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Odi II 1-6 721

LIBRO TERZO

1-6

R. Heinze, « Neue Jahrbb. f. Wiss. u. Jugendb. » 5, 1929, 675 sgg. (= Vom Geist
des Rimertums, Darmstadt 19603, 190 sgg.); H. Sirlomon, « Philologus » 92, 1937, 444
sgg.; C. KocH, « Neue Jahrbb, f, Ant, » 4, 1941, 62 sgg. (= Religio, hrsg. von O. Seel,
Niirnberg 1960, 113 sgg.); L. AMmunDpSEN, Serta Eitremiana, Oslo 1942, 1 sgg. (= Wege
zu Horaz, 111 sgg.); F. KunenER, Varia variorum, Miinster 1952, 118 sgg. (= Studien
zur griechischen und ròmischen Literatur, Zirich 1964, 333 sgg.); H. OPPERMANN, « Gym-
nasium » 66, 1959, 204 sgg.; K. BùcHNER, in Studien zur romischen Literatur 3, Wiesba-
den 1962, 125 sgg.; G.C. GrarDINA, « Il Verri » 19, 1965, 142 sgg.; TM. ANDRÉ, in
Homm. M. Renard I, Bruxelles 1969, 31 sgg.; P. GrimaL, « Rev. étud. lat. » 53, 1975,
135 sgg. (cfr. inoltre le indicazioni bibliografiche relative alle singole odi).

Le prime sei odi del libro III, comunemente chiamate dagli studiosi moderni
‘odi romane’, appaiono legate da più di un elemento comune: l’affinità dei temi
centrali, innanzitutto, che lascia cogliere una ispirazione unitaria che può essere rav-
visata nel sentimento della romanità e nel proposito di affermare valori morali e ten-
denze ideologiche del principato ai suoi inizi; l'assenza, poi, di un destinatario sin-
golo, lo stile solenne, l'identità metrica (fatto eccezionale nei quattro libri, dove sol-
tanto in un altro caso, quello di 2, 13-15, sono accostate più odi dello stesso metro).
Infine, la prima strofe di 3, 1, di carattere proemiale, risulterebbe sproporzionata,
oltre che inusuale in Orazio, se intesa come proemio a una sola ode; essa sembra
piuttosto introdurre l’intero gruppo costituito da 3, 1-6. In conclusione, tutto lascia
pensare che nell’intenzione del poeta le sei odi andassero sentite come legate da un
flo; ma da questa prima acquisizione, sulla quale l’accordo degli interpreti è una-
nime, il passo è stato breve fino ad affermare che le sei odi, concepite come un ciclo
unitario, sarebbero i sei movimenti, composti contemporaneamente, in cui si artico-
lerebbe una sorta di unico poema. Già Porfirione annotava in margine alla prima
strofe di 3, 1: haec autem @di) multiplex per varios deducta est sensus. Interpretata alla
lettera, questa definizione dello scoliaste antico ha indotto addirittura qualcuno a
pubblicare i sei componimenti senza stacco, come un solo longissimum carmen (Peerl-
kamp), o a considerarli sezioni di un poema lirico costituito da due parti, di tre odi
ciascuna (Pascoli). Ma, pur senza arrivare sempre a tali eccessi, la tesi unitaria ha
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trovato non pochi sostenitori, combinandosi per lo più con un’altra tesi, quella che Il problema della cronologia di quest’ode è strettamente legato a quello della sua
vede nel ciclo l’esemplificazione di un sistema di virtù o, in ogni caso, un compli- composizione in rapporto al ciclo delle odi romane. Il fatto che a prima vista quello
cato intreccio di rimandi allegorici: le sei odi si configurerebbero come una compo- qui trattato sia un tema di etica privata, e non propriamente politico, ha indotto a
sizione unitaria volta a celebrare il nome Augustus (Mommsen), illustrerebbero le pensare che essa sia stata composta indipendentemente e anteriormente rispetto alle
quattro virtù cardinali (3, 1-4) e poi (3, 5-6) l'amor patrio e la religione (Ritter, altre, e che poi, quando sarebbe stata rifusa nella raccolta, nel 27 a.C., vi sia stata
Theiler), sarebbero un canto festivo per la fondazione del principato, in particolare aggiunta la prima strofe, di carattere proemiale (Kiessling). È stata anche avanzata
per la consacrazione dello scudo d’oro (clupeus aurus) nella Curia Iulia in onore di l'ipotesi, rimasta isolata (Barwick), di una posteriorità dell’ode rispetto al ciclo: essa,
Augusto, e si proporrebbero di enunciare in forma poetica le quattro virtù ivi iscritte, composta nel 23 a.C. come variazione di 2, 16, sarebbe stata poi premessa al ciclo
virtus-clementia—iustitia-bietas (Domaszewski), sarebbero la rappresentazione di una delle odi. romane in occasione della pubblicazione della raccolta dei primi tre libri.
dialettica fra valori individualistici e valori comunitari (Koch), conterrebbero la mappa Altri ritengono che alla redazione originaria dell’ode siano state aggiunte le prime due
ideologica dei valori arcaici di parsimonia e duritia (3, 2), di devotio (3, 5), rusticitas strofe (Amundsen) o soltanto la prima (Warde Fowler), sulla base soprattutto di un
(3, 6), castitas (3, 3 e 3, 4) (André), sarebbero una meditazione sulle guerre civili, sulla apparente scarto stilistico fra la sublimità delle prime due strofe (specialmente di
decadenza della res publica e sulle virtù dell'agire politico (Grimal; sulla tesi unitaria quella iniziale, che annuncia un canto di risonanza universale), e il carattere del resto
inoltre Silomon, Oppermann). dell’ode, che si configura come una riflessione gnomica su temi di etica privata. Ma
Alla tesi unitaria si oppone però un dato cronologico: l’ode 3, 6, poiché fa rife- in realtà l'ode ha una innegabile coerenza interna, una organicità che le proviene in
rimento, all’inizio, all'opera di restauro edilizio promossa da Augusto su incarico del parte dall’unità dell’ispirazione epicurea (Pasquali), in parte dalla presenza dell’inte-
Senato, può essere datata. non molto più tardi del 28 a.C. (cfr. Mon. Ancyr. 20, 4; resse dominante, che è sì etico, ma non in senso individualistico: piuttosto, direm-
Cass. Dio. 53, 2, 4), e quindi sarà anteriore almeno a 3, 3 e a 3, 5, nelle quali ricorre mo, si tratta di un interesse etico-politico, poiché il confronto con odi a svolgimento
il titolo Augustus, e che presuppongono perciò la seduta del Senato durante la quale gnomico-politico, come 2, 15 e 2, 18 (cfr. le relative introduzioni), mostra la portata
Ottaviano assunse tale titolo (16 gennaio 27 a.C.), Ciò dimostra che le odi non sono ideologica del tema del lusso, che è quello centrale dell’ode (l’altro tema, quello della
state composte contemporaneamente, che Orazio, nell’ordinare il ‘ciclo ’, vi ha inse- paura della morte, è ad esso strettamente legato, poiché da quella paura, secondo la
rito alcune odi (una con sicurezza, la 3, 6) composte precedentemente (Heinze, Amund- morale epicurea, derivano l'ambizione e l’avidità: cfr. Pasquali). Come nelle odi del
sen, Pasquali, Fraenkel, La Penna, Grimal). libro Il appena ricordate, qui Orazio si riaggancia a una tematica centrale nell’ideo-
La ricerca di allegorie e di corrispondenze troppo sottili, o di un disegno ben logia augustea, dando ai motivi diatribici di matrice epicurea un respiro politico che
preciso è inutile, quando non aberrante, anche se è innegabile che Orazio, nel met- assume un valore particolare alla luce del programma augusteo di rifondazione etica
tere insieme i sei componimenti, ha curato l'architettura complessiva, che può essere della res publica, a conferma del fatto che siamo nel 27 a.C. L’ode è dunque inscindi-
definita come due trilogie parallele (Heinze), ciascuna delle quali comprende tre odi
bile dalle altre del ciclo, all’interno del quale essa è stata concepita (Solmsen, Péschl).
(fermo restando che ognuna di esse è autonoma e compiuta in sé) e ha un proemio
La prima strofe non è stata aggiunta successivamente, poiché essa corrisponde
(3, 1 e 3, 4). Inoltre l’inizio di ciascuna ode si riaggancia alla chiusa della precedente
simmetricamente all’ultima: sono le due strofe in cui compare il poeta in prima per-
per analogia o per contrasto tematico, tranne che nel caso della sesta ode, che non sona, secondo le più autentiche tradizioni proemiali, e ciò fa sì che la struttura si
presenta un legame evidente con la 3, 5 (La Penna). configuri come una composizione anulare (Williams). Di solito si individuano all’in-
terno dell’ode cinque gruppi di due strofe ciascuno, escludendo le prime due, ognuna
delle quali è a sé stante (Heinze). Ma forse è possibile cogliere una struttura simme-
trica artisticamente più elaborata: la prima e l’ultima strofe si corrispondono, e al
centro si sviluppa uno schema 3 +4 + 3, nel quale le prime tre strofe (vv. 5-16)
riguardano la necessità della morte per tutti, le tre corrispondenti (vv. 33-44) svol.
Pasquali, 654 sgg.; W. Warbe FowLER, Roman Essays and Interpretations, Oxford
gono il tema del lusso edilizio, e al centro (vv. 17-32) viene a trovarsi il motivo della
1920, 211 sge.; F. SoLmsen, « Amer. Journ. Philol. » 68, 1947, 337 sgg.; K. BARWICK,
tranquillità di chi limita i propri desideri a quelli naturali.
« Rhein. Mus. » 93, 1950, 249 sgg.; V. PòscHL, « Harv. Stud. Class. Philol. » 63, 1958,
333 sgg.; E.T. SrLx, « Yale Class. Stud. » 23, 1973, 131 sgg. Metro: strofe alcaica.
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v. 1 odi ha un significato meno forte rispetto al nostro ‘ odiare ’, e indica piuttosto mente adatto ad un esordio solenne (cfr. Cic. rep. 1, 56 qui magnis de rebus dicere exor-
disprezzo misto a fastidio, come nell’espressione plautina odio mihi es, o come in Cic. diens a Iove incibiendum putat), si coglie una allusione alla chiusa della prima Olim-
fin. 1, 4; 1, 32; Lael. 47 e, in Orazio stesso, 1, 38, 1; epist. 1, 7, 20. pica, in cui Pindaro dice che i re toccano le cime più alte (tò d° Eoyatov xopupobtar
odi — arceo: tutta l’espressione è una variazione di una formula sacra. Profanus indica Bacwmedot), e a cui Orazio sembra rispondere che al di sopra dei re c'è Giove (Pa-
propriamente chi non è ammesso a un tempio; è riferito a persone, sul modello di squali). Non è del tutto chiaro il significato di questi versi: alcuni vi colgono la gerar-
Bépnroc, da Catuir. 64, 260 e da Vero. Aen. 6, 258 procul o procul este profani. Ap- chia piramidale del potere terreno e celeste, dalle masse ai re a Giove, c’è chi vi
pare qui riecheggiato il linguaggio dei culti misterici, di quelli orfici in particolare: scorge una allusione polemica, da parte del libero spirito romano, alle monarchie
cfr. l'inizio di uno isp% X6yoc orfico in PraT. Symp. 218b (ot dì ciuérat, xal ef Ti< assolute orientali, nelle quali il popolo era come una mandria di proprietà del re
og tor, BEBNAbc TE ai &ypomoc, miiac rdvo ueyddac roîs olv tridecde) e orph. (cfr. l’espressione proprios greges, nella quale però può esserci un’eco della formula
fr. 245 Kern q8éytopar oîc diui doti, Iipac È’ Entdecde RéBmor. Il linguaggio sa- omerica to) y Aadiv), e c'è chi in Giove arriva a vedere una allegoria di Augusto. Una
crale-misterico sottolinea la funzione sacerdotale del poeta-vates. Ma nello stesso interpretazione interessante è quella secondo cui i reges, come i purpurei tyranni di 1,
tempo il poeta esprime la propria concezione dell’arte ed insieme un concetto epi- 35, 12, non indicano figure storiche concrete, ma appartengono all’esemplificazione
cureo: cfr. Ericur. fr. 131 Arr. oddétote Mpéydyy Tot ToXdoîg dpfoxerv; Lucr. 1, 495 tipica della filosofia morale ellenistica: Orazio, ponendo l’accento sulla paura, intro-
volgus abhorret ab hoc. durrebbe il concetto epicureo dell’impossibilità per gli uomini di sfuggire a quella,
poiché esiste per tutti qualcuno da temere e, quindi, un motivo di ansia (Péschl).
v. 2 favete linguis: antica formula sacra con cui in origine si invitavano i presenti,
nel corso di una cerimonia, a pronunciare le parole di rito (cfr. il termine greco v. 7 clari- triumpho: non mi sembra sicuro il rimando intenzionale alla Giganto-
eòpnueiv), ma che poi passa a significare un invito al silenzio (cfr. Cic. div. 1, 102; machia che è narrata in 3, 4, 42-76, e che rappresenta il culmine del ciclo delle odi
2, 83; Sen. dial. 7, 26, 7). romane (Fraenkel). La vittoria di Giove sui Giganti (cfr. nota a 2, 19, 21 sg.) è solo
un modo particolarmente significativo di rappresentare la potenza del dio supremo
vv. 2-3 carmina
— audita: l’espressione si riferisce non, come in altri casi (cfr. note (quasi a dire che questi, se sconfisse quelle creature, tanto più facilmente esercita il
a 1, 26, 10; 3, 30, 13 sg.), alla novità di genere letterario, bensì a quella del conte- suo potere sui comuni mortali).
nuto, e mira a definire tutte e sei le odi romane: « non abbiamo motivo di credere
v. 8 cuncta— moventis: reminiscenza omerica: cfr. Il. 1, 528 sg. în? dopbor veloe
che alcun poeta prima di Orazio avesse immaginato un ciclo lirico di composizione
così grandiosa » (Pasquali).
Kpovicv.. .péyav d° EN6AIEEv "O2uprrov.
vv. 9-16 est — nomen: il legame con la strofe precedente èx ardito («un tocco pin-
vv. 3-4 Musarum — canto: l’immagine è quella arcaica del poeta-vate investito della darico » secondo Fraenkel), ma non oscuro. Siamo di fronte a una variazione dello
sua missione dalle Muse, secondo una tradizione che ha inizio con Esiodo (theog. 100 stesso concetto dei vv. 5-8 (così come i re sottostanno al potere di Giove, così tutte
Movsdawv depdrwv). Il pubblico cui Orazio si rivolge è quello dei giovani, non solo per- le altre categorie di esseri umani). Il nesso unificante è costituito dall’identità fra Iup-

its
ché questi sono più adatti a recepire un discorso nuovo, non solo perché rappresen- piter e Necessitas, che non ha però, come pensano alcuni, implicazioni filosofiche in

in
tano la generazione cui è affidato il compito di rinnovamento morale e politico che senso stoico (si pensi all’equazione ®eés = Eiuaputw). Lo stile dell’argomentazione si
le odi romane vogliono promuovere, ma forse anche perché fanciulli e fanciulle rien-

inni di
fa diatribico, e Orazio riprende, sia pur nei tratti essenziali, uno schema che gli è
trano bene in un contesto cultuale (si pensi ai cori di fanciulli e fanciulle nelle ceri caro, quello dei Btot, disponendolo, come in 1, 1 (cfr. relativa introduzione), entro
monie sacre: cfr. 4, 6, 31 sg.; carm. saec. 6). una Priamel, segnata da est ut-hic-illi.

ii
vv. 5-6 regsum— Iovis: comincia lo svolgimento gnomico, con una duplice sentenza vv. 9-10 viro—sulcis: il primo Lebensbild è quello dell’agricoltore (cfr. 1, 1, 11 sg.),
la cui struttura chiastica è sottolineata dal poliptoto di reges all’inizio di questo e del descritto nell'atto di piantare filari di viti regolari gareggiando con il vicino quanto

ici
verso successivo. La strofe è piena di echi letterari: accanto al motivo, di tradizione ad ampiezza del podere. Arbusta ha il senso di ‘viti’, come in VERG. georg. 2, 289;
rapsodica, del ‘ prendere le mosse da Giove’ (cfr. Pup. Nem. 2, 1 sgg. é9ev rep xal altri intendono nel senso di ‘olmi’ cui si maritano le viti (cfr. nota a 2, 15, 5).

ni
‘Ounpidai / fareràiv EE tv TÀ TOA diotdot / dpyoviat, Atdg èx rrpoorutov) con l’èx Atòc dpycd- vv. 10-11 hic petitor: il candidato alle elezioni, che scende in campo vantando

ii bili ii
peoda (cfr. Vero. ecl. 3, 60 ab Iove principium, Musae, Iovis omnia plena), particolar- un'origine nobile, con vantaggio quindi sugli homines novi. Descendere in campum è

Mb
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espressione tecnica (cfr. Liv. 7, 8,9; Var. Max. 7, 5, 1); per campum cfr. nota a v. 23 umbrosam...ripam: il paesaggio ameno ricorda quello di LucR. 2, 23 sg.,
1, 8, 4. un passo che ricorre spesso nella memoria di Orazio (cfr. nota a 1, 1, 21 sg.).
vv. 12-14 moribus — maior: altri candidati contano sulla migliore reputazione o sul v. 24 Zephyris... Tempe: Tempe (su cui cfr. nota a 1, 7, 4) qui indica una vallata
maggior numero di clientes. Il riferimento è ancora alle elezioni dei magistrati, ma
amena e boscosa qualsiasi, come in Verc. georg. 2, 469 speluncae vivique lacus et fri-
l’accenno alla fama lascia scorgere una sovrapposizione della vita dedita alla ricerca gida tempe. Zephyrus, nome greco del Favonio (su cui cfr. nota a 1, 4, 1), indica il
della gloria e dell’approvazione sociale. vento foriero della primavera (cfr. Pun. nat. hist. 16, 93).
vv. 14-15 aequa — imos: più che alla Eiuappéw stoica questa forza ineluttabile che
vv. 25-26 desiderantem — mare: concetto epicureo: solo chi sa. limitare i propri de-
domina il mondo ha i caratteri della morte, è la Necessitas leti di 1, 3, 32 sg. (cfr.
nota), e come la morte è imparziale (cfr. 1, 4, 13 e nota; 2, 18, 32 e nota). Per la sideri a quelli naturali e necessari (cfr. Ericur. Max. Cap. 29) è libero dal circolo
personificazione della Necessitas cfr. nota a 1, 35, 17 sg. vizioso che collega brame insaziabili e paure. Attorno al concetto della paura della
morte il cerchio si chiude con una nuova allusione alle varie attività umane: il primo
v. 16 omne nomen: cfr. nota a 2, 3, 25 sg. Lebensbild è quello topico del mercante che affronta il mare in tempesta (cfr. 1, 1,
vv. 17-18 destrictus — pendet: allusione all'episodio di Damocle, invitato da Dio- 15 sg. e nota; 1, 31, 10 sgg.).
nisio II, tiranno di Siracusa, a un convito durante il quale pendette sulla sua testa
vv. 27-28 saevus — Haedi: perifrasi per indicare le tempeste equinoziali: Arturo,
una spada sguainata appesa a un filo (cfr. TimazuM in ATHEN. 6, 250). L'episodio è
stella della costellazione di Boote, tramonta il 22 maggio e il 29 ottobre, gli Haedi,
narrato da Cic. Tusc. 5, 61, che lo porta come esempio del fatto che nihil esse ei bea-
due stelle nella costellazione dell’Auriga, sorgono il 25 aprile e tra il 27 e il 29 set-
tum cui semper aliqui terror impendeat. Contrariamente a quanto ritengono alcuni, il
tembre. Cfr. Prin. nat, hist. 18, 312 sg. e, sul carattere burrascoso di Arturo, PLAUT.
riferimento non è alla paura in cui vivono i ricchi e i potenti (in questo caso, Dio-
Rud. 70 sg. (signum sum omnium acerrimum: | vehemens sum exoriens, quom occido vehe-
nisio), ma soltanto a quella di Damocle, e la spada che pende sul capo di questi rap-
mentior) e Corum. 11, 2, 43. Le due stelle sono associate anche in VERG. georg. 1,
presenta metaforicamente (come ancora oggi per noi) il timore ansioso di chi sente
204 sg.
incombere su di sé un pericolo. In questo caso, il pericolo è la morte: ecco il legame
con la strofe precedente. Orazio sviluppa la stessa argomentazione di Luc. 3, 37 vv. 29-30 verberatae — mendax: il secondo Lebensbild è quello del ricco proprietario
sgg.: dalla paura della morte nascono sete di onore e di ricchezza, cupidigia, invidia, terriero (cfr. 1, 1, 9 sg.). Per fundus mendax cfr. epist. 1, 7, 87 spem mentita seges; epod.
fino al delitto (riferimento, quest’ultimo, presente in impia). 16, 45 numquam fallentis termes olivae.
v. 18 Siculae dapes: espressione proverbiale per indicare banchetti molto lauti, Già
vv. 30-32 arbore — iniquas: l’espressione torrentia sidera si riferisce al Cancro e alla
PLat. rep. 3, 4044 parla di Zupaxocta rpdreta. Cfr. inoltre ArHEN. 518c; Cic. Tusc.
Canicola, cause della siccità estiva (cfr. Pin. nat. hist. 2, 107 sg.; 123). Iniquas è un
5, 100.
elemento di stile soggettivo: gli inverni, dal punto di vista dell’albero, sono propria-

|
v. 20 avium- cantus: probabile riferimento all’uso di grandi gabbie piene di uccelli mente ingiusti (piuttosto che, genericamente, rigidi).

e inn
canterini da parte dei ricchi (cfr. VARR. rust. 3, 4 sg.). Per le citharae, probabilmente
Orazio si è ricordato del passo in cui Lucrezio afferma che la natura è contenta anche vv. 33-34 contracta — molibus: cfr. nota a 2, 18, 21 sg. Per una immagine simile cfr.
Vero. Aen. 9, 710 sgg. talis in Euboico Cumarum litore quondam | saxea pila cadit, magnis
quando non citharae reboant laqueata auratague tecta (2, 28).
quam molibus ante / constructam ponto iaciunt.
v. 21 somnum reducent: sul potere della musica di indurre al sonno cfr. epist, 1,
2, 31. Ricordiamo che Mecenate conciliava il sonno fer symphoniarum cantum ex v. 35 caementa: pietre minute, di varia forma, che costituiscono la struttura del-
longinquo lene resonantium (Sen. dial. 1,3, 10). La ripetizione di somnus nello stesso l’opus caementicium (cfr. Virruv. 2, 4, 1; 2, 8, 1 sge.).
verso esprime efficacemente l’ansia con cui gli insonni aspettano di addormentarsi. fastidiosus si riferisce alle costruzioni di ville sul mare, ma il rilievo
vv. 36-37 terrae
vv. 21-22 agrestium...virorum: secondo alcuni, si riferisce solo a somnus, secondo dato a fastidiosus, attraverso l’enjambement e la collocazione all’inizio della strofe suc-
altri solo a domos, secondo altri ad ambedue &rò xovoi. Ricordiamo che per Epicuro cessiva, fa capire che il fastidium del padrone della villa è lo stesso taedium vitae che
(fr. 1, 120 a 2 Arr.) il vero saggio preferisce la vita campestre, spinge gli uomini a cambiare continuamente luoghi e attività (cfr. Lucr. 3, 1057 sgg.):
ì
jdi

728 Orazio Odi II 1, 37 - 2,2 729

è il medesimo concetto di 2, 16, 18 sgg., e anche qua, come là, esso segna il passag- Malgrado tentativi di collocare quest'ode in un periodo diverso rispetto alla pre-
gio al motivo delle preoccupazioni che seguono colui che crede di fuggirle. cedente (Poyser), è verosimile che i due componimenti siano contemporanei, e ciò
spinge a credere, innanzitutto, il fatto che l’inizio di 3, 2 sia una continuazione del
vv. 37-40 Timor — Cura: alcuni fra i tanti mostri «generati dal sonno della ragio- x
finale di 3, 1. Tuttavia il legame è artificioso, poiché la pauperies con il cui elogio si
ne ». Sull’affinità fra questi versi e 2, 16, 21 sgg. cfr. nota ad I, e, per il concetto conclude l'ode precedente è tutt'uno con la tranquillità dell'animo, con l’autosuffi-
qui espresso, cfr. nota a 2, 16, 18 sgg. cienza del saggio, mentre la pauperies di quest’ode si identifica con la dura vita mili-
v. 39 aerata triremi: cfr. nota a 2, 16, 21. Per la trireme come nave da diporto per tare, con un valore patriottico per il quale si intravede un premio ultraterreno. Vi è
i ricchi Romani cfr. epist. 1, 1, 93. dunque un’incongruenza nel passaggio dalla prima alla seconda ode romana, che
riflette una contraddizione propria di tutta la cultura augustea, insita nel tentativo,
v. 41 Phrygius lapis: il marmo pregiato e costoso di Sinnada, in Frigia (‘ pavonaz-
da parte di quest’ultima, di conciliare l'ideale dell’eòSvpia, elaborato dalle filosofie
zetto tigrato ’): cfr. PLIN. nat. hist. 36, 102, Sull’uso in case private di marmi lussuosi
morali ellenistiche, con i valori di una morale quiritaria; tentativo che poteva dar
cfr. 2, 18, 4 sg.
luogo solo a compromessi, come quello di VERG. georg. 2, 532 sgg., in cui la vita tran-
vv. 42-43 purpurarum
— usus: per enallage, clarior è riferito a usus anziché a purpu- quilla dei contadini è assimilata prima alla eèdvuta dei filosofi, poi alla vita dei rudi
rarum. Sulla porpora cfr. note a 2, 16, 35 sg.; 2, 18, 7 sg. Il concetto è lo stesso di primi Romani (La Penna).
Lucr. 2, 51 sg. (un passo che Orazio, come si è visto, ha tenuto spesso presente nel Lo sforzo di conciliare ideali che rinviavano a modelli culturali diversi ha por-
comporre quest’ode): (curae sequaces) neque fulgorem reverentur ab auro | nec clarum tato Orazio a raccogliere le suggestioni di più tradizioni e di più filoni culturali, che
vestis splendorem purpureai. nell’ode si sovrappongono, dalla lirica arcaica, in particolare di Simonide (cfr. Oates),
vv. 43-44 Falerna vitis: cfr. nota a 1, 20, 10 sg. alla dottrina posidoniana dell’oltretomba e dalle concezioni escatologiche stoiche (Pa-
squali) all’epica virgiliana (Basto).
v. 44 Achaemenium...costum: un unguento persiano (cfr. epod. 13, 8 sg. Achae La struttura è bipartita (vv. 1-16 sulla virtù militare; vv. 17-32 sulla virtù etica),
menio . .nardo): cfr. Prin. nat. hist. 12, 41. Per Achaemenium cfr. nota a 2, 12, 21. Sui ma con una ulteriore articolazione di ciascuna parte in due gruppi strofici: vv. 1-12
Persici apparatus come simbolo di lusso cfr. nota a 1, 38, 1. povertà e valore militare; vv. 13-16 la morte per la patria; vv. 17-24 elogio della
v. 45 invidendis: cfr. nota a 2, 10, 7. virtus; vv. 25-32 promessa ultraterrena per la virtus (cfr. Connor).
vv. 45-46 novo...ritu cioè secondo le nuove consuetudini dell'edilizia privata, così Metro: strofe alcaica.
lontane dalla semplicità dei maiores (cfr. introduzione a 2, 15).
v. 1 angustam — pati: la duplice allitterazione e l’ossimoro amice.. pati conferiscono
v. 46 sublime...atrium: sulla magnificenza degli atrii delle abitazioni dei nobiles cfr. solennità a questo verso iniziale. Sul concetto di pauperies cfr. nota a 1, 1, 18.

.1 5-1
VirRuv. 6, 5, 2.
v. 2 robustus: con il significato di corroboratus (così come onustus = oneratus), è da

fai]
v. 47 permutem: per la costruzione cfr. nota a 1, 17, 2. concordare con acri militia (cfr. Cic. Catil. 2, 20 genus exercitatione robustum), malgrado

mapa bisnonno
v. 48 divitias operosiores: cfr. sat. 2, 6, 79 sollicitas.. .opes. alcuni lo leghino a condiscat. Per l’idea del servizio militare come scuola che tempra
il carattere cfr. Sal. Catil. 7, 4, a proposito dei giovani dell’antica Roma: iuventus
simulac belli patiens erat in castris per laborem usum militiam discebat...igitur talibus
viris non labor insolitus, non locus ullus asper aut arduus erat, non armatus hostis formi-

ja
2 dolosus: virtus omnia domuerat.
PASQUALI, 667 sgg.; W.J. OaTES, The Influence of Simonides of Ceos upon Horace, puer: si ricordi che sono i giovani i destinatari ufficiali del ciclo delle odi romane,
Qui, in particolare, Orazio pensa ai giovani appartenenti all'ordine senatorio ed

die
Diss. Princeton 1932; G.H. Porser, « Latomus» 11, 1952, 433 sgg.; La Penna 1963,
equestre, i quali in età augustea erano obbligati, dai quattordici ai diciassette anni,

[licia] ipo
48 sg.; H. Hommer, « Rhein. Mus.» 111, 1968, 219 sgg.; P.J. Connor, « Hermes »
100, 1972, 241 sgg.; R. Basto, « Class. Journ. » 78, 1982, 127 sgg.; V.B. JAMESON, a prestare servizio militare, iscrivendosi ai sodalicia iuvenum e compiendo nel Campo
« Trans. Amer. Philol. Ass, » 114, 1984, 219 sgg. Marzio esercitazioni (cfr. 1, 8, 5 e nota).
730 + «©. Orazio. Odi II 2, 3-23 731

v. 3 Parthos: i nemici di Roma per antonomasia nella propaganda augustea: cfr. nota Liv. 22, 48, 4 (Numidae) adoriuntur Romanam aciem, tergaque ferientes ac poplites cae-
a 1, 2, 22. dentes stragem. . . fecerunt.

v. 4 eques: i giovani di condizione senatoria o equestre prestavano nell’esercito ser- vv. 17-20 Virtus — aurae: giocando sulle possibilità offerte dal largo spettro seman-
vizio di ufficiale, altrimenti detto militia equestris, perché il cavallo ne era attributo tico del termine, che corrisponde tanto ad dpeti) (valore militare) quanto ad dvdpeta
costante. Hasta dipende da metuendus (cfr. 1, 12, 23 sg. metuende...sagitta), non, (virtù morale), Orazio passa ad illustrare il concetto di virtus nella sua accezione più
ampia, e con un riferimento al modello del saggio stoico. Nonostante altre interpre-
come pensano altri, da vexet né &rrò xowvod da entrambi.
tazioni che vedono in questa strofe un invito epicureo a tenersi lontani dagli intrighi
v. 5 sub divo: espressione equivalente a sub Iove (cfr. nota a 1, 1, 25). della politica, il-concetto qui espresso è una variazione del paradosso stoico che vuole
che il saggio sia sempre un re; poiché la virtù è premio a se stessa e tiene ‘in poco
vv. 6-9 illum— suspiret: reminiscenza della situazione omerica della teryooxorta, che conto gli onori tributati dal popolo (cfr. nota a 2, 2, 9), concetto che tornerà nel-
vede le donne di Troia guardare dall’alto il campo di battaglia: si pensi in partico- l’ode 4, 9, nella quale il saggio Lollio sarà definito consul non unius anni. Il motivo
lare a Il. 3, 154 seg. (Elena) e a II. 22, 462 sg. (Andromaca). Nell’epica latina, la scena era già topico: cfr. Cic. Tusc. 5, 54 (a proposito di Lelio quando fu bocciato alle
torna, a proposito delle donne di Laurentum, in Vero. Aen. 11, 475 sg. elezioni): cum sapiens et bonus vir, qualis ille fuit, suffragiis praeteritur, populus a bono
consule potius quam ille a vano populo repulsam fert. È certo comunque che « chi giu-
v. 6 hosticis: forma aggettivale, di gusto arcaizzante, per hostilibus (cfr. nota a
dica così freddamente dei comizi ha accolto in sé lo spirito della riforma augustea,
2,2, 1)
che toglieva alle magistrature curuli gran parte della loro importanza » (Pasquali).
v. 9 rudis agminum: cioè ‘poco pratico di guerre ’: cfr. epist. 2, 2, 47 rudem belli. v. 18 intaminatis: participio rarissimo. (cfr. CIL 4, 5817) da un verbo *taminare, che
presuppone un sostantivo *tamen (o *tagmen) della stessa radice di tangere (quindi
v. 10 sponsus: lo sposo promesso (cfr. 1, 29, 6 e nota). l « incontaminati »). Per honoribus cfr. nota a 1, 1, 8.
vv. 10-11 asperum-—leonem: si avverte anche in questa espressione un riecheggia-
v. 19 securis: metonimia comune (cfr. Lucr, 3, 995) per indicare le magistrature:.i
mento di dizione epica: in leonem affiora il ricordo delle numerose similitudini ome-
consoli e i pretori erano preceduti dai littori con il fascio delle verghe con la scure
riche fra guerrieri e leoni, mentre asperum tactu (nozione simile in 1, 37, 26: cfr. nota)
(cfr. Liv. 28, 27, 15; Gent. 12, 3; Paut. FesT. 103, 1 sg. L.).
riproduce l’epiteto omerico &artoc, che da ‘intoccabile’ assume il significato di ‘in-
vincibile ’. v. 20 popularis aurae: il concetto è lo stesso che in mobiles Quirites di 1, 1, 8 (cfr.
nota), L’espressione aura popularis è comune sia in poesia sia in prosa: cfr. VERG.
v. 13 dulce- mori: citazione da Tirteo (fr. 10 W. tedvkuevar yho xaddv Évi rrpoud- Aen. 6, 816 nimium gaudens popularibus auris; Cic. Cluent. 47; Liv. 22, 26.
yoror recdvra / divdp’ dyatòv eo fn marplà. uapvauevov). Rispetto al corrispondente

ci
i greco, il verso ha una brevità che ne accresce il carattere sentenzioso; inoltre dulce vv. 21-24 virtus — penna: anche questa strofe, come la precedente, è di ispirazione

EI Liaaleipsgli
introduce una connotazione nuova, più moderna rispetto all’ethos arcaico, rinviando stoica, e rinvia alla dottrina (molto probabilmente posidoniana) dell'immortalità riser-
alla sfera dei sentimenti privati, della gratificazione personale (cfr. Hommel). Qui vata alle anime dei grandi, dei sapienti, dei benefattori della patria: è la concezione
ancora la virtus militare sembra fonte di eddupta (cfr. introduzione). che sta alla base del Somnium Scipionis di Cicerone (cfr., in particolare, rep. 6, 13;
16). Per l’immagine della virtus che trasporta in cielo l’anima virtuosa cfr. rep. 6, 23

schio Mps
v. 14 mors- virum: altro verso che rimanda alla litica greca arcaica: cfr. Simon. suis te oportet inlecebris ipsa virtus trahat ad verum decus.
fr. 524 P. è 3° ad Idvarog xiys xal Tòv pufsuayov. Cfr. anche CALLIN. fr. 1, 12 sg. W.
v. 23 coetus...vulgaris: è lo stesso che il vulgus profanum di 3, 1, 1. Tale accenno
od yhp xs Idvaréy ye puyetv ciuaputvoy tor / &vdpa. In generale, lo stile ricorda quello

cdi
ci riporta in un contesto sacrale e iniziatico analogo a quello dell’inizio dell’ode pre-
delle adhortationes ai soldati prima di una battaglia (cfr. XEN. Cyr. 3, 3, 45; 4, 1, 5;

sell Lia;
cedente, e segna il passaggio al carattere misterico delle ultime due strofe (così la pri-
Sar. Catil. 58, 17). i
ma coppia di odi romane è legata non solo dalla corrispondenza fra la chiusa della

[lie
v. 16 poplitibus— tergo: i fuggiaschi sono indicati metonimicamente attraverso le prima e l’inizio della seconda, ma anche da quella fra l’inizio della prima e la fine di
spalle, che essi voltano al nemico, e i garretti su cui contano per una fuga rapida: cfr. questa).

Gli| ino
732 Orazio Odi III 2, 23 — 3 733

vv. 23-24 udam...humum: la terra è umida perché circondata da vapori (cfr. Cic. 3
nat. deor. 2, 17), in contrapposizione alle arces igneae riservate agli immortali (cfr.
PasguaLi, 681 sgg.; C. KocH, « Gymnasium » 59, 1952, 204 sg.; FRAENKEL, 267
3, 3, 10).
sgg.; H.J. METTE, « Hermes» 88, 1960, 458 sgg.; Commager, 209 sgg.; LA PENNA
vv. 25-26 est = merces: ancora una citazione dalla lirica greca arcaica, in particolare 1963, 61 sgg.; 89 sgg.; 101 sgo.
da Simon. fr. 582 P. gori xai ovyà dxivSuvov YÉpag, un verso caro ad Augusto (cfr.
PLuT. reg. et imp. apophth. 207c). Questo riferimento al premio riservato al silenzio Il fatto che nel v. 11 il princeps sia chiamato con il titolo di Augustus offre un
è stato variamente interpretato: come rinvio a una specifica accezione di virtus, in sicuro indizio cronologico per quest'ode, la quale sarà di poco successiva alla seduta
quanto fedeltà (Kiessling-Heinze), come allusione allo scrupolo del procurator nel con- del Senato del 16 gennaio 27 a.C. (cfr. introduzione a 3, 1-6), anche se non ci sono
servare il segreto d’ufficio (Mommsen), o, in particolare, alla colpa e alla punizione argomenti per affermare che si tratti di un componimento celebrativo di tale avveni-
di Cornelio Gallo, ammesso che questi fosse caduto in disgrazia per avere rivelato mento (Heinze).
segreti d'ufficio (Domaszewski, Jameson). Ma il senso delle ultime due strofe sembra Influenzata dallo stile pindarico, la struttura è molto complessa e non facile da
potersi spiegare così: sul punto di rivelare in un’apocalissi il premio ultraterreno dei delineare: la parte centrale e più estesa è il discorso di Giunone (vv. 17-68), prece-
virtuosi, Orazio viene preso dallo scrupolo di svelare tale segreto, poiché non ignora duto da due coppie strofiche introduttive (vv. 1-8 l’uomo giusto; vv. 9-16 l’apoteosi
che gli dei, se premiano chi sa tacere sui riti misterici, puniscono il sacrilego. Anche di Augusto) e seguito da una strofe conclusiva di recusatio (vv. 69-72). Il discorso
in Pnp. Nem. 5, 18 l’elogio del silenzio interrompe discorsi escatologici. di Giunone, a sua volta, sembra articolarsi in tre parti: vv. 17-36 (l'assunzione in
cielo di Romolo), vv. 37-48 (ecumenicità del dominio di Roma), vv. 49-68 (le con-
vv. 26-27 Cereris — arcanae: allusione ai misteri eleusini di Demetra, che erano stati dizioni poste all'impero di Roma).
accolti a Roma (cfr. Cic. Verr. 2, 5, 187), e ai quali si era iniziato anche Augusto Lo svolgimento dell’ode avviene attraverso passaggi arditi e non sempre del tutto
(Suer. Aug. 93). Arcanae è riferito per enallage a Cereris anziché a sacrum. chiari, e non soltanto sotto la suggestione pindarica, ma a causa dell’affollarsi, intrec-
ciarsi e sovrapporsi di motivi ideologici diversi e, corrispondentemente, di diversi
vv. 27-28 sub trabibus: la coincidenza con Catr. hymn. 6, 116 sg. (Aduarep, un
modelli culturali. Da un lato, cogliamo l’adesione al modello rappresentato da Ca-
afvog tulv giioc, Be tor drreydhg cin und’ dubrooc) fa pensare che Orazio riecheggi
tone l’Uticense, che rinvia alla figura del sapiens stoico, ma soprattutto rientra in
una formula di una preghiera eleusina.
quella difesa della libertas su cui fa leva il tentativo augusteo di conciliare il princi.
vv. 28-29 fragilem— phaselon: leggera imbarcazione veloce e oblunga, a forma di pato con la tradizione repubblicana; dall’altro, l'accostamento di Augusto a Romolo
fagiolo (cfr. Carutt. 4). La paura della contaminazione contratta navigando con un fra gli eroi divinizzati dopo la morte adombra il motivo della imitatio Romuli, che
empio è comune e rimanda a concezioni arcaiche: cfr., per es., ArscH. Sept. 602; Ottaviano da sempre perseguiva, senza troppo farlo vedere (cfr. La Penna), La serie
Eur. El. 1354; fr. 852 N°? degli eroi divinizzati riprende il tema, accennato ma bruscamente interrotto nell’ode
precedente, della concezione ultraterrena di Posidonio (cfr. Pasquali), ma in parti-
v. 29 Diespiter: cfr. nota a 1, 34, 5. colare, per l’apoteosi di Romolo, Orazio dipende da Ennio (ann. 54 sg.; 106 sg. Sk.),
vv. 31-32 raro —claudo: è il concetto, comunissimo nella mentalità arcaica, della anche se probabilmente, diversamente da quanto pensava Pasquali, l’identificazione
punizione divina che, sia pure tardi, arriva sempre, e, pur camminando lentamente, di Romolo con Quirino non risale a Ennio (cfr. KocH, Religio, 33 sgg.). Ma il mo.
perché zoppa, raggiunge anche chi le cammina avanti (antecedentem ha valore conces- tivo centrale dell’ode è il divieto di ricostruire Troia; il rilievo dato a tale tema è
sivo). Secondo quest’interpretazione raro è avverbio, non attributo unito a pede stato a lungo spiegato, secondo un’ingegnosa ipotesi del filologo francese del 500
claudo, come vorrebbe qualcuno. Pede claudo ha secondo alcuni funzione predica- Tanaquil Faber, ripresa da Mommsen e accettata da Pasquali, con l’intenzione, da

fia Lirie
tiva, come in Tis. 1, 9, 4 sera. ..tacitis poena venit pedibus; secondo altri è ablativo parte di Orazio, di polemizzare con il progetto, attribuito a Cesare (cfr. Suer. Iul.
di qualità che esprime la stessa nozione di epiteti come bdorepérowog (« che punisce 79, 4; Nicor. Damascen. Vita Caes. 20), di trasferire la capitale dell'impero in
tardi »): cfr. AescH. Ag. 58; Choeph. 383. Nell’uno e nell’altro caso il senso non cam- Oriente. Ma non è nemmeno sicuro che questa fosse qualcosa di più che una diceria
bia, ed è lo stesso che troviamo in Hom. Il. 4, 160; SoLon. 4, 14 sgg..W.; 13, 29 messa in giro dai nemici di Cesare, e, in ogni caso, il tema non doveva più essere
sgg. W. attuale quando Orazio scrive. Sarebbe però un errore anche affermare l’assenza di

Rigate
734 Orazio Odi II 3, 1-12 735

implicazioni politiche e propagandistiche nel discorso di Giunone (Fraenkel); o scor- vv. 7-8 si ruinae: questo tipo di ipotesi rientra nel tipo di adynaton spesso usato
gere in Troia un simbolo del recente passato di Roma, e nel divieto che quella risorga nei giuramenti: cfr. Tarogn. 869 sgg. &v pot Ererta ricor peyag odpavòc edpbe Brrepdev
la volontà di rompere con il passato (Commager). Il concetto qui espresso si può yhixeog.. el ui Eyò Toîow pèv Erapréco of pe puedo; Vero. Aen. 12, 203 sg. nec
sintetizzare nel motivo di ‘ Roma centro del potere ’, in contrapposizione al mondo me vis ulla volentem | avertet, non si tellurem effundat in undas | diluvio miscens caelumque
orientale. Nella stessa ode in cui si afferma l’ecumenicità del dominio romano si sot- in Tartara solvat. Però non si può non pensare, nello stesso tempo, all'immagine
tolinea implicitamente il ruolo di supremazia di Roma sul resto del mondo, il carat- tradizionale di Catone prima del suicidio, fermo e determinato mentre il mondo
tere ottimale e sacro della sede di Roma, secondo una linea portante della cultura crolla intorno a lui (cfr. Sen. epist. 95, 71), immagine forse già codificata nella tra-
augustea, che appare anche nel discorso di Camillo contro il trasferimento della città dizione tardo-repubblicana e dell'inizio del principato.
a Veio in Livio (5, 51 sg.), nell’Eneide (cfr. 12, 827 sg. sit Romana potens Itala virtute
propago: | occidit, occideritque sinas cum nomine Troia), e, fatto molto significativo, in un vv. 9-12 hac nectar: Orazio riprende il tema escatologico troncato alla fine del-
autore che ben rappresenta il ‘senso comune’ quale Vitruvio (6, 1, 10 sg.). l'ode precedente, presentando una rassegna degli eroi divinizzati grazie alla loro virtù
(hac arte, dove ars esprime il concetto della virtù, che è tutt'uno con la saggezza, come
Metro: strofe alcaica. téxw del vivere, proprio dello stoicismo e di altre filosofie ellenistiche): Polluce, uno
dei Dioscuri (cfr. nota a 1, 3, 2), i quali erano secondo una tradizione un modello
v. 1 iustum...virum: il richiamo alla giustizia segna il riagganciarsi di quest’ode di virtù, di giustizia, di pietas (cfr. Diopor. 6, 6), Eracle, non solo prototipo del-
alla precedente, il cui tema fondamentale è la virtus. La iustitia è infatti la virtus per l’uomo capace di sopportare ogni fatica (cfr. Eur. Her. 1196 sg.), ma anche rappre
eccellenza: cfr. Cic. off. 1, 20 iustitia. . .in qua virtutis est splendor maximus, ex qua viri sentante della lotta contro i tiranni (cfr. Dio. CHRys. 1, 63, 84; Art. AriIsTID. 5, 32).
boni nominantur. La dottrina dell’immortalità dei grandi uomini è fondamentalmente posidoniana (cfr.
nota a 3, 2, 21 sgg.), e da Posidonio deriva a Cicerone, che più di una volta enumera
v. 2 non- iubentium: probabile riferimento a Socrate, che rifiutò di compiere azioni la stessa serie di personaggi presente in Orazio (nat. deor. 2, 62; 3, 39; leg. 2, 19). Ma
ingiuste obbedendo ai comandi sia del regime popolare sia dei trenta tiranni (cfr. questa serie di personaggi doveva già essere diffusa all’interno di concezioni più an
PLat. apol. 32h). tiche (per esempio, nell’evemerismo e nel pitagorismo), se gli storici di Alessandro
raccontano che a conforto della proposta di divinizzare Alessandro furono portati
vv. 34 non-solida: l’immagine è quella tradizionale, resa celebre dallo stoicismo come esempi Eracle, Dioniso, i Dioscuri (ArRIAN. Anab. 4, 8, 3; Curt. Rur. 8, 5, 8).
e divulgata dalle scuole di retorica, del saggio che rimane impassibile (solida fa pen- In ogni caso, Orazio fonde la tradizione filosofica con il motivo ideologico della difesa
sare all’integrità che rimane d’un pezzo, che non s’incrina) di fronte alle minacce del della libertas contro la tirannide (è questo, come abbiamo visto, il senso della pre
tiranno: nella tradizione latina dalla fine del I secolo a.C. in poi il prototipo è Catone
senza di Eracle) (cfr. La Penna).
Uticense (cfr. nota a 1, 12, 35 sg.).
v. 10 arces...igneas: la sfera dell’etere, simile al fuoco; secondo altri, la regione
vv. 4-5 Auste r
— Hadriae: l’Austro o Scirocco o Noto spadroneggia sull’Adriatico:
delle stelle, che in 1, 12, 47 sono chiamate ignes.
cfr. nota a 1, 3, 14 sg. Ancora una volta torna alla memoria di Orazio il mare della
sua infanzia. v. 11 recumbens: si intende, sul letto tricliniare alla mensa degli dei. Allusione al-
l’apoteosi, idea che si era affermata con il nuovo assetto costituzionale del 27 a.C.,
v. 6 nec=Iovis: secondo alcuni, Giove, come spesso in Orazio (cfr. 1, 11, 4; 1, 34,
prendendo il posto di una precedente tendenza a identificare Ottaviano con una divi-
5 sgg.), sta ad indicare le forze insondabili che presiedono ai fenomeni naturali, non nità (cfr. 1, 2).
propriamente il padre degli dei, perché, se così fosse, sarebbe manifestazione di em-
pietà sfidare il suo potere, proprio in un’ode che appartiene ad un ciclo in cui ha un v. 12 purpureo. ..ore: il colore dell’eterna giovinezza che toccherà ad Augusto: cfr.
ruolo importante la pietas per gli dei. Secondo altri, il riferimento è proprio alla supe- Simonin. fr. 585, 1 P. rroppupétov drrò otbuatoc; Vero. Aen. 2, 593 roseo. ..ore. Secondo
riorità del saggio sulla stessa divinità, che è un concetto di certo stoicismo: Sestio, un’altra ipotesi, poco verosimile, vi sarebbe un riferimento al sangue degli dei che si
secondo Sen. epist. 73, 12, affermava che Giove non è più potente del sapiens. Per incarna nei trionfatori, secondo la concezione etrusca (WernREICH, Menekrates Zeus,
magna manus cfr. Hom, Il. 15, 694 qèv Sì Zed dioev Bruode yeipì udda peydàn. Stuttgart 1933, 17).

