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L’ASPIRAZIONE AD UNA RISPOSTA TOTALE

IL FINE ULTIMO E L’IDEALE DI VITA1

Cap. 1 – L’ANALISI IMMANENTE DEL DESIDERIO

 Blondel, Metodo dell’immanenza: dal dinamismo del volere (Volontà Volente / Volontà Voluta) si deduce
la dinamica fondamentale del desiderio (differenza tra “desideri” e “Desiderio”). Il “Desiderio” è indeducibile
dai “desideri”, li supera sempre, ne sostiene la razionalità ma non esiste fuori di essi; è il motore delle nostre
azioni; è a contatto con la volontà. De Lubac: [Il Desiderio è un dono divino previo, il modo in cui la
speranza spinge il primo movimento dell’uomo e si integra radicalmente nel dinamismo della sua libertà]
 Il Paradosso del Desiderio: è parte costitutiva della vita umana ma vi è sproporzione tra la capacità umana e
la sua realizzazione (N.B. “de-siderum”). Il paradosso è doppio: 1) certezza dell’impossibilità di soddisfarlo;
2) impossibilità di estinguerlo. Lutero: [Desiderio fonda la libertà  può diventare il carcere per la libertà
 “Servo Arbitrio”]
 Le false soluzioni al paradosso del desiderio: a) Edonismo: Ignoranza del paradosso (rende l’uomo incapace
di scoprire la verità della propria realizzazione personale, perché è impossibile soddisfare il “desiderio”
realizzando i “desideri”); b) Buddismo: Annientamento del desiderio (non risolve il paradosso perché annulla,
insieme al desiderio, il valore unico e personale dell’esistenza umana, legato al desiderio stesso); c)
Stoicismo: Razionalità che nasconde il desiderio (proposta inumana, nessuna speranza di pienezza); d)
Esistenzialismo: Assolutizzazione della libertà (la libertà umana è originata e radicalmente finita: l’“infinità di
libertà” è in realtà assenza di contenuto, vuoto negativo); e) Riduzione estetica: Assolutizzazione dell’azione
(Attualismo continuo che è un mondo di illusioni, mentre il desiderio chiede una realizzazione completa)
 La Salvezza, oggetto del desiderio: nella “salvezza del desiderio” c’è un “desiderio di salvezza” che dirige
tutti i nostri atti. Il desiderio è aperto a ciò che può salvarlo ma è incapace di produrlo: ha bisogno di un atto di
salvezza, da realizzarsi all’interno del desiderio. Il superamento del paradosso è il superamento del desiderio
come sacrificio e donazione totale a Dio. De Lubac [la promessa di pienezza non è dovuta solo al dinamismo
del desiderio, ma alla grazia anteriore da cui ha origine, dal “primo atto” che mette in movimento il
desiderio  dal Dono, in cui è radicato il fatto stesso di “volere”]. Il desiderio è preceduto da una realtà
originaria: l’Amore Originario, l’“essere amato” come principio di azione, la promessa di ricevere il dono. Il
desiderio, dunque, è manifestazione dell’esistenza di un amore anteriore che trasforma in speranza la
dinamica del desiderio stesso e che lo salva dal suo paradosso.

