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sol

if
err
um
Soliferrum

Irriverenti, anticonformisti, Nazionalsocialisti della peggio razza.


Siamo sempre noi. Pronti a farvi sognare come Riccardo Fogli su un
palco in Crimea. Così strani che non tutto il male vien per nuocere:
da un rifiuto può nascere una collaborazione. La conferenza di
Millennivm del 29 Marzo è solo un altro evento di quella che, ci
auguriamo, sarà una serie ancora lunga.
Dopo esser stati snobbati da Stato & Potenza, non ci siamo pianti
addosso, ma, rimboccateci le mani, abbiamo contattato i ragazzi di
Millennivm (rivista online di studi geopolitici),per parlare dei metodi
che l’Impero mette in campo per destabilizzare le realtà non
conformi. Siamo riusciti in tal modo ad organizzare una conferenza
vitale ed utile: violentare l’acqua ferma della autoreferenzialità della
comunità. Ci siamo riusciti? Sicuramente in termini di qualità, meno
nella quantità. Ma la locomotiva della cultura non s’ha da fermare: a
presto una collaborazione con i ragazzi di USN e de La Fenice di
Firenze, e altre cose bollono in pentola! Comunità, la nostra, che è
stata attraversata da dissidi a causa delle elezioni amministrative, ma
non ha vacillato sotto il peso della mediocrità, peso che tutt’ora
avvelena le nostre spalle. Siamo certi però di uscirne più forti e coesi
di prima. Consci del fatto che ognuno di noi vale per uno, e che
insieme siamo qualcosa di più grande.
Exemplis vitae

« Se io avessi avuto un figlio mi sarebbe


piaciuto che fosse come voi. » - Adolf Hitler.

Léon Degrelle
Il 31 Marzo 1994 si spenge a Malaga una delle
ultime Fiamme di un sogno Europeo. Léon
"Joseph Marie Ignace" Degrelle nacque a Bouillon,
nelle Ardenne belghe, presso il castello di
Goffredo, leggendario condottiero della prima
Crociata. Suo padre Édouard esercitava il
mestiere di birraio in Francia ed era espatriato in
Belgio nel 1901, a seguito dell'espulsione dei
Gesuiti francesi e al rinfocolarsi del movimento
anticlericale. Assunta la nazionalità belga Édouard
Degrelle avviò la sua carriera politica con il Partito
cattolico belga, eletto al consiglio provinciale del
Lussemburgo divenne deputato nel 1925. Léon fu
il quinto figlio nato dalla coppia, frequenta la
scuola materna presso i "Religiosi della dottrina
cristiana" Dopo aver completato gli studi
secondari presso l'"Istituto San Pietro" di Bouillon,
entra nel 1921 nel collegio di "Nostra Signora
della pace" a Namur tenuto dai Gesuiti.
Appassionato di letteratura, iniziò a scrivere
composizioni poetiche e a collaborare a giornali e
riviste di provincia già dall' età di quindici anni.
Viene notato dal capo del partito Socialista belga
Emile Vandervelde che pubblica uno dei suoi
articoli ne: Le Peuple e gli manifesta la sua
simpatia. Nell'ottobre 1927, per iniziativa di
monsignor Picard, Cappellano dell' Associazione
cattolica della gioventù belga, Degrelle assume la
direzione de L'Avant-Garde, il giornale degli
studenti, che sotto la sua direzione raggiungerà la
pubblicazione straordinaria di 10.000 copie. Dal
1928 al 1930, Degrelle scrive poemi, opere di
parodia, e libri di politica. Dopo l'assassinio del
presidente del Messico Álvaro Obregón, per mano
di J. Toral, un giovane studente cattolico, Degrelle
pubblica un articolo dove approva l'omicidio
d'Obregón, l'articolo suscita un grande scandalo, e
messo alla corda dalla stampa di sinistra che lo
invitava ad andare in Messico a vedere con i suoi
occhi quello che stava realmente accadendo,
Degrelle accetta la sfida. Dopo un soggiorno nel
bel mezzo della guerra dei Cristeros. Nell'ottobre
1930, Degrelle è nominato direttore di una
modesta casa editrice, Christus-Rex incaricata
delle pubblicazioni dell'Azione cattolica. In
occasione delle elezioni del 1932, Degrelle è
incaricato di condurre una parte della campagna
elettorale a sostegno del partito cattolico, durante
la quale mostra il suo vero talento di
propagandista. Nel corso di questa campagna
Degrelle utilizza un manifesto realizzato da Hergé
(il futuro autore di Tin Tin) che raffigura un cranio
protetto da una maschera antigas. Dal 1932 al
1933, Degrelle lancia quattro nuove pubblicazioni:
Rex, Vlan, Foyer e Crois. Sul numero di Rex del
25 febbraio 1933, scriverà: "Rex è prima di tutto
un movimento...Noi vogliamo....conquistare
bastione per bastione......tutte le fortezze del
paese..." L'entrata in politica di Rex produce una
profonda trasformazione del movimento: se la
maggior parte dei suoi dirigenti sono ancora i
giovani cattolici militanti, Rex diviene il punto di
raccolta d'una coalizione di scontenti, che
raggruppa reduci della prima guerra mondiale, e
membri delle leghe nazionaliste. Degrelle imposta
la sua campagna sull'antiparlamentarismo e il
rifiuto dei partiti tradizionali. “Tutti i partiti
corrotti si equivalgono. Tutti vi hanno
derubati, portati alla rovina….se volete
essere schiacciati dalla dittatura dei
banchieri.....mettetevi al seguito....dei
politici profittatori” Alle elezioni del 1936, il
partito Rexista ottiene l'11,5% dei voti, 21
deputati e 12 senatori. Come gli altri dirigenti dei
partiti politici belgi, Degrelle è ricevuto dal Re
Leopoldo III. Degrelle cerca appoggi anche
all'estero presso la Germania e l'Italia. Forte della
sua vittoria elettorale Degrelle fù invitato dal
governo Italiano. Il 27 luglio 1936 incontra a
Roma Benito Mussolini e il suo ministro per gli
affari esteri, Galeazzo Ciano, che gli concede un
sostanzioso aiuto finanziario. Il 26 settembre
1936 è ricevuto a Berlino da Adolf Hitler e J.
Ribbentrop. Nelle elezioni legislative del 2 aprile
1939 Degrelle è rieletto deputato. Degrelle
approva la politica di neutralità di Leopoldo III
attribuendo però la responsabilità della guerra
alla Francia e alla Gran Bretagna, e in particolare
alle forze nascoste della massoneria e della
finanza ebraica. Il 10 maggio 1940, il ministro
della giustizia Paul E. Janson ordina sulla base
della legge del 22 marzo 1940, relativa alla difesa
delle istituzioni nazionali, l'arresto di seimila
persone fra le quali figurano rifugiati tedeschi,
troskisti, anarchici, nazionalisti fiamminghi,
comunisti e una minoranza di Rexisti tra cui Léon
Degrelle. I prigionieri sono trasferiti in campi
dell'ovest del Belgio, poi in Francia. Degrelle, è
separato dagli altri prigionieri e interrogato a
forza di percosse e con finte fucilazioni a
Dunkerque. Finalmente ritrovato nel campo di
Vernet viene liberato il 24 luglio. Dopo un breve
periodo a Parigi dove cerca l'aiuto delle autorità
tedesche Degrelle raggiunge Bruxelles, mette fine
alle esitazioni che agitano i dirigenti del
movimento e s'impegna Nella collaborazione con
il Terzo Reich. Degrelle s'appresta allora a
rilanciare il Rexismo, dotandolo di
un'organizzazione paramilitare, le «Formations de
combat» (Gruppi di combattimento), creati il 9
luglio 1940 che raggruppano all'incirca 4.000
uomini. L'occasione per i Rexisti di concretizzare
la volontà di collaborare avviene nell'estate del
'41, quando Hitler decide l'attacco all'Unione
Sovietica con l'Operazione Barbarossa. Nel corso
di un raduno a Liegi il 22 luglio del 1941, Degrelle
annuncia che egli si arruola nella Legione come
soldato semplice. Alla fine sono 850 i volontari,
che lasciano Bruxelles per un campo di
addestramento a Meseritz in Germania. Degrelle
ha assicurato ai volontari che essi indosseranno
un uniforme militare belga, e saranno messi sotto
un comando integralmente belga. Fin dal
novembre 1941, malgrado la mancanza di
preparazione dell'unità, Degrelle insiste, presso il
comandante delle forze italiane del settore, il
generale Luigi di Michele. affinché la legione sia il
più presto possibile inviata al fronte. Il nuovo
comando presieduto dal Capitano Georges
Tchekhoff, vecchio ufficiale Russo dell’ Armata
bianca, è assistito dal tenente L. Lippert e da
Léon Degrelle, che nonostante il suo grado di
oberfeldwebel (sergente maggiore), verrà
trasferito nello Stato maggiore. Degrelle dà prova
al fronte di vero coraggio ed è decorato con la
Croce di ferro e nominato Feldwebel (aiutante) nel
marzo 1942, dopo che la legione ha perso il 63%
dei suoi effettivi resistendo ad un'offensiva russa.
Durante il 1942, la legione non conosce un attimo
di sosta sul sanguinoso fronte orientale dove
viene impegnata frequentemente in prima linea
delle offensive tedesche. Il 17 settembre 1942,
Degrelle prende contatto con la SS-O. Felix
Steiner, comandante della "5ª Panzerdivision SS
Wiking" per preparare l'inserimento della Legione
Vallona nelle SS. Con l'aiuto di Steiner egli si reca
a Berlino per ottenere l'assenso dei responsabili
tedeschi. Il 24 maggio 1943, Degrelle incontra per
la prima volta Himmler, che fa delle piccole
concessioni, come il mantenimento degli ufficiali,
del cappellano cattolico e del francese come
lingua per gli ordini. Il 1º giugno 1943, la legione
vallona diventa Sturmbrigade delle Waffen-SS,
con la denominazione di SS-Freiwillingen-Brigade
wallonien. Durante la battaglia di Cerkasy,
Degrelle è promosso SS-Hauptsturmführer. Il 20
febbraio 1944 Degrelle è ricevuto da Adolf Hitler
che lo decora della Ritterkreuz (croce di cavaliere
della Croce di ferro), una delle più alte
onorificenze tedesche. Durante il suo ultimo
incontro con Hitler il 25 agosto 1944 Degrelle
riceve la croce di ferro con foglie di quercia.
Promosso SS-Sturmbannführer nell'aprile 1944.
Degrelle è alla testa di una brigata di 4.150
uomini. La 28ª divisione SS-Wallonie partecipa
alla sua ultima campagna in Pomerania. Il 2
maggio 1945 sarà nominato da Himmler SS-
Brigadeführer. Condannato a morte in contumacia
dal Consiglio di guerra di Bruxelles il 29 dicembre
1944, Degrelle raggiunge alla fine di aprile del '45
la Danimarca e poi la Norvegia, due paesi sempre
sotto controllo tedesco: arriva ad Oslo dove
requisisce un aereo leggero e finisce per atterrare
fortunosamente su una spiaggia di San
Sebastiano nel nord della Spagna. Un belga
corrispondente di guerra, R. Francotte, gli fa visita
nell'ospedale, durante questo incontro Degrelle
afferma che è pronto a tornare in Belgio per
esservi giudicato, a condizione che un'amnistia
totale sia accordata ai vecchi combattenti del
fronte orientale, che egli possa presentarsi
«vestito con la sua gloriosa uniforme con la
coccarda belga, con le decorazioni guadagnate al
fronte», che gli si assicuri che possa difendersi da
solo e che il processo abbia una diffusa pubblicità
attraverso la stampa e la radio. L'incaricato
d'affari del Belgio in Spagna, Jacques De Thier,
intraprende delle negoziazioni nel 1946 con le
autorità spagnole per il rientro di Degrelle verso la
Francia con la consegna all'ONU o alle autorità
d'occupazione in Germania, quando una domanda
di estradizione deve ancora essere esaminata
dalla giustizia spagnola. Il 10 aprile 1947 le
autorità spagnole informano De Thier che «il
Consiglio di stato si è opposto all'estradizione
perché i crimini che sono imputati a Degrelle sono
politici o connessi ad un'attività politica». Degrelle
viene naturalizzato nel 1954, sotto il nome di
Léon José de Ramirez Reina. Nel 1947 Degrelle fa
parte dei fondatori di un'associazione d'estrema
destra, "Soccorso internazionale" dove
confluiscono vecchi membri delle SS e della
Gestapo. Nella notte dal 22 al 23 novembre 1975
Degrelle partecipa per due ore alla veglia funebre
del corpo di Franco. Diventa un referente per i
movimenti neofascisti europei, per i partiti
d'estrema destra e i movimenti integralisti. È
vicino al Fronte Nazionale francese ed è un
ammiratore e un amico del suo dirigente Jean-
Marie Le Pen. Durante una trasmissione del
programma Diritto di risposta, su TFI, il 22
maggio 1988, Le Pen dichiara: Conosco
Degrelle.....è un monumento della seconda guerra
mondiale. Degrelle si spegne all'età di 87 anni
nella sera di giovedì 31 marzo 1994 nella clinica
del Parco di Sant'Antonio per insufficienza
cardiaca. Il suo corpo sarà cremato il giorno
successivo.
DESTRA DOMANI