19 se

duci iii
ii
i

i
736 Orazio Odi II 3, 13-32 137

v. 13 Bacche pater: stessa espressione in 1, 18, 6. La tradizione mitologica a noi per Giunone. Ambedue sono nominati con perifrasi dispregiative. In termini simili
nota‘non dice nulla a proposito di una divinizzazione di Dioniso, il quale viene pre- la storia di Paride ed Elena è narrata in 1, 15. Molti interpreti hanno visto in questi
sentato piuttosto come da sempre dio. Si è pensato che in realtà Orazio non alluda personaggi due controfigure di Antonio e Cleopatra: probabilmente è eccessivo par-
all’apoteosi, ma voglia semplicemente mostrare la straordinaria capacità conferita a lare di allegorie intenzionali, ma ancora nel 27 a.C. le parole mulier peregrina pote
Bacco dalla sua divinità. Ma vexere non può sottintendere che in caelum. Orazio, qui vano evocare il fantasma dell’odiata regina d’Egitto. In ogni caso, il significato poli-
come alla fine di epist. 1, 16 (in cui riporta il dialogo fra Dioniso e Penteo, re di Tebe, tico dell’ode va ben oltre questa presunta allusione.
come allegoria del contrasto fra il saggio e il tiranno), accoglie una interpretazione vertit: probabilmente equivale a evertit (« distrusse riducendola in polvere »), secondo
stoica, allegorizzante di Dioniso (cfr. anche EricrEeT. 1, 1, 22; 29) in chiave antitiran- un uso poetico: cfr. 3, 25, 16; Vere. Aen. 1, 20; 11, 264.
nica. Non è detto che tale versione prevedesse una apoteosi; ma questa è un’ulte-
riore conferma del prevalere, in questo passo, dello spirito antitirannico, o meglio vv. 21-24 destituit — fraudulento: Giunone fa risalire la sua inimicizia per Troia
dell’intenzione di presentare una conciliazione fra il principato e la difesa della libertas ancora più indietro rispetto al giudizio di Paride, precisamente all’inganno di Lao-
(non a caso, credo, Augusto è collocato nel centro, fra Eracle e Dioniso). medonte (figlio di Ilo e nipote del fondatore di Ilio, Dardano), re di Troia, ai danni
di Nettuno e di Apollo, ai quali negò la ricompensa pattuita in cambio del servizio
vv. 14-15 tigres — trahentes: l’immagine tradizionale di Dioniso che soggioga le tigri da loro prestato (il primo fortificando la città, il secondo pascolando le greggi sul-
(o le pantere) è simbolo di civilizzazione: lo stesso quadro in VERG. Aen. 6, 804 sg. l’Ida) quando Giove li aveva condannati a servire per un anno presso un re mortale:
vv. 15-16 Quirinu s
= fugit: allusione all’apoteosi di Romolo, che evita l’oltretomba cfr. Hom. Il. 7, 452 sgg.; 21, 442 sgg. Cfr. anche Verc. georg. 1, 502 Laomedonteae
fuggendo sui cavalli del padre Marte,e che è qui identificato con Pantica divinità luimus periuria Troiae, dove lo spergiuro di Laomedonte è presentato come la colpa
tutelare del Quirinale. Tale identificazione ci è nota a partire da Cicerone (rep. 2, 20; atavica che i Romani scontano con le guerre civili (in un passo che ha operato note
leg. 1, 3; off. 3, 41), ma è improbabile che risalisse a Ennio (cfr. introduzione). Sicu- vole suggestione su Orazio: cfr. introduzione a 1, 2).
ramente a Ennio risale però il motivo dell’apoteosi di Romolo, che doveva essere v. 25 Lacaenae...adulterae: altra perifrasi dispregiativa. Adultera è termine conven:
decretata durante un concilio degli dei nel libro I degli Annales: cfr. in particolare zionale per indicare Elena (cfr. Ov. her. 13, 131 turpis adultera; am. 2, 18, 37 et Paris
fr. 54 sg. Sk. unus erit quem tu tolles in caerula caeli / templa (parole di Giove a Marte), ...et adultera). Per Lacaenae cfr. 4, 9, 16; Vero. Aen. 6, 511. Secondo alcuni, si
La reminiscenza enniana svolge più d’una funzione: da un lato riporta il lettore alla tratta di un genitivo retto da hospes, secondo altri di un dativo dipendente da splen-
grande poesia nazionale, alla cui tradizione le odi romane vogliono ricollegarsi, dal. det (cfr. 1, 5, 12 quibus intemptata nites; epist. 1, 5, 7 splendet...tibì).
l’altro, attraverso la riproduzione del contesto del concilium deorum, permette il pas-
saggio al discorso di Giunone. Ma, soprattutto, l’accostamento di Augusto e di Ro- splendet: di Paride si dice nell’Iliade che era splendente di bellezza: 3, 392 x&Aet
molo fra gli eroi divinizzati lascia intendere, anche se non in forma troppo esplicita, TE ottAfav ol eluxot.
che Augusto è il nuovo Romolo. v. 26 famosus hospes: cfr. nota a 1, 15, 2.
vv. 17-18 gratum-=divis: Orazio colloca in coincidenza con la morte e l'apoteosi v. 27 periura perché erede della colpa di Laomedonte, ma anche perché i Troiani
di Romolo la riconciliazione di Giunone con Roma, discendente di Troia, che invece ruppero il patto di tregua (cfr. Hom, Il. 4, 104 sgg.). Cfr. Vera. Aen. 4, 542 Laome-
Virgilio pone al tempo di Enea (Aen. 12, 808 sgg.). Il passaggio fra la strofe prece- donteae. . .periuria gentis; 5, 811 periuriae moenia Troiae.
dente e il discorso della dea è arditamente segnato dall’ablativo assoluto elocuta Iunone.
Divis dipende &rò xoivo da elocuta e da gratum. vv. 29-30 nostris — resedit: la guerra fu tirata in lungo dalle discordie fra gli dei
stessi. Ma nostris seditionibus evoca per un attimo l’incubo delle guerre civili, che
v. 18 Ilion Iion: la duplicazione enfatica sottolinea il rinnovarsi dello sdegno per
ormai si sono placate (resedit presuppone la metafora della tempesta).
le colpe della città odiata.
vv. 31-32 invisum— sacerdos: secondo alcuni Romolo, cui ci si riferisce, è detto
v. 19 fatalis: cfr. nota a 1, 37, 21.
nepos in quanto nipote di Giunone (essendo figlio di Marte), secondo altri in quanto
y. 20 mulier peregrina: come il nome di Paride, il giudice corrotto nella gara di bel- discendente di Troia attraverso Enea. Quest'ultima spiegazione è preferibile, perché
‘ezza fra le tre dee sul monte Ida (cfr. Isocr. Hel. 216b), anche quello di Elena è tabù sottolinea il concetto della trasmissione delle colpe e degli odi ai discendenti, in una
Odi III 3, 33-58 739
738 (Orazio ...°

vv. 45-48 horrenda — Nilus: il motivo dell’ecumenicità del dominio di Roma, il cui
sorta di grande maledizione familiare. La sacerdotessaè la vestale Ilia, madre di Ro- potere si irradierà e sarà temuto anche lontano, ai confini estremi del mondo. Dopo
molo e, secondo la versione seguita da Orazio, figlia di Enea (cfr. 1, 2, 17 sgg. e nota).
il già ricordato Oriente (i Parti), l'estremo Occidente (lo stretto di Gibilterra) e l’estre-
v. 33 redonabo in virtù dell’accezione di condonare ’, regge iras, ma contempora- mo Sud (l'Egitto, indicato con la perifrasi del v. 48): i limiti dell’impero si identifi-
neamente: va unito a nepotem nel suo significato di ‘restituire’ (cfr. 2, 7, 3). cano con i limiti del mondo conosciuto.

vv. 33-34 lucidas...sedes: la stessa cosa che le arces igneae del v. 10, o forse, più vv. 46-47 qua — Afro: lo stretto di Gibilterra (ovvero, per gli antichi, le colonne d’Er-
specificamente, la Via Lattea, sede degli eroi divinizzati in Cic. rep. 6, 16 e in MANIL. cole) è indicato come il mare che separa l'Europa dagli Africani, con un’altra remi-
1, 758 sga. niscenza enniana in quest'ode che deve non poco al poeta epico nazionale: cfr. ann.
302 Sk. Eurobam Libyamque rapax ubi dividit unda. Per il gusto di indicare il mondo
v. 35 ascribi: termine tecnico per indicare l’iscrizione nel registro dei cittadini. Ma attraverso i punti cardinali cfr. 2, 20, 14 sgg.
quest’uso metaforico che ne fa Orazio non è nuovo: cfr. Cic. nat. deor. 3, 39 Romu-
lum. - ‘aliosque complures...quasi novos et adscripticios cives in caelum receptos putant. vv. 49-52 aurum — dextra: il senso di questa strofe, costruita con una sintassi audace
e complessa, è secondo alcuni una previsione di come sarà Roma, secondo altri, più
quietis: dopo il riferimento alle discordie fra dei (v. 29), è tutt'altro che un epiteto verosimilmente, una condizione posta da Giunone alla grandezza dell’impero romano.
indifferente, come pensano alcuni, né indicherà una qualità permanente (come in Ciò concorda con la polemica nei confronti dell’avidità e del lusso che anche altrove
Lucr. 3, 18 divom numen sedesque quietae), ma significherà « pacificate ».
Orazio conduce (2, 15; 2, 18; e, soprattutto, 3, 24); a Giunone ‘viene attribuito un
v. 36 ordinibus: la città celeste è divisa in ordines, riproduce cioè la gerarchia della pensiero che è frequente nella storiografia moralistica, cioè che la brama di ricchezza
città terrena, secondo un modello caro agli autori augustei: cfr. Mani. 5, 734 sgg. sia causa di decadenza (cfr., per es., SaLL. Catil. 9 sg.), e attraverso il discorso della
dea viene proposto un punto centrale dell’ideologia augustea, il ritorno alla frugalità
vv. 37-39 dum — beati: la concessione di Giunone assume la forma di un ordine, la
della. Roma arcaica.
cui solennità sacrale è accentuata dall'uso dell’imperativo futuro. I vv. 37 sg. sono
dominati dalla estensione e dalla violenza del mare che separa Roma e Troia, mentre v. 52 omne — dextra: il sacrilegio è l'eccesso cui può spingersi l’avidità di ricchezza:
exsules, indicando nei Romani i discendenti dei Troiani, mitiga la concessione con la cfr. SaLr. Catil. 11, 6 delubra spoliare, sacra profanaque omnia polluere. ‘ Rubare la
condanna a un esilio eterno. corona di Giove Capitolino’ era una frase proverbiale (cfr. PLAUT. Trin. 83 sg; Men,
inultae: è ozioso chiedersi come mai armenti e fiere possano sal. 941). In Orazio, cfr. epist. 1, 16, 54.
vv. 40-42 Priami
tare (insultet in senso proprio, come in Prop. 2, 8, 20 insultetque rogis calcet et ossa vv. 53-56 quicumque — rores: ancora una definizione del mondo conosciuto, questa
mea; per l’immagine cfr. Hom. Il. 4, 177 riufo tripode) sulla tomba del re di Troia, volta attraverso l'indicazione degli estremi climatici, per sottolineare il carattere ecu-
se questi morì contemporaneamente alla distruzione della città (infatti in Vero. Aen. menico del dominio di Roma. Ma qui l’imperialismo (hunc tanget armis) viene in
2, 557 sgg. il suo corpo resta sulla spiaggia, sine nomine corpus). La profanazione del certo senso giustificato come espressione di una sete di conoscere, di esplorare nuove
sepolcro è una metafora per indicare lo stato di abbandono totale di una città senza terre. Si tratta di una tradizione ellenistica, legata particolarmente ad Alessandro
discendenza, ormai uscita dalla storia. i Magno, che esercitava un suo fascino in età augustea, ma che comunque rinvia già
vv. 42-43 stet fulgens: il Campidoglio è il cuore di Roma (cfr. nota a 1, 37, 6), alla cultura ionica,.al tipo culturale. rappresentato da Ulisse.
x

centro del centro del potere, inamovibile (su stet cfr. nota a 1, 9, 1) e splendente per v. 55 debacchentur: spesso l’idea di ‘infuriare’ è riferita alle forze della natura: cfr.
l'oro e l’avorio di cui era ornato (cfr. Vere. Aen. 8, 347 sg. Capitolia.. aurea; SEN. 3, 29, 18 Procyon furit; cfr. anche nota a 1, 3, 13.
contr. 1, 6, 4; PLin. nat, hist. 12, 3).
v. 57 Quiritibus: i Romani, in quanto discendenti di Romolo-Quirino; altrove a,
vv. 43-44 triumphatis — Medis: Orazio non perde occasione per inserire l’abusato 2, 46) populo Quirini.
motivo propagandistico della necessità di sconfiggere i Parti (= Medi: cfr. nota a 1,
v. 58 nimium pii: l’espressione racchiude l’atteggiamento di condanna nei confronti
2; 22), che torna a più riprese nelle odi (nel ciclo delle odi romane, cfr. 3, 2, 3).
di ogni eccesso. Anche la pietas, se portata all’eccesso, può risultare fatale: cfr. nota
Roma non è qui il popolo romano né la res publica né il Senato, ma l’idea stessa di
59, 1952, 334 sg.). a 1, 2, 17.
una Roma incerto senso divinizzata (KWocHE, « Gymnasium »
740 Orazio Odi III 3, 60 — 4 741

v. 60 reparare: semplicemente ‘ ricostruire ’, oppure, per chi ritiene che Orazio pole 4
mizzi con il progetto di trasferire la capitale in Oriente (cfr. introduzione), ‘ far cam-
bio ’, con significato tecnico, come in 1, 37, 24 (cfr. nota). Pasguati; 692 sgg.; T. FRANK, « Amer. Journ. Philol. » 42, 1921, 170 sgg.; L.A.
Mackay, « Class. Rev. » 46, 1932, 244; F. KunenER, « Antike » 13, 1937, 213 sgg.
v. 61 Troiae: si noti la ripetizione enfatica, all’inizio della strofe, della parola con (= Rom. Geisteswelt, Miinchen 19563, 358 sgg.); W. Tuener, « Schrift. Kénigsberg.
cui si chiude la strofe precedente. Gel. Ges. » 12, 4, 1935, 253 sgg. (= Untersuchungen zur antiken Literatur, Berlin 1970,
394 sgg.); FRAENKEL, 273 sgg.; I. BorzsAk, « Acta Ant. Hung.» 8, 1960, 369 sggi;
alite lugubri: cfr. nota a 1, 15, 5.
Commacer, 194 sgg.; La PENNA 1963, 109 sgg.; CastoRINA, 275 sgg.; W. MARG, in
Monumentum Chiloniense, Festschr. Burck, Amsterdam 1975, 385 sgg.; C.L. BABCOCK,
v. 62 fortuna: non è necessario pensare ai culti ellenistici della Tòyn méiews; forse
« Class. Journ. ». 75, 1979, 1 sgg.; D. Romano, « Quad. Cult. Trad. Class.» 1,
piuttosto alla concezione romana di una sorte che accompagna le singole città così
1983, 45 spo.
come i singoli individui (cfr. nota a 1, 35, 22 sgg.).

iterabitur: cfr. nota a 1, 34, 4. La cronologia di quest’ode, che segna l’inizio della seconda trilogia interna al
ciclo delle odi romane, e la cui funzione proemiale è sottolineata dall’invocazione
v. 64 coniuge -— sorore: il verso è interamente occupato dalla definizione che Giu- alle Muse e dalla presenza del tema autobiografico nella prima parte, è incerta: il rife-
EI

none dà di se stessa sottolineando il doppio grado di parentela col padre degli dei: rimento allo stanziamento dei veterani nelle colonie al ritorno di Ottaviano dalla
il nome di Giove è collocato al centro, ai due estremi gli attributi di parentela. La vittoria sull’Oriente (v. 37 sg.; cfr. Mon. Ancyr. 3, 3) ha fatto pensare a una data di
dizione è epicizzante: cfr. Hom. Il. 16, 432 “Hpyv... xaotyvienv ddoyéy te; Vero. Aen. poco posteriore ad Azio, di cui si sentono ancora gli echi (anche senza cercare pre-
1, 46 sg. ast ego, quae divom incedo regina Iovisque [et soror et coniunx. cise allegorie, è chiaro che la Gigantomachia, che occupa i vv. 42-80, doveva evocare
allusivamente la recente lotta sostenuta da Roma contro la barbarie orientale). L’ode
v. 65 ter: ripreso anaforicamente nei due versi successivi, il numerale, per il suo risalirebbe al 29-28 a.C., e quindi a una prima fase della redazione del ciclo delle odi
carattere magico—rituale, dà un carattere di sacrale solennità alle ultime raccomanda- romane (Heinze, Frank, Mackay, Borzsik; KinenER « Gnomon» 13, 1937, 41,
zioni di Giunone. Commager); alcuni però trovano difficoltà a separare la stesura di 3, 4 dalle due odi
che la incorniciano e con le quali sembra formare un'unità inscindibile, e quindi col
v. 66 auctore Phoebo: non tanto perché il dio avrebbe costruito le mura di Troia
locano anche quest'ode nel 27 a.C. (Theiler, Fraenkel).
(assieme a Nettuno, ma soltanto in Il. 7, 452 sg., poiché altrove il solo Nettuno è
artefice dell’opera: cfr. nota ai vv. 21 sgg.), ma perché Apollo proteggeva i Troiani. All’interno dell’ode si individuano due grandi parti: la prima è dedicata alla pro-
Si osservi comunque che Apollo è divinità particolarmente associata ad Augusto tezione del poeta da parte delle Muse (vv. 9-36) e preceduta dalle due strofe proe-
(cfr. nota a 1, 2, 32) e che auctor deriva dalla stessa radice di Augustus. Cfr. anche miali con l’invocazione alle Muse, la seconda comprende i miti che esemplificano la

ini
Vero. georg. 3, 36 Troiae Cynthius auctor.
vittoria del consilium sulla vis (vv. 42-80), con particolare sviluppo dato alla Titano-
machia (vv. 42-64). Fra le due parti fungono da cerniera i vv. 37-42, che svolgono
vv. 66-67 meis...Argivis: Giunone ricorda non i Greci in generale, ma proprio gli il concetto del consilium, di quel consilium che è ispirato dalle Muse e che è neces-

panni tnt iii


abitanti di Argo, città nella quale era oggetto di un culto particolare (cfr. nota a 1, sario alla vis, perché l'una senza l’altro è rovinosa (la Titanomachia si configura come
7,8 sg.) exemplum dimostrativo di tale gnome, alla maniera pindarica). I trapassi sono dunque
audaci, e nel complesso « questo è, quanto a struttura, il più pindarico di tutt’e sei
vv. 69-72 non parvis: la recusatio finale ricorda molto da vicino quella con cui si questi carmi » (Pasquali); però lo svolgimento logico è lineare, e non è esatto par-
chiude 2, 1 (cfr. la nota ai vv. 37-40); anche in questo caso, Orazio sfrutta un pro- lare di mancanza di unità (Frank) o di giustapposizione di due odi a sé stanti (Ca-

li
cedimento pindarico (cfr. Pyth. 10, 51; 11, 38 etc.). storina),
A parte l'influsso sulla struttura, l'ode è intessuta di reminiscenze pindariche:
vv. 69-70 iocosae
— pervicax: cfr. nota a 2, 1, 37.
basti pensare all’inizio di Pyth. 8, dove la Gigantomachia serve a illustrare due sen-

ii
v. 72 tenuare: cfr. nota a 1, 6, 9 e a 2, 16, 38. tenze, una sulla forza rovinosa della violenza (Bla), l’altra sulla vittoria della ‘Hovylx

HAI
742 Orazio Odi Il 4, 1-13 743

(tranquillità) sulla tracotanza; mentre da Pyth. 1, che comincia come la nostra ode, vv. 5-6 auditis —insania: il poeta si crede vittima di una allucinazione, e chiede
ricordando la musica delle Muse (v. 1 sg. yeuota pépuryi... Mowodiv xréavov « cetra conferma al suo uditorio (il ‘ voi’ è generico, non necessariamente indica i fanciulli
d’oro...possesso delle Muse »), e contiene un’apostrofe ad Apollo simile a quella e le fanciulle di 3, 1, 4). L'’ossimoro amabilis insania rinvia all'idea platonica dell’ispi-
dei vv. 61-64 (cfr. nota), Orazio ha forse tratto ispirazione più profonda che non razione come invasamento (cfr., per es., Phaedr. 245a).
qualche reminiscenza (Fraenkel). Ma Pindaro non è l’unico modello di quest’ode:
vv. 6-8 audire — aurae: Orazio si sente trasportato, per effetto dell’èvSovareués poe-
l’idea delle Muse che ispirano i sovrani è già in Esiodo (theog. 80), e tutta una trama
tico, in un paesaggio dionisiaco, meno selvaggio di quello di 2, 19 e di 3, 25, carat
di reminiscenze esiodee è visibile in 3, 4 (Marg); per non parlare della possibilità che
terizzato piuttosto ‘come locus amoenus, al pari di quello di 1, 1, 30 sgg. (cfr. nota).
Orazio abbia avuto presente anche una redazione ellenistica del mito della Giganto-
Pii sono i boschetti, perché sacri alle Muse; non c’è nessun riferimento, come ritiene
machia (Pasquali). In ogni caso, la distanza da Pindaro non è soltanto, come vorrebbe
qualcuno, ai Campi Elisi.
Fraenkel, nella differenza fra la coralità del contesto in cui s’inseriva quello e la soli-
tudine dell’ispirazione individuale di Orazio; ma è soprattutto nel valore centrale che la x
v. 9 fabulosae è riferito, con forte traiectio, a palumbes, il che si accorda con l’am-
poesia viene ad assumere in rapporto al princeps (cfr. Babcock), nella nuova funzione piezza.di respiro che Orazio ha voluto dare a questa e alla strofe successiva (l’iniziale
sociale assegnata alla poesia, dove quest’ultima, come fonte ispiratrice di consilium, me è oggetto di texere del v. 13). Sull’aggettivo fabulosus cfr. nota a 1, 22, 7. Sulle co-
gioca un ruolo di primo piano nella lotta per l’affermazione di questo sulla vis, del- lombe si ‘ favoleggiava’ che recassero l’ambrosia a Zeus (Hom. Od. 12, 62 sg.) e che
l'ordine costituito sulle forze eversive, dell'armonia sul caos, della civiltà sulla barbarie. fossero sacre a Venere (cfr. Vero. Aen. 6, 193). Però l’interpretazione di Porfirione
Metro: strofe alcaica. accettata da alcuni esegeti moderni, che concorda l’aggettivo con Pulliae (quod nutrices
.. .fabulas narrare soleant) è suggestiva, quasi che a Orazio, nel risentire quella nar-
v, 1 descende caelo: la sacralità dell’invito a scendere dalle sedi celesti, tipica delle razione, si risvegliassero i ricordi d’infanzia, per una ‘intermittenza del cuore’.
preghiere (cfr. SAPPH. fr. 1, 11 L.-P. dm dpdvm e, per l’ablativo di allontanamento, Vulture: vulcano spento, a Ovest di Venosa, ricordato solo qui e in Lucan. 9, 185.
Vero. catal. 14, 11 tuus te Caesar Olympo...vocat), conferisce un tono solenne a
questa invocazione, che si ricollega per contrasto alla recusatio conclusiva dell’ode v. 10 Pulliae: sulla lezione Pullide c'è ormai il consenso degli editori. Si tratta del
precedente. Per le Muse abitatrici del cielo cfr. Hom. Il 2, 484 ’OXburia Sopar nome della nutrice di Orazio, che doveva pertanto essere liberta di un Pullius (que-
Eyovoa:; EnN. ann. 1 Sk. Musae quae pedibus magnum pulsatis Olympum. sto nome gentilizio è attestato in alcune iscrizioni: cfr. CIL 8, 5838; 9, 2808). La va-
riante alternativa Apuliae, che indicherebbe invece la patria del poeta, è per varie
dic age: cfr. 1, 32, 3 sg. age, dic...carmen. La formula dell’invocazione riecheggia ragioni da scartare: 1) fa difficoltà il necessario abbreviamento della a iniziale; 2) si
moduli della lirica arcaica: cfr. ALcMAN. fr. 14a P. Méio’ &ye Méica Myna molvpueréc; crea una fastidiosa tautologia con Apulo del verso precedente, a meno di ritoccare,
fr. 27, 1 sg. P. Méio” &ye KadMAuéra Poyarep Atdc/ px” Spartiv pertov. come alcuni hanno fatto, il testo (abdito, avio, etc.).
vv. 1-2 tibia — melos: sulla tibia cfr. nota a 1, 1, 32. Come la prima Pitica di Pin

in
v. 11 ludo— somno: come altre volte (cfr. nota a 1, 22, 9), Orazio dà un colorito
daro, l’ode comincia con la musica (cfr. introduzione): melos è un grecismo, usato
epico al racconto delle proprie esperienze. Qui riproduce un verso formulare ome-
anche al plurale (Lucr. 2, 412; 505). Ma qui Orazio dipende probabilmente da En-
rico, xaudto Giyuotac NI xal brvo (Il. 10, 98; cfr. anche Od. 12, 281).

oi dii inn
nio, che aveva riferito la parola all’armonia delle Muse: ann. 293 Sk. tibia Musarum
pangit melos. Longum si riferisce all’effettiva lunghezza dell’ode, che è la più estesa vv, 12-13 fronde texere: l’episodio dell’infanzia, ammesso che non sia inventato,
dei quattro libri. è in ogni caso trasfigurato a testimoniare la condizione di eletto, di beniamino degli

ev
dei di cui Orazio, in quanto poeta, ha sempre goduto. Perciò esso si rifà alla tradi-
v. 2 regina...Calliope: Calliope non è ancora la musa dell’epica per Orazio (cfr.
zione dei miracoli capitati a poeti e grandi uomini nell’infanzia: l’usignolo che cantò
nota a 1, 1, 32 sg.); il quale però è qui probabilmente influenzato da Esiodo, che
sulle labbra di Stesicoro (cfr. PLIn. nat. hist. 10, 82), le api che si posarono sulle lab-
chiama Calliope rpopepeotàm. . .Amacttyv (theog. 79).
bra di Platone (cfr. Cic. div. 1, 78), le api che costruirono favi sulle labbra di Pindaro
vv. 3-4 seu— seu: la disgiunzione fra termini opzionali è propria dello stile dell’in- dormiente (cfr. PAusAN, 9, 23, 2). Forse questo modello biografico è contaminato
vocazione (cfr. 1, 2, 33 e nota). Per gli strumenti musicali di accompagnamento al con l’episodio di Iamo abbandonato nel bosco alla nascita e nutrito con miele da
canto cfr. nota a 1, 12, 1 sg. Acuta corrisponde al greco Myeta (cfr. nota a 1, 24, 3). due serpenti, narrato da Pimp. Ol. 6, 39 seg.

Tn
RO
744 Orazio Odi III 4, 13-36 745

vv. 13-16 mirum + Forenti: la meraviglia suscitata dall’episodio miracoloso è sotto- v. 25 vestris...fontibus: cfr. nota a 1, 26, 1. Le fonti delle Muse sono quelle di
lineata dall’ampia sintassi (l'oggetto dello stupore è espresso nella strofe successiva Ippocrene, Castalia, Aganippe; ma l’immagine può adombrare una ben nota meta-
con ut...dormirem: per il costrutto cfr.. ebod. 16, 54), dalla ricchezza dell’aggettiva- fora poetica (cfr. nota a 1, 26, 6).
zione con cui sono presentati i luoghi vicini a Venosa, e dall’amplificazione conte-
v. 26 Philippis — retro: ancora un’allusione alla fuga da Filippi: cfr. 2, 7,9 sg. e
nuta in questo elenco di località, che aumenta la risonanza del fatto. nota. Non c’è contraddizione col fatto che in quell’ode sia Mercurio a salvare il
v. 14 celsae— Acherontiae: l'odierna Acerenza, in cima al Vulture, perciò definita poeta. Orazio sta qui passando in rassegna le occasioni miracolose della sua vita per
nidum (cfr. Cic. de orat. 1, 196 Ithacam...in saxulis tamquam nidulum affixam). testimoniare agli altri, e confermare a se stesso, la sua condizione di eletto: idea che
è ben radicata nella sua psicologia, tant'è vero che gli episodi qua ricordati tornano
v, 15 saltus...Bantinos: l’attuale località di Abbadia di Banzi.
più d’una volta al centro della sua meditazione poetica.
v. 16 humilis Forenti: Forenza, posta in basso, nella valle ai piedi del Vulture. v. 27 devota arbor: allusione all’episodio narrato in 2, 13 (cfr.) e 2, 17, 27 sg.
(cfr. anche 3, 8, 6 sg.).
v. 17 atris: il colore delle vipere, ma anche quello del loro veleno mortale (cfr. 1,
37, 27) e della morte stessa. v. 28 Sicula — unda: non sappiamo quale pericolo avesse corso Orazio presso il capo
Palinuro, l’attuale capo Spartivento, sulla costa tirrenica della Lucania, che pren-
v. 19 lauro...myrto: due piante simboliche, perché sacre l’una ad Apollo, l’altra
deva il nome dal nocchiero di Enea ivi annegato (cfr. Vero. Aen. 6, 381): forse il poeta
a Venere, e la cui unione in poesia è comune: cfr. per es. Vero. ecl. 7, 61 sg. gratis-
rischiò un naufragio in quei pressi, o, secondo alcuni, egli faceva parte della spedi-
sima. . .formosae myrtus Veneri, sua laurea Phoebo.
zione di Ottaviano contro Sesto Pompeo nel 38 a.C., durante la quale una flotta fu
v. 20 non--dis: litote che rimanda a uno stile elevato: cfr. Hom. Od. 18, 353 oòx distrutta da un fortunale (cfr. VeLL. 2, 80, 3). L'onda è detta Sicula perché del mar
d9eei; Pimp. Pyth. 5, 76. Per il concetto cfr. nota a 1, 17, 13 sg. Tirreno, che bagna la Sicilia, per metonimia, non perché, come pensano alcuni, Ora-
zio avrebbe fatto naufragio tornando dalla Sicilia.
vv. 21-24 vester— Baiae: il ricordo dei favori accordati dalle Muse a Orazio prende
v. 30 insanientem: cfr. nota a 3, 3, 55.
la forma di un inno. Allo stile innico rinviano la ripetizione e l’anafora di vester,
l'accumulo delle determinazioni di luogo, e lo schema di disgiunzione entro cui si Bosphorum: cfr. nota a 2, 13, 14.
collocano i luoghi prediletti, di solito adoperato per la divinità, qui, in un contesto
di particolare sublimità data dall’èvSovoruouss poetico, riferito dal poeta a se stesso.
v. 31 urentis harenas: l'elaborazione stilistica è data dal gioco di assonanze e dal-
Per vester si ricordi che Orazio è Musarum sacerdos (3, 1, 3 sg.) ed è anche Musis amicus l’uso di harena al plurale, probabile audace innovazione oraziana (cfr. Cars. anal.
fr. 3 Fun. harenas vitiose dici existimat, quod harena numquam multitudinis numero ap-
(1, 26, 2 e nota). Per Camenae cfr. nota a 1, 12, 39; 2, 16, 38.
pellanda sit).
vv. 21-22 arduos — Sabinos: riferimento alla villa della Sabina, indicata attraverso
v. 32 litoris Assyrii: il deserto lungo il golfo Persico sta ad indicare l’estremo
il nome della popolazione (cfr. nota a 2, 18, 14), che era posta in alto (cfr. epist. 1,
Oriente, mentre nei versi successivi troveremo l'indicazione convenzionale degli altri
16, 5 sg.), per cui Orazio « si solleva» (tollor) per recarvisi.
punti cardinali, secondo l’immagine oraziana del mondo (cfr. note a 2, 20, 19 sg.;
v. 23 Praeneste: l'odierna Palestrina, a Sud-Est di Roma, in montagna, località di 3, 3, 45 sog.)
villeggiatura (cfr. epist. 1, 2, 2). v. 34 laetum — Concanum: tribù dei Cantabri, che usava bere il sangue dei cavalli
Tibur supinum: Tivoli era posta su un pendio (Iuvenat. 3, 192 dice pronum). Sulla
(cfr. anche Str. 3, 360 sg., e, per i Concani e i Bisalti insieme, Ver. georg. 3, 460 sg.).
predilezione di Orazio per Tivoli cfr. 1, 7, 21; 1, 18, 2; 2, 6, 5. v. 35 visam...Gelonos: si noti l’anafora di visam, altro elemento di stile elevato.
Sui Geloni cfr. nota a 2, 9, 23.
v. 24 liquidae...Baiae: su Baia cfr. nota a 2, 18, 20. Liquidae può riferirsi alla lim-
pidezza delle sue acque o alla sua luminosità, cui si accenna anche in epist. 1, 1, 83 v. 36 Scythicum...amnem: il Tanais, l’odierno Don (cfr. 3, 10, 1; 3, 29, 28; 4,
sinus Bais praelucet amoenis. 15, 24).
746 Orazio Odi II 4, 37-60 747

vv. 37-40 vos—-antro: sull'importanza di questa strofe in rapporto alla datazione Gigantomachia: confusione forse presente in un modello ellenistico, forse, sempli-
cfr. introduzione... L’interpretazione è controversa: secondo alcuni, l’immagine di cemente,-comune nella tradizione vulgata sia letteraria sia iconografica.
Caesar che si lascia ristorare dalle Muse allude a una presunta attività poetica
v. 51 opaco: cfr. Vero. georg. 1, 281 frondosum...Olympum; sia Orazio sia Virgilio
di Ottaviano, secondo altri si riferisce al riposo che questi cercava nella poesia du-
riferiscono all’Olimpo l’epiteto omerico del Pelio: cfr. Od. 11, 316 IIàoy sivoot.
rante le pause dei suoi impegni di stato. Secondo un’altra spiegazione, vi sarebbe
uidov.
un riferimento alla chiusura del tempio di Giano (Amundsen), e secondo un’altra si
allude alla sosta di Ottaviano ad Atella, al ritorno dalla vittoria di Azio, dove avrebbe v. 53 Typhoeus: mostro a cento teste, figlio di Gea, che, secondo Hrs. theog. 820
ascoltato da parte di Virgilio e di Mecenate la lettura delle Georgiche (MaLcorm, sgg., dopo la sconfitta dei Titani combatté da solo contro gli dei. Orazio lo associa
« Class. Rev. » 5, 1955, 242 sgg.; Commager; Romano, « Par. pass. » 37, 1982, 39 sgg.). ai Titani (Giganti) probabilmente sotto la suggestione di Pimp. Pyth. 8, 12 sgg., dove
la ‘Hovyix sconfigge Tifeo e Porfirione (cfr. introduzione).
v. 40 Pierio
— antro: cfr. Pinp. Pyth. 6, 49 èv puyotar Itspldow. Si noti la colloca-
zione studiata di recreatis, grazie alla quale il riposo di Ottaviano viene incorniciato Mimas: anche in Eur. Ion. 215 e in Ar. Ru. 3, 1226 Mimante è uno dei Giganti,
dalla grotta. mentre nell’ ’Acrig pseudoesiodea (v. 186) è un Centauro,
v. 41 lene consilium: non, specificamente, la clemenza mostrata da Augusto nel v. 54 minaci— statu: si noti come i termini dell’enumerazione si vadano ampliando:
l’accordare il perdono a molti suoi nemici (Mon. Ancyr. 3), ma il consilium su cui si Tifeo è ricordato solo con il nome, Mimante con un epiteto, a Porfirione è dedicato
fonda il nuovo ordine politico (cfr. introduzione). un intero verso. Minaci statu rende efficacemente l’idea dell’imponenza statuaria, im-
mobile del Gigante. In Pinp. Pyth. 8, 17 Porfirione è detto facwedc Trydvrov.
v. 42 almae: cfr. 1, 2, 42 e nota.
v. 55 Rhoetus: cfr. nota a 2, 19, 23.
scimus ut: l’exemplum, dimostrativo della gnome del v. 65, è introdotto da questo
modulo della lirica corale: cfr. SorH. El. 837 oîda ydp; Phil. 852 clcda yap. v. 56 Enceladus: altro Gigante, poi seppellito sotto l’Etna (cfr. Vere. Aen. 3, 578
sg.), così come Tifeo secondo Pimp, Pyth. 1, 19 sg.
v. 43 Titanas: figli della Terra e di Urano (cfr. AporLon. 1, 1, 3), di forma gigan-
tesca e mostruosa (cfr. Vere. Aen. 6, 580 sgg. immania.. .corpora). La Titanomachia v. 57 sonantem — aegida: lo scudo di Pallade (cfr. nota a 1, 15, 11 sg.) risuona sotto
è narrata da Hrs. theog. 664 sgg. gli assalti impetuosi dei Giganti: cfr. Vero. Aen. 7, 686 clipei...sonant; 12, 712 cli-
v. 44 caduco: epiteto del registro solenne: cfr. AescH. Prom. 359 xataBàtng xepauvéc. peis atque dere sonoro.

vv. 45-48 qui


x
— aequo: un'intera strofe è occupata da una definizione perifrastica di vv. 58-59 avidus — Iuno: sulla partecipazione alla Gigantomachia di Vulcano e di
Giove dominatore della terra, del mare, dell’oltretomba: la perifrasi e l’anafora rien- Giunone cfr. ApoLLon, 1, 6, 2. Avidus secondo Porfirione e molti interpreti moderni
trano nello stile religioso e innico (cfr. nota a 1, 12, 14 sg... si riferisce all’avidità distruttrice del dio del fuoco, secondo altri equivale ad avidus
pugnae (cfr. Vero. Aen. 12, 430). In ogni caso, la cura degli epiteti rivela V’intenzione
v. 45 inertem: lo stesso che bruta (cfr. nota a 1, 34, 9).
di dare alla narrazione un colorito epico; matrona sembra la romanizzazione di una

tinta]
v. 50 fidens— bracchiis: espressione proveniente dal registro epico: cfr. Hom.. Il. formula omerica (Il. 8, 198; 218; 13, 826; 14, 197 etc.: rérvia “Hon).
12, 135 yslpecor rerovdéreg. I Titani erano a volte descritti come mostri dalle molte
vi 60 numquam—arcum: di Apollo (sulla cui partecipazione alla Gigantomachia,
teste e dalle molte braccia (per es., Tifeo in Pino. Pyth. 1, 16). Secondo altri, meno
rivelatasi decisiva, cfr. Pinp, Pyth. 8, 17 sg.) si ricorda l’arco che non depone mai dalle
verosimilmente, Orazio confonde i Titani con i Centimani (cfr. nota a 2, 17, 14).
spalle (ponere = deponere, come in 1, 3, 16; umeris è ablativo di allontanamento), se-
vv. 51-52 fratres— Olympo: Oto ed Efialte, figli di Aloeo, tentarono la scalata al- condo altri l’arco che non aveva intenzione di ‘ porre ’ sulle spalle, deciso a non smet-
l'Olimpo (cfr. Hom. Od. 11, 305 sgg.). L'azione degli Aloidi fu poi attribuita ai Gi- tere di combattere finché non fossero stati sconfitti i Giganti. Più probabile la prima
ganti (cfr. nota a 2, 19, 21 sg.), anche se si continua a parlare dei ‘ fratelli’ (cfr. Vero. interpretazione, perché la narrazione epicheggiante cerca di ricordare gli dei con epi-
georg. 1, 280 sg.; Aen. 6, 582 sg.). Qua Orazio risente di tale confusione, perché inse- teti formulari, che ne irrigidiscano e. fissino gli attributi fondamentali, e fra questi
risce la scalata nel quadro di una Titanomachia, che a sua volta è confusa con una ultimi c'è l'arco di Apollo (cfr. nota a 1, 21, 11 sg.).
748 Orazio Odi III 4, 61 — 5 749

vv. 61-64 qui


— Apollo: un’intera strofe dedicata ad Apollo, la divinità protettrice Aen. 6, 397; ApoLtop. 2, 5, 12); ma i due, scesi nell’oltretomba, vi rimasero in catene
di Augusto (cfr. nota a 1, 2, 32). È evidente la suggestione esercitata da Pimp. Pyth. (trecentae è numerale iperbolico). Anche se non è il caso di-vedere dappertutto alle
1, 39 Avxie xa Addo aviootwv Botte, Tapvaccoi te xpàvav KaotaMiav puéwv, me- gorie intenzionali, tuttavia i tre esempi finali, tutti e tre contrassegnati da un epiteto
diata forse dalla poesia religiosa ellenistica: cfr. il peana delfico di Aristonoo (Ari- riferentesi alla lussuria (temptator, incontinens, amator), sottolineano la forza rovinosa
ston. 1, 41 sgg. Powell è Mapvaoood +udàcoy / edSpbooar KaotaMag / vacuote odv Stuag di un amore violento. Pensare alla sciagurata passione di Antonio e Cleopatra, con
Et aBpù / veov). i suoi effetti funesti, poteva essere naturale per il lettore del tempo.

vv. 62-63 Lyciae...dumeta: in Licia, presso il santuario di Patara, Apollo era og-
getto di culto particolare: cfr. Eur. Rhoes. 224 sgg. OvuBpate xat Adme xad Auxiac / vadv
euBatebcv /"ArroMov. 5
v. 63 natalem...silvam: il bosco di palme (Car. hymn. 2, 117) o di ulivi (CATUIL. Pasguani, 701 sgg.; H. Harerer, « Philologus » 93, 1938, 132 sgg.; FRAENKEL,
34, 8) sul monte Cinto dell’isola di Delo, dove il dio era nato. 272 sg.; La PENNA 1963, 63 sgg.; B. OTIS, « Arion » 9, 1970, 145 sgg.; L.V. HincKLEyY,
v. 64 Delius...Patareus: cfr. nota a 1, 4, 5 sull’accumulo degli epiteti. Su Delo cfr. « Class. Bull, » 55, 1979, 56 sgg.; R. VERDIÈRE, « Latomus » 42, 1983, 383 sgg.
nota:a 1, 21, 10.
Anche quest’ode, come la 3, 3, presuppone gli avvenimenti del gennaio 27 a,C.,
vv. 65-68 vis — moventis: viene enunciata la sentenza rispetto alla quale la Giganto- poiché nel v. 3 Ottaviano è ricordato col titolo Augustus; ini particolare, essa si può
machia è un esempio illustrativo, Îl concetto espresso è comune nella riflessione gno- fare risalire alla fine del 27 a.C., quando Augusto era già partito per la Spagna, dove
mica antica (cfr., per es., Eur. fr. 732 N? f@un Sé Tauadhg morini Tixter BACBNV), lo raggiunse Tiridate, re spodestato dei Parti (cfr. introduzione a 1, 26), e dove rice
ma Orazio ha presente soprattutto Pinn. Pyth. 8, 15 fila SÈ xa ueydAavyov Eapadev vette poco dopo un’ambasceria del nuovo re, Fraate, che gli chiedeva Tiridate e il
Ev ypivo. proprio figlio, che quello aveva portato con sé in ostaggio (cfr. IustIN. 4, 2, 5). Ri
vv. 69-72 testis-sagitta: altri exempla a conforto della sentenza enunciata nella salgono a quell’eépoca trattative fra i Parti e i Romani, cui Orazio si riferisce quando
strofe precedente. Sulla lezione Gyges e su Gige Centimano cfr. nota a 2, 17, 14; su sconsiglia come vergognoso qualsiasi. mercanteggiamento per la restituzione dei pri.
Orione cfr. nota a 2, 13, 39. Per integrae cfr. 1, 7, 5 intactae Palladis. gionieri della campagna di Crasso (43 a.C.). L'ode è dunque contemporanea alla 3,
3, e ambedue sembrano appartenere a un unico progetto, poiché hanno in comune
vv. 73-75 iniecta — Orcum: la conclusione della Gigantomachia non ‘è una celebra-
alcuni elementi strutturali, in particolare l’ampio spazio assegnato nell’una al discorso
zione trionfalistica della vittoria di Giove, ma l’immagine patetica della terra (come
di Giunone, nell'altra al discorso di Regolo (Haffter, Fraenkel).
divinità) che piange i propri figli, che lei stessa (in quanto elemento) ricopre, nella
Nell’ode è possibile individuare tre parti fondamentali, che si susseguono con
quale è stato notato lo stesso trascolorire da un tono epicheggiante a un tono ‘ ele-
ampiezza crescente: alla strofe iniziale sull’apoteosi di Augusto seguono i vv. 5-12,
giaco’ che caratterizza l’ode 1, 37 (Commager). Il pathos non esclude comunque un
sulla vergogna dei prigionieri rimasti presso i Parti, poi si sviluppa la parte su Attilio
certo concettismo, che si ritrova in QuINT. SMIRN. 3, 395, e che perciò si è pensato
Regolo (vv. 13-56), costituita a sua volta dal discorso (vv. 13-40) e dalla descrizione
possa risalire a un modello ellenistico comune a Orazio e al poeta tardo-ellenistico,
della partenza (vv. 41-56).
vv. 75-76 nec Aetnen: altro concettismo: dire che il fuoco non ha corroso l’Etna Il significato dell’ode non è da cogliersi soltanto nel suo riagganciarsi a una situa-
equivale a dire che quest’ultimo schiaccia ancora con la sua mole i Giganti ivi sep- zione attuale; prendendo lo spunto da quest’ultima, essa si sviluppa nel senso di una
pelliti (cfr. nota al v. 56). celebrazione dei valori etici romani, al cui centro si trova il personaggio di Attilio
Regolo. Per questo exemplum tipico della virtus romana, che anche Augusto, come
vv. 77-79 incontinentis— custos: cfr. nota a 2, 14, 8. Secondo un’altra versione gli
sappiamo, amava ricordare (cfr. Suet. Aug. 89, 2), Orazio attinge a una vulgata sto-
avvoltoi erano. due (cfr. Hom. Od. 11, 578 ybre mapnuévw). Custodem addere è espres-
riografica, forse alla versione dell’annalista di età graccana Sempronio Tuditano, la
sione arcaica per custodem dare: cfr. PLaur. Aul. 556; Mil. 146.
stessa da cui dipende Cicerone nei suoi numerosi racconti dell'episodio (cfr., in par-
vv. 79-80 amatorem — catenae: Piritoo (su cui cfr. anche nota a 1, 18, 8), figlio di ticolare, off. 1, 39 e 3, 99 sgg. per i punti di contatto con quest’ode). Ma in più Ora-
Issione e re dei Lapiti, tentò di rapire Persefone, aiutato dall'amico Teseo (cfr. Vera. zio ha cercato di dare al suo Regolo una caratterizzazione stoica (La Penna), ne ha
750 Orazio Odi III 5, 1-13 751

fatto un personaggio che, incarnando una combinazione di virtus stoica e quiritaria, v. 7 pro — mores: l’esclamazione parentetica, che interrompe lo svolgimento del'di-
ben si colloca nella stessa galleria di personaggi cui appartiene Catone e bene rap- scorso, contiene una ‘variazione sul: tema del ciceroniano 0 tempora 0 mores! (curia
presenta il tipo teorizzato nella seconda ode romana. inversique mores è un’endiadi): probabile allusione alle discussioni che dovevario svol
gersi in Senato circa le trattative per liberare. i prigionieri, indegni di tale attenzione
Metro: strofe alcaica.
per avere rinnegato i valori della romanità.
vv. 1-2 caelo regnare: la figura di Giove che tuona nel cielo, dando in questo v. 8 consenuit: erano passati infatti ventisei anni dalla battaglia di Carrhae.
modo un segno percepibile della sua potenza (caelo dipende drò xotvob da regnare v.9 sub Apulus: cfr. note a 1, 2, 22 e 39; 1, 22, 13 sg.
e da tonantem, termine nel quale è stata vista una sfumatura causale = « perché tuo-
v. 10 anciliorum: i dodici scudi (per il plurale eteroclito da ancile cfr. Macr. Sat.
na »), domina l’incipit dell’ode, da un lato riportandoci nell’atmosfera della Giganto-
1, 4, 13) dati da Numa Pompilio in custodia ai Salii, uno dei quali era legato al de-
machia dell’ode precedente, dall’altro preparando l’accenno all’apoteosi di Augusto,
stino di Roma, il cui imperium sarebbe durato finché quello si fosse conservato (cfr.
attraverso la corrispondenza simmetrica fra il dio in cielo e il dio in terra. Credidimus
Liv. 1, 20, 4).
per alcuni è perfetto logico, per altri, contrapposto al futuro del verso successivo,
segnala la novità nel campo religioso, rappresentata dalla divinizzazione di Augusto, vv. 10-11 nominis— Vestae: altri simboli della romanità: il nome, che sta a rappre:
rispetto al passato. sentare la nazione romana (cfr. Liv. 29, 11, 4 nomini Romano; Sant. lug. 39, 2;-40,
2; 42, 1; 43, 4 nominis Latini), la toga, veste tipica del cittadino romano, il fuoco ine
vv. 2-3 praesens — Augustus: sulle implicazioni cronologiche cfr. introduzione. La
stinguibile custodito dalle sacerdotesse di Vesta (cfr. nota a 1, 2, 27), pegno dell’eter-
corrispondenza fra Giove e Augusto è anche in 1, 12, 50 sgg. (cfr. nota), ma qui è
nità di Roma (cfr. Cic. leg. 2, 20).
nuova l’idea della divinizzazione, che, a differenza dell’apoteosi di 3, 3, 9 sge. (cfr.
nota), sembra destinata a realizzarsi durante la vita terrena di Augusto, dopo la vit- v. 12 incolumi- Roma: l’enumerazione si conclude con un'espressione che ricalca
toria su Britanni e Parti. Probabilmente l’ode riflette un momento di incertezza ri- formule sacrali di giuramento come salva urbe atque arce. Giove indica, per meto-
guardo alla scelta della concezione della divinità del princeps, il momento in cui, su- nimia, il tempio a lui dedicato sul Campidoglio, cuore di Roma, mentre nell’accenno
bito dopo il nuovo assetto costituzionale del 27, ancora si oscillava fra varie solu- finale alla città sono compresi tutti i simboli passati in rassegna. Queste due strofe
zioni, prima che si affermasse quella ‘eroica ’. patriottiche si chiudono con il concetto-chiave di Roma, centro del potere, che i
prigionieri hanno rinnegato per la barbarie (barbara coniuge).
v. 3 Britannis: cfr. nota a 1, 21, 15 e a 1, 35, 29 sg. (due passi in cui, come qui,
i Britanni sono ricordati assieme ai Parti). vv. 13-16 hoc— aevum: il comportamento vergognoso dei prigionieri dei Parti porta
v. 4 gravibus...Persis: cfr. nota a 1, 2, 22. alla memoria l’episodio di Attilio Regolo, al quale si attribuisce il merito di avere
previsto certe ignominie, quando aveva consigliato al Senato di rifiutare lo scambio
v. 5 miles...Crassi: passaggio in stile pindarico: l’accenno ai Parti evoca il ricordo
di prigionieri proposto dai Cartaginesi (condicionibus foedisì, pensando che la gene
della sconfitta subita da Crasso a Carrhae nel 53 a.C., e il pensiero va, indignato, ai
razione successiva potesse trarne cattivo esempio, che potesse battersi con minore.
tanti soldati romani fatti prigionieri in quell'occasione (cfr. PLuT. Crass. 31), ancora
coraggio sapendo con quanta facilità si poteva essere riscattati.
trattenuti in quella regione, dove si sono adattati a vivere in un ambiente tanto di-
verso dal loro. v. 13 Reguli: cfr. nota a 1, 12, 37. Orazio segue la versione ciceroniana dell'epi
sodio, esposta per esteso in off. 1, 39; 3, 99 sgg., secondo cui Regolo si recò a Roma
vv. 5-6 coniuge — vixit: l’ablativo strumentale spiega turpis; vixit ha significato pre-
per trattare non la pace (come secondo Liv. per. 18; FLor. epit. 1, 18, 24), ma uno
gnante (« riuscì, si adattò a vivere »). Lo sdegno si appunta principalmente su barbara,
scambio di prigionieri. Malgrado ci siano anche corrispondenze formali fra Orazio
epiteto nel quale è racchiusa la concezione di un mondo del tutto diverso, lontano
e la narrazione dell’episodio nel De officiis (cfr. note ai vv. 45 sgg.), non si può
dalla storia, dalle tradizioni, dai valori della romanità.
affermare con sicurezza che il poeta dipende da Cicerone, e sappiamo troppo poco
vv. 6-8 hostium
— armis: la forte traiectio fra hostium e socerorum denota il carattere sulla versione che del fatto leggendario dava Sempronio Tuditano (in Gel, 7, 4, 1
emozionale del discorso. L’esercito dei Parti era formato in buona parte da schiavi, = fr. 5 P.) per essere sicuri che da quest’ultimo dipendesse Orazio (cfr. introdu-

