di simile accade nel 1945 quando il generale Zukov
omologo del suo predecessore Kutuzov nella guerra
napoleonica, invade Berlino e distrugge la stessa Cancelleria
del Reich . Talaltra, invece, le popolazioni asiatiche si vedono
costrette ad arretrare: ciò avviene nel 1917 quando, a causa
della sconfitta militare, la Russia è obbligata a cedere le
repubbliche baltiche, la Polonia , la Bielorussia , l'Ucraina e la
Moldavia, tanto che la frontiera si sposta pericolosamente
verso Mosca. Questi territori, però, saranno riconquistati e
oltrepassati da Stalin fra il 1939 e il 1945, con le armate
sovietiche attestate in Boemia, incombenti sulla pianura
bavarese e sul cuore dell'Europa. La caduta del muro di
Berlino e la dissoluzione dell'URSS , il 31 dicembre 1991 ,
riconducono quella Federazione , drammaticamente umiliata
dalla Guerra Fredda , più o meno negli stessi confini del 1917.
Adesso, con Putin, assistiamo ad una nuova spinta verso
ovest. La storia si ripete, e contemporaneamente si riaccende
la conflittualità fra i due poli del blocco euroasiatico , con il
sempre latente pericolo di guerra. Di fronte a tale nuova fase,
come si comporta l'Occidente? Di sicuro , nel modo meno
razionale e più sconsiderato possibile. La politica di rapina ,
arrogante e aggressiva, ispirata ai diktat della Banca
Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e dei soliti
gnomi della Troika, è stata la principale causa della caduta di
Gorbaciov , dell'anarchia durante il periodo eltsiniano e del
nuovo isolamento in cui i poteri forti internazionali sognano
di relegare oggi la Russia. Non giudico in termini morali tale
strategia. Mi limito a talune considerazioni di ordine pratico,
in continuità con le esperienze a cui ho fatto riferimento. Il
tentativo di porre sotto assedio quell'immenso Paese mediante
sanzioni decretate da una modesta contabile priva di visione
storica e geostrategica come Angela Merkel, e da un
presidente americano che , sono convinto, non conosce
neppure i titoli dei grandi classici russi, sortirà il solo,
prevedibile effetto di ravvivare nel nostro vicino quella
sindrome da accerchiamento, così ben descritta da Tolstoj,
che ha rappresentato una delle principali ragioni delle più
grandi tragedie europee degli ultimi secoli, incluse le guerre
mondiali. Eppure, vi sono tuttora molti imbecilli che si
rallegrano per l'annunciata recessione dell'economia russa,
nella vana speranza che ciò serva a far cadere Putin e a
sostituirlo con uno dei tanti Gauleiter , o servi sciocchi, di
cui i poteri forti hanno riempito una Europa vile e prona al
loro volere, Italia in testa. Se chi dirige le banche , l'economia
e la politica occidentali fosse meno ignorante di come
purtroppo è, conoscerebbe quella celebre pagina del Dottor
Zivago in cui Pasternak mette in bocca al giovane idealista
Antipov , il futuro boia di Stato Strelnikoff, questa semplice,
lapidaria sentenza: Sono in molti a non tener conto della
nostra maledetta capacità di soffrire. Sarà proprio questa
capacità, che i russi non hanno mai perduto malgrado un
ventennio di consumismo drogato, a sconfiggere la mafia
finanziaria internazionale, le banche , le Merkel, gli Obama, la
Troika e i loro manutengoli. Se ciò avverrà , come tutto lascia
supporre, la nuova spinta da est sarà davvero provvidenziale:
EX ORIENTE LUX, come aveva profetizzato San Giovanni
Paolo II.
Socializzazione:

Con il Decreto Legge n. 375 del 12 febbraio 1944 la


Repubblica Sociale Italiana istituiva la socializzazione
delle imprese, premessa fondamentale per la
creazione della nuova struttura dell'economia italiana.
Un atto certamente rivoluzionario che superava il
vecchio dualismo ottocentesco tra capitale e lavoro ed
il concetto di lotta di classe di stampo liberale e
bolscevico per arrivare ad una Terza via che vedeva
nel lavoro il protagonista dell'economia attraverso la
gestione delle imprese affidata pariteticamente agli
operai e impiegati (lavoratori) assieme ai detentori del
capitale delle aziende (proprietari). Nel sistema
socializzato: “Il popolo partecipa integralmente, in
modo organico e permanente, alla vita dello Stato e
concorre alla determinazione delle direttive, degli
istituti e degli atti idonei al raggiungimento dei fini
della Nazione col suo lavoro, con la sua attività politica
e sociale…” (art. 12 della Costituzione della RSI).
Quindi: riconoscimento dell’importanza del capitale
“produttivo” (quello che investe moneta in imprese
socialmente utili), ma insieme a chi fornisce elementi
altrettanto fondamentali all’attività economico-sociale:
braccia e menti… Né dominio della moneta, né
espropri statali: ma armonizzazione degli elementi in
un rapporto di condivisione delle responsabilità (e
degli utili…): affinché nessuno si senta depositario del
destino dell’impresa e, di conseguenza, della nazione
in una innaturale investitura per intrallazzi bancari e
finanziari, per deleghe, per rappresentanze più o meno
mediate o per diritto divino… La socializzazione
rappresentava un’innovazione incredibile
nell’ordinamento sociale, ” In ogni azienda
(industriale, privata, parastatale, statale) le
rappresentanze dei tecnici e degli operai cooperano
intimamente (attraverso una conoscenza diretta della
gestione) all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa
ripartizione degli utili (…) In alcune imprese ciò potrà
avvenire con una estensione delle prerogative delle
attuali commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i
consigli d’amministrazione con consigli di gestione,
composti di tecnici e di operai, con un rappresentante
dello Stato; in altre, ancora, in forma di cooperativa
parasindacale.” Si cerca così di realizzare il monito
mussoliniano di “andare verso il popolo”, di creare una
società nuova in cui il conflitto di classe si annulla nello
Stato e per lo Stato. Non è un caso che alla RSI
collabori un vecchio amico del Duce Nicola Bombacci
,fondatore del PCI e intimo di Lenin che diverrà
l’apostolo della socializzazione e ne condividerà la
cruenta fine a Piazzale Loreto. La piena realizzazione
dei propositi del manifesto veronese verranno attuati
con la creazione del Ministero dell’Economia
Corporativa nel settembre 1943 e soprattutto con il
Decreto Legislativo n.375 sulla Socializzazione delle
Imprese, nel febbraio 1944. Tale provvedimento,
accolto con sospetto da alcuni industriali italiani e dalla
Germania hitleriana, dichiarava (art.1): “Le imprese di
proprietà privata che dalla data del 1° gennaio 1944
abbiano almeno un milione di capitale o impieghino
almeno cento lavoratori, sono socializzate. Sono altresì
socializzate tutte le imprese di proprietà dello Stato,
delle Province e dei Comuni nonché ogni altra impresa
a carattere pubblico. Alla gestione della impresa
socializzata prende parte diretta il lavoro.” La
socializzazione, pur tutelando dunque la proprietà
privata, la libera iniziativa, la concorrenza, elimina di
fatto il rapporto dipendente-padrone, affidando ai
lavoratori stessi la responsabilità della produzione ,
tramite i Consigli di Gestione, formati da delegati di
tutte le forze produttive dell’azienda. La socializzazione
fu applicata alle imprese di proprietà privata che dalla
data del 1° gennaio 1944 avevano almeno un milione
di capitale o impiegavano almeno cento lavoratori .
Furono altresì socializzate tutte le imprese di proprietà
dello Stato, delle Province e dei Comuni nonché ogni
altra impresa a carattere pubblico. Tra le altre (6000
nel totale) furono socializzate le imprese editoriali e
giornalistiche, le imprese dell'industria grafica e affini
e alcuni importanti complessi industriali (Fiat,
Montecatini, Falk,Cartiere Burgo,Costruzioni Strade di
Milano. Olivetti, Cartiera Italiana di Serravalle,Cartiera
Binda e Cartiera di Verona, Alfa Romeo, Dalmine,
Motomeccanica, Officine Stanga, Lanificio di Lodi,
Legnami Pasotti, Istituto Grafico De Agostini e l'Istituto
arti grafiche). Gli industriali italiani erano
naturalmente ostili ad una riforma così vasta e
drastica, che avrebbe perlomeno sensibilmente ridotto
il loro enorme potere e, sebbene ufficialmente
avessero appoggiato la proposta, tentarono in ogni
modo di affossare la legge, senza riuscirvi.
L'attuazione integrale della socializzazione era
prevista, ironia della sorte, per il 25 aprile 1945 data
della nostra sconfitta. Lo stesso giorno, senza perdere
tempo, tra i primi atti politico-amministrativi del CLNAI
(Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia) formato
da: comunisti (PCI), cattolici (DC), azionisti (PdA),
liberali (PLI), socialisti (PSIUP) e democratici-
progressisti) dopo la sconfitta della Repubblica Sociale
Italiana, vi fu proprio l'abrogazione del Decreto Legge
sulla Socializzazione. In un orizzonte dominato dal
capitale finanziario, invocare il ritorno al diritto
naturale della partecipazione diretta dell’uomo
all’opera della sua vita può forse apparire fuori
tempo.Ma la cosa non deve né spaventare né
scoraggiare: se un’idea è giusta lo è a prescindere
dalle contingenze epocali in cui si viene a trovare
espressa. In fondo, il fascismo è una rivoluzione
giovane. Il liberismo ha almeno trecento anni ed è
stato sconfitto dalla storia (e dalla morale…) almeno
cento volte… Il comunismo ha avuto 50 anni di tempo
per giustificare la sua vittoria militare (e 70 per
giustificare la sua denominazione di repubblica dei
soviet, cioè dei consigli, cioè della partecipazione
diretta degli operai all’impresa: e non l’ha fatto…). Il
fascismo ha avuto appena 22 anni per realizzarsi e l’ha
fermato solo la sconfitta militare. C’è tempo e voglia
per riprovarci…

Giovanni Gentile UNCRSI Continuità Ideale Valdinievole


FARE FRONTE

Gli strumenti del nemico. Conoscere per combattere.