ILLEGALITA’ DI STATO E TOTALITARISMO :

L’Italia , dopo i tre successivi colpi di Stato ad opera delle


sinistre in combutta con i poteri forti, ( novembre 2011, ottobre
2013, febbraio 2014), sta sempre più velocemente scivolando
nella illegalità tipica dei sistemi paracomunisti. Le apparenze
della democrazia sono peraltro salve: il pluripartitismo esiste,
alle scadenze previste si vota, la libertà di pensiero è
ufficialmente garantita. Purtroppo, però, queste libertà si vanno
rapidamente affievolendo e rischiano di restare ben presto
soltanto sulla carta. Facciamo alcuni esempi. Quanto alle
elezioni, esse appaiono svuotate di contenuto effettivo non solo
e non tanto per la mancanza delle preferenze, ma soprattutto
per l’omologazione dei partiti fra loro, ad opera di ricattatori e
trasformisti. Nel 2011 gli elettori di destra furono brutalmente
gabbati dalla mafia internazionale del denaro, la quale ,
d’accordo con i propri manutengoli locali, dette vita alla
tragicommedia dello spread, ( venne pure nominato così uno
dei più esplosivi fuochi d’artificio napoletani), manovrato a
bella posta dalle lobby anti-italiane, al preciso scopo di far
cadere illegalmente il governo uscito dalle urne, per sostituirlo
con un altro, non eletto e perciò illegittimo, egemonizzato dalle
sinistre, anche se minoritarie e sconfitte. Nell’ottobre dello
scorso anno la manovra si è ripetuta, stavolta con la complicità
degli alfaniani che, tradendo moralmente il loro mandato,
hanno trasferito a sinistra i voti ottenuti a destra, per merito
esclusivo di Berlusconi. Con l’avvento di Renzi, ancora una
volta alle spalle del popolo, ci troviamo davanti all’ultima
congiura di palazzo , interna al Pd ma sostenuta, come sempre,
dagli inutili idioti di Ncd e forse, domani, da una pattuglia di
grillini rinnegati. Risultato: un Paese che nel 2008 ha conferito
alla destra una maggioranza schiacciante e nel 2013 ha negato
alla sinistra la vittoria, si trova oggi governato proprio da
quest’ultima. Ciò per sottolineare quanto valga il responso
elettorale , di fronte alla malafede e alla corruzione di molti
rappresentanti del popolo. Se dalle elezioni truccate passiamo
poi alla libertà di pensiero, il panorama non sembra certo più
rassicurante. Gli oppositori non di comodo, quelli per
intendersi che non vogliono cambiare un governo ma l’assetto
politico-istituzionale e il modello di sviluppo, non trovano
alcun fòro dibattimentale ove esporre le proprie idee, vengono
sistematicamente ignorati dai media, boicottati dagli editori,
dalle accademie e tacciati di populismo. Con questi sistemi,
giorno dopo giorno, si consolida il potere delle sinistre, che fa
già sentire i suoi nefasti influssi in campo sociale ed
economico. Come di consueto, nel nome delle grandi
emergenze si continua ad espropriare il cittadino dei suoi
legittimi averi, usando la leva di un fisco sempre più esoso e
addirittura mettendo le mani sulle pensioni già erogate, ancor
prima che su quelle future. Lo Stato, in perfetto stile totalitario,
s’infischia altamente dei principi basilari del diritto , come la
non retroattività della norma. Leggi retroattive, in aperta
violazione della Costituzione, dei trattati europei, dei diritti
dell’uomo e del cittadino, vengono sfornate quotidianamente
nell’indifferenza generale e con la pedissequa obbedienza di
tutte le forze politiche, immancabilmente d’accordo quando si
tratta di arricchirsi alle spalle del contribuente. Se poi qualcuno
osa protestare, i partiti si difendono con lo stesso ritornello di
sempre: i cittadini devono vivere l’inferno oggi per prepararsi
il paradiso domani. A tale scopo , per imporre sacrifici senza
che nessuno si opponga , essi inventano i grandi inciuci ,
compromessi storici o fronti popolari che dir si voglia. Con ciò
non fanno che applicare l ‘abusata strategia marxista-leninista
della disinformazione, che permetteva a Lenin di profetizzare:
noi comunisti venderemo alla borghesia la corda con cui si
impiccherà. Ma chi vogliono prendere in giro questi buffoni?
Pensano forse che il popolo sia composto soltanto di ignoranti
e deficienti, che non conoscono la storia e i sacri testi
dell’ideologia? Ecco perché noi, che ci definiamo
orgogliosamente di destra, abbiamo il dovere di informare con
esattezza gli italiani su quanto sta accadendo, per quale motivo
e per colpa di chi. Sulla base di questa corretta visione delle
cose , dobbiamo quindi organizzare una opposizione sempre
più dura , intransigente e compatta, fondata su proposte
alternative serie , studiate e documentate . Renderemo con ciò
il miglior servizio alla nostra Patria, ai nostri fratelli di oggi e
di domani.

Carlo Vivaldi-Forti
Gino Marchesini

Cinque anni fa, il 2 febbraio 2009, tornava alla


Casa del Padre un grande pastore, un caro amico,
un saldo punto di riferimento ideale di una vasta
Comunità : il tenente Gino Marchesini, Presidente
dei Canonici della Cattedrale di Pescia, Cavaliere
della Repubblica, Cavaliere dell'Ordine del Santo
Sepolcro. Don Gino aveva un carisma del
tutto particolare: la sua voce possente
accumunata dai gesti paterni delle sue braccia,
affascinava e incantava, sia che facesse i suoi
sermoni nella splendida chiesa di Cristo Redentore
a Monsummano Terme, che aveva fortemente
voluto, sia che officiasse la S.Messa per i suoi,
come amava definirli “eroici caduti” nelle
celebrazioni combattentistiche di reduci della
Repubblica Sociale Italiana, dei quali ricopriva la
carica di cappellano nazionale. Don Gino era nato
nel 1916 in Valdinievole a Ponte Buggianese.
Dopo aver frequentato il Seminario Diocesano fu
ordinato sacerdote nel 1940. Fortificato da una
fede granitica e di un grande patriottismo, allo
scoppio della guerra divenne cappellano militare a
Livorno e fu inviato a Zagabria alla guida
spirituale di un battaglione di Camicie Nere
d'Assalto. Dopo l'otto settembre del '43 fu fatto
prigioniero dalle truppe tedesche e deportato in
Germania. Costituitasi la Repubblica Sociale
Italiana, vi aderì convintamente tra i primi, rientrò
in Italia e fu assegnato alla Scuola Allievi Ufficiali
di Modena. Successivamente fu inviato alla Scuola
Allievi Ufficiali di Oderzo, ospitata negli
accoglienti locali del collegio Brandolini Rota. Fu
sempre particolarmente vicino ai suoi giovani
allievi e spesso li ricordava commosso quando la
domenica inquadrati e festanti si recavano,
cantando gli inni della Patria, nello splendido
Duomo di Oderzo dove officiava la S. Messa.
Purtroppo alla fine del conflitto su questi giovani
innocenti si scatenò una grande tragedia. Dopo
aver ottenuto un lasciapassare dal C.L.N. locale,
controfirmato dall'abate mitrato mons. Visentin
l'accordo non fu rispettato per la crudeltà di alcuni
esponenti della formazione comunista ”Cacciatori
della Pianura” al comando dei partigiani
“Tigre”,”Gim”,”Bozambo” e “Biondo” che
ordinarono il barbaro assassinio di 144 militari
repubblicani, tra cui alcuni giovani allievi, molti
dei quali dopo svariate inenarrabili torture e
sevizie. Gli esecutori materiali furono condannati
ad oltre 200 anni di carcere, condonati in seguito
all'amnistia dell'allora guardasigilli Palmiro
Togliatti, capo del P.C.I. Don Gino, assieme
all'amico Piero Salani e Carlo Bartolini, ambedue
di origine pesciatina, riuscirono miracolosamente
a sfuggire alla mattanza e con un viaggio
avventuroso, dopo aver raggiunto Milano, arrivò
in Toscana riabbracciando i vecchi genitori.
Successivamente con una tradotta militare
raggiunse Roma e si presentò all'Ordinariato
Militare che lo reintegrò nel grado di tenente
assegnandolo al campo profughi di Forte Aurelia.
Nel 1948 fu destinato all'arma aereonautica,
prima a Guidonia poi in Sardegna, dove fu
nominato cappellano capo di tutti i reparti
dell'Isola. Nel 1955 il Vescovo di Pescia lo
richiamò in Diocesi e Don Gino inizio
l'insegnamento nelle scuole statali. Nel 1961 fu
nominato canonico della Cattedrale di Pescia e
successivamente Presidente del Capitolo dei
Canonici. Nel 1964 fu eletto Presidente
dell'Istituto Diocesano per il Sostentamento del
Clero, nel 1986 il Presidente della Repubblica
Cossiga nominò don Gino Cavaliere della
Repubblica. Il 15 febbraio 1994 il Gran Maestro
dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro in
Gerusalemme, Cardinale Giuseppe Caprio, firmava
il decreto per la nomina di Cavaliere del
S.Sepolcro conferita con solenne investitura nella
Cattedrale di Siena domenica 10 aprile 1994. Don
Gino, desiderava sopratutto ricordare i tempi della
Repubblica Sociale Italiana partecipando con
profonda gioia e intima soddisfazione a tutti gli
incontri dei reduci che lo avevano nominato loro
cappellano nazionale, portando sempre la sua
parola di fede come ministro di Dio, soldato in
camicia nera e cittadino d'Italia. Non mancava
mai il 1° maggio di ogni anno al Sacrario dei
giovani Allievi Ufficiali nel cimitero di Susegana, di
concelebrare la S.Messa assieme a Mons.
Romualdo Baldissera, che tanto si prodigò per
recuperare e dare una degna sepoltura alle salme
di quelli sventurati giovani, come sempre era
presente a Coltano, campo di raccolta di 35.000
militari della R.S.I. Appena si costituì il nostro
Circolo nel 2002 aderì con gioia,
partecipando a tutte le nostre iniziative
benedicendo dopo vibranti parole di fede e di
patriottismo il nostro labaro. Alle sue esequie,
officiate a Monsummano Terme dal Vescovo di
Pescia Mons. Giovanni De Vivo, parteciparono
commosse oltre mille persone, tra cui molti
reduci, e il suo esempio come sacerdote e patriota
sarà per sempre vivo in tutti noi. Caro amico,
sono certo che come affermasti con grande forza
e fervore morale nella tua ultima omelia a
Coltano, già sofferente ed in carrozzina, come
desideravi i tuoi allievi, e i martiri del nostro
Ideale, che hai tanto amato, ti hanno accolto in
camicia nera in cielo, per portarti in Paradiso al
cospetto di Nostro Signore. Così dall'alto dei cieli
ci sorridi e benedici assieme agli “eroici caduti”
della tua tragica e tormentata giovinezza.