bici. i
fra cui molti Romani (cfr. Iusrin. 41, 2, 5). zione),

20»
| i
752 :. Orazio Odi III 5, 15-42 753

v. 15 trahentis: il tràdito trahentis sembra accettabile, sia che lo si riferisca a Reguli vv. 27-29 neque...nec: costruzione paratattica, in. sostituzione: di una ‘compara-
(si dovrà allora intendere: ‘che deduceva dall’esempio rovina per l’avvenire ’) sia zione: come la lana imbevuta nella porpora, così la virtù non torna al suo originario
che lo si riferisca a un genitivo pubis ricavato da pubes del v.. 18 (si dovrà allora in- candore.
tendere: ‘di Regolo, che si opponeva all’esempio di una gioventù che avrebbe tra-
v. 28 medicata fuco: il fuco marino era una tintura per stoffe, ricavata da una spe-
scinato rovina sull’avvenire ’). Non indispensabile, ma facile e calzante l’emenda-
cie di lichene (cfr. PLin. nat. hist. .22, 3). Medicata è termine tecnico: cfr. Ov, am. 1,
mento trahenti, da unirsi naturalmente a exemplo; duro, invece, l'emendamento exem-
14, 1; rem. 707. La similitudine è tradizionale: cfr. Lucr. 6, 1074 sg. purpureusque
pli, che darebbe origine a un genitivo di qualità exempli trahentis riferito a condicio
colos conchyli iungitur uno / corpore cum lanae, dirimi qui non queat usquam; QuINT. inst.
nibus. i
1,1,5.
vv. 17-18 immiserabilis...pubes: per l’uso passivo di immiserabilis cfr. 4, 9, 26
vv. 31-32 si — plagis: si tratta di un adynaton. Su plagis cfr. nota a 1, 1, 28.
illacrimabiles. Pubes è voce epicheggiante: cfr. Vero. Aen. 7, 219 Dardana pubes.
v. 33 perfidis: l’abitudine dei Cartaginesi a non rispettare la parola era al centro
vv. 18-24 signa— nostro: il riferimento è, secondo una recente proposta interpreta- della propaganda antipunica a Roma: cfr. Cic. off. 1, 38; Liv. 21, 4, 9 perfidiam plus
tiva, ai trionfi cartaginesi di cui, a detta di Serv. Aen. 4, 37, avevano parlato, oltre quam Punicam, e, in Orazio, 4, 4, 49 perfidus Hannibal.
a Plinio (cfr. nat. hist. 33, 15, 52), Pompeo Trogo e Livio Andronico (forse nel com-
v. 34 Marte: cfr. nota al v. 24.
ponimento cui allude Liv. 31, 12, 10), dal quale ultimo dipenderebbe in questo passo
Orazio (Verdière). v. 35 lora lacertis: lo stesso concetto del v. 22 retorta tergo bracchia. Vi è una sorta
di hysteron-proteron in questa presentazione prima dell'immagine del prigioniero, poi
v. 18 ego: enfaticamente collocato, all’inizio del discorso di Regolo, fra le insegne della paura.
dei Romani e l’aggettivo Punicis, il pronome personale è ripetuto nel v. 21, in coin-
cidenza con la ripetizione di vidi. Questa anafora chiastica (ego... «vidi / vidi ego) sot- vv. 37-38 hic— miscuit: affermazione di fierezza stoica: la vera vita in casi estremi
tolinea l’elaborata struttura del discorso di Regolo, può venire solo dalla morte; ma di ciò era ignaro il soldato che si arrese, « mesco-
lando la pace alla guerra » (duello = forma arcaica per bello: cfr. Varr. ling. 5, 73;
vv. 20-21 sine caede...derepta cioè senza spargimento di sangue: cfr. Hom. Il. 17, Cic. orat. 153; QuinT. inst. 1, 4, 15).
363 avarumii; 21, 437 duayagr. L’ignominia quasi paradossale è accresciuta dal fatto
vv. 39-40 magna — ruinis: il concetto della grandezza di una città fondata sulla deca-
che deribio normalmente indica l’atto di spogliare il nemico ucciso: cfr. VerG. Aen.
denza di un’altra è un topos storiografico (cfr. Liv. 1, 30, 1 Roma...crescit Albae rui-
11, 193 spolia occisis derepta.
nis), ma nell’epiteto magna, adoperato in riferimento a Cartagine, sembra di cogliere
v. 23 portas— clausas: i Cartaginesi tengono le porte, a mostrare la loro tranquil- un atteggiamento tipico della cultura latina, il riconoscimento della grandezza del-
lità, aperte, come in tempo di pace, quelle porte che, quando Regolo era sbarcato l'avversario (cfr. introduzione a 1, 37).
in Africa, avevano fatto appena in tempo a chiudere (cfr. For. epit. 1, 18, 24). v. 41 fertur: formula introduttiva tipica delle narrazioni: cfr. 1, 7, 23; 1, 16, 13;
Carutt. 64, 19; Vere. Aen. 1, 15; 9, 82 etc.
v. 24 Marte nostro: Regolo si riferisce ai campi precedentemente devastati dalle
azioni belliche dei Romani, di nuovo coltivati dai Cartaginesi tornati tranquilli; Marte vv. 41-44 coniugis — vultum: la scena descritta concorda con Cass. Dio. fr. 43, 28
è metonimia comune per ‘guerra’. Secondo un’altra interpretazione, Marte nostro tà te dama xadareo tie Kapyndéviog dil’'oò ‘Pmpatoc dv Erpatte xal obte ThvV yuvaîua
significherebbe ‘ quando Marte era con noi, ci era favorevole ’, così come in epod. elg Abyovs èSétaro. Sulla moglie di Regolo, Marcia, cfr. anche Si. 6, 403; 576.
8, 30 wventis non suis = wentis adversis.
v. 42 capitis minor: variazione poetica dell’espressione tecnica capite deminutus, che

d
I SI
vv. 25-26 auro — redibit: l’esclamazione sarcastica (scilicet è ironico) è una sorta di designa la perdita dello stato giuridico, ovvero della situazione di persona giuridica.
interpolazione oraziana entro il discorso di Regolo, e va riferita alle discussioni del Il prigioniero di guerra incorreva nella deminutio capitis maxima, e perdeva libertà,
tempo sull'opportunità di riscattare i prigionieri. Di un tale riscatto le fonti che ci diritti civili, famiglia (cfr. dig. 4, 5, 11). Cfr. Liv. 22, 60, 15 sui prigionieri di Canne:
tramandano l’episodio di Regolo non parlano. deminuti capite, abalienati iure civium, servi Carthaginiensium facti.
754 . Orazio Odi III 5, 45 — 6, 3 755

vv. 45-46 labantis — auctor: in quanto deminutus capite, Regolo non era più sena- e attraverso il quale Orazio dà nuova forma e riempie di contenuti nuovi il motivo
tore, ma poteva farsi latore di un consilium, ciò che tecnicamente si indicava con il esiodeo, rinnovato dallo stoicismo, della decadenza morale di età in età successiva.
termine auctor: cfr. Cic. off. 3, 110 nisi ipse auctor fuisset; 100 cuius cum valuisset La struttura è tripartita: nei vv. 1-16 il tema centrale è quello della pietas, nei
auctoritas. vv. 17-32 quello della corruzione dei costumi, nei vv. 33-48 è delineato il contrasto
con i costumi di Roma arcaica.
v. 48 egregius...exsul: un esule fuori dell’ordinario, perché allontanatosi volonta- Nell’ode convergono diversi motivi ideologici che erano già, e saranno ancor
riamente dalla patria. più negli anni futuri, al centro della propaganda augustea: la diagnosi moralistica
vv. 49-50 atqui— pararet: cfr. Cic. off. 3, 100 neque vero tum ignorabat se ad crude- della crisi del I sec. a.C. come causata dalla degenerazione morale, la lotta alla cor-
lissimum hostem et ad exquisita supplicia proficisci. Sui tormenti in mezzo ai quali fu ruzione sessuale e al rilassamento dei costumi, e il corrispondente tentativo di pro-
fatto morire Attilio Regolo cfr. SemProN. TUDITAN. fr. 5 P.; Cic. off. 3, 100; Var. muovere un ritorno alla morale quiritaria, ai valori della religione e della famiglia;
Max. 9, 2, ext. 1. e, infine, il riconoscimento del contributo portato dalle dure stirpi italiche alla gran-
dezza di Roma, lo stesso che trova espressione nelle virgiliane laudes Italiae (georg.
vv. 51-52 dimovit — morantem: cfr. Cic. off. 1, 39 sg. quom retineretur a propinquis 2, 136 sgg.; cfr. Fenik) e nel canto di Evandro in Aen. 8, 314 sgg.
et ab amicis, ad supplicium redire maluit.
Metro: strofe alcaica.
vv. 53-54 clientum— relinqueret: l'ode si conclude con un tocco tipicamente ro-
mano, un'immagine di vita cittadina: Regolo viene paragonato a un avvocato che, v. 1 delicta— lues: ritorna il motivo, ancora ossessivo e insistente negli anni di poco
finito un processo, si libera dai noiosi e lunghi affari dei suoi clienti e va a riposarsi successivi ad Azio, della tragica vicenda delle guerre civili, di cui fu protagonista una
in campagna: cfr. epist. 1, 5, 8 sg.; 1, 8, 75. « Ma questa compostezza, poiché Ora- intera generazione. Il riferimento è, in generale, alla mancanza di pietas mostrata dalle
zio non riesce a far sentire sotto di essa la tensione degli affetti, il dolore del padre generazioni precedenti e che dovrà essere scontata dai discendenti, per una sorta di
e del marito, diventa prosaica » (La Penna). ereditarietà della colpa (cfr. 1, 2). i
v. 55 Venafranos...agros: cfr. nota a 2, 6, 15 sg.
v. 2 Romane: in collocazione di rilievo, il vocativo segna un mutamento di desti-
v. 56 Lacedaemonium Tarentum: cfr. nota a 2, 6, 11 sg. natario: non più i pueri e le virgines di 3, 1, ma il popolo romano nel suo complesso.
L’uso del singolare collettivo conferisce solennità sacrale all’apostrofe: si pensi alla
profezia di Anchise in Vero. Aen. 6, 851 tu regere imperio populos Romane memento,
6 e all'oracolo secolare sibillino (v. 3) ueuviioda: ‘Popate.

FRAENKEL, 285 sgg.; B. Fenik, « Hermes » 90, 1962, 72 seg. donec


— refeceris: cfr. Mon. Ancyr. 20, 4 duo et octoginta templa deum in urbe consul
sextum ex decreto senatus refeci, nullo praetermisso quod ex tempore refici debebat (cfr.
La composizione di quest’ode è anteriore a quella delle altre del ciclo, anche se introduzione alla presente ode e a 3, 1-6). Il restauro dei templi è solo un aspetto

ton
non sembra il caso di pensare a una datazione immediatamente post-aziaca, prece particolare del ripristino della pietas; se Orazio lo sollecita quasi come simbolo del
dente il ritorno di Ottaviano dall’Oriente e la celebrazione del trionfo, nel 29 a.C. ritorno alla religione, è perché tale riferimento doveva essere attuale quando egli
(Heinze): la strofe iniziale fa supporre che Ottaviano abbia già ricevuto l’incarico di compone l’ode. Mi sembra questo un argomento contro una datazione anteriore al

veni
restaurare i templi di Roma, e ciò ci porta a non prima del 28 a.C. (cfr. introduzione 28 a.C. (cfr. introduzione).
a 3, 1-6). Che l’ode sia anteriore alla soluzione della crisi costituzionale del 27 a.C. v. 3 aedis: con templum si indica un quadrato di terra consacrato, mentre dedes è
è confermato non solo dai riferimenti esterni, ma dal clima di angoscia che la per- propriamente l’edificio che vi sorge, la casa degli dei: cfr. Varr. in Get. 14, 7 non
corre: in essa domina un atteggiamento pessimista, un oscuro presagio di decadenza

CAI
omnis dedis sacras templa esse ac ne aedem quidem Vestae templum esse. Ma all’epoca
che la accomuna a certi epodi, con i quali si riscontrano anche affinità formali (Warde
di Orazio i due vocaboli, confusi nell’uso, erano diventati sinonimi.
Fowler, Fraenkel), assieme a quello stesso sentimento della colpa da espiare, della
maledizione generazionale che trova espressione in 1, 2 (cfr. relativa introduzione), labentis: cfr. Suer. Aug. 30 aedes sacras conlapsas. . . refecit.

|A
756 - Orazio Odi III 6, 4-36 157

v. 4 foeda — fumo: non, come pensano alcuni; anneriti dal fumo dei sacrifici, ma v. 21 motus...Ionicos: sulla lascivia delle danze ioniche cfr. ATHEN. 14, 629e; allu-
danneggiati dagli incendi: cfr. Suer. loc. cit.: ...aut incendio consumptas. sioni in PLauT, Pseud. 1274 sg.; Stich. 769.
s
v. 5 dis imperas: si ricordi che in 1, 12, 57 il dominio di Augusto sul mondo è v. 22 matura cioè tempestiva viro (cfr. 1, 23, 12); secondo altri significa ‘ precoce ’.
collegato al fatto che egli è minor rispetto a Giove, così come qua l’imperium dei Ro-
artibus: nel senso peggiorativo di ‘arti della seduzione, inganni’ (cfr. Ov. rem. 691
mani è subordinato al loro riconoscersi inferiori agli dei.
artibus innumeris mens obpugnatur amantum), non, come spiegava Porfirione, ablativo
v. 6 hinc— principium: variazione dell’ab Iove principium, tradizionale incipit poetico di artus (come a dire ‘con pose provocanti ’).
(cfr. nota a 3, 1, 5.sg.): cfr. Vere. ecl. 3, 60; 8, ll.
v. 24 de tenero...ungui: Porfirione spiega che questa espressione deriva dal pro-
v. 8 Hesperiae: cff. nota a 1, 28, 25 sgg. verbio greco éÉ draAéiv dviyov, cioè a prima infantia (« da quando le unghie sono te-
nere »): cfr. PLur. de liberis educ. 5; Rurin. anth. Pal. 5, 14, 4. Secondo un’altra in-
vv. 9-11 iam nostros: torna il tema delle sconfitte partiche, dominante nell’ode terpretazione, de ungui è un modo di esprimere l’intensità della passione (in questo
precedente; ma questa volta non si allude alla sconfitta di Carrhae, come pensano caso, degli incesti amores), qualcosa di simile al nostro ‘dalla radice dei capelli’, e
alcuni (soprattutto: sulla base di inauspicatos, che sembrerebbe adattarsi alla spedi- tenero serve a sottolineare la giovane età della donna (cfr. Prop. 1, 20, 39 tener un-
zione di Crasso: cfr. Cic. div. 1, 29; Ver. 2, 46; Var. Max. 1, 6, 11), ma a quella guis; CatutL. 62, 43 e Ov. her. 4, 30 tenuis unguis).
di Decidio Sassa, del 40 a.C., e a quella di Oppio, del 36 a.C.: cfr. Cass. Dio. 48, 24;
vv. 25-26 mox- vina: per l’adulterio in una situazione conviviale, alla presenza del
49, 23 sg. Monese era un illustre Parto che nel 37 a.C. disertò e trovò rifugio presso
maritus, cfr. Tre. 1, 6; Ov. am. 1, 4. Per la scelta di un amante più giovane cfr. 1, 33,
Antonio, ma l’anno successivo si riconciliò con Fraate e contribuì a sconfiggere due
3 sg. cur tibi iunior | laesa praeniteat fide.
legioni dell'esercito di Antonio comandate da Oppio Staziano (oltre a Cassio Dione
cfr. Pur. Ant. 37). Pacoro, figlio di Orode re dei Parti, sconfisse nel 40 a.C. il legato v. 27 impermissa: lo stesso che illicita; in unione con raptim e con luminibus remotis,
di Antonio, Decidio Sassa. rende efficacemente l’idea della furtività.
vv. 29-30 non- marito: la litote contribuisce ad accentuare la gravità della conni-
v. 12 torquibus exiguis: le collane, che presso i Parti erano distintivo di dignità,
venza del marito, e amplifica lo sdegno di questa polemica contro la corruzione dei
come presso gli antichi Persiani (cfr. Xen. Cyr. 2, 8). In exiguis c'è probabilmente
costumi.
una punta polemica, che contrappone implicitamente le sottili collane dei Parti, dei
quali erano spesso ricordate le abitudini di vita semplice (cfr. IustIn. 41, 3), ai pe v. 30 institor: colui che gestisce una bottega per conto del proprietario: cfr. ULPIAN.
santi ori dei ricchi Romani, dig. 14, 3, 5, 4.
v. 31 navis — magister: il capitano di una nave da commercio spagnola; sulle espor-
vv. 13-14 paene
— Aethiops: allusione al pericolo corso da Roma durante le guerre
tazioni dalla Spagna cfr. Prin. nat. hist. 3, 3.
civili, quando poco mancò che la città, in preda alle discordie intestine, non cedesse

i
all’assalto delle popolazioni che si erano alleate con Antonio: Aethiops indica il regno vv. 33-34 non Punico: ritorna il tema, centrale nell’ode precedente, delle guerre

Dinner if irta
veri Dai
d’Egitto di Cleopatra, mentre sull’aiuto dei Daci ad Antonio cfr. Cass. Dio. 41, 22 puniche come momento culminante della grandezza di Roma, di una grandezza fon-
(cfr. inoltre Vero. georg. 2, 497 coniurato descendens Dacus ab Istro). data sulla forza morale. In particolare, il riferimento è alle grandi vittorie della prima
guerra punica, riportate in battaglie navali (infecit aequor).
v. 15 classe: la flotta egiziana di duecento navi (cfr. PLuT. Ant. 56).
v. 35 Pyrrhum: il re dell’Epiro, che invase l’Italia e che fu sconfitto dal console
v. 16 missilibus
— sagittis: cfr. 1, 35, 9 e nota. Curio Dentato nel 275 a.C.
vv. 17-20 fecunda— fluxit: alla mancanza di pietas si accompagna la corruzione dei vv. 35-36 ingentem...Antiochum: Antioco il Grande, re della Siria dal 223 al 187
costumi, la profanazione dell’istituto sacro del matrimonio e della famiglia: anche in a.C., presso il quale si rifugiò Annibale (i due nomi sono accostati nello stesso
questo caso si tratta di una colpa generazionale (per saecula cfr. epod. 16, 65 ferrea verso), e che fu sconfitto da L. Scipione a Magnesia. Ingentem può essere un equiva-
saecula). Fecunda culpae è un nesso audace, che risulta sarcastico in riferimento a una lente poetico dell’epiteto Magnus, ma, secondo altri, si riferisce al grande spiega-
generazione le cui corrotte abitudini sessuali causarono una crisi demografica. mento di forze di cui il re disponeva.
758 :.. Orazio Odi II 6,37 - 7, 4 759

vv. 37-44 rusticorum — curru: questo passo rientra nella tradizione augustea che parole severe » (Plessis). Destinatario è Asterie, una donna dal nome fittizio, come
indica nell'Italia un simbolo etico (cfr. introduzione). In particolare, questo quadro mostra la connessione con « stella » (&otip), anche se non c’è bisogno di ricorrere
in cui Orazio individua nella disciplina italica un modello da contrapporre alla licenza a spiegazioni sottili e poco convincenti, come quella secondo cui il nome sarebbe
sessuale del suo tempo ricorda quello che Virgilio (il quale forse si è ispirato a que” stato scelto. perché uguale a quello della sorella di Latona, che Poseidone tentò di
sti versi) dà della stessa disciplina, contrapposta alla mollezza orientale (Aen, 9, 603 sedurre (Festa). Ma, se il suo nome è fittizio, il destinatario ha un peso reale sullo
sgg.). « Qui importa sottolineare il riconoscimento che alle dure stirpi italiche, oltre svolgimento dell’ode, che si sviluppa tutta attorno al tema della gelosia della donna.
che a Roma, si deve la conquista del mondo: l’Italia è un ideale etico-politico a cui Inoltre, i personaggi che compaiono in quest’ode sono tutt’altro che fittizi, e riman-
bisogna tornare (La Penna). dano a tipi comuni nella vita galante della capitale, dal marito partito per i suoi com-
merci e trattenutosi a svernare sulla costa dell’Epiro, al giovane e aitante atleta che
v. 38 Sabellis cioè Sabinis: cfr. epod. 17, 28; sat. 1, 9, 29. Sulla severa virtù sabina
cfr. Vero. georg. 2, 532; Prop. 2, 6, 21; 32, 47; Ov. am. 2, 4, 15. insidia la virtù della donna.
Una certa analogia con l’elegia di Properzio 3, 12, in cui si svolge un motivo
vv. 41-42 sol umbras: il-momento in cui il sole alterna le ombre, facendole pas- affine (a Postumo, partito per la guerra contro i Parti, si descrive lo stato d’animo
sare dal lato occidentale a quello otientale delle montagne (il congiuntivo indica ripe- della moglie Elia Galla, i suoi timori, le sue tentazioni e la sua fedeltà) ha fatto pene
tizione, abitudine): l’ora in cui si interrompono i lavori dei campi. Cfr. Vero. ecl. sare che la tematica centrale di quest'ode fosse già svolta in poesia ellenistica (Pa-
1, 83 maioresque cadunt altis de montibus umbrae. squali), e ha indotto a sopravvalutare l'elemento di polemica antielegiaca, per cui
vv. 42-43 iuga — fatigatis: cfr. Hes. op. 581 og. ..rtovotor Fri Tuyà Bovo tidmotr: l’invito a non piangere formulato ad Asterie equivarrebbe al rifiuto dell’elegia (Syn-
come l’alba mette il giogo ai buoi, il tramonto lo toglie. dikus) oppure l’ode, nel suo complesso, mirerebbe a smentire il topos elegiaco del-
v. 45 damnosa
— dies: verso sentenzioso sull’inevitabile legge di decadimento della l’inconciliabilità dell'amore con professioni come quella del mercante (Prop. 2, 26,
storia: cfr. Soru. Ai. 714 dv? è ueyac ypévoc papalver. 21 sgg.; Mutschler). Tuttavia il significato dell’ode consiste nell’offrire un quadro di
vita galante cittadina, presentato dal poeta con la consueta ironia e capacità di di-
vv. 46-47 aetas — nequiores: rivisitazione del mito esiodeo delle cinque età (op. 109 stacco dalle passioni.
sgg.), riletto attraverso il mito arateo di Dike (AraT. 100 sgg.). Avis è una forma di La struttura è tripartita: a una prima coppia strofica, che svolge motivi conso-
comparatio compendiaria equivalente a aetate. avorum.
latori rivolti ad Asterie (vv. 1-8) seguono due gruppi strofici simmetrici, l’uno sulle
vv. 47-48 mox — vitiosorem: non è un caso che il ciclo delle odi romane si concluda tentazioni di cui è oggetto il marito (vv. 9-22a), l’altro su quelle subìte dalla moglie
con. questa dichiarazione di pessimismo, che si può cercare di attenuare, sì, spiegando, (vv. 22b-32) (cfr. anche Mutschler).
per esempio, daturos come qui daturi fuimus, « avremmo generato » (sottintendendo:
Metro: asclepiadeo terzo.
‘senza l’intervento provvidenziale di Augusto ’). Ma, anche se così fosse, la formu-
lazione ambigua, che lascia vedere una progressiva decadenza dell’umanità, mostra v. 1 Asterie: cfr. introduzione.

ioni i Kina
come sul trionfalismo della propaganda abbia prevalso il pessimismo oraziano, che
vede la realtà regolata da leggi di decadenza. vv. 1-2 candidi...Favonii: il Favonio (cfr. nota a 1, 4, 1) è detto candidus perché
rasserenante (cfr. nota a 1, 7, 15).
v. 3 Thyna merce: riferimento al traffico commerciale, molto attivo, con le coste
7 meridionali del Mar Nero (cfr. epist. 1, 6,33 Bithyna negotia). Tinii e Bitinii sono due
tribù della Tracia emigrate in Asia, nella regione a Est del Bosforo, originariamente
PasquaLi, 463 sgg.; N. Festa, « Atti Accad. d’Italia, Rendic. sc. mor. » VII 1, considerate distinte (cfr. HeroporT. 1, 28; Prin. nat. hist. 5, 150; Carutt. 31, 5 sg.);
1940; .65 sgg.; M. Grotetj, « Ziva Ant. » 3, 1953, 74 sgg.; F. MurscHLER, « Symb. in seguito i due nomi saranno usati indifferentemente (cfr. CLaupIAN. Eutr. 2, 217).
Osl. » 53, 1978, 111 segg.
v. 4 fide: rara forma di genitivo della quinta declinazione (per l'età augustea cfr.

i
Non vi sono indizi cronolo ici in questa ode, che costituisce un 3grazioso ral- Ov. met. 3, 341; 6, 506 e la relativa testimonianza di Priscian. GLK 2, 366). Secondo

nni
ov, ‘molto felicemente collocato dopo le odi romane, «come un: sorriso dopo le Gett. 9, 14, 25 (= fr. 9 Fun.) Cesare nel De analogia accordava la sua preferenza alla

ni
760 Orazio . Odi Il 7, 5-25 761

forme huius die e huius specie. Poiché si configura come lectio difficilior rispetto a fidei, v. 13 perfida credulum: si noti l'accostamento sapiente dei due antonimi.
l'abbiamo accolta nel testo, benché si trovi sicuramente attestata solo in alcuni de-
teriori.
v. 15 casto Bellerophontae: il nome dell’eroe (declinato secondo la prima declina-
zione anziché nella forma della terza), accostato alla qualità che meglio lo definisce,
v. 5 Gygen: la collocazione di rilievo, all’inizio della seconda strofe, ha connota- occupa tutto il ferecrateo, con un rilievo che si addice alla statura eroica del perso-
zione affettiva; secondo un esempio di stile indiretto, essa esprime l'attaccamento naggio.
del destinatario dell’ode a tale nome, che ricorre anche in 2, 5, 20, e che in Prop. 2,
vv. 17-18 Pelea — Hippolyten: il racconto è noto da Pinp. Nem. 4, 54 sgg.; 5, 26
26 è pure il nome di un ricco mercante (cfr. introduzione).
sgg., e da Aprotton. 3, 13. La moglie di Acasto, re di Iolco, città dei Magneti nella
Notis: si ricordi che Noto è arbiter Hadriae (cfr. nota a 1, 3, 15). Tessaglia (da cui Magnessam), di nome Ippolite, si innamorò di Peleo e, non essendo
da lui ricambiata, lo calunniò presso il marito, il quale abbandonò Peleo in una fo-
Oricum: l’odierna Erikho, città e scalo marittimo nella baia di Valona, sulla costa
resta, sperando che i Centauri lo uccidessero, ma quello si salvò miracolosamente.
dell’Epiro, luogo abituale di sosta per chi dall'Oriente viaggiava verso l'Italia.
v. 20 movet: la lezione monet (= « ricorda, richiama ») è plausibile sia per il senso
v. 6 insana sidera: per insana cfr. nota a 3, 3, 55. La costellazione della Capra,
che per il costrutto (cfr., per es., Var. FL. 6, 16 sg. fraudem. . .tyranni | ut moneant)
nella quale, secondo la leggenda legata al catasterismo, era stata mutata la capra Amal-
ed è meglio attestata nella tradizione, ma movet (= « mette in moto, racconta »: cfr.
tea, nutrice di Giove (veramente si trattava di una sola stella, nella costellazione del-
Ov. ars 3, 651 praecepta...movere) è più efficace e colorita e come tale l'abbiamo ac-
l’Auriga, ma sidera può essere un plurale poetico oppure un riferimento che ingloba
colta nel testo, tenendo anche conto dell’estrema facilità con cui può essersi pro-
le due stelle più piccole vicine alla Capra, gli Haedi), sorgeva poco dopo la metà di
dotto uno scambio v / n. Inoltre, l’espressione movere historias può essere anche una
settembre e tramontava alla fine di dicembre. Secondo alcuni, post indica il periodo
variazione allusiva di movere arma, il che rende efficacemente l’idea delle manovre
dopo il tramonto della Capra, secondo altri, più verosimilmente, il periodo dopo il
tentate dal nuntius, mentre fallax rinvia alla sfera dell’astuzia tattica.
suo sorgere; quando la navigazione si interrompeva.
frigidas: le notti sono fredde in senso sia proprio, data la stagione invernale, sia v. 21 frustra: si noti la collocazione enfatica, all’inizio della strofe, dell’avverbio,
metaforico, perché solitarie, senza la sposa: cfr. Ov. am. 3, 5, 42 frigidus in viduo isolato rispetto ai due periodi che esso unisce. L’enfasi genera un effetto ironico.
destituere toro,
scopulis — Icari: la sordità dello scoglio rimanda all'immagine proverbiale dell’insen-
v. 9 nuntius: più che il ruolo della nutrice nella tragedia, come vorrebbero alcuni sibilità della roccia. Icaro è una delle isole Sporadi nell’Egeo (cfr. StrAB. 10, 488;
interpreti, questo messaggero mille vafer modis ricorda la mezzana della commedia o PLIn. nat. hist. 4, 68), non il nome dell'omonimo mare (cfr. 1, 1, 15), come pensano
di elegie come Prop, 4, 5 e Ov, am. 1, 8. alcuni, i quali sottintendono maris.
v. 10 Chloen: l’ospite greca, inquieta per amore di Gige, si chiama come la donna
v. 22 audit— integer: con surdior, audit forma un ossimoro che enfatizza la resistenza
cui è indirizzata 1, 23; tale coincidenza è indizio semplicemente del carattere lette
di Gige alle tentazioni offertegli. L’enfasi, sottolineata anche dall’allitterazione di
rario del nome (cfr. introduzione a 1, 23).
scopulis-surdior e di audit-adhuc, accresce l’ironia del contesto, ironia che nel nesso
v. Il ignibus: il termine indica la persona amata; il plurale è probabilmente coniato finale, adhuc integer, diventa insinuante malizia.
sulla voce elegiaca amores.
v. 23 Enipeus: altro nome fittizio, attestato come nome di persona in alcune iscri-
vv. 13-16 Proetum— necem: la moglie di Preto, re di Tirinto (Antea in Hom. Il. 6, zioni. Non è necessario pensare che esso voglia alludere a Poseidone, che veniva iden-
160 sgg., Stenebea nei tragici), innamorata di Bellerofonte senza successo, calunniò tificato con il fiume tessalo Enipeo e che sotto questa forma amò Tiro (Festa).
quest’ultimo presso il marito, il quale mandò l’eroe presso il re di Licia con delle
tavolette segrete in cui si chiedeva a questi di sottoporre Bellerofonte a prove tetri- v. 25 flectere equum: probabile riferimento alle corse dei cavalli, durante le quali
bili, quale la lotta con la Chimera, fino a che non morisse, e da cui quello si salvò Enipeo è bravo come nessun altro nel guidare il cavallo in curva, non, come pen-
grazie al proprio valore. Quest’uso frivolo della mitologia risente di certa maniera sano altri, a un esercizio consistente nel far muovere il cavallo facendogli assumere
elegiaca. i una figura particolare.
762 Orazio Odi II 7, 26 — 8, 4 763

Sg
v. 26 gramine Martio: cfr. nota a 1, 8, 4. tati come definitivamente sottomessi, con allusione alla spedizione di Statilio Tauro,
del 29 a.C. (cfr. Cass. Dio. 51, 20), e di Calvisio Sabino, che riportò il trionfo nel
v. 28 Tusco alveo: il Tevere è spesso definito etrusco, perché scorre in parte in
28 a.C. (cfr. CIL I? p. 77). Siamo dunque nel 29 o nel 28 a.C. (nel 29 l’eco dei suc,
Toscana (cfr. sat. 2, 2, 32 sg. Tuscus amnis; Vere. georg. 1, 499 Tuscus Tiberis); cfr.
cessi spagnoli poteva già essere giunta a Roma), malgrado un tentativo di collocare
nota a 1, 2, 14. In denatat il prefisso de- è probabilmente, come spesso in Orazio,
l’ode nel 25 a.C., dopo l’arrivo di Augusto in Spagna (Kumaniecki).
intensivo, e sta a indicare la bravura del nuotatore che percorre il fiume a grandi e
Destinatario è Mecenate, al quale, come in 1, 20 e in 3, 29, Orazio rivolge un
vigorose bracciate. Secondo altri, indica direzione, e, quindi, il nuotare secondo cor-
invito, esortandolo a festeggiare con lui l’anniversario dello scampato pericolo, legato
rente (ma questa non sarebbe grande prova di valore atletico).
all'incidente dell’albero, che è al centro di 2, 17 (cfr. la relativa introduzione). Ma,
v. 29 domum claude: suggerisce maliziosamente il sospetto che la porta sul farsi rispetto a 1, 20, qui la presenza del destinatario ha un peso maggiore sullo svolgi
della notte venisse aperta, o almeno che tale tentazione fosse forte nella donna. mento dell’ode, al punto che si è pensato di potere spiegare alcune espressioni strane
e oscure in essa contenute (cfr. note di commento) come una parodia del gusto di
v. 30 sub tibiae: gli interpreti concordano nel ritenere sub corrispondente non a
Mecenate, che le fonti antiche definiscono affetto da cacozelia (Suer. Aug. 86, 2)
‘durante’, ma a ‘immediatamente dopo’, ma il primo significato non mi sembra
(Bradshaw). In ogni caso, la figura di Mecenate si trova al centro di un mutamento
da escludere, anche in considerazione della costruzione ablativale. In tal caso, l’espres-
di atmosfera poetica e di una sovrapposizione di motivi letterari, per cui l’ode da
sione contribuirebbe a dare l’immagine della donna continuamente spinta ad affac-
carme conviviale diventa, in modo quasi impercettibile, carme civile (Fraenkel), senza
ciarsi alla finestra, mentre si sente il suono della serenata. Si noti l'armonia imitativa
però che vi sia frattura: nemmeno il motivo propagandistico finale riesce a cancel
del verso, nel quale la sequenza delle u e quella delle i mirano a riprodurre la mu”
lare l'invito a mettere da parte le preoccupazioni, l’aspirazione a una tranquillità non
sica modulata del flauto.
priva di una certa malinconia. L’elogio della pax Augusta appare più che altro moti-
despice: probabilmente, come la Lidia di 1, 25 (cfr. nota a 1, 25, 2), Asterie abita vato dalla sensazione di avere raggiunto le condizioni ideali per la tranquillità del-
in una casa popolare a più piani, se, affacciandosi, rivolge lo sguardo verso il basso. l'animo,
<
Anche questo è un tocco di vita romana. L’ode si divide in due blocchi strofici legati da una cerniera: nei vv. 1-12 i pre-
parativi del sacrificio e dei festeggiamenti per l’anniversario, nei vv. 17-28 l’invito a
vv. 31-32 te mane: l’esortazione finale fa capire che c’è proprio bisogno di racco-
Mecenate a lasciare i pensieri di carattere politico, mentre i vv. 13-16, che conten-
mandazioni. Il poeta invita la donna a rimanere irremovibile di fronte alla serenata
gono l’esortazione vera e propria a bere, segnano il passaggio dalla situazione convi-
lamentosa di Enipeo. Duram rinvia a un elemento tipico del rapaxAavot8vpov: l’inna-
viale a quella civile, e la loro centralità è sottolineata dalla presenza del vocativo
morato rinfaccia alla donna la sua spietatezza (cfr. nota a 1, 25, 7 sg.)
Maecenas ad inizio di strofe.

Metro: strofe saffica.


8
v. 1 Martiis...Kalendis: sui Matronalia cfr. Ov, fast. 3, 234 sgg.; IuvenaL, 9, 53;
FRAENKEL, 222 sg.; K. KuMANIECKI, « Eos » 50, 1, 1959-60, 147 sgg.; A. Bran- Marta, 5, 84; Macr, Sat. 1, 12, 7.
sHAW, « Philologus » 114, 1970, 145 sgg.
v. 2 flores: sappiamo che a Giunone Lucina, in occasione dei Matronalia, si offri-
È il primo marzo, giorno in cui si celebravano i Matronalia, durante i quali le vano fiori (cfr. Ov. fast. 3, 253 sg.). Orazio gioca umoristicamente sull’equivoco di
matrone romane si recavano al tempio di Giunone Lucina sull’Esquilino. L’anno si cui cade vittima Mecenate nel vedere lui che è scapolo rispettare una tradizione così
può ricavare dai vv. 17-26, dai quali si deduce che Ottaviano è assente da Roma, legata alla vita coniugale,
poiché la cura degli affari di politica interna è affidata a Mecenate. Inoltre si allude acerra: cassetta adoperata per riporvi l’incenso (cfr. Serv. Aen. 5, 745).
a una sconfitta di Cotisone (ricordato da FLor. epit. 2, 28 come re dei Daci, da Sur.
Aug. 63 come re dei Geti), con probabile riferimento alle spedizioni vittoriose di v. 4 caespite vivo: la zolla è l’altare più adatto ai sacrifici improvvisati: cfr. nota a
Crasso (cfr. Cass. Dro. 51, 23), durate dal 30 al 28 a.C., e i Cantabri sono presen- 1, 19, 13.
764 Orazio Odi II 8, 5-23 765

v. 5 docte-linguae: espressione finemente umoristica per indicare la grande cultura primo dei due: un vino molto vecchio si addice alla solennità della ricorrenza (cfr.
di Mecenate, con un riferimento alla padronanza delle due lingue colte del tempo, anche 3, 21, 1).
la greca e la latina: cfr. PLuT. Lucull. 1, 5 foxnto xai Myew ixavise Exatipav yAdiocav
v. 13 Maecenas: la collocazione di rilievo, ritardata rispetto all’inizio dell’ode, ad
e Suer. Aug. 89 in evolvendis utriusque linguae auctoribus. Sermones secondo alcuni
introduzione di una strofe che può essere definita di passaggio, segna anche un mu-
significa semplicemente ‘ conversazioni ’ nell’una e nell’altra lingua, secondo altri vuol
tamento di situazione poetica (cfr, introduzione).
dire ‘ tradizioni’, quasi a suggerire che Mecenate dovrebbe capire da solo, senza me-
ravigliarsi, quale tradizione il poeta stia rispettando, secondo altri contiene una allu- cyathos: cfr. nota a 1, 29, 8.
sione ai Dialogi dello stesso Mecenate (sui quali cfr. le testimonianze di CHaris. GLK
vv. 13-14 amici sospitis: la locuzione, corrispondente alla nostra ‘alla salute di
1, 146, 28 sg. = Barwick 186,7; Priscian, GLK 3, 356, 6 sg.)
qualcuno ’, è un grecismo: cfr. ANTIPHAN. fr. 81, 2 sg. K, èveyedunv.. .xuddovc Fediv
vv. 6-7 album- caprum: il sacrificio di un capro a Bacco era usuale (cfr. Vero. te xad Beady; CAL. epigr. 29, 1 Pf. Eyyer xal rididv sinè ‘ AvoxAfoc*; MELFAGR. anth.
georg. 2, 380 sg. Baccho caper omnibus aris | caeditur; Varr. rust. 1, 2, 19), o perché que- Pal. 5, 137, 1 &yxer rà Iewdodc xa Kurpidog ‘Ha1oddpac.
sto animale è nocivo alla vite, pianta sacra al dio (cfr. Ov. fast. 1, 357 sg.; MARTIAL.
v. 14 centum: riferimento al numero di anni che si augurano a qualcuno brindando
13, 39) o a causa della mitica trasformazione di Bacco bambino in capretto ad opera
alla sua salute: cfr. Ov. fast. 3, 531 sg. annosque precantur f quot sumant cyathos ad
di Zeus, che così lo salvò dall’ira di Giunone (ApoLLon. 3, 4, 3). Il colore bianco si
numerumque bibunt.
spiega perché agli dei superi si sacrificano vittime bianche, agli inferi animali scuri
(cfr. ArnoB, adv. nat. 7, 19), vigilis riferito per enallage alle lucernae anziché a Mecenate. Peril concetto del ‘ fare
l’alba’ nel convivio cfr. 3, 21, 23; epist. 1, 5, 10 sg.
vv. 7-8 Libero
— ictu: l’incidente dell’albero è lo stesso ricordato in 2, 13, in 2, 17,
dove (v. 28) è Fauno a salvare il poeta, e in 3, 4, 27, dove il merito della salvezza va vv. 15-16 procul- ira: l’augurio che siano assenti le risse conviviali (cfr. 1, 17, 22
alle Muse. Qui però Bacco non è ricordato come il salvatore di Orazio in quella cir- SEg.) è espresso in un tono solenne e sacrale.
costanza, ma, in generale, come suo protettore (cfr. introduzione a 2, 19). Funeratus v. 17 mitte— curas: Mecenate si occupava degli affari interni dello stato in assenza
nel senso di sublatus è attestato soltanto in questo passo: si tratterà pertanto di un
di Ottaviano (cfr. nota a 1, 1, 1). Civilis, come in epist. 1, 1, 16, ha qui il significato
conio oraziano, o, secondo altri, della ripresa di un uso poetico dello stesso Mecenate.
di ‘politico’. Super urbe equivale a de urbe, con un costrutto originariamente collo-
v. 9 dies festus: cfr. sat. 2, 2, 83 sive diem festum rediens advexerit annus, e, per quiale (cfr. Cic. Att. 14, 22, 2), ma che Orazio non sente più come tale (cfr. 4, 4, 42;
l’ablativo assoluto redeunte anno, cfr. l’espressione omerica repirAoutvov Evautod (ed carm. saec. 18 sg.)
altre simili: cfr. Od. 1, 16; 11, 248; 23, 833).
v. 18 Daci— agmen: su Cotisone cfr. introduzione, Sui Daci cfr. nota a 1, 35, 9, e,
v. 10 corticem-— pice: sarà il giorno stesso dell’anniversario a stappare l’anfora di per la confusione fra Daci e Geti già nell’antichità, cfr. Cass. Dio. 51, 22; Pun. nat.
vino, togliendole il tappo impeciato (cfr. nota a 1, 20, 3). hist. 4, 80.

v. 11 amphorae — institutae: l’anfora, personificata come in 3, 21 e 3, 23, è abituata, vv. 19-20 Medus + armis: i Medi sono i Parti (cfr. nota a 1, 2, 22), alle cui discordie
ha imparato ad assorbire il fumo. Institutae fa pensare, per il suo significato letterale, interne qui si allude (cfr. introduzione a 1, 26). Sibi dipende drò xowo8 da infestus e
alla collocazione dell’anfora nella cantina (apotheca), ma l’infinito bibere presup- da dissidet.
pone che instituo sia adoperato qui nell’accezione di ‘imparare’. Per fare rapidamente
invecchiare i vini si ponevano le anfore in una apotheca nei luoghi alti della casa, vv. 21-22 servit— catena: i Cantabri, nemici di Roma difficili da sottomettere (cfr.
dove salisse il fumo dei bagni: cfr. CoLum. 1, 6, 20. Per l’audace nesso bibere fumum introduzione a 2, 6), non erano stati ancora assoggettati (lo saranno definitivamente
cfr. Luci, 601 M. suspendatne se an in gladium incumbat, ne caelum bibat, probabile solo nel 19 a.C.), ma Orazio allude a successi parziali riportati in quegli anni (cfr.
introduzione).

di Ki
parodia di dizione tragica (Bradshaw).
v. 12 consule Tullo: un Volcacio Tullo fu console con M. Emilio Lepido nel 66 v. 23 Scythae: cfr. nota a 1, 35, 9. Non si ha notizia di spedizioni contro gli Sciti

|
de
a.C., un altro nel 33 a.C., con Ottaviano, Orazio si riferisce con più probabilità al nel periodo attorno alla data di composizione dell’ode; forse Orazio ha presente, e
766 Orazio Odi II 8, 25 - 9,7 167

i Ro-
amplifica, la presenza di soldati sciti partecipanti alla guerra dei Daci contro In complesso, l’ode ci presenta ancora uno spaccato della vita galante della capi-
mani, di cui al v. 18. tale; ma, senza arrivare a scorgetvi la presenza di una concezione ‘romantica’ del-
l’amore, come pure è stato tentato, vi si coglie quell’affettuosa ironia, sempre sospesa
vv. 25-26 neglegens — cavere: versi variamente interpretati, da qualcuno considerati fra la superiorità della saggezza e la malinconia della rinuncia, che avvicina quest’ode,
o
oscuri e stilisticamente infelici, da qualcuno addirittura espunti. Alcuni riferiscon per esempio, a quella a Pirra (1, 5).
neglegens a populus, altri fanno dipendere nequar laboret da neglegens, intendend o
ne Non vi sono indizi cronologici, ma la maturità stilistica porta a escludere una
quest’ultimo termine come equivalente a non timens; ma, più verosimilmente, datazione alta.
qua laboret dipende da cavere, che va unito sia a neglegens sia a privatus (‘ come un
qualsiasi cittadino privato ’, in contrasto con civilis curas del v. 17). Metro: asclepiadeo quarto.

v. 27 dona—horae: lo stesso concetto di 1, 11 (cfr. la relativa introduzione).


v.'1 gratus eram: l’espressione finemente discreta (cfr. anche dare bracchia nei vv.
2 sg., più generico di bracchia implicare, substinere, etc. e non necessariamente erotico:
cfr. 2, 12, 18), non caratterizzata come un linguaggio amoroso, suggerisce più che
9 descrivere.

Pasquani, 408 sgg.; P. GiLBERT, « Latomus » 1, 1937, 88 sge.; I. DùrIine, « Era- v. 2 potior: voce del lessico erotico: cfr. epod. 15, 13 potiori te dare noctes; Tis. 1, 5,
nos » 50, 1952, 91 sgg.; CAsTORINA, 199 sgg. 69 at tu qui potior nunc es.

Una delle più celebri e fortunate odi, oggetto di imitazioni e di traduzioni (la v. 4 Persarum — beatior: troviamo qui il motivo, topico nella poesia d’amore, della
più nota è quella di Alfred de Musset), la « bellissima di Orazio » secondo Pascoli, priorità della persona amata rispetto a qualsiasi ricchezza e potenza. Cfr. il carme
«l'ode che in tutto il canzoniere di Orazio esprime meglio il sentire ellenistico » (Pa catulliano di Acme e Settimio, pure a struttura dialogica: unam Septimius misellus
in
squali). Si tratta di una delle poche odi prive di destinatario, ma, a differenza che Acmen | mavult quam Syrias Britanniasque (45, 21 sg.). Nel medesimo contesto, Catullo
altre, qui tale assenza è imposta dalla struttura dialogica che caratteriz za questo com- si chiede quis ullos homines beatiores | vidit (v. 25 sg.), dove beatiores ha la stessa valenza
ponimento, unico della raccolta (se si esclude il caso, non del tutto chiaro, di 1, 28). che qui beatior, esprimendo l’idea di una felicità che è anche prosperità (cfr. 1, 4, 14;
la 1, 29, 1). La ricchezza dei re di Persia era proverbiale: cfr. nota a 2, 12, 21 sg.
L’ode si configura come un dialogo fra il poeta e una Lidia, che è secondo alcuni
stessa di 1, 8, di 1, 13 e di 1, 25 (cfr. Castorina): ciascuna delle sei strofe contiene v. 6 arsisti: la metafora del fuoco, comune per indicare la passione d’amore, segna
una battuta, alternativamente, dei due personaggi, secondo una tecnica, diremmo, di una climax rispetto all'espressione discreta della prima strofe: Lidia è più esplicita,
‘botta e risposta’ che ha forse origini remote, nei carmi amebei lirici della poesia e, secondo la tecnica dialogica (cfr. introduzione), riprende la battuta di Orazio, am-
popolare (se ne coglie l’eco nella commedia e in Teocrito), che forse era presente plificandola.
nella lirica arcaica (si veda SAPPH. fr. 121 L.-P., frammento di dialogo fra una fan-
ciulla e l'innamorato), ma che era stata perfezionata nell’ambito della poesia elleni- post Chloen: il concetto è complementare a quello di potior del v. 2. Su Cloe cfr.
.
stica. Piccoli dialoghi d'amore inseriti in epigrammi, come in quello di PaILoDEM introduzione a 1, 23.
anth, Pal. 5, 46 o nei due anonimi anth. Pal. 5, 101 e 12, 155, mostrano un affina-
v. 7 multi — nominis: il genitivo di qualità (cfr. nota a 1, 36, 13), corrispondente
mento della tecnica del carme amebeo: ciascun interlocutore ripete, riferendola a sé,
all’epiteto greco rodv@vpoc, incornicia artisticamente il nome della donna, che a sua
la frase dell'altro, aggiungendovi un particolare nuovo. Orazio, avendo presente anche
un modello latino, quello rappresentato dal c. 45 di Catullo (Gilbert), ha sfruttato volta è una ripetizione enfatica rispetto al verso precedente. Il concetto è quello ele»
questa tecnica sottoponendola a una ulteriore elaborazione, fino a raggiungere una giaco della donna resa celebre dai versi del poeta: cfr. Prop. 2, 34, 87 sg.; Ov. am.
cristallina, di perfetta simmetria: le strofe, ciascuna delle quali racchiude 2, 17, 27 sg. Può darsi che ci sia una allusione a un distico di Asclepiade (in anth.
struttura
Pal. 9, 63) in cui Lyde, la donna amata e cantata da Antimaco, così si esprime: Ab3n
una battuta del dialogo, vengono a costituire tre coppie, la prima (vv. 1-8) riguar
dante il passato, la seconda (vv. 9-16) sul presente, la terza (vv. 17-24) dedicata alla
xal yévog siuì xal olvopa, tiv d'arò Kédpou / ceuvotipn rtaotiv ciuì Sl “Aviiuayov. L’al-
riconciliazione.
lusione si combinerebbe con il gioco verbale sulla somiglianza dei nomi Lyde e Lydia.