La complessità della struttura di potere contemporanea, la sua


estensione planetaria, la natura reticolare degli strumenti
utilizzati , la pervasività del sistema , la sua capacità di
dominare il mondo e ciascuno di noi attraverso l’uso della
tecnica rendono necessario conoscere e riconoscere i principali
mezzi e strumenti di cui si serve il nemico mondialista
liberalcapitalista nel suo progetto di dominio globale.Apparirà
allora assai chiaro il programma sostanzialmente unitario del
potere “alto” ed il numero incredibilmente piccolo dei veri
“padroni del mondo”, quel terribile uno per cento che sta
completando l’opera di privatizzazione della Terra e di
sfruttamento degli uomini e delle risorse del Pianeta, contro il
quale è urgente insorgere , animando un articolato fronte di
ribellione inter-nazionale. La cultura è potere, la conoscenza
modifica i rapporti di forza, e, un giorno, renderà possibile
abbattere il gigante nemico , rendendo vero quel paradossale
“effetto tunnel” scoperto dalla fisica quantistica, ovvero la
possibilità/probabilità che una particella ( noi , nazioni del
mondo ) riesca ad attraversare una barriera di alto potenziale
(loro, gli onnipotenti illuminati). Il potere globale che
cercheremo di descrivere assomiglia all’ oscura Terra di
Mordor, la residenza dei Servi dell’Oscuro Signore della Terra
di Mezzo . Nel fantastico mondo di Tolkien, Frodo e Tom
riescono ad entrare a Mordor, abbattono il nemico e
conquistano l’Anello, e con esso la libertà. Più modestamente,
le brevi schede che metteremo a disposizione dei lettori del sito
– a cominciare dai militanti frontisti – si propongono
l’obiettivo esposto nel titolo: conoscere per combattere, e
orientarsi in un labirinto di sigle, organismi, reti di potere e di
influenza , centri di controllo che hanno ormai stretto in una
drammatica morsa panottica la nostra vita , realizzando insieme
enormi profitti ed alimentando quel totalitarismo di fatto –
seduttivo nelle premesse e nelle promesse, talora ipnotico, ma
violento , occhiuto ed intollerante nei fatti – che chiamiamo
“nuovo ordine mondiale”. Parleremo di eserciti e geopolitica,
di banca e finanza, energia, spionaggio e reti di informazione,
organismi transnazionali , di trattati e di società multinazionali,
ma anche di mafia e droga, pubblicità, persuasori al servizio
del potere, persino di arte e di criminalità funzionali alla
riproduzione ed al rafforzamento del sistema . Affermato che il
nemico è oggi il sistema capitalistico di stampo finanziario ed
ultraliberistico che ha eroso, distrutto e sostituito le sovranità
nazionali e popolari , travolto le difese erette dalle tradizioni,
dai costumi e dalle credenze dei popoli e abbattuto gran parte
delle resistenze comunitarie, conviviali e familiari costruite dai
popoli nei millenni, e preso atto della sua natura apolide e
mondialista, dobbiamo però riconoscere il dato di fatto che l’
infernale regime internazionale che ci opprime ha le proprie
sedi , le catene di comando , i quartieri generali ed i propri
simboli del potere in un luogo preciso : gli Stati Uniti
d’America , e che gli Usa hanno a disposizione la più potente
macchina militare del mondo, l’esercito americano, a sua volta
motore e guida della alleanza militare di cui anche l’Italia fa
parte, la NATO. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno il dollaro, che è
ben più di una moneta, ma il simbolo concreto dell’”american
way of life “, inteso come potere, destino e fascinazione. La
capitale simbolica del mondo globalizzato è New York,
metropoli “metafora” della ricchezza ed insieme
dell’abbandono, babele della società multirazziale e
multiculturale, del movimento continuo (“melting pot”, la
pentola che bolle”) e del consumo compulsivo, città violenta e
luccicante, paradiso della Borsa che ha in Wall Street il suo
tempio incontrastato , e Wall Street sono gli Stati Uniti. USA ,
Esercito Americano e Dollaro saranno quindi le prime voci
della nostra ricognizione delle forze avverse, brevi schizzi
niente affatto esaustivi , ma volti soprattutto ad informare per
destare curiosità e desiderio di approfondimento, specie
attraverso l’universo di Internet, che mantiene ancora,
nonostante i suoi controllori e “padroni” (parleremo anche di
loro…) un livello di apertura e di libertà che fanno sperare ,
attraverso un uso intelligente e bene orientato della rete – alla
fine daremo qualche indicazione – di poter davvero, in un
giorno non troppo lontano, oltrepassare quel tunnel in cui ci
hanno cacciato, e riconquistare la prima delle sovranità
perdute, quella su noi stessi, insieme vittime e complici spesso
inconsapevoli di una dittatura tra le più potenti della storia
umana . Roberto PECCHIOLI Fronte Liguria
GIANO
LA VIOLENZA POLITICA: RIFLESSIONI E PROPOSTE