Il Presidente UNCRSI -Continuità Ideale Valdinievole


Giovanni Gentile
FARE FRONTE
Manifesto per la
Sovranità Nazionale

L’attuale situazione politica, economica e sociale dell’Italia ha


abbondantemente superato il livello di guardia. Tanto è vero che
non è fuori luogo nutrire forti preoccupazioni sulla nostra stessa
sopravvivenza come Nazione sovrana e come comunità di popolo.
Le cause di questa autentica catastrofe vanno individuate negli
avvenimenti che sconvolsero il mondo nell’ormai lontano 1989 e
che videro il crollo del comunismo sovietico ed il conseguente
affermarsi di un neoliberismo aggressivo e totalizzante, di stampo
anglosassone, che ha sostituito ai diritti dei popoli e degli Stati gli
appetiti insaziabili della speculazione finanziaria globale. Tale
perverso meccanismo sta causando lutti e tragedie paragonabili a
quelle provocate da una ipotetica nuova guerra mondiale. Le
contraddizioni di questo mostruoso sistema planetario sono apparse
evidentissime, in tutta la loro tragicità, con lo scoppio della bolla
immobiliare e finanziaria del 2008 proveniente dagli Stati Uniti.
L’esigenza, da parte delle lobbies finanziarie, di salvare le banche e
gli interessi dei grandi speculatori, ha condotto ad una politica di
progressivo impoverimento dei popoli e di smantellamento degli
Stati sovrani. L’Italia è l’esempio più evidente di questa realtà. Per
salvare la comunità nazionale e il futuro delle nuove generazioni è
indispensabile riconquistare, il più presto possibile, la sovranità
nazionale in tutti i suoi molteplici aspetti. Sovranità
culturale Dalla fine della seconda guerra mondiale l’Italia ha subito
una vera e propria colonizzazione culturale. La pervasività del
modello di vita americano nel campo degli spettacoli e delle
comunicazioni di massa, unita all’egemonia comunista nella
letteratura, nel giornalismo, nell’editoria e nelle arti in generale, ha
provocato una totale desertificazione degli ingegni e delle idee, con
il conseguente affermarsi di un conformismo totalizzante. Occorre
pertanto infrangere questa occupazione sistematica di tutti gli spazi
di creatività e di elaborazione di idee. L’Italia, attualmente importa
dagli altri Paesi – soprattutto dagli Usa - l’80 per cento dei prodotti
cinematografici e televisivi, compresi i format delle trasmissioni più
demenziali e diseducative. Si rende quindi indispensabile ricreare
un’industria culturale nazionale, sia nel campo dei media e
dell’intrattenimento che in quello dell’espressione artistica vera e
propria, per fornire alle intelligenze e ai talenti opportunità concrete
di emergere e affermarsi. Sovranità etica La globalizzazione e il
mercatismo hanno distrutto il tessuto sociale e identitario dei
popoli, relegando nella marginalità antichi e collaudati sistemi di
valori per sostituirli con la cultura dell’egoismo economico e il
darwinismo sociale. La società aperta, teorizzata da Karl Popper, -
popolata da liberali, liberisti e libertari al limite dell’anarchia - ha
spodestato, con il suo culto per i diritti inviolabili e assoluti
dell’individuo ed il disprezzo più totale per le esigenze della
comunità, il ruolo aggregante ed equilibratore dello Stato. La storia
ha registrato la sconfitta delle grandi ideologie totalitarie del
Novecento, ma questo non ha fatto venir meno la necessità di una
ricomposizione della società su basi diverse da quelle parcellizzanti
della democrazia anglosassone. Lo Stato, che in questo momento è
travolto da fenomeni di corruzione e lassismo che lo rendono
inaffidabile e inefficiente deve riconquistare la sua funzione di
riferimento etico per il popolo e di regolatore e finalizzatore della
vita comunitaria. Sovranità territoriale L’Italia, com’è noto, è una
Nazione a sovranità territoriale limitata. Le clausole (comprese
quelle secretate) del trattato di pace del ’45, conseguente ad una
resa senza condizioni, sono ancora in vigore dopo sessantotto anni
dalla fine del secondo conflitto mondiale. Lo dimostra l’esistenza,
sul suolo nazionale, di centotredici basi militari statunitensi sulle
quali non abbiamo alcuna giurisdizione. Se tale circostanza poteva
avere una sia pur discutibile giustificazione all’epoca della guerra
fredda essa appare oggi del tutto immotivata e incompatibile con
quelli che dovrebbero essere i rapporti tra Paesi alleati. La fine di
questa occupazione va rivendicata con forza per recuperare quel
ruolo di potenza mediterranea che ci appartiene. Ciò non basta. Per
conquistare un’autentica sovranità territoriale, lo Stato deve
sottrarre il controllo di parte del territorio alle mafie locali che se ne
sono impadronite. Occorre comunque restituire il potere decisionale
al centro abolendo innanzitutto le Regioni, organi di corruzione,
clientelismo, malaffare e entità disgregatrici dell’unità
nazionale. Sovranità monetaria Uno Stato che rinuncia a coniare
e battere moneta cede di fatto una parte fondamentale della sua
sovranità. Questa cessione si è rivelata un autentico disastro
soprattutto per l’Italia obbligata, da Ciampi e Prodi, ad adottare
l’euro ad un tasso di cambio particolarmente svantaggioso.
Circostanza, questa, che ha provocato una caduta del potere
d’acquisto delle famiglie di quasi il cinquanta per cento nel volgere
di poche settimane. La mancata flessibilità dei cambi ha poi
impedito all’Italia di praticare quelle svalutazioni competitive che
hanno spinto le nostre importazioni nei decenni scorsi. Non è
rimasto così altro da fare che procedere, su imposizione degli
eurocrati di Bruxelles, alle cosiddette “svalutazioni interne”, ovvero
al taglio dei salari, allo smantellamento del welfare e all’aumento
della pressione fiscale. Tutti provvedimenti che hanno avuto
l’effetto di condurre la Nazione in una spirale recessiva senza fine.
L’euro, moneta senza un adeguato riferimento statuale, è diventato
così il simbolo stesso del fallimento dell’Unione Europea. L’unico
Paese a trarre vantaggi da questa situazione è la Germania che sta
approfittando delle difficoltà in cui si dibattono i Paesi periferici per
imporre la sua egemonia sull’intero continente. A questo punto
l’uscita dall’euro si rende non soltanto opportuna, ma
drammaticamente necessaria. Il ritorno ad una moneta nazionale –
che avrebbe conseguenze meno devastanti di quanto affermano gli
eurocrati terroristi – ci consentirebbe, in tempi abbastanza brevi, di
ridare fiato alla nostra economia aumentando le esportazioni, di
ridurre il debito pubblico e di rifinanziare, come sta facendo il
Giappone, le aziende con abbondanti iniezioni di liquidità.
Potremmo, insomma, tornare ad essere, secondo un’abusata
espressione, un “Paese normale”, ovvero una Nazione
sovrana. Sovranità economica L’Italia cominciò a perdere la
sovranità economica il 2 giugno del 1992. Quel giorno, al largo di
Civitavecchia sul panfilo Britannia un gruppo di speculatori
rappresentanti le grandi banche d’affari angloamericane e un
manipolo di italiani disposti ad avere, “intelligenza con il nemico”
guidati dall’allora direttore del Tesoro Mario Draghi e dall’ex
ministro Beniamino Andreatta, si misero d’accordo per gestire le
privatizzazioni delle aziende pubbliche italiane. In realtà più che di
privatizzazioni è opportuno parlare di vere e proprie svendite.
Grazie alla mediazione della solita Goldman Sachs le migliori
imprese statali italiane vennero cedute a gruppi stranieri a prezzi di
realizzo. Nessuno, al momento, ha pagato per questo. Ma prima o
poi i responsabili dovranno essere chiamati a rendere conto davanti
al popolo italiano di quanto hanno fatto. Grazie a quell’operazione
truffaldina, e a quelle che seguirono, è stato così smantellato quel
sistema di economia mista che ruotava intorno all’Iri, all’Eni e alle
banche nazionalizzate e che era oggetto di studio ed imitazione in
ogni parte del mondo. Per recuperare la sovranità economica non
v’è dunque altro mezzo che quello di invertire immediatamente la
rotta. La Banca d’Italia deve tornare ad essere proprietà dello Stato
e non dei privati che la possiedono attualmente. L’attività della
banche d’affari deve essere separata da quella degli istituti di
credito e, soprattutto, lo Stato deve ritrovare il suo ruolo di
regolatore e stimolatore delle attività economiche. Sovranità
politica La Costituzione italiana, in un suo articolo, proclama che
“la sovranità appartiene al popolo”, ma questa è rimasta
unicamente un’enunciazione velleitaria e inapplicata. Il vero potere
è infatti stato sempre requisito e gestito dai partiti e dai loro
comitati d’affari. A questi, ultimamente, si sono aggiunte le
oligarchie finanziarie e le cosche che gestiscono l’economia
criminale. Ciò non ha soltanto svuotato di significato la parola
“democrazia”, intesa nel suo significato originario di “governo del
popolo”, ma ha creato un sistema di caste nel quale i “paria” –
persone private di ogni dignità – sono ormai la grande
maggioranza. Per ridare sovranità al popolo non esiste dunque altra
via che quella di rivedere totalmente i meccanismi della democrazia
parlamentare creando nuovi strumenti di partecipazione alle
decisioni politiche ed economiche della comunità. Devono altresì
essere smantellate o ricondotte alla loro funzione originaria tutte
quelle forme di potere che negli ultimi anni sono diventati veri e
propri “Stati nello Stato”, come la magistratura, gli apparati di
intelligence e le cupole mafiose. Un percorso, quello che abbiamo
delineato per sommi capi, aspro e difficile, ma necessario se si
vuole restituire libertà e dignità alla nostra gente e un futuro alle
nuove generazioni. L’alternativa è la dissoluzione territoriale,
statuale ed etnica della Nazione italiana. Per questo riteniamo
opportuno concludere questo nostro manifesto per la sovranità
nazionale con un invito ai “liberi e forti” che sono consapevoli della
gravità del momento storico che stiamo vivendo ad unirsi a noi in
questa battaglia per l’indipendenza della Patria e la salvezza del
nostro popolo.