21 **
| Orazio Odi II 9, 8 — 10 169
768

3, 3, v. 17 Venus: cfr. ‘nota a 1, 27, 14.


v. 8 Romana-=ÎIlia: su Ilia, madre di Romolo e Remo; cfr. 1, 2, 17 (e nota);
v. 4, secondo i modi della
32 (e nota). Si noti la ripresa, in questo verso, di vigui del v. 18 iugo...aeneo: cfr. nota a 1, 33, il.
tecnica amebea.
v. 19 excutitur: secondo alcuni, bisogna sottintendere ex animo, secondo altri domo:
100).
v. 9 Thressa: grecismo; che si trova solo qui in Orazio (cfr. poi Ov. her. 19, Cloe dovrebbe scomparire dall’animo o uscire dalla casa del poeta. Ma il verbo
può essere adoperato in senso assoluto, e può voler suggerire piuttosto una con-
Chloe regit: ancora secondo la tecnica amebea, la battuta del poeta prende lo spunto
nessione ulteriore con la sfera dell’equitazione (cfr. v. 9 regit), poiché excuti si dice
da quella di Lidia, la quale nel v. 6 aveva nominato la rivale. Regit proviene dal campo
è del cavaliere sbalzato giù da cavallo (Vero. Aen. 10, 589; 11, 615; 640).
metaforico relativo al domare i cavalli, caro ad Anacreonte (cfr. fr. 360, 1 sg. P.
naî...Mnuod ce; 417 P., su cui cfr. introduzione a 2, 5). v. 20 reiectae — Lydiae: la porta si riapre per Lidia che era stata cacciata via: si tratta
to
v. 10 dulcis — sciens: forse il verso allude al fatto che invece Lidia non è altrettan di un dativo, non di un genitivo, che non spiegherebbe il senso di reiectae.
esperta. Per la costruzione citharae sciens cfr. 1, 15, 24 sg. Si noti in dulcis docta l’al-
/ v. 21 sidere pulchrior: il paragone con una stella per indicare grande bellezza è tra-
litterazione, una delle tante in questa ode (candidae | cervici, alia | arsisti, metuam dizionale: cfr. già Hom. Il. 6, 401 dMyuov, darte xaA6. Il riferimento alla bellezza
mori, parcunt | puero, improbo | iracundior). L’abbondanza di un mezzo stilistico non
di Calais (una bellezza atletica, se l’identificazione con il Sibari di 1, 8 è giusta) è
fra i più cari a Orazio rivela una ricerca di musicalità che fa del contrasto amebeo un'ultima frecciata dispettosa prima della riconciliazione (o addirittura, secondo altri
una sorta di duetto melodrammatico. l'annuncio di un nuovo discidium). i i
do
v. 11 metuam: secondo alcuni congiuntivo, secondo altri futuro, che, esprimen
un effetto vv. 22-23 improbo — Hadria: torna continuamente, nella poesia di Orazio, il mare
efficacemente la ferma intenzione del poeta, genererebbe nello stesso tempo
dell’infanzia, alla cui tempestosità qui è paragonata l’irascibilità del poeta stesso (per
di esagerazione ironica.
la quale cfr. anche epist. 1, 20, 25 irasci celerem).
voce del lessico erotico, come lux o vita (CATULL. 45, 13; 68, 106;
v. 12 animae:
Prop, 1, 2, 1), per indicare la persona amata (cfr. PLAUT. Bacch. 193). Altrove in
Orazio essa si riferisce a un sentimento di amicizia (cfr. nota a 1, 3, 8).
una
10
v. 13 me torret riprende me regit del v. 9, con la tecnica già osservata, ma con
l’uso della
espressione più forte che lascia intendere una passione ardente, mediante PasguaLI, 419 sgg.; F.O. CopLey, « Trans. Amer. Philol. Ass, » 73; 1942, 96 sgg.;
metafora del fuoco (face mutua), che Lidia ha già mostrato di prediligere (arsisti). G. Pascucci, « St. ital. filol. class. » 54, 1982, 29 sgg. (= Scritti scelti II, 903 sgg.).
enuncia
v. 14 Thurini— Ornyti: si noti il tono di solennità ufficiale con cui Lidia
alla ric-
il nome, il luogo d’origine, la paternità del suo nuovo amante, che, assieme Priva di indizi cronologici, quest’ode è dedicata a una donna di nome Lyce, che
a
chezza di particolari, tradisce l’ingenuo tentativo di rendere più credibile l’esistenz è forse la stessa di 4, 13 (ma l’identificazione non è sicura): tale nome esisteva "real.
di Calais, suscitando la gelosia dell’interlocutore. Il giovane è di Turii, colonia greca mente, come dimostra la sua diffusione nelle iscrizioni, ma è probabile che Orazio
della Lucania fondata nel 443 a.C.; il fatto che tale città fosse stata fondata sul luogo lo adoperi con l’intenzione di alludere alla durezza della donna, poiché in greco esso
pen-
dell'antica Sibari, e inoltre l’equivalenza prosodica dei due nomi, hanno fatto significa « lupa » (X6xn). Se il nome è fittizio, fittizio è probabilmente il personaggio
sare che Calais sia la stessa persona di Sybaris di 1, 8 (cfr. nota a 1, 8, 2). C'è anche stesso, e, più in generale, fittizia è la situazione. L’ode si configura infatti come un
chi nel verso ha colto giochi di parole e doppi sensi erotici (Diiring). TaparAavotdvpov, un canto intonato dietro la porta chiusa di una donna (cfr. intro-
tanto duzione a 1, 25), un tipo di componimento fissatosi come convenzionale nella poesia
vv. 15-16 pro quo—superstiti: quasi una ripetizione dei vv. 11 sg., nella quale
amplifica re l’intenzio ne ellenistica e nell’elegia latina (cfr. Copley per una rassegna dei topoi), cui Orazio tut-
più significative appaiono le sostituzioni: bis vuole superare,
che Calais tavia dà uno svolgimento personale, accogliendo certi motivi ma scartandone altri
manifestata dal poeta di morire per Cloe, puero sembra lasciar intendere
non un uomo maturo come Orazio. Lidia è insieme dispettosa e, soprattutto, dando a una situazione poetica ellenistica la concretezza del riferi-
è solo un fanciullo,
mento a una realtà romana (Pasquali). Sicché anche quest’ode risulta un quadretto
e impertinente, maliziosa e ingenua, in una caratterizzazione che denota grande finezza
di vita cittadina, in cui il gioco galante svuota ulteriormente di pathos una serenata
di analisi psicologica.
. Orazio. Odi IMI 10, 1-12 TI
270

e a cui non è estranea un'atmosfera di ‘ sfer- vv. 5-6 nemus- tecta: riferimento a un boschetto artificiale piantato nel peristilio
cui già l’abuso letterario toglie passione,
motivi topici e l’uso di un linguaggio spesso della casa lussuosa, un viridarium: cfr. epist. 1, 10, 22 nempe inter varias nutritur silva
zante ironia’ generata dal contrasto fra i
solenne ed elevato (Pascucci). columnas;.Lyop. 3, 15 et nemora in domibus sacros imitantia lucos.
-.- L'ode è abbastanza unitaria, ma vi si possono cogliere tre gruppi strofici signi-
vv. 6-7 remugiat ventis: meglio intendere ventis come dativo (= « risponde mug-
ficativi: i vv. 1-8 contengono il lamento dell’innamorato, nei vv. 9-12 alla donna è
diventa velata minaccia. gendo ai venti») che come ablativo: cfr. Lucr. 2, 28 nec citharae reboant laqueata
rivolta un’esortazione, che nei vv. 13-20
aurataque tecta; Cic. Tusc. 3, 3; STAT. silv. 5, .1, 153.
‘ Metro: asclepiadeo. secondo.
v. 7 ut glaciet dipende da audis del v. 5, che andrà probabilmente inteso in questo
v. 1 extremum- biberes: questo modo poetico di definire la popolazione (cfr. nota caso nella sua accezione più debole di ‘accorgersi’, il che comunque non elimina
a 2, 20, 20) è un epicismo che conferisce solennità all’incipit dell’ode. Il Tanai, lo zeugma, che non è il solo in questa strofe (cfr. strepitus e remugiat riferiti sia a
odierno Don, indica la Scizia; è detto extremum perché la terra degli Sciti è uno dei ianua sia a nemus), nella quale le arditezze stilistiche bene si accompagnano all’espres-
confini del mondo (cfr. 2, 20, 18 sg. ultimi. . «Geloni). sionismo della descrizione. Glaciare è voce verbale molto rara, attestata prima di
Orazio soltanto in Q. Cic. carm. fr. 1, 12 Biichn. bruma gelu glacians e, dopo, negli
v. 2 saevo...viro: allusione non tanto alla ferocia del marito scita in quanto bar-
epici di età imperiale (Star. Theb. 10, 622; Var. FL. 4, 722) e negli scrittori scienti-
baro, ma alla crudeltà delle punizioni che tale popolo riservava all’adulterio (cfr. 3, fico-tecnici (SEN. nat. 4, 5, 2; Corum. 7, 8, 2; Pin. nat. hist. 2, 105 etc.).
24, 9 sgg.). La tradizione etnografica antica indicava negli Sciti un popolo dai costumi
severi e non corrotti. v. 8 puro Iuppiter: Giove è qui la divinità dei fenomeni atmosferici, la sua po-
tenza divina (numen) rappresenta il cielo, come in espressioni quali sub divo: cfr. 1,
me: il pronome di prima persona compare solo qui nell’ode, mentre nel rapaxAau-
ctdupov di Prop. 1, 16, 17-44 si ripete fitto. . i i 1, 25; 1, 22, 20; carm. saec. 32; epod. 13, 2.

asperas: non indica, come hanno pensato alcuni, la rozzezza della porta di una casa v. 9 ingratam— superbiam: la minaccia è un altro elemento topico del rapaxAavot-
scitica, contrastante con l’eleganza dell’abitazione di Lyce, ma la durezza della porta, Supov, dove di solito si esprime un ammonimento relativo alla vecchiaia che ineso-
spietata quanto la padrona, secondo una personificazione topica nel TapaxAaucidupoy, rabilmente giungerà (cfr. introduzione a 1, 25); ma qui il motivo viene svolto a par-
in cui l’innamorato supplica o accusa o minaccia la porta stessa: si pensi alla sere- tire da un concetto molto antico, quello dell’eccesso di castità come offesa a Venere,
nata ai chiavistelli (pessuli) nel Curculio plautino' (vv. 147 sgg.). Cfr. inoltre Prop. 1, destinata a chiamare vendetta. Si tratta, in breve, della concezione che è alla base
16, 17 sgg.; Ov. am. 1, 6; Tia. 2, 6, 47 a limine duro. dell’Ippolito di Euripide.

v. 3 porrectum: l’uso del termine evoca l’immagine dell’eroe che giace al suolo v. 10 ne rota: è l’ammonimento, topico nei rapaxAavot9upa, a fare attenzione a non
(Mezenzio in Aen. 9, 589; Patroclo in Prop. 2, 8, 34), ma la carica epico-tragica si dover un giorno correre dietro all'innamorato ora respinto (cfr. THEOCR. 29; ps.
dissolve a contatto con fores (Pascucci). Turocr. 23, 33 sgg.; AscLepian. anth. Pal. 5, 164; 167; Tra. 1, 8, 71), qui svolto me-
diante l’immagine, tratta dalla meccanica, della ruota che viene trascinata indietro
vv. 3-4 incolis...Aquilonibus: l’Aquilone, vento di Nord-Est, ha sede stabile nella
dalla fune che si riavvolge (retro dipende dò xowod da currente e da eat, secondo altri
Scizia; ma il paragone è sovrapposto alla situazione di partenza, e i venti freddi sem-
btano soffiare anche a Roma. solo da currente, ed eat equivarrebbe in tal caso ad abeat): riferimento a una macchina
semplice, una specie di carrucola. Siamo nello stesso campo metaforico da cui è tratto
vv. 5-8 audis— Iuppiter: lo scenario è quello tradizionale del mapoxAanotdupov: la il proverbio greco pò drroppitmpev riv telvovtes rò xadebdtov (ArIsTAENET. 1, 20;
notte invernale, il vento gelido, talvolta (ma non in questo caso) la pioggia: cfr. Lucian. dial. mer. 3), corrispondente al nostro ‘non tirare troppo la corda’. i
Ascterian, anth. Pal. 5, 189 vbE poxp) xo yetpa.. .xdyò riàp mpodbpo viocouar béue-
vos; ibid. 5, 167 veràc fiv mal wE.. xa Bopéng Yuypéc, èyò dì pévog; Ti. 1, 2, 29 e, vv. 11-12 non— parens: in questa frecciata conclusiva la strofe acquista tutto il suo
più simile alla scena oraziana, Prop. 1, 16, 23 sg.. me mediae noctes, me sidera plena contenuto maliziosamente ironico: è inutile che Lyce voglia ostentare una fedeltà che:
iacentem /frigidaque Eoo me dolet aura gelu. i non le è propria. L'ironia è accresciuta dal tono solenne, epicheggiante, dalla men-
772 Orazio Odi II 10, 14 — 11 173

zione di Penelope, la donna fedele per antonomasia, dall’intero v. 12 sulla paternità, 11


dove parens è solenne per pater e Tyrrhenus per Etruscus. In contrasto con la fedeltà
di Penelope, le origini etrusche sono per antonomasia contrassegno di lascivia, se-
Pasguati, 144; 300; FrAENKEL, 196 sg.; F. CarRNS, « Greece and Rome» 22,
condo un cliché della storiografia ellenistico-romana: cfr. TimAEUM e THEoPOMP. in 1975, 129 sgg.; V. PòscHt, « Wiirzb. Jahrbb. Altertumswiss. » n.s. 7, 1981, 139 sgg.
ATHEN. 12, 517a-d; Posinpon. in Diopor. 5, 40; Dion. Hat. ant. Rom. 9, 16, 8.
criar

v. 14 nec amantium: il motivo, tradizionale nel rapaxAavot8upov, del ‘niente riesce Quest'ode non offre elementi di datazione, e la proposta di collocarla anterior-
a piegarti’ viene espresso attraverso una serie di coordinate negative (neque. ..nec... mente a 2, 13, e quindi prima del 30 a.C. (cfr. introduzione a 2, 13), si fonda su un
nec...nec): Lyce non si lascia commuovere dai regali dei suoi innamorati né dalle indizio eccessivamente tenue (la descrizione dell’oltretomba, in cui non compare
suppliche né dal loro pallore, Il pallore, simile a quello delle viole (cfr. VERG. ecl. Orfeo, sembrerebbe precedere la redazione orfica della catabasi presente nell’ode
2, 47 pallentes violas), è una prerogativa degli innamorati: cfr. Ov. ars 1, 729 palleat del libro II: cfr. Kiessling-Heinze), È vero che l’uso del discorso diretto che con-
omnis amans, hic est color aptus amanti. clude il componimento, « espediente caro alla giovinezza di Orazio » (Pasquali), avvi-
cina l’ode all’epodo 13 e a 1, 7 (cfr. relative introduzioni), carmi che sono, o è pro-
v. 15 nec saucius: anche questo riferimento al marito adultero presuppone il codice babile che siano, giovanili; ma l'assoluta mancanza di spie cronologiche in 3, 11 può
galante, che prevedeva raccomandazioni del genere: cfr. Ov. ars 1, 365 tum quoque indurre a supporre tanto una datazione alta quanto un ritorno, in età matura, a un
temptanda est, cum paelice laesa dolebit. Saucius rimanda all'immagine comune della mezzo artistico della giovinezza.
ferita d’amore (cfr. Vero. Aen. 4, 1 sg.) L’ode è rivolta direttamente a una donna di nome Lyde (cfr. nota a 2, 11, 22);
anche se formalmente il destinatario è Mercurio, è la donna che svolge un ruolo de-
Pieria cioè della Pieria, regione della Macedonia al confine con la Tessaglia: cfr. la terminante nello svolgimento poetico, e che costituisce il punto di unione fra l’invo-
Thressa Chloe di 3, 9, 9. cazione iniziale a Mercurio e l’introduzione del mito delle Danaidi. L'invocazione a
Mercurio ha una duplice funzione, che sembra derivare dal sovrapporsi di due diversi
vv. 16-17 supplicibus
— parcas: il tono di solenne preghiera, con l’uso del plurale modelli letterari: da un lato rientra nello stesso genere, proveniente dall’epigramma
per il singolare, con cui il poeta, mentre indica se stesso, allude ai numerosi spasi- ellenistico, cui appartiene 1, 30 (cfr. introduzione), e cioè nel genere dello scherzoso
manti della donna, lascia trasparire l’ironia con cui Orazio gioca su motivi tipici della invito a una divinità a favorire amori leggeri, dall’altro svolge lo stesso ruolo proe-
poesia d’amote. miale della tradizionale invocazione alla Muse, facendo da proemio a un componi-
mento che è costruito secondo la tecnica dell’epillio ellenistico. A tale tecnica rinviano
vv. 17-18 nec— anguibus: la spietatezza della donna è espressa con lo stesso tipo di
l’incastonamento del mito entro il racconto principale e lo stretto rapporto fra la
comparativo di perlucidior vitro (cfr. nota a 1, 18, 16), dove il primo termine di para-
situazione mitica e quella reale, che qui è di inversione speculare, altre volte è analo-
gone è definito per litote (nec mollior e nec mitior = durior). I serpenti della Mauri
gico (Ipermestra che accetta consapevolmente il suo destino di sposa si contrappone

i
tania (cfr. 1, 22, 2; 2, 6, 3) e la quercia italica sono simboli di durezza estrema. Ani-
alla riottosa Lyde): è la tecnica che conosciamo dal Ciclope e dall’Ila di Teocrito, dal
mum è accusativo di relazione.

nina indi
c. 64 di Catullo, dal finale del libro IV delle Georgiche. Tuttavia la tecnica della nar-
vv. 19-20 non-latus: non si tratta, come qualcuno ha pensato, di una velata mi- razione ellenistica si fonde non solo con suggestioni epigrammatiche, come abbiamo
naccia di suicidio, che mal si accorderebbe con il tono ironico dell’ode; anzi il pathos visto, ma anche con il modello della lirica corale, in particolare pindarica, da cui è
della supplica dei versi precedenti si smorza definitivamente, rivelando appunto la sua tratta l’idea di un uso dell’exemplum mitico con funzione parenetica (Pòschl).

LE
reale dimensione di enfasi ironica. Il poeta invita la donna a cedere prima che egli La struttura si può indicare come tripartita: i vv. 1-12 contengono l’invocazione
si stanchi di passare le notti all’addiaccio. Aquae celestis appare in contrasto con puro a Mercurio, i vv. 13-24 sono dedicati alla potenza del canto nell’oltretomba, nei vv.
numine del v. 8; è possibile che qui sulla situazione dell’ode prevalga la situazione 25-52 è narrato il mito delle Danaidi (di cui i vv. 33-52 sono su Ipermestra).

iii
tipica dell’exclusus amator, disteso sui gradini dietro la porta, in balia delle intem-
perie. Però l’incongruenza rimane. Metro: strofe saffica.

nanna
174 Orazio Odi III 11, 1-23 775

v. 1 nam: modulo innico, corrispondente al ydp greco: cfr. l’inno a Zeus di Cleante v. 13 tu: ripreso con wvariatio nel tibi del v. 15, il pronome di seconda persona in
x
(CLEANTH. 1, 3 sg.; 11; 20 Powell); ed inoltre, per es., Hom. II. 24, 334 (ad Hermes); anafora è caratteristico dello stile innico: cfr. nota a 1, 10, 5.
Lucr. 1, 10; Vero. Aen. 1, 65.
vv. 13-14 potes — morari: l’apostrofe è diretta non a Mercurio, ma alla lira, e quindi
docilis con il significato di doctus, come in 4, 6, 43 docilis. . .vatis Horati. al mitico potere di Orfeo: cfr. nota a 1, 12, 7 sg.; 9 sg.; 11 sg.

v. 2 movit — canendo: su Anfione, figlio di Antiopa e fondatore di Tebe, cfr. Hom. v. 15 immanis — aulae: allusione alla discesa di Orfeo (anche se questi non è nomi-
Od. 11, 260; sul fatto che egli avrebbe fatto per primo uso della lira cfr. PAUSAN. 9, nato: cfr. introduzione) negli Inferi per riportarne fuori Euridice (cfr. nota a 1, 24,
5, 7 sg.; sugli effetti miracolosi del suo canto cfr. ars 394 sgg. dictus et Amphion, The 13 sg.). Per ianitor cfr. anon. anth. Pal. 7, 319 IMobrwvos KépBepoc; Vere. Aen. 6, 400;
banae conditor urbis, | saxa movere sono testudinis et prece blanda | ducere quo vellet; Prop. 8, 296 ianitor Orci. Con una ambiguità forse intenzionale, immanis, che è epiteto abi-
3, 2,2 sg. tuale per i mostri (cfr. Vere. Aen. 6, 416 sg. Cerberus...immanis), non si accorda
con Cerberus, ma va riferito ad aulae, che altrimenti rimarrebbe senza alcuna quali-
v. 3 testudo: ci si rivolge alla lira, come in 1, 32, 4 (barbite), alludendo alla leggenda
ficazione, Probabilmente però non viene meno la denotazione di mostruosità dell’ag-
della sua origine da un guscio di tartaruga (cfr. nota a 1, 10, 6).
ettivo, e l’espressione vorrà dire ‘dimora mostruosa’ (cfr. 3, 4, 43).
,

vv. 3-4 septem...nervis: le sette corde della lira sono un’invenzione attribuita allo 4
vv. 17-20 Cerberus trilingui: la strofe è ritenuta da alcuni non autentica in base
stesso Mercurio dall’inno omerico dedicato al dio (hymn. Merc. 51); dalla tradizione
a vari argomenti: 1) una dettagliata descrizione dell’orrendo cane infernale costitui-
più diffusa essa invece viene fatta risalire a Terpandro, che avrebbe aggiunto tre corde
rebbe una stonatura nell’elogio della lira; 2) una specificazione del nome del mostro
alle quattro originarie dello strumento (cfr. StrAB. 13, 2, 4).
dopo ianitor aulae del v. 16 denuncerebbe un poeta maldestro; 3) furialis e sanies non
v. 5 loquax...grata: cfr. il già citato hymn. Merc. 25 yÉluv. ..doidév; 32 sg. donaci ricorrono altrove in Orazio, taeter non ricorre altrove nelle Odi; 4) la chiusa eius
. Xe. atque del v. 18 è piatta e prosaica; per di più eius compare nelle Odi solo in 4, 8, 18,
un passo di dubbia autenticità, e atque sempre nelle Odi sta a chiusa di verso solo
v. 6 divitum — templis: l’espressione ricorda, per la sua dizione sacrale, VERG. georg.
in 2, 10, 21; 5) manet del v. 19 si adatta bene a sanies, non altrettanto a spiritus, etc.
2, 101 dis et mensis accepta secundis (a proposito del vino di Rodi). Cfr. ancora hymn.
Gli unici argomenti di una qualche consistenza sono il quarto e il quinto (a queste
Merc. 31 sg. Souròc Eralon. . .yÉAus e, per la musica della lira suonata nei templi, cfr.
difficoltà appunto vogliono ovviare gli emendamenti exeatque e altri), ma la strofe dà
Dion. Hat. ant. Rom. 7, 72.
indubbiamente nel suo insieme una penosa impressione di stentatezza. Non è per-
vv. 9-12 quae — marito: la fanciulla che sfugge all'amore è paragonata a una puledra tanto senza esitazione che l’abbiamo accolta nel testo.
indomita, secondo un tipo di similitudine molto comune, In particolare, Orazio ha
vv. 17-18 furiale— caput: la testa di Cerbero èx simile a quella delle Furie, munita
presente AnACR. fr. 417 P., lo stesso modello di cui ha subìto la suggestione in 2, 5
di innumerevoli serpenti (centum è numerale iperbolico): cfr. nota a 2, 13, 35 sg.

40
(cfr. relativa introduzione). Anche in 1, 23 (cfr. introduzione) la caratterizzazione di

intatti
una fanciulla restia all'amore è fatta mediante un’immagine tratta dal mondo degli v. 20 ore trilingui: cfr. nota a 2, 19, 31.
animali selvaggi. vv. 21-24 quin mulces: alla discesa di Orfeo nell’Ade, si arrestarono per lo stu-

tini nm
v. 9 trima: l’età di tre anni è quella giusta per l’accoppiamento e per il giogo: cfr.
x pore e per l’incanto della musica i supplizi infernali: cfr. nota a 2, 13; 33 sgg.
VARR. rust. 2, 7, 13; Vero. georg. 3, 190 sg. v. 21 Ixion: Issione, figlio di Leonteo (di Antione secondo Diopor. 4, 69, 3 sg.), re
v. 10 metuit...tangi: cfr. nota a 2, 2, 7. Exsultim è un hapax. dei Lapiti, per aver tentato di fare violenza a Giunone fu condannato a girare in
eterno legato a una ruota (cfr. Hycin. fab. 62): il mito è narrato da Pinp. Pyth. 2, 21
v. 12 cruda: secondo alcuni, esprime la stessa nozione di acerbità che c’è in immitis sgg. (cfr. anche Tie. 1, 3, 73).
di 2, 5, 10 (cfr. nota), in contrapposizione a tempestiva di 1, 23, 12 o a matura di 3, Fa
e. Tityos: cfr. nota a 2, 14, 8.
6, 22; secondo altri, equivale piuttosto a crudelis. Probabilmente, l’epiteto ha. qui E=
-
ambedue le sfumature: l’immaturità della puledra (e di Lyde) si risolve in involon- sE
=
®
vv. 22-23 stetit sicca: secondo alcuni, sicca è predicativo (nel momento in cui le
=
taria crudeltà. Danaidi si fermano, l’urna che ciascuna di loro è condannata a riempire in eterno
8
*-
776 Orazio Odi II-11, 23-51 777

rimane asciutta), secondo altri è l’attributo dell’urna, che, essendo senza fondo, non v. 37 marito qui in funzione aggettivale: cfr. carm. saec. 20; Prop. 4, 11, 33.
si riempie mai; quest’ultima spiegazione è meno probabile, ma non è da escludere
v. 38 longus...somnus: per longus come eufemismo cfr. nota a 2, 14, 19, e sul sonno
che ci sia una allusione al fatto che il vaso è sempre ‘ assetato ’, poiché non si riem-
eterno come perifrasi per ‘ morte’ cfr. nota a 1, 24, 5.
pie mai (per siccus in tale accezione cfr. sat. 2, 2, 14; epist. 1, 17, 12).
unde: cfr. nota a 1, 12, 17.
v. 23 Danai puellas: cfr. nota a 2, 14, 18 sg.
v. 39 socerum: esempio di stile soggettivo; Orazio fa dire a Ipermestra, a proposito
v. 25 audiat Lyde: si noti l’audacia ‘pindarica’ del passaggio: l’oggetto del canto
di Danao, socer e non pater, perché le è penoso riconoscere che il proprio padre voglia
che la lira di Mercurio dovrà intonare è ispirato da quel mondo infernale su cui la
farle uccidere lo sposo; chiamandolo suocero del marito, lo rende in certo senso
lira stessa, attraverso il canto di Orfeo, esercitò un potere miracoloso. Così si passa
estraneo a se stessa,
dalla riottosità di Lyde alla capacità della poesia di piegare anche i mostri infernali,
poi alle punizioni infernali, alle Danaidi, e quindi si torna a Lyde, sulla base di un v. 40 sorores: alla luce della stessa considerazione esposta nella nota precedente, è
rapporto analogico nei confronti dell'intero mito delle Danaidi, ma antitetico in rap- più probabile che qui sorores sia usato nel senso di ‘cugine’ (così in Ov, her. 14,
porto all'episodio centrale di Ipermestra. 130 sgg. Ipermestra e Linceo sono frater e soror; cfr. anche Ov. met. 1, 351; 13, 31;
her. 8, 28 sg.) piuttosto che in quello letterale.
vv. 26-27 inane — dolium: quello che le Danaidi sono costrette a riempire è un largo
recipiente di terracotta (cfr. anche epod. 2, 47). La costruzione con il genitivo, Iym- vv. 41-42 velut —lacerant: la similitudine proviene dal registro epico (cfr. Hom. Il.
phae, è ricalcata su quella di plenus. 5, 161; Eur. Iph. Taur. 297 sg.) e accresce la patina solenne di questo discorso ricco
di pathos (cfr. anche l’interiezione eheu). Lacerant si addice più propriamente alle leo-
v. 28 sera...fata: cfr. nota a 3, 2, 32.
nesse che alle donne: la sovrapposizione fra i due termini del paragone è pure segno
vv. 30-31 impiae...potuere: si noti l’enfasi retorica data dall’anafora di impiae e del carattere emozionale di questo discorso.
dalla ripetizione di potuere.
v. 45 pater — catenis: cfr. APoLLOD. 2, 1, 5 ùtò xadelpfac adràv Aavadc Eppovper e Ov.
vv. 31-32 duro...ferro: ricorda l’espressione omerica wé yoxé (Il. 3, 292), ma her. 14, 13 clausa domo teneor gravibusque coercita vinclis; 83 sg. abstrahor a patriis
già lo ps.-Acrone notava che la nozione di durezza è riferita più che altro all’animo pedibus raptamque capillis / (haec meruit pietas praemia) carcer habet.
delle Danaidi.
v. 46 misero: altro esempio di stile soggettivo: Ipermestra ha sincera compassione
v. 33 una: Ipermestra, la sola fra le Danaidi che risparmiò il marito, Linceo: cfr. per il marito che ha voluto salvare.
Arscu. Prom. 865 sg.; Pinp. Nem. 10, 6; Ov. her. 14 (cfr. anche ApoLron. 2, 1, 3 sg.).
v. 47 extremos —agros: lo stesso che dire ‘ai margini del mondo’, poiché la Nu-
face nuptiali: metonimia per indicare le nozze, con riferimento alla fiaccola portata midia e, in generale, l'Africa occidentale sono uno degli estremi del mondo (come
innanzi al corteo nuziale (cfr. Pau. Fest. 77, 21 L.; Catutt. 61, 77; 94; 114). in 2, 20, 15 e in 3, 3, 47 sg.)

v. 34 periurum...parentem poiché Danao stesso fornì i pugnali alle figlie perché v. 48 releget: al mito si sovrappone un riferimento alla realtà romana, in particolare

nen
uccidessero i cinquanta cugini, figli di Egitto, il fratello con cui era stato a lungo all’istituto della relegatio, con cui il pater familias poneva al bando il figlio, facendolo

EI NNO
4
in rapporti di inimicizia: cfr. ApoLLon. 2, 1, 3 sg. allontanare dalla patria: cfr. Cic. off. 3, 112; Suer. Aug. 65.
v. 35 splendide mendax: «il più splendido, veramente, fra gli ossimori della poesia vv. 49-50 i-— Venus: formulazione di un augurio per un viaggio felice sia per terra
latina » (Ussani). Espressione simile in Cic. Mil. 72 mentiri gloriose; in Ov. her. 14, (per l’espressione pedes.. .rapiunt cfr. ebod. 16, 21) sia per mare. Venere protegge gli
120 Ipermestra si definisce rea laudis. innamorati nel loro cammino: concetto comune, complementare a quello della sicu-
rezza dell'amante (cfr. introduzione a 1, 22).
vv. 37-38 surge— surge: l’anafora di surge, assieme all’uso del pronome relativo che
collega la strofe a quella precedente, contribuisce a dare un effetto di concitazione, v. 51 nostri memorem: ricorda l’addio a Galatea di 3, 27, 14 et memor nostri. . ivivas,
che cerca di riprodurre lo stato emotivo di Ipermestra. La stessa situazione in Ov. pure connesso a un augurio di buon viaggio, in un’ode che ha più di un punto di
her. 14, 73 sg. contatto con la presente, dall'uso del discorso diretto alla tecnica dell’epillio.
778 Orazio Odi III 12, 1-10 779

12 diae ei dare ludum; Cic. Cael. 28 datur enim concessu omnium huic aliqui ludus aetati
(in un contesto in cui si dimostra indulgenza verso i costumi un po’ liberi).
Pasguani, 86 sgg.; FrAENKEL, 178; V. PòscHL, « Acta Ant. Hung.» 25, 1977, v. 2 dulci —lavere: riferimento al costume romano, poiché alla donna greca, a quanto
405 sgg.; F. Carrns, « Quad. Urbin. cult. class. » 24, 1977, 121 sgg.; W. Kisset, sappiamo, non era vietato bere vino. Tuttavia già al tempo di Orazio tale divieto do-
« Wien. Stud.» N.F. 14, 1980, 125 seg. veva essere antiquato, e quindi esso sta qui a significare l’eccessiva severità dello zio
di Neobule: cfr. GeLr. 10, 23, 1; ATHEN, 10, 4406; Prur. quaest. rom. 265b.
Anche se non offre elementi di datazione, quest'ode è probabilmente da collo-
care fra le più antiche, come le altre di ispirazione alcaica. L'imitazione di Alceo non vv. 2-3 aut verbera: la figura dello zio paterno, patruos, corrisponde a quella giu-
si limita, come altrove, all'identità metrica (in questo caso, il metro è lo ionico, atte- ridica del tutore legittimo, già nelle Dodici tavole (cfr. IUsTINIAN. inst. 1, 17; Cod.
stato solo qui in Orazio) e al motto iniziale; tutta la situazione, il lamento di una 5, 30; GaruM 1, 155), ma è anche un tipo letterario la cui severità è proverbiale: cfr.
ragazza sulla propria condizione, sembra derivare -dall’ode di Alceo di cui leggiamo sat. 2,3, 87 sg. sive ego prawe | seu recte hoc volui, ne sis patruos mihi (cfr. anche l’iratus
il fr. 10B L.-P. (v. 1 &us Sehhay, Eue ralcav xaxorttmv mediyoroav «o me infelice, o patruos di sat. 2, 2, 97); Carutt. 74, 1 sg. Gellius audierat patruom obiurgare solere, / si
me partecipe di tutti i mali»), anche se recentemente è stata negata la presenza di quis delicias diceret aut faceret; Pers. 1, 11. Si noti lo stile colloquiale: aut nel senso
tale imitazione, e, sulla base piuttosto di ‘reminiscenze saffiche (cfr. sotto), l’ode è di ‘o se no’ (cfr., per es., PrAauT. Rud. 1162), verberare nel senso di ‘ rimproverare
stata collocata nel sottogenere poetico « descrizione dei sintomi d’amore » (Cairns). in modo sferzante’ (cfr. Cic. fam. 16, 26, 1).
Da Alceo dipende forse anche l'impostazione monologica del carme; tuttavia la pre- v. 4 Cythereae
= ales: cfr. nota a 1, 2, 34 e a 1, 4, 5.
senza convenzionale di un destinatario è fatta salva, poiché l’apostrofe è rivolta dal
poeta alla fanciulla, non da quest’ultima a se stessa, come pensano alcuni, anche se, vv. 5-6 telas
— aufert: quello dell'amore che impedisce di tessere è motivo saffico
in ogni caso, il poeta parla esprimendo il punto di vista del destinatario (cfr., di re- (cfr. introduzione). Operosae traduce *Epy&w, epiteto greco di Minerva, in quanto
cente, Péschl). Malgrado la prevalenza del modello alcaico, l’ode non è, come pure dea che presiede a certe tecniche artigianali, specialmente alla tessitura.
è sembrata a qualcuno, un freddo esercizio scolastico di imitazione di Alceo, non v. 6 Neobule: cfr. introduzione.
solo perché il modello alcaico è combinato con altre reminiscenze della lirica arcaica,
in particolare di Saffo (cfr. fr. 102 L.-P. yXbxma urep, oto Sivauar xpéxnv tòv Totov / Liparaei...Hebri: come l’Enipeo di 3; 7, 23, il fanciullo di cui Neobule è innamo=
nédur Skuerca aîdoc Bpadivav dt ’Agpoditav « dolce madre, non posso più tessere rata ha il nome di un fiume (l’Ebro è un fiume della Tracia). L’uso di nomi di fiumi
la trama con la spola: sono vinta dall'amore per un giovane, per opera della molle come nomi di uomini liberi è raro, ma attestato; la provenienza dall’isola di Lipari,
Afrodite »), mentre Archiloco ha forse suggerito il nome Neobule (fr. 118 W.), e una delle Eolie, è sicuramente fittizia, e sembra scelta solo sulla base della somiglianza
Orazio non ignora la tradizione poetica del canto legato alla tessitura, che ha origine fonetica con Xrapéc, « splendente ».
con Hom. Od. 9, 221 sg. (Kissel); non solo perché il pathos presente nel modello si vv. 7-8 unctos — undis: come tutti i giovani romani di buona famiglia, Ebro appar-
stempera nel carattere universale che Orazio dà al lamento della fanciulla, mediante tiene ai sodalicia iuvenum costituiti da Augusto, e, dopo le esercitazioni nel Campo
la gnome iniziale, che manca in Alceo (Fraenkel). Ma, soprattutto, perché la cornice Marzio, ha l'abitudine di nuotare nel Tevere, non senza essersi prima spalmato di
letteraria offerta dalla tradizione lirica greca è riempita di riferimenti alla realtà ro- olio (cfr. 1, 8, 8 e nota; 3, 7, 28; sat. 2, 1, 7).
mana, dalla figura giuridica del patruos al ritratto di Ebro, giovane rappresentante
della vita galante romana, simile al Sibari di 1, 8 o all’Enipeo di 3, 7 (Pasquali). v. 8 eques...melior: come Enipeo, Ebro è bravo quanto nessun altro negli sport
La struttura si configura come un blocco unitario (vv. 4-12), preceduto da una equestri. (cfr. 3, 7, 25).
introduzione gnomica (vv. 1-3). vv, 8-9 Bellerophonte: cfr. nota a 3, 7, 13 sgg. L’eroe dal cavallo alato è qui, per
Metro: decametri ionici, antonomasia, il cavaliere valoroso.

v. 1 amori = ludum: espressione colloquiale (non la sola di quest’ode stilisticamente vv. 10-12 catus— aprum: la strofe presenta due quadretti tratti dal mondo della
piuttosto vicina al sermo) per indicare una certa libertà di costumi nelle relazioni caccia: «un piccolo capolavoro dell’arte otaziana del cesello » (La Penna). Anche se
amorose: cfr. PLauT. Bacch. 1082 sg. ego dare me meo gnato institui. . sed nimis nolo desi- la caccia era uno sport diffuso in ambiente ellenistico, qui il riferimento è al mondo
780 ; Orazio | Odi II 12, 10 — 13, 6 781

romano, in cui tale attività era molto praticata:: cfr. Cic. Cato 16, 56. Orazio parla tà Spocdevra xal d xatimunvog. èxelva/ foruMoc xeitar tato ‘EAimvidow: / ta SÈ perddy-
spesso della caccia come sport tipico romano (cfr., per es., epist. 1, 18, 49), contrap- quidor Skpvat civ, INb9Le Hardy, / AcAglc Ertei métpa TOÙ TÉ Tor &yAdicev /fowpòv d'aiudbe
posto ai meno faticosi giochi greci, come la palla e il disco (cfr. 3, 24, 54; sat. 2, 2, uepads Tpdyog obrog è puarbc, / Tepuiviov Tpdywy Eoyatov dxpepéva (« rose rugiadose e
9 sge.). In epist. 1, 2, 65 sgg. la caccia al cervo è presentata come sport abituale, e quel fitto serpiello sono qua per le dee dell’Elicona; i lauri dalle foglie scure sono
l'ode 1, 1, ricordiamo, mostra il cacciatore che lascia la moglie sola per andare a offerti a te, Pitio Peana, poiché la roccia delfica fece risplendere questo per te; questo
caccia di un Marsus aper (cfr. note a 1, 1, 25 sgg.). capro cornuto bianco di pelo, che ora rode l’ultimo ramo di terebinto, insanguinerà
il tuo altare »). Nell’ode confluisce anche la tradizione ellenistica del locus amoenus

cre
v. 10 catus: cfr. nota a 1, 10, 3.
(cfr. Anvr. anth. Pal. 9, 313; Leonm. ibid. 6, 334; 9, 326 etc.) (cfr. Pasquali); e il
v. 12 excipere: termine tecnico della caccia, per indicare il momento in cui si af- modello ellenistico è combinato, nella seconda parte dell’ode, con il modello più

LSM
fronta con lo spiedo (venabulum) il cinghiale che esce dalla macchia in cui si nascon- arcaico dell’aretalogia innica (Fraenkel).
deva: cfr. anche Sen. dial. 3, 11, 2 et venientis (sc. feras) excipit et fugientis persequitur. In ogni caso, lungi dall’essere un esercizio letterario, il componimento ha il suo
significato più profondo nell’attenzione di Orazio per il piccolo mondo della natura,
malgrado recenti tentativi di lettura simbolistica che vi scorgono il prevalere di una
13 simbologia erotica (Smith) o una trama di immagini legate alla vita (il rosso del san-
gue, il caldo dell’estate) volutamente contrapposte ai simboli di morte (la neve, il
Pasguati, 553 sgg.; FRAENKEL, 202 sgg.; K. Quinn, 59 sgg.; G.B. NussBAUM, freddo invernale) di 1, 9 (Macours).
« Phoenix » 25, 1971, 151 sgg.; L. et P. BrInD’AMOUR, ibid. 27, 1973, 276 sgg.; D.R. L’ode, celeberrima, considerata un vero e proprio manifesto di poetica, caratte-
SMITH, « Latomus » 35, 1976, 822 sgg.; F. Carrns, « Ant. class. » 46, 1977, 523 sgg.; rizzata da una cifra stilistica veramente splendidior vitro, è uno dei capolavori del clas-
A. Macours, « Étud. class. » 46, 1978, 213 seg. sicismo oraziano. La struttura è limpidamente bipartita, e la bipartizione corrisponde
al duplice modello poetico, quello epigrammatico e quello innico: nei vv. 1-8 la pro-
L'orgoglio espresso dal poeta nell’ultima strofe, con l’allusione alla capacità di messa del sacrificio, nei vv. 9-16 l’inno alla fonte, i
dare la fama agli oggetti del proprio canto, induce a supporre che quest’'ode appar-
Metro: asclepiadeo terzo.
tenga alla maturità della lirica oraziana. Il fons Bandusiae cui è destinato il compo-
nimento è molto probabilmente la fonte vicina alla villa sabina, che era la sorgente
v. 1 0- Bandusiae: si noti la solennità dell’apostrofe, collocata all’inizio dell’ode e
di un ruscello affluente nel fiume Digentia, di cui Orazio parla in sat. 2, 6, 2 e in
preceduta da o. Bandusiae è genitivo epesegetico (cfr. nota a 2, 6, 9 sg.), non, come
epist. 1, 16, 12 sgg. Forse a questa fonte Orazio aveva dato lo stesso nome che per
pensano alcuni, indicazione del nome di una località o di una ninfa, e si riferisce alla
una fontana nei pressi di Venosa è attestato in età medievale (cfr. la bolla pontificia
fonte cui sono destinati il sacrificio e l’ode (cfr. introduzione), malgrado ci sia chi

fili
di papa Pasquale II del 1103, in Bullarum privilegiorum ac diplomatum Romanorum pon-
pone virgola dopo fons, intendendo ‘ più splendida del vetro di Bandusia ?.
tificum amplissima collectio, Roma 1729, 123 sg.), come pensano alcuni, anche se è
altrettanto possibile il processo inverso, e cioè che i Venosini abbiano dato alla fon-
splendidior vitro: cfr. nota a 1, 18, 16.