Anche alla luce dei recenti fatti di Parigi ci sembra


opportuno riflettere e costruire una critica sull’uso
della violenza nell’agone politico. Noi riteniamo la
violenza una dolorosa necessità per il
cambiamento reale della situazione: per noi la
violenza è quindi “levatrice della Storia”. Da
sempre popoli, classi, gruppi, elite e masse si
sono rivoltate grazie all’uso della forza e hanno in
questo modo spezzato le proprie catene. La
violenza, tuttavia, non si giustifica da sola: essa
deve essere precisa negli obbiettivi, audace negli
intenti e risolutiva nei contenuti. Deve essere
precisa poiché solo e soltanto chi è colpevole deve
pagare, e questo è tanto più necessario quanto
più il nemico è nascosto. Per questo il terrorismo
non ci appartiene, anzi, lo rifiutiamo in quanto:
“Ai nostri occhi il terrore individuale è
inammissibile precisamente perché esso
sminuisce il ruolo delle masse nella loro stessa
coscienza, le riconcilia all'impotenza, e piega i loro
sguardi e le loro speranze verso la ricerca di un
grande vendicatore e liberatore che un giorno
arriverà per compiere la sua missione”
E, inoltre:
“Più 'efficace' l'atto terroristico, maggiore il suo
impatto, maggiore è la riduzione d'interesse delle
masse nella propria auto-organizzazione ed auto-
educazione. Ma il fumo della confusione si dirada,
il successore del ministro ucciso fa la sua
apparizione, la vita si risistema nuovamente sulla
sua vecchia carreggiata, le ruote dello
sfruttamento capitalistico girano come prima; solo
la repressione poliziesca cresce più selvaggia e
sfrontata. E come risultato, in luogo delle ardenti
speranze e dell'eccitazione artificialmente
stimolata, arrivano la disillusione e l'apatia”
Da questi due passi si evince quale sia l’inutilità
dell’atto terroristico in sé: non danneggia
realmente la struttura oppressiva, illude le masse
che sperano in un “liberatore” rendendole quindi
ancor più schiave di prima, poiché “schiavo è chi
aspetta qualcuno che lo venga a liberare”.
Infine ben si comprende come un tale tipo di
violenza alieni le simpatie dei più e acceleri lo
scontro con i difensori della legge. Parimenti la
violenza, quando utile e intrisa di intenti, deve
essere audace, in quanto non ci possiamo
accontentare di far fuori una pedina del sistema
che, tristemente, si ripresenterebbe dietro ad
altra faccia, ugualmente arcigna ed ugualmente
avversaria. La violenza deve quindi destrutturare
il sistema oppressivo e non semplicemente
permettersi di danneggiarlo in superficie. Essendo
in sé una “extrema ratio” essa dev’essere, oltre
che estrema anche dotata di “ratio”. E, infine,
deve essere risolutiva in quanto dev’essere la
conclusione di un più lungo processo ideologico e
non solo sovversione e assalto, ma deve avere
nella scintilla, in nuce, anche la proposta di
cambiamento. Costruzione e distruzione sono
facce della stessa medaglia: tesi e antitesi sono
compresenti nella sintesi. Entrambi ruote della
Storia. A cosa è servita la strage di Bologna? A
cosa quella di Piazza Fontana? A chi ha fatto
comodo l’uccisione di Aldo Moro? Potremmo
continuare per molto tempo, pescando nel grande
mare della storia recente e recentissima altri atti
di inutilità e crudeltà, ma le considerazioni
sarebbero le stesse per ciascun esempio; il
terrorismo, come abbiamo esplicitamente chiarito
in precedenza, ha perpetuato la divisione
dicotomica Destra-Sinistra rafforzando il Centro
(Strategia della Tensione), ha dato nuovi
argomenti alle bocche di fuoco dei pennivendoli,
ha messo in secondo piano ogni alto intento
ideologico, senza addivenire a nessun risultato.
Questi al massimo possono essere segni di
sovversione maldisposta, prodotto di singoli
atomizzati senza speranza di riuscita. La nostra
volontà è quella di distinguere nettamente l’atto
rivoluzionario da quello sovversivo/eversivo;
storicamente Rivoluzione (come spiegato dalla
sociologa americana Theda Stockpol) arriva alla
fine di un processo storico in cui le forme
precedenti sono già svuotate, e il popolo oppresso
che si incarica di portarle a compimento le ha
comprese nei caratteri generali. Gli esempi si
sprecano: da quella francese a quella russa
passando per le rivoluzioni anticoloniali e quelle
europee degli anni ’20 ’30 i cambiamenti inoltrati
dai nuovi governi non facevano che riflettere
processi già in atto da anni o decenni. La
Rivoluzione, quindi è il sostanziarsi di un processo
culturale, ideologico, sociologico e antropologico
che ha radici nel passato, ferro e fuoco nel
presente e acciaio nel futuro. Da non confondersi
da un lato col mero riformismo, e dall’altro con la
sovversione gratuita . Il riformismo dev’essere
attuato in seguito all’atto rivoluzionario: come
riassume bene Rosa Luxemburg in “Riforma
sociale o rivoluzione?” il riformismo introduce
cambiamenti quantitativi (interni al sistema)
mentre la Rivoluzione cambia del tutto gli assetti
sociali e politici, introducendo cambiamenti
qualitativi. Dopo aver chiarito quali sono li aspetti
da definirsi “anti-rivoluzionari”, è opportuno
illuminare gli elementi che ci aiutino a capire cosa
è la “giusta” violenza, e come si innesca la
rivoluzione. Non ci illudiamo, una massa incolta
non riuscirà mai ha realizzare nient’altro che caos
e sovversione, solo una minoranza, una elite
rivoluzionaria può guidare tale massa
all’obbiettivo, occupando anche fisicamente, i
centri nevralgici del potere. Per queste ragioni
rifiutiamo naturalmente la sovversione sterile
delle masse, come già precedentemente chiarito,
ma anche il colpo di stato, ovvero la semplice
sostituzione di un gruppo dirigente minoritario con
un altro: se l’obbiettivo della rivoluzione deve
essere modificare profondamente la struttura e
l’assetto dello stato, un cambio al vertice non può
è essere sufficiente a tale scopo. La funzione della
elite rivoluzionaria (composta da rivoluzionari di
professione e per vocazione), è quella non solo di
guidare il popolo nell’atto rivoluzionario in sé, ma
soprattutto quella di formare culturalmente,
ideologicamente e spiritualmente il braccio
dell’idea. Per fare ciò cosa è necessario operare?
Prima di tutto sostituire con uomini fidati ogni
ramo dello stato, ed eliminare quelle sacche non
ideologizzate, che in ogni dove hanno rovesciato,
anche a distanza di anni, i buoni propositi della
rivoluzione (vedasi Rivoluzione Fascista).
In secondo luogo formare un esercito popolare di
leva, che garantisca una difesa, non solo
militare/territoriale della patria, ma bensì
ideologica. I due grandi esempi in questo caso
sono: le armate francesi che respinsero la
reazione a Valmy nel 1792, e il corpo dei
“pasdaran” iraniani. Questa probabilmente può
essere considerata la chiave di volta per la riuscita
di ogni rivoluzione; come sopra citato, non
dobbiamo dimenticare la lezione che la
Rivoluzione Fascista ci offre, la mancanza in quel
caso di una ideologizzazione preesistente alla
presa del potere, e la mancata eliminazione delle
frange anti-rivoluzionarie, ha portato negli anni, al
disfacimento degli obbiettivi principali del
Fascismo fattosi stato (tradimento da parte della
borghesia). Quanto sia importante disporre di una
forza coattiva, capace di far rispettare la legge
rivoluzionaria, lo dimostra la Storia e lo conferma
il buonsenso. La rivoluzione non è
un’illuminazione o un una rivelazione, che si
imponga per via mistica o logica al popolo, bensì
deve essere portata nella società attraverso
nuove forme statali, nell’anima politica del popolo
che ne fa parte. Come può tutto questo essere
fatto senza violenza? I democratici, i progressisti
e i pacifisti ce lo spieghino se lo sanno, la storia ci
ha dimostrato che spesso, rivoluzioni “senza
armi”, sono finite represse nel sangue da parte
delle armate dell’impero (vedasi colpo di stato in
Cile e uccisione di Allende). Il processo
rivoluzionario, deve quindi essere il risultato di un
cammino antropologico, sociologico, ideologico e
spirituale, nel quale il popolo prende coscienza di
quelle che sono le necessità della patria, si forma
al livello culturale e ideologico, e matura una cieca
fede nell’idea rivoluzionaria. In conclusione, la
rivoluzione deve essere prima ancora che
materiale, una rivoluzione spirituale, nella quale
l’uomo nel proprio immenso “io”, prende
coscienza della necessità di cambiamento. Forti
della lezione alla quale la Storia ci ha concesso di
assistere, sogniamo una “Rivoluzione ideale”
come profettizava Alfredo Oriani.
Facciamo nostre in questo cammino, tutte le
rivoluzione perpetuate dai popoli in lotta contro gli
sfruttatori di ogni dove. Partendo dalla teoresi,
per meglio arrivare alla prassi;
”Quando arriverà il nostro momento non
abbelliremo il terrore.”

Lorenzo Centini Andrea Brizzi


GLOBALIA

La diluizione del subimperialismo francese

Come hanno bene insegnato i teorici dell’Imperialismo


– Lenin, Trotskij e altri scrittori marxisti (e non solo) –
l’Imperialismo non è un fenomeno unitario, limitato ad
un impianto statuale preciso dalla facile
individuazione. Essendo l’Imperialismo un fenomeno
connaturato al Capitalismo, qualunque stato, o gruppo
di stati, che abbiano sviluppato al massimo grado la
forma economica capitalista (avendo quindi espresso
sia Militarismo che Burocrazia) possono dimostrare
una spinta imperialista personale. Questo succede per
esempio alla tecnocrazia europea (pur priva di Stato
ed esercito), ad Israele e ad alcuni singoli stati
europei, quali Francia o Inghilterra. Tuttavia non tutti
gli imperialismi sono sullo stesso livello. Ecco allora
che si forma, mediante guerre e sabotaggi, una
precisa gerarchia dell’Imperialismo, che il socialista
rivoluzionario non può esimersi dal considerare. Pena:
rivolgere i suoi sforzi al falso nemico. Ad oggi, è
evidente, la testa del serpente imperialista si trova a
Washington. Gli Stati Uniti non si fanno scrupoli ad
usare stati imperialisti di forza inferiore (come Israele)
per i propri scopi, e non dimostrano particolari rimorsi
ad eliminare forme di imperialismo e dinamismo
politico che possano intralciare i loro piani (come per
esempio fecero nel 1956 contro Inghilterra, Francia e
Israele). Tutte le forme di imperialismo si rapportano
quindi alla forma imperialistica principale; se non si
comprende la direzione precisa della testa del serpente
non si potrà predire dove andrà a finire la coda. Uno
dei paesi che più ha dovuto sopportare tale
sostituzione è stata la Francia. Dopo l’occupazione
militare americana, in seguito allo sbarco in
Normandia, Parigi si è vista scippare pezzo per pezzo
l’insostenibile impero coloniale che ancora tratteneva.
Così la dinamica che portò gli Stati Uniti a continuare
la lotta contro l’indipendenza nazionale vietnamita
(che era stata prima francese) fu la stessa che portò
gli Stati Uniti a stendere le proprie mani
neocolonialistiche (mediante accordi commerciali
draconiani) sull’Africa Occidentale. La decolonizzazione
dell’ex Africa francofona portata avanti all’interno della
Conferenza di Bandung (1955), la quale sancì la
nascita di un blocco terzo tra URSS e USA, fu una sfida
per il nuovo sistema coloniale americano, il quale pur
non essendo riuscito ad impedire la decolonizzazione,
riuscirà almeno nell’impresa di impedire che arrivino al
potere in tali stati regimi socialisti filo-sovietici
(l’esempio lampante è quello di Thomas Sankara,
ucciso e sostituito da Blaise Campaorè).

La doppia presenza americana e francese si è retta, in


questi anni, su due segmenti precisi. Da un lato le élite
corrotte al governo in quei paesi, collegate ad una
smagrita borghesia compradora, avevano
nell’appoggio politico francese un’indispensabile
santificazione della propria ruberia; dall’altro il
complesso industriale americano, soprattutto nel
settore minerario, colonizzava apertamente il
territorio, militarizzandolo mediante compagnie private
(che si sarebbero poi scatenate nelle controguerriglie
degli anni ’70 e ’80). Tale metodologia di controllo era
indispensabile ad entrambe le forze imperialistiche. Gli
USA infatti non potevano spudoratamente
eterodirigere quei paesi, in cui la mancanza cronica
dello stato non garantiva una effettiva azione di
sovracontrollo sul territorio. In tal modo gli americani
sfruttavano l’influenza francese, che dopo quasi 100
anni di presenza poteva vantare una conoscenza di
quelle stesse élite che, salite al potere dopo la
decolonizzazione, avevano tradito il processo di
indipendenza non liberandosi le mani dai rapporti con
il sistema industriale dell’ex paese occupante. Tale
architettura coloniale, tuttavia, entrò in crisi con
l’indipendenza algerina e definitivamente con
l’indipendenza delle colonie africane del Portogallo, che
diedero il colpo di grazia all’asfittico imperialismo
europeo. La sostituzione di quest’ultimo con quello
statunitense non era tuttavia completa, nella misura in
cui gli Stati Uniti non volevano occupare militarmente
un territorio tanto instabile. Questo modello diarchico
è entrato poi in crisi a causa del doppio processo
dell’allargamento della NATO, il cui obbiettivo era
quello di portare ai confini slavi le conquiste politiche
ottenute con la fine dell’URSS e il progressivo
rafforzamento dell’Hub and Spoke, che ha cercato di
forgiare delle alleanza subimperialistiche prive di
un’egemonia territoriale seria. Essendo ormai inattuale
il modello di Stato nazionale imperiale (testimoniato
dal fallimento della Francia nel mantenimento del
proprio Impero) la triade dei paesi europei imperialisti
(Francia e Inghilterra, con un ruolo di junior partner
alla Germania riunita) si è “diluita” nel più grande
imperialismo americano. Questo processo di diluizione,
tuttavia, è ancora in corso, nella misura in cui,
mancando un’effettiva opera di assestamento militare,
le cancellerie traditrici africane devono passare da un
campo all’altro, o semplicemente cambiando dicitura
sul libretto degli assegni, oppure sostituendo alcuni
membri particolari con vari metodi (“legali”o meno).
Come chiarito dall’intervista di Luc Michel e
dall’intervento di Michael Schmidt a tal riguardo, è
chiaro come gli Stati Uniti stiano perseguendo una
politica simile a quella sperimentata in America Latina
negli anni ’70 e ’80: formazione di quadri militanti
compiacenti e addestramento delle forze di reazione
militare sul territorio.