Adriano Tilgher
CONTRIBUTO

Valle Giulia
La rivista 'quindici' di studi marxisti pubblicò, nelle
settimane successive, un poster dal titolo un po'
enfatico 'la battaglia di valle giulia'. rettangolare,
in verde, mostra gli studenti che fronteggiano, ai
piedi di una piccola scalinata, le camionette della
celere che si prepara a caricarli. 1 marzo 1968.
nel pomeriggio del giorno precedente le facoltà
occupate erano state sgombrate, fra esse l'istituto
di farmacologia dove si erano barricati i giovani
della 'caravella'. 2 bandiere nere campeggiavano
all'ingresso. non stonavano con le rosse delle altre
facoltà; nessuno se n'era scandalizzato, non v'era
stato alcun tentativo di sottrarle...la sera, in una
breve riunione fra i responsabili delmovimento
studentesco e i nostri era stato deciso di
ritrovarsi il giorno successivo sulla scalinata di
piazza di spagna, muoversi in corteo, raggiungere
architettura che, isolata e a fronte di villa
borghese, si prestava bene per una azione con
caratteri 'militari'. nessun vessillo, niente
striscioni, solo slogan. tra che guevara ho-chi-
minh il presidente mao e le icone di marx engels e
lenin sarebbe risuonato 'europa fascismo
rivoluzione'...così partecipammo a quella giornata
come componente legittima riconosciuta richiesta
e facemmo di quell'accadimento nostro vanto,
anche se per più decenni si negò la nostra
presenza e si preferì la contrapposizione lo
scontro la provocazione...quel poster divenne una
sorta di icona da attaccare in camera, insieme alla
foto del che del cubano korda. veramente, poco
dopo, i redattori avrebbero voluto ritirarlo,ma
ormai era troppo tardi... perchè in prima fila,
pronti a sostenere l'urto, vi eravamo noi, in
massima parte - io, mi permetto con l'usuale
modestia, armato di bastone e bottiglia sono ilpiù
'bello' e ricordo come, tre mesi dopo, nell'aula
magna della sorbona occupata, entrando con una
delegazione del movimento, fummo accolti dagli
studenti francesi al grido reiterato e storpiato di
'valle giulia!'...poi, il16 marzo il sogno infranto, il
suicidio della giovane destra... analisi riflessioni
confronti dibattiti antitesi. rimane comunque il
ricordo di quella mattina che sembrava
annunciare la primavera e che, per volontà di
altri, divenne autunno grigio e inverno di sangue e
di piombo...

M.Michele Merlino
GLOBALIA

La doppia pista crimeana

Ora che la balcanizzazione è rifluita i peana si


sprecano, i tricolori omocromatici crimeani e russi
garriscono al vento sarmatico. Ma per una
posizione che si conquista ce ne sono altre cento
da difendere, e quella dei vasi comunicanti è una
legge incomprensibile nelle sue realizzazioni.
Nei termini specifici in corso di trattazione il
problema che si pone ai decisori russi è il ritorno
di immagine che potrà avere
la blitzdiplomatie sfoggiata in Crimea. La
rivendicazione pan-nazionalista di Putin e Lavrov
rischia infatti di irritare e inquietare tutti quei
paesi che conservano, come vestigia dell’era
Sovietica, ampie fasce di popolazione russofona,
connessa più o meno strettamente con la propria
madrepatria. Lo scenario prospettato a
Simferopoli può infatti investire decine di altre
“Crimee” in giro per l’Eurasia, condizione questa
che potrebbe ragionevolmente mettere alla prova
i rapporti di nuovo partenariato che la
Federazione Russa ha cominciato a forgiare, e che
sono tutti in divenire. Quello che più risulta chiaro
dalle nuove dinamiche svoltesi in Crimea è che la
Russia ha dismesso il capo cosparso di cenere. È
finito il periodo di incubazione del Virus Elstiniano.
Se è vero che da tempo la Russia ha ricominciato
a recuperare le posizioni perdute negli anni 1989-
1999 (Georgia docet) è la prima volta che
la reconquista moscovita assume caratteri ben
distinti e luminosi. Nei due precedenti apprezzabili
(Cecenia e Georgia) l’interventismo russo è stato
sostanzialmente mascherato, a livello
internazionale, da nobili motivazioni e tutto
sommato accettabili da parte del monopolio
diplomatico statunitense. La Cecenia è passata
alla storia degli almanacchi diplomatici a stelle e
strisce come un energico ritorno del soldatesco
avversario nella sua periferia. La Georgia,
ancorché un durissimo colpo per la allora all’acme
politica estera americana, fu “oliata” in sede
internazionale da una parte dalla debolezza
georgiana nel ribadire un proprio posto nel
mondo, dall’altro dall’effettiva forza contrattuale
che avevano ottenuto le due repubbliche-casus
belli, Abkhazia e Ossezia del Sud. Nell’affare
crimeano, invece, la Russia segue un percorso
molto più attivo. Espunta la significativa boutade
di Lavrov “La Crimea è molto più russa di quanto
le Falkland non siano inglesi”, ci si trova davanti
ad un contrattacco fisiologico. Putin, nella sua
ristrutturazione della politica estera della
Federazione, incluse chiaramente nelle direttive
del 2011 la doppia via da perseguire con la
riottosa Ucraina: tentare di accoglierla nel nuovo
spazio Eurasiatico, sia attraverso blandizie “lecite”
(proposta di entrare nell’Unione Doganale
Eurasiatica, proposte di partneriato bilaterale) che
“meno lecite” (la partita sul gas e il costante
braccio di ferro sui gasdotti); ma stare sempre
accorti, perché il Big One geopolitico sarebbe di
certo arrivato. La politica di ricongiungimento con
tutti i russi sparsi per la ex-Unione Sovietica, di
cui la Crimea è il primo atto, pur essendo partita
come un’operazione appoggiata da quasi tutti i
membri sia dello SCO che dell’Unione Eurasiatica,
perché avvertimento di Mosca contro l’ingerenza
degli States, è comunque un capitolo nuovo della
nuova linea politica russa. Il messaggio pare
quello che, non accontentandosi più di ricostruire
un polo di attrazione trans-nazionale che trovi il
suo centro-rotore in Mosca, al Cremlino vogliano
“rastrellare” il portato russo, le rovine
propriamente slave, lasciate indietro dalla ritirata
sovietica. Le quali si sostanziano sia in legislazioni
favorevoli per le minoranze russofone, sia
nell’effettivo “ritorno” di regioni a maggioranza
russa nel territorio federale, sia nell’accorpamento
di frammenti di Russia lontani (vedi Transnistria e
Gaugazia) al discorso pan-slavo, se non altro a
livello retorico. Questo piano riscopre quindi il
pan-nazionalismo russo, da sempre esistente, e
soltanto declinato diversamente nelle varie
epoche storico-politiche che la Civiltà Russa
(lateralmente ortodossa) ha attraversato. Al
Cremlino le bandiere si ammainano e si issano,
ma la direttrice geopolitica rimane intangibile e
immutabile. Con reminescenze imperiali, la Russia
vuole operare il salto di qualità che trasmuti la
Federazione Russa di nuovo nella Russia reale. La
ricomposizione di uno Stato “per tutti i Russi” è la
missione finale di Putin. Le elite culturali e
politiche russe sanno che la potenza russa è
legata alla sua natura di “Stato-Civiltà”, che abbia
un anima re-esistente che gli permetta di opporsi
culturalmente ancor prima che materialmente
all’unipolarismo geopolitico. Ad oggi tuttavia la
Russia lascia consistenti angoli bui nell’anima
collettiva slava. Per non essere avvinghiata dalla
spirale putrescente vetero-occidentale, la Russia
ha bisogno di un’identità precisa. A corollario di
questa analisi è bene riconoscere il compendio di
questa visione nelle parola di Fracesco Benvenuti,
che nel suo libro Russia Oggi (Settembre
2013,Carrocci Editore) : “Sul territorio della
attuale Federazione Russa vivono oggi 143 milioni
di persone (1989: 147 milioni). Di questi solo
116 milioni si sono dichiarati russkij: nel 1989
erano stati circa 120 milioni”. Solo percepire del
tutto la condizione di eccezione della Russia può
far capire la ricerca delle elite russe di una re-
slavizzazione del proprio spazio statuale, pena,
perdere di vista il posto che la Russia occupa nel
mondo della geografia politica. Leggendo Ratzel si
capisce quindi, forse, la Crimea. Tuttavia non si
può riscoprire Gonckarov e la “missione
civilizzatrice” russa senza fare i conti con una
realtà. La realtà crimeana ha già messo in
subbuglio tutto il mondo ex-sovietico. Ma se
Mosca può permettersi, forse con una punta di
piacere, di inimicarsi ancor di più le Repubbliche
Baltiche e la Polonia, oltre che chiaramente
l’Ucraina appena conquistata alla causa
occidentale, non può irritare troppo i partner
euroasiatici che stanno attivamente collaborando
alla ricostituzione di uno spazio unico
euroasiatico. Le regioni settentrionali kazake,
dove è concentrata la maggior parte del
secondario della Repubblica centroasiatica, sono
anche quelle dove è più forte la presenza di
popolazioni russofone e schiettamente slave. Se la
diplomazia russa non dovesse impegnarsi
abbastanza per garantire ad Astana che Mosca
non replicherà il modus operandi dimostrato in
Crimea, le relazioni bilaterali potrebbero incrinarsi
e di conseguenza venir meno il collante di mutua
fiducia messo su in questi anni. Tanto più che la
politica russa in questione non è mai stata del
tutto chiarita: pur avendo impostato un discorso
di largo respiro sulla costruzione di uno spazio
comune, inteso come libero campo di applicazione
della crescita statuale ed economica, Mosca ha
negli anni incoraggiato la migrazione di slavi verso
le proprie terre, impoverendo spesso il Paese di
emigrazione. Questa dinamica ha costituito
spesso, negli anni 90 e nel 2000 uno dei maggiori
motivi di propaganda per le fazioni politiche anti-
russe, accusate di sobillare “l’abbandono della
patria” e di “sfruttare la povertà degli emigranti”.
Forze politiche che sono state, per conformazione
bipolare, il passepartout per il discorso atlantico in
piena terra eurasiatica. Ad est del Volga
sopravvive infatti la nozione di gioco a somma 0
che pareva deceduta nel mondo post-URSS:
qualsiasi sommovimento che allontana da Mosca
non può che avvicinare agli Stati Uniti, sia
attraverso la linea di avvicinamento liberal-
capitalista (rivoluzione delle rose in Georgia,
rivolgimenti in Tajikistan e Kirzighistan) sia
mediante il passaggio sotto la porta della lotta
armata islamista (Emirato del Grande Caucaso).La
Crimea può quindi rivelarsi una sostanziale arma
a doppio taglio per Mosca. Una Russia forte sul
piano internazionale può infatti spingere ad una
maggiore fiducia verso di lei e verso la sua
capacità assertiva, ma una dimostrazione di forza
come quella ucraina può anche costituire una
fonte di paura per le altre nazioni che con la
Russia hanno a che fare, anche in modo
amichevole. La Russia di Putin dovrà quindi, nei
prossimi incontri dell’Unione Doganale
(programmati per maggio), stilare un codice
comportamentale, che permetta di discernere tra
situazioni e situazioni, e non trasformare la
Crimea nella tomba dell’Eurasia cooperativa.
Lorenzo Centini
GIANO