Cap. 2 – LA FINALIZZAZIONE DELL’AZIONE

 Tommaso: [In ciò che riguarda l’agire, tutto dipende dal fine, poiché lo stesso amore è rivolto al fine] :
nell’azione vi è la presenza di un fine che la illumina internamente. Il “Fine” dell’uomo non è estraneo alle
sue operazioni, né imposto dall’esterno, ma è legato alla sua realizzazione come uomo: ha a che fare con la
presenza di un amore originario che si fa presente e a cui bisogna rispondere; la “Libertà” – il modo con cui
l’uomo è padrone del suo agire – è “libertà per amare”: se non raggiunge quel fine, non risponde alla sua
verità (Cfr. VS 48).
 La finalità umana ha come ultimo riferimento definitivo l’esistenza di un Fine ultimo, unico ed universale
per tutti gli uomini, che non dipende dai desideri concreti ma da qualcosa di più grande di essi, che si trova
nella finalità dell’azione ancor prima che questa venga conosciuta dall’uomo.
 Il fine dell’azione né si deduce a priori, razionalisticamente, applicando la ragione deduttiva alla morale (Cfr.
Kant); né è una creazione della libertà dell’uomo, priva di senso morale proprio: il fine è estraneo all’azione
ed è sempre maggiore di quello che l’azione può dare; nasconde la drammaticità umana.
 Il desiderio per essere realizzato deve essere compreso nella sua verità, l’amore primo da cui procede il suo
dinamismo, e bisogna inserirlo in tutto l’insieme della verità dell’azione dell’uomo: esso dunque non va mai
assolutizzato, ma misurato, mediante la facoltà della ragione. La misura riconduce i desideri al fine della vita
dell’uomo, alla totalità che assume in sé tutti i fini intermedi. La ragione da un lato determina (“mensurans”)
1
L.MELINA, J.NORIEGA, J-J.PEREZ-SOBA, Camminare alla luce dell’amore. I fondamenti della morale cristiana,
Cantagalli, Siena 2008, 136 - 179
dall’altro realizza (“mensura”) la misura degli atti; essa è vincolata all’intenzionalità divina: non basta la
ragione, ma la retta ragione per dirigere l’azione morale. La rettitudine della finalizzazione dell’atto
umano è la correlazione tra verità, autodominio e direzione verso il fine ultimo: la libertà unita
all’accettazione di un fine originario effettivo che dirige le nostre azioni.

Cap. 3 – LA FELICITA’, LA BEATITUDINE

 Il concetto di felicità. La felicità è il fine ultimo dell’esistenza, il senso di vita compiuta e realizzata in
pienezza (ευδαιμονια). Agostino: [Noi tutti desideriamo vivere felici e non c’è nessuno che (lo) neghi], ma c’è
difficoltà nel determinare in modo pratico “in cosa consiste la felicità”, perché i fini delle nostre azioni non
sono mai fini ultimi. Dall’analisi linguistica emergono quattro significati: 1) Felicità che si sperimenta nel
ricevere un Dono ( + senso del trascendente; - quietismo, arbitrio estraneo all’uomo); 2) Felicità in
correlazione al Mondo ( + desideri reali ed azioni concrete sono elemento imprescindibile; - felicità
relativizzata a beni sociali e circostanze storiche); 3) Realtà interna all’uomo come modo di Agire Perfetto
con cui si raggiunge il dono ( + Aristotele [La felicità è l’attività di una vita perfetta secondo una virtù
perfetta]; - felicità irrisolta, “doppia felicità” di vita virtuosa/vita contemplativa (Cfr. Lc 10, Marta e Maria);
4) Correlazione tra agire perfetto e ricezione del dono: ευδοκια. Il modello dell’azione perfetta non è più un
atto di intelligenza ma diventa un atto d’amore. La risposta alla felicità umana è nella dimensione
escatologica della vita: la felicità completa è insieme la comunione umana con i fratelli e la “comunione
con / contemplazione di” Dio. Essendo impossibile per l’azione umana, essa è un dono divino, la cui
grandezza trova una risposta stupefacente: Gesù Cristo.
 La Beatitudine e le Beatitudini: principio morale di base che illumina la questione della felicità. Le
benedizioni dell’alleanza (per assicurarne il compimento) nel VT erano in riferimento ai beni materiali; nel
NT vanno aldilà: la felicità proviene dal dono di Dio in Cristo. Le beatitudini “sono il Figlio di Dio” come
Ideale di Vita buona, da ricevere come dono. 1) “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”: la
povertà è la libertà di poter servire, il “vero regnare” (Cfr. 2Cor 8,9: “Cristo s’è fatto povero per voi, perché
voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”); 2) “Beati gli afflitti perché saranno consolati”: l’amore è
capacità di soffrire rivolta agli altri, è vulnerabilità; la consolazione è la presenza divina che permette la
speranza dell’autentica felicità; 3) “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”:
negazione del senso kantiano di giustizia (“adeguarsi a dovere morale che merita necessariamente ricompensa
divina”); la felicità piena è la Giustizia di Dio, cioè la Giustificazione in Cristo, che non si può fare o meritare
ma è un dono gratuito che tuttavia si compie sul modo con cui il desiderio finalizza le opere; 4) “Beati i
misericordiosi perché troveranno misericordia”: il perdono di Dio, la misericordia, è l’effettivo principio
degli atti umani, il dono che ci rende a nostra volta capaci di essere misericordiosi; 5) “Beati i puri di cuore
perché vedranno Dio”: la “purezza” è “integrità”, cioè la possibilità di amare “con tutto il cuore” (Cfr. Dt
6,4), la maniera di amare di Dio, possibile “avendo gli stessi sentimenti di Cristo” (Cfr. Ef 2,5-11); 6) “Beati
gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”: “Pace” non è assenza di guerra ma la fine di tutte
le inquietudini dell’uomo, cioè il dono di Dio unito alla promessa più grande di tutte le beatitudini: quella di
“essere figli di Dio”; 7) “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno …”: la felicità è già presente
sulla terra ma vi è tensione intera tra il dono divino delle beatitudini e la realizzazione di vita, che solo Cristo
risolve.