Dice Michael Schmidt, giornalista legato alla ZACF


(Federazione comunista anarchica zabaletana): “In
Africa, che ricade sotto il controllo del Comando
Militare Europeo degli USA (EUCOM), gli Stati Uniti
hanno raggiunto un accordo con la Francia per
appoggiarsi alle sue basi militari. Ad esempio: c’è ora
una base del Corpo dei Marines americani a Dijbouti,
nella base militare francese di Camp Lemonier con più
di 1800 Marines che vi stazionano, col pretesto di
operazioni di “anti-terrorismo” nel corno d’Africa, nel
Medio Oriente e nell’Africa orientale, ma anche di
controllare le rotte marine sul Mar Rosso. Stanno
anche addestrando le forze armate di paesi come il
Ciad, e nel settembre del 2005 Bush riferì al Consiglio
di Sicurezza dell’ONU che gli USA avrebbero
addestrato in 5 anni 40.000 uomini per operazioni di
“peacekeeping” al fine di “garantire l’ordine e la
giustizia in Africa”. L’ambasciata americana a Pretoria,
sempre nel 2005, aveva dichiarato di voler addestrare
20.000 uomini all’uso di “equipaggiamento non letale”
per operazioni simili in 12 paesi africani.” Attraverso i
dispositivi del post-militarismo euro-americano e del
mantello invisibile della lotta al terrorismo gli Stati
Uniti, ora in accordo chiaro, ora in competizione con la
Francia, lanciano la loro avventura post-
coloniale.Tuttavia, se è vero come è vero che l’Europa
sta creando una “Dottrina Monroe” per quanto
concerne l’Africa, facilitata dall’individuazione del
problema nei flussi migratori provenienti dall’Africa e
dal Medioriente, è opportuno riflettere su quanto sia
sostenibile l’identità di vedute tra Stati Uniti e Francia
(punta di diamante dell’asfittico neocatecumenismo
imperiale eurocratico). Dietro alla diluizione del soft
power francese si nascondono anche diverse
necessità, opposte a quelle francesi, da parte degli
States. Il motivo principale per cui gli Stati Uniti
portano la guerra fino in Africa è l’opposizione
territoriale all’espansionismo cinese in Africa. Si tratta
quindi di un monopolismo imperialista (Stati Uniti) che
si oppone ad un dinamismo non imperialista (RPC). La
prevenzione del dinamismo cinese si articola su due
questioni: respingere lo switch diplomatico verso
Pechino (cioè verso il modello cinese di sviluppo) e
rallentare la conversione di queste economie al polo
dei BRICS. Per impedire lo switch diplomatico gli Stati
Uniti utilizzano la carta del terrorismo, che risospinge
le cleptocrazie africane negli strumenti di colonialismo
poliziesco statunitense: dispiegamento di basi e
iniezione di soldati e mezzi americani sul territorio;
affiliazione internazionale ad uno dei dispositivi
strategici americani (nel caso statunitense su tutto
l’ECOWAS e l’EUCOM). Questo modello è
perfettamente riuscito in Somalia e ha dimostrato la
sua aggressività in Mali, dove gli Stati Uniti hanno
piazzato una forza di 1800 marines a Camp Lemonier
per il proseguimento della guerra contro l’AQMI.
Questo è in contrasto con la strategia francese? Lucio
Caracciolo, direttore di Limes, sintetizza così gli
interessi francesi in Africa: “Sarkozy prima e Hollande
poi hanno preso le distanze dalla Françafrique, ma
chiunque voglia vederla ne trova ancora forti tracce
nei territori africani già inglobati nell’impero tricolore.
Vi restano anzitutto i privilegi della grande industria,
che incarna interessi strategici irrinunciabili (per
esempio, lo sfruttamento dell’uranio nigerino da parte
di Areva, vitale per la produzione energetica
nazionale). Parigi non rinuncia al ruolo di gendarme
nella “sua” Africa – anche oltre, come dimostra il caso
libico. Nel Continente nero restano schierati in
permanenza circa 7.500 soldati francesi. Nel solo
teatro maliano il ministero della Difesa prevede di
impegnarne a breve 2.500, e forse non basteranno per
evitare l’insabbiamento della missione antiterrorismo.
Certo, l’epoca dell’“unilateralismo” è passata, oggi
Parigi cerca (e talvolta non trova) il sostegno degli
alleati occidentali e dei paesi africani più vicini alle
zone di crisi.” La posizione francese, difatti, è
“conservativa” nella misura in cui si riserva di
mantenere intatti i privilegi industriali e le rendite di
posizione nel settore minerario e della difesa. Questa
“controrivoluzione preventiva allargata” disposta dagli
States rischia non solo di completare il passaggio di
consegne del ruolo egemonico occidentale nell’ex
“Francafrique” da Parigi a Washington, ma nei termini,
anche di danneggiare la solidità francese in quel pezzo
d’Africa. A Parigi non sono così d’accordo nel riservare
molta fiducia al fatto che gli Stati Uniti non
“nazionalizzeranno” la propria influenza, sostituendola
a quella Francese. Tuttavia è bene non dimenticarsi
del carattere essenzialmente ancora minoritario della
Destra Nazionalista Gollista (Lepenista) nelle stanze
che contano all’Eliseo. Finché permarrà il duo Valls-
Hollande e la loro sostanziale funzione di viceré
coloniali, i conti di Parigi saranno quelli di
Washington. In definitiva, quello a cui assistiamo è
l’entrata dell’Africa nelle zone in cui l’Imperialismo
unitario entra in conflitto con i dinamismi dei BRICS, in
modo non troppo dissimile da quello che è successo in
Ucraina o, diplomaticamente, al confine tra le due
Coree. L’unico campo su cui gli States possono
prevalere sul dinamismo cinese (che ha caratteristiche
miste e non sempre comprensibili) è quello politico-
militare. La riconversione economica è già cominciata,
ed investe non solo i tassi di commercio con la Cina,
ma lo stesso modello produttivo (per esempio l’uso
delle ZES in Nigeria e Zimbawe). L’incognita è
rappresentata dalla Francia e dal teatro
propagandistico europeo. Se lo scollamento tra i
campioni promossi dagli Stati Uniti e gli eurocrati (i
recenti sorrisi incrociati tra Obama e Tsipras hanno
chiarito la natura antitedesca della politica americana
in Europa) dovesse approfondirsi, non sarebbe
impossibile tornare a vedere un imperialismo
straccione europeo sgomitare per inserirsi nella lotta
tra Cina e USA.