Giovinezza e virtù nella società frontista


Chi di gioventù ferisce di gioventù perisce: ovvero come essere
giovani in un mondo in cui la gioventù è inflazionata.
Come diceva Corradini: “le nazioni proletarie ovvero giovani,
sono destinate a ritagliarsi spazi nel mondo che gli spetta”.
Giovinezza primavera di bellezza, ce lo insegna la storia, da
sempre avanguardia del futuro in un mondo futuribile, e se non
ci sbagliamo, Corradini aveva ragione: l’unico modo per
salvare il globo dalla deriva della tribù globale, è forgiare
un’ardita gioventù che sappia con fermezza salvaguardare le
radici della propria storia, e che riesca a proiettarsi verso il
domani. Essere proletari e aristocratici nello spirito per non
avere in futuro solo la prole. Fuori dai denti: a noi non basta un
Erasmus, un’estate in un college, una neknomination su
Facebook per definirci giovani, al vicino sotto casa di cui tua
nonna decanta la bravura a scuola, preferiamo nettamente i
difensori di Aleppo; una ragazza, un fucile e una foto di Assad
nel taschino. Partendo dalla teoria, per arrivare alla prassi,
diremo che la gioventù per noi non è solo un momento, ma una
condizione mentale di chi non si arrende al triste presente che
la storia gli ha riservato. Per questo parlare di gioventù è
fondamentale, poiché alla rivoluzione ideale ci si arriva prima e
in concomitanza a quella materiale: cioè se è vero che ogni
malattia ha la sua medicina, la pastiglia che potrà salvare
questo stallo mefitico, può essere solo l’intransigenza, che è
l’aggettivo caratterizzante il Giovane. E’ troppo facile,
spudorato, sparare a zero sui giovani d’oggi; ogni essere
umano, a qualsivoglia latitudine, nasce e cresce in virtù delle
condizioni oggettive in cui si trova. Per meglio dire: non può
nascere un Giani nel parcheggio di un McDonald, non può
nascere uno Stachanov davanti alla porta della Hollister. Non si
può chiedere ai giovani abnegazione, fermezza, fanatismo, di
fronte a questo sfacelo. Non siamo un’elité sentenziosa,
sappiamo di che male è morta la gioventù che osava, la
gioventù che rivoltò la ruota della storia come un calzino.
Sappiamo anche di che luce deve risorgere: solo lo Stato, la
trincea, la marcia e l’assalto possono tirare fuori dal pantano la
faccia contusa di noi figli d'Europa e delle patrie d’ogni dove.
Non è nostra intenzione creare un ennesimo gregge che chini il
capo, silenzioso e mai pensante, di fronte ad un volere calato
dall’alto, ma , parafrasando Pasolini, che il nostro coetaneo
porti la verità con mani di Santo e Soldato “un Santo senza
ignoranza, un soldato senza violenza.”L’organizzazione di una
generazione nuova deve passare per le mani dello Stato, che
della società è l’epitome e il maggior risultato. La generazione
di cui sopra deve avere come colonne portanti l’ordine, la
disciplina, il Pensiero. Ordine, perché dal caos danzante,
checché ne dica Nietzsche, nasce solo vuoto e insensatezza.
Disciplina, perché la libertà non è libertinaggio. Pensiero:
perché l’uomo è Cultura, è sapere, è canna pensante, e solo nel
pensiero può sopravvivere a se stesso e alla brutalità del vivere.
Obbediente ma non domato, inserito ma non omologato,
filosofo quanto Recluta. Insomma, come la Storia ci insegna,
parlando dei fatti di casa nostra, che il popolo Italiano torni ad
essere “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di
pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigra tori”
La nostra gioventù non è antimoderna, non rifiuta il Mondo, lo
piega alla sua fame di vita, rispettandolo in ogni sua
sfaccettatura e sapendone cogliere gli attimi poetici che esso ci
regala. Va contro quindi quella modernità liquida di cui tanto si
riempie la bocca la sempre odiata liberaldemocrazia. Il
Giovane che sarà l’Ossatura del Frontismo dovrà viaggiare,
parlare e respirare culture diverse, per portare la Patria
ovunque, ossigenarla, rinnovarla e poi tornare a casa con un
sorriso e la gioia infantile di chi riabbraccia la madre. Con una
metafora arborea fin troppo abusata: le radici profonde non
gelano mai. Questa gioventù necessita quindi di quanto la
filiale del Rispetto a senso gli ha rubato: ci ha intontito con
invenzioni umanitarie pretestuose, ci ha imbarbarito con un
senso parossistico di pace e amore, ci ha portato a confondere il
dialogo con la lascivia. Al Giovane diciamo quindi che non
deve aver paura dello Stato, non deve sputare sulla sua
condizione di Italiano, non deve scappare, vergognoso e
svergognato nel ventre di cemento di qualche metropoli che
non sarà mai del tutto sua, inseguendo chimere ed Eldorado
che la miasmatica globalizzazione gli ha già portato sotto casa.
In conclusione quindi, a voi giovani d’Europa e di tutte le
patrie del mondo, lanciamo il nostro messaggio di rabbia e
virtù, con voi nostri coetanei esigiamo realizzare la rivoluzione
ideale di cui Oriani parlava, la stessa che accese i fuochi della
giovinezza dei nostri nonni. Dobbiamo necessariamente essere
pronti al sacrificio morale e fisico, e che il vento che soffia tra i
nostri capelli, ci porti le urla di tutte le gioventù rivoluzionarie
del mondo; ci parli delle strade di Damasco, dei quartieri
insanguinati di Budapest, dei tetti umidi di Firenze, delle
macerie di Berlino e di Stalingrado.Solo la fede che accende i
nostri cuori, potrà sconfiggere la notte e restituire la luce ai
cieli di questo nostro mondo.“Allora, qualunque sia la durezza
della lotta, le vostre braccia solide potranno issare sui vostri
scudi questa vittoria che i fiacchi credevano diventata
impossibile. Solo quelli che hanno fede ritornano ed affrontano
il destino. Credete! Lottate! Il mondo, o si perde, o si prende.
Prendetelo!” –Léon Degrelle.

Andrea Brizzi Lorenzo Centini


DEMOS

Pillole di intransigenza
22 Febbraio 2014, un "uomo" distinto saliva con agilità le scale
del Quirinale, ad attenderlo colui che viene definito presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sì proprio lui, proprio
quel Napolitano che per ben due volte ha svenduto la sovranità
nazionale ai potentati dell'alta finanza (non c'è due senza tre,
infatti..), colui che una volta diceva di essere comunista (???), e
in nome della coerenza non ha esitato un attimo a diventare
uno de tanti burattini dell'impero americano e della Troika.
Come dicevo poco fa, non c'è due senza tre. Il 22 Febbraio
scorso un'altra dittatura nasceva, e il popolo continuava il suo
consueto mestiere di gregge; Matteo Renzi nominato
presidente del consiglio.
Per l’America e con l’America, il ragazzo di Firenze indossa lo
scudo a stelle e strisce e proclama la sua opera da “rullo
compressore”. La bella presenza, il “dantesco” parlare e la
superficiale esaltazione della gioventù, sottendono in realtà
solo un interesse, ovvero quello di annichilire ancora di più un
popolo già spento, e americanizzare totalmente la patria. Fuor
di retorica, lo si capisce molto bene analizzando la sua non
nuova proposta politica. Il jobs act, tradotto in termini più
comprensibili, una selvaggia precarizzazione del lavoro, e
un'assurda liberalizzazione del mercato su modello yankee,
l’abolizione delle province, sostituite da dipendenti statali
nominati, la riforma del senato, vero e proprio stupro del
primigeno organo democratico ereditato da Roma, il Senato
diventerà infatti un collegio di altri nominati e non avrà potere
di fiducia verso il governo. Giusto per non dare alito ad
eventuali dubbi, il suo braccio destra, Delrio, ce l'ha
praticamente rivelato: <<È una manovra keynesiana, dà
importanza alla crescita e all’uguaglianza>>. Insomma una
vera e propria devoluzione del sistema italiano, già di per sé
inquinato da anni dal solito male che fu e che sarà, in ogni
momento il nemico del popolo, il capitalismo. Non ci
dobbiamo sorprendere, del resto il suo definirsi di “sinistra” è
stato finora soltanto un’arma contestualizzata al momento
politico in cui versa il paese, nel centrodestra non c’era spazio
per lui, la monumentale presenza di Berlusconi non avrebbe
dato ossigeno ad un ennesimo arrivista. Il suo carrierismo
nascosto da un possente perbenismo, non poteva che sbocciare
in un momento migliore; un periodo storico nel quale "destra"
e "sinistra" collaborano praticamente insieme sostenendo il
succedersi di dittature dell'alta finanza, spalleggiando quindi
l'impero nel suo predare identità nazionale, sovranità,
tradizione e cultura. Ebbene in un momento come questo,
parafrasando Costanzo Preve: <<questa dicotomia viene meno
storicamente e viene mantenuta in vita come protesi di
manipolazione sportivo-identitaria>>. Allora a questo punto,
un guizzo di luce dovrebbe schioccare nella nostra mente, un
bagliore di verità che potrebbe in qualche modo, salvare
almeno la cadaverica gioventù che si appresta ormai a guidare
un paese disintegrato sotto tutti gli aspetti, ovvero: Renzi non è
altro che l'ennesimo vassallo di un impero all'apparenza in
caduta libera, ma chissà se la vile aquila d’oltre oceano non ci
riserverà ancora qualche sorpresa. Tuttavia credo davvero che
Renzi possa fare qualche riforma, credo che in fondo porterà
un po’ di sollievo al paese, forse davvero riuscirà ad abbassare
le tasse e così dare una spinta alla macchina impantanata
dell’imprenditoria italiana. Potrà con un colpo da maestro dare
un po’ d’ossigeno alla gola soffocata del tessuto produttivo e
sociale del paese, ravvivando forse almeno un po’ nella gente,
la poca fiducia verso lo stato e le istituzioni, che aveva nei
tempi delle “vacche grasse”. Meglio la morte.
Se il giovane yankee riuscisse davvero a fare questo, si
spegnerebbero le già flebili fiamme di rabbia nel cuore dei
pochi “vecchi” che ancora si sentono la “meglio gioventù”; è
difficile infatti che un passaggio da una concezione della
politica dicotomica “destra e sinistra”, ad un’altra “poteri forti
e popolo”, parta dagli adulti, gli stessi che per anni sono stati
indottrinati e diseducati dall’ascia calata dal sistema dall’alto,
all’odio dei “comunisti” da una parte, e dei “fascisti”dall’altra.
Il problema che preoccupa e che deve far pensare, è che tale
manovra a “stelle e strisce”, spegnerà la rabbia e la voglia di
costruire un avvenire migliore, fondato sulla costituzione di
uno stato nazionalsocialista, nei pochi giovani che nonostante
l’omologazione delle masse da parte del sistema, sperano
ancora nel domani, in quel domani che fu e che sarà l’unica
salvezza dei popoli. Una cosa è certa, se questo sarà, tutta
l'Europa è condannata ad essere invasa da milioni di affamati, i
quali cancelleranno dalla storia le nostre culture, le nostre
tradizioni, la nostra nobile lingua, imporranno i loro "modus
vivendi", i loro culti, i loro usi e costumi, e alla fine la civiltà
che fu madre del mondo, scomparirà per sempre. Di chi la
colpa? Certamente dei soliti poteri forti, portatori del dogma
multiculturale, proprio loro, i colonizzatori d’Europa e della
maggior parte dei paesi altri, che costringono così i popoli ad
emigrare. L’immigrazione va vista e combattuta in funzione di
ciò che la produce, ovvero il capitalismo, citando Alain De
Benoist: <<L'immigrazione è un fenomeno padronale. Chi
critica il capitalismo approvando l'immigrazione, di cui la
classe operaia è la prima vittima, farebbe meglio a tacere. Chi
critica l'immigrazione restando muto sul capitalismo dovrebbe
fare altrettanto>>. Colpa però, in larga parte anche nostra, per
meglio dire, il popolo italiano ed europeo in generale, si merita
esattamente il non governo che ha. Oramai totalmente
annichiliti dal sogno della bella vita materiale,
dall'individualismo, dall'odio reciproco, dalla concezione
unipolare che ci attanaglia, l’essere non è più tale, sopravvive
nel suo vile mestiere di manichino. Le cellule tumorali
insomma, di una società che a lungo andare crollerà su se
stessa, e su ogni suo "Also sprach", dettato al pari di un'omelia
in nome di non si sa quale Dio d'oltre oceano. E’ necessario
quindi che ancora una volta l’Italia, l’Europa e tutte le patrie
del mondo si affidino ad una minoranza rivoluzionaria,
un’élites che sappia prendere per mano la “Madre” e i fratelli,
che sappia costruire una società solida e giovane, che abbia le
radici nel passato, i piedi saldamente fissati sul presente, e gli
occhi al domani.
Purtroppo, o per fortuna, c’è ancora chi non si arrende, ci
siamo ancora noi…
Noi che siamo diversi, ce lo dicevano e ce lo dicevamo-
scriveva Staiti di Cuddia, ebbene ancora oggi ce lo dicono e noi
fieramente ce lo ripetiamo. Noi che abbiamo sempre vent'anni,
noi che anche i più vecchi sono gli stessi che a Valle Giulia
avevano la spranga e la molotov, noi che gridiamo con gli
occhi bagnati e il braccio teso davanti a qualche mistico e
misticizzato simbolo, il nostro: "Anche se tutti noi no!".
Proprio noi, che apparteniamo a quell'aristocrazia proletaria e
guerriera, che prima o poi leverà al vento le bandiere d'Europa
e insanguinerà le strade e i fossi di ogni cameriere dell'alta
finanza, di ogni banchiere da tre soldi, di ogni sfruttatore al
soldo dei potenti. Noi che osiamo, presuntuosamente ci
definiamo l'élites del popolo, l'unica formazione in grado di
condurlo al domani. E in futuro, quando sarà domani, forse non
sarà cambiato niente, ma resteranno impresse nella roccia come
stelle nel cielo, le nostre speranze e le nostre belle facce
giovani. Ed ancora sarà come in passato prima o poi; le
cattedrali contro i grattacieli, i monti e i boschi d'Europa contro
le metropoli, Il Colosseo e Stonehenge contro l'Empire state
building, Nietzsche Evola Junger contro la cocacola... la Dea
Roma contro il dio denaro.
Dopo aver scritto... soddisfatto mai, rilassato sempre.
Perfettamente incastonato nella mia dimensione, sempre un
passo sopra il resto, non certo per superiorità, ma per mia
indole di osservare e riflettere su tutto quello che mi circonda.
Spengo questa maledetta "macchina da scrivere del futuro",
indosso il giacchetto, esco fuori, "faccia al sole e in culo al
mondo", un anno in più da raccontare, ed uno in meno da
donare all'idea.