6 fn
tana il nome reso famoso dal loro illustre concittadino, L'occasione dell’ode può
coincidere con la festa dei Fontanalia (o Fontinalia, secondo Paut. Fest. 75, 7 L.), v. 2 dulci — floribus: la solennità dell’espressione è accentuata dall’allitterazione dulci

i
che si celebravano il 13 ottobre (cfr. Varr. ling. 6, 22), o con una festa estiva (che digne e dalla litote non sine. Sull’uso dei fiori durante i Fontanalia cfr. Varr. ling. 6,
spiegherebbe meglio il paesaggio descritto), per esempio con i Neptunalia del 23 luglio 22 in fontes coronas iaciunt et puteos coronant.
(Brind’Amour), ma può essere indipendente da una circostanza del genere, e in ogni
caso, anche se la cornice rituale rinvia a tradizioni e a culti romani, il modello let- v. 3 haedo: il sacrificio di un capretto alla ninfa di una fonte anche in Ov. fast.
terario dominante è quello ellenistico. 3, 300.
L’ode rientra nella tradizione epigrammatica della promessa di sacrificio, cioè
nel genere anathematikén (cfr. Cairns), e, in particolare, essa presenta alcune affinità, vv. 4-6 frons-— frustra: Orazio guarda al mondo animale con attenzione e simpatia;
forse non casuali, con il primo epigramma di Teocrito (= anth. Pal. 6, 336): tà $6dx in questa descrizione del capretto destinato al sacrificio anziché all'amore e alle zuffe
782 ne Orazio Odi Ill 13, 6 — 14 783

con i rivali, c'è un tocco di pietà che fa pensare al Virgilio georgico, e che ancor di 14
più fa di quest'ode poesia delle ‘ piccole cose’. Per frustra cfr. nota a 3, 7, 21..
PAsQuaALI, 195 sgg.; F. KLINGNER, in Festschr. Schréder, Berlin 1938, 74 sgg. (= Ré-
vv. 6-7 gelidos = rivos: la disposizione chiastica delle parole, con rubro sanguine al mische Geisteswelt, Miinchen 19563, 377 sgg.); La Penna 1963, 71 sg.; 129 sgg.;
centro di gelidos.. .rivos (nesso, quest’ultimo, separato da traiectio e dall’enjambement, Carrns, 179 sgg.; U.W. ScHoLz, «Wien. Stud, » 5, 1971, 123 sgg.; M. Drson, « Greece
mentre rubro e rivos sono legati da allitterazione), sottolinea i forti contrasti su cui and Rome » 20, 1973, 169 seg.
è costruita l’immagine: il sangue si oppone per il suo colore rosso alla limpidezza
della fonte (inficiet è termine tecnico per ‘tingere’, riferito all’effetto colorante del L’ode è databile con sicurezza nel 24 a.C., poiché fu composta per il ritorno
sangue anche in 3, 6, 34), per il suo calore alla freschezza (su gelidos cfr. nota a 1, di Augusto a Roma dopo l’assenza di tre anni coincidente con la spedizione in Spa-
1, 30). gna, e vuol essere la « descrizione progressiva » (Pasquali) della festa celebrata in
v. 8 lascivi= gregis: il gliconeo è interamente occupato dalla perifrasi, che da un occasione di tale avvenimento. È dunque ancora poesia civile, e, come spesso nella
propria lirica civile (cfr. introduzione a 1, 2; 3, 1-6; epod. 16), Orazio si atteggia a
lato chiude, ad anello, la prima parte dell’ode, dedicata al sacrificio, poiché ripete,
variandolo, il contenuto del v. 3, dall’altro conferisce ancora dignità alla dizione. poeta-vates e, come un araldo, si rivolge alla comunità intera, che qui è definita stra-
namente plebs (cfr. nota a 1 sgg.), e che rimane il destinatario reale dell’intera ode,
vv. 9-10 sgp. te...tu: la sezione innica è contrassegnata dal modulo tipico del pro- rispetto a cui l’apostrofe ai pueri e alle puellae nel v. 10 è un'ulteriore specificazione,
nome anaforico (cfr. nota a 1, 10, 5). mentre l’apostrofe al puer del v. 17 è parentetica, è solo un elemento che serve a fis-
sare la situazione conviviale presentata nella strofe. Tuttavia, anche se incidentale e
v.9 flagrantis atrox: l'accostamento di suoni aspri crea un effetto espressionistico,
fittizia, la presenza del puer accanto a quella della plebs corrisponde in modo signi
dando l’idea dell’infuriare della calura.
ficativo allo svolgimento di una nuova situazione poetica accanto a quella iniziale;
hora Caniculae: la Canicola, ovvero stella del Cane o di Sirio, sorge alla fine di il doppio destinatario, cioè, segnala la compresenza di due temi diversi, quello poli-

Ba
luglio, in coincidenza con l’ingresso del sole nel segno del. Leone (cfr. PLIN. nat. hist. tico-augusteo e quello privato-conviviale. Si tratta di due elementi eterogenei che
18, 268; 2, 123). Su hora nel senso di ‘stagione’ cfr. nota a 1, 12, 16. non appaiono perfettamente fusi, al punto che i vv. 17-28 sono stati addirittura con-
siderati un’interpolazione ed espunti (Lehrs). È vero che le due sezioni dell’ode sono
v. 10 nescit tangere: lo stesso che nequit tangere, con costruzione elegante forse rical- caratterizzate da situazioni diverse, da stili diversi, da apostrofi a personaggi diversi,
cata su:quella analoga di èrtotapat. Cfr. anche epist. 1, 12, 10 naturam mutare pecunia è vero che la prima parte rinvia al modello culturale della festa per il ritorno di un
nescit; ars 390 nescit vox ‘missa reverti.
sovrano assente, fissatosi nell’ambito delle monarchie ellenistiche (cfr. PoLyB. 16, 25),
vv. 10-12 frigus — vago: immagine bucolica simile a quella di 3, 29, 21 sg. Cfr. Vero. mentre la seconda parte rimanda alla tradizione della poesia conviviale, riproducendo
ecl. 2, 8; georg. 4, 402; culex 104 sg. tutti gli elementi, in particolare, del motivo della preparazione del convito (cfr. intro-
duzione a 1, 38). Ma l’unità che Orazio ha cercato di dare all’ode è testimoniata dalla
v. 13 fies = fontium: sull’orgoglio poetico qui espresso cfr. introduzione. Nobilium presenza di allusioni politiche anche nella seconda parte (cfr. note di commento), e,
fontium, partitivo, si riferisce alle fonti rese celebri dalla poesia greca, come Castalia, soprattutto, dalla struttura, che si articola nelle due parti già ricordate, quella poli
Ippocrene, Aretusa, Egeria, tica (vv. 1-12) e quella privata (vv. 17-28), di uguale estensione, con la strofe cen-
= saxis: i tratti ‘essenziali del locus amoenus sembrano ispirati alla trale (vv. 13-16) che riassume le precedenti e prepara le seguenti, ugualmente legata
vv. 14-15 cavis
alle une e alle altre (Fraenkel).
realtà del paesaggio italico piuttosto che dettati dalle convenzioni letterarie. Ilicem
La tradizione poetica offriva qualche precedente di fusione fra elemento politico
è probabilmente singolare collettivo per indicare più lecci; si osservino la dispo-
ed elemento privato: per esempio, Callimaco nella Pannychis (fr. 227 Pf.) cantava una
sizione chiastica, l’enjambement e l’allitterazione in i.
festa pubblica nelle vesti di spettatore, e il motivo diventerà nella poesia elegiaca del-
vv. 15-16 loquaces tuae: la frequenza della liquida l crea, per armonia imitativa, l’età augustea il tema del poeta che assiste al trionfo abbracciato alla donna amata

ge
l’effetto del fluire dell’acqua con suono argentino. La musicalità di questi versi è un (Prop. 3, 4, 13 sgg.) o vi si reca per cercare avventure (Ov. ars 1, 177 sgg.). Ma è più
ultimo tocco. di limpidezza stilistica. probabile che, al di là di qualsiasi modello letterario, Orazio abbia voluto esprimere

(NIE
22 **
784 Orazio Odi III 14, 1-11 785

un sentimento radicato nel suo mondo poetico, non tanto la sua idea di un equili- condo altri ha valore avverbiale (‘ Livia trova gioia soltanto in suo marito ’), secondo
brio fra poesia civile e poesia intima, che si esprimerebbe attraverso il contrasto fra altri ancora unico gaudens marito è una perifrasi per univira, termine con cui si desi-
tono solenne e tono leggero, fra vita pubblica e vita privata (Klingner), neppure la gnavano le donne sposatesi una sola volta, alle quali la legislazione augustea accor-
sua consapevolezza dell’incompatibilità fra le due sfere (Dyson). Piuttosto, il legame dava certi privilegi (per Livia Augusto era il secondo marito, dopo Tiberio Claudio
fra le due parti è nel concetto di eò8upla, di tranquillitas animi, e la giustapposizione Nerone, ma il titolo potrebbe esserle stato attribuito a scopo onorifico, così come
avviene per merito, ma anche a prezzo, della confusione fra una accezione politica nel 9 a.C. il Senato avrebbe deliberato per lei lo ius trium liberorum, malgrado ella
e una privata di tale concetto (cfr. introduzione a 3, 2). Il passaggio logico è così rias- avesse solo due figli).
sumibile: «la pax Augusta offre una securitas che rende facile la libertà interiore » v. 6 prodeat: meglio intendere come un invito a mettersi alla testa di un corteo che,
(La Penna), Ma il passaggio risulta forzato (né tale forzatura è riassorbibile entro una alla maniera ellenistica, va incontro al principe, non, come intendono altri, come un
lettura dell'intera ode come appartenente al genere del prosphonetikén, ‘carme per il invito a recarsi in pubblico per rendere agli dei il sacrificio dovuto. In quest’ultimo
ritorno di qualcuno’, e dell'elemento conviviale come imposto dalle leggi di tale caso, bisognerebbe negare a operata il valore di participio perfetto e intendere come
genere: Cairns), e la disposizione oraziana più autentica si rivela nella descrizione un presente, ”
delle gioie del convito, nella presentazione di Neera, una delle tante donne ‘foto-
grafate’ per un attimo che fanno parte della galleria oraziana, e, infine, nell’accenno divis: ambedue le varianti dànno un ottimo senso: iustis operata sacris = « dopo
malinconico alla fine della giovinezza, nella nostalgica rievocazione delle risse not- aver compiuto i sacrifici rituali »; iustis operata divis = « dopo aver sacrificato ai giu-
turne, delle serenate dietro la porta dell’amata. sti dei » (giusti in quanto hanno reso possibile il ritorno di Augusto). Abbiamo pre-
ferito la seconda perché introduce un concetto più specifico, più ricercato, ma non
Metro: strofe saffica. senza esitazione, poiché la prima si inserisce meglio nell'atmosfera sacrale del con-
testo.
vv. 1-4 Herculis= ora: il ritorno di Augusto dalla Spagna è paragonato a quello di
Ercole, che attraversò la stessa regione al ritorno dal compimento di una delle sue v. 7 soror: Ottavia, sorella di Augusto, moglie ripudiata di Antonio e madre di Mar-
fatiche, l’uccisione dei buoi di Gerione. L’assimilazione di Augusto a Ercole è carica cello (sul quale cfr. nota a 1, 12, 46).
di allusioni: da un lato rimanda alla caratterizzazione dell’eroe come benefattore del-
v. 8 vitta: la benda con cui ci si cingeva la fronte durante i riti religiosi; nei
l'umanità e come distruttore di tiranni, rappresentante di un ideale di libertas (cfr. riti di
in Spagna, evo- supplicatio, come sembra essere quello cui si fa riferimento (supplice), la si teneva
note a 1, 12, 25; 3, 3, 9), dall’altro, con l’accenno alle sue imprese
anche in mano: cfr. VerG. Aen. 4, 637; 7, 237. La supplicatio poteva avere, fra
ca l’immagine delle colonne d’Ercole, uno dei confini del mondo (cfr. nota a l, l’altro,
lo scopo di ringraziare gli dei per una guerra conclusasi felicemente (cfr. Liv. 5, 23)
34, 11), allude all'idea ecumenica dell'impero. Infine, tale assimilazione rinvia alla
come o di onorare un vincitore in battaglia o un salvatore della patria (Cic. prov. 27;
qiorovia di Augusto, concetto vicino a quello della statio principis, del principe
Sull. 85).
buon soldato che vigila sempre al suo posto di guardia.
v. 1 0 plebs: un’apostrofe unica in tutta la latinità; di solito, sia pure raramente, si ado- vv. 9-11 virginum — expertae: il passo si presenta oscuro ed è stato variamente in-
pera il nominativo populus, forse per analogia con 206 (Ae0) in espressioni greche teso. Ecco le principali interpretazioni: 1) si identificano i pueri del v. 10 con gli
analoghe. Non è da escludere l’ipotesi, formulata da alcuni interpreti, che Orazio iuvenes del v. 9 (=i giovani reduci dalla Spagna) e le puellae iam virum expertae con
voglia suggerire l’idea di una partecipazione degli strati più umili alle imprese di le virgines sempre del v. 9 (= le giovani spose dei reduci) conservando il testo trà-
Augusto. dito; 2) si individuano tre categorie (pueri, puellae e giovani spose) distinte da virgines
e iuvenes, e pertanto: 4) si aggiunge et oppure ac dopo puellae; b) si conserva il testo
v. 2 morte venalem: espressione iperbolica per indicare l’importanza della vittoria, tràdito aggiungendo una virgola dopo puellae; 3) si individuano due categorie (pueri
forse anche con un riferimento alla malattia che aveva colpito Augusto a Tarragona e puellae) sempre distinte da virgines e iuvenes, e pertanto si emenda variamente sì
(Cass. Dio. 53, 25) e che aveva suscitato timori per la sua vita. da modificare il senso di iam virum expertae (ad es., non o haud per iam; expertes =
v. — marito:
5 unico Livia, moglie di Augusto, solennemente indicata con una peri- « prive » per expertae con virum inteso come genitivo plurale). Tra queste interpreta-
. ,

frasi. Unico ha secondo
. . e e
alcuni il significato di ‘straordinario,
. .
incomparabile ’, se- zioni abbiamo scelto la prima, che consente di mantenere il testo tràdito, pur non
Odi II 14, 11-15 787
786 Orazio

v. 21 dic Neaerae: altro motivo topico della poesia conviviale: si manda a chia-
nascondendoci una seria difficoltà relativa all’identificazione di pueri e puellae con
mare Neera (probabilmente non la stessa di epod. 15), come in 2, 11, 21 sg. Lyde.
iuvenes e virgines. Se, infatti, l’uso di puer nel senso di iuvenis (cfr. 3, 2, 2 robustus acri
militia puer) e di puella nel senso di ‘giovane sposa’ (cfr. 3, 22, 2 laborantis utero v. 22 murreum...crinem: Porfirione ci dice che si tratta di un colore di capelli in-
puellas) non solleva di per sé problemi, è d’altra parte innegabile che il senso più termedio fra il biondo e il nero. Altri intendono, sulla base del confronto con Vera.
naturale per pueri et puellae è quello di ‘ragazzi e ragazze’. L'altro espediente che Aen. 12, 99 sg. crines...murra.. .madentes e con Ov. met. 3, 555 madidi murra crines,
permette di salvare il testo tràdito, l'aggiunta di una virgola dopo puellae, non ci è ‘profumati di mirra’. Ma il colore della mirra sembra appunto quello indicato da
parso felice perché crea una scomoda categoria di maritate la cui definizione non Porfirione: cfr. Ov. met. 15, 399 fulva.. .murra.
risulta chiara. nodo cohibere: la pettinatura più semplice, alla spartana: cfr. nota a 2, 11, 24.
vv. 11-12 male verbis: il concetto è simile a quello di 3, 1, 2: si invitano i parte- v. 23 per — ianitorem: il portiere è spesso depositario dei duri ordini della donna e,
cipanti al corteo a non pronunciare parole di cattivo augurio.. Ma il testo è incerto: come altrove la porta (cfr. nota a 3, 10, 1), ne condivide la spietatezza: cfr. Ov.
ominatis presuppone un insolito uso del participio e produce iato con male. Ma dif-
am. 1, 6,
ficoltà ancor maggiori si oppongono a nominatis: il nesso nominare verba non è al-
trove attestato, e la proposta di intendere la locuzione come un calco semantico del v. 25 albescens...capillus: Orazio soffrì di una canizie precoce: cfr. 2, 11, 15 e
greco Suc@wwoc lascia perplessi. Tutto sommato, sembra preferibile male ominatis. nota; epist. 1, 20, 24.
In particolare, la difficoltà dello iato può essere superata con l’ipotesi che il poeta vv. 27-28 non» Planco: malinconica notazione sulla giovinezza che è ormai trascorsa,
valutasse male ominatis come un’unica parola. portando via con sé l’aggressivo ardore degli anni passati: un tempo il poeta non
vv. 13-14 hic curas: il passaggio dalla sfera politica a quella personale avviene in avrebbe sopportato certi rifiuti. In particolare, si allude al 42 a.C., l’anno del conso-
questa strofe (cfr. introduzione). Mihi dipende dò xotvod sia da festus sia da exiget. lato di L. Munazio Planco, ovvero l’anno della battaglia di Filippi. Ritorna dunque
Atras curas ripete un nesso che in Orazio è quasi formulare: cfr. 3, 1, 40; 4, 11, 35; un episodio saldamente radicato nella memoria di Orazio, e quest’ode, caratterizzata
sat, 2, 7, 115. dalla fusione fra elemento politico e privato, si chiude con il riferimento a un mo-
mento cruciale della vita del poeta, ma anche di quella della comunità intera. La
v. 14 tumultum: questo termine designa un sommovimento così grave da costrin- memoria personale va a incontrarsi con la memoria collettiva.
gere ciascun cittadino a prendere le armi (cfr. Cic. Phil. 8, 3 sg.), e quindi viene rife-
rito sempre a guerre interne o scoppiate ai confini del territorio italico (Liv. 7, 9,
6 tumultum Gallicum).
15
vv. 15-16 tenente — terras: cfr. 4, 15, 17 sg. custode rerum Caesare non furor | civilis aut
vis exiget otium. La pacificazione del mondo compiuta da Augusto è il fondamento Pasguati, 449 sgg.; M.C.J. Putnam, « Class. Philol. » 71, 1976, 90 sgg.
della tranquillità dell'animo, e prepara, come in 3, 8, 17 sgg., la situazione conviviale.
v. 17 unguentum — coronas: gli elementi tipici della situazione conviviale: i profumi L’ode, priva di indizi cronologici, ha come destinatario una donna di nome
(cfr. 2, 3, 13; 2, 7, 23), le ghirlande di fiori (cfr. 1, 36, 15 sg. e nota), il puer (cfr. Chloris: lo stesso nome ricorre in 2, 5, 18, ma non ci sono elementi per ritenere che
nota a 2, ll, 18). si tratti della stessa persona, o, tanto meno, per inferire da ciò una datazione bassa
v. 18 cadum-— duelli cioè un vino particolarmente vecchio, di più di sessant'anni, di questo componimento, nel quale Chloris è già anziana, rispetto a 2, 5, per il quale
risalente alla guerra sociale, detta anche Marsica per la parte che vi ebbero i Marsi è presumibile una cronologia alta (cfr. introduzione). Parimenti, ricorre altrove nella
(su cui cfr. nota a 1, 2, 39) (cfr. ApPIAN, civ. 1, 34 sg.; FLOR. epit. 2, 6, 5), cioè agli lirica oraziana il nome di Pholoe (cfr. 1, 33, 7 e 9; 2, 5, 17), ma ciò, lungi dal con-
anni 90-88 a.C. Sulla forma duelli cfr. nota a 3, 5, 38. sentire una identificazione, mi sembra che sia un elemento a favore del carattere fit-
tizio dei due nomi, il che non esclude che Orazio abbia presente, se non due perso-
v. 19 Spartacum: l’eroe della guerra servile, combattuta negli anni 73-71 a.C. (cfr. naggi precisi, due tipi femminili reali, e che, in ogni caso, il destinatario abbia un
APPIAN. civ. 1, 116 sg.; FLOR. epit. 2, 20). Dopo avere vagato (vagantem) per la Cam- peso effettivo sullo svolgimento dell’ode. Quest'ultima si configura come lo sviluppo
pania e la Lucania, Spartaco si diresse su Roma.
788 Orazio Odi III 15, 1-14 789

di una situazione epigrammatica, alla base della quale c'è un contrasto, quello fra la v. 5 inter— virgines: per ludere nel senso di ‘ danzare’ cfr. 2, 12, 19. Per l’anastrofe
figlia che ha l’età giusta per certi atteggiamenti e la madre che cerca di ringiovanirsi di inter cfr. 3, 27, 51 sg.
e di imitare la figlia.
vv. 7-8 Pholoen...Chlori: cfr. introduzione.
II tipo della donna vecchia che tenta di gareggiare con le giovani ricorre in una
serie di epigrammi dell’Antologia Palatina (11, 66-74), ai quali quest’'ode è certa v. 9 expugnat — domos: secondo alcuni interpreti, l’espressione ha senso proprio, e
mente più vicina che non alle situazioni descritte in 1, 25 e in 4, 13, alle quali è comu- si riferisce all’azione della fanciulla che va a forzare la porta dell’abitazione dei gio-
nemente accostata (Pasquali). La differenza principale fra queste ultime odi e la pre- vani uomini. Più probabilmente, il senso è figurato: la fanciulla si impone di forza,
sente consiste nel fatto che il poeta non è coinvolto in alcun modo, che la sua non per propria iniziativa, anche sugli uomini che non la cercano. E doveva trattarsi di
è la vendetta di un innamorato respinto, ma la constatazione oggettiva di un osser- un costume femminile diffuso in quel tempo, se il moralista Crispo Passieno ne fa-
vatore esterno. Ciò conferisce al componimento un carattere più universale, fra lo ceva un termine di paragone in una lezione di etica, e con una immagine molto simile
gnomico e il parenetico, facendone in certo senso un discorso metaforico sul decus a quella di Orazio, che doveva avere dunque un valore figurato e proverbiale: et qui-
(Putnam), segnando nello stesso tempo la distanza dalle descrizioni di solito racca- dem sic quemadmodum opponi amicae solet quae, si impulit, grata est, gratior si effregit
priccianti degli epigrammi su ricordati, pieni di particolari di cattivo gusto sui mezzi (in Sen. nat. 4a, praef., 6).
adoperati dalle vecchie per ringiovanirsi.
v. 10 Thyias: cfr. nota a 2, 19,9.
Come in altre odi a struttura epigrammatica, fondate su un contrasto, osser-
viamo una bipartizione, complicata dalla disposizione ad anello: i vv. 1-6 e i corri tympano: cfr. nota a 1, 18, 13 sg.
spondenti 13-16 sono dedicati alla donna anziana, i versi centrali alla figlia Pholoe.
v. 11 Nothi: probabilmente altro nome fittizio, anche se sono possibili ipotesi diver-
Metro: asclepiadeo quarto. se, come quelle secondo cui si tratta di uno schiavo (così in alcune iscrizioni latine),
oppure dello pseudonimo-traduzione di uno Spurius (il termine v6dog designa infatti
v. 1 uxor-Ibyci: la perifrasi è nello stile paratragico (cfr. Eur. Hec. 493 IHptkyov il figlio illegittimo).
To6 péy dAGlov Skuap). Ibycus è un altro nome proveniente dal mondo letterario greco;
v. 12 lascivae...capreae: come in 1, 23 e in 2, 5, la similitudine che serve a caratteriz-
probabilmente non manca un’allusione al poeta lirico del VI a.C., noto per i suoi
zare l'adolescente che si affaccia all'amore è tratta dal mondo animale: cfr. in parti
versi lascivi. Pauperis secondo alcuni vuol insinuare che la donna farebbe meglio a
colare 2, 5, 7 sgg. Per l’uso di lascivus cfr. 3, 13, 8.
smettere i propri comportamenti insulsi e ad assumere un tenore di vita consono
alle sue modeste possibilità, secondo altri velatamente allude all'origine illecita del vv. 13-14 lanae...tonsae: filare la lana è l'occupazione consueta della madre di
lusso di Chloris (ma nell’ode non vi sono indicazioni in tal senso). Più verosimil famiglia, ma per una donna come Chloris ridursi a un'attività del genere vuol dire
mente, l’epiteto rientra nell'intento parodico cui accennavamo prima, e contribuisce non servire più a niente. Il motivo della donna infedele che, invecchiata, si mette a
filare la lana è comune: cfr. anon. anth. Pal. 6, 283; Trs. 1, 6, 77 sg. at quae fida fuit

on
a caratterizzare fin dall’inizio i protagonisti della situazione come personaggi meschini,
gabior. Su pauper cfr. nota a 1, 1, 18. nulli, post, victa senecta, | ducit inops tremula stamina torta manu.

v. 2 nequitiae-— tuae: l’espressione, più forte di pone modum (cfr. nota a 1, 16, 2), nobilem...Luceriam: si noti la collocazione delle parole ad incastro. Luceria, in
* sottolinea il fastidio e lo sdegno suscitato dal comportamento ridicolo e disgustoso Puglia, l'odierna Lucera, era rinomata per le sue lane (cfr. StrAB. 6, 284); ma in nobi- -
della donna. Nequitia, come nel linguaggio elegiaco, indica licenza sessuale. lem c'è anche dell’ironia. Si è pensato che qui si voglia alludere alle origini provin-

iii pd ia inn ioni


ciali che la donna avrebbe cercato di nascondere nella sua vita da cortigiana citta-
v. 3 famosis.. .laboribus: altra espressione altisonante con intento parodico; si rife- dina, ma che Orazio, essendo della stessa regione, conoscerebbe bene. Più probabile
risce alle ‘imprese’ che hanno reso tristemente famosa la donna, piuttosto che, come che l’espressione contenga un invito a ritirarsi in provincia, cioè a vita privata.
pensano altri, a lavori disdicevoli, in generale, senza riferimento alla reputazione di
vv. 14-16 citharae — cadi: gli elementi della situazione conviviale fanno capire che,
Chloris.
come la Damalis di 1, 36, Chloris interveniva ai conviti suonando la cetra, e gareg-
v. 4 maturo.. .funeri col significato di ‘ morte imminente ’; la stessa accezione di giando con i bevitori più accaniti, tracannando bicchieri di vino (cfr. nota a 1, 36,
funus in 2, 18, 18. 13 sg.). Per le rose nei simposi cfr. 1, 36, 15; 2, 3, 14; 2, 11, 14.

LAMA
790 Orazio Odi II 16, 1-15 791

16 v. 1 turris aenea: cfr. AproLLon. loc. cit. tkXapov.. .ydAxeov; SopH. Ant. 945 èv Yad
yoderor addato; PAUSAN. 2, 23, 7 yodxoîc dddapoc; Ov. am. 2, 19, 27 aenea turris
FRAENKEL, 229 sg.; G. Carisson, «Eranos» 42, 1944, 13 sgg.; R.J. ScHORK, (tutti riferimenti al mito di Danae).
« Trans. Amer. Philol. Ass,» 102, 1971, 515 seg. v. 3 munierant: cfr. nota a 2, 17, 28.

A quest’ode, uno sviluppo di motivi diatribici e di riflessioni gnomiche che per v. 4 adulteris: indica semplicemente gli amanti illeciti: cfr. 1, 33, 9 e nota a 1, 25, 9.
noi risulta poco omogeneo rispetto al genere lirico e più vicino al sermo, Orazio do- vv. 5-6 Acrisium
— pavidum: cfr. nota a v. 1 sgg.
veva invece attribuire notevole importanza, se la dedicò a Mecenate e la pose all’ini-
zio della seconda metà del libro III. Tale collocazione fa sì che l’ode svolga, all’ine vv. 6-7 Iuppiter risissent: Venere e Giove ridono spesso dell’ingenuità e della
terno del libro, la stessa funzione dedicatoria che nel libro I ha la prima ode e nel scarsa lungimiranza dei mortali: cfr. nota a 2, 8, 13.
libro II l’ultima (Fraenkel). Al ruolo in certo senso proemiale di 3, 16 bene si addice vv. 7-8 tutum— deo: traspare un’interpretazione razionalistica del mito, secondo cui
il suo contenuto, che consiste nella difesa della propria scelta di vita: tornano ancora Giove si sarebbe trasformato in oro (pretium è l’oro in quanto moneta, metallo ca-
una volta i motivi diatribici del rifiuto del lusso e dell’autarkeia del saggio, e l’ode si pace di comprare qualcosa, come in epist. 2, 2, 173) fidando sul potere corruttore di
sviluppa attraverso un movimento dall’exemplum alla gnome e dalla gnome alla situa- quest’ultimo. Ovidio arriva addirittura a insinuare che l’oro servisse per corrompere
zione personale. Il risultato è una struttura fondamentalmente bipartita in due bloc- Danae (am. 3, 8, 29 sg.).
chi disuguali (vv. 1-16: esempi mitologici, vv. 21-44: l’esperienza del poeta) contras-
segnati dalle sentenze finali. La gnome che conclude la prima parte prepara il passag vv. 9-11 aurum-— fulmineo: il potere corruttore dell'oro vince la resistenza delle
gio alla seconda patte, in una strofe (vv. 17-20) che fa da cerniera, e la cui centralità guardie del corpo, e abbatte gli ostacoli più duri.
è segnalata dalla presenza del vocativo Maecenas. Il destinatario non sembra avere un v. 10 perrumpere amat: su questa costruzione di amo cfr. nota a 2, 3, 10.
rapporto molto stretto con lo svolgimento dell’ode, e la sua presenza potrebbe ridursi
a un ‘posto d’onore’; ma non è da escludere che il poeta suggerisca una analogia vv. 10-11 potentius— fulmineo: rimando al mito narrato nelle prime due strofe:
fra la propria scelta e quella dell’illustre amico, che non volle percorrere il cursus l’oro si rivelò per Giove stesso più potente della sua più potente arma, il fulmine.
honorum (cfr. nota a 1, 1, 1). Meno probabile che l’ode vada interpretata come un vv. 11-12 concidit —lucrum: altro esempio mitico della forza corruttrice dell’oro:
ringraziamento del poeta al suo protettore, al quale non chiede più di quanto ha già l’indovino di Argo, Anfiarao, si lasciò convincere a partecipare alla guerra contro
avuto (Carlsson). Tebe, pur prevedendone l’esito infausto, dalla moglie Erifile, che a sua volta si era
Non ci sono elementi di datazione: una vecchia ipotesi senza fondamento, che lasciata corrompere dal dono di una collana fattole da Polinice. Anfiarao morì du-
recentemente ha trovato nuovi sostenitori (Schork), voleva che l’ode fosse un gentile rante la spedizione, e il figlio Alcmeone uccise, per vendicarlo, la madre, e fu poi
diniego di Orazio all’offerta di Augusto di nominarlo suo segretario (cfr. SuET. vita ucciso dai cognati che volevano impossessarsi della collana fatale: cfr. Hom. Od. 11,

pin
Hor. 18 sgg. Rostagni). 326 sg.; ApoLLon. 3, 6, 2; STAT. Theb. 2, 267.
Metro: asclepiadeo secondo. v. 13 demersa evoca l’immagine della morte di Anfiarao, che fu inghiottito dalla

ioni nin
terra presso Oropo.
vv. 1-4 inclusam — adulteris: la forza irresistibile dell'oro è esemplificata attraverso vv. 13-14 diffidit —f Macedo: riferimento a quanto Filippo il Macedone affermava e
un noto episodio del mito; dove però l’oro non è che una trasformazione di Giove. metteva in pratica, cioè che le città si espugnano con carichi di oro: cfr. Cic. Att, 1,
Acrisio, re di Argo, aveva appreso da un oracolo che sarebbe stato ucciso dal figlio

ian
16, 12; Prur. Aemil. Paul. 12, 6; Var. Max. 7, 2, ext. 10; Iustin. 9, 8, 8.
della propria figlia, Danae, la quale era stata perciò rinchiusa in una torre di bronzo,
dove soltanto Giove poté entrare, sotto forma di una pioggia di oro, rendendo Danae vv. 14-15 subruit — muneribus: con gli stessi mezzi di corruzione Filippo eliminò
madre di Perseo: cfr. Hom. Il. 14, 319; Simon. fr. 543 P.; Piwp. Isthm. 7, 5; Apot- gli altri pretendenti al trono macedone, come Pausania (cfr. Diopor. 16, 3).
LoD. 2, 2, 4; NaEv. trag. frr. 3-13 R2; Ov, met. 4, 611; ars 3, 415; am. 2, 19, 27; 3, v. 15 munera: si noti l’efficacia della ripresa, con poliptoto, di quella che deve con-

BS bic
8, 29 spg. siderarsi qui una parola-chiave.
792 . Orazio Odi II 16, 15-44 793

vv, 15-16 navium — duces: secondo molti interpreti, sulla base soprattutto del pre- vv. 31-32 fulgentem— beatior: si tratta di una espressione iperbolica per indicare
sente illaqueant (il verbo, molto raro, viene dal linguaggio della caccia, ed esprime un'estesa proprietà terriera in Africa (i latifondi africani erano proverbiali, e spesso
la stessa idea del nostro ‘ irretire ’), vi è un riferimento a un episodio della storia re- definiti per mezzo di iperbole: cfr. nota a 1, 1, 10; 2, 2, 10). Sorte (ablativo di limi
cente, in particolare a Mena (o Menodoro), che, durante la guerra fra Ottaviano e tazione) si riferisce alla condizione di vita di Orazio; fallit è costruito come calco su
Sesto Pompeo (39-36 a.C.), tradì quest’ultimo per Ottaviano, poi ritornò a lui, per revtdvew. Secondo altri, sorte sottintende sua, e indica propriamente l’aver avuto in
tradirlo una seconda volta (cfr. Cass. Dio. 48, 45; 49, 1; Suer. Aug. 74). Secondo sorte, per estrazione, la provincia d’Africa. Il riferimento sarebbe perciò al procon-
altri, si tratta invece di una allusione generica al potere che l’oro ha non solo in sole di questa provincia, e poiché tale carica fu istituita nel 27 a.C., sarebbe que-
terra, ma anche in mare. st’ultimo un terminus post quem per la nostra ode. Ma il confronto, già notato, con
altri passi oraziani, in cui ricorre l’immagine dei latifondi africani, e l’epiteto fertilis
vv. 17-18 crescentem— fames: il rapporto fra la gnome e gli esempi precedenti è
non lasciano dubbi sul fatto che il riferimento è qui, come del resto richiede il con-
antitetico anziché analogico; essa si collega a quanto segue più che a quanto precede.
testo, alla ricchezza fondiaria, non a una carica politica.
Il concetto è quello, comunissimo, del denaro che non dà la felicità; anzi le angosce
crescono proporzionalmente ad esso (la stessa personificazione della cura che in 2, v. 33 Calabrae...apes: le rinomate api che davano il miele di Taranto (la Calabria,
16, 21 sgg.; 3, 1, 38 sgg.). Maiorum è neutro; per fames riferito all’avidità di ricchezze si ricordi, era la parte meridionale dell’odierna Puglia): cfr. nota a 2, 6, 14 sg.
si ricordi il celebre auri sacra fàmes di Vero. Aen. 3, 57.
v. 34 Laestrygonia— amphora: l’aggettivo di provenienza si riferisce all’anfora (cfr.
v. 19 late conspicuum: con valore prolettico: Orazio rifuggì dall’elevarsi di condizione 1, 9, 8) anziché al vino (qui, per metonimia, Bacchus), ed equivale a ‘ prodotto a For-
in modo da esser visibile per largo tratto. Lo stesso vanto in 2, 18, 10 sg. (cfr. nota). mia’ (cfr. nota a 1, 20, 10 sg.), poiché tale città veniva spesso identificata con la Le
strigonia di Hom, Od, 10, 80 sg. e 23, 318: cfr. Cic. Att. 2, 13, 2; Ov. met. 14, 233;
v. 20 Maecenas — decus: sul destinatario e sulla collocazione in questa strofe di pas-
PLIN. nat. hist. 3, 59.
saggio, nonché sulla possibilità che equitum decus alluda alle moderate ambizioni di
Mecenate cfr. introduzione (cfr. inoltre nota a 1, 1, 1). v. 35 languescit: il vino, invecchiando, perde la sua asprezza: cfr. 3, 21, 8 langui-
vv. 21-22 quanto — feret: un topos comune nella filosofia divulgativa: la rinuncia diora vina.
alle ricchezze esteriori comporta un arricchimento nel senso più vero (cfr. Cic. parad. vv. 35-36 Gallicis — pascuis: la Gallia Cisalpina era rinomata per la lana bianca delle
6, 51; SEN. epist. 62, 3). sue pecore: cfr. StrAB. 5, 1, 12; Prin, nat. hist. 8, 190; CoLum. 7, 2.
vv. 22-24 nil gestio: con una metafora tratta dal linguaggio militare, si conside- v. 37 importuna...pauperies: l’aggettivo attribuisce a pauperies una sfumatura che
rano i ricchi e i contenti di poco come due schieramenti in guerra fra loro. Il poeta, la avvicina alla egestas (cfr. nota a 1, 1, 18).
nudus nella sua autarkeia, abbandona il campo dei ricchi per l’altro: l’immagine risulta
forzata, nel suo rigido didascalismo, poiché Orazio non è mai stato ricco, v. 39 cupidine: cfr. nota a 2, 16, 15.

vv. 25-28 contemptae — inops: ancora una variazione sul tema filosofico del ‘solo v. 40 vectigalia: in origine, i proventi pubblici; ma la parola designa poi anche le
il saggio è ricco ’ (cfr. nota a 2, 2, 9); ancora una volta lo schema diatribico è riem- rendite private: cfr. Cic. Att. 12, 19 e, per il concetto, sat. 2, 2, 100 sg. ego vectigalia
pito attraverso un’idea concreta di ricchezza come ricchezza fondiaria (cfr. note a 1, magna | divitiasque habeo tribus amplas regibus; Cic. parad. 6, 49 magnum vectigal est
1, 9 sg.; 2, 2, 10). Inter opes inops è un costrutto ossimorico, che esprime l’idea del- parsimonia.
l’insoddisfazione eterna del ricco, ma anche della sua avarizia che lo fa comportare
quasi fosse povero (cfr. sat. 1, 1, 70 sg.; 1, 6, 107 sg.). vv. 41-42 Mygdoniis — continuem: su questo genere di iperbole cfr. nota a 2, 2, 10.
Per i campi Migdonii, cioè della Frigia, cfr. nota a 2, 12, 22. Alliatte (per il genitivo
vv. 29-32 purae — beatior: l’esempio che illustra le sentenze appena enunciate è auto- Alyattei cfr. Ulixei di 1, 6, 7) era il padre di Creso, re della Lidia, la cui ricchezza era
biografico: Orazio si riferisce al podere che circonda la propria villa sabina. Gli ele- proverbiale: cfr. StrAB. 14, 5, 28.
menti descrittivi, dalla fonte d’acqua al boschetto, coincidono con gli altri riferi
menti presenti nella poesia oraziana: cfr. 1, 22, 9; sat. 2, 6, 1 sgg.; epist. 1, 16, 12; vv. 42-44 multa — manu: ulteriore variazione sentenziosa del concetto più volte enun-
1, 18, 104. ciato in quest’ode. In particolare, la formulazione qui ricorda 2, 16, 13 sg. (cfr. nota).
794 * (Orazio Odi II 17, 1-10 795

17 v. 4 memores. . .fastus: si riferisce solo al genus omne nepotum di cui si ha memoria


storica, mentre i priores del v. 2 si perdono nella nebbia della tradizione mitica. Con
M. GrosEj, « Ziva Ant.» 3, 1953, 74 sge. memores fastus (stessa espressione in 4, 14, 4) Orazio indica non i fasti consolari, in
senso proprio, ma, genericamente, le raccolte di documenti, tradizioni d’archivio,
Priva di indizi cronologici, quest'ode ha come destinatario uno dei rappresen- memorie familiari, opere antiquarie come quella di Varrone (cfr. introduzione), pro-
tanti dell’illustre famiglia Lamia; probabilmente si tratta di Lucio Elio Lamia, desti- duzione annalistica come quella di Attico, della quale sappiamo che sic familiarum
nato a essere console nel 3 d.C., forse lo stesso personaggio (o il fratello di costui) originem subtexuit ut ex eo clarorum virorum' propagines possimus cognoscere (Nep. Att.
cui è dedicata 1, 26 e che compare in 1, 36 (su Lucio Elio e su tutta la famiglia Lamia 18, 2).
cfr. introduzione a queste due odi). Non possiamo stabilire quale peso abbia il desti- v. 5 auctore—-originem: viene ripreso il motivo della discendenza, per un intero
natario sullo svolgimento dell’ode: non è sicuro che l’occasione sia la ricorrenza del verso e con tono solenne: auctor nel senso di ‘capostipite’ è dizione elevata: cfr.
compleanno dell'amico, come alcuni deducono dalle parole genium curabis (cfr. nota nota a 1, 2, 35 sg.
al v. 14 sg.). È più probabile che vi sia un contrasto intenzionale fra la grandezza dei
ducis: l'emendamento ducit, che naturalmente richiede la soppressione della vir-
natali di Elio Lamia, pomposamente celebrati nelle prime due strofe, e il senso d’in-
gola dopo fastus, fa di genus un nominativo soggetto appunto di ducit. In tal modo
certezza del domani, della precarietà dell’esistenza che domina la seconda parte.
l'andamento del periodo risulta innegabilmente più spedito, e si evita inoltre la tau-
Queste due parti (vv. 1-9a; vv. 9b-16) si equilibrano dal punto di vista della
tologia nobilis ab Lamo | auctore ab illo ducis originem; ma il testo tràdito appare co-
simmetria strutturale, e inoltre per la fusione dei toni: l’ironia con cui nella prima
munque accettabile.
parte Orazio, sembra scherzare sulle manie ‘araldiche’ delle famiglie romane, che
amavano proclamare una discendenza da personaggi mitici (la diffusione di questo vv. 6-7 qui-— princeps: la perifrasi ripete, variandolo, il nome di Lamo, mitico fon-
atteggiamento mentale è testimoniata dal De familiis Troianis di Varrone, che stabi datore di-Formia (cfr. nota a 3, 16, 34).
liva per alcune gentes romane un'origine troiana), si stempera nella malinconia della vv. 7-8 innantem — Lirim: il Liri, l’attuale Garigliano (cfr. anche 1, 31, 7), trabocca
seconda parte, nell’esortazione a preparare il banchetto per fugare la tristezza income sulle rive del boschetto dedicato a Marica, formando le paludi del Minturno: cfr.
bente. Nel complesso, l’ode è accostabile a carmi di ispirazione alcaica come 1, 9 o STRAB. 5, 3, 6 (18). Il boschetto di Marica, in connessione col Liri, è ricordato da
come l’'epodo 13. Martiar. 10, 30, 9; 13, 83, 1.
Metro: strofe alcaica. v. 7 Maricae: antica divinità italica, moglie di Fauno e madre di Latino, venerata
a Laurento (cfr. Vero. Aen. 7, 47), che una tradizione identificava con Circe (cfr.
v. 1 AeliLamo: la solennità dell’apostrofe, con il nome del destinatario collocato Serv. Aen. 12, 164; Lac. inst, 1, 21, 23).
in sede iniziale e il riferimento agli illustri natali (come in 1, 1, 1 Maecenas, atavis edite
v. 9 late tyrannus: calco dell’epiteto omerico ebpuxpsicv (Il. 1, 102), che può pre-
regibus), che a sua volta prepara la lunga parentesi sulla discendenza dei Lamii, è affet-
supporre la traduzione virgiliana late regem (Aen. 1, 21); ma è possibile il rapporto
tuosamente ironica nei confronti dell’amico.
inverso, oppure che la fonte comune sia Ennio (GroSelj).
Lamo: il re dei Lestrigoni ricordato da Hom. Od. 10, 81.
vv. 9-12 cras— sternet: all’altisonanza del nobile lignaggio subentra bruscamente, al-
vv. 2-4 quando — fastus: la parentesi esplicativa ha un tono didascalico e un carat- l'interno dello stesso verso in cui si trova l’epiteto che designa il vasto potere del-
tere di documentazione che fa pensare a un riecheggiamento delle note erudite della l’antenato di Lamia, l’incertezza del giorno dopo, per il quale si annuncia una tem-
letteratura antiquaria sulle origini familiari (cfr. introduzione). In questo contesto, pesta. Alla vanagloria delle cose terrene si contrappone la squallida desolazione del
naturalmente, produce un effetto di lieve ironia. bosco colpito dall’infuriare del vento, della riva del mare coperta dalle alghe morte;
v. 2 hinc cioè ab hoc (cfr. nota a 1, 12, 17). e, come altre volte in Orazio (cfr. 1, 9, 1 sgg.), il paesaggio è uno stato d’animo.
v. 3 denominatos. . .nepotum: si noti la lunghezza delle due parole, che occupano v. 10 alga...inutili: lo scarso valore dell’alga era proverbiale (cfr. sat. 2, 5, 8; VeRG
quasi tutto il verso, dando il dovuto rilievo a due concetti-chiave quali il nome e ecl. 7, 42 vilior alga), ma inutili, lungi dall’essere un epiteto ozioso, suscita il pensiero
la discendenza. della fragilità e della vanità dell’esistenza.
796 . Orazio Odi II 17, 11 - 18, 1 797

v. 11 Euro: cfr. nota a 1, 28, 25 sgg.; qui indica un vento tempestoso qualsiasi. di Mecenate nel 33-32 a.C. L'occasione è offerta da una festa in onore di Fauno
vv. 12-13 aquae — cornix: il grido della cornacchia era considerato annuncio di piog- avente luogo nel villaggio di Mandela, nei pressi della villa; si tratta probabilmente
gia dalla prognostica antica: aquae augur cornix sembra tradurre detéuavi xopow di di un rito locale, festeggiato il 5 dicembre (cfr. v. 10), distinto dai Faunalia veri e
EupzÒorion. fr. 89 Powell; cfr. anche Arat. 953; Vero. georg. 1, 388; Lucr. 5, propri, che ricorrevano il 13 febbraio, nonostante un tentativo di leggere il compo-
1081 sgg. nimento come evocazione immaginaria di un ambiente da età dell’oro, indipendente
da una festività reale, e influenzata piuttosto dalla letteratura millenaristica, in parti-
v. 13 annosa: secondo,un’opinione diffusa, la cornacchia viveva l'equivalente di nove colare da un oracolo sibillino (3, 788 sgg.) (Holleman).
generazioni umane: cfr. Hrs. in PLIN. nat. hist. 7, 153 e in PLUT. mor, 415c; cfr. anche L’ode mostra notevoli analogie con 1, 17, nella quale pure domina la presenza
Ara. 1022 e Lucr. 5, 1084 cornicum saecla vetusta.
di Fauno, ma rispetto a questa contiene meno elementi mitologici e topici e una pre-
dum potes: espressione pregnante: non è solo una esortazione a mettere da parte valente connotazione italica, che si spiega probabilmente con il ruolo che ha avuto
la legna prima che piova, ma assume il valore di un invito a godere, uno dei tanti pre- nella sua genesi l'osservazione diretta. Ciò conferisce un carattere originale a questo
senti nella lirica oraziana (cfr., per es., 1, 9, 17 sg.). componimento, nel quale tuttavia confluiscono tradizioni attestate da lungo tempo:
vv. 14-15 genium— curabis: il Genio era una sorta di demone che accompagnava la descrizione della festa di villaggio è un tema caro alla poesia ellenistica e latina,
la vita dell'uomo, che regolava l’astro preposto alla nascita di ognuno (cfr. epist. 2, dalle Talisie di Teocrito a Vero. ecl. 5, 65 sgg. a Tis. 2, 1, ma è probabile che Orazio
2, 187; CENSORIN. 3), al quale si offrivano sacrifici in varie occasioni, ma soprattutto abbia presente un modello lirico arcaico, SaPPH. fr. 2 L.-P. (Bartoletti). Ellenistica
nel giorno del compleanno. Tuttavia una norma vietava sacrifici cruenti, come quello deve essere anche la caratterizzazione di Fauno come dio che insegue le ninfe, cor-
qui descritto, nel giorno natalizio (cfr. VARR. in CENSORIN. 2, 2). Non è però questo rendo all'impazzata per i monti, e che, sulla base dell’assimilazione fra la divinità
l'ostacolo a considerare l’occasione dell’ode il compleanno di Lamia (la regola è quasi italica Fauno e il dio greco Pan, già avvenuta da tempo nella cultura latina (cfr. nota
sicuramente disattesa in 4, 11, 7 sg., dove si sacrifica un agnello per il genetliaco di a 1, 4, 11), attribuisce al primo le prerogative che ha il secondo, per esempio, in un
Mecenate, pur senza nominare il Genio), quanto la difficoltà di cogliere un legame autore del II d.C., dipendente da modelli ellenistici, come Longo Sofista (Pasquali);
con la descrizione della tempesta imminente. Il Genio si onorava in molte altre occa- mentre una curiosa proposta esegetica vede una assimilazione di Fauno a Orazio
sioni, donde locuzioni come indulgere Genio (Pers. 5, 151) o defraudare Genium stesso, il quale sarebbe anche lui nympharum fugientum amator (Holleman).
(PrauT. Aul. 719 sg.), dove il Genio equivale alla propria persona, in quanto carat- i La struttura, limpidamente bipartita (nei vv, 1-8 l’invocazione a Fauno, secondo
tere e temperamento. In conclusione, Orazio invita semplicemente Lamia ad asse moduli tradizionali (cfr. note di commento), nei vv. 9-16 la descrizione della festa),
condare la propria indole, la propria disposizione alle gioie della vita (si noti la col- è un altro elemento di quella raffinata semplicità che caratterizza questo « piccolo
locazione centrale di mero fra genium e curabis). capolavoro » (Fraenkel), nel quale soprattutto, indipendentemente dalle fonti, siano
esse letterarie o folcloriche, domina, attraverso la calma miracolosa connessa all’epi-
v. 15 porco bimenstri: particolarmente tenero, perché appena svezzato (cfr. VARR. fania del dio, un senso quasi religioso della natura, un sentimento del paesaggio buco-

i
rust. 2, 1, 20; 2, 4, 13). lico, al di là di qualsiasi stilizzazione letteraria, come luogo privilegiato del rapporto

|a AA Mid
v. 16 famulis — solutis: liberi dai lavori, come secondo l'abitudine dei giorni di piog-

in dn) I i
fra uomo e divinità,
gia: cfr. sat. 2, 2, 119; Hes. op. 494; Cic. de orat. 3, 58; Vero, georg. 1, 259.
Metro: strofe saffica.

18 v. 1 Faune: il vocativo del destinatario è collocato in sede iniziale, come si addice


al nome di una divinità fatta oggetto di invocazione. Su Fauno, divinità spesso pre-
Pasguati, 559 sgg.; V. BARTOLETTI, « St. ital. filol. class. » 15, 1938, 75 sgg.; sente nel mondo poetico oraziano, cfr. 1, 4, 11; 1, 17, 1 sg.; 2, 17, 28 (e note relative).
FRAENKEL, 204 sgg.; A.W. HoLLEMAN, « Latomus » 31, 1972, 492 sge.;: In., «Ant.
class. » 41, 1972, 563 sgg. Nympharum— amator: il nomen agentis ha valore di epiteto, indica una qualità per-
manente del dio. Il quadro di Fauno che insegue le Ninfe deriva dalla analoga rap-

lla be
Sulla cronologia di quest’ode si può affermare soltanto che (ma si tratta di un presentazione di Pan cui Fauno è assimilato, in una tradizione letteraria ellenistica,
margine molto ampio) essa deve essere posteriore al dono della villa sabina da parte attestata, per esempio, in ATHEN. 15, 694, 4; Lone. 2, 39, 3.

Hib
798 Orazio Odi II 18, 3 — 19 799

v. 3 lenis incedas: il riferimento al passo con cui si prega il dio invocato di giun- percus, protettore delle greggi dai lupi, come pensano alcuni interpreti. L’improvvisa
gere rivelandosi è un elemento formulare religioso: cfr. l'antica preghiera delle donne mansuetudine dei lupi è un effetto dell’epifania di Fauno, è un modo di dare l’idea
di Elide a Dioniso in PLuT. Aet. Gr. 36, 299b (té Bota roòì dvicv), la preghiera a Dio- della pace miracolosa creatasi per incanto all’apparire della divinità, qualcosa di simile
niso in SorH. Ant, 1144 (xadapotw rodi) e in ARISTOPH. ran. 330 sg.; e inoltre CatuLI. alla calma prodigiosa di 1, 17, 9 nec Martialis (metuunt) haediliae lupos.
61, 9 sg. (a Imeneo) huc veni, niveo gerens / luteum pede soccum; Vere. georg. 2, 7 sg. huc, v. 14 spargit
— frondes: altro effetto miracoloso della presenza di Fauno.
pater o Lenaee, veni nudataque musto | tingue novo mecum dereptis crura cothurnis. Lenis si
riferisce forse non solo all’atteggiamento benevolo, ma anche, propriamente, a un vv. 15-16 gaudet— terram: il lavoratore della terra (fossor, come in VERG. georg. 2,
incedere calmo, lontano dall’irruenza abituale di Fauno—Pan (cfr. THrocg. 1, 18). 264) gode di battere danzando la terra, odiata perché dura da lavorare (pepulisse è
infinito aoristico), o secondo altri, intendendo pepulisse come perfetto, egli è con-
vv. 3-4 abeas — alumnis: i piccoli del gregge, non, come pensa qualcuno, le giovani tento, nelle pause della danza, di aver battuto la terra.
piante. Questo accenno ha fatto pensare che, così come in molti testi antichi è espressa
la credenza che gli armenti deperissero o impazzissero per maleficio di Pan o di Fauno, v. 16 ter — terram: altro riferimento a tradizioni italiche, probabilmente al tripudium,
dovesse esservi la credenza che Pan--Fauno, nella sua corsa all’inseguimento delle danza rituale dei Salii (cfr. Liv. 1, 20, 4), in ogni caso a un ritmo triadico, basato su
Ninfe, colpisse mortalmente gli animali che incontrava sulla sua strada. un numero di significato religioso come il tre, e quindi sacrale. L’allitterazione in t
e in p (pepulisse-bedem, ter-terram) è fortemente onomatopeica (cfr. nota a 1, 4, 7),
v. 5 si...cadit: modulo molto comune in preghiera: cfr. nota a 1, 32, 1.

pleno. ..anno: ablativo di tempo, che si riferisce al ripetersi del rito al compimento
di un anno, piuttosto che, come spiegano altri, ablativo di qualità riferito a haedus
19
(« un capretto di un anno compiuto »).

v. 6 Veneris sodali: secondo alcuni, è apposizione di craterae del v. 7, dativo retto E. BicnoNE, « Riv. filol. class. » 7, 1929, 457 sgg.; H.U. InsTtINSKy, « Hermes »
da desunt; secondo altri, si riferisce a un tibi (Fauno) sottinteso, con craterae genitivo 82, 1954, 123 sgg.; H. TRAENKLE, « Mus, Helv, » 35, 1978, 48 sgg.; P. ELDER, « Amer.
di specificazione rispetto a vina; se non come secondo dativo retto da desunt. A con- Journ. Philol. » 103, 1982, 178 seg.
forto della prima ipotesi c’è il motivo topico di Bacco compagno di Venere (cfr. Eur.
Bacch. 773; AtHEN. 444d; Posipipp, anth. Pal. 5,134, 2 e Orazio stesso in 3, 21, 21); Il Murena in casa del quale si svolge il convito descritto in quest’ode è da iden-
a sostegno della seconda la connessione di Pan e Afrodite in alcuni culti attici (cfr. tificare con Lucio Licinio Murena, cognato di Mecenate, probabile destinatario di 2,
Pausan. 5, 15, 6). 10 (cfr. relativa introduzione); nel v. 10 egli è presentato come facente parte del col-
legio degli auguri, ma ciò non comporta alcuna conclusione riguardo alla cronologia,

acne
v. 7 vetus ara: il semplice, primitivo santuario campestre, che rinvia alle pitture pae-
se non che siamo qualche anno prima della caduta in disgrazia di Murena, avvenuta
saggistiche di età ellenistica, rivela un gusto quasi romantico di Orazio per le rovine
nel 23 a.C. (cfr. introduzione a 2, 10). A una datazione abbastanza anteriore a tale
di antiche cappelle, come in epist. 1, 10, 49 (fanum Vacunae) (Pasquali).
data farebbe pensare la notevole affinità con 1, 27 e con gli epodi 7 e 16, componi-

ani iam
vv. 7-8 multo...odore: cfr. 1, 30, 3 ture...multo. È stata notata una analogia con menti con i quali l’ode ha in comune la tecnica drammatica e la mancanza di un vero
Sapru. fr. 2, 3 sg. L.-P. Bé&por + Seurdvpidue / vor Apavtai (cfr. introduzione). e proprio destinatario, anche se lo svolgimento presuppone che il poeta si rivolga a

i ii
tutti i convitati (cfr. introduzione a 1, 27).
v. 10 Nonae...Decembres: cfr. introduzione.
All’interno della struttura, si individua una bipartizione fra i vv. 1-8, in cui è
vv. 11-12 festus— pagus: alla caratterizzazione di Fauno in senso ellenistico si con- manifestato il rifiuto delle discussioni dotte, e i vv. 9-28, che contengono la situa-

ATM
trappone un quadretto ispirato alla realtà italica: la festa nel pagus, che vede ugual zione conviviale vera e propria, a cui corrisponde il contrasto epigrammatico su cui
mente oziare, accomunati nel riposo, uomini e animali. si fonda l’ode, la contrapposizione delle gioie del convito e dell’amore all’inutile eru-
E dizione delle discussioni della prima strofe.
#
v. 13 inter — agnos: gli agnelli, non avendo più paura del lupo, diventano spavaldi, FE
ma il fatto che il lupo sia innocuo non vuol dire che Fauno sia assimilato al dio Lu- Metro: asclepiadeo quarto.