Lorenzo Centini
DEMOS

La situazione giovanile

Cosa significa essere giovani? Significa essere


spregiudicati, irriverenti, ribelli, sognatori.
Nel sogno di un domani diverso si sostanzia
l’essere giovani. “Essere giovane e non essere
rivoluzionario è una contraddizione perfino
biologica.” Prendendo questa assunzione come
tesi valida sulla quale lavorare, nient’altro resta
che mettersi le mani nei capelli.
Disoccupazione giovanile al 40%, assenza totale
di moralità, di speranza nel domani, impossibilità
economica e spesso umana di mettere su
famiglia. Generazioni prive di certezze sia
materiali che spirituali si apprestano a divenire la
classe dirigente di una nave che sta affondando.
L’età della primavera, per le nostre generazioni si
sta rivelando un eterno autunno.
Alle nostre spalle le macerie di un “muro”, davanti
ai nostri occhi la “notte del mondo” che come una
nebbia avvolge e soffoca ogni opera umana. Fuor
di retorica, l’epoca in cui viviamo è caratterizzata
dalla predominanza assoluta di un sistema
economico/sociale, che dopo la caduta del famoso
muro di cui sopra, è divenuta ideologia
imperante: il liberismo. Analizzando tutte le varie
facce del problema, ci accorgiamo che l’unico
fattore responsabile della situazione attuale è
proprio il liberismo; un’ideologia che si basa sul
cannibalismo economico, sulla legge non del più
forte, ma del più fortunato e del più furbo. Un
sistema unipolare di pensiero che ha disgregato
completamente il concetto di comunità, a partire
dalla famiglia (primigena struttura sociale
comunitaria) fino ad arrivare alla Nazione (più alto
esempio di comunità). Il liberismo è nient’altro
che individualismo materialistico, è l’eroico
sacrificio di ogni giustizia sociale sull’altare del Dio
denaro. Disgregata la famiglia e annientato lo
stato, ovvero: <<l’ente giuridico che fa di un
popolo una Nazione>>, non esistono più strutture
sociali in grado di educare la collettività giovanile
al senso di comunità, e al viver civile in genere.
Se a queste considerazioni aggiungiamo il
servilismo politico, economico e culturale di tutto
il Vecchio Continente verso l’invasore d’oltre
oceano, come un’equazione il risultato è
matematico: ragazzi che non hanno
un’educazione perché non la possono più avere,
viste le considerazioni appena fatte, si ritrovano a
percorre infiniti “sentieri interrotti”, che
ovviamente non portano da nessuna parte, se non
all’abbrutimento vitale nella droga, nell’alcol, e
nell’individualismo più tetro. Non ci dobbiamo
sorprendere se la maggior parte di noi giovani ha
come unico sogno quello di diventare una
“rockstar”, o un attore, o una modella, oppure se
l’unica speranza è non essere fregato o fregare il
prossimo, e se l’unica aspirazione per il futuro è
diventare miliardario. Siamo nient’altro che
sottoprodotti del “tecno-capitalismo”, atomi di un
elemento unico e senza vita, fedeli ad una sola
religione: il denaro. In sintesi per dirla con le
parole di Heidegger: “ viviamo nel tempo della
fuga degli Dei, della distruzione della Terra, della
massificazione dell’uomo, del prevalere della
mediocrità.” Se questa ad oggi è la situazione,
l’unico rimedio è “fare fronte”! Non è più il tempo
di indugiare, noi giovani dobbiamo unire le forze e
pretestuosamente riprenderci quello che ci è stato
tolto. Dobbiamo riprenderci il domani. L’unica
salvezza per il nostro paese e per l’Europa tutta, è
abbattere senza pietà il sistema liberal-liberista
che soffoca la gola di tutte le patrie del mondo.
Per questo credo sia assolutamente necessario
creare un Fronte Nazionale che sia innanzitutto
antiliberista, poiché se è vero come è vero che
“ogni popolo ha la sua rivoluzione”, è anche vero
che ogni epoca ha il suo oppressore, ebbene oggi
noi non vediamo che gli artigli di “Lady U$A”
bramare la terra ed il sangue d’Europa. Per queste
ragioni riteniamo che continuare a fare politica
sull’anticomunismo sia fine a sé stesso, e ben
poco intelligente. Dobbiamo prendere coscienza
dell’epoca nella quale viviamo, la caduta della
dicotomia destra-sinistra è chiara e sotto gli occhi
di tutti; destra e sinistra entrambe serve del
turbo-capitalismo, ormai da anni si sono
accordate per controllare e sfruttare al meglio il
popolo, il quale ancora oggi viene tratto in
inganno dall’informazione, braccio armato del
sistema, che continua ininterrottamente a
millantare l’usata e superata dicotomia di cui
sopra. “La nostra strada non va né a destra né a
sinistra, va avanti dritta!” Va avanti dritta verso la
costruzione di un partito che guidi le masse verso
la libertà, che ricostruisca uno stato forte,
presente e sociale, che predomini sull’economia,
la quale deve essere considerata soltanto lo
slancio virtuoso di un popolo che produce il suo
futuro, e non un padrone astratto al quale
sacrificare la comunità, la tradizione, e l’umanità
dell’individuo. Avanti dritta nel sicuro sole del
socialismo nazionale, verso la riconquista della
sovranità che barbaramente ci è stata tolta, sia
culturale, che economica. Avanti dritta verso un
unico e categorico sogno: un popolo libero e
sovrano, uno stato forte e presente, una Nazione
potente. Per queste ragioni noi giovani non siamo
più disposti ad accettare il riproporsi della
dicotomia sopra descritta, siamo coscienti che ad
oggi l’unica dicotomia presente è quella che divide
chi sta dalla parte del popolo, e chi dalla parte dei
poteri forti, chi sta dalla parte della tradizione e
chi dalla parte del mondialismo, chi sta dalla parte
dell’intercultura e chi dalla parte della
multicultura. In questa battaglia epocale,
facciamo nostra l’eterna guerra del sangue contro
l’oro, la gioventù frontista che ci accingiamo a
costruire, non dovrà più fare la fila per il nuovo
modello di “smarthphone”, o per acquistare una
nuova maglietta raffigurante la bandiera a stelle e
strisce, ma dovrà formarsi sia culturalmente che
politicamente all’interno del movimento giovanile
di cui sono il responsabile. Soltanto così
riusciremo a formare una futura classe dirigente
meticolosa e preparata ad affrontare le sfide che
la storia ci porrà davanti. Noi saremo
l’avanguardia d’azione e di pensiero di tutta la
patria, noi antiliberisti, antiborghesi, noi ribelli,
noi aristocratici proletari e guerrieri, che
concepiamo la vita come lotta, noi comunitaristi,
noi socialisti nazionali. Noi eternamente
rivoluzionari, siamo pronti per dichiarare guerra al
sistema, e riprenderci quel domani che ci
appartenne, e che di nuovo ci apparterrà.

Andrea Brizzi.
CONTRIBUTO

GENITORE 1 GENITORE 2? NO GRAZIE ! ! FAMIGLIA.

“Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni


famiglia infelice è infelice a modo suo” Lev Tolstoj.
“La famiglia è stata oggetto di numerosi attacchi, e più
volte se ne è annunciata la fine, ma pare che essa
abbia vita più solida di molti movimenti che
pretendevano di eliminarla come un residuo del
passato. In tutte le inchieste, in Europa e altrove, la
famiglia, qualunque ne sia l’esito, è sempre in cima
alle preoccupazioni e agli interessi degli intervistati. È
il sogno di tutti e di tutte. Si sono così moltiplicate le
ricerche per comprenderne meglio i meccanismi e gli
aspetti e soprattutto il rapporto con la società in cui è
destinata a vivere e di cui ha pure bisogno, e
viceversa” , così si esprimeva Gian Paolo Salvini,
Gesuita ed economista, in La Civiltà Cattolica, n. 3901
del 5 gennaio 2013. Si tende a puntare il dito sulla
famiglia infelice ritenendola causa di costi economici e
sociali trascurando, invece, quali siano i punti di forza
che la rendono “risorsa”, nonostante tutto e tutti, e su
cui puntare ogni forma di investimento. Felicità non è
un traguardo ma una condizione, etimologicamente è
fecondità, fertilità, prosperità, ed ogni famiglia è felice
a suo modo, anche quella disgregata, ricostituita o
allargata. La famiglia resta tale, anche in caso di
separazione-divorzio dei coniugi o cessazione della
convivenza more uxorio della coppia di fatto,
soprattutto se vi sono dei figli e/o dei beni materiali e
Bisogna, pertanto, convenire su quali siano le
componenti che danno alla famiglia identificazione
socio-giuridica e che la rendono punto di riferimento
nella vita di ogni persona, come luogo di inizio e di
ritorno di ogni percorso di vita. “Una famiglia è un
gruppo sociale nel quale sono permessi rapporti
sessuali fra i membri adulti, la riproduzione avviene in
modo legittimo, il gruppo è responsabile verso la
società per la protezione e l’allevamento dei bambini
e, infine, il gruppo è un’unità economica se non altro
come unità di consumo” George Peter Murdock,
(antropologo statunitense), questa definizione
contiene i punti cardinali della famiglia: la sessualità,
la legittimità, la responsabilità, l’unità. Oltre agli
aspetti rilevanti nelle varie scienze umane, quali
antropologia e sociologia, è interessante rileggere
queste componenti alla luce della nostra Costituzione,
cosa che ben pochi parlamentari e politici oggi fanno.
La sessualità è espressione della personalità (art. 2
Costituzione) e della persona umana (articoli 3 e 32
Costituzione). La legittimità è il riconoscimento da
parte dell’ordinamento giuridico (art. 29 Costituzione),
da cui seguono delle garanzie. La responsabilità è
legata all’inserimento della famiglia nella più vasta
comunità; si noti che la parola “adempimento” nella
Costituzione è usata nell’art. 31 relativo alla famiglia
(“adempimento dei compiti”), nell’art. 37 relativo alla
donna lavoratrice e alla sua essenziale funzione
familiare, nell’art. 51 relativo a chi svolge funzioni
pubbliche e nell’art. 53 relativo al servizio militare,
tutte specificazioni dell’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale
di cui all’art. 2. La famiglia, dunque, è vocata ad una
funzione pubblica e alla corrispondente responsabilità.
L’unità (art. 29 comma 2 Costituzione) è elemento
identificativo e finalità della famiglia a cui tendono
anche le moderne compagini familiari, come la
“famiglia poligamica o poliamorosa”. La famiglia,
pertanto, nasce e cresce nella sessualità, si consolida
nella legittimità, si misura nella responsabilità, vive
nell’unità. In tal modo la famiglia realizza la bella
definizione data nel Preambolo della Convenzione
Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989 dove si
sottolinea come: “… la famiglia, quale nucleo
fondamentale della società e quale ambiente naturale
per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed
in particolare dei fanciulli debba ricevere l’assistenza e
la protezione necessarie per assumere pienamente le
sue responsabilità all’interno della comunità”. Vi è
quindi una famiglia se, e soltanto se, vi è un ruolo di
padre che: a) determini lo status giuridico, i diritti e le
obbligazioni dei figli riconosciuti legittimi, b) sia
investito dalla società della responsabilità per la
condotta dei figli minori. La famiglia è quel gruppo
sociale in cui conta il “ruolo” di ogni membro e in cui
contano la certezza e la chiarezza dei ruoli, soprattutto
se vi sono dei figli. Ruolo come coerenza,
complementarietà e crescita comune.Le trasformazioni
culturali che hanno segnato la società occidentale negli
ultimi 60 anni hanno portato con sé significativi
cambiamenti anche nelle dinamiche presenti in
famiglia. In passato non vi era dubbio su chi detenesse
il potere educativo: vi era una gerarchia ai cui vertici
stavano i genitori, talvolta alcuni nonni, e ai “piani
inferiori” i figli. Si trattava talvolta di schemi rigidi,
scarsamente negoziabili.
Oggi i ruoli e le gerarchie non solo si sono fatte più
flessibili, ma talvolta addirittura liquide o ribaltate.
Accade sempre più spesso di osservare dinamiche
familiari in cui bimbi e adolescenti dominano le scene
della quotidianità domestica. I figli sono sempre più
insofferenti nei riguardi dei genitori o degli agenti
educativi (per esempio la scuola) e dei loro incipit
pedagogici. I genitori si dimostrano in balìa delle
richieste economiche dei figli, incapaci di porre limiti
agli slanci di autonomia dei ragazzi neo-adolescenti,
sofferenti all’idea di vedere frustrato il figlio da un
proprio incipit educativo. Insomma, ci troviamo di
fronte a genitori confusi e figli apparentemente
dominatori, ma forse altrettanto confusi. Volendo
individuare alcuni fattori che favoriscano e
mantengano queste problematiche si può affermare
che vi sia una lacuna nel ruolo di timoniere da parte
dei genitori. Non sanno che pesci pigliare, sembra che
la funzione educativa abbia perso di prospettiva
schiacciandosi su scelte aventi valenza nel breve ma
non sul lungo termine. “Vi è stato un passaggio dalla
autorità educativa alla dittatura filiale, da una
verticalità eccessiva dei ruoli a un appiattimento in cui
più che di genitori e figli si potrebbe parlare di
compagni o amici” Elisa Mazzola, psicologa e
psicoterapeuta. Non solo ogni membro della famiglia
ha quindi un proprio ruolo, ma la famiglia stessa ha il
suo preciso ruolo: la socialità. Nella Costituzione la
famiglia è definita “società naturale” (art. 29 comma
1); il costituente ha usato la parola “società” solo in un
altro articolo, l’art. 4 relativo al lavoro, in cui si legge
“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le
proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una
funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società”. E la famiglia rappresenta tutto
ciò. “Società” da “socio”, colui che segue, che
accompagna; la famiglia non è un semplice gruppo,
ma società non solo per la vita in comune bensì per le
competenze sociali che fornisce ai suoi membri, i quali
in caso di disfunzioni familiari possono presentare
comportamenti asociali, dissociali o addirittura
antisociali. Quando la famiglia fallisce nel suo ruolo ne
pagano le conseguenze i figli che possono manifestare
forme di devianza sino a sfociare nella delinquenza ed
allora sono necessari interventi affinché il figlio si
riappropri del suo ruolo: “…facilitare il suo
reinserimento nella società e di fargli assumere un
ruolo costruttivo in seno a quest’ultima” (dall’art. 40
della Convenzione Internazionale sui Diritti
dell’Infanzia). La famiglia, oltre ad essere la prima
società, è stata sempre considerata un’impresa. “La
riforma del diritto familiare del 1975 ha liberato la
famiglia dalle funzioni sociali, educative, assistenziali e
produttive che l’avevano sempre connotata,
riducendola a mero luogo di affetti. Questo tra l’altro
può significare che, quando finiscono gli affetti, finisce
anche la famiglia. Occorre invece recuperare la
concezione della famiglia come prima impresa, e in
ogni caso creare una legge che ne ricomponga i vari
aspetti. In realtà, la legge 19 maggio 1975 n. 151
“Riforma del diritto di famiglia” ha liberato la famiglia
dalla considerazione e dalla costruzione riduttiva di
“impresa produttiva” dandole la giusta dimensione di
“impresa” nel senso letterale di “imprendere”,
intraprendere, incominciare, incaricarsi, inteso come
assumersi l’incarico, addossarsi la cura. Tutto questo
lo si evince già dall’art. 143 del codice civile in cui,
rispetto al vecchio testo previgente, è stata inserita la
locuzione “collaborazione nell’interesse della famiglia”,
in cui si parla di concordare l’indirizzo della vita
familiare… Quindi la “famiglia” trova iscritto in se
stessa ciò che la caratterizza e la rende imperitura,
nonostante tutto e tutti. Etimologicamente “famiglia”
deriva dall’italico “famel” e dall’osco “faam”, che
significa “casa” da cui, poi, è derivato il latino “famul,
famulus”, “servitore”. Casa e servizio: casa indica
stabilità, condivisione, abitudini, riti, mentre servizio
indica gratuità, generosità, laboriosità. A conferma di
ciò, l’assegnazione della casa familiare e la
somministrazione di servizi sono proprio gli aspetti su
cui ci si scontra di più nelle cause di separazione.
Casa e servizio così intesi rappresentano ogni famiglia,
da quella anagrafica a quella di fatto, anche quando
non vi sono il matrimonio e i figli. Riassumendo con
un acrostico la famiglia è: Fedeltà, Mantenimento,
Indirizzo, Generatività, Inviolabilità, Amore familiare,
come risultante di tutte le componenti. “Nella famiglia
si imparano lo spirito della cooperazione e la
conseguente logica della solidarietà, che implica
l’attenzione e la gratuità nei confronti dei membri più
deboli; si impara che l’amore non è retorica o
sentimentalismo, bensì impegno quotidiano,
assunzione di un carico, di una responsabilità verso
l’altro. Qui, infatti, non sono in gioco fini uguali, ma un
unico fine comune a tutti.