Andrea Brizzi.
PSICOLOGIA DEL
COMBATTIMENTO

Quando si affronta questo argomento, capita, a chi si intende


davvero di problematiche legate al combattimento reale, di
essere guardati come dei barbari assetati di sangue, tanto è
grande oggi la distanza tra tutto il castello mentale, ipocrita e
retorico, legal-sportivo, di cui è stata infarcita la nostra, o
meglio, una certa imperante cultura, ed i veri, incontestabili
concetti, sia teorici che pratici, del combattimento per la
sopravvivenza. Di fronte ad un petulante allievo che,
ripetutamente, enunciò i concetti di sportività del nobile De
Gubertin, ricordo che il mio Maestro negò di averne mai
sentito parlare! Fu una scena divertente, ma anche carica di
insegnamenti: l’allievo faceva riferimento all’idea di un porsi
di fronte a qualsiasi confronto con leale sportività, mentre il
Maestro, esperto in ogni sorta di combattimento, sportivo e da
strada, armato e a mani nude, non concepiva un confronto che
non anelasse unicamente al successo, alla vittoria, in ultima
analisi, alla sopravvivenza. Un giorno mi disse “il
combattimento sportivo ha dei regolamenti, e sul ring c’è un
arbitro che impone delle regole e può interrompere il
combattimento, ma in mezzo ad una strada non ci sono arbitri,
né regole, ed alla fine c’è uno disteso, e uno che se ne và. Nel
caso, fai tutto il necessario per essere sempre quello che se ne
và”.In questo crudo ragionamento sono racchiuse tutte le
possibili elucubrazioni su Diritti e Limiti, per ciò che concerne
ogni ipotesi ed ogni approccio alla realtà della difesa Personale,
con buona pace di quanti ritengono di potersi difendere da un
adrenalinico aggressore con un atteggiamento il più possibile
difensivo e non lesivo, ammirevole sì dal punto di vista legale,
ma vicino all’autolesionismo dal punto di vista della sicurezza
individuale. I concetti sopra
esposti servono ad illustrare
quali sono gli atteggiamenti
mentali di chi sia costretto,
come nei secoli passati, a
convivere dalla nascita con un
ambiente spesso ostile, vuoi
per semplice miseria, vuoi per
un invidiato benessere, vuoi
per complessi problemi
dinastici. Nei secoli che oggi
definiamo “medioevo”, la
sicurezza personale non fu
mai garantita, tanto che i
contadini spesso rinunciarono
allo status di Uomini liberi,
in cambio della protezione di
un Signore e del suo castello,
mentre i pellegrini erano

continuamente grassati e rapinati, a volte resi schiavi e venduti


ai Saraceni, come capitò agli sventurati ragazzini che, nella
Francia del XIII° Secolo, furono spinti alla "Crociata degli
Innocenti" da un certo Etienne, fanatico visionario, ed esistono
perfino storie di locande che usavano i malcapitati viandanti
come riserva di carne! Tutto ciò era all’ordine del giorno
anche in tempo di pace, figurarsi poi nei periodi di guerra,
quando torme di masnadieri, di mercenari, o “cavallate”
avversarie scorrevano il contado, dando di guasto alle colture,
incendiando le messi, “executando” gli incolpevoli contadini.
Se poi un esercito si vedeva costretto a ritirarsi dopo un assedio
vano, terribili erano le vendette e le distruzioni a cui si
abbandonavano le truppe sulla via del ritorno. In un simile
contesto storico, non stupisce che tutti fossero capaci di
impiegare, alla bisogna, i propri attrezzi del mestiere come
armi, e molte delle armi in asta caratteristiche del nostro
“periodo di Mezzo”, derivano con evidenza da attrezzi agricoli,
come il mazzafrusto, o il flagello, usato dai contadini per
battere il grano, oppure la forca. e la ronca, ancora oggi in uso
nelle nostre campagne, trasformabili dal fabbro del villaggio
con semplici e veloci modifiche; sembra che l’abilità degli
Svizzeri nel maneggio dell’alabarda, dipendesse in buona parte
dalla loro tradizionale attività di spaccalegna! Ma per
ricostruire il modo di combattere, soprattutto l'atteggiamento
psicologico, di fronte al combattimento, di Uomini vissuti 600
-700 Anni fa, non basta osservare le immagini scolpite sugli
archivolti delle cattedrali, o le miniature sulla pergamena degli
incunaboli, o, ancora, i disegni che accompagnano i trattati
d'arme. E' necessario calarsi in personalità diverse dalle nostre,
con una percezione del mondo, dei poteri, della Giustizia, della
Vita e della Morte, molto lontana dalla nostra. La maggior
parte della gente, non solo del popolo, era illetterata,
soggiogata da superstizioni e dalle fobie di un Cristianesimo
spesso travisato, in condizioni igienico-sanitarie che rendevano
evidente la Humana Fragilitas, tanto che, per tutto il Medio
Evo, i termini "povero" e "malato" furono del tutto
intercambiabili. La medicina continuava a basarsi sui classici
della tradizione Greco-Romana, come Galeno, Ippocrate o
Esculapio, ovvero l'Egiziano Imhotep, essendo vietato, dalla
Chiesa, lo studio settorio dei cadaveri. L'assoluta ignoranza in
termini di elementare profilassi e le condizioni di promiscuità,
in ambienti malsani, privi di fonti di riscaldamento (il camino
si diffonderà solo dopo il '200, nelle case signorili),
scarsamente ventilati ed illuminati erano causa di malattie
croniche e di un tasso di mortalità infantile incredibile, che
veniva contrastato con un perenne "stato interessante" delle
donne, di tutti gli strati sociali. Fare figli era il primo dovere di
una donna, da quando veniva data in moglie, spesso ancora
adolescente. La donna-guerriera, come figura comune e
diffusa, è quanto di più estraneo alla mentalità del tempo si
possa ipotizzare; basti ricordare che Giovanna d'Arco fu
condotta al rogo proprio con l'accusa di aver indossato degli
abiti maschili, pur essendo riuscita a salvarsi dalle altre accuse
attraverso l'abiura. I suoi accusatori, infatti, inferociti per il
fatto che il tribunale giudicante era incline a salvare la vita
della Pulzella, la sottoposero ad una notte intera di violenze e
di umiliazioni, lasciandole, alla fine, solo degli abiti maschili,
che ella fu costretta ad indossare, per il freddo e la vergogna,
commettendo quindi quel fatale atto di Relapsia, che la
consegnò al carnefice. Del resto, La Contessa Matilde, la Cya,
la famosa De Medici che difese il castello di Rimini, furono sì
protagoniste di fatti guerreschi, ma senza mai menare fendenti.
Non bisogna dimenticare, poi, che l''Uomo dei "Secoli bui" non
concepiva di fare qualcosa per puro "sport", come lo
intendiamo noi oggi. Per il Nobile la guerra era conditio sine
qua non, in attesa ed in preparazione della quale ci si allenava
con i tornei cavallereschi e con la caccia a prede quali orsi,
lupi, cinghiali, cervi, attività che venivano affrontate alla
stregua delle battaglie. In Germania, nel 1316, durante i tornei
indetti per festeggiare degli sponsali principeschi, vi furono
niente meno che 16 morti, tra i cavalieri partecipanti ai
combattimenti, che pure si svolgevano in un contesto "festoso".
L'orgoglio del rango ed il senso dell'onore non concedevano
licenze. Anche per il popolo minuto i giochi di piazza, dalle
battaglie con i sassi al più organizzato "Giuoco del
Mazzascuto", erano occasione di maschi confronti, nel migliore
dei casi, quando non erano occasione per regolare conti in
sospeso. Il quadro che emerge da queste considerazioni ci aiuta
a capire meglio lo spirito che animava gli estensori dei Codici
d'arme che ci sono pervenuti. Le tecniche illustrate e descritte,
non lasciano mai spazio ad altro che all'efficacia, alla
neutralizzazione dell'avversario. Gli Autori più antichi, Fiore
dei Liberi e Filippo Vadi, per fare qualche nome, nelle azioni
da loro descritte ed illustrate evidenziano una continua ricerca
di un principio, quello che cerca "la massima efficacia
nell'azione minore", ancora oggi, giustamente, al centro di ogni
Arte Marziale.