Cap. 4 – DIO COME OGGETTO DEL FINE ULTIMO

 La beatitudine ha un riferimento umano (la Pienezza di Vita) ma una dimensione divina (Gesù Cristo, Figlio
pienamente rivolto al Padre): l’uomo non può raggiungere questa comunione trinitaria se non in relazione con
Cristo: Gv 18,8 [“Mostraci il Padre e ci basta”]: la visione [Rivelazione del Figlio] è anticipo di un fine
definitivo, la Gloria. Ireneo: [La Gloria di Dio è l’uomo vivente]: la gloria di Dio, la pienezza di vita (-eterna
= Dono di Dio), è legata alla ricezione del suo dono di se stesso: rifulge quanto più l’uomo risponde a questo
amore e vi conforma la propria vita. Gv 14,9: [“Chi ha visto me ha visto il Padre”] Il fine della vita umana è
la gloria del Padre, data dall’unione con Cristo, la cui persona in quanto “alleanza definitiva” ci rende
partecipi della comunione P-F che supera ogni capacità umana. Ireneo: [“Lo Spirito prepara in precedenza
l’uomo per il Figlio di Dio, il Figlio lo conduce al Padre e il Padre gli dà l’incorruttibilità per la vita eterna
che tocca a ciascuno per il fatto di vedere Dio”]. Seguire Cristo  Trasformazione in Cristo 
Divinizzazione
 La finalità dell’azione umana è inserita nell’opera di Dio, nella quale siamo chiamati a collaborare
liberamente. Lc 17,21: [“Il Regno di Dio è qui in mezzo a voi!”]: la storia dell’umanità è Storia di Salvezza, e
nelle vicissitudini umane Dio si manifesta come Signore della Storia. Il Regno di Dio ha dunque significato
comunitario e personale; è un dono concepito nel cuore dell’uomo, che gli dona nuova comunione con Dio e,
come tale, va annunciato e implica la predisposizione umana alla conversione; la Giustizia di questo Re è il
Perdono offerto ai peccatori;
 Il Regno è una realtà che supera il tempo delle nostre azioni: in esso vi è l’unione tra il merito delle nostre
azioni (che ci rende partecipi della sua costruzione) e il premio di esse (oggetto di supplica)  la Preghiera è
dunque parte integrante del modo in cui l’uomo si introduce nel Regno. L’uomo non può produrre il Regno
ma solo parteciparvi alla costruzione e chiederlo, in quanto dono di Dio. Mt 6,10: [“Venga il tuo Regno”].
La Chiesa è Sacramento di Salvezza, cioè fa presente sulla terra questo Regno come un “germoglio”. Questo
Regno irrompe in questo mondo mediante l’azione liturgica, che richiede da parte dell’uomo un “culto
spirituale” (Cfr. Rm 12,1) e che culmina nell’Eucarestia. In questo modo partecipiamo all’azione di Cristo
ma ancora in una realizzazione imperfetta che aspira ad un compimento: la Parusìa, la venuta di Cristo in
potenza, il momento in cui il Figlio restituirà il Regno al Padre (Cfr. 1Cor 15,24).

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