Marco Affatigato
DEUS VULT
Nei precedenti articoli abbiamo trattato delle armi antiche, la loro
evoluzione, le tecniche di fabbricazione, l’impatto storico e sociale di
cui sono state causa e ragione. In queste pagine, voglio invece
affrontare le questioni relative alla difesa personale, in un periodo,
come quello attuale, che assomiglia molto al crepuscolo delle grandi
Civiltà del passato; era giusto ricostruire alcuni dei percorsi di
sviluppo delle armi antiche, ma credo di fare cosa utile, nell’esporre
alcune considerazioni sulle tecniche di combattimento di difesa
personale. In questo senso, dobbiamo prendere coscienza che ogni
oggetto, anche il più banale e quotidiano, in caso di necessità, può
diventare un’arma micidiale. Così un tagliacarte, o una semplice
penna biro, usati per colpire punti ben precisi, come i polsi, i
muscoli del braccio, l’incavo del gomito, il lato del ginocchio, o
peggio, gli occhi e le tempie, così una carta di credito, che può
recidere i tessuti molli della gola, così un orologio, che può essere
usato come un pugno di ferro, così un bastoncino lungo 70 cm., la
cui estremità, nei colpi di polso, raggiunge i 300 km orari!
L’elenco di queste Armi improprie potrebbe essere molto lungo, ma
ciò su cui è necessario concentrarsi è, soprattutto, l’atteggiamento
mentale, dato che nel combattimento reale, molto raramente c’è la
possibilità di fare “mente locale”, dato che tutto avviene in maniera
istantanea, e, più che a delle tecniche ragionate, è necessario affidarsi
a reazioni non istintive, ma piuttosto automatiche, che sfruttino
sempre la sorpresa, l’azione inattesa, il contro-attacco fulmineo e, in
apparenza autolesionista, quasi suicida. Un detto cavalleresco
medievale recita: "Se vuoi colpire il tuo nemico, non devi aver paura
della Morte". Fa eco il BushiDo dei Samurai”La Via del Guerriero
consiste nella risoluta accettazione della Morte”
Non è un caso che, nelle Arti Marziali originarie delle Filippine, sia
sempre ben presente un concetto, che a noi occidentali appare
inconcepibile e raccapricciante, ma la cui comprensione è
fondamentale per il tema che stiamo trattando.
Mi riferisco all’idea del sacrificio, ovvero a quel particolare
atteggiamento mentale attraverso cui si arriva ad offrire
volontariamente un bersaglio all'avversario, specialmente se armato
di coltello, per spingerlo ad attaccare e quindi ad abbandonare una
posizione di guardia, ed a sbilanciarsi di conseguenza, così da
poterne approfittare, contrattaccando.
Queste tecniche, apparentemente "disperate", sono state originate da
esperienze dirette, spesso molto crude, ma che hanno permesso, nel
Tempo, di individuare alcuni punti del corpo umano utilizzabili, in
caso estremo, per affrontare l'attacco di un coltello o di un bastone.
L'applicazione di queste tattiche richiede di vincere, con la volontà e
la determinazione a sopravvivere, l' istinto di conservazione, il
timore del dolore e della vista del proprio sangue. E’ bene notare che
le situazioni che si ipotizzano in questo tipo di atteggiamento
mentale, sono sempre estreme, e richiedono soluzioni di pari gravità.
Se vogliamo esaminare in modo “scientifico” la genesi e lo sviluppo
di una azione aggressiva, noteremo che vi sono sostanzialmente due
tipi di attacco, che definiremo istintivo e calcolato. L’ aggressione
istintiva è quella scatenata da una situazione di confusione
emozionale, in cui, per i più disparati motivi, i freni dell’educazione
e del rispetto personale “saltano”, anche se solo momentaneamente, e
l’eccesso di adrenalina rende estremamente violente persone di solito
molto controllate. E' proprio questa “inabitudine” all’uso della forza
a costituire un fattore di grande pericolosità per l’obiettivo
dell’attacco. Chi si lancia a testa bassa, “vedendo rosso”, perde il
senso del tempo e del luogo, ed è talmente eccitato da non sentire il
dolore, nè voler tornare in Sé, in una sorta di frenesia combattiva
molto simile, probabilmente, a quella degli antichi Berserker.
Questo tipo di aggressore, incontrollato ed incontrollabile, può essere
fermato solo con tecniche assolutamente efficaci ed invalidanti . Nel
caso di un’aggressione calcolata, chi attacca ha in partenza sia un
obiettivo, sia un risultato ben preciso, e questa posizione
"premeditata" gli permette di incanalare l’inevitabile fiotto di
adrenalina, mantenendo quel "sangue freddo" che ne fa un temibile
avversario. Una simile aggressione inizia quasi sempre con una
azione di disturbo, per esempio il lancio di un oggetto, un bicchiere,
un mazzo di chiavi, in modo da distrarre lo sguardo dell’attaccato, e
costringerlo ad "aprire la guardia", così da rendere vulnerabili
obiettivi già “inquadrati”, come inguine, fegato, plesso solare. reni,
ecc….In questo caso, una volta scattato l’attacco, per il malcapitato
sarà molto difficile sottrarsi, o anche solo ripararsi dalla sequenza di
colpi, che, chissà come, arrivano tutti dolorosamente a segno! E’
utile chiarire, quindi, ancora una volta, che le posizioni di guardia, e
molte delle parate visibili negli incontri di pugilato e di kick-boxing,
hanno un senso e un’efficacia esclusivamente in un contesto
sportivo, in cui, per regolamento, è permesso colpire solo alcuni
bersagli, come il viso, il busto e le braccia, ma è altresì vietato ogni
altro punto, come i reni, la nuca, le tempie, il basso ventre, le
ginocchia, a causa dei danni che gli atleti potrebbero riportare. Nel
caso sopra citato, però, l’aggressore, in mancanza di simili limiti, può
sfruttare ogni punto vulnerabile scoperto, dal momento che non
esiste, oggettivamente, una tecnica difensiva o una posizione passiva
abbastanza efficace da proteggere tutto il corpo
contemporaneamente. Chi attacca può, inoltre, conoscere e sfruttare
le reazioni istintive, quei riflessi automatici che, per esempio, fanno
spostare di scatto il bacino all’indietro, se si finge una ginocchiata, o
che, in presenza di una improvvisa sensazione dolorosa, fanno
reagire portando le braccia e l’intero corpo a difesa della zona
colpita, o che fanno allontanare da chi colpisce in modo
incontrollato, senza la minima padronanza dei movimenti e, quel che
è peggio, del proprio equilibrio. Se si viene afferrati per un orecchio,
con decisione, non c’è forza di volontà che si possa opporre, così
come si è costretti a piegarsi o ad inginocchiarsi sotto l’azione di una
leva articolare, eseguita, magari, afferrando e torcendo un pollice!
Nell'ambito del combattimento armato, è importante tenere in
considerazione l'istintivo timore dell'Avversario per i punti più
esposti, come le dita, il viso, il ventre, le tibie e le ginocchia. Un altro
concetto fondamentale, che si lega a quelli, sopra citati, dei punti
vulnerabili scoperti e delle reazioni istintive dell’avversario, è
quello, carico di venerabili significati, che ricerca la massima
efficacia nell’azione minore. Per avvicinarsi alla pratica di questi
concetti, segnatamente all’ultimo, sono necessari Anni di
allenamento specifico, e, se da un lato sono costretto a descriverli per
la migliore comprensione dell’argomento trattato, dall’altro lato
sconsiglio decisamente di tentare si applicare queste nozioni senza
una guida qualificata o una adeguata esperienza Premesso ciò, è
possibile passare alla spiegazione del suddetto concetto, che è il vero
motore di ogni confronto, motivo di ogni vittoria e causa di ogni
sconfitta, tra gli Uomini, tra gli animali e perfino tra i vegetali.
Assurdo? Non più di tanto. Ricercare la massima efficacia
nell’azione minore, per qualunque creatura e per qualsiasi azione,
significa ottenere il risultato migliore, più ampio e più soddisfacente,
applicando lo sforzo minore, con il minor dispendio di tempo, di
sostanze e di energie. Le piante carnivore, le Attinie, i predatori che
cacciano in branco, ad esempio, hanno applicato, in Natura, proprio
questi concetti. Per l’Uomo, che a volte, poche per la verità, si è
ispirato alla Creazione ed ai suoi esempi, è possibile applicare i
precetti sopra detti a tutte le sue attività, dalle strategie commerciali
alla caccia, dalla difesa personale alla tattica militare.

David Valori
VEXATIO STULTORUM

In cha’ Allah
«..l'Islam e l'Europa sono due mondi destinati ad incontrarsi;
entrambi infatti hanno in comune alcuni valori fondamentali
da difendere e hanno a che fare con gli stessi nemici: il
razionalismo, il materialismo, l'oscurantismo democratico,
l'ateismo marxista e capitalista, l'azione del giudeo
sfruttatore» Adolf Hitler

I recenti fatti francesi hanno riportato alla luce un


tema troppo spesso ignorato, perchè da sempre
divide un mondo, quello di provenienza di molti di
noi, che erroneamente chiamavamo "Destra". Dal
primo dopoguerra, c'è stata una progressiva
cooperazione tra forze della cosiddetta Destra
"Radicale"(etimologicamente da radici/cioè uomini
della Tradizione.) e l'islam, un atteggiamento
filoislamico, le cui origini sono dovute
prevalentemente a 3 fattori: la solidarietà storica
del Fascismo e soprattutto del Nazionalsocialismo
con i popoli musulmani, la presentazione
dell'Islam fatta dai pensatori tradizionalisti, il
manifestarsi dell'Islam come forza spirituale e
politica in lotta contro “nemici comuni". Purtroppo
dobbiamo notare un comportamento
schizofrenico, che consiste nell'assumere posizioni
filoislamiche in relazione alla Palestina, alla Siria,
etc, e posizioni antislamiche in relazione all'Italia,
dove il flusso migratorio da paesi islamici, viene
considerato un’ "invasione". Questa schizofrenia ci
espone al rischio di diventare alleati delle forze di
governo, filoamericane, filosioniste e antieuropee.
Senza alcun dubbio, la cosiddetta società
multiculturale è un pericolo per l'Europa, ma Il
modello sociale comunemente chiamato
"multiculturale" è in realtà monoculturale, perché
esso prevede l'esistenza esclusiva, di un'unica
cultura; quella Statunitense, impegnata in una
guerra messianica di conquista verso un mondo
arabo, da distruggere, e verso un mondo cattolico
da trasformare in laico bacino commerciale. Il
modello "occidentale", imposto a una parte
dell'Europa nel 1945 e ad all'altra nel 1989,
considera l'Islam come il proprio nemico
principale. L'Islam viene dipinto esclusivamente
come una religione aggressiva, dimentichi, di
Federico II°, di Mussolini spada dell'Islam, di
Filippo T. Marinetti, che nel libro "Il fascino
dell'Egitto" confessa la sua passione per il "sacro
meccanismo dei Dervisci" di Ezra Pound che
inserisce il Profeta Maometto tra le grandi
personalità cosmiche, di Gabriele D'Annunzio che
sottolineando le affinità tra il Vangelo e il Corano,
arrivò ad affermare che dall' lslam sarebbe venuta
"una forza nuova per un'Italia nuova". L'Italia
fascista, ponte tra Oriente e Occidente, puntava a
recuperare il ruolo "Romano", se non di Caput
Mundi, almeno di Leader dei paesi del
Mediterraneo, e per farlo proponeva iniziative
specifiche. Nel maggio del 1934 l'Italia fascista
dava inizio alle trasmissioni di Radio Bari,
emittente in lingua araba destinata ai paesi di
area islamica. La prima organizzazione
musulmana fondata in Italia fu l’Aml (Associazione
Musulmana del Littorio), nata a Roma nel 1937,
fondata da un gruppo di cittadini italiani di origine
somala, arruolati nel Regio Esercito in qualità di
Ascari. Storicamente, ogni qual volta l'Islam ha
assunto responsabilità di governo, ha riconosciuto
le altre religioni e ne ha garantito protezione ed
autonomia. Nell' Impero Omayyade i cristiani
furono rispettati al punto che San Giovanni
Damasceno diventò ministro del Califfo.
Nell'Impero ottomano il Patriarca ortodosso ebbe
sempre la dignità di ministro del Sultano. Nella
tanto demonizzata Repubblica Islamica dell' Iran i
cristiani e gli zoroastriani hanno loro
rappresentanti parlamentari. Senza dimenticare
l'Iraq di Saddam Hussein dove musulmani e
ristiani vivevano in piena armonia, e dove un
cristiano caldeo, Tareq Aziz considerato il numero
2 del Regime, spesso ricoprì, de facto, il ruolo di
capo del governo. A "Destra" l'islam ha
influenzato il Centro studi Ordine Nuovo, ispirato
alle teorie Evoliane, a loro volta inscindibili da
quel Renè Guenon convertitosi all'Islam col nome
di Abdel Wahed Yahia. E poi Ordine Nero, dove
troviamo un giovane Claudio Mutti, convertito, ed
ora direttore di "Eurasia". La scuola di Carlo
Terraciano, e c'è anche chi considera "La
disintegrazione del sistema" -1969- di Franco
Freda, il vero testo ispiratore de: "Il Libro Verde
della Rivoluzione" di Mu'ammar Gheddafi,
pubblicato in lingua araba nel 1975. Lungi da me
con questo testo voler fare apologia dell' Islam,
pur se amante dello studio delle Religioni, resto
da buon tradizionalista ancorato alle nostre radici,
che sono, prima pagane, poi cristiane, almeno
sino all'abominio del Concilio Vaticano 2°, ma mi
sento più vicino a quei popoli che difendono le
loro radici piuttosto che a quelli che difendono
solo i propri conti in Banca. Tomaso Staiti diceva:
“Sono convinto che si possa essere cattolici e
fascisti, mussulmani e fascisti, pagani e fascisti....
il discrimine non è sui comportamenti privati e
personali, ma sull' aspirazione a qualcosa di
spiritualmente forte che disegni uno Stato
diverso, una concezione etica della politica, una
volontà di potenza che superi gli interessi e gli
egoismi dei singoli.” Bisogna denunciare la tesi
dello "scontro di civiltà" per quello che essa è:
uno strumento ideologico dell'imperialismo
americano che mira a fare esplodere una serie di
guerre civili in Eurasia a profitto degli Stati Uniti.
Se "scontro di civiltà" deve essere, non opporrà
l'Islam al Cristianesimo, ma la civiltà Eurasiatica
alla barbarie americana. Pietrangelo Buttafuoco
convertitosi all'Islam col nome di (Giafar al Siqilli)
scriverà: “a chi mi augura di morire....dedico un
sorriso....all’amico che non mi ha più voluto...dico
che, va bene, lui è nel giusto e io nell’errore. In
questo preciso asse temporale lui è nel secolo
americano mentre io...sono nelle tenebre. Ma io
ho un vantaggio. Io m’incammino a conoscere un
mondo che lui si ostina a non voler
riconoscere....per dirla con Franco Battiato: Il
giorno della fine non ti servirà l’inglese”....