David Valori
(Per saperne di più visita il sito http://www.antiquascrima.it )
VEXATIO STULTORUM

E siamo di nuovo noi, o, meglio, siamo ancora noi.


Il progetto di una rivista nostra, che parlasse delle
Idee, dei sentimenti, delle "sensibilità" di
quell'inquieta, mistica "confraternita", si era fermato
allo stato di embrione, figlio mai nato, ma comunque
sempre rimpianto, di due spiriti inquieti, indecisi, che
più di una volta si sono trovati sull'orlo di un baratro,
forse quello della coscienza, della vera conoscenza,
riuscendo a volte a "leggere tra le righe" di libri già di
per sé illeggibili, cogliendo messaggi lanciati chissà
quando, messaggi rimbalzati come un'eco di spirito in
spirito, di opera in opera. Ma è stato proprio il rendersi
conto di ciò che stavamo "toccando" che ci ha fatto
indietreggiare ogni volta, finché questo "fuoco", o
questa "finestra" che avevamo dentro non ha iniziato a
spegnersi, a chiudersi, e noi siamo stati avviluppati
dalla normalità, i giorni sono trascorsi diventando anni,
durante i quali ci siamo allontanati tra di noi, persi nel
quotidiano barcamenarsi. Ma il Lupo perde il pelo, non
il "vizio", e spesso, o forse sempre, di fronte alla
piattezza, alla sciatteria, alla volgarità, all'ignoranza o
peggio ancora all'inutilità di questo sopravvivere,
abbiamo sentito in fondo al ventre (il Dan Tian Taoista,
fonte del Ki) un agitarsi, un vagito, un anelito, forse
una Preghiera, forse un grido di Guerra.

David Thule
Perennialismo

Queste ns. note non intendono atteggiarsi a verità


esaustive, ma appunto a semplici note, per fare un po’
di luce su quel fenomeno eterogeneo che è il
“Perennialismo”. Il Perennialismo ha origini “moderne”
e occidentali, lungi dal rappresentare un tutto
omogeneo, si è connaturato come un insieme di
elementi culturali, esoterici e religiosi di difficile
coesistenza, se non fossero forgiati dalla comune
fiamma di giudicare la società moderna, come
espressione di un degrado causato da forze
antagonistiche storiche e metastoriche, e la necessità
di ritrovare un' autentica Tradizione capace di ispirare
la nascita di una nuova società, definita tradizionale,
immutabile e perfetta. Benché il termine tradizionalista
sia maggiormente usato rispetto che perennialista, è
bene precisare che sicuramente è quest’ultimo quello
che contraddistingue al meglio tale corrente di
pensiero. Infatti l’espressione Tradizione appare nella
letteratura esoterica ben prima del perennialismo, con
autori come L. C. de Saint Martin, F. Kleuker, Antoine
Fabre d’Olivet etc.. E’ da ricordare come per De Saint
Martin la Tradizione non rappresenta un’astrazione
concettuale, bensì la discesa di Dio nell’uomo, il
superamento dello stadio di intorpidimento delle
coscienze in cui l’uomo è caduto, e che impedisce il
ricordo dell’origine divina. E’ però con i perennialisti
che il termine Tradizione, assume significato di
spartiacque fra ciò che è bene e ciò che è male.
Possiamo individuare come elementi fondanti del
perennialismo, i seguenti punti:
1) Esiste una Filosofia Perenne, una Tradizione
primordiale che l’uomo non ha generato, ma ricevuto.
Questa tradizione si è incarnata agli albori della storia
umana, in comunità e società tradizionali, dove ogni
uomo si relazionava agli altri in base all’appartenenza.
2) Le singole tradizioni altro non rappresentano che
incarnazioni della Tradizione Universale e Perenne, Il
compito dell’esoterista è quello di ricercare gli spezzoni
della Tradizione Universale, occultati nelle singole
tradizioni, in modo da ricomporre il mosaico perduto.
3) La tradizione è aggredita da agenti e fattori
riconducibili alla globalizzazione, alla perdita di valori,
che si incarnano nella società moderna,
profondamente antitradizionale. Tale assunto
comporta che il perennialista si senta investito di una
missione volta a propagandare la propria visione. La
Tradizione nel perennialismo, assume carattere di
principale ideale divino di riferimento, estraneo in
parte, da ogni manifestazione religiosa attualmente
presente, l’insegnamento religioso, non è il ponte fra
l’uomo e il divino, ma un semplice contenitore di
frammenti di verità. Per un perennialista il Centro
iniziatico (simboleggiato da Agarttha) è puro,
incorrotto e incorruttibile sotto il profilo metafisico e
spirituale, e le singole tradizioni storiche, altro non
rappresentano che i frutti nella storia e nel tempo di
esso. Quindi per un perennialista, è importante la
comparazione simbolica delle singole tradizioni, alla
ricerca dell’essenza iniziatica. La sua ricerca opererà
come il bisturi di un chirurgo tesa a separare il
nocciolo metafisico dagli elementi spuri, costituiti dalle
tradizioni derivate e deviate.
Esponenti del pensiero Perennialista: (1° Parte)

Il Perennialista più famoso e in pratica l'"inventore" di


questa corrente di pensiero, è René Guenon
René Guénon nasce a
Blois Francia Il 15
novembre 1886
trascorre la sua
giovinezza
frequentando
l'Istituto religioso
Notre Dame des
Aydes e
successivamente il
collegio Augustin
Thierry. Nel 1904
Supera gli esami di
Filosofia e si
trasferisce a Parigi.
Nel 1906 Interrompe gli Studi. Viene considerato
inabile al servizio militare. Comincia ad interessarsi
all'ambiente occultista parigino. Nel 1909 compaiono i
suoi primi articoli, con lo pseudo Palingenius, sulla
rivista "La Gnose". Si interessa alle tradizioni taoista,
indù e islamica. Nel 1912 Riceve l'iniziazione islamica e
assume il nome di Abdel Wahed Yahia . Nel 1915
ottiene la laurea in lettere. Nel 1916 ottiene un
diploma di filosofia. Nel 1921 Presenta come tesi per il
dottorato in lettere uno studio sulle dottrine indù. Nel
1924 Esce Orient et Occident, (Oriente ed Occidente)
dove traccia le linee per un'intesa tra l'élite
intellettuale occidentale e orientale. Nel 1927 Scrive
La Crise du monde moderne, (La Crisi del Mondo
Moderno). Nel 1934 Collabora a "Diorama filosofico"
la pagina speciale curata da Evola per il quotidiano
cremonese "il Regime Fascista". Nel 1951 Il 7
gennaio, dopo una malattia, René Guénon muore, le
sue spoglie vengono tumulate, secondo il rito islamico,
nel cimitero di Darassa.