E 23 **
800 Orazio Odi II 19, 1-20 801

convitato (non è necessario che si


x
vv: 1-4 quantu mil poeta si rivolge a un
— Ilio: v. 8 Paelignis.. frigoribus cioè un freddo proverbiale: cfr. Ov. fast. 4, 81; trist. 4,
tratti del Telefo apostrofato nel:'v. 26) impegnato in discussioni erudite su questioni 10, 3. i .
cronologiche é mitologiche. La polemica contro l’inutile erudizione e le. discussioni
vv. 9-11 da Murenae: ora il poeta si rivolge al puer, figura sempre presente nelle
oziose, più che dalla poesia ellenistica (cfr. lyr. adesp. 37, 5 sgg. Powell eldec Èap,
situazioni conviviali (cfr. nota a 2, 11; 18). In particolare, qui si trattà del coppiere,
yerutiva, Hpos rado tori Stbdov / frrog adrdc Edu, xad wbÉ tà teroyuev dréyer / un xorta
il puer ad cyathum (cfr. nota a 1, 29, 7 sg.).
Yayretv médev Maio 7 médev Hip, / Ada rbdev rd uipov al Todc oTEPÀVOUS drophone. |
A5àe. pot), deriva da uno dei luoghi comuni delle filosofie morali post-aristoteliche, v. 9 lunae...novae: per la costruzione con il genitivo cfr. nota a 3, 8, 13 sg. Il novi-
presente nell’epicureismo (cfr. Ericur. fr. 89 Arr.), nello stoicismo (cfr., per es., SEN. lunio sta qui probabilmente a indicare, come in greco la vovyunvia, l’inizio del mese,
epist. 88, 7; dial. 10, 13), nel cinismo (cfr., su Diogene, Dioc. LaerT. 6, 27) (Bignone), sulla base della coincidenza fra mese e mese lunare (cfr. Macr. Sat. 1, 15, 20).

v. 1 ab Inacho: cfr. nota a 2, 3, 21. vv. 10-11 auguris Murenae: cfr. introduzione.

v. 2 Codrus— mori: l’ultimo re degli Ateniesi, che sacrificò la propria vita per la vv. 11-12 tribus — commodis si riferisce probabilmente alla lex convivii imposta dal-
patria, quando gli Spartani invasero l’Attica e un oracolo predisse che avrebbe vinto l’arbiter bibendi (cfr. nota a 1, 4, 18; 2, 7, 25), secondo cui bisogna vuotare tre o nove
quello dei due popoli il cui re fosse morto in guerra; per farsi uccidere egli entrò nel bicchieri per attenersi a una misura conveniente. Questa regola doveva essere molto
campo nemico travestito (cfr. Lycura. contr. Leoc. 84 sg.). diffusa: cfr. Varr. Men. 333 Ast. convivarum numerum incipere oportere a Gratiarum
numero et progredi ad Musarum (in riferimento però al numero dei convitati); Auson.
v. 3 genus Aeaci: la stirpe di Faco comprendeva Peleo e Telamone e i figli di questi, gribh. tern. num. 1 sg. ter bibe vel totiens ternos: sic mystica lex est / vel tria potanti vel ter
Achille, Telamone e Teucro (cfr. ApoLLon. 3, 12, 6). tria multiplicanti. i i
v. 4 sacro...Hio: cfr. l’espressione omerica "TAuog iphj (Il. 6, 448), e, sull'uso del- v. 12 cyathis: cfr. nota a 1, 29, 8.
l'epiteto riferito a città, cfr. nota a 1, 28, 28 sg.
v. 13 Musas...imparis: fra i due numeri, il poeta sceglie il 9, il numero dispari
vv. 5-6 quo — mercemur: sono altre le questioni degne di interesse durante un con- delle Muse. Anche se l’espressione risulta ridondante, non credo che imparis abbia
vito, per esempio quelle riguardanti il prezzo del vino. Sul vino di Chio, particolar. ulteriori significati.
mente pregiato, cfr. epod. 9, 34; sat. 2, 3, 115 sg.; 1, 10, 32; ATHEN. 29e; Piin. nat.
hist. 14, 73. Quo pretio mercemur è probabilmente solo un modo di domandare il v. 14 attonitus: colpito dall’ebbrezza poetica: cfr. Cic. ad Q. fr. 2, 8, 1 povcord.
prezzo del vino, non un riferimento al dono che i convitati portavano all’ospite, pa- TANTOG.
gando, in certo senso, quanto veniva loro offerto (cfr. nota a 4, 12, 16). L’interroga-
v. 16 rixarum metuens: sulle risse conviviali cfr. 1, 17, 23 sg. e nota.
zione è confrontabile con lo scolio ellenistico citato nella nota a v. 1 sgg. (v. 8 m6dev
.. .defopdong), ma qui compare «il pensiero affatto romano della spesa del convito, vv. 16-17 Gratia— sororibus: le Grazie (sulle quali cfr. nota a 1, 4, 6) stanno per il
la precisione descrittiva delle cose, delle circostanze » (Bignone). numero tre, quello più basso di bicchieri, che garantisce la sobrietà.
v. 6 aquam—ignibus: secondo lo ps.-Acrone e molti interpreti sulla sua scia, la
v. 18 insanire iuvat: cfr. 2, 7, 26 sg. sulla sfrenatezza nel bere, fino alla follia.
espressione si riferisce all’abitudine di mescolare i vini greci con acqua calda, secondo
altri all’hypocauston, specie di stufa sotterranea che trasmettendo vapore acqueo riscal- vv. 18-19 Berecyntiae...tibiae: cfr. nota a 1, 18, 13; per il flauto frigio ricurvo cfr.
dava le stanze superiori (cfr. PLIN. epist. 2, 17, 9; 11, 5, 6; Sen. epist. 90, 25). TiB. 2, 1, 86; Ov. fast. 4, 181. Il poeta si sente in uno stato di ebbrezza simile all’in-
vasamento, e cerca la musica adatta a tale situazione.
v. 7 quo — domum: c’è chi ha visto in queste parole una autocitazione, da sat. 1, 5,
38 Murena praebente domum, e quindi la prova decisiva che siamo in casa di Murena v. 19 flamina: per i soffi del flauto frigio cfr. Eur. Phoen. 787; Bacch. 128; Ov. fast.
(Instinsky). 4, 181 tibia. . .flabit.

quota:
x
è sottinteso hora e, come si deduce dal v. 10, è mezzanotte. v. 20 fistula: la zampogna di Pan: cfr. Vers. ecl. 2, 37.
._ Orazio Odi II 19, 21 - 20, 10 803
802

a un con- v., 1 non vides: formula molto comune nella poesia didascalica (cfr. Lucr. 2, 196;
vv. 21-22 parcentis — rosas: il poeta si rivolge ora a un altro personaggio,
fiori. Sulla raffinatez za rapprese ntata dalle al.; Vero. georg. 1, 56; 3, 103), segnala immediatamente, all’inizio dell’ode, il carat
vitato o a uno schiavo che distribuisce
tere parenetico di questa.
rose invernali cfr. nota a 1, 38, 3 sg.
vv. 22-24 audi Lyco: la gioia del convito è proporzionale all’invidia dei vicini:
— at moveas: con il significato di amoveas piuttosto che con quello di ‘inquietare ’, poi-
cfr. Prop. 3, 10, 26 publica vicinae perstrebat aura viae. ché l’ira della leonessa si scatena in modo proverbiale quando le si portano via i cuc-
alla gio- cioli. L'immagine è tratta dal repertorio delle similitudini epiche: cfr. Hom. Il. 18,
v. 25 spissa...coma: l’accenno alla folta chioma equivale a un riferimento 318 sgg., in cui Achille privato di Patroclo è paragonato alla leonessa cui sono stati
di Lico: cfr. epist. 1, 7, 25.
vinezza di Telefo, in contrapposizione alla vecchiaia strappati i leoncini.
è la stella
vi 26 puro. ..Vespero: cfr. 2, 5, 19 sg. (e nota); 3, 9, 21 (e nota). Vespero
v. 2 Pyrrhe: cfr. introduzione. La collocazione di rilievo del vocativo del destinata-
serale di Venere.
rio, all’inizio del secondo verso, indica affettuosa sollecitudine.
Telephe: cfr. nota a 1, 13, 1.
Gaetulae ...leaenae: cfr. nota a 1, 23, 10.
l’età
v. 27 tempestiva: ha probabilmente lo stesso significato che 1, 23, 12 (Rode ha
che quello di ‘ pronta ad accorrere ’. v. 3 inaudax è un hapax, che probabilmente si deve a un conio di Orazio: il prefisso
adatta per amare Telefo), piuttosto
in- vi avrà valore negativo e non, come pensano alcuni, intensivo.
il
v. 28 lentus...amor: cfr. nota a 1, 13, 8; lentus non ha, come pensano alcuni,
alla propria età v. 6 insisnem...Nearchum: cfr. introduzione, Per l’uso assoluto di insignis cfr.
significato di ‘ pigro, svogliato ’, né contiene un’allusione di Orazio
anche Vero. Aen. 7, 762 Virbius, insignem quem mater Aricia misit (= «di straordi
non più giovane.
naria bellezza »).
Giycerae: cfr. nota a 1, 19, 5.
v. 7 grande certamen: apposizione della proposizione temporale dei vv. 5 sg.: cfr.
sat. 1, 4, 110 magnum documentum; Vero. Aen. 6, 222 sg. pars ingenti subiere feretro, /
triste ministerium. i
20
x
v. 8 illa: secondo il testo tràdito (illi) il senso generale del brano è: « grande con-
O. Tescari, « Giorn. ital. filol. » 4, 1951, 6 sg. tesa, per stabilire se la preda (Nearco) debba toccare a te (Pirro) o a lei (la donna qua-
lificata come leaena) ». Ma maior non ha ancora trovato una spiegazione soddisfacente.
fittizio,
Il destinatario di quest’'ode, che non offre indizi cronologici, ha un nome Fra le tante avanzate ricordiamo: 1) maior = magna; 2) maior = più grande di quanto
Pirro, che vuol richiamare probabilmente il colore dei suoi capelli (rrvppòc = flavus: si aspettino partecipanti e spettatori della contesa; 3) maior == più grande di tutte, in
perso»
‘cfr. nota a 1, 5, 3), così come uno pseudonimo è Nearchus, nome dell’altro quanto Nearco ha altri competitori sul mercato dell’amore; 4) maior praeda = la parte
naggio che vi compare (« che è nella prima giovinezza », da véog e dpyn). Fittizia po- maggiore della preda, ossia di Nearco. Dei vari emendamenti proposti il migliore è
sembrare anche la situazione, che rinvia al tipo letterario dell’efebo conteso senz'altro illa (illi può essersi facilmente prodotto per attrazione da tibi), da cui il
trebbe
fra l’amore di un uomo e quello di una donna (la stessa tipologia în cui rientrano senso del brano risulta: « grande contesa, per stabilire se la preda debba toccare a
l’IHa di Teocrito o il Gitone di Petronio). A una motivazione puramente letteraria te o se quella (la donna) debba riuscire superiore, vincitrice ».
dell’ode potrebbe far pensare anche la perfetta bipartizione strutturale, che sembra
v. 9 interim: cfr. introduzione.
scolpire un contrasto epigrammatico, sottolineato con forza da interim del v. 9: nei
vv. 1-8 la lotta fra i due innamorati, nei vv. 9-16 il quadro del giovinetto che assiste v. 10 dentes— timendos: siamo ancora all’interno di un campo metaforico: il gesto
di
impassibile. Ma il gioco letterario non cancella il realismo di questo quadretto di affilarsi i denti prima della lotta è tipico degli animali feroci cui sono abitualmente
vita galante cittadina, cui l'ironia del poeta conferisc e toni da parodia epica.
paragonati gli eroi omerici: cfr. Il. 11, 416 Sycyv Aeuxòv ddivra perà yvaurmfior YEvoow;
Metro: strofe saffica. IL. 13, 474 sg. adrap ddbvracs | Wire.
804 000 Orazio : Odi II 20; 11 — 21 ‘805

vv. 11-12 — pede:


nudo con gesto sprezzante, Nearco, a cui spetta la decisione sul stenitore € collaboratore di Ottaviano (cfr. APPIAN. civ. 5, 102. sg.; 109; 112), fu con-
vincitore della contesa, tiene sotto il piede, anziché in mano, la palma della vittoria. sole nel 31 a.C., e nel 27 a.C. riportò il trionfo sugli Aquitani (cfr. Tis. 1,7), essendo
Ma l’accenno alla nudità del piede è anche un particolare descrittivo della bellezza per breve tempo praefectus urbi (cfr. Tac. ann. 6, 11). Lodato per la sua eloquenza
statuaria del giovinetto. (cfr. Cic. ad Brut. 1, 15, 1} Tac. dial. 18; Quint. inst. 10, 1, 113), compose elegie e
riunì attorno a sé un circolo letterario cui appartennero Tibullo e Ovidio. Probabil-
v. 12 palmam: simbolo di vittoria: cfr. nota a 1, 1, 5. mente c’è una stretta connessione fra tale personaggio e l’argomento dell’ode, che
una consiste nell’elogio del vino, almeno se dobbiamo dar credito alla notizia fornitaci
v. 13 fertur: l’uso di questa voce quasi formulare rinvia all’idea di una fama, di
del- da Servio ‘(ad Aen. 8, 310) secondo cui Messalla, come uno degli interlocutori del
tradizione, creando così un distacco che serve non solo ad attenuare la gravità
del Symposium di Mecenate, assieme a Virgilio e allo stesso Orazio, interveniva tessendo
l'atteggiamento di Nearco, come spiegano alcuni, ma anche a trasportare la figura
i le lodi del vino: de vi vini loqueretur, ita‘ ut idem umor, ministrat faciles oculos, pulchriora
giovinetto in un mondo mitico.
reddit omnia et dulcis iuventae reducit bona?.
14 sparsum...umerum: un altro particolare della bellezza statuaria, ‘ prassite- Messalla è solo indirettamente il destinatario reale dell’ode, che formalmente è
lea’ di Nearco. i dedicata ad un’anfora contenente vino vecchio, e che si configura come una varia
zione dello Suvos xAntwéc, paragonabile a 1, 32 (cfr. la relativa introduzione). In par
odoratis. . .capillis: cfr. nota a 1, 5, 2.
ticolare, essa si divide in due parti uguali, la prima delle quali (vv. 1-12) contiene
vv. 15-16 qualis Ida: il confronto con due personaggi mitici, Nireo e Ganimede l’invocazione vera e propria, la seconda (vv. 13-24) è la sezione aretalogica, con la
(qualis è tipica formula introduttiva di exempla mitologici: cfr. per es. Prop. 1, 3, 1 enumerazione delle virtù del vino. Per la prima parte Orazio trovava modelli all’ine
sgg.), trasporta definitivamente la bellezza di Nearco in un sovramondo mitico. terno della produzione epigrammatica ellenistica, anche se non ci sono elementi. per
affermare una dipendenza di quest'ode da Posidippo (anth. Pal. 5, 134), come voleva
v. 15 Nireus: il più bello degli eroi greci a Troia: cfr. Hom. Il. 2, 673 sg. Nipedc, dc Norden (contra Pasquali); tutt'al più, si può pensare a una fonte ellenistica, per noi
xddaiotog dvip dirò "Tiov Radev / riv dov Aavadiv per dubpova Imelwva. perduta, che riunisse i tratti comuni alla nostra ode, al su ricordato epigramma di
Posidippo e ad altri epigrammi d’invocazione a un ’anfora, come ‘anth. Pal. 5, 135
vv. 15-16 aquosa — Ida: Ganimede, il bellissimo figlio di Priamo, che Giove fece ra-
(anonimo) o 6, 248; 9, 229 e 246 (Marco Argentario), o 9, 232 e ‘247 (Filippo di
pire da un’aquila mentre si trovava sul monte Ida. Trasportato nell'Olimpo, egli di-
Tessalonica); 11, 63 (Macedonio) (Pasquali). Non appare però in poesia precedente,
venne coppiere degli dei: cfr. Hom. Il. 20, 233 dc Sì xdAMuotog YÉvero Bvyréiv dvdpo-
e non ci sono motivi per dubitare che si tratti di una invenzione oraziana, la fusione
tuv. Aquosa richiama l'epiteto omerico dell’Ida, roduridaé (Il. 14, 157). L’idealizza-
con lo schema compositivo dello &uvog xAnrixég (Norden), e, soprattutto, con l’are-
zione della bellezza del giovinetto avviene attraverso il filtro del registro epico.
talogia della seconda parte, per la quale il modello che Orazio sembra aver avuto
più presenteè quello delle lodi del vino, comuni nella lirica greca arcaica (cfr. intro-

Ti
duzione a 1, 18).
21 Resta da chiedersi che significato abbia l'adozione dello ‘schema innico in riferi
mento a una bottiglia di vino, se riveli un intento parodico, come era incline a cre-
E. NorDEN, Agnostos theos, 143 sgg.; V. UssanI, « Riv. filol. class. » 42, 1914, dere Norden, o voglia piuttosto esprimere una sorta di religiosità dionisiàca, una tone
35 sgg.; Pasguaui, 613 sgg.; I. BorzsAk, « Acta Class. Debrecen. » 12, 1976, 47 sgg.; cezione del vino come, forza irrazionale e trascendente (Ussani), rispetto a cui l’ane

i
E. D6NT, in Festschr. Muth, Innsbruck 1983, 89 segg. fora potrebbe essere simbolo della misura da mantenere (Dént). Tali interpretazioni

i
colgono nel segno solo in parte: in realtà quest'inno, lontano antenato della preghiera
In quest'ode, che non offre elementi di datazione, compare un importante per- rabelaisiana alla Diva Bottiglia, esprime un senso festoso della vita; dove il. vino,
sonaggio del tempo, Marco Valerio Messalla Corvino, nato nel 64 a.C., dunque coe- come altrove nella lirica oraziana, assume il valore di una metafora di tutte le gioie
taneo di Orazio, che aveva conosciuto ad Atene, e assieme al quale aveva combat- concrete dell’esistenza.
tuto nel 42 a.C. a Filippi, al seguito di Bruto (cfr. PLur. Brut. 40). Dopo una breve
tappa intermedia presso Antonio (cfr. PLIN. nat. hist. 33,50), Messalla, divenuto so- Metro: strofe alcaica..
806 Orazio . Odi II 21, 1-18 807

vv. 1-4 o testa: l’apostrofe riceve solennità dall’interiezione o e dalla forte traiectio rappresenta, per antonomasia, la filosofia e, in particolare, l’etica: similmente, cfr.
fra quest’ultima e il vocativo. 1, 29, 14 Socraticam. . .domum (e nota); ars 310 Socraticae chartae. Madet è una varia-
zione spiritosa di locuzioni come abundare praeceptis institutisque philosophiae (Cic.
v. 1 nata Manlio: non l’anfora, ma, metonimicamente, il suo contenuto, il vino,
off. 1, 1), tratta da un campo metaforico spesso adoperato in rapporto alla sfera del
che sarà stato imbottigliato nel 65 a.C., l’anno della nascita di Orazio e del conso-
vinoe dell’ebbrezza: cfr. nota a 2, 19, 18.
lato di Lucio Manlio Torquato, il cui nome doveva essere scritto su un'etichetta (cfr.
nota a 2, 3, 8). i . v. 10 negleget: che Messalla, nonostante le sue convinzioni filosofiche, sapesse ap-
prezzare il vino è, come abbiamo visto, testimoniato (cfr. introduzione). Da questo
vv. 2-4 seu» seu: modulo tipico dell’invocazione: in Orazio, cfr. 1, 2, 33 e nota; 3,
punto di vista sarebbe possibile la lezione neglegit, che indica un atteggiamento abi-
4, 3 sg.; carm, saec. 15; sat. 2, 6, 25.
tuale. Abbiamo tuttavia preferito negleget perché qui non è tanto questione del vino
v. 2 querelas: il vino spinge alle confidenze, induce ad esprimere il proprio lamento, in genere quanto di una particolare anfora (te); appare perciò meglio appropriato un
in particolare per un amore infelice (cfr. nota a 2, 9, 17 sg.). riferimento alla precisa situazione in cui l’anfora sarà dissuggellata, il banchetto che
sta per avere inizio.
v. 3 rixam-— amores: probabilmente endiadi per indicare le risse scatenate dalla ge-
losia (cfr. 1, 17, 23 sgg. e note) o provocate dall’insorgere di una passione insana (cfr. horridus: il termine caratterizza efficacemente il filosofo stoico, o stoico-cinico, di
nota a 1, 18, 8), favorite dall’ubriachezza, aspetto incolto e di atteggiamento arcigno: cfr. Cic. Brut. 117 ut vita sic oratione durus
incultus horridus (a proposito dello stoico Elio Tuberone).
v. 4 facilem...somnum: « Orazio... avrà spesso cercato invano il sonno. La sua
poesia ha un tal fascino di intimità quale la greca non possiede in pari misura: aut vv. 11-12 Catonis— virtus: la solennità della perifrasi equivalente al nome Catone
facilem, pia testa, somnum è forse il verso più originale del carme » (Pasquali). (come in sat. 2, 1, 72 Scipiadae virtus), di gusto epicheggiante (cfr. Hom. Il. 23, 720
t< ’OSuofog; 5, 781 Binv Atoundeoc), data la sproporzione con l’argomento trattato,
v. 5 quocumque. ..nomine: espressione volutamente ambigua e allusiva, nella quale genera un effetto parodico. Il Catone in questione è secondo alcuni da identificare
un tecnicismo del linguaggio finanziario (l’espressione corrisponde alla nostra «a con il Censore, il quale non disdegnava i conviti (cfr. Cic. Cato 46), secondo altri
qualsiasi titolo »: cfr. Cic. Flacc. 27 classis nomine imperata pecunia; Verr. 2, 143 pe- con l’Uticense, il cui amore per il vino è testimoniato da PLur. Cato min. 6, 1; Sen.
cunia data statuarum nomine), si sovrappone alla formula liturgica con cui si indicano dial. 9, 17, 4. Ma come spiegare, se si accetta questa seconda ipotesi, l'epiteto priscus,
i molteplici nomi di una divinità (roXvowpla): cfr. CatuLL. 34, 21 sis quocumque tibi che ha tutta l’aria di essere una variante di maior, e che sembra voler distinguere il
placet nomine. Questa sovrapposizione è significativa della cifra stilistica della nostra Catone più antico dal più recente, alludendo nello stesso tempo alla prisca virtus, alla
ode, in cui il piano religioso si interseca con un piano di considerazioni più concrete. severa morale quiritaria?
Massicum: cfr. nota a 1, 1, 19. v. 13 tu ripreso anaforicamente nel v. 14 e nei vv. 17, 19 e 21: cfr. nota a 1, 10.

iii
v. 6 moveri equivale a demoveri, perché la bottiglia di vino deve esser tratta giù dalla lene tormentum: audace ossimoro, che probabilmente si ispira a BaccHYyL. fr. 20 B

iii
apotheca (cfr. nota a 3, 8, 11). Sn-M. Auxe? avea, ma risulta più efficace grazie all'uso di un termine che sug-

im
gerisce l’idea delle torture che si infliggono agli accusati: cfr. anche epist. 1, 18, 38
bono die: altro residuo del linguaggio sacrale, questa locuzione esprime il concetto
vino tortus; ars 435 torquere mero.
di ‘giorno fausto’, sotto buoni auspicii, ma senza che sia necessario pensare che la
giornata in questione sia quella del compleanno di Messalla. v. 16 Lyaeo: cfr. nota a 1, 7, 22 sg.

v. 7 descende: preghiera che si rivolge di solito a una divinità: cfr. 3, 4, 1 e nota. v. 17 spem-—anzxiis: cfr. 1, 18, 4 e nota; epist. 1, 5, 17 sg.

i
v. 18 vires — pauperi: per il concetto cfr. nota a 1, 18, 5 pauperiem. Le corna sono un
Corvino: cfr. introduzione.
simbolo, di probabile origine orientale, per indicare forza, che si ritrova nella Bibbia
v. 8 languidiora vina: cfr. nota a 3, 16, 35. e
ne (Psalm. 111) e nell’espressione colloquiale greca xépara éysw (cfr. ps.-DIocen. 7, 89).
|
vv. 9-10 Socraticis — sermonibus: non bisogna cogliere in questa espressione un rife- CE Cfr. Ov. ars 1, 239 tum pauper comua sumit (quasi sicuramente un riecheggiamento di
Fo
Orazio),
"e
rimento specifico alla filosofia socratica o ai dialoghi socratici di Platone. Socrate
=
808 ‘ Orazio Odi II 21, 19 — 22, 4 809

v. 19 post te: cfr. nota a 1, 18, 5. questa combinazione di motivi letterari non è senza aggancio con antiche usanze ita-
liche (cfr. Prin. nat. hist. 12, 3 prisco ritu simplicia rura etiamnunc deo praecellentem arbo-
v. 20 apices: cfr. nota a 1, 34, 14.
rem dicant), le stesse che si riflettono nel fr. 1 di Catullo (v. 1 hunc lucum tibi dedico
v. 21 Venus: su Venere compagna abituale di Bacco cfr. nota a 3, 18, 6 sg. consecroque Priapo).

v. 22 segnes — Gratiae: le Grazie (su cui cfr. nota a 1, 4, 6) con la loro presenza im- Metro: strofe saffica.
pediscono che si sciolga l’amabilissimum nodum amicitiae (secondo la definizione di
Cic. Lael. 51), tengono lontane le risse dai conviti. La composizione del corteggio è vv. 1-4 montium— triformis: la strofe, costruita secondo la tecnica dell’invocazione
la stessa che in anth. Pal. 5, 135 (cfr. introduzione), dove però al posto delle Grazie sacrale, con un breve riassunto delle prerogative (&perat) della dea e con un accenno
troviamo le Muse (la sostituzione èx comune negli autori latini). ai diversi nomi con i quali può essere chiamata (cfr. nota a 3, 21, 5), ricorda molto
v. 23 vivae...lucernae: cfr. nota a 3, 8, 14. da vicino CatuLL. 34, 9 sgg. montium domina ut fores | silvarumque virentium | saltuumque
reconditorum / amniumque sonantum. | Tu Lucina dolentibus | Iuno dicta puerperis, | tu potens
v. 24 rediens — Phoebus: l’accenno finale al sole che sorge mettendo in fuga le stelle Trivia et notho es / dicta lumine Luna. È stata accostata anche ad AnACR. fr. 348 P.
notturne chiude con una nota di luminosità quest'ode piena di senso concreto delle ovvolipiat a'irapnbire / EavBh mat Atds deypicov / Storto” "Aprepi Inpéiv / fxov vi rà An-
gioie della vita. Ialov / Sivator Spacunapdicv / &vdpiiv Soxatopàie r6Atv / yalpovo”, cò ydp Avnuépovg / ros
uatvee IToALfiTac.
22
v. 1 montium— virgo: attributo comune di Diana: oltre al passo catulliano citato
sopra, cfr. Verc. Aen. 9, 405 nemorum Latonia custos; 11, 557 nemorum cultrix, La-
REITZENSTEIN, 7; Pasquali, 148; FRAENKEL, 201 sg.; F. CaAIRNS, « Philologus » tonia virgo. Per il concetto, cfr. Serv. georg. 3, 332 omnis quercus Iovi est consecrata et
126, 1982, 227 seg. omnis lucus Dianae.

| Priva di indizi cronologici, quest'ode si svolge nel breve giro di due strofe: la v. 2 laborantis— puellas: veramente, la dea invocata durante il parto era propria-
prima contiene un’invocazione a Diana, mentre nella seconda il poeta dedica alla mente Giunone Lucina (cfr. Praur. Aul. 692; Ter. Ad. 487; Andr. 473), ma l’invo-
divinità un pino. È stato da sempre sottolineato il rapporto di parentela fra questa cazione appare spesso rivolta anche a Diana (cfr. carm. saec. 14 sg.; Vero. ecl. 4, 10;
ode e gli epigrammi ellenistici (Reitzenstein), fino all’affermazione secondo cui essa Ov. her. 20, 194). L’assimilazione di Diana a Giunone Lucina è esplicita nel passo
« tradotta in distici... non sfigurerebbe nel VI libro dell’Antologia » (Pasquali). Ma di Catullo su citato e in Cic. nat. deor. 2, 68.
non è del tutto appropriato definire l’ode un epigramma dedicatorio o addirittura v. 3 ter vocata: la triplice invocazione, che si spiega con il carattere rituale del nu-
una iscrizione votiva, poiché la consacrazione non vi è data come avvenuta, ma viene
mero tre, è riferita all’invocazione di Diana Lucina (così in Ter. Andr. 473 Iuno Lu-
fatta nel corso del componimento (Fraenkel). Inoltre, se è innegabile il debito della
cina, fer opem, serva me, obsecro Giunone Lucina è invocata tre volte), ma suggerisce

i
seconda strofe nei confronti della tecnica epigrammatica, e se a tale tecnica rinvia
contemporaneamente il triplice nome di Diana, costituendo cioè un’anticipazione di
la brevità stessa dell’ode, la prima strofe riproduce piuttosto movenze inniche, il

nb ra
triformis del verso successivo, in modo che l’intera strofe risulta segnata dalla ritua-
che non significa comunque che questo sia un hymnus in Dianam, come titolano. al-
lità della polyonymia e del numero tre.
cuni manoscritti. Orazio ha inteso fondere elementi sia della tradizione innica sia di
quella epigrammatica; è probabile l'influsso di Arc. fr. 304 L.-P. (v. 5 sgg. di rdpde v. 4 diva triformis: la dea era venerata in cielo come Luna (cfr. 4, 6, 38; CATULL.
*
vos Eocopar / ].cov dpécov xopiparo” Eri / ]Îe vedoov éuav ydpuv /].c Idv paxdpov m&mp /] E 34, 15 sg.), in terra come Diana, negli inferi come Ecate (cfr. VaRR. ling. 5, 68; Vero.
odov dypotipav dior / ].ovv Erwvbuov usya « ah vergine sarò... sulle cime dei monti... Aen. 6, 247); per questo veniva immaginata come avente tre facce (Ov. fast. 1, 141
accordami favore... padre degli dei felici... la cacciatrice... illustre epiteto... »), di sg.) e chiamata tergemina (Vero. Aen. 4, 511) o relyAnvog (= «a tre pupille »: cfr.
AnaAcR. fr. 348 P. (cfr. nota a v. 1 sgg.), dell'inno a Diana di Callimaco, mentre ArHEN. 325c) o Trivia (= qptodîrio in ATHEN. 325a: cfr. Caruit. 34, 15; Ov. fast.
sicuro è il rapporto con Catutt. 34 (cfr. note di commento), sia pur con l'intenzione 1, 387); appellativo con il quale aveva un culto nei crocicchi delle vie (cfr. MacR.

Ming
di contrapporre a un inno corale e pubblico una sorta di inno privato (Cairns). Ma Sat. 1, 9, 6).
810 Orazio Odi III 22,.5 — 23, 4 811

v. 5 imminens— esto: sull’uso di consacrare un albero a una divinità cfr. introdu- ve ne sia qui un'eco, e l’interpretazione del v. 17, che potrebbe offrire una prova a
zione. La villa cui si allude sarà quella di Orazio nella Sabina. favore di una ipotesi di lettura in tale direzione, è controversa (cfr. nota relativa).
D'altra parte, non convince nemmeno l’interpretazione in chiave esclusivamente let-
v. 6 per— annos: cfr. nota a 2, 3, 6 sg ea 3, 8,9. Laetus forse è un residuo della
teraria, che vede nell’ode un anathematikén (cfr. introduzione a 3, 13), e nel piccolo
formula laetus libens (o laetus libens merito), comune nelle iscrizioni votive, delle quali
dono un motivo epigrammatico (cfr. Crinacor. anth. Pal. 6, 229, 4 sg.; IuLian. ibid.
Orazio riecheggia in questa strofe il linguaggio.
6, 25; etc.) corrispondente a una topica filosofica (cfr. PANAET. in Cic. off. 1, 31, 110
v. 7 obliquum...ictum: la zanna del cinghiale esce lateralmente dalla bocca: perciò sg.; EricreT. ench. 31, 5) (Cairns). È più probabile che il vero significato dell’ode sia
l’animale colpisce di traverso: cfr. Hom. Il. 12, 148 Soyuò r'atocovre; Od. 19, 450; da vedere nel. gusto della semplicità, di una vita modesta e senza lussi, contro lo
Ov. her. 4, 104 obliquo dente timendus aper. sfarzo e l’ostentazione, in nome di un ideale del giusto mezzo: lo stesso gusto che
traspare, per esempio, da 1, 38, da 2, 10 e, in particolare, in riferimento al sacrificio
parco, in 2, 17, 31 e in 4, 2, 53 sg.
23 L’ode è abbastanza unitaria, ma vi si possono distinguere due parti. struttural-
mente significative: i vv. 1-8 sono sul sacrificio povero, ma gradito agli dei, i vv. 9-
Pasguai, 603; E. BicnoNE, Poeti apollinei, Bari 1937, 208; F.A. SULLIVAN, « Class. 20 contengono la contrapposizione fra offerte povere e sontuose.
Philol. » 55, 1960, 109 sgg.; W.A. Camps, « Amer. Journ. Philol. » 94, 1973, 131 sgg.; Metro: strofe alcaica.
A. Barigazzi, « Riv. cult, class. mediev. » 18, 1976, 71 sgg.; F. Carrns, « Ant, class. »
46, 1977, 523 sgg.
v. 1 caelo — manus: il gesto del levare in alto le palme delle mani (caelo è dativo di
direzione, come in Vero. Aen. 5, 45 it clamor caelo) è proprio dell’atteggiamento di
Quest’ode, che non presenta elementi di datazione, ha come destinatario una
preghiera, in tutta l’antichità: cfr. Hom. Il. 6, 257 yeîpac dvdoyew; Vero. Aen. 2, 153
donna, l’unica dell’intera raccolta alla quale sia indirizzata un’ode non di contenuto
sustulit...ad sidera palmas; 2, 687 sg. caelo palmas. . .tetendit; 3, 176 sg. tendo.. .supi-
amoroso, il cui nome è fittizio: Phidyle, connesso al verbo greco qpeldouar (« rispar-
nas ad caelum...manus.
miare »), significherà non tanto ‘la risparmiatrice’ quanto ‘colei che vive in modo
parco’. È difficile identificare con maggiore precisione la donna: non ci sono ele- v. 2 nascente luna: il novilunio indica, sulla base dell’identità fra mese e mese lunare
menti per affermare che si tratti di una vilica della fattoria di Orazio. Sulla caratte (cfr. nota a 3, 19, 9), l’inizio del mese, cioè le Calende, uno dei giorni in cui si svol
rizzazione di questo personaggio umile, che offre piccoli e poveri sacrifici agli dei, gevano sacrifici rituali ai Lari, divinità familiari (cfr. Car. agr. 143, 2 Kalendis, Idibus,
è stato visto l’influsso di una tendenza, che la cultura greca aveva sviluppato dal V Nonis festus dies cum erit, coronam in focum indat per eosdemque dies Lari familiari pro
a.C., ad affermare il valore del sacrificio in rapporto alla autenticità del sentimento copia supplicet); probabilmente il sacrificio del primo del mese era uno dei più ime

sii
religioso e non alla ricchezza dell'offerta: cfr. Eur. fr. 946 N? e3 to9° Bray 11 ebdoe portanti, se non quello che esigeva più stretta osservanza, dato che lo ricordano ane
Bov Bin Peoîc, xv pixpà Bin, Tuyydver commpiac (« sappilo bene, quando un uomo fa che Tis. 1, 3, 34 e Prop. 4, 3, 53 sg.

a
sacrifici agli dei, anche se sacrifica piccole cose ottiene la salvezza ») o l'affermazione

n at
di Socrate in XEN. mem. 1, 3, 3, secondo cui gli dei apprezzano i sacrifici degli Phidyle: cfr. introduzione.
uomini buoni, non i sacrifici sontuosi (cfr. Pasquali). In particolare, è stato postu- “
v. 3 ture: l’offerta di incenso ai Lari è rituale: cfr. Praur. Aul. 23 sgg.; Trs. 1, 3,

ini
lato un influsso su Orazio del trattato di Teofrasto regì edoefetac, in cui era rife-
34; IuvenaL. 12, 89.
rito (cfr. PorpH. abstin. 2, 11; 15) un responso di Apollo a un uomo ricco che gli
offriva una ecatombe con animo non puro: « A_me piace il pugno d’orzo che con vv. 3-4 horna fruge: cioè le primizie: cfr. sat. 2, 5, 13. Per l’offerta di serti di spi-

si
tre dita mi offre il pio Ermione » (Bignone). Malgrado questa concezione nuova e ghe cfr. Tis, 1, 10, 22.
più profonda della preghiera si andasse lentamente affermando, sul finire del I a.C.,

4
anche all’interno di una religione fondata sull’utilitarismo quale quella romana, come v. 4 avida...porca: anche il sacrificio di un porco ai Lari è rituale: cfr. sat. 2, 3,
165; PrauT. Rud. 1206 sgg.; Tris. 1, 10, 26; Prop. 4, 1, 23. Avida è probabilmente

1
dimostrano alcuni passi di Cicerone (nat. deor. 1, 116; 2, 71; leg. 2, 19; 2, 24 sgg.)e
poi la sua presenza in Ov. Pont. 4, 8, 39; Sen. benef. 1, 6, 3 e altrove, non è sicuro che solo un epiteto esornativo: cfr. Ov. fast. 1, 349 avidae.. .porcae.
812 Orazio Odi III 23, 5 — 24 813

v. 5 pestilentem...Africum: sull’Africo cfr. nota a 1, 1, 15; per pestilentem cfr. no- il significato di ‘senza doni’: in Orazio stesso, cfr. 4, 12, 22 sg. non ego te meis / im-
centem. «. Austrum di 2, 14, 15 sg. (e nota). i miunem meditor tinguere poculis; epist. 1, 14, 33 quem scis immunem Cinarae placuisse
rapaci. Sulla base di questo confronto, molti interpretano l’espressione come un ulte-
vv. 6-7 sterilem...robiginem: la ruggine del grano, malattia parassitaria con effetti riore riferimento alla povertà dell’offerta di Fidile, con una spiegazione che si addice
devastanti, era onorata come una divinità e aveva una sua festa nei Robigalia (cfr. bene al contesto (non vi è la contraddizione, che alcuni scorgono, con l’offerta di
Varr. ling. 6, 16; PLIN. nat. hist. 18, 285). mola salsa nel v. 20, che rientra nel rito e non è vero e proprio dono). Ricordiamo
v. 7 alumni: cfr, 3,18, 4. alcune fra le altre numerose interpretazioni proposte per questo passo controverso,
meno convincenti rispetto a quella appena ricordata: 1) immunis = « senza macchia »,
v. 8 pomifero — anno: l’espressione sta per l’autunno, come in epod. 2, 29 annus in senso fisico, non morale; 2) immunis:= sine. munere, « senza officio », « senza l’ob-
hibernus per ‘inverno’. Sugli effetti nocivi del clima autunnale cfr. nota a 2, 14, bligo di dare », cioè senza gli obblighi che hanno i pontefici nei loro sacrifici ufficiali;
15 sg. 3) a immunis sarebbe sottinteso caedis (= « sacrificio cruento »), e tutto il passo signi
v. 9 nivali.. .Algido: cfr. nota a 1, 21, 6. ficherebbe « tu puoi, anche senza versar sangue, placare gli dei ».

v. 12 pontificum: allusione alla solennità dei sacrifici pubblici (cfr. VARR. rust. 2, vv. 18-19 sumptuosa — Penatis: bisogna intendere sumptuosa hostia come ablativo
1, 20). strumentale, non come ablativo di paragone. Mollivit è perfetto di consuetudine; per
aversos riferito a divinità cfr. epod. 10, 18 preces.. .aversum ad Iovem. I Penati rappre-
v. 13 te: in posizione enfatica, come spesso il pronome personale, a sottolineare la sentano i Lari, secondo una confusione comune nella cultura latina (sui Penati cfr.
contrapposizione di uno stile di vita a un altro (cfr. nota a 1, 1, 29). Cic. nat. deor. 2, 68; Macr, Sat. 3, 4, 7).
v. 14 bidentium: epiteto della lingua religiosa per designare le pecore adulte (cfr. v. 20 farre— mica: perifrasi per indicare l’offerta della mola salsa, ovvero farro to-
anche Vero. Aen. 4, 57): secondo lo ps.-Acrone, indica l’età di due anni, ma la spie stato, macinato e sparso sul fuoco assieme a grani di sale (mica): cfr. Paur. FesT.
gazione corretta è fornita da Hycin. apud GeLt. 16, 6 quae bidens est hostia oportet 125, 14 L. Si tratta di un’offerta molto povera: cfr. PLin. nat. hist., praef., 11 mola
habeat dentes octo, sed ex his duo ceteris altiores, per quos appareat ex minore aetate in litant salsa qui non habent tura.
maiorem transcendisse.
vv. 15-16 parvos...deos dipende drò xowoù da temptare e da coronantem; si rife-
risce letteralmente alle statuette dei Lari (cfr. Vero. Aen. 8, 543 parvos Penates; e,
24
per il concetto, Ti. 1, 10, 17 sg.). Ma l’aggettivo parvos ha anche una connotazione
morale, poiché rinvia all’umiltà di questo culto religioso familiare, in contrapposi- G. Carrsson, « Eranos » 42, 1944, 1 sgg.; FRAENKEL, 240 sgg.; R. GANDEVA,
zione allo sfarzo dei riti pubblici. « Ziva Ant.» 25, 1975, 88 sgo.

li igm vi n it
marino rore: al rosmarino veniva attribuito il potere di placare gli dei (cfr. ps.- Ancora un’ode diatribica, che sviluppa temi consueti alla riflessione gnomico-
Arut. de herb. 79). lirica di Orazio, a noi noti da odi come 2, 15 e 2, 18 e, soprattutto, dal ciclo delle
odi romane: la polemica contro lo sviluppo selvaggio dell’edilizia privata, la condanna
v. 16 fragili...myrto: il mirto è simbolo di semplicità, come in 1, 38, 5 sgg., e
del lusso (nonché il motivo gnomico, agganciato alla morale epicurea, dell’inutilità
l'epiteto fragili accentua tale connotazione.
della ricchezza di fronte alla paura della morte), la lotta alla corruzione sessuale e al
v. 17 immunis: Porfirione, lo ps.-Acrone e alcuni interpreti moderni spiegano im- rilassamento dei costumi (cfr. le singole introduzioni alle odi ricordate). Al centro

toi
munis come un uso assoluto dell’aggettivo nel senso di immunis scelerum (« pura da dell’ispirazione di quest’ode è dunque, da un lato, la diagnosi moralistica della crisi
colpe ») oppure immunis piaculi (« esente da espiazioni per colpe commesse »). Tale del I a.C. come causata dalla degenerazione morale connessa al dilagare del lusso, in
esegesi ben si accorderebbe con l’interpretazione generale dell’ode come difesa della cui la topica diatribica si combina con le istanze suggerite dalla realtà contempora-
purezza del sentimento religioso (cfr. introduzione), ma non è confortata da analoghe

i
nea, come già in Sallustio (cfr. note di commento); dall’altro, l’esigenza di una rifon-
attestazioni nella letteratura tramandata. È invece testimoniato l’uso di immunis con dazione etico-politica dello stato, legata alla figura di un riformatore dei costumi

OHM
814 Orazio. Odi II 24, 1-16 815

capace di attuare un serio programma di restaurazione morale. Nella figura del rifor- senso ottimo («il mare che è di tutti », non proprietà privata del costruttore), ma è
matore si coagulano alcuni motivi cardinali dell'ideologia del principato, primo fra ovviamente inconciliabile con Tyrrhenum, che indica un determinato mare; di qui
tutti quello del salvatore della patria, che si concretizzerà solo nel 2 a.C. nell’assune l'emendamento terrenum (« terreno coltivabile ») che, per quanto il termine sia deci
zione del titolo pater patriae da parte di Augusto, ma che circolava già da tempo nella samente prosastico, appare degno di attenzione. Per il concetto, cfr. 2, 15, 1 sg.; e,
cultura e nella propaganda (La Penna). Tuttavia,-il grande riformatore e restauratore per la polemica nei confronti delle ville sul mare, cfr. 2, 18, 21 sg. e nota; 3, 1, 34
viene qui presentato in termini ancora generici; i motivi che poi saranno quelli della sgg. e nota.
propaganda augustea sono abbozzati, ma non appaiono ancora nella loro forma defi-
vv. 5-8 si caput: non si tratta semplicemente del motivo comunissimo dell’ineso-
nitiva: non si è ancora affermata, ad esempio, l’idealizzazione della Roma arcaica, e
rabilità della morte anche per i ricchi, ma dell'adattamento del tema diatribico
i valori dell'integrità morale sono incarnati da popolazioni primitive come gli Sciti,
della polemica contro il lusso alla riflessione epicurea sulla stretta connessione fra
secondo un mito del buon selvaggio ante litteram, che veniva mutuato dall’etnografia
avidità e paura della morte (cfr. introduzione a 3, 1). Il concetto è lo stesso ripetuto
greca, a partire da Erodoto; e, in generale, i temi che saranno svolti dalle odi romane
in 3, 1, 14 sg., ma qui la Necessitas è personificata negli stessi termini che in 1, 35,
e da altre odi etico-politiche sono ancora non ben sviluppati (Fraenkel). Tutte que-
17 sgg. (cfr. note relative). Per adamantinos cfr. nota a 1, 6, 13.
ste considerazioni spingono a ritenere quest’ode anteriore al ciclo delle odi romane,
forse contemporanea (o di poco precedente) alla 3, 6 (cfr. relativa introduzione); v. 9 campestres...Scythae: gli Sciti (cfr. nota a 1, 35, 9), abitatori delle steppe, dal
essa ben si colloca nel clima di incertezza post-aziaco, quando lo spettro delle guerre basso Danubio all’attuale Ucraina, incarnano il tipo mitico del ‘buon selvaggio ’,
civili non si era dissolto, quando l'esigenza di una riforma morale conviveva con la cioè del popolo nordico non ancora toccato dalla civiltà, in contrapposizione ai cor-
constatazione di una notevole resistenza a tentativi in tale direzione. rotti popoli civilizzati (cfr. nota a 2, 20, 16).
L'ode, come altri componimenti di contenuto civile, non ha destinatario, poiché
v. 10 plaustra — domos: riferimento al nomadismo degli Sciti, che trascorrevano la
si intende rivolta all’intera comunità da parte del poeta in veste di vates. La strut-
vita in grandi carri (cfr. Arsca. Prom. 709 sg.; Pimp. fr. 105, 4 Sn.-M.; Sant. hist. 3,
tura non è molto chiara, ma è possibile cogliere una fondamentale bipartizione fra
fr. 76 M. Scythae Nomades...quibus plaustra sedessunt), da cui gli epiteti &uatéfror
i vv. 1-32 (si enunciano i valori morali e si invoca il riformatore) e i vv. 33-64 (si
(ProLem. 3, 5, 7; PomPon. Met. 2, 1, 2 Hamaxobiae) e ‘Audéomor (STRAB. 7, 3, 2).
espone il contenuto delle riforme auspicabili), con ulteriori distinzioni: vv. 1-8 (mo-
tivo epicureo della ricchezza che non libera dalla paura della morte), vv. 9-24 (il mito v. 11 rigidi Getae: già secondo Porfirione, rigidi si riferisce ai rigori del clima delle
del buon selvaggio), vv. 25-32 (il riformatore), vv. 33-44 (individuazione dei mali regioni abitate da questo popolo; altri vedono un’allusione al loro rigore morale.
sociali), vv. 45-64 (intento pedagogico delle riforme).
vv. 12-13 immetata
— ferunt: con un hapax che è probabilmente un conio oraziano
Metro: asclepiadeo quarto. (immetata), viene indicata una situazione storicamente ben determinata, quella della
comunità indivisa, del comunismo primitivo: si tratta della formazione economica
vv. 1-2 intactis — thesauris: per comparatio compendiaria, il ricco accumulatore è para» che preesiste a tutti i sistemi economici possibili, e la storiografia antica è attenta a
gonato alle ricchezze mitiche dell'Arabia e dell'India anziché ai possessori di tali ric- cogliere questo fenomeno nei popoli primitivi: cfr. Cars. Gall. 4, 1 e 6, 22 e Tac.
chezze. Germ. 26 sui Germani; Diopor. 5, 34, 3 sui Vaccei di Spagna; STRAB. 7, 5, 6 sui Dal-
v., 2 Arabum-— Indiae: cfr. nota a 1, 29, 1 sg. e a 1, 31, 6. mati. Lo schema di descrizione storiografica dà luogo a un topos letterario, e il comu-
nismo della proprietà diventa uno degli elementi delle rappresentazioni poetiche del-
um
— Ponticum:
v. 4 Tyrrhen abbiamo optato per Tyrrhenum, lezione concorde di
l’età dell’oro, come in VErG. georg. 1, 126 sgg. e in Tia. 1, 3, 43. In questo passo
tutti i manoscritti, e Ponticum, lezione attestata in alcuni dei poziori. Tyrrhenum non
oraziano i due motivi sono sovrapposti, come dimostra la presenza, accanto al tema
pone problemi; per quel che riguarda Ponticum, la menzione di un mare tanto lon-
della terra indivisa, del motivo dell'abbondanza di messi e di frutti (Cererem è meto-
tano (Ponticum può essere iperbolico, come iperbolico è omne) esprime efficacemente
nimia per indicare i prodotti agricoli), che è tipico delle descrizioni poetiche dell’età
la sconfinata intraprendenza del ricco costruttore. Tra le altre varianti darebbero un
dell'oro: cfr. Vero. ecl. 4, 39 sgg.; Tis. 1, 3, 45 sgg.; Ov. met. 1, 101 sgg.; etc.
senso plausibile anche Punicum e Apulicum, ma la prima ricorre soltanto in alcuni

ili TI
deteriori, la seconda fa difficoltà sia per il necessario abbreviamento della a iniziale, vv. 14-16 nec— vicarius: riferimento alla consuetudine di coltivare la terra per non
sia per il suffisso (normalmente Orazio usa Apulus). Publicum di per sé darebbe un
<
più di un anno, che è attestata per la tribù germanica degli Svevi da Cesare (Gall.