Mussolini Spada Dell’Islam

Sannò
ELEGIA

LA MADONNA DEL FASCIO

La Madonna del Fascio


Fu composta in Portogallo;
Il suo autore or qui tralascio,
che la diede, senza fallo
nel lontano Ventisette,
in omaggio a Mussolini;
Questi, allora, la cedette,
per proteggere i bambini,
all'Asilo intitolato
a sua madre; e le suore,
in quel luogo consacrato,
custodiron con amore
quella bella Madonnina;
senonché dei partigiani
ne volevan la rovina
per il Fascio tra le mani
di leggiadri angioletti,
che alla Vergine recando,
nel fervore degli affetti,
pure il Fascio, van danzando.
Una suora coraggiosa
Intraprese con ardore
Un'azione vittoriosa
Con l'aiuto del Signore;
e, placati quei furori,
ai sacrileghi si oppose:
coprì il Fascio con dei fiori,
con un fascio pien di rose.
Or l'Asilo a santa Rosa
A Predappio è dedicato;
e l'effigie in ogni cosa
molte grazie ha procurato."

Ada Negri
LA CARTA
La carta su cui scrivono i derelitti, i vagabondi
gli sfrondati meccanici
non ha righe per andare dritto, non ha forme sinuose
se non fumo e arrosto, travagli generici
sbattuti come poesie malfatte

La carta su cui sputano i malandrini


è prodotto di sputi più antichi, di sudore misto a malta
vomitata con più ardore
da oscure botteghe rintanate in fondo a strade
poco e sempre meno trafficate

La carta su cui scrivono gli amanti


è consunta dallo zolfo, madida di suspence
che cento baci al giorno per dieci anni
sono un sospiro di sollievo prima della catastrofe

Io non scrivo
e con me non scrive più un mondo
due mondi, anzi, indistinti e alteri
insofferenti e armati
le gialle comete a capicollo sulle tramvie
come tante molotov lanciate dal sesto piano
per fermare l'invasione di topi
aspettata, ammirata, somatizzata

Io non scrivo
e tuttavia me ne esco baldanzoso
coatto da più grandi e impervie idee di grandeur
che la vita è un fiotto, la vita è un assalto
che lo scrivere è noia, e la noia è cultura
e la cultura non si ascolta più dai vecchi e dalle puttane
ma dagli economisti inviperiti
perchè questo Capitale gli ha lasciati più vecchi e meno sordidi
di quanto avessero sperato

chi coltiva l'ignavia e il rancore


raccolto nelle budella sue proprie
contrito paesano di se stesso
prima o poi caverà dal suo cilindro
ereditato dal nonno partigiano
un emigrazione spontanea
un patriottismo d'accattone
per poter scrivere, un giorno
che lui, anche lui ha fatto l'Italia
e perpetuare certe questioni bavose

chi coltiva l'ignavia e il terrore


non scrive
ne' male ne' bene
ma pretende che le sue parole se ne vadano insieme ai coiti
che il suo tempo non diventi greve ma solo ritenute in busta paga
che il suo respiro si spezzi senza valzer ma solo con ritmi
ritmi sempre altrui

e io non scrivo e non parlo stanotte


così uguale, così tragicomica come le altre che Hegel mi ha concesso di vivere
non scrivo e non parlo nessuna lingua e nessuna civiltà
per non correre il rischio
muschioso e remoto
di succhiare un midollo che sia uno
di intaccare il così inutile spappolarsi delle cose

io non interrompo ciò che un Tempo


il Tempo concesse di esistere
e non interpongo il mio corpo lucido e mendace
con i denti del vasto Morso.

Lorenzo Centini

KOMISO KOMIO

Tornerà l'epoca dei dialoghi con Dio


e dei giochi con Satana.
Insieme.
fra le braccia forti di quella puttana antica.
Torneremo ad unirci con l'infinito,
a plasmarlo, a nostra immagine e somiglianza.
L'ultimo Kalpa si avvicina;
lontani.
sperduti,
distanti,
veglieremo la ns. Cultura. attenti,
che alcuno non entri nel nostro Universo.

SANNO 1984
SOLO AL MONDO

Il vento del Nord E allora non ti salveranno


fa vibrare una lamiera le preghiere al Dio denaro,
arrugginita dal tempo, le tue ferite non si laveranno
il tremolio lontano con i fiumi del tuo champagne
di luci elettroniche, francese,
sembra illuminare non cesseranno di puzzare da
l’esistenza del vizio, putrefatte,
sembra rivelare grazie ai tuoi profumi costosi.
l’esistenza di un abisso.
Nessun servo correrà in tuo aiuto.
Solo al mondo, Rimarranno soltanto macerie,
giacché le luci elettroniche bandiere strappate
non mi hanno mai convinto. e monumenti in lacrime,
e nella fine sarà l’inizio.
Sacchetti di plastica
danno la mano Solo al mondo,
a lattine vuote, giacché non ho mai sopportato
un giro di valzer li unisce, di veder piangere i monumenti.
e la luce di un’insegna
rivela la loro uguaglianza Andrea Brizzi 29/12/14
nella diversità.

Solo al mondo,
giacché ballare non mi ha mai divertito.

La pizza avanzata nei cartoni


urla vendetta,
mentre folle di stracci
chiedono pietà,
un altro drink se ne va
in questo eterno weekend del mondo.

Occidente bambino viziato,


occidente vigliacco e meschino,
per quanto tempo ancora
ferirai la Storia?

Nei pub stracolmi


e nei ristoranti di lusso,
tra champagne e aragoste,
tra droghe, alcol
e bramosie di ricchezza,
ridi Occidente,
che l’ultimo giro di bevute
non tarderà ad arrivare
LA POSTA DEGLI E(LETTORI)

Buongiorno, mi presento, mi chiamo Francesco Antonetti,


abito nei dintorni di Montecatini Terme provincia di Pistoia.
Sono iscritto a questo Partito da circa 8 mesi, infatti dopo aver
letto un articolo giornalistico riguardante questo movimento,
ho contattato la locale sede di partito iscrivendomi e prendendo
la tessera. Premesso questo, specifico di non essere mai stato
un elettore di Destra, di aver sempre votato partiti di Sinistra.
Mi sono allontanato da questa area politica a causa del
rinnegamento degli ideali di giustizia ed equità sociale per cui
era nata. la sinistra si è infatti uniformata al modello
neoliberista imperante di matrice anglosassone. Quello che mi
ha convinto ad iscrivermi al Fronte Nazionale, è rappresentato
dal Programma riguardante lo stato sociale, analogo a quello di
un partito Socialista. Infatti attualmente dopo il crollo delle
ideologie, non hanno più senso termini quali destra e sinistra,
poichè all'interno del panorama politico italiano, entrambi gli
schieramenti, rappresentati rispettivamente dal cosiddetto
centrodestra di Silvio Berlusconi, ed il cosiddetto centrosinistra
di Matteo Renzi, non esiste alcuna differenza sostanziale in
quanto entrambi perseguono una politica neoliberista imposta
da lobby economiche finanziarie, aventi sede principalmente
negli U.S.A. In termini di strategia elettorale, il Fronte
Nazionale parafrasando il celebre slogan di Enrico Berlinguer,
può essere rispettivamente partito di lotta e di governo... lotta
oggi per arrivare al governo di domani. Infatti rappresentando
una politica autonoma e alternativa rispetto agli altri partiti,
può essere un valido riferimento per un elettorato sempre più
astensionista. Appoggiare politicamente il cosiddetto
centrodestra, equivale ad un vero e proprio suicidio politico, in
quanto schieramento privo di un valido programma elettorale
convincente. Il Fronte Nazionale, nell'ambito di una campagna
promozionale effettuata su scala nazionale, accessibile in
termini di comprensione e rivolta a potenziali elettori, può
avere ottime prospettive di sviluppo elettorale, ad arrivare a
realizzare un modello statale che dia orgoglio e dignità
nazionale al nostro paese.

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