Julius Evola

Nasce a Roma il 19 maggio del 1898 da una famiglia


siciliana di antiche origini nobili, le prime notizie,
scarne, che lo riguardano le apprendiamo da "il
Cammino del Cinabro" "Da giovinetto, subito dopo il
periodo di romanzi d'avventure, mi ero messo in
mente di compilare, insieme ad un amico. una storia
della filosofia, a base di sunti. D'altra parte. se mi ero
già sentito attratto da scrittori come Wilde e
D'Annunzio, presto il mio interesse si estese, da essi. a
tutta la letteratura “ Parallelamente era catturato dalla
cultura più anticonformista di quel tempo: Marinetti e
il futurismo, Papini e Lacerba, Tzara e il dadaismo.
Evola fu in contatto anche epistolare con Tzara e lui
stesso s'impegnò nel dadaismo dipingendo alcuni
quadri che gli hanno fruttato la qualifica di maggiore e
più interessante esponente del dadaismo italiano.
Evola sentiva fortissimo l'impulso alla trascendenza,
ma allo stesso tempo la disposizione intima di
kshatriya, di guerriero, gli portava un impulso per
l'azione. Nel 1917 partecipa al primo conflitto
mondiale come ufficiale di artiglieria . Finita la guerra
rientra a Roma. Nel 1921 chiude definitivamente con
la pittura, e dopo il 1922 cessa anche di scrivere
poesie. Comincia il periodo filosofico: già nel 1917, in
trincea, aveva iniziato a scrivere Teoria e
Fenomenologia dell'individuo assoluto, un'opera che
conclude nel 1924 dove Evola, associa il suo interesse
per la filosofia a quello per le dottrine riguardanti il
sovrarazionale, il sacro e la Gnosi. Nelle teorizzazioni
di Evola c'era l'influenza della sapienza tantrica che
divulga con “L'uomo come potenza” edito da Atanòr
nel 1926. Questi sono gli anni in cui Evola comincia a
frequentare i circoli dello spiritualismo romano: entra
in contato con Antroposofi e Teosofi, ma sono anche
gli anni delle avventure galanti sullo sfondo di una
Roma notturna. Del 1924-26 sono le collaborazioni a
riviste Ignis e Atanor. Del 1927-29 è l'esperienza del
"Gruppo di UR" di cui Evola è il coordinatore dando
vita ad una serie di fascicoli, un'antologia dei quali
uscirà nel 1955 col titolo: Introduzione alla Magia
quale Scienza dell'Io. Tra il 1927 e il 1929, Evola ha
un carteggio con Giovanni Gentile. L'argomento è la
collaborazione all'Enciclopedia Treccani per la voce
sull'ermetismo, lettere in cui Evola trova l'occasione
per segnalare al Gentile alcune delle sue posizioni
anche in materia filosofica e di critica della civiltà.
Con Teoria e Fenomenologia il periodo filosofico di
Evola è concluso. Nel 1930 Evola dà vita a “La Torre”.
Nell'editoriale del primo numero si propugna una
rivolta radicale contro la civiltà moderna con queste
parole: "La nostra parola d'ordine, su tutti i piani, è il
diritto sovrano di ciò che fu privilegio ascetico, eroico e
aristocratico rispetto a tutto ciò che è pratico,
condizionato, temporale..è la ferma protesta contro
l'onnipresenza insolente della tirannide economica …”.
Dopo l'esperienza de La Torre Evola scriverà sul
mensile “La Vita Italiana” di Giovanni Preziosi e il
quotidiano Il Regime Fascista di Farinacci. Su
questa testata Evola cura una sua pagina speciale
"Diorama Filosofico" alla quale collaboravano autori di
grande prestigio come Guénon, Dodsworth, e Paul
Valery, tutti accomunati da una visione del mondo
aristocratica, antiborghese, antimoderna e
tradizionale. Evola dal canto suo attacca il
sentimentalismo, la retorica del fascismo piccolo
borghese, demolisce il razzismo biologico, lo
scientismo, l'umanitarismo in nome di un elitarismo
ascetico, sapienziale e cavalleresco. Nel 1934 appare
l'opera fondamentale e principale di Julius Evola:
Rivolta contro il mondo moderno. In Rivolta Evola
traccia un affresco grandioso della morfologia della
storia che vien letta con lo schema ciclico tradizionale
delle quattro età (oro, argento, bronzo, ferro) Il libro
si divide in due parti: la prima tratta di una dottrina
delle categorie dello spirito tradizionale, la seconda
contiene un'interpretazione della storia su base
tradizionale partendo dal mito. Per Evola quello attuale
è il tempo del ferro, il Kali Yuga, in cui l'ordine cede al
caos, il sacro alla materia, l'uomo all'animale. Nel
1938 in Italia alcuni si improvvisano razzisti e danno
vita al Manifesto della razza dove viene riproposto
confusamente il razzismo nazista. Ad Evola il razzismo
ripugna: per lui teoria dell'eredità eugenetica e
vitalismo naturalistico sono abiezioni moderne. Per
questo dal 1937 al 1941 studia il problema del
razzismo, al quale si era già applicato all'inizio degli
Anni Trenta. Scrive due libri Il mito del sangue nel
1937 e Sintesi di dottrina della razza nel 1941. Evola
compie alcuni viaggi, soprattutto in Germania, dove
tiene un numero considerevole di conferenze. Del
1938 è l'incontro in Romania con Cornelio Zelea
Codreanu, del quale Evola, in un articolo che ne
ricordava la figura, scrive parole di grande stima.
Intanto dal 1940 l'Italia è in guerra, all'inizio della
compagna contro l'URSS Evola chiede di partire
volontario. Ma la risposta giunge quando ormai l'Armir
è in ritirata. L'8 settembre sorprende Evola in
Germania. È tra i pochi, con Preziosi, il figlio Vittorio e
qualche altro, ad accogliere Mussolini, liberato da
Skorzeny al Gran Sasso, al Quartier Generale di Hitler.
Aderisce alla RSI, lui aristocratico e reazionario
aderisce ad una repubblica sociale. Negli ultimi anni
della guerra Evola è prima in Germania poi a Vienna,
in questa città nell'aprile del 1945 si trova coinvolto in
un bombardamento, Evola viene sbalzato da uno
spostamento d'aria: una lesione al midollo spinale gli
provoca una paralisi agli arti inferiori che purtroppo
risulterà definitiva. Nel 1948, grazie alla Croce Rossa
Internazionale. viene trasferito a Bologna. Nel 1951
rientra nella sua casa di Roma. Sono cinque anni di
vero e proprio calvario passati in letti d'ospedale con
assistenza precaria e cibo al limite del commestibile.
Evola considera tutto ciò come una prova di
autosuperamento. Evola si guarda intorno e vede un
panorama di rovine, non solo materiali. Non ha più
alcuna speranza negli uomini; invece viene a sapere
che esistono dei gruppi giovanili che non si sono
lasciati trascinare nel crollo generale e che leggono i
suoi libri. Per questi giovani nel 1950 scrive
Orientamenti dove sviluppa in undici punti le direttrici
di un'azione Politico-culturale. Nel 1953 dà alle
stampe Gli uomini e le rovine che è l'estensione di
Orientamenti. Il libro è l'ultimo tentativo di
promuovere la formazione di uno schieramento di veri
rivoluzionari. Lo Stato che delinea Evola è lo Stato
organico che ha come base “i valori della qualità, della
giusta diseguaglianza e della personalità...Nel 1958
esce Metafisica del sesso un libro dove viene messa in
luce la forza magica e potentissima del sesso, l'ultima,
in un mondo ormai desacralizzato, assieme
all'esperienza dell' innamoramento, a rivestire un
carattere sacro ove possa balenare un lampo di
trascendenza, una rottura di livello della coscienza
ordinaria dell'uomo. Nel 1961, usciranno: Gli uomini e
le rovine, e Cavalcare la tigre, il breviario di chi deve
vivere in un mondo che non è il suo, forte della propria
invulnerabilità. Evola si rivolge a quel tipo di “uomo
differenziato” che pur non sentendo di appartenere a
questo mondo, non ha nessuna intenzione di cedere
ad esso. "Occorre far sì che ciò su cui non si può nulla,
nulla possa su di noi", occorre "cavalcare la tigre"
perché la tigre non può colpire chi la cavalca.” Nella
sua abitazione romana Evola vive in affitto e
sopravvive con una pensione d'invalido di guerra.
Traduce libri, scrive articoli per diverse testate, riceve
amici e curiosi. Nel 1968, mentre il suo pensiero viene
contrapposto nelle università a quello di Marcuse,
Evola viene colpito da uno scompenso cardiaco. Lo
stesso malore si ripeterà nel 1970, in ospedale,
infastidito dalle suore che lo assistono, minaccia di
denunciarle per sequestro di persona. L’11 Giugno
1974 Evola, si sente sempre più debole, e
consapevole che il vestito fisico non lo regge più, si fa
condurre al tavolo dì lavoro di fronte alla finestra che
dà sul Gianicolo; sono le quindici quando spira
reclinando il capo. Nel suo testamento aveva stabilito
che il corpo venisse cremato, che non vi fossero
cerimonie cattoliche né annunci. Le ceneri, secondo
quanto scritto nelle sue ultime volontà, vengono
consegnate alla guida Alpina Eugenio David. David e
una schiera di seguaci seppelliscono una parte delle
ceneri del Maestro in un crepaccio del Monte Rosa, le
altre vengono lanciate al vento. Ciò che emerge da
questa brevissima panoramica di studiosi (ce ne
sarebbero altri, che proporremo sul prossimo numero
di Soliferrum) ) variamente ricollegabili al fenomeno
Perennialismo, è la loro estrema eterogeneità, vi è una
definizione in negativo della storia e della cultura, non
tanto al fine di determinare ciò che è “Tradizione”, ma
nell'escludere cosa non è. Il Perennialismo trova così
radice in un’asserzione di fede, tipica più dell’uomo di
fede che in quello di scienza. Tale modo di procedere,
riduce Il Perennialismo ad una coesistenza di singoli
elementi, scuole, o gruppi, saldamente uniti nella
critica verso la società moderna, nell’identificazione del
“male”, salvo poi peculiarizzarsi, in orientamenti
Pagani, in idealizzazioni dell’islam sciita, nel ciclo
arturiano, nella saga di Tolkien, nel mito di Troia, in
studi di metafisica Vedica, o nell’ esaltazione
dell’anima guerriera del buddismo. Quasi a forgiare
una via della spada, dove l’anima della stessa è
l’anima di colui che la impugna. Anna Kinsgsford ha
scritto: "La dottrina esoterica non è soltanto una
scienza, una filosofia, una morale, una religione. Essa
è la scienza, la filosofa, la morale, la religione, e tutte
le altre non sono che delle preparazioni o delle
degenerazioni, espressioni parziali o false, a seconda
che si avvicinino o ne divergano". Sannò - D.Thule
Elegia

DIO MALEDICA L'AMERICA


Dio maledica l'America, bestemmia vivente al nome d'ogni Dio
Jahvè maledica l'America, che usa il suo nome per sottomettere il
mondo
Allah maledica l'America, che rende schiavi ed uccide i suoi figli
Brahman maledica l'America e il decimo Avatara di Vihsnu riporti
l'Ordine sulla Terra
Amaterasu-o-Kami maledica l'America, che disintegrò i suoi figli in un
fungo di fuoco
Manitù maledica l'America, che attuò il genocidio del suo popolo
libero
Viracocha maledica l'America, che tiene schiavo il suo popolo
Horus maledica l'America, che ha fatto a pezzi il corpo dell'Egitto
Ahura-Mazda maledica l'America, che versò il sangue dei suoi figli sul
Fuoco Sacro
Odino maledica l'America, che ha disonorato l'onore d'ogni guerriero
Zeus maledica l'America, nemica d'Europa nel Bello e nel Buono
Il Grande Cielo maledica l'America, che ha sporcato il mondo sopra e
sotto di Lui
Ogni Bodhisattva maledica l'America, regno d'ogni menzogna,
nemica d'ogni Verità
Gea maledica l'America, che sfigura e distrugge la Madre Terra
Ogni Dio, conosciuto e sconosciuto maledica l'America, regno del
materialismo
Ogni essere vivente maledica l'America, che prepara l'annientamento
del mondo
Satana maledica l'America, che ha usurpato persino il suo nome
Uomo maledici l'America, la Bestia Immonda nemica dell'Uomo.

Pio Filippani Ronconi


OMBRE

S'agitano le ombre,
Nella tua automatica esistenza,
La tua Coscienza, conosce.
Nel vento nero ove brillano i ricordi
Ballano le idee, è festa,
Ballano gli incubi, è festa,
Ballano i famigli è festa,
Ballano le fiamme, è festa,
La tua Coscienza è morta, e non tornerà
La tua anima è fuggita, e non tornerà,
Balla Mefisto è festa,
E tu piangi,
Per te non è festa,
La tua morte è fuggita, e non tornerà.

L'ULTIMO RISO:

Rido,
seduto su forme di energia,
sotto un cielo di marmo nero,
sotto nubi di specchi,
rido,
accarezzando il senso
della Mia inutilità.

David Valori
Stormi di uccelli neri:

Urla una televisione Curva nei campi


parole straniere, va una vecchia contadina,
triste esplode il “miserere” sulle spalle non più la
di chi muore senza pensione. fascina,
ma i profumi e i dolori dei
Brucia una fiamma tempi andati,
flebile, il sangue e le grida dei figli
nel caminetto stanco, disperati.
e fuori è la luna,
un uomo sul balcone Genuflessa innanzi una
che fuma. croce,
una lacrima le bagna le
Non più dolce il “far niente”, rughe
cocci di bottiglia negli occhi e con lo sguardo verso il
cupa e spenta la mente, sole,
seppellisce la prole.
Manicomi vuoti
centri commerciali pieni. E’ l’Italia che piange
E’ l’Italia che muore.
Passeggia un uomo,
solo. Andrea Brizzi 6/03/14

Un bastone e un giornale
vanno verso il mare,
all’orizzonte stormi di uccelli neri,
ma in volo.
kIlogrammi su metri

Odio poesia vogliamo allora la


parole cifrate pochezza
bitume da fondo spirito una volta per tutte
io spirevole toccatore ovunque sarà bidonville
tu sproloquio quadrato solcheranno le città il
che impallini parole a duemila fumo delle adidas
miscelando stati transfughi catramose
farfugli esistenziali non più cultura
e l'aria che ti tiri addosso non più migliori
mi produce solo bassa pressione non più camicie
non più aria pulita
ragazza che gliela darai
scopata dai suoi soldi solo liquame, tremendume,
e dalle massime a buon mercato su Rimbaud mine a mano
odio poesia
i vostri versi non fermano i proiettili io odio poesia
non ci deve essere salvezza perchè mi ricorda chi ha
perchè chi sorge affamato dal fango e dagli sputi affamato mio padre, mio
arma la sua quantità nonno e chi prima di lui
sbreccata turba sine qua non violenta perchè ricordo chi ha
sversato sulla mia terra
mareggiata di strattoni MTV e New York

odio poesia Perchè, chiedo sommesso


nipote/leggio di Voltaire divincolate i vostri
ultimo dividendo degli Hippie barbiturici nella notte
banchetteremo con i tuoi cuori ancora tranquilla?
che hanno oziato imberbi
che battono sempre sangue povero di ossigeno

ci prenderemo il tuo femmineo


che cita disinvolta Hanna Arendt e Lady Gaga
che te l'ha data
e rivendica la sentina come mare

Lorenzo Centini
DUX
Eri un capo,
Esempio di un mondo.
Eri un padre,
Patriarca di un Popolo.
Eri una luce,
In un mondo di tenebre.
Eri un Re,
A fianco di un Re.
Eri un Uomo
Un semplice uomo.
Ed ora giaci
Appeso per i piedi
Come un vitello squartato.
Ora giaci per il tradimento
Di un mondo,
Di un popolo,
Di un Re,
Di uomini,
semplici uomini,
E son tornate a regnare le tenebre.

Sannò 1982

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    Marco Braccini
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