24%
816 . Orazio Odi II 24, 1741 817

4, 1), il quale però parla dell’alternarsi di una parte e dell’altra della popolazione tuata dall’uso di vocaboli che riecheggiano una dizione epico-tragica, come civicam
fra la coltivazione della terra e il servizio militare. Orazio è più generico: probabil- del v. 26 (cfr. nota a 2, 1, 1) e postgenitis del v. 30, composto magniloquente equiva-
mente l’accenno alla periodicità annua rappresenta solo un modo di sottolineare lente a posteris.
l'assenza di proprietà privata, che a sua volta significa assenza di avidità (analoga x

mente, così si esprime Cesare a proposito dei Germani, in Gall. 6, 22 ...ne qua oria- v. 27 pater urbium è una variante del titolo pater patriae (su cui cfr. nota a 1, 2,
50), ed è probabile che non l'abbia inventato Orazio, ma che fosse una delle versioni
tur pecuniae cupiditas, qua ex re factiones dissessionesque nascunturì).
sotto cui circolava il titolo, ufficiosamente, molti anni prima che Augusto si deci-
vv. 17-18 matre-—innocens: l’idealizzazione dei costumi di Sciti e Geti è ricavata, desse ad assumerlo. Intendere urbium come determinazione di statuis porterebbe a
in negativo, dal contrasto con le perverse abitudini dei Romani, secondo uno schema cogliere nel testo un’inutile pedanteria.
etnografico topico, che è quello sulla base del quale, per esempio, Tacito costruirà la
v. 30 clarus postgenitis: in realtà, Ottaviano si conquisterà la gloria anche presso
Germania. Ma qui le movenze sono prettamente diatribiche: Orazio attinge non tanto
i contemporanei (cfr. epist. 2, 1, 15 sg.). Ma qui egli non è ancora Augusto, e sul mo-
alla realtà quanto alla topica letteraria, come dimostra l’esempio della matrigna cat-
tivo panegiristico prevale il topos diatribico della posterità che ricompensa con la
tiva che tenta di uccidere i figliastri, figura divulgata dalla letteratura (cfr. VerG. georg.
fama i meriti misconosciuti dall’invidia dei contemporanei (cfr. Virtruv. 9, praef.,
2, 128; 3, 282; Ov. met. 1, 147) e dalle scuole di retorica.
15 sgg.; SEN. epist. 79, 13).
vv. 19-20 nec- coniunx: riferimento alla figura, divenuta un tipo letterario, della
vv. 31-32 virtutem- invidi: i due versi racchiudono una sentenza, che appare una
moglie che pretende di dominare il marito facendosi forte della sua dote: cfr. PLauT.
rielaborazione della gnome, forse di Menandro, riportata da StoB. 125, 12 (Sea
Aul. 534 sg. Il riferimento successivo è all’adulterio, uno dei punti centrali del pro-
yàp dvdpi mdvres, Eoutv còxAest Wiivan pIovijoar, xatdavévia d' alvicat), cui, come è
gramma di riforme morali promosse da Augusto e, ancor prima della legislazione de
noto, si ispirò Leopardi nella canzone Alla sorella Paolina (« virtù viva sprezziam,
maritandis ordinibus, al centro della propaganda e della polemica moralistica (cfr.
lodiamo estinta »). Ma si tratta di un motivo gnomico molto comune.
Prop. 2, 7).
vv. 21-24 dos- mori: l’idealizzazione dei costumi matrimoniali di Sciti e Geti è vv. 33-34 quid — reciditur: le lamentele e gli sfoghi polemici dei moralisti non hanno
molto simile a quella che Tacito offrirà dei Germani in Germ. 18 sg.: il patrimonio alcuna utilità senza un intervento concreto; Orazio sembra voler troncare i suoi stessi
delle virtù familiari, il rifiuto dell’adulterio, la sacralità attribuita al vincolo matri- discorsi, il precedente attacco diatribico al lusso e alla corruzione, e passare così alla
moniale, la severità con cui si puniscono gli adulteri. Però espressioni come nefas e, parte programmatica dell’ode. Culpa reciditur, dove culpa ha il significato di ‘infe-
soprattutto, come certo foedere (ablativo che determina castitas), rinviano a una reli- zione ’, come in Verc. georg. 3, 468 sg., è una metafora proveniente dal linguaggio
giosità tutta romana e alla concezione, fra sacrale e militare, dell'unione matrimo- medico-chirurgico (cfr. CAT. agr. 13; Cris. 3, 15; Scris. Larc. 84).
niale (per questa accezione di foedus cfr. Catuit. 87, 3; 109, 6). Dietro l’idealizza- vv. 35-36 quid — proficiunt ripete la domanda precedente, ma modificandone il con-
zione del popolo nordico traspare l’esaltazione del modello romano arcaico. tenuto nel senso di una maggiore considerazione dei mores rispetto alle leges. Se pri-
v. 22 alterius viri: secondo alcuni, l’altro uomo è qui l’amante; ma poiché l’idea ma ha invocato un’azione legislatrice, ora Orazio auspica una riforma morale: è il
dell’adulterio si trova poi espressa nel nesso coordinato et peccare nefas, sembra più concetto del fondamento etico della politica, che attraverserà in gran parte il ciclo
probabile un’allusione polemica nei confronti del divorzio, per cui l’alter vir sarebbe delle odi romane.
il secondo marito. vv. 36-41 si- navitae: come figura simbolica del dilagare dell’avidità di guadagni
vv. 25-30 0- nefas: l’apostrofe improvvisa all’atteso riformatore, non nominato di- (noi diremmo, come tipo che emblematicamente incarna il modello etico corrispon-
rettamente, ma dietro il quale si indovina Ottaviano, è costruita con particolare en- dente a un’economia fondata sullo scambio) viene ricordato il mercante, bersaglio
fasi: si notino l’uso di 0 con il congiuntivo esortativo audeat del v. 28, senza vocativo polemico caro alla diatriba antica e ricorrente nella poesia di Orazio: cfr. nota a
(cfr. sat. 2, 6, 8 sg.; Vero. ecl. 2, 28 sg.; georg. 2, 488 sg.; Aen. 8, 560), la forte traiectio 1, 1, 16.
fra l’interiezione e l’esortativo, l'ampiezza del periodo, l'immediato susseguirsi di vv. 36-38 fervidis — latus: perifrasi erudite per indicare le zone più calde e quelle
un’altra esclamazione, la parentetica heu nefas!, che conferisce ulteriore pathos a questa più fredde, all’interno di una divisione del mondo sulla base del clima (cfr. nota a
vera e propria invocazione ‘al salvatore della patria. La solennità dello stile è accen- 1, 22, 17 e, sul termine tecnico latus, nota a 1, 22, 19).
818 Orazio Odi III 24,42 — 25 819

v. 42 pauperies: cfr. nota a 1, 1, 18. significativo, e rinvia alla concezione moralistica della cultura greca come luogo di
mollezza e lussuria (cfr. il concetto simile in sat. 2, 2, 10 sgg. vel si Romana fatigat|
vv. 42-43 opprobr—ium pati: motivo topico nella riflessione gnomica antica: cfr.
militia adsuetum graecari, seu pila velox |.../|seu te discus agit...). Come tutti i giochi
Turocn. 173 sg.; Lucian. apol. 10; Sar. Catil. 12, 1 postquam divitiae honori esse coe- d’azzardo, quello dei dadi era vietato (cfr. dig. 11, 5, 2) e Praur. Mil. 164 ricorda una
pere. ..paupertas probro haberi. . .coepit.
lex alearia. Ma si doveva trattare di provvedimenti poco severi, se Ov. trist. 2, 1, 472
v. 44 virtutis — arduae: il soggetto, pauperies, qui si intende personificato, nella figura definisce tale gioco ad nostros non leve crimen avos e lo stesso Augusto giocava a dadi
del pauper, mentre prima ha il suo valore astratto (è lo stesso procedimento che si (Suer. Aug. 71).
osserva in 2, 2, 13 sg.: cfr. nota). Per il concetto cfr. Hes. op. 290 paxpòs xal dpdroc v. 59 periura...fides: l’ossimoro rende particolarmente efficace quest’espressione
otuog èg aòmiv (tà v "Aperiv).
che, grazie anche all’allitterazione periura patris, assume quasi un carattere formulare,
vv. 45-50 vel= mittamus: se, come pensano alcuni interpreti, in questi versi è da come per indicare l’istituzionalizzazione dei costumi corrotti, cattivo esempio per i
vedere un riferimento all'offerta con cui Ottaviano portò nel tempio di Giove Capi- giovani.
tolino 16.000 libbre d’oro e pietre preziose, per un totale di 50.000 sesterzi (cfr. SueT.
v. 60 consortem
— hospites: è il massimo della perfidia tradire il socio in affari (su
Aug. 30), avremmo un sicuro terminus post quem per quest'ode nel 28 a.C., data del consors = « socio in affari, compartecipe del patrimonio » cfr. VARR. ling. 6, 65; PauL.
l'offerta. Ma non è da escludere che la necessità di un’offerta del genere, dato il suo Fest. 381, 8 L.; Is. orig. 10, 38 sg.). Per il concetto cfr. Cic. Rosc. Amer. 40, 116 in
contenuto simbolico, fosse sentita anche prima che essa effettivamente avvenisse, e rebus minoribus socium fallere turbissimum est. ..recte igitur maiores eum qui socium fefel-
che incontrasse un certo favore popolare (questo potrebbe significare il v. 46, che lisset in virorum bonorum numero non putarunt haberi oportere. Sul tradimento degli
però potrebbe anche registrare un ricordo della scena dell’offerta). Che si tratti di ospiti cfr. nota a 2, 13, 6 seg.
un'idea non ancora concretizzatasi spingerebbe a credere la genericità dell’esortazione
successiva, a gettare in mare oro e preziosi. Vero che di un’offerta di gemmae parla vv. 61-62 indigno...heredi: la presenza del motivo dell’erede ci riporta in ambito
Svetonio nel passo su ricordato, ma le pietre preziose, assieme all’oro, sono simboli diatribico: l’ammassatore di ricchezze e l'erede indegno sono figure tipiche del mondo
di lusso nella topica diatribica. satirico di Orazio (cfr. nota a 2, 3, 20). Indigno può suggerire l’idea di un deteriora
mento generazionale, per cui, se il padre è indegno, il figlio lo è ancor di più. Ma pro-
v. 49 summi-— mali: concetto analogo a quello espresso, con le stesse parole, da babilmente alla polemica moralistica si sovrappone il motivo dell’inutilità di ammas-
Sant. Catil. 10, 3 primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit: ea quasi materies omnium sare beni per chi ne farà cattivo uso (cfr. nota a 2, 14, 25).
malorum fuere. Non si tratta, come abbiamo visto, dell’unica eco sallustiana presente
in quest’ode, che s'inserisce nella tradizione dell'analisi moralistica della realtà, di cui vv. 62-64 improbae rei: è il motivo, svolto nella prima satira, dell’insaziabilità del
Sallustio era stato il portavoce principale. ricco (allo stile satirico rinvia anche l’uso di nescio quid). Cfr. anche 2, 2, 13 sg. (e

dimore
nota).
vv. 51-52 eraden da
— elementa: l’espressione metaforica per indicare che il male va
estirpato alle radici sembra tratta dal mondo della scuola, poiché elementa (ototyela)
sono le lettere dell’alfabeto (cfr. sat. 1, 1, 26; epist. 1, 20, 17) ed erado si riferisce alla 25
tecnica della rasura per cancellare. Così, per via di metafora, si ha il passaggio al tema
dell'educazione da impartire alle nuove generazioni fin dalla più tenera età (v. 52 sgg. Pasquali, 14 sgg.; FRAENKEL, 257 sgg.; PòscHi, 166 sgg.; GacLiARDI, 47 sgg.;
tenerae — studiis). Per cupidinis pravi cfr. nota a 2, 16, 15 sg. G. LieBeRo, « Par. pass. » 39, 1984, 90 segg.
vv. 54-58 nescit— alea: per il programma educativo auspicato da Orazio cfr. l’inizio

iii
di 3, 2 (e le relative note). Qui si lamenta che i giovani non pratichino le attività con- Considerata da alcuni una gemma della lirica oraziana, da altri un esercizio let-
formi alle tradizioni romane autentiche, cioè l'equitazione e la caccia, ma si dedichino terario senza profonde motivazioni, quest'ode appartiene al filone oraziano della
a giochi greci come quello del cerchio o a giochi d’azzardo come quello dei dadi. Sul poesia di contenuto bacchico, accanto a 1, 1, 29 sgg. (cfr. nota) e a 2, 19 (cfr. intro
trochus, un cerchio metallico che si faceva girare con una bacchetta o una chiave di- duzione). Ancora ‘una volta Orazio manifesta il fascino che su di lui esercita il culto
ritta o curva a uncino, cfr. Prop. 3, 14; Marmtiat. 11, 21. L'epiteto Graeco è molto dionisiaco, facendo della simbologia ad esso legata una metafora della poesia, se-

MANI
820 Orazio Odi II 25, 1-12 821

condo una tradizione antica, ma rinnovatasi nel I a.C., e forse istituzionalizzata, vv. 2-3 quae — nova: una variazione ampliata dell'interrogazione precedente, in cui
sul finire di tale secolo, nell'esistenza di sodalicia di letterati dediti al culto di però compaiono i luoghi solitari cari alla poesia (cfr. note a 1, 1, 29 sgg.), e si affac-
Bacco (Pasquali, La Penna). A differenza che in 2, 19, l’invasamento è descritto cia il concetto della novità, qui riferito alla mente ispirata e non al soggetto (mente
nel momento in cui avviene, non raccontato successivamente, e ciò contri nova).
buisce a dare all’ode uno svolgimento concitato, sottolineato dall'uso dell’en-
vv. 3-6 quibus— Iovis: il terzo membro della serie interrogativa è ancora più ampio
jambement, che rende difficile individuare una divisione strutturale. Si può sug-
dei precedenti. Qui Orazio specifica il contenuto del canto ispiratogli nell’invasa-
gerire una tripartizione fra i vv. 1-6 (invocazione a Bacco), i vv. 7-14a (l’argomento
mento, e immagina di essere ascoltato mentre elabora la sua poesia negli antri soli:
del canto) e i vv. 14b-20 (il carattere dell’ispirazione), ma sembra proprio che qui
tari del paesaggio dionisiaco (antris è locativo, ma secondo altri dativo d’agente). Sulla
Orazio abbia cercato una fusione dei tre elementi, l’invocazione, l’ispirazione e il
grotta come elemento tipico di un paesaggio legato alla poesia cfr. nota a 2, 1, 39.
soggetto, a mostrare l’intima unità nel momento dell’&vdovowioués (Williams). E,
come nel caso della amabilis insania di 3, 4, 5 sg., anche in quest’ode l’invasamento vv. 5-6 aeternum — Iovis: probabile allusione al catasterismo di Ottaviano e alla sua
è legato alla poesia civile: argomento del canto nuovo annunciato saranno le imprese assunzione nel concilium degli dei, e probabile reminiscenza del proemio del libro I
di Ottaviano, anche se non è il caso di accettare, come in sostanza fa, sia pur con le delle Georgiche, dove fra le possibilità dell’apoteosi si prevede la trasformazione in
dovute limitazioni, P&schl, interpretazione allegorica di Porfirione, che stabiliva una un segno zodiacale (v. 33 sgg.). ì
equazione Bacco = Caesar. Nell’annuncio di questo canto nuovo confluiscono tradi
v. 5 meditans è verbo che, provenendo dalla terminologia retorica (Cic. Brut. 139;
zioni letterarie, e al motivo dionisiaco si sovrappone quello callimacheo degli &rpt-
div. 2, 96; QUuINT. inst. 2, 10, 2; Tac. dial. 30), passa a significare il labor poetico, de
tro xéfXevdor (« vie non battute »), presente nel prologo degli Aetia (fr. 1, 27 sg. Pf.),
finendo in particolare, nella poetica neoterica, la poesia tenue (cfr. Vera. ecl. 1, 2
il motivo dell’originalità, del primus; il paesaggio dionisiaco, luogo della poesia, fuori
silvestrem musam meditaris avena; 6, 82 sg. quae Phoebo quondam meditante beatus | audiit
dello spazio e del tempo (Péschl), viene rivissuto attraverso le elaborazioni del mo-
Eurotas), qui applicato stranamente a un tema politico, quasi a voler sottolineare
tivo della novità quali si leggono in Lucrezio e in Virgilio (cfr. note di commento).
l’importanza del labor anche in poesia sublime. Un'altra interpretazione, che prende
Ma qual è il nuovo canto annunciato con tale ricchezza di motivi poetici? Il con-
le mosse dalla spiegazione di meditari come equivalente a consecrationem dicere (Por-
fronto con 3, 1, 2 sgg. ha fatto pensare che l’ode fosse stata concepita come proemio
firione e ps.-Acrone), vede in meditans l'indicazione della potenza creativa del canto
alle odi romane (Fraenkel), rispetto alle quali però il metro è diverso; più verosimil
di Orazio, che non solo sarebbe capace di proclamare l'apoteosi, ma anche di com-
mente, potrebbe trattarsi dell'originario preludio a un progetto concepito prima delle
pierla (Lieberg). i
odi romane, al ciclo poi non compiuto cui forse doveva appartenere 3, 24, che ha
lo stesso metro dell’ode presente (La Penna). In ogni caso, 3, 25 sarà anteriore al ciclo vv. 7-8 dicam alio: l’affermazione orgogliosa della novità del canto si inserisce sia
di 3, 1-6; se lo è anche a 3, 24, sarà stata composta nel 29 o addirittura nel 30, e a nella tradizione dei canti dionisiaci (cfr. ATHEN. 14, 622c, che riporta Pinizio di un
una datazione alta fa pensare anche il probabile riecheggiamento del proemio delle coro di processione bacchica: coì Bkxye TAVIE uoboav dyAaltopev.. .xamdv, arapde

lividi n
Georgiche (cfr. commento a v. 5 sg.). veutov, ob mi Taîc rdpoc xeypnuévav @datow, dal dxipatov xatdpyouev Tòv Upvov) sia
in quella callimachea (cfr. introduzione); ma da questa sovrapposizione di motivi
Metro: asclepiadeo quarto.

ian
nasce l’autentico sentimento di orgoglio del poeta civile per la propria creazione (cfr.
3, 1, 1 sgg.).
v. 1 quo rapis è la prima di tre interrogazioni che conferiscono all’inizio dell’ode
un ritmo concitato, completamente diverso dall'andamento narrativo di 2, 19. In vv. 8-9 non — Euhias: il paragone fra il poeta e la Baccante (detta Euhias dall’appel-
questo genere di domande è forse da vedere un residuo di formule rituali, come sem- lativo di Bacco Euhius: cfr. nota a 1, 18, 9) è comune tanto in poesia quanto nelle
bra confermare il confronto con PLauT. Men. 835 euhoe, Bacche (ma il testo non è enunciazioni di un'estetica dell’irrazionale: cfr. PLAT. Ion. 534a iorep ai faxyar dpdov

inc
sicuro), Bromie, quo me in silvam venatum vocas? Non mi sembra che nell’azione vio- tar èx TéIv Totapiv ur... Brep «dro AÉyovot.

lo Db
lenta descritta da rapis possa esservi un accenno di recusatio (Gagliardi).
vv. 10-12 Hebrum — Rhodopen: il paesaggio è quello della Tracia, nota sede del culto
vv. 1-2 tui plenum: cfr. nota a 2, 19, 6 pleno...Bacchi pectore; ma questa espres- dionisiaco: l’Ebro, attuale Maritza, è il fiume sulle cui rive le Baccanti sbranarono
Orfeo (cfr. Vero. georg. 4, 520 sg.), Rodope, oggi Despoto-Dagh, è una catena mon-

Mb a
sione è più audace e più incisiva.
822 Orazio Odi II 25,12 - 26, 4 823

tuosa a Nord della Tracia, dove Bacco avrebbe esposto alle pantere il re Licurgo che Il componimento ha una struttura bipartita: nei vv. 1-8 il poeta depone in offerta
si era opposto al suo culto (cfr. Hrcin. fab. 132). Pede barbaro si riferisce all’estra a Venere le armi della milizia d’amore-ormai conclusa, nei vv. 9-12 troviamo l’invo-
neità di questo paesaggio rispetto alla civilizzazione. i cazione alla dea, con una chiusa di sapore epigrammatico.
La divisione strutturale riflette, come si vede, la compresenza di due schemi
vv. 12-14 mihi — libet: il poeta si compiace di percorrere e di ammirare questi luoghi poetici, quello dell’epigramma votivo e quello dell’invocazione alla divinità. I mo-
appartati. Inutile cercare di identificare il fiume (elemento di paesaggio dionisiaco delli sicuramente rintracciabili sono epigrammatici: da un lato il componimento di
anche in 3, 4, 7 sg.) e il bosco solitario, proponendo, come fanno alcuni, che si tratti ParLopem. anth. Pal. 5, 112 (’Hpdo®yy * tic d' odyt; Kexopaxa: tic 3° dubytog/ xducav;
ancora della Tracia, oppure dell'Aniene e della campagna intorno a Tivoli. In realtà, "ANN Epudvnve èx rivog; Oùyi Ieod; /’Eppipdo* 0X4) Yip Ercetyetar dvri peratvng / Bolt IN...
siamo di fronte a un paesaggio poetico, al di fuori dello spazio e del tempo, che, in « Sono stato innamorato: chi non lo è stato? Ho fatto baldoria in allegre brigate: chi
particolare, riproduce il modello paesaggistico legato alle attestazioni del motivo del non è iniziato alle allegre brigate? Ho folleggiato: a causa di chi? non forse di un dio?
primus, fin dagli &rptreror xéievdor di Callimaco (fr. 1, 27 sg. Pf.): cfr. Lucr. 1, 926 Via tutto ciò, poiché ormai i capelli bianchi si affrettano al posto dei neri... »), indi-
sg. (= 4, 1 sg.) avia Pieridum peragro loca nullius ante | trita solo. Iuvat integros accedere cato da Reitzenstein (ma il confronto è reso problematico dalle difficoltà testuali ed
fontis; Vero. georg. 3, 291 sg. sed me Parnasi deserta per ardua dulcis | raptat amor.
esegetiche poste dall'ultimo distico dell’epigramma filodemeo), dall’altro lato gli epi-
v. 14 Naiadum potens: le Naiadi, originariamente ninfe delle fonti, sono ricordate grammi dedicatori, in buona parte conservati nel libro VI dell’Antologia Palatina,
spesso come ninfe, in generale, e come facenti parte del corteggio bacchico: cfr. nota che accompagnavano tradizionalmente l'offerta degli strumenti del mestiere da parte
a 2, 19, 3. Su potens cfr. nota a 1, 3, 1. dell’artigiano ormai invecchiato al dio protettore (cfr. Pasquali). Dall’epigramma de
riva anche la figura della Venus marina; la caratterizzazione della dea come protettrice
vv. 15-16 Baccharum-fraxinos: allusione al testo euripideo delle Baccanti, in par- dell'amore e insieme della navigazione (cfr. ANTIPATR. anth. Pal. 9, 143; GaeTULIC.
ticolare ai vv. 1109 sg., in cui le Baccanti strappano dal suolo l’albero su cui si era
ibid. 5, 17). Ma nella struttura epigrammatica, non priva della pointe finale, Orazio
rifugiato Penteo. ha inserito motivi provenienti dalla tradizione elegiaca, come l’uso della metafora
v. 18 dulce periculum: l’ossimoro esprime efficacemente l’ebbrezza dell’estasi, l’esal- militare e l’allusione ai rrapaxAavotdupa e alle risse fuori della porta dell’amata (cfr.
tazione e insieme il timore e senso di vertigine di fronte all'esperienza che supera i introduzione a 1, 25 e a 3, 10), nonché spunti offerti dalla quotidiana vita galante
confini dell'umano e apre nuovi orizzonti di conoscenze e di sensazioni. della capitale, anche se, nel complesso, l’ode mantiene un carattere di rafyuov elle
nistico.
v. 19 Lenaee: appellativo che deriva a Bacco da Amv6s (« torchio »): cfr. Arc. MEss.
Metro: strofe alcaica.
anth. Pal. 9, 519, 1 © Anvate; Vero. georg. 2, 4.
v. 20 cingentem si riferisce a deum più probabilmente che, come pensano altri, a v. 1 vixi: in rilievo all’inizio dell’ode, il perfetto non solo colloca in un passato lone
un me sottinteso. tano i trascorsi del poeta, ma ha il carattere di un attacco epigrammatico, quasi a in-

di ili nio
x
trodurre l’epigrafe sepolcrale su quello che è stato il passato del poeta stesso.
v. 2 militavi— gloria: la metafora militare è comune nel linguaggio elegiaco: cfr.
26 Prop. 1, 6, 30; 4, 1, 137; Ov. am. 1, 9, 1; ars 2, 233. La gloria sarà, all’interno di
questa metafora, gloria militare; si noti l’uso fine della litote, che nello stesso tempo
REITZENSTEIN, 11 sg.; PasquALI, 498 sgg.; GAGLIARDI, 36 sgg. sottolinea la gloria conquistata e introduce una punta d’ironia. i
v. 3 arma: i ferri del mestiere che l’artigiano offre in voto alla fine della carriera,
Non vi sono indizi cronologici in quest'ode, anche se il tema dell'addio agli amori
chiamati arma coerentemente con la metafora militare secondo cui è costruito que-
che vi è trattato e, soprattutto, lo stato d’animo distaccato che vi domina inducono a
st’inizio di ode.
ritenere opportuna una collocazione tarda, forse non lontana da quella dell’ode 1, 5
(la cui cronologia tuttavia non è sicura: cfr. relativa introduzione), rispetto alla quale $3 vv. 3-4 defunctum — barbiton: la lira (cfr. nota .a 1, 1, 34) ha svolto anch'essa il
è stata anche osservata la collocazione simmetrica all’interno della raccolta costituita suo compito; e ora va ‘appesa a un chiodo’. Una allusione alla poesia di Alceo, ine
dai primi tre libri: quella è la quinta ode, questa la quintultima. sieme politica ed erotica (cfr. introduzione a 1, 32), sarebbe fuor di luogo in un con-
Pi
824 0» Otazio Odi III 26, 4 — 27 825

testo così elegantemente frivolo. In realtà il barbiton rientra fra le armi del bellum v. 8 oppositis foribus: è la situazione di partenza del rrapaxAavoldupov: cfr. nota a 3,
d’amore in quanto arma da conquista (si pensi alle serenate intonate dietro la porta 10, 2.
dell’amata). Non solo; ma qui vi è un riflesso del motivo elegiaco dell’identità fra
vv. 9-11 o-regina: cfr. note a 1, 3, 1 e a 1, 30, 1 e 2. La traiectio fra l’interiezione
amore e poesia, per cui dare l’addio all'amore significa anche deporre la lira.
e il vocativo accentua la solennità dell’invocazione.
v. 4 hic paries: il deittico rientra nello svolgimento mimico che Orazio ha cercato
v..10 Memphin — nive: perifrasi di gusto erudito per indicare la città egizia di Menfi,
di dare all’ode, indicando i movimenti dell'offerta. Per l’uso di appendere gli ex-voto
sede di un celebre tempio di Afrodite (cfr. HeropoT. 2, 112; STRAB. 17, 1, 31), che
alla parete cfr. 1, 5, 14 (e nota).
riprende un'espressione di BaccHyt. fr. 30 Sn.-M. ràv dyetuavrév te Méuow (« Menfi
v. 5 laevum...latus: espressione di interpretazione controversa: secondo alcuni, la senza inverno »), ma la specifica ulteriormente con l’accenno alle proverbiali nevi
parete indicata è quella a sinistra (della statua della dea), perché è da questo lato che della Tracia (su Sithonia cfr. nota a 1, 18, 9). Ricordando la Venere egizia, Orazio
si appendono gli ex-voto; secondo altri, perché ciò che è a sinistra era considerato suggerisce l’assimilazione di Venere alla « dea più in voga nel demi-monde romano »
di buon augurio (cfr. Cic. div. 2, 74; PLIn. nat. hist 2, 142), poiché l’augure latino (Pasquali), cioè Iside, alla quale Cloe sarà stata devota come la Delia di Tibullo (1,
guardava verso Sud, e aveva pertanto l'Oriente a sinistra (mentre l’augure greco guar- 3, 23) e la Cinzia di Properzio (2, 33) (cfr. Reitzenstein).
dava verso Nord, e aveva l'Oriente a destra: poi, per influsso greco, anche a Roma
dexter divenne « di buon augurio », e laevus « di cattivo »: cfr. VERG. georg. 4, 7). Ma v. 11 sublimi flagello: sulla sferza di Venere, una variante delle frecce di Cupido,
non è improbabile che si tratti di una determinazione concreta dettata solo dal desi cfr. Tis. 1, 8, 5 sg. ipsa Venus. . .perdocuit multis non sine verberibus. Il colpo si imma-
derio di mimare la scena nel modo più realistico possibile. gina dato dall’alto, e quindi più violento.

marinae...Veneris: cfr. introduzione e, sulla connessione fra la divinità e il mare, v. 12 Chloen...arrogantemè la stessa donna di 1, 23, di 3, 7 e di 3, 9? Niente ci
cfr. nota a 1, 3, 1. autorizza a ritenerlo con sicurezza (cfr. introduzione a 1, 23). Comunque Orazio in-
vita Venere a dare per vendetta una lezione all’arroganza di Cloe: una chiusa inaspet-
v. 6 hic hic: per l’uso del deittico cfr. quanto detto nella nota al v. 4; in questo tata, certo, ma non tanto quanto vorrebbe chi vede nell’&rpocdéxytov finale una pre
caso, la ripetizione rende ancor più efficacemente il movimento scenico; Orazio si ghiera di Orazio a Venere perché lo aiuti a conquistare la fanciulla (Williams).
rivolge ai servi, con un’apostrofe incidentale che è comune in altre odi a svolgimento
mimico (cfr. 1, 19, 14; 3, 14, 17; 3, 19, 10).
vv. 6-7 lucida funalia: specie di torce con bastoncini sporgenti, cui sì attaccavano
funi spalmate di cera (cfr. Ist. orig. 20, 10, 53 sg.); servivano ad illuminare le strade
27
di sera, ma anche a minacciare di appiccare il fuoco alla porta della donna (cfr. Ov.
Pasquati, 275 sgg.; C. BuscaroLI, Perfidum ridens Venus, Bologna 1937; FRAENKEL,

p
am. 1, 6, 57 sg.).
192 sgg.; W.--H. FrienRIcA, « Nachr. Akad. Wissen. Géttingen » 5, 1959,. 81 sep.

ati af ni-0
v. 7 vectes: leve atte a scardinare le porte: cfr. Luon. fr. 29, 34 M. vecte atque anci-
(= Dauer im Wechsel, 249 sgg.); W. BunLer, Die Europa des Moschos,.« Hermes Fine
piti ferro effringam cardines; Ter. Eun. TL sg. huc (procede) . . .cum vecti.
zelschr. » 13, 1960, 21 sgg.; T. BerREs, « Hermes» 102, 1974, 58 sgg.; R.S. Kupa-
arcus: mentre la funzione di torce e. leve è chiara, non è altrettanto chiara la TRICK;. « Grazer Beitr. » 3, 1975, 191 sgg.; V. PSscHI, « Wiirzb. Jahrbb. Altertums-
funzione degli archi; non si vede, cioè, quale utilità potessero avere archi e frecce wiss.» n.s.-7, 1981, 139 sgg. ©
contro porte chiuse. Di conseguenza alcuni spiegano arcus nel senso di arcuballistae =
« arcobalestre », altri pensano a una loro funzione simbolica in rapporto all'arma di Questa lunga ode, priva di qualsiasi indizio cronologico, dedicata a una donna

E PALA delie pe
Cupido, ma né l'una né l’altra interpretazione appare convincente. L’unica maniera dal nome, Galatea, presumibilmente fittizio (essendo il nome di una ninfa del mare,
ragionevole di salvare il testo tràdito è quella di intendere che gli archi servissero esso ben si adatta all’occasione per cui l'odeè composta, cheè quella di un viaggio
non contro le porte, ma contro eventuali difensori della ragazza, servi o portinai © per mare, e solo per curiosità ricordiamo l’ipotesi secondo cui Galatea sarebbe real-
amanti. Qualche difficoltà tuttavia innegabilmente permane; di qui i numerosi ‘emen- mente la ninfa marina e il viaggiatore senza nome cui è dedicata 3, 27 sarebbe la rac-
damenti proposti, colta dei primi tre libri di odi: Kilpatrick), presenta una struttura complessa: a una
826 Orazio : Odi II 27, 1-7 827

prima parte introduttiva, dedicata al viaggio che Galatea sta per intraprendere (vv. mon » 14, 1938, 636 sgg.). Ma, diversamente che in altre odi, « il gioco non esclude
1-24) segue una parte più ampia (vv. 25-76) che contiene la narrazione del mito di la malinconia» e nell’addio dei vv. 13 sg. sis licet felix ubicumque mavis | et memor nostri,
Europa, a sua volta concepita come un trittico, che vede al centro il monologo della Galatea, vivas « nessuna passione prorompe, ma la voce trema » (La Penna).
fanciulla (vv. 34b-66a) e ai lati due sezioni che rispettivamente introducono e con-
Metro: strofe saffica.
cludono il racconto (vv. 25-34a; 66b-76).
A queste due parti corrispondono i due differenti modelli poetici che sono sot vv. 1-4 impios — vulpes: un propempticon al contrario, con una serie di cattivi auguri
tesi all'elaborazione dell’ode: la prima parte è un propempticon secondo la tradizione per i malvagi, precede l’augurio vero e proprio per Galatea che parte. Orazio sfoggia
(cfr. introduzione a 1, 3), complicato dalla presenza di un motivo elegiaco, il tenta- la propria conoscenza della scienza augurale, con una precisione che mostra l’intento
IRE ERO peroni

tivo di trattenere la donna. Forse Orazio trovava i due motivi combinati già in Pro- scherzoso, e che rinvia nello stesso tempo alle conversazioni di moda nei salotti della
perzio 1, 8, l’elegia dedicata a Cinzia in partenza per l’Illiria, ma è impossibile deci capitale.
dere se vi sia, e quale sia, un rapporto fra i due componimenti. Comunque, è attra-
RO SR

verso il motivo ‘deterrente’ che Orazio crea un legame fra la prima e la seconda v. 1 parrae: la serie degli omina negativi comincia con la menzione di quest’uccello
parte, la quale è introdotta con funzione parenetica, secondo una tradizione della di difficile identificazione (la cinciallegra o la civetta o il barbagianni), che però, se
TITO

lirica corale, ma anche della poesia ellenistica ed elegiaca. Un possibile influsso della condo un’altra tradizione attestata, rappresentava un auspicio favorevole (PLAUT.
lirica narrativa di Stesicoro e di Bacchilide, che avevano ambedue narrato il mito Asin. 260).
di Europa (cfr. Pasquali e nota al v. 25) sarà stato in ogni caso mediato dalla tecnica vv. 2-3 ab agro —Lanuvino: la lupa, come la cagna del v. 2 e la volpe del v. 4, fa
ellenistica dell’epillio (cfr. introduzione a 3, 11). Vero che la narrazione oraziana sem- parte dei cosiddetti pedestria auspicia, quelli cioè forniti dagli animali di terra e non
bra sostanzialmente indipendente, anche se non estranea, rispetto all’ Europa di Mosco dagli uccelli (cfr. PauL. Fest. 287, 1 sg. L.). Lanuvio, antica città del Lazio, era a un
(cfr., recentemente, Berres; di opinione contraria Biihler), che ha invece avuto un miglio di distanza a destra dalla via Appia; che la lupa corra giù da Lanuvio (s’in-
influsso determinante sulla redazione ovidiana del mito (met. 2, 833 sgg.), ma elleni- tende, sulla via Appia) potrebbe riferirsi alla provenienza da destra, di cattivo auspi-
stico è, nel complesso, il modo della narrazione, la presenza dell’elemento soggettivo cio per chi viaggiasse verso Brindisi e Pozzuoli.
e patetico, la centralità della figura femminile in una situazione di pericolo; che avvi-
cina Europa all’Arianna di CatuLL. 64 o all’Andromeda di Mann. 5, 540 sgg., la v. 3 rava: secondo lo ps.-Acrone, colore misto fra nero e fulvo, secondo Paut. FEsT.
concezione del monologo come asse narrativo portante, che fa pensare ancora al Ca- 339, 3 sgg. L., fra giallo e grigio; l’epiteto, riferito ai leoni in epod. 16, 33, vorrà indi
tullo del c. 63 e del c. 64, Ellenistica è, in generale, la tecnica dell’incastonamento, care il colore del pelo.
in cui il gusto digressivo (si pensi all'episodio di Orfeo nel finale delle Georgiche)
v. 5 rumpat-institutum: alcuni hanno visto una contraddizione con quanto pre-
prevale sulla funzione parenetica che al mito riservava la lirica arcaica. Se non si tiene
cede, e sono arrivati a preferire la lezione rumpit (Bentley) o a sospettare un’interpo-
conto di ciò, si finisce per esprimere ‘un giudizio svalutativo su quest’ode, sottoli
lazione (Peerlkamp), sulla base della presunta incongruenza fra il brutto viaggio augu-
neando la gratuità del legame fra la seconda e la prima parte, la quale ultima si rive
rato prima e la rinuncia al viaggio, che, quasi quasi, si risolverebbe in un buon augu-
lerebbe un pretesto (Fraenkel), o l’incongruenza fra l’occasione e il mito, poiché Ora-
rio. Ma la serie dei cattivi omina è un elenco di alternative: a un malvagio si augura
zio cercherebbe -di spaventare Galatea con un racconto che in realtà le prospetta una
la lupa, a un altro il serpente (annoverato fra i pedestria auspicia nel passo di Festo
gloria come quella che toccò ad Europa (Pasquali). D'altra parte, non è nemmeno il
citato nella nota a v. 2 sg.). Rumpat iter significherà non tanto ‘interrompa il viag-
caso di voler stabilire corrispondenze a tutti i costi fra le. due parti dell’ode, indivi
gio’ quanto ‘tagli la strada’, e ciò è confermato dal verso successivo, che presenta
duando il legame fra queste, ad esempio, nel mistero che avvolgerebbe le due crea
il movimento obliquo e rapido del serpente.
ture femminili qui presenti, Galatea ed Europa (Williams)...
Orazio ha attinto ancora una volta al mondo galante contemporaneo, giocando v. 7 mannos: cavalli piccoli di origine gallica (gli odierni ponies), animali di lusso:
sull’occasione offertagli dal viaggio della donna, fingendo di spaventarla, ma in realtà cfr. epod. 4, 14; epist. 1, 7, 77; Lucr. 3, 1063; Prop. 4, 8, 15.
prospettandole allusivamente il destino di Europa: l’ode è dominata da una raffinata
ironia (Pòschl), anche se è eccessivo cogliervi addirittura toni di parodia, nei con- ego: il pronome personale in collocazione enfatica introduce la contrapposizione fra
fronti della lirica pindarica (Buscaroli) o della poesia ellenistica (BicHNER, « Gno- i malauguri per i malvagi e i buoni auguri per chi sta a cuore al poeta.
3 i
828 . Orazio Odi II 27, 8-34 829

v. 8 providus auspex: parole che riecheggiano formule del linguaggio sacrale (cfr. v. 21 caecos in.senso passivo, come in 2, 13, 16 caeca fata, e non nel senso che,
nota a 1, 7, 27), con intento scherzoso come tutta l’enfasi che caratterizza il contesto. come pensa qualcuno, essendo ciechi, i venti rimarrebbero insensibili alla bellezza
di Galatea.
v. 10 imbrium— imminentum: l’uccello presago di pioggia è la cornacchia (cfr. nota
a 3, 17, 12 sg.); prima che questa si avvicini alle paludi stagnanti per l’approssimarsi v.: 22 Austri ovvero lo Scirocco, o Noto: cfr. nota a 1, 3, 14 sg.
della pioggia, il poeta farà levare un uccello di buon augurio, per scongiurare il vv. 22-24 orientis— ripas: si noti l’effetto di armonia imitativa ottenuto attraverso
pericolo..
il ricorrere di suoni aspri e della r. Su nigri cfr. nota a 1, 5, 6 sg.; riba, propriamente
v. 11 oscinem: termine tecnico dell’aruspicina, legato al verbo occinere (ob + canere). riva del fiume, indica qui la riva del mare, come in 2, 18, 22, sulla base di una
confusione comune fra ripa e litus (cfr. 1, 2, 14).
v. 12 solis-ortu: perché gli auspici favorevoli vengono dall'Oriente, cioè, per i Ro-
mani, da sinistra (cfr. nota a 3, 26, 5). v. 25 sic: tipica formula introduttiva di exemplum, atta a stabilire un legame fra mito
vv. 13-14 sis vivas: il nome del destinatario arriva solo a questo punto, nella strofe e realtà: cfr. Prop. 1, 20, 5 sg.; 2, 8, 29 sge.; 2, 21, 11 sgg. L’analogia fra Galatea ed
dell’addio, artisticamente collocato fra l'augurio per la vita futura (vivas) e il ricordo Europa è nell’audacia, nello spirito temerario con cui entrambe si affidarono al
che il poeta si augura Galatea serbi di lui (memor nostri). Il tono concessivo con cui rischio.
viene formulato l’augurio di buon viaggio, pur nel dispiacere per il distacco, ricorda Europe: figlia del re fenicio. Agenore (secondo altri, di Fenice), fu rapita da un toro
Prop. 1, 8, 17 sg. sed quocumque modo de me, periura, mereris, | sit Galatea tuae non aliena che le si avvicinò mentre raccoglieva fiori; la fanciulla, fiduciosa (credidit), montò sul
viae (cfr. introduzione), ma la sommessa malinconia dei versi oraziani è estranea a dorso dell’animale, che la portò via, attraverso il mare, fino all’approdo a Creta. Il
Properzio. toro era Giove, e da Europa nacquero Minosse, Radamanto e Sarpedonte: mito nar-
v. 15 laevus...picus: il picchio è qui considerato di cattivo augurio perché prove- rato da Omero (Il. 14, 321), da Esiodo (cfr. fr. 140 M.-W.), da Stesicoro (cfr. fr. 195
niente da sinistra; in realtà gli auspicii da sinistra a Roma sono favorevoli (cfr. nota P.), da Bacchilide (cfr. fr. 10 Sn.-M.), da Mosco, da Ovidio (cfr. introduzione).
x
al v. 12), ma la confusione fra destra e sinistra è ingenerata dall’influsso greco (cfr. vv. 26-27 scatentem — pontum: il mare popolato di mostri (cfr. 1, 3, 18 monstra na-
nota a 3, 26, 5). tantia) accresce il pathos della situazione: cfr. MoscH. 2, 116 xirea S'auplc dtarde
v. 16 cornix: cfr. nota a 3, 17, 12 sg. (sul rapporto con Mosco cfr. introduzione).
v. 17 sed vides: il nesso avversativo, con il verbo dell’indicazione concreta, a richia- v. 28 palluit audax: l’improvvisa paura di Europa e la sua iniziale audacia sono ac-
mare bruscamente l’attenzione del destinatario, rivela inaspettatamente il tentativo di costate efficacemente in questo fine ossimoro, i
trattenere la donna,
vv. 29-30 nuper— coronae si riferisce al momento dell’incontro fra Europa e il toro
vv. 17-18 trepidet— Orion: cfr. nota a 1, 28, 21 sg. Si noti l’assonanza onomato- (cfr. nota a v. 25), scena descritta da MoscH. 2, 63 sgg.
peica in trepidet-tumultu.
vv. 31-32 nocte undas: il paesaggio lunare è descritto con pochi tratti espressio-
vv. 18-19 ego novi: il riferimento personale non rimanda qui ad una esperienza nistici: la luce fioca e l'immenso vuoto del mare sono lo scenario ideale per la situa-
autobiografica, ma rappresenta il riaffiorare, come altre volte nella lirica oraziana, dei zione patetica descritta, proiezione dello stato d’animo della fanciulla, della sua soli
ricordi legati al mare dell’infanzia, l'Adriatico. tudine e della sua angoscia. Gli elementi del quadro sono già in Moscu. 2, 132 sg.
ater...albus: i due opposti si controbilanciano simmetricamente in fine di verso: palvero d° obt’ dxti rig ddippodac ott’ dpoc alti, / dA’ dp utv dvwdev, Evspde SÌ révroc
per ater cfr. nota a 1, 5, 6 sg., per albus nota a 1, 7, 15 sg. drtetpav, ma senza l’incrocio di linee spaziali e di luci che troviamo in Orazio.

v. 20 Iapyx: cfr. nota a 1, 3, 3 sg. vv. 33-34 centum— Creten: traduzione dell’espressione omerica éxaréurrodu (Il. 2,
649), oggetto di un diverso calco in epod. 9, 29 centum nobilem Cretam urbibus.
vv. 21-22 hostium — sentiant: forma di drrorour) con cui si stornano i mali sui pro-
x
pri nemici, scongiurandoli per gli amici, equivalente a una maledizione per i primi: v. 34 pater: come altre protagoniste di epilli, Europa è colta nel momento in cui,
cfr. Vero. georg. 3, 513 di meliora piis erroremque hostibus illum; Prop. 3, 8, 20. sola e abbandonata, viene presa dall’angoscia e dai rimorsi; il primo pensiero è per
830 * . Orazio Odi II 27, 35-67 831

il padre che sente di aver tradito. L'’accumulo di interrogazioni e di esclamazioni è vv. 51-52 inter —leones: la presenza delle belve feroci è comune in narrazioni aventi
proprio dello stile patetico. come protagonista l'eroina abbandonata, ma di solito esse suscitano paura (così è per
Arianna in Carutt. 64, 152 e in Ov. her. 10, 83 sgg., per Andromeda in ManIz. 5,
v. 35 filiae: secondo molti interpreti, a partire da Porfirione, un dativo d’agente retto
587 sgg.) anziché desiderio di esserne preda, come in questo caso. Nuda ha secondo
da relictum, secondo altri un genitivo dipendente da nomen. Il significato non cambia alcuni senso figurato (‘indifesa’), ma la nudità di Europa è un ulteriore elemento
molto: Europa sente di aver smarrito il senso dell’onore familiare. di plasticità di questo quadro.
vv. 35-36 pietas furore: l’affetto e la devozione di figlia si contrappongono all’in- vv. 53-56 antequam — tigris: la strofe ripete lo stesso concetto dei versi precedenti,
sana passione per il toro. il desiderio di Europa di essere sbranata dalle fiere, con in più un indugiare un po’
v. 37 unde quo: la costruzione asindetica permette una condensazione espressiva concettistico sulla speranza, da parte della fanciulla, che ciò avvenga prima che la
(maggiore che, per esempio, nelle parole di Turno in Vere. Aen. 10, 670 quo feror? magrezza la renda non gradita alle fiere. L’insistenza di Europa sulla propria bellezza
unde abii?), che può sembrare artificiosa, ma che rende bene l’accavallarsi dei pen- costituisce un tratto della psicologia femminile del personaggio.
sieri e il tumulto delle ‘emozioni. vv. 54-55 tenerae — praedae: genitivo piuttosto che, come intendono alcuni, dativo di
vv. 37-38 levis» culpae: riflessione sentenziosa, con una punta di concettismo, che svantaggio. Sucus è la linfa vitale: cfr. Ter. Eun. 318 corpus solidum et suci plenum.
riprende una argomentazione non nuova, soprattutto all’oratoria: cfr. DeMOSsTH. 19, vv. 57-58 vilis — cessas ripete lo stesso concetto del v. 50. L’apostrofe rivolta dalla
110; Lys. 12, 37. Cfr. inoltre Prop. 4, 4, 17 et satis una malae potuit mors esse puellae? fanciulla a se stessa mira ad accrescere il pathos, che però sembra stemperarsi negli
vv. 38-40 vigilans —imago: nel suo delirio, Europa ha smarrito il senso del confine artifici retorici. Anche il nesso urget absens, atto ad esprimere l’ossessiva presenza
fra realtà e allucinazione; questo stato psicologico si esprime stilisticamente nelle in della figura paterna nel senso di colpa di Europa, risulta un concettismo.
terrogative disgiuntive. vv. 58-60 potes— collum: comincia lo svolgimento del topos retorico del modus mor-
v. 41 vana: secondo alcuni, epiteto di imago, secondo altri va unito alla relativa se- tis, l'esame delle varie possibilità che si offrono all’eroe (eroina) in procinto di suici-
guente, come predicativo del soggetto quae. darsi: il primo modo è l’impiccagione.

porta. ..eburna: allusione alla porta di avorio da cui uscirebbero i sogni falsi, al con- v. 59 zona secuta: espressione amaramente sarcastica: la zona era una cintura che
trario di quelli veritieri, che escono da una porta di corno, secondo la tradizione atte indicava la verginità.
stata da Hom. Od. 19, 562 sgg. e da Vero. Aen. 6, 893 sgo. vv. 61-63 sive veloci: altro possibile modo di suicidarsi: lanciarsi sui sassi aguzzi
vv. 42-44 melius— flores: tornata in sé, Europa si chiede come abbia potuto com- (leto è dativo di fine).
mettere la follia di cui si è resa protagonista. Torna la scena della raccolta dei fiori,
vv. 63-64 erile...pensum: lo stesso che erae pensum (allo stesso modo, in Plauto
la stessa dei vv. 29 sgg., l’ultimo momento prima dell’insania.
troviamo erilis filius ed espressioni simili), cioè la parte di lana pesata dalla padrona
v. 45 infamem: lo stile si fa soggettivo, gli epiteti sono scelti dallo sdegno di Europa. prima di essere affidata all’ancella per la filatura.

I
vv. 46-48 lacerare — monstri: la ricchezza di suoni aspri rende efficacemente l’accani- v. 65 regius sanguis: la dizione elevata (sanguis nel senso di ‘discendenza’ è del
mento e la furia di Europa. Ma in modo multum amati lo stile soggettivo lascia affio- registro epico: cfr. Enw. ann. 108 Sk.; Vero. Aen. 1, 23; 4, 230; 6, 836) conferisce
rare una punta di tenerezza e di nostalgia. solennità a questa espressione in cui l'orgoglio regale prevale per un momento sulla
disperazione.
v. 49 impudens: ripreso anaforicamente nel verso successivo, ad accrescere il pathos.
vv. 66-67 aderat— Venus: a porre fine all'aria tragica costituita dal monologo di
patrios Penates: la solennità sacrale del nesso allitterante aumenta la gravità del mi-
Europa interviene Venere, vero deus ex machina. Sul sorriso della dea (perfidum, accu-
sfatto di Europa ai suoi stessi occhi.
sativo avverbiale, indicherà riso ‘sardonico’ piuttosto che ‘subdolo ’) cfr. nota a
v. 50 Orcum: cfr. nota a 2, 18, 30. 1, 2, 33.
25%
832 Orazio Odi IN 27, 67 - 28, 10 833

vv. 67-68 remisso


— arcu: Cupido, che ha suscitato la passione in Europa, ormai vv. 2-3 reconditum...Caecubum: cfr. nota a 2, 3, 8 e, per il Cecubo, nota a 1, 20,9.
allenta l’arco.
v. 3 strenua: il termine rinvia alla sfera del valore militare, e rientra nella caratte
vv. 69-70 abstineto
— rixae: cfr. nota a 2, 9, 17 sg. rizzazione ironica della virtù di Lyde.
vv. 71-72 cum-taurus: Venere allude ironicamente al proposito manifestato da v. 4 munitae...sapientiae: alla saggezza ‘filosofica’ di Lyde si fa riferimento con
Europa nei vv. 45 sgg. una espressione che rinvia alla saggezza epicurea: cfr. Lucr. 2, 7 sg. sed nihil dulcius
v. 73 invicti — nescis: l’uso del nominativo con l’infinito al posto dell’accusativo è est bene quam munita tenere [ edita doctrina sapientum templa serena. Il contrasto fra sa-
diffuso in poesia neoterica ed augustea: cfr. epist. 1, 7, 22 vir bonus. ..ait esse paratus; pienza e amore è un motivo epigrammatico: cfr. Posiniep. anth. Pal. 5, 134; MELEAGR.
Carutt. 4, 2 ait fuisse navium celerrimus; Vero. Aen. 2, 377; Ov. met. 13, 141. ibid. 12, 117.
vv. 75-76 tua-ducet: una parte del mondo prenderà il nome di Europa (per il plu- v. 5 inclinare meridiem: il verbo inclinare andrebbe riferito propriamente al sole e,
rale nomina cfr. 4, 2, 4 vitreo daturus nomina ponto). Forse Orazio ha presente la di- per estensione, all'intero giorno, identificato con il corso del sole (Liv. 9, 32, 6 sol
stinzione, operata da alcuni geografi, del mondo in due parti anziché in tre (Europa, meridie se inclinavit; Cic. Tusc. 3, 7 inclinato iam in postmeridianum tempus die); qui
Asia, Africa): cfr. Isocr. 4, 179 ic Yîlg dandone tig irò té xbouo diya Terumuevnsi però indica una sola parte del giorno. Meridies ha valore metaforico, presuppone
Varzr. ling. 5, 31; PLin. nat. hist. 3, 5 Europa. ..quam plerique merito non tertiam por- il paragone topico della vita dell'uomo con il giorno solare (cfr. Mimnerm. fr. 2 W.).
tionem fecere, verum aequam, in duas partes...universo orbe diviso. In tal caso, sectus
v. 6 volucris dies: il giorno è paragonato al volo di un uccello per la sua velocità:
equivarrà a dimidiatus. cfr. Tmoct. anth. Pal. 12, 32.
v. 7 horreo: qui con significato equivalente ad apotheca: cfr. nota a 3, 8, 11.
28
v. 8 cessantem: è riferito all’anfora l’indugio che in realtà è della fanciulla, il che dà
V. PòscHL, 180 sgg. luogo a una personificazione dell’anfora che ricorda quella di 3, 21.
Quest'ode, priva di indizi cronologici, ha come destinatario Lyde, probabilmente Bibuli consulis: l’anfora portava sull’etichetta (cfr. nota a 2, 3, 8) il nome di M.
la stessa donna che compare in 2, 11 e alla quale è rivolta 3, 11 (cfr. nota a 2, 11, Calpurnio Bibulo, console con Cesare nel 59 a.C. (cfr. Suer. Iul. 19; PLur. Caes. 14,
22), e presenta una struttura limpidamente bipartita (nei vv. 1-8 Pinvito a bere, nei 1). Conviene al contesto ironico la menzione di un console insignificante, schiacciato
vv. 9-16 l'argomento del canto che il poeta vuole intonare assieme alla donna). dalla personalità del collega (cfr. Suer. Iul. 20), e il cui nome si prestava a un gioco
La collocazione di rilievo (l'ode è la terzultima della raccolta dei primi tre libri, di parole, perché legato alla radice di bibere.
nonché l’ultimo componimento di tale raccolta dedicato a una donna) spinge a cre-
v. 9 nos-invicem: alcuni interpretano il pronome plurale come equivalente enfa-
dere che essa abbia un significato più complesso di quanto non lascino credere la
tico del singolare (come in 1, 6, 5 etc.) e invicem nel senso di ‘volta per volta, a mano
semplicità della situazione e il dichiarato legame con un'occasione, cioè con la ricor-
a mano’, in riferimento agli argomenti del canto; altri intendono nos riferito sia al
renza dei Neptunalia, festeggiati il 23 luglio (CIL? 32, 3; Paut. Fesr. 519, 1 sg. L.).
poeta sia a Lyde, e invicem nel senso di ‘a nostra volta’ (come in 1, 25, 9). Meglio
In realtà, dietro la cornice d'occasione, l’ode, non a caso collocata immediatamente
intendere nos riferito ad ambedue i personaggi e invicem come ‘alternativamente ’,
prima del messaggio epicureo a Mecenate, ripropone uno dei motivi più cari alla senza però che sia necessario pensare a un canto amebeo.
riflessione di Orazio, il tema del carpe diem e della necessità di godere la vita (cfr. ine
troduzione a 1, 9; 1, 11). I Neptunalia offrono uno spunto adeguato a una siffatta me- v. 10 Neptunum è la prima divinità ad essere cantata, perché è il giorno della festa
ditazione poetica: alla festa di tutti Orazio contrappone la propria festa, il proprio in suo onore, i Neptunalia (cfr. introduzione).
modo di godere la vita, dove il vino e il canto sono ancora una volta metafora della viridis
— comas: le Nereidi, figlie di Nereo (cfr. Hom. Il. 18, 39 sg.; VERG. georg.
gioia dell’esistenza (cfr. Poschl). 4, 336 sg.), sono ricordate perché fanno parte del corteggio di Nettuno. Il colore
Metro: asclepiadeo quarto. verde, come quello del mare, è adatto a indicare i capelli di una divinità del mare
(cfr. nota a 1, 17, 20), come in Ov. met. 2, 11 pars in mole sedens virides siccare capil-
vv. 1-2 festo
— Neptuni: cfr. introduzione. los; her. 5, 57 virides Nereidas.

gini
834 Orazio Odi II 28, 11 — 29, 1 835

v. 11 curva...iyra: cfr. nota a 1, 10, 6. Dedicata a Mecenate come la proemiale 1, 1, quest'ode è collocata non a caso
recines: se si intende nos del v. 9 come equivalente a ego, il verbo significherà ‘can- alla fine della raccolta dei primi tre libri, di cui costituisce una vera e propria chiusa,
poiché il commiato vero e proprio, con la oppayis finale, fa parte a sé. Non solo la
terai in risposta’, se il pronome viene invece riferito ai due personaggi, recines signi-
ficherà ‘ricomincerai a cantare ’.
collocazione di rilievo e la destinazione sono segni dell'importanza che Orazio asse
gnava a quest’ode, ma anche la ricerca di sublimità che caratterizza lo stile e l’am-
v. 12 Latonam— Cynthiae: cfr. note a 1, 21, 1 sgg.; 4; 5; per Diana cacciatrice cfr. piezza dello svolgimento, inaspettata in un componimento che, almeno nel suo nucleo
nota a 1, 12, 22 sg. originario, è un carme conviviale. La situazione iniziale è infatti quella di un invito
v. 13 summo carmine: alla fine del canto compare la dea cui va riservato il mas a pranzo, che occupa le prime quattro strofe, seguite da un blocco centrale (vv. 17-
simo onore, Venere; è una maniera metaforica di indicare nell'amore l’ultimo e più 48) contenente la riflessione gnomica, e infine da una serie di considerazioni perso-
importante argomento da cantare. Per l’espressione cfr. epist. 1, 1, 1 summa Camena.
nali nei vv. 49-64 (secondo altri, fra cui Pòschl, la struttura è invece quadripartita in
quattro gruppi di quattro strofe ciascuno, mentre secondo Biichner l’ode è strutturata
vv. 13-14 Cnidon- Paphon: cfr. nota a 1, 30, 1. in due grandi parti, costituite dall’invito e da una riflessione sulla condizione umana).
v. 14 fulgentis...Cycladas: cfr. nota a 1, 14, 19 sg. Se la prima delle tre parti da noi indicate riproduce il modello convenzionale
della vocatio ad cenam (cfr. introduzione a 1, 20), la parte centrale costituisce lo svi.
v. 15 iunctis...oloribus: anche in 4, 1, 10 il carro di Venere è guidato dai cigni, luppo del motivo parenetico che spesso si intreccia alla situazione conviviale (cfr. 2,
secondo una variante rispetto alla tradizione: in SAPPH. fr. 1, 8 sgg. LP. il cocchio 3 e relativa introduzione; 2, 11), ma il cui svolgimento qua assume ampie dimen-
della dea è tirato dai passeri, altrove (Prop. 3, 3, 31; Ov. am. 1, 2, 23) dalle colombe. sioni, dilatandosi fino a trasformare l’ode, nel suo più profondo significato, in un
v. 16 dicetur— nenia: il verbo dicetur va riferito a Nox e non, come interpretano al- messaggio filosofico, che non a caso viene posto a conclusione della prima raccolta.
cuni, a Venere, soggetto dei versi precedenti. Per nenia la maggior parte degli esegeti I motivi che compongono tale messaggio sono quelli ben noti della filosofia oraziana
esclude il significato originario di ‘lamento funebre’ e pensa a una cantilena o ninna- della vita: da un lato il senso della precarietà dell’esistenza, dall'altro, di fronte a que
nanna, oppure a un ‘canto di chiusa’ (cfr. Paul. Fest. 157, 3 sg. L. quod cordarum sta temporalità, la necessità di vivere il presente e, nello stesso tempo, la ricerca di
ultima vira dicitur, extremam cantionis vocem nenia appellarunt). Ma lo ps.-Acrone una autosufficienza che ci ponga al riparo dai mutamenti fluttuanti della vita, regolati
da una sorte capricciosa. Sono gli stessi motivi, per esempio, di 1, 4, di 1,9, di 1,
spiega merita nenia come convenienti carmine, nel senso che alla notte tenebrosa si ad-
dice un canto lugubre; chi accetta tale interpretazione, vede nella notte una metafora
11, di 2, 3, di 2, 11 (cfr. le relative introduzioni), che qui si compongono in un qua-
della morte (come in Carutt. 5, 6 nox est perpetua una dormienda), che concluderebbe dro unitario che sintetizza la meditazione etica oraziana, e per il quale sarebbe un
nel modo più appropriato un carme tutto costruito sull’opposizione metaforica gior- errore cercare ascendenze filosofiche precise. Il quadro principale di riferimento è
no-notte come equivalente al contrasto vita-morte.
senza dubbio il pensiero epicureo, ma alcuni motivi, come quello dell’aùriper, ap
partenevano a quella xowf che costituiva la cultura filosofica media, e che era for-

Odi nici ninni


mata da apporti dell’epicureismo, dello stoicismo, nonché della diatriba e della filo-
sofia divulgativa. Ma i motivi, al di là della loro provenienza, sono rielaborati dalla
29 riflessione oraziana, e ciò che assegna unità a quest’'ode, composita dal punto di vista
sia del contenuto filosofico sia dei modelli poetici, è « l’individualità del poeta che
Pasguati, 635 sgg.; FRAENKEL, 223 sgg.; K. BilcHNER, in Studi Traglia, Roma vi si coglie», poiché essa è « un monumento perfetto della sua devozione a Mece-
1979, 553 sgg.; G. Voer, « Altspr. Unterr. » 26, 3, 1983, 36 seg. nate e della sua visione della vita » (Fraenkel).
Metro: strofe alcaica.
Non è possibile stabilire la cronologia di quest'ode, malgrado alcuni l’abbiano
collocata in un periodo in cui Augusto era assente da Roma, verosimilmente negli v. 1 Tyrrhena — progenies: la solenne apostrofe, prolettica rispetto al vero e proprio
anni della spedizione cantabrica (27-24 a.C.), perché la formulazione dell’invito a vocativo del destinatario (v. 3), richiama, con allusività speculare, quella di 1, 1, 1

ld) il
Mecenate presuppone che egli sia oberato da un particolare carico di lavoro; ma si (cfr. nota), con una maggiore ricerca di effetti stilistici (si noti l’enallage in Tyrrhena,
tratta di un argomento assolutamente non probante. la frequenza di r), che sottolinea l’affettuoso omaggio all’illustre amico.
836 Orazio Odi III 29, 2-19 837

v. 2 non- cado: vino che non


4
è mai stato versato, poiché l’anfora non
x
è stata an- zioni simili, come Lixpod brreprégpedov, dMyov vasovoav Tév vepilcv, Efyurdmo TÙv vepdiv.
cora voltata in giù: cfr. sat. 2, 8, 39 invertunt. . .vinaria. Lene riferito al vino equivarrà Un’eco di questa topica si riconosce in ANTIPATR. Sipon. anth. Pal. 9, 58, 6 ’Apré
a molle di 1, 7, 19 (cfr. nota). uidog vepécov dypt Itovra Sépov (del tempio di Artemide a Efeso) e in Vero. Aen. 8,
98 seg. domorum tecta...quae nunc Romana potentia caelo aequavit. Ma nella raffigu-
v. 3 cum—rosarum: sulle ghirlande di fiori nel convito cfr. nota a 1, 36, 15 sg. e,
razione della gigantesca costruzione che tocca le nubi, quasi sfidando il cielo, sembra
in particolare, sulle rose nota a 1, 38, 3 sg. L’espressione perifrastica flos rosae è co-
anche potersi cogliere una allusione alla sfera della hybris: si ricordi che viene più
mune in Orazio (cfr. nota a 2, 3, 13 sg.) per indicare le rose (non, come pensano
facilmente colpito dai fulmini ciò che sta più in alto (cfr. 2, 10, 9 sgg. e nota).
altri, ‘il fior fiore, il meglio delle rose ’). Il vocativo del destinatario è collocato arti-
sticamente entro la cornice di rose, quasi entro la ghirlanda simposiaca. vv. 11-12 beatae...Romae: si chiude con il nome della grande città questa strofe
che contiene una delle più belle descrizioni che abbiamo di Roma nell’antichità (ma,
v. 4 balanus: si tratta di quell’unguento, ricavato da una ghianda in Egitto e in Ara
diremmo, di una metropoli in genere): mentre invita l’amico a lasciare la città, opu-
bia, che PLIN. nat. hist. 12, 100 sg. chiama myrobalanus. Sull’uso dei profumi nei con-
lenta e caotica, bella e sporca, Orazio ne subisce il fascino.
viti cfr. 2, 3, 13; 2, 7, 23; 3, 14, 17.
vv. 13-16 plerumque — frontem: il carattere sentenzioso di questi versi è sottolineato
v. 5 iamdudum rientra nel formulario dell’invito: cfr. epist. 1, 5, 7 iamdudum splen-
dall’iniziale plerumque e dal perfetto gnomico explicuere. Lo svolgimento diatribico
det focus et tibi munda supellex.
ricorda quello del secondo proemio lucreziano (cfr. v. 23 sgg.), ma anche certe mo-
eripe— morae: cfr. 4, 12, 25 pone moras; ma qui l’espressione è più forte, contiene venze satiriche: si veda, in particolare, sat. 2, 2, 65 sg., per il concetto di munditiae:
una sollecitazione a mettere da parte le preoccupazioni consuete (cfr. 3, 8, 17 e nota). mundus erit qua non offendat sordibus, atque | in neutram partem cultus miser (su questa
qualità, intermedia fra la trasandatezza e l’affettazione, cfr. anche Cic. off. 1, 130).
vv. 6-7 nec — contempleris: la situazione abituale di Mecenate, quasi prigioniero dei
suoi impegni nel suo palazzo sull’Esquilino, è presentata attraverso la descrizione del v. 14 parvo — pauperum: il Lar, divinità tutelare della famiglia, indica metonimica-
paesaggio che egli può contemplare da quello che era considerato uno dei punti pano- mente la casa. Su pauper cfr. nota a 1, 1, 18. Sulla frugalità dei pranzi, raccomandata
ramici di Roma (sul palazzo dell’Esquilino cfr. sat. 1, 8, 14 e Suer. Aug. 72), e che dagli epicurei, cfr. note a 1, 31, 15 e 16.
sottolinea la ripetitività dell’azione contenuta in contemplari (verbo che proviene
v. 15 sine ostro: i baldacchini e le tende di porpora sono uno scenario tipico per le
dal linguaggio augurale e conferisce solennità all’espressione).
angosce e le inquietudini dei ricchi: cfr. Lucr. 2, 34 sgg. (cfr. anche 2, 16, 6 sgg. e note).
v. 6 udum Tibur: cfr. 1, 7, 13 sg. e nota. vv. 17-18 iam ignem: il riferimento alla stagione calda ormai cominciata, che in-
vv. 6-7 Aefulae...arvum: Efula, cittadina sui monti sabini a Sud di Tivoli: cfr. vita ad allontanarsi dalla città per sfuggire alla calura, è fatto attraverso una serie di
Liv. 26,9,9. allusioni erudite a miti astrali: la prima costellazione ricordata è quella di Cefeo, re
degli Etiopi, padre di Andromeda (cfr. Hrcin. astr. 2, 9), che sorge il 9 luglio (cfr.

sn iva tonni
v. 8 Telegoni— parricidae: riferimento dotto, che accresce l’altezza dello stile, a Tu- Corum. 11, 2, 51). Si noti l’accostamento sapiente di clarus e occultum, quasi un ossi-
scolo, le cui mitiche origini si facevano risalire a Telegono, figlio di Ulisse e di Circe moro, l’uso traslato di ignis nel senso di ‘fulgore’ (cfr. 4, 2, 57 sg. ignis.. .lunae),
(cfr. anche epod. 1, 29 sg. ut superne villa candens Tusculi | Circaea tangat moenia), il che dà all’espressione una abbagliante luminosità e, a completare la cura stilistica di
quale, secondo una tradizione mitografica (cfr. Hrcin. fab. 127; EusratH. ad Hom. questi versi, la perifrasi erudita Andromedae pater.
Od. p. 1660, 5), avrebbe ucciso il padre che non conosceva.
v. 18 Procyon furit: si tratta, come del resto dice il suo nome, della costellazione
v. 9 fastidiosam — copiam: il rifiuto della sazietà, misto al disgusto generato dall’ab- che sorge prima della Canicola, in particolare il 15 luglio (CoLum., cit.), apportatrice
bondanza, presuppone il rifiuto epicureo dell’opulenza in nome di una vita semplice di grande calura (cfr. PLin. nat. hist. 18, 269 accenditque solem et magnam aestus obtinet

piaci
che cerca di soddisfare solo i desideri naturali (cfr. per esempio Lucr. 2, 23 sgg.). causam). Per furit, così come per vesani del v. 18, cfr. nota a 3, 3, 55.
v. 10 molem
— arduis: la descrizione della turris Maecenatiana (così SueT. Nero 38, 2) v. 19 stella —Leonis: la costellazione del Leone, con la quale il sole entra in con-
fa pensare ai nostri grattacieli. L’iperbole sembra derivare dal repertorio degli encomii giunzione il 30 luglio: cfr. Corum. 11, 2, 53. Il periodo indicato è quello della Cani-

bibi doi
di città (su cui cfr. nota a 1, 7, 1), dal quale il lessicografo Polluce (9, 20) trae locu- cola (cfr. nota a 3, 13, 9).

RG
838 Orazio Odi II 29, 21-37 839

vv. 21-24 iam — ventis: la strofe è strettamente legata alla precedente dall’anafora di che ha provveduto da sé a nascondere agli uomini il futuro è funzionale al rilievo che
iam, e descrive gli effetti sul mondo della natura e degli uomini della situazione astro- Orazio vuol dare al concetto per lui più importante, e cioè l'impossibilità di cono-
nomica presentata in quella, in un quadro fortemente espressionistico, in cui il pae scere il domani, e quindi l’inutilità di qualsiasi sforzo in tal senso, e questo è un con-
saggio bucolico tradizionale è colto nel momento della massima calura, nello stanco cetto epicureo (cfr. Ericur. fr. 212 Arr. e, in generale, introduzione a 1, 11).
silenzio dell’ora più afosa.
v. 30 caliginosa nocte: la lunghezza dell’aggettivo aumenta l’efficacia dell'espressione,
vv. 22-23 horridi — Silvani: Silvano è una antica divinità latina dei boschi: cfr. Vere. che rende bene l’idea del buio entro cui ci muoviamo.
ecl. 10, 24; Aen. 8, 600 sg. L’epiteto horridus ben si addice al dio rurale, e nello stesso
tempo alle ispide macchie del bosco. Dumeta è soggetto di caret, assieme a riba, piut- v. 31 ridet potrebbe sembrare in contraddizione con l’immagine epicurea degli dei,
tosto che altro oggetto di quaerit, che risulterebbe superfluo dopo umbras e rivum. imperturbabili e indifferenti alle vicende umane. Ma forse qui interviene il motivo
v. 25 tu: la collocazione enfatica del pronome personale, all’inizio della strofe, sot- letterario del sorriso della divinità, segno tangibile dell’inutilità dell’affaccendarsi degli
uomini (si pensi al sorriso di Venere in 1, 2, 33 e in 3, 27, 66 sg.).
tolinea il contrasto fra il quadro idillico dei versi precedenti e la situazione qui pre-
sentata, fra il riposo della natura spossata dal caldo e le preoccupazioni di Mecenate,
vv. 31-32 ultra fas: cfr. nota a 1, li, 1.
trattenuto in città dagli impegni della vita politica.
civitatem— status: riferimento generico ai problemi connessi al nuovo assetto costi- v. 32 quod memento: la locuzione quod adest, spesso in combinazione con nessi
tuzionale, alle questioni istituzionali, politiche, ma anche sociali e culturali del prin analoghi come quod praesens est, rappresenta uno dei modi possibili di tradurre il
cipato. La situazione di Mecenate è descritta in termini analoghi a quella presentata, concetto filosofico del greco tò mapév (cfr. Cic. fin. 1, 55; off. 1, 11; Tusc. 4, 14). Il
pure nel contesto di un invito, in 3, 8, 17 sge. (cfr. note). concetto è a noi noto da altre formulazioni di Orazio, al punto da poter essere con-
siderato un motto della sua lirica: cfr. introduzione a 1,9 e a 1, 11. Qui la sentenzio-
v. 27 Seres: cfr. nota a 1, 12, 56; i Cinesi erano intervenuti nella contesa fra le tribù sità è sottolineata dall’imperativo futuro, che dà il carattere di un precetto di vita.
scitiche dei Tocari e dei Sacarauci, che, dopo la riconciliazione, aiutarono Fraate a
riconquistare il trono dei Parti (su ciò cfr. introduzione a 1, 26). Qui però essi stanno vv. 33-41 cetera— amnis: il momento centrale dell’ode, e anche quello in cui Orazio
a indicare l'estremo Oriente. ha concentrato lo sforzo maggiore di espressionismo e di sublimità dello stile, è costi.
vv. 27-28 regnata — Bactra: la Battriana indica, con una sineddoche non rara in poe tuito da questa grandiosa similitudine (introdotta da ritu) fra le vicende della vita e
sia (cfr. Prop. 4, 3, 63), l’impero persiano, il cui primo sovrano fu Ciro il Grande; il corso mutevole del fiume, che ora scorre:tranquillo nel suo letto ora straripa, tra-
e, a sua volta, il riferimento alla Persia equivale a un riferimento ai Parti, i nemici scinando ogni cosa nella furia travolgente della piena. La similitudine si snoda senza
tradizionali di Roma nella propaganda augustea (cfr. nota a 1, 2, 22). Per la costru- pause fino al v. 41, con due enjambements fra strofe e strofe (v. 36 sg.; v. 40 sg.) che
riproducono il traboccare inarrestabile del fiume, così come la sinafia fra v. 35 e v.

[Din divi it pin


zione regnata
— Bactra cfr. nota a 2, 6, 11 sg.
36, e con una notevole ricerca di musicalità. L'immagine del fiume non doveva essere
v. 28 Tanais...discors: il Tanais, odierno Don (cfr. nota a 3, 4, 36), designa, se-
nuova né in poesia (cfr. ArcHILocH. fr. 128, 7 W. yivwoxe d’otoc Suopòg dvapwrrove
condo un tipo d’indicazione usuale (cfr. nota a 2, 20, 19 sg.), gli Sciti (cfr. nota a 1,
&ye) né nel linguaggio metaforico della filosofia (cfr. HeracuT. in DIoe. LAERT. 9,
35, 9), che sono ricordati anche, in un contesto analogo, in 3, 8, 23, così come i Per-
1, 8 feîv tà Bia rorauoi Stxyy), ma Orazio ha presente, in particolare, il Tevere, una
siani; e come questi ultimi sono menzionati per le discordie interne in 3, 8, 19 sg.,
cui piena è descritta in 1, 2, 13 sgg. (cfr. nota), e che non starà qui a significare un
così qui si allude alle lotte intestine che travagliano gli Sciti (cfr. nota a v. 27). Anche
fiume qualsiasi: è il fiume presente all'esperienza del poeta e del suo destinatario, e
senza arrivare a cogliervi una punta ironica, come vogliono alcuni interpreti, discors
inoltre è legato alle origini di Mecenate, poiché nasce in Toscana (cfr. nota a 1, 2,
mira all’effetto di ridimensionare le preoccupazioni di Mecenate circa i pericoli pro-
13 sg.) e sfocia nel Tirreno, non a caso qui chiamato Etruscum mare.
venienti da nemici divisi da contrasti interni.
vv. 29-30 prudens — deus: questa divinità provvidenziale potrebbe a prima vista seme vv. 36-37 lapides — raptas: il ricorrere del suono s esprime efficacemente l’azione
brare identificarsi con la rpévora stoica piuttosto che con gli indifferenti dei dell’epi- corrosiva del fiume. Stirps nel senso di ‘tronco’ è qui femminile, mentre di solito
cureismo. Ma qui non siamo di fronte a un concetto stoico; l’immagine di un dio è maschile (cfr. Vero. georg. 2, 379; Aen. 12, 208; 770; 781).
840 Orazio Odi III 29, 41-61 841

v. 41 potens sui: calco latino del greco aùtdpxne, termine che riassume un concetto- di precarietà, nel più autentico spirito oraziano, al messaggio epicureo (cfr. introdu-
chiave della filosofia stoica, ma non solo stoica; l’aòripxeta è un ideale anche epicu- zione a 1,4 e a 2, 11).
reo: cfr. Epicur. fr. 218 Arr. mAovodtatov adrdpxera rdvrov). L'autosufficienza qui si
vexit: richiama il vixi del v. 43, per una sorta di paronomasia a distanza, nella quale
intende, come rivela in diem del v. 42, in senso prevalentemente epicureo, come auto-
viene scolpito in modo significativo, quasi programmatico, il contrasto fra i due poli
nomia rispetto allo scorrere del tempo, come assenza di pensieri relativi al domani:
della riflessione oraziana sulla vita: da un lato la fuga del tempo che trascina tutto
cfr. Epicur. fr. 245 Arr. è Tic abpiov fuiota Seduevoc Gdota rploetor pdc TÙv abprov;
con sé, dall'altro la capacità di vivere ogni attimo, in perfetta autosufficienza psico-
fr. 242 Arr. stulta vita ingrata est et trepida: tota in futurum fertur (cfr. introduzione
logica e senza ansie riguardanti il futuro.
al,9ea1l, 11).
x vv. 49-50 Fortuna — pertinax: sulla Fortuna cfr. introduzione a 1, 35. La figura eti-
v. 42 laetus: è il raggiungimento della felicità lo scopo ultimo delle filosofie morali
i mologica ludum ludere accentua la caratterizzazione della sorte come capricciosa di-
post-aristoteliche; l’abedpxere appare una condizione preliminare, una premessa della i
i spensiera di onori.
felicità. È
di
vv. 53-54 si — pennas: sulla Fortuna alata cfr. 1, 34, 15 (e nota).
v. 43 dixisse: il perfetto aoristico delimita lo spazio dell’azione descritta; la conclu-
sione di un giorno rappresenta un momento ben preciso, unico e ben determinato, v. 54 resigno — dedit: l’espressione proviene, come altre volte nella lirica oraziana
proprio perché ogni giorno ha una sua unicità e come tale va vissuto. (cfr. 1, 9, 14 sg. e nota), dal lessico della contabilità, e significa propriamente ‘estin-
guere un debito, saldare un conto’. L'atteggiamento di distaccato orgoglio nei con-
vixi: anche questo perfetto ha valore espressivo: è il sigillo apposto alla giornata
fronti della Fortuna rientra nella concezione epicurea della vera saggezza: cfr. 1, 120a
conclusa. Il verbo vivere ha qui il significato pregnante di ‘vivere pienamente la vita,
goderla’, nel senso del carpe diem (cfr. introduzione a 1, 11) e sembra riprodurre
3 Arr. (Tèv copòv) tiyn dvarrdzeodan toldov te odièv xThosodar; Cic. Tusc. 3, 49 ullam
în sapientem vim esse fortunae. C'è chi ha pensato che questa orgogliosa affermazione,
una formula epicurea, a noi nota da MeTRODOR. fr. 49 ed dhutv peBiota. Cfr. anche
che ricorda il cuncta resigno di epist. 1, 7, 34, rivolto a Mecenate, sia pure un avverti
Sen. epist. 12, 8 Pacuvius...sic in cubiculum ferebatur a cena, ut inter plausus exoleto-
mento al suo protettore che cominciava a pretendere troppo da lui.
rum hoc ad symphoniam caneretur: feflota, Befiotar...Hoc...nos ex bona (sc. con
scientia) faciamus et in somnum ituri laeti hilaresque dicamus: vixi, quem dederat cursum vv. 54-55 mea-involvo: quella del mantello della virtù è un’antica metafora filo
fortuna peregi (quasi una parafrasi del passo oraziano). sofica, il cui archetipo è PLar. rep. 5, 457a drroduitov d) tate Téiv puAaducv yovartly,
cras: torna il concetto della necessità di eliminare l’ansia del domani per essere felici: Eredi mep dpethy dvri iuatiwy dupiécovrat.
cfr. introduzione e note a 1, 11. vv. 55-56 probam — quaero: il contrario delle improbae divitiae di 3, 24, 62. L’espres-
vv. 44-45 polum — puro: tutta l’espressione rivela un notevole sforzo di elaborazione sione presuppone il confronto fra la pauperies e una sposa onesta anche se priva di
stilistica: dalla frequenza della p all’uso poetico di polus nel senso di ‘cielo’ e di Pater dote, che implicitamente si contrappone all'immagine di donna infedele e civetta cui
(cfr. 1, 2, 2 e nota). sembra alludere il v. 52 nunc mihi, nunc alii benigna.
vv. 4547 non reddet: solo il passato è in nostro sicuro possesso, non più soggetto v. 57 non- meum: il tono si fa più familiare nel parlare di se stesso: non est meum
a nessuna legge divina: concetto molto diffuso nella meditazione antica (i commen- è espressione della lingua dell’uso (cfr. PLauT. Asin. 190; Trin. 123 etc.).
tatori ricordano AGATHON. fr. 5 N° (= Arisror. Eth. Nicom. 6, 2, 1139b 5 sgg.) pévov
yàp aòroi xa Sedc oteploxetai, / dyevyta moreiv doo” dv È rerpaypéeva e PLIN. nat. hist. vv. 57-58 mugiat-— procellis: l'albero della nave è personificato, come in 1, 14, 6
2, 27), ma particolarmente svolto all’interno della riflessione epicurea: cfr. EpIcUR. (cfr. nota). Sull’Africo cfr. nota a 1, 1, 15.
in Sen. benef. 3, 4 (= fr. 435 Us.) cum certior nulla sit voluptas, quam quae iam eripi vv. 58-61 miseras — mari: torna l’immagine convenzionale, cara a Orazio, del mer-
non potest. cante che si avventura in mare affrontando pericoli (1, 1, 15 sgg.; 2, 16, 1 sgg. e note),
v. 48 fugiens...hora: anche l’affermazione più orgogliosa di raggiunta autonomia umiliandosi a mercanteggiare con gli dei la propria salvezza in caso di tempesta (per
dal futuro e dalle capricciose leggi al di sopra di noi, di capacità di godere la vita ed decurrere nel senso di ‘abbassarsi a pregare’ cfr. Verc. Aen. 5, 782 preces descendere
essere felici si chiude con un accenno alla fuga inesorabile del tempo, che dà un senso in omnes), preoccupato soprattutto di tenere strette le merci ammassate (per Cypriae
842 Orazio Odi II 29, 61 - 30, 1 843

programmatico, quest'ode è attraversata dall’orgoglio dell’opera poetica ormai realiz:


cfr. nota a 1, 1, 13; le merci tirie, cioè fenicie, consistevano prevalentemente di tes-
zata, e formalmente essa si configura come una oppayis 0, meglio, come una iscri-
suti: cfr. anche epod. 12, 21; sat. 2, 4, 84; epist. 1, 6, 18). Orazio prende le distanze
zione apposta al monumento che metaforicamente rappresenta l’opera poetica.
dal mercante in senso letterale (come altre volte, egli afferma una scelta di vita lon-
tana da quella del mercante) e in senso metaforico (il mercante rappresenta l’uomo L'orgoglio di aver inaugurato un nuovo genere poetico spinge Orazio a una
attaccato ai doni della vita, che non si rassegna a restituirli). Nell’uno e nell’altro ricerca di sublimità che lo porta a confrontarsi, ancora una volta, con i grandi lirici
senso, il poeta contrappone il modello di vita dell'uomo saggio e autosufficiente: corali: i modelli più vicini per l’immagine che dà inizio allo svolgimento dell’ode
non a caso, la diatriba diffondeva l’immagine tradizionale del sapiente che scampa sono da sempre indicati nei versi di Simonide riferiti agli onori dovuti ai morti delle
a un naufragio ricco della sua sola saggezza (cfr. AristIPP. A 44 sg. Giann.). Termopili (fr. 531, 4 sg. P. Evrdgiov Sè towoitov ob’ edpdac / od è Tavdaudioo duav
pace. ypévos « un tale sepolcro né la ruggine potrà distruggere né il tempo che doma
v. 61 avaro. ..mari: in realtà l'avidità è del mercante, ma dal punto di vista di que-
tutto ») e in Pimp. Pyth. 6, 10 sgg. (tèv otte yemuéprog duBpoc, Erantds dAdddv / tpippbor
st'ultimo è% attribuibile al mare che vuol prendersi le sue merci. veperag| TpATÙS dueldigoc, ot’ &veuog éc uuyods / didc dÉotor maupipo yephder tutti LEVOv
v. 63 Aegaeos tumultus: cfr. nota a 2, 16, 2. « né pioggia tempestosa, esercito spietato di nuvole tonanti che si abbatta, né vento,
colpendolo con i residui d’ogni tipo che trasporta, spingerà questo negli abissi
v. 64 geminus...Pollux: la sicurezza di Orazio è nella saggezza, che però nella vi- marini »). Ma nell’uno e nell’altro caso il concetto di immortalità è riferito all’og-
sione oraziana della vita, ricorderemo, assume una connotazione religiosa, essendo getto del canto, non al canto stesso, e il trasferimento alla propria poesia, malgrado
tutt'uno con la sicurezza della protezione divina (cfr. introduzione a 1, 17; 1, 22;
si siano cercati altri precedenti greci (si cita spesso SAPPH. fr. 193 L.-P.), rientra in
nota a 3, 4, 21 sgg.). Su Castore e Polluce cfr. nota a 1, 3, 2; per l’espressione, che una tradizione romana, che è la stessa del volito vivos per ora virum dell’autoepitaffio
contiene un riferimento implicito a Castore, gemello di Polluce, cfr. CaTULL. 4, 27 di Ennio. A Roma rinvia anche la menzione della dea Libitina, delle vestali, del pon-
gemelle Castor et gemelle Castoris. tifex, il ricordo del paesaggio italico nei vv. 10 sgg. (Fraenkel); e al centro dell’ode
viene simbolicamente a trovarsi il Campidoglio, centro del centro del mondo (Péschl),
30 sicché l’immortalità di Orazio si proietta in qualche modo nell’immortalità di Roma,
e viene consacrata dalla religione di stato (von Albrecht). Anche se non convince il
Pasquali, 748 sgg.; FRAENKEL, 302 sgg.; CommaceEr, 314 sgg.; PòscHL, 246 sgg.; tentativo di leggere quest’ode come celebrazione dell’immortalità in contrapposizione
eee

D. KorzENIEWSKI, « Mnemosyne » 21, 1968, 29 sgg.; In., « Gymnasium » 79, 1972, voluta alla fugiens hora della precedente (Commager), poiché già in 3, 29 troviamo
una vittoria sul tempo che fugge, tuttavia è vero che questa conclusione del libro III,
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380 sgg.; In., « Gymnasium» 81, 1974, 201 sgg.; M. von ALBRECHT, « Ant. u.
Abendl. » 18, 1973, 58 sgg.; C. DIeR, « Étud. class. » 51, 1983, 249 sgg. e dell’intera prima raccolta, rappresenta un’altra vittoria sulla temporalità del mondo:
se là vince la saggezza, qua vince la poesia.
Non dovrebbero sussistere dubbi sulla cronologia di quest'ode che doveva essere,
Metro: asclepiadeo minore.
nel piano originario, la chiusa dell’intera raccolta lirica: essa sarà stata composta nel
23 a.C., poco prima della pubblicazione dei primi tre libri. Priva di destinatario uffi-
ciale, e in realtà indirizzata a tutto il pubblico, l’ode presenta uno svolgimento uni- v. 1 exegi monumentum: una parafrasi delle iscrizioni che l’artefice soleva apporre
all'opera compiuta; infatti l’espressione riecheggia formule epigrafiche come monu-
tario, all’interno del quale è difficile individuare divisioni strutturali significative (tute
mentum apsolvi o mihi hoc monumentum feci (carm. epigr. 89; 127). Monumentum non
t'al più si può segnalare che i vv. 1-5 sono sul monumentum realizzato da Orazio con
è, come intendono alcuni, ‘ monumento sepolcrale’, come pure indurrebbe a cre
la sua opera, i vv. 6-14a insistono sull’eternità della fama che egli si è conquistata,
i vv. 14b-16 sono una chiusa, contenente la consacrazione del poeta laureato), sul dere il confronto con le piramidi, tombe dei faraoni, nel v. 2 (Korzeniewski, ad
motivo dell'immortalità e dell'orgoglio poetico. esempio, ha sostenuto a più riprese che Orazio deve aver presente la tipologia archi-
L'identità metrica rispetto all’ode proemiale (cfr. introduzione a 1, 1) collega in tettonica cui appartengono la tomba di Cecilia Metella sulla via Appia e quella della
modo evidente il proemio e il commiato, che vengono a costituire la cornice della gens Plautia sul ponte Lucano a Tivoli), né semplicemente ‘statua’ (come farebbe
pensare il riferimento al bronzo in dere), ma, in generale, ‘ testimonianza, tramite di
raccolta dei primi tre libri. Come in 1, 1, e come, in genere, nei proemi e negli epi-
memoria ’.
loghi, anche qui il tema è di autobiografia poetica, ma mentre là dominava l'elemento
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aere perennius: lo stesso tipo di comparativo di 1, 18, 16 (cfr. nota). senso ricorre altre volte in contesti simili: cfr. Vero. Aen. 9, 448 sg. dum domus
Aeneae Capitoli immobile saxum | accolet imperiumque pater Romanus habebit.
v. 2 situ-altius: secondo un’interpretazione, situs ha qui il significato primario di
‘ posizione immobile’, secondo altri è nell’accezione derivata di ‘muffa, ruggine ’ vv. 10-12 qua populorum: la previsione dell’orgoglio che la propria terra di
(cfr. epist. 2, 2, 13 nunc situs informis premit et deserta vetustas; Prop. 1, 7, 18 in aeterno origine nutrirà per la gloria immortale ottenuta dal suo cittadino è un motivo poe-
iacere situ; Ti. 1, 10, 50 occupat arma situs). Secondo un’altra interpretazione ancora, tico tradizionale: cfr. Prop. 4, 1, 62 sg.; Ov. am, 3, 15, 7 sg.; Martiar. 1, 61. La
tutto il passo va letto come monumentum quod altius quam pyramides regum situm est, presenza di questo motivo topico basta a dimostrare che la doppia relativa qua...
con situm = conditum, positum (cfr. Tac. ann. 1, 74, 3 statuam Marcelli altius quam Aufidus...|qua populorum, con cui Orazio si riferisce ai suoi luoghi natali, va unita
Caesarum sitam). Altius farebbe pensare più al primo che al secondo significato, ma strettamente a dicar (il poeta immagina che l'eco della sua fama arrivi nella sua pa-
può darsi che ci troviamo di fronte a una serie di riferimenti traslati (del resto, anche tria), e non, come pure interpretano alcuni, con deduxisse del v. 14.
regali è riferito per enallage a situ anziché a pyramidum); inoltre, se sintatticamente
v. 10 violens— Aufidus: ritorna ancora una volta il paesaggio dell’infanzia, qua rias-
dipende da altius, l’ablativo di paragone situ dipende logicamente anche da perennius.
sunto nell’Ofanto, presso cui sorgeva Venosa (cfr. 4, 9, 2; 4, 14, 25; sat. 1, 1, 58),
Può darsi che l'ambiguità non sia stata evitata da Orazio: l'imponente, immobile e torna in un ricordo vivo, che sente ancora la furia del fiume, ingigantita probabil-
sfida al tempo e la muffa che corrode sono due aspetti della lotta fra l’aspirazione al- mente dal punto di vista del bambino. Al di là della presenza del motivo topico (cfr.
l’immortalità e la caducità delle cose umane.
nota precedente), il riferimento autobiografico ha sempre un ruolo decisivo nella
vv. 3-5 quod — temporum: per i modelli poetici greci cfr. introduzione. lirica oraziana: il persistere della memoria dell’infanzia costituisce un nucleo attorno
a cui si raccolgono gli altri miti del mondo poetico oraziano.
v. 3 Aquilo: cfr. nota a 3, 10, 3 sg.
vv. 11-12 pauper — populorum: al mitico re Dauno (cfr. nota a 1, 22, 13 sg.) è attri-
vv. 4-5 innumerabilis — series: la lunghezza dell'aggettivo e l’enjambement esprimono
buita la povertà d’acqua propria della terra di cui egli è eponimo, la Daunia, la siti-
efficacemente l’idea dell'eternità. Qualcuno richiama l’espressione di SopH. Ai. 646
culosa Apulia di epod. 3, 16. Regnare con il genitivo è costruzione grecizzante.
dvaglduntoc ypbvoc.
v. 12 ex humili potens: alcuni riferiscono questa espressione a Dauno, e non ci
v. 6 non» moriar: la previsione d’immortalità si sposta dal monumentum che ha com-
sono motivi seri per escludere senz’altro tale spiegazione. Ma una allusione di Ora-
piuto alla persona stessa del poeta.
zio al proprio raggiunto prestigio rientra perfettamente nello stile della oppayig (cfr.
v. 7 Libitinam:; la dea romana dei funerali (cfr. anche sat. 2, 6, 19; epist. 2, 1, 49), anche 2, 20, 6 sg. e nota); s’intende che potens andrà riferito all'importanza del poeta
il cui culto si faceva risalire a Numa (cfr. Put. Num. 12), e che viene spesso iden- (cfr. 4, 8, 27 sg. potentium vatum), non alle sue amicizie altolocate. A conferma di
tificata nella tradizione con Venere (cfr. PLUT. mor. 269d; Dion. Har. ant. Rom. 4, questa interpretazione cfr. epist. 1, 20, 20 sg. me libertino natum patre et in tenui re |]
15; Var. ling. 6, 47 sg.), per una sorta di polarità comune nella cultura religiosa. maiores pinnas nido extendisse loqueris.

ici
usque: l’avverbio, legato sia a crescam sia a recens, sottolinea l'eternità della fama

nn)
vv. 13-14 princeps — modos: è il motivo callimacheo del primus, che ricorre tradi-
che Orazio si aspetta: contrapposta all’inarrestabile fluire del tempo, la continuità zionalmente nelle dichiarazioni di apologia poetica, prevalentemente collocate nei
incessante della gloria di cui lo onoreranno i posteri. proemi e negli epiloghi: cfr. Lucr. 1, 926 sgg. = 4, 1 sgg.; VErG. georg. 2, 174 sgg.;

anali iii
vv. 8-9 dum— pontifex: più probabilmente che alla cerimonia delle Idi di marzo, 3, 291 sg.; Prop. 3, i, 3 sg. Il vanto di Orazio è quello di aver trasferito a Roma la
durante la quale la Virgo maxima (la Vestale più anziana) saliva al tempio di Giove poesia eolica (per Aeolium carmen cfr. nota a 2, 13, 24; e, per tutto il concetto, cen-
Capitolino per far voti per il bene comune (di cui ci dà notizia JOHANN. Lyn. de mens. trale nella poetica di Orazio, cfr. introduzione a 1, 32). Egli cioè ha portato a com-
4, 36), Orazio si riferisce qui, genericamente, a processioni delle Vestali (sulle quali pimento il suo programma, ha realizzato l'aspirazione di 1, 1, 34 sgg. (cfr. note). Ci
cfr. nota a 1, 2, 27 sg.) verso la sommità del Campidoglio (sull’itinerario canonico, si è chiesti ripetutamente se non sia ingiusto da parte di Orazio trascurare il prece
dente costituito dai carmi saffici di Catullo (c. 11 e c. 51). Ma la questione va supe-

Li KEinit il dosi]
dalle Carene attraverso la Via Sacra, cfr. Varr. ling. 5, 47). Scandere è equivalente,
nello stile elevato, di ascendere (cfr. Liv. 42, 49 scandentem in Capitolium). In generale, rata sottolineando l’affermazione, da parte di Orazio, di avere inaugurato un vero e
il Campidoglio sta qui a indicare l’eternità di Roma (cfr. introduzione), e in questo proprio genere poetico; e in ciò egli ha ragione, poiché con lui nasce la lirica latina
Orazio Odi IV 1 847
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di ispirazione eolica, e, al confronto, quelli di Catullo appaiono tentativi occasionali,


avulsi da un programma poetico complessivo.
v. 14 deduxisse: verbo carico di suggestioni: dal significato letterale di ‘trasferire ’
a quello di ‘fondare una colonia’ al deducere del carro del trionfatore. Ma non può LIBRO QUARTO
non essere prevalente, in questo caso, la sfumatura metaforica che trasferisce l’idea
della filatura della lana all'elaborazione, alla cura formale: cfr. già Vero. ecl. 6, 4 sg.
pastorem, Tityre, pingues, | pascere oportet oves, deductum dicere carmen; Luci. 985 M.
deducta vox; Prop. 2, 33, 38 mea deducta carmina voce legis; in Orazio, cfr. epist. 2, 1,
225 tenui deducta poemata filo (nel senso di ‘tenue, fine’). Questa spiegazione di de- Pasguani, 146; O. WEINREICH, « Zeitschr. f. Kirchengesch. » 61, 1942, 69 seg.;
duxisse appare la più pertinente; anzi, in tal senso il verbo si rivela la parola—chiave FRAENKEL, 410 sgg.; ComMaGeR, 291 sgg.; E. LeFèvre, « Rhein. Mus.» 111, 1968,
di questa dichiarazione di poetica: la componente alessandrina e neoterica risulta 166 sgg.; A.T. von S. BrapsHaw, « Class. Quart. » 20, 1970, 142 sgg.; V. PéscHL,
fondamentale in questo adattamento dei metri e degli schemi compositivi eolici, ne «Ant, u. Abendl. » 30, 1984, 126 segg.
costituisce, diremmo, la vera novità, il vero punto d’orgoglio per l’inventor.
Se dobbiamo credere a quanto ci dice Orazio nel v. 6, egli ha circa cinquanta
vv. 15-16 Delphica lauro: la corona di alloro, sacra al dio Apollo, che a Delfi aveva
anni quando compone quest’ode: siamo dunque nel 15 a.C., e già da un anno ha
un celebre e importante luogo di culto, consacra Orazio ‘poeta laureato’, mentre
avuto inizio l’elaborazione del quarto libro di odi, sette anni dopo la pubblicazione
l'edera di Bacco, all’inizio della raccolta, stava a significare l’ispirazione che gli era
necessaria (cfr. nota a 1, 1, 29). della raccolta dei primi tre (cfr. introduzione al Carmen saeculare). Si tratta dunque
di un proemio alla nuova raccolta di liriche, anche se di un proemio diverso dalla
v. 16 Melpomene: è la Musa, in senso generico (cfr. nota a 1, 1, 32 sg.), a inorgo- norma.
glire meritatamente per i risultati raggiunti dal poeta a cui ella ha fornito l’ispirazione; Destinatario è formalmente Venere, ma vero protagonista dell’ode è Paolo Fabio
su di lei Orazio proietta il proprio orgoglio. Massimo, esponente della più antica aristocrazia; si tratta probabilmente del perso
naggio che sarebbe stato console nell’11 a.C., parente e amico di Ovidio (cfr. Pont.
1, 2, 69 sg.; 117 sg.; 135; 2, 3, 1 sg.), suicida poco prima della morte di Augusto
(Tac. ann. 1, 5). Nell'ultima parte dell’ode, che corrisponde a un mutato stato di
animo, il poeta si rivolge a un fanciullo amato, Ligurino, lo stesso di 4, 10: proba-
bilmente si tratta del nome reale di un personaggio reale, poiché quando usa pseudo-
nimi Orazio adopera forme greche (cfr. 1, 4, 19 Lycidas; 2, 5, 20 Gyges; 3, 20, 6

dit
Dr ssa
Nearchus).
Il mutamento di destinatario corrisponde a una situazione poetica in movimento:
nei vv. 1-8 la preghiera a Venere, nei vv. 9-32 la figura di Paolo Massimo, nei vv.
33-40 l'improvvisa apostrofe a Ligurino. La struttura è definibile dunque come una
tripartizione simmetrica, all’interno della quale introduzione e chiusa si equilibrano
attorno alla parte centrale che contiene il ritratto del nobile giovane e brillante.
Per la prima parte, il modello è nella poesia religiosa, in quella particolare forma
di rovesciamento del tradizionale Upvoc xAmtwés che è l’arorourti: si tratta di una pre
ghiera rivolta alla divinità perché allontani un pericolo (cfr. Hom, Od. 16, 185; Aescu.
Ag. 1571 sg.; PLauT. Merc. 678 sgg.; Vero. Aen. 6, 63), a volte indicando un bersaglio
alternativo come avviene nella chiusa dell’Attis di Catullo (63, 91 sgg. dea magna, dea
Cybebe, dea domina Dindymei | procul a mea tuos sit furor omnis, era, domo: /alios